2. Ringraziamenti
Si ringraziano: Agfa, Canon, Durst, Fuji, Ilford, Kodak, Nital (Nikon), Polyphoto (Leica), Rossi & C. (Minolta, Zenza
Bronica) per il supporto e il materiale fornito per la pubblicazione. In particolare si ringraziano la signora Nogarotto ed
i signori Bassanello, Mongiovetto, Rovere, Rappaini, Storace, Tchajkowski, assieme a Mario Giammusso e Sergio Rizzo
dell’Agenzia R&G. Un ringraziamento particolare ai fotografi che hanno collaborato fornendo scritti e immagini che
hanno impreziosito il testo: Giac Casale, Franco Fontana, Giuliano Francesconi, Giancarlo Mecarelli, Marco Moscadelli,
Giancarlo Zuin. Le fotografie, coperte da copyrigt, sono state riprodotte nel testo per loro gentile concessione. Grazie
a Giancarlo Alesiani per gli spunti e le preziose esercitazioni fornite. Un ultimo ringraziamento a Stella Ferrara, Angelo
Infanti, Rodolfina Rasotto e Carlo Schiavon per i contributi apportati al teso, Claudia, Paola e Paolo per i loro volti,
Giovanni Federle, Carlo Ferrara, Giuseppe Ongaro, Andrea Rossi, Carla Stefani, ai colleghi ed agli studenti dell’I.P.S.S
“Bartolomeo Montagna” di Vicenza.
Crediti
Ove non diversamente specificato, le fotografie sono dell’Autore.
Le immagini sottoelencate sono pubblicate per gentile concessione di:
Agfa:
2/226-1/227-1/228-1,2/229-1/239.
Canon:
1/32-3934-1,2,3,4,5/44-1/45-2/65-1/66-1/72-3/76-1/110-1/111-1/224-1/232-1/234-2/239-3/177.
Durst:
2/156-3/157-1,3,4/160-1,2/211.
Fuji:
1/201.
Leica:
1/40-1/41-2/45-1,2/102-1,2/297.
Minolta:
1/33-2,3/42-2,3/69-2/72-1,2,3/77-2/81-1/104-3,4/109.
Zenza Bronica:
3/32-1,4/39-2,3/40-4/48-1,2,3/49-1/50.
Le immagini dei prodotti e i messaggi pubblicitari contenuti nel testo, sono presenti esclusivamente per finalità
didattica, senza scopo di lucro.
L’Editore ha cercato di reperire tutte le fonti delle illustrazioni ed è comunque a disposizione di eventuali aventi
diritto nell’ambito delle leggi internazionali.
Copertina progetto grafico e impaginazione: Giovanni Federle, Vicenza 2006.
Copyright 2002 CLITT srl - Roma
Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati.
Nessuna parte può essere riprodotta, in alcun modo,
senza specifica autorizzazione scritta dall’editore.
Finito di stampare nel mese di Febbraio 2006 nella Tipografia Grafiche Flaminia srl - Via delle Industrie, 10 - Foligno (PG)
per conto della CLITT srl - Via Appiano, 21 - 00136 Roma - Tel. 06-35453592 - Fax 06-35455363
Il Sistema di Qualità CLITT
è certificato UNI EN ISO 9001:2000
tamburino Fotografare 1-02-2006 16:58 Pagina 1
3. Sommario dei moduli
1. Primo approccio
2 Approccio sperimentale
3 La carta vede il rosso?
3 Giochiamo con la luce
3 Analisi
4 Un po’ di fantasia
4 Non solo camera oscura
5 I chimigrammi
6 Analisi
7 Una possibile variante
7 Le infinite variabili
7 Lavoriamo a casa
8 Esperienze d’autore
8 Laslo Moholy-Nagy
9 Man Ray
10 LuigiVeronesi
10 Christian Schad
11 Ripresa
11 Fasi preliminari
11 Sala pose
12 Ripresa a mano libera
2. La luce e i materiali
fotosensibili
14 Le fonti luminose
14 Caratteristiche della luce
14 Le fonti luminose
14 Luce naturale
16 Luce artificiale
16 Pellicole
17 La struttura
17 L’emulsione
17 L’immagine latente
18 Il negativo
19 Pellicole diapositive
19 Sensibilità cromatica
19 Pellicole pancromatiche
19 Pellicole ortocromatiche
20 Pellicole sensibili al blu
21 Pellicole all’infrarosso
21 Pellicole a sviluppo cromogeno
21 Pellicole con estesa sensibilità al rosso
22 Sensibilità alla luce
22 Caratteristiche principali
23 La grana
24 Il formato
25 Contrasto
25 Potere risolutivo
26 Acutanza
26 Latitudine di posa
3. Gli apparecchi fotografici
28 Componenti principali
28 Il formato
28 Il corpo macchina
28 Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento
30 Il dorso
30 L’otturatore
30 Otturatore sul piano focale, detto a tendina
32 Il tempo di sincronizzazione
32 I tempi di esposizione
32 L’otturatore centrale
33 Tipi di otturatore a confronto
33 L’obiettivo
34 Il diaframma
34 Il mirino
35 Macchine a telemetro
35 Il telemetro
36 Pro e contro
37 La reflex monoculare 35 mm
37 La visione reflex
39 La messa a fuoco
40 Potenzialità
40 Accessori
41 La reflex digitale
41 Pro e contro
41 I punti a favore
41 I punti a sfavore
42 Conclusioni
42 La reflex biottica
42 L’inquadratura
43 La messa a fuoco
43 Pro e contro
44 La reflex di medio formato
4. Sommario
45 L’otturatore
45 L’inquadratura
45 Messa a fuoco
46 Pro e contro
47 Sistemi a corpi mobili
47 Parti dell’apparecchio
48 L’inquadratura
49 L’esposizione
50 I movimenti
50 Conseguenze del decentramento
52 Conseguenze del basculaggio
4. Gli obiettivi
56 Caratteristiche generali
56 Qualità e difetti dell’obiettivo
57 Potere di copertura
58 Messa a fuoco
59 Lunghezza focale
60 Ingrandimento e angolo di campo
62 Obiettivi normali
63 Corrispondenze metriche
63 Caratteristiche ed utilizzo
64 Obiettivi di lunga focale
64 Caratteristiche e proprietà
64 Pro e contro
66 Obiettivi di corta focale
66 Pro e contro
67 Obiettivi speciali
67 Obiettivi zoom
69 Obiettivi catadiotrici
70 Obiettivi macro
70 Obiettivi per il controllo della prospettiva
“PC” Perspective control
70 Obiettivi per gli apparecchi a corpi mobili
71 Obiettivi per ingranditore
71 Prospettiva
73 Il diaframma
5. Tecniche di ripresa
78 Il movimento
78 Introduzione
78 Congelare il movimento
79 Uso del flash
81 La profondità di campo
84 Valutazione della profondità di campo
85 Distanza iperfocale
86 L’ingrandimento
86 Tabella riassuntiva
6. Tecniche di esposizione
88 Esposizione
88 Gli effetti della luce sui materiali fotosensibili
88 Diaframma ed otturatore: un’azione
combinata
89 La reciprocità
90 Effetti della sotto e sovra-esposizione
90 Esposimetri
90 Introduzione
91 Caratteristiche generali
92 Esposimetri esterni
93 Lettura per luce riflessa
94 Lettura per luce incidente
94 Problematiche dell’esposizione (letture
ingannevoli)
95 Lo standard del grigio medio
96 Esposimetri incorporati (TTL)
97 Schemi di lettura
98 Automatismi
98 Generalità
98 Sistemi tradizionali
99 Sistemi avanzati
100 Immagini high-key e low-key
7. I filtri
102 La traduzione del colore in grigio
102 Il fattore filtro
103 I filtri contrasto
105 Filtri polarizzatori
106 Uso del filtro polarizzatore
107 Filtri Skylight e anti-UV
107 Filtri a densità neutra ND
8. Illuminazione
110 Premessa
110 La luce artificiale
111 La luce continua
112 Il flash elettronico
5. 113 L’esposizione manuale
114 L’attrezzatura professionale da studio
115 Schemi operativi
116 Tecniche particolari
117 Luce pennellata
117 La luce naturale
117 Il controllo del contrasto
118 Il momento giusto
9. Laboratorio trattamento
della pellicola in bianco nero
120 Ambiente di lavoro
121 Attrezzatura
123 Prodotti chimici
126 Prodotti particolari
127 Procedure
130 Trattamento della pellicola
131 Trattamento delle pellicole piane in bacinella
132 Procedure particolari
10. Laboratorio stampa
in bianco e nero
136 Attrezzatura
136 Attrezzatura basilare
140 Attrezzatura opzionale
141 Prodotti chimici
141 Rivelatore
141 Arresto
141 Fissaggio
142 Viraggio
142 Coadiuvanti del lavaggio
143 Le carte
143 Struttura delle carte da stampa
143 Peso
144 Dimensioni
144 Superficie della carta
144 Gradazioni di contrasto
145 Sensibilità
145 Sensibilità cromatica
146 Stampa per contatto
146 Procedure standard
148 Stampa per ingrandimento
148 Scelta del negativo
149 Uso dell’ingranditore
149 Controllo del contrasto
149 Calcolo dell’esposizione
150 La posizione del provino
150 Le fasi in bacinella
152 Asciugatura
152 Valutazione finale
152 La stampa fine art
153 Procedure preliminari
154 Conosciamo la nostra carta
156 Esecuzione di una stampa fine art
159 Elaborazioni
159 Viraggio seppia
161 La solarizzazione (effetto Sabattier)
11. Fotografia a colori
166 Introduzione
167 Approfondimento storico
168 Il colore a livello di comunicazione
168 Il colore nella pubblicità
169 I colori della luce
170 La percezione dell’occhio
170 La sintesi additiva
171 La sintesi sottrattiva
171 La temperatura del colore
172 Luce naturale
172 Luce artificiale
172 I filtri
173 Filtri di conversione
173 Filtri per il controllo cromatico
174 Struttura della pellicola
175 Pellicole negative
175 Pellicole diapositive
176 Negative e diapositive a confronto
178 Sviluppo delle pellicole a colori
178 Pellicole negative
180 Pellicole invertibili
181 La pratica dello sviluppo
182 Sviluppo della pellicola negativa
183 Sviluppo della pellicola invertibile
184 Conclusioni
185 Stampa delle pellicole a colori
185 Attrezzatura per la camera oscura
186 Stampa da negativo
187 Stampa da diapositiva
187 Il metodo Ilford Cibachrome
6. Sommario
12 Fotografia digitale
192 Introduzione
194 Acquisizione dell’immagine
194 Lo scanner
196 Dalla pellicola al sensore CCD
200 Risoluzione dell’immagine
201 Le schede di memoria
202 Le macchine digitali
203 Gli apparecchi reflex
203 I dorsi digitali
204 Gli obiettivi
205 Ripresa
205 La luce
205 Fotografare
207 Ottimizzare l’immagine
209 RGB, CMYK o Scala di grigio?
211 Il software
216 A proposito di contrasto
216 Selezionare
217 Formati di salvataggio
218 Comandi di uso comune
219 La fotografia in bianco e nero nell’era
del digitale
219 Fotografie in bianco e nero ricavate da files a
colori
219 Fotografie in bianco e nero ricavate dalle
stampe a colori (tramite scanner)
219 Intervenire con i programmi di fotoritocco
222 Il viraggio
224 Conclusioni
224 La stampa
224 Valutazione finale
13 Generi
228 Generalità
228 La fotografia in studio
228 L’attrezzatura
229 La fotografia all’aperto
231 Ritratto
232 Ritratto glamour
232 Obiettivi per il ritratto
233 L’inquadratura
234 L’inquadratura “riferita”
234 L’inquadratura “benevola”
235 Il ritratto ambientale
235 Altre regole generali
237 Illuminazione
237 Schemi tipici d’illuminazione
237 Fotografia publicitaria
239 Still life
240 Attrezzatura
241 Still life per l’editoria
241 Reportage e fotogiornalismo
241 Fotografia di guerra
242 Fotografia di cronaca
242 Fotografia sportiva
243 Paesaggio
244 Attrezzatura
245 Paesaggio urbano
245 Fotografia di architettura
246 La fotografia di interni
14 L’invenzione
248 Premessa
249 I settori di ricerca
249 L’ottica
249 La chimica
250 I pionieri
250 Joseph Nicéphore Niépce
251 Louis Jaques Mandé Daguerre
254 Gli altri inventori
254 Hippolyte Bayard
255 John FredericWilliam Herschel
256 I sistemi
256 La lastra umida al collodio
257 La lastra a secco e la pellicola
257 Esordi della fotografia in Italia
258 Gli apparecchi fotografici
258 La Kodak
259 La Leica
260 La reflex biottica
261 Le innovazioni recenti
261 La Polaroid
261 Il colore
261 La luce artificiale
262 Il digitale
7. 15 Il linguaggio fotografico
264 Introduzione
265 Il linguaggio
267 Fotografare la guerra
268 La foto di documentazione
271 La censura
272 Fotogiornalismo
273 Moda e pubblicità
16 La fotografia in Italia
276 Nascita della fotografia in Italia
276 I grandi atelier
277 La Fotodinamica futurista dei fratelli
Bragaglia
280 Nota biografica
281 Fotografia futurista
282 Manifesto della fotografia futurista
283 Fotografia fascista
285 I circoli fotografici
286 La Bussola
286 Il MISA
286 La Gondola
287 Altri circoli
287 Il dopoguerra
288 I giornali
290 Fotografia contemporanea
291 Bellissimi quegli anni!
17 Autori
296 I grandi fotografi
297 Nadar
298 Paul Strand
299 Brassaï
300 André Kertész
301 I fotografi del “Club F/64”
302 EdwardWeston
303 AnselAdams
304 Dorothea Lange
305 Walker Evans
306 August Sander
307 Man Ray
308 Robert Doisneau
309 I fotografi dell’agenzia “Magnum Photos”
310 Henry Cartier-Bresson
312 Robert Capa
314 Werner Bishof
315 Eugene Smith
315 Ernst Haas
315 Josef Koudelka
316 Sebastiao Salgado
317 Robert Frank
317 William Klein
317 RichardAvedon
319 Helmut Newton
320 Irving Penn
321 Ugo Mulas
322 Mario Giacomelli
322 Gianni Berengo Gardin
323 Ferdinando Scianna
324 Mimmo Jodice
324 Gabriele Basilico
325 OlivieroToscani
18 Veridicità e artisticità: due
temi storicamente dibattuti
327 Veridicità e artisticità: due temi
storicamente dibattuti
328 Veridicità
328 Le verità parziali
328 Fotografia e politica
329 La stampa scandalistica
329 Conclusioni
331 Esercizi
332 L’artisticità
332 Il difficile rapporto fotografia-arte
333 Citazioni
334 La fotografia come percorso artistico
335 L’abbietto
341 La fotografia e la rappresentazione
dell’oggetto artistico
8. Sommario
19 Fotografia e pittura
346 Gli esordi
348 Le avanguardie
351 Verso il 2000
352 Brevi note biografiche
356 Scrivere di fotografia
356 Dai giornali
356 “L’Omero degli emigranti”
358 Commento all’articolo
359 “E laTV uccise la fotografia”
360 “Elogio del fotogiornalismo”
361 Commento agli articoli
362 Le riviste di fotografia
364 I libri
364 Leggere per crescere
365 Il cinema
365 Sotto tiro
366 Istantanee
366 La dolce vita
367 Salvador
367 Occhio indiscreto
368 One hour photo
368 Internet
20 Fotografia e media
356 Scrivere di fotografia
356 Dai giornali
356 “L’Omero degli emigranti”
358 Commento all’articolo
359 “E laTV uccise la fotografia”
360 “Elogio del fotogiornalismo”
361 Commento agli articoli
362 Le riviste di fotografia
364 I libri
364 Leggere per crescere
365 Il cinema
365 Sotto tiro
366 Istantanee
366 La dolce vita
367 Salvador
367 Occhio indiscreto
368 One hour photo
368 Internet
21 La parola ai protagonisti
370 Giac Casale
373 Franco Fontana
375 Giuliano Francesconi
380 Giancarlo Mecarelli
386 Marco Moscadelli
390 Giancarlo Zuin
394 Giancarlo Alesiani
22 Legislazione
404 Il diritto all’immagine
405 Fotografia nella scuola
23 Glossario
407 Glossario
9. Presentazione
Questo libro nasce da un’esperienza didattica
pluriennale in un Istituto per Grafici pubblicitari:
l’idea generatrice dell’opera è stata dunque quella
di coniugare, in unico testo, gli aspetti tecnici della
materia, assieme a quelli culturali. In quest’ottica,
si è cercato di trattare una notevole mole di temi,
offrendo all’insegnante la possibilità di scegliere
ed argomentare gli aspetti, tecnici e culturali, da
più punti di vista. Aspetti che, questo è l’augurio,
sapranno suscitare l’interesse degli alunni, che po-
tranno approfondire i singoli argomenti grazie alla
bibliografia specifica ed alle numerose indicazioni
riferite a riviste, romanzi, saggistica, film e web.
Per quanto il libro cerchi di essere esaustivo, è
scontato infatti, che non possa trattarsi del testo
definitivo. La fotografia è materia vastissima, e “Fo-
tografare” si pone l’obiettivo di creare delle basi,
sufficientemente solide da stimolare il lettore ad
andare oltre, sperimentando in proprio e appro-
fondendo il personale interesse, al di là dell’aspetto
scolastico.
A testimonianza del fatto che la fotografia sia,
oggi come sempre, soprattutto confronto con gli
altri, il libro è stato arricchito di nuovi interventi
esterni che, con la loro qualità, contribuiscono ad
avvalorare il ruolo della fotografia in una società
come quella odierna, che viene comunemente defi-
nita “dell’immagine”.
Con la seconda edizione del libro, si è inteso raf-
forzare la struttura del precedente. Ogni modulo è
stato potenziato, sia per renderlo più attuale, sia
per permettere un’ulteriore possibilità di collega-
mento tra le discipline scolastiche, prima di tutto
con le materie storico-letterarie ed artistiche.
La crescente affermazione della tecnologia di-
gitale inoltre, ha comportato l’approfondimento
e l’ampliamento del capitolo specifico, ma anche
un maggiore livello di specializzazione per alcuni
aspetti della fotografia tradizionale, sulla scia di un
mercato che, in questo settore, premia soprattutto
la qualità.
La struttura del testo, per concludere, rispecchia
più fedelmente la dicitura completa del titolo: Fo-
tografare, Tecnica e cultura fotografica. Ad un pri-
mo capitolo introduttivo, fanno infatti seguito due
parti distinte: tecnica e culturale.
Riguardo l’argomento iniziale del testo, intito-
lato “Primo approccio” è opportuna una breve ri-
flessione.
Si tratta di un capitolo che vuole essere in qual-
che modo il “manifesto programmatico” del libro:
lo studente è invitato a sperimentare, senza trop-
pi indugi, le possibilità espressive del mezzo foto-
grafico. Sono dell’idea che alla fotografia non ci si
debba arrivare dopo lo studio, ma prima. Lo studio,
se il primo impatto susciterà interesse, verrà ben
accettato per correggere, migliorare e ampliare le
tecniche sommariamente apprese.
L’approccio sperimentale garantisce inoltre di
affrontare lo studio con un vissuto personale di
esperienze che facilitano la comprensione successi-
va. Quante cose devono infatti assimilare i ragazzi
nelle varie materie come dato di fatto? Ad esempio,
spiegare il processo di formazione dell’immagine
fotografica nella pellicola unicamente leggendo il
testo, significa stabilire un rapporto di tipo passi-
vo. Più proficuo, è rimandare all’esperienza della
camera oscura con gli esperimenti sulla carta foto-
grafica, facendo comprendere per analogia, ciò che
accade quando si sviluppa in completa oscurità, e
quindi senza poterne apprezzare le modificazioni,
la pellicola.
La presenza di brevi schede culturali, riferite
ad autori che hanno fatto della sperimentazione
la loro bandiera, servirà infine a far comprendere
fin da subito che la fotografia, al pari delle altre
espressioni (artistiche e non) ha riferimenti culturali
importanti la cui conoscenza potrà essere utile e,
nel caso specifico addirittura più che in altre mate-
rie, interessante e gradevole.
Sono convinto che qualsiasi materia possa susci-
tare passione nello studente. Sono altresì convinto
che, in un’ipotetica classifica, la fotografia possa
indubbiamente godere di una posizione di privile-
gio.
Mario Ferrara
10. aCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCultura
Primo approccio
2 Approccio
sperimentale
3 La carta vede il rosso?
3 Giochiamo con la luce
3 Analisi
4 Un po’ di fantasia
4 Non solo camera oscura
5 I chimigrammi
6 Analisi
7 Una possibile variante
7 Le infinite variabili
7 Lavoriamo a casa
8 Esperienze d’autore
8 Laslo Moholy-Nagy
9 Man Ray
10 LuigiVeronesi
10 Christian Schad
11 Ripresa
11 Fasi preliminari
11 Sala pose
12 Ripresa a mano libera
1
11. 1. Primo approccio
Approccio sperimentale
Per imparare bisogna “fare”, per migliorare si deve anche
studiare! Con questo motto, anticipiamo la filosofia di questo
capitolo, che vede nell’approccio operativo la chiave con cui
aprirsi nei confronti della fotografia. È un dato certo che la
grande maggioranza dei fotografi italiani, Giacomelli, Jodice,
Migliori e tanti altri, si siano formati autonomamente, come
fotoamatori, prima di dedicarsi alla fotografia a livello profes-
sionale. È altresì impensabile che si leggano interi libri prima di
procedere al primo scatto fotografico mentre, al contrario, è
spesso la documentazione a seguire i primi esperimenti, spesso
maldestri, dettati dalla passione. Ed è su questo termine, pas-
sione, che cerchiamo di basare lo sviluppo successivo dell’atti-
vità fotografica, consci che un impatto eccessivamente teori-
co potrebbe allontanare, mentre l’imbattersi fin da subito in
pratiche manuali, con gli inevitabili errori da correggere, potrà
stimolare un ulteriore approfondimento. Ecco allora una trac-
cia di possibili interventi in laboratorio, che possono costituire
di fatto le prime lezioni, utili per sperimentare le proprietà dei
materiali e le metodologie operative. Per gli argomenti trattati,
può risultare produttivo svolgere questo capitolo in contem-
poranea con quello storico, al fine di rendere “visibili” alcune
delle invenzioni esposte. A questo, si somma il vantaggio di al-
leggerire le prime lezioni, altrimenti solo teoriche, con l’attività
pratica.
1 Esercitazione
12. La carta vede il rosso?
In camera oscura non si lavora sempre al buio, come il nome
potrebbe far intendere: si utilizza la luce di sicurezza. Il colore
che viene subito alla mente è il rosso, se non altro perché in
alcuni film è la luce che si usa in scene di questo tipo. In realtà
non è solo il rosso a non essere visto dalla carta da stampa (la
quale, per la precisione, vede solo la luce blu) ma anche il gial-
lo-verde, che è il colore generalmente raccomandato.
Spenta la luce bianca, ci vorrà qualche secondo di adatta-
mento alla luce di sicurezza; di seguito ci si potrà muovere per-
fettamente a proprio agio.
Giochiamo con la luce
Grazie alla mancata percezione della luce di sicurezza, si
può estrarre un foglio di carta fotografica dalla confezione, e
posizionarlo sopra un piano.
Metteteci una mano sopra, a coprirlo parzialmente, ed ac-
cendete la luce per qualche secondo (una qualsiasi luce bianca
del laboratorio).
Spenta la luce, osservate il foglio. Dopo alcuni secondi di
imbarazzante silenzio, si dovrà trarre la conclusione che non è
successo nulla, a meno che…
L’insegnante vi avrà preparato delle vaschette con dei liqui-
di, vediamo allora a cosa servono.
Immergete la carta nella prima vaschetta: dopo alcuni se-
condi vedrete formarsi la sagoma della vostra mano bianca su
sfondo nero. A questo punto, fate come vi suggerisce l’istinto
e accendete la luce: se vi siete già complimentati, non abbat-
tetevi troppo perché l’immagine si sta rovinando, dovrete solo
rivedere qualcosa nell’esecuzione.
Grazie ad Herschel, dal 1839 disponiamo di un ottimo fissag-
gio, perciò usiamolo!
Si ripeta tutta l’operazione, con l’accortezza di introdurre la
carta anche nella vaschetta del fissaggio prima di accendere la
luce. L’immagine prodotta, che andrà successivamente lavata, è
ora visibile e perfettamente stabile.
Analisi
Il processo fotografico prodotto per intero, ha messo in evi-
denza come non sia sufficiente la sola esposizione alla luce del
materiale fotosensibile, ma che ad essa debba seguire lo svi-
luppo chimico, che va completato con il fissaggio, pena l’anne-
rimento dell’immagine intera. Chiameremo immagine latente
l’immagine che sappiamo esserci in seguito all’esposizione, che
senza sviluppo rimane invisibile.
La prima cosa che balza agli occhi osservando la stampa, è
che la luce ha prodotto un’immagine scura, mentre dove l’emul-
sione era protetta dalla mano la carta è rimasta perfettamente
bianca: siamo in presenza di un negativo.
Con ogni probabilità, il risultato di questo primo esperimen-
to sarà un’immagine bianca e nera, priva di grigi. Le fasi succes-
sive, consisteranno allora nella ricerca di tonalità intermedie,
con l’utilizzo di tempi di esposizione più brevi e l’impiego di
materiali semi-trasparenti.
1 Esercitazione: esposizione alla luce.
2 Esercitazione: trattamento chimico.
3 Esercitazione: ne risulta un negativo.
13. 1. Primo approccio
Un po’ di fantasia
Le tecniche appena introdotte possono sembrare semplici
giochi propedeutici, mentre in realtà costituiscono un linguag-
gio autonomo della fotografia, esplorato da molti fotografi alla
ricerca del puro segno della luce. Si dia quindi spazio alla speri-
mentazione, con l’utilizzo di differenti materiali e tecniche.
Affinandosi, si sentirà l’esigenza di un maggiore controllo
sulla luce, al fine di ottenere quelle sfumature determinate dal
giusto dosaggio dell’illuminazione. È così arrivato il momento
di utilizzare l’ingranditore, che impiegato come semplice lam-
padina, offre ampie garanzie di controllo grazie all’azione del
diaframma e del timer. A questo punto si hanno a disposizione
tutti gli strumenti, basta saperli sfruttare.
Non solo camera oscura
Parlando di laboratorio fotografico, si è immediatamente
portati a pensare alla camera oscura, luogo, in qualche misu-
ra, misterioso e affascinante, nel quale il fotografo rinchiuso
ed isolato dal resto del mondo, produce le proprie immagini.
Tuttavia, a livello sperimentale, la fotografia ammette delle
trasgressioni interessanti che vale la pena di esplorare. Una di
queste, riguarda la creazione di immagini direttamente in un
ambiente chiaro, perfettamente illuminato a giorno: vogliamo
procedere?
Successione dei chimici
La successione corretta del trattamento in baci
nella è: sviluppo, arresto, fissaggio e lavaggio.
L’arresto, che in questa fase può essere costi
tuito da acqua e qualche goccia di aceto, serve
anche a mantenere più attivo il fissaggio.
1 Oggetti appoggiati sul foglio fotosen-
sibile.
2 Esercitazione.
14. I chimigrammi
Il termine chimigramma deriva dal greco e significa scrittura
chimica: vediamolo nel dettaglio.
Innanzitutto ci si deve procurare il materiale:
• Prodotti chimici: rivelatore, arresto (acqua con qualche goc-
cia di aceto), fissaggio
• Tre vaschette
• Carta fotografica
• Pinze o guanti per maneggiare la carta nei chimici
• Uno o più pennelli
Come vedete, a parte i pennelli, è l’attrezzatura che si è già
utilizzata in camera oscura.
Prima di procedere con la sperimentazione, è necessaria una
breve fase preliminare al buio: estraete da una confezione i
fogli di carta che vi servono e riponeteli in una busta di plastica
nera: successivamente, usate solo questi.
Preparate ora l’ambiente di lavoro: se non siete nel labora-
torio scolastico (questo è un lavoro che si può eseguire ovun-
que, anche a casa vostra), disponete le vaschette su un tavo-
lo che avrete precedentemente protetto per mezzo di teli in
plastica o carta di giornali, e riempitele con i prodotti chimici.
Preparate allo stesso modo il piano dove appoggerete la carta
fotosensibile. Ora, è possibile iniziare.
Sbagliamo!
Produrre immediatamente immagini pienamen
te soddisfacenti, non è molto educativo; lo sba
glio, come esperienza vissuta sulle proprie spal
le, è molto più formativo. Non abbiate perciò
paura di sprecare qualche foglio di carta (usate
il 10x15 cm): saranno fogli ben spesi perché l’a
nalisi dell’errore porta alla riflessione su quanto
si è prodotto.
1 Chimigramma ottenuto intingendo il
pennello nello sviluppo.
2 Esercitazione: mano inumidita con il
fissaggio.
15. 1. Primo approccio
Estraete un foglio ed osservatelo bene: esso vi apparirà com-
pletamente bianco anche se, col tempo potrà assumere una co-
lorazione giallastra o rosa.
Prendete il pennello ed immergetelo nel rivelatore: avete
ora un’ampia possibilità di scelta perché potete disegnare qual-
siasi cosa sul foglio. Volete provare con la vostra firma?
Analisi
La carta, dal momento in cui l’avete estratta dal foglio, ha
preso tutta la luce necessaria, eppure, non ha mostrato evidenti
modificazioni. Solo dove siete passati con il pennello, nel giro
di pochi secondi apparirà un’immagine nera: luce, carta foto-
sensibile e rivelatore, utilizzati insieme, forniscono l’immagine
fotografica (in questo caso, più correttamente chiamata chimi-
gramma).
Per completare l’opera e stabilizzarla nel tempo, lavate la
stampa nell’arresto e concludete con il fissaggio. Al termine,
lavate in acqua corrente ed asciugate.
Già al termine del fissaggio, il chimigramma mostra il suo
aspetto definitivo: l’annerimento riguarda esclusivamente la
zona passata con il pennello. Nuovi progetti, possono a questo
punto iniziare.
Precauzioni
Per i prodotti chimici attenersi alle indicazioni
del fabbricante. In particolare, nel caso di con
tatto con gli occhi, lavare accuratamente con
acqua corrente ed eventualmente rivolgersi al
medico. A questo riguardo, è consigliato l’uso
di occhiali. I tessuti, in caso di contatto, specie
con il rivelatore, vanno lavati immediatamente.
L’utilizzo di un camice è consigliato.
Allergie
I prodotti utilizzati in fotografie possono occa
sionalmente scatenare allergie sia per contatto
che per inalazione. Nel primo caso è sufficien
te munirsi di guanti in lattice, nel secondo,
a seconda della gravità, si deve valutare la
possibilità di permanenza nel laboratorio che,
comunque, deve essere munito di impianto di
aspirazione forzata.
1 Chimigramma ottenuto intingendo il
pennello nel fissaggio.
16. Una possibile variante
Cosa succede se s’immerge il pennello nel fissaggio anziché
nel rivelatore?
Per scoprirlo non resta che provare, ma con un’accortezza:
quando avete finito con il pennello, la carta deve essere lavata.
Solo a questo punto potete procedere con la normale proce-
dura di sviluppo, altrimenti danneggereste il rivelatore che in
nessun caso deve venire a contatto con il fissaggio. Seguono,
come di norma, un breve risciacquo, fissaggio e lavaggio.
Le infinite variabili
Gli esempi accennati sono solo il punto d’inizio; è facile
intuire le ampie possibilità che questa tecnica offre a livello
espressivo: lasciate libera la fantasia e provate.
Da un punto di vista tecnico, vi suggerisco solo alcune sem-
plici varianti: l’impiego di un rivelatore molto diluito (maggiore
controllo dei grigi), e l’utilizzo combinato del rivelatore e del
fissaggio (attenti a non mescolarli) nella scrittura dell’immagi-
ne.
Lavoriamo a casa
Una camera oscura si può improvvisare facilmente, even-
tualmente allestendola di sera per evitare infiltrazioni di luce.
Gli stessi materiali fotografici, sviluppo e fissaggio, non essendo
particolarmente pericolosi si maneggiano in sicurezza, e le baci-
nelle possono essere sostituite da normali contenitori in allumi-
nio, vetro o acciaio recuperati in casa o al supermercato (ottime
le vaschette in alluminio, da evitare quelle in plastica leggera).
La luce di sicurezza, è reperibile nei negozi specializzati; la colo-
razione “fai da te” di lampadine normali, non solo non garan-
tisce risultati ottimali, ma, trattandosi di materiale elettrico, se
ne sconsiglia la manipolazione. La carta deve essere conservata
in buste di plastica nera dentro una scatola. Per abbattere i co-
sti, si compri una confezione di carta da cento fogli in gruppo
e si suddivida. Allo stesso modo si possono ottenere numerose
porzioni monouso di prodotti chimici.
Per la produzione di chimigrammi, si conferma la dotazione
chimica (carta, rivelatore, fissaggio), e l’attrezzatura base (ba-
cinelle, guanti o pinze). La mancata necessità di un ambiente
oscurato rende le operazioni ancora più semplici.
Chiunque, a casa propria, può così condurre le proprie spe-
rimentazioni, di cui fornirà, in seguito, dettagliata documenta-
zione all’insegnante.
1 Esercitazione: chimigramma.
2 Esercitazione: foto a contatto.
17. 1. Primo approccio
Esperienze d’autore
Alcuni autori hanno preso alla lettera il termine “fotogra-
fia”, producendo immagini disegnate dalla luce senza nemme-
no l’ausilio della fotocamera. Già Talbot con la sua produzione
di “disegni fotogenici” otteneva immagini direttamente per
contatto, ma il linguaggio era ancora piuttosto semplice. Altri,
e non solo il più famoso su tutti, Man Ray, dedicheranno molto
tempo e passione alla ricerca di tecniche anche estremamente
complesse, finalizzate alla produzione d’immagini in grado di
vivere di vita propria, completamente slegate dalla tanto prete-
sa obiettività fotografica.
Laslo Moholy-Nagy
Nel 1925 Laslo Moholy-Nagy nel suo “Pittura Fotografia
Film” mette in luce come la fotografia, dai tempi di Daguerre,
venisse considerata un’arte riproduttiva basata su leggi pro-
spettiche, e costantemente al traino di correnti pittoriche.
La constatazione, lucidamente espressa dall’autore, che
“l’antico ha una funzione inibitoria ” risulta molto attuale, spe-
cie in una cultura come quella italiana talmente ricca di storia
da rimanerne talvolta prigioniera.
Uno dei modi suggeriti da Moholy-Nagy per sfuggire a que-
sta trappola è il “fotogramma”, una composizione luminosa
padroneggiata dal fotografo, al pari del colore per il pittore e
delle note per il musicista.
Biografia. Nato a Budapest nel 1895, si dedica inizialmente
alla pittura, interessandosi all’arte astratta. Dal 1923 al 1928,
chiamato da Walter Gropius, insegna al Bauhaus. Con l’avvento
del nazismo si trasferisce a Londra e successivamente a New
York, dove fonda la School of Design. Muore nel 1946.
Per saperne di più
“Il fotogramma non è una vera fotografia ma è
solo la registrazione della forma, delle traspa
renze e delle ombre di un oggetto.” L.Moholy-
Nagy.
18. Man Ray
Già pittore, appartenente alla corrente dadaista, Man Ray
sperimenta in tutti i modi la possibilità di allontanare il mezzo
fotografico dalla resa obiettiva, utilizzando un gran numero di
tecniche con e senza macchina fotografica. In “Autoritratto”
racconta di come si sia avvicinato casualmente alla tecnica foto-
grafia che successivamente prenderà il nome di “rayogramma”.
Nell’attesa vana che un foglio di carta sensibile annerisse nel-
lo sviluppo (era stato sviluppato erroneamente un foglio non
impressionato), vi posò sopra alcuni oggetti semitrasparenti e
accese la luce: “sotto i miei occhi cominciò a formarsi un’imma-
gine: non era una semplice silhouette degli oggetti, ma defor-
mata e rifratta dal vetro, a seconda che fossero più o meno in
contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla
luce spiccava come in rilievo sul fondo nero…”.
I rayogrammi sono immagini complesse, frutto di svariate
tecniche, comprese la solarizzazione ed i raggi x.
Biografia. Man Ray è il nome d’arte di Emanuel Radnitsky,
nato a Philadelphia nel 1890. Trasferitosi a New York, entra in
contatto con gli ambienti artistici ed in particolar modo con
Alfred Steaglitz e frequenta la “Galleria 291”. Nel 1921 si reca
a Parigi dove conosce gli artisti dadaisti. È del 1922 la prima
raccolta di rayogrammi “Le Champ Deliceux”. La fotografia di-
venta un’occupazione costante, con numerose mostre e pubbli-
cazioni. Muore nel 1976.
1 Talbot, 1843
Disegno fotogenico.
2 Moholy-Nagy, 1925
Il movimento a spirale dello spazio.
3 Man Ray
Rayogramma.
4 Moholy-Nagy, 1924
Fotogramma
5 Man Ray, 1927
Rayogramma.
19. 10 1. Primo approccio
Luigi Veronesi
Dal 1930 Luigi Veronesi, pittore, grafico e cineasta, si dedica
alla sperimentazione fotografica sulla scia delle esperienze di
Moholy-Nagy e Man Ray. Ciò che caratterizza questi fotogram-
mi è la progettualità, grazie alla quale Veronesi riesce a tra-
sformare gli oggetti in immagini, secondo un disegno preciso
e premeditato. La fotografia come documento lascia dunque
spazio alla trasfigurazione, nella ricerca di luci ed ombre che
del mezzo fotografico usa la chimica (carte e sviluppi) per otte-
nere un risultato grafico.
Biografia. Nasce a Milano nel 1908 e dal 1925 si interessa di
fotografia, attirato dalle sperimentazioni della camera oscura.
Fondatore del gruppo fotografico “La Bussola” e successiva-
mente dell’”Unione Fotografica”, aderisce nel 1934 al gruppo
parigino “Abstraction-Création, art nonfiguratif”.
Ha inoltre legato il suo nome all’insegnamento, come do-
cente di Graphic design a Venezia e Cromatologia a Milano,
dove muore nel 1998.
Christian Schad
La formazione culturale di Christian Schad avviene all’Acca-
demia di Arti applicate di Monaco, ma molto importanti risul-
teranno i suoi contatti con gli artisti dada. In questo periodo
scopre la fotografia senza macchina fotografica, anticipando i
lavori di Man Ray e di Moholy-Nagy. Alle trenta immagini pro-
dotte nel 1919, alle quali Tristan Tzara darà il nome di “schado-
grafie”, ne seguiranno altre, dopo il 1960.
Biografia. Nasce nel 1894 in Germania dove studia; ben
presto si sposta a Ginevra ottenendo dei contatti con gli artisti
dada di Zurigo. Dopo aver vissuto in Italia ed a Vienna, ritorna
in Germania dove muore nel 1982.
Luigi Veronesi
“Il fotogramma non è una vera fotografia ma è
solo la registrazione della forma, delle traspa
renze e delle ombre di un oggetto”.
1 C. Schad, 1960
Schadografia.
2 L. Veronesi, 1936
Fotogramma.
20. 11
Ripresa
Se si possiede un apparecchio fotografico chiamato “banco
ottico” ci si può divertire nel produrre le prime immagini come
facevano i pionieri della fotografia, dato che si tratta della fo-
tocamera più simile alle antiche “camere obscure” di cui si parla
nel capitolo dedicato alla storia della fotografia.
Un banco ottico (per la precisione, apparecchio a corpi mo-
bili) consente di vedere sul vetro smerigliato il capovolgimento
ottico operato dall’obiettivo o dal foro stenopeico, e si presta
molto bene alle prime riprese in studio. Con esso, tra l’altro,
è utilizzabile la carta fotografica al posto della pellicola, con
l’indubbio vantaggio di poter subito effettuare le operazioni
di sviluppo con la luce di sicurezza, controllando l’evoluzione
dell’immagine durante i passaggi.
Fasi preliminari
In camera oscura, si ritagli una carta fotografica a grandezza
del formato del banco ottico e la s’inserisca nello chassis (porta-
pellicola); il caso più frequente riguarderà sicuramente il 4x5”
(misura in pollici) corrispondente a circa 10x12 centimetri.
Sala pose
Con il banco ottico si effettua l’inquadratura e la messa a
fuoco, al termine s’inserisce lo chassis nell’apparecchio. Dopo
aver chiuso l’otturatore, si toglie la protezione (il volet, che
funge da proteggi-pellicola) e si esegue lo scatto fotografico.
Dato che la carta ha una sensibilità notevolmente inferio-
re alla pellicola (valutabile a circa 10 ISO), è consigliato l’uso
del flash. Al termine, riposta la protezione, si torna in camera
oscura per lo sviluppo. Il risultato è un negativo, ovvero un’im-
magine con i toni chiari al posto di quelli scuri e viceversa. Dato
che un foglio di carta fotografica è ancora sufficientemente
trasparente, una successiva stampa per contatto riporterà i va-
lori normali. Abbiamo in questo modo ripercorso le modalità
operative che Talbot eseguiva nella prima metà dell’800, e che
ancor oggi sono valide. Se il laboratorio dispone di prodotti
“lith” trasparenti, la somiglianza con la pellicola risulta ancora
maggiore, con il vantaggio di poter seguire completamente a
vista l’evoluzione dell’immagine fotografica.
1 Esercitazione: caricamento dello chassis.
2 Esercitazione: inquadratura con banco
ottico.
3 Esercitazione: ne risulta un negativo
da stampare in positivo.
21. 12 1. Primo approccio
Ripresa a mano libera
Se la prima parte deve essere condotta prevalentemente
dall’insegnante, la seconda, una volta apprese semplici regole,
è affidata all’allievo. Si utilizzi una fotocamera reflex completa-
mente manuale, caricata con una pellicola da 400 ISO per limi-
tare le difficoltà di ripresa. Le istruzioni vanno ridotte all’osso:
impugnatura, messa a fuoco, esposizione. Quest’ultima è visua-
lizzata in modi differenti a seconda dei modelli: il più sempli-
ce è il sistema a led luminosi, associabile ad un semaforo, ma
anche il modello a sovrapposizione degli aghi è di immediata
comprensione. Di massima, si proceda come indicato:
• regolare la fotocamera con un tempo di otturazione di
1/125”
• premere leggermente il pulsante di scatto per azionare
l’esposimetro
• girare la ghiera dei diaframmi finché non si accende la luce
verde o si sovrappongono le lancette (a seconda dei modelli)
• controllare la perfetta messa a fuoco e scattare.
Senza ulteriori conoscenze (composizione, esposizione) è
inevitabile che si vada incontro ad errori, che potranno tutta-
via essere sfruttati vantaggiosamente. Saranno questi infatti il
libro migliore su cui studiare per comprendere come migliorare
l’inquadratura, od ottenere un’esposizione più bilanciata. Lo
studio successivo, questa volta più puntuale, fornirà gli elemen-
ti per il controllo dell’immagine e sarà visto, a questo punto,
come il mezzo per raggiungere un preciso fine.
Mettere a fuoco
Dopo aver inquadrato, girare la ghiera per la
messa a fuoco.
Perfezionare l’operazione mediante l’ausilio del
la “linea spezzata”: inquadrando al centro una
parte rettilinea, l’immagine è a fuoco se la linea
è continua (non spezzata).
1 Corretta impugnatura della fotoca-
mera.
2 Esposimetro incorporato a led e, sot-
to, ad aghi.
3 Esercitazione: errata valutazione del
controluce.
22. 13
icaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnic
La luce
e i materiali fotosensibili
14 Le fonti luminose
14 Caratteristiche della luce
14 Le fonti luminose
14 Luce naturale
16 Luce artificiale
16 Pellicole
17 La struttura
17 L’emulsione
17 L’immagine latente
18 Il negativo
19 Pellicole diapositive
19 Sensibilità cromatica
19 Pellicole pancromatiche
19 Pellicole ortocromatiche
20 Pellicole sensibili al blu
21 Pellicole all’infrarosso
21 Pellicole a sviluppo cromogeno
21 Pellicole con estesa sensibilità
al rosso
22 Sensibilità alla luce
22 Caratteristiche principali
23 La grana
24 Il formato
25 Contrasto
25 Potere risolutivo
26 Acutanza
26 Latitudine di posa
2
23. 14 2. La luce e i materiali fotosensibili
Le fonti luminose
Caratteristiche della luce
Fotografia significa disegno per mezzo della luce. Il fenome-
no si basa sulla proprietà di alcuni materiali, detti fotosensibili,
di reagire modificandosi se colpiti da essa.
Ciò che noi chiamiamo luce è un fenomeno elettromagne-
tico, emesso da un corpo radiante che può essere naturale, il
sole, o artificiale, una lampada. L’irradiazione si propaga in tut-
te le direzioni con moto cosiddetto ondulatorio. Immaginate di
gettare un sasso in un acquario: se osservate dall’alto vedrete
che le onde concentriche si propagano a 360°; se poi osservate
lateralmente noterete qualcosa di molto simile al disegno 2.
In natura esistono molti tipi di onde elettromagnetiche, che
si differenziano in base alla loro lunghezza d’onda ed alla fre-
quenza. L’occhio è in grado di vedere solo una piccola porzio-
ne dell’intero spettro elettromagnetico, precisamente quella di
frequenze comprese tra 400 e 700 nanomètri, corrispondenti
ai limiti del blu e del rosso. Un nanomètro (nm) equivale ad un
milionesimo di millimetro. All’interno di questi limiti corrispon-
dono lunghezze d’onda alle quali il nostro occhio attribuisce
colori diversi. Se la retina dell’occhio è colpita da tutte le lun-
ghezze d’onda in egual misura, si ha la percezione del bianco.
Oltre i confini di questi valori troviamo l’ultravioletto e l’infra-
rosso, a noi invisibili.
Le fonti luminose
L’esigenza di fonti luminose alternative o complementari al
sole è molto antica, e trova tra i precursori lo stesso Talbot.
Sappiamo infatti che già dal 1851 egli sperimentava la luce pro-
dotta per mezzo di scintille elettriche, per sopperire alla scarsa
sensibilità dei materiali dell’epoca.
Oggi abbiamo a disposizione più fonti d’illuminazione, ed
è opportuno conoscerle in modo approfondito per saperne co-
gliere vantaggiosamente le caratteristiche e poterle abbinare
in modo corretto alle pellicole.
Luce naturale
La luce naturale principale proviene dal sole (ma non si deve
neppure trascurare il cielo, che rappresenta una fonte di luce
diffusa). Limitarsi a questa classificazione sarebbe però estre-
mamente semplicistico perché al variare delle ore del giorno, le
caratteristiche illuminotecniche cambiano sensibilmente.
La misura di questa variazione è espressa in gradi Kelvin,
e riguarda la temperatura del colore. In pratica, si verifica che
l’emissione di luce da parte del sole a noi perviene in maniera
diversa nell’arco della giornata, a causa delle diverse inclina-
zioni dei raggi in corrispondenza dei diversi orari. Più il sole
è inclinato (primo mattino e tardo pomeriggio) più lungo è il
percorso che i raggi effettuano nell’atmosfera, con un valore
minimo che si verifica invece a mezzogiorno. Ed è proprio que-
sto filtro atmosferico a conferire diverse caratteristiche colori-
metriche al sole.
1 Visualizzazione della propagazione
concentrica delle onde.
2 Schema del movimento ondulatorio
della luce.
3 Lo spetto elettromagnetico visibile ed
invisibile.
24. 15
Un secondo fattore, fondamentale nella determinazione
delle caratteristiche della luce, è rappresentato dai fenomeni
atmosferici: nebbia, nuvolosità più o meno diffusa o cielo limpi-
do caratterizzano sensibilmente il tipo di luce che ci perviene. In
fotografia è importante conoscere i valori di queste differenze
perché le pellicole vengono tarate per un tipo preciso di luce,
precisamente quella di mezzogiorno, di temperatura colore
pari a circa 5500 k. Se ci troviamo a fotografare in situazioni di-
verse, l’emulsione registrerà le differenze in modo più marcato
rispetto alla visione dell’occhio. Il nostro cervello infatti tende a
bilanciare le differenze eccessive, mentre le pellicole si limitano
a registrare. Se da un lato le stesse potrebbero presentarci pia-
cevoli sorprese, è comunque meglio saper controllare i risultati
in anticipo anziché restarne soggiogati.
È chiaro che un discorso del genere è fondamentale nella
fotografia a colori, mentre in bianco e nero le differenze si at-
tenuano, ma si sa, un buon fotografo si distingue anche dai
piccoli particolari. In tabella si riportano le temperature relative
a situazioni tipiche. Notate che a basse temperature di colore
corrisponde una luce calda, tendente al rosso, ad alte tempera-
ture la luce si fa azzurrognola e fredda.
Situazione Gradi Kelvin
alba e tramonto 3.000
un’ora dopo l’alba 3.500
un’ora prima del tramonto 3.500
luce solare a mezzogiorno 5.500
luce diurna media 5.500
misto di cielo e sole 5.500
cielo coperto (blu) 7.000-8.000
cielo velato 9.000
cielo limpido 12.000
Nota: i valori sono indicativi.
1 Corsica, Calanques.
Fotografia eseguita verso sera
2 Rappresentazione del percorso della
luce alle varie ore del giorno: all’alba,
a mezzogiorno, al tramonto e relativo
filtro esercitato dall’atmosfera.
3 Corsica, Calanques. Fotografia esegui-
ta in ore centrali.
Fotografia digitale
Le fotocamere digitali offrono un sostanziale
aiuto riguardo al controllo della temperatura di
colore. Accedendo all’apposito menu (White ba
lance), è possibile tarare il sensore alle differenti
fonti luminose, oppure affidare alla fotocamera
stessa l’individuazione del valore ottimale, per
mezzo dell’apposito automatismo. Un ulteriore
aspetto positivo, non avendo più a che fare con
l’intero rullino, riguarda il fatto che le regolazio
ni possono essere effettuate in modo differen
ziato, anche su ogni singolo fotogramma.
25. 16 2. La luce e i materiali fotosensibili
Luce artificiale
Il fotografo di oggi ha a disposizioni un parco luci talmente
vasto da porre, a volte, l’imbarazzo della scelta. Ai sistemi a
luce continua si è affiancato il flash, che nella versione elettro-
nica è diventato uno strumento di grande versatilità e potenza.
Pregi e difetti dei singoli sistemi potrebbero tenere occupati
per ore gli appassionati, ma sarà sempre la pratica ed il proprio
metro di giudizio a indurre verso la preferenza per un certo
tipo di illuminazione. Appare invece interessante classificare le
fonti luminose in base alle caratteristiche della luce emessa, in
particolare riguardo alla temperatura di colore.
Tipo di luce Gradi Kelvin
candela 1500-1800
lampada tungsteno 40 W 2650
lampada tungsteno 75 W 2800
lampada tungsteno 100 W 2900
lampada photoflood 3200-3400
lampada al quarzo 3200
lampada ad arco 5200
flash elettronico 5500
Dalla tabella appare evidente che, a parte il flash elettroni-
co, le temperature di colore differiscono anche notevolmente
da quelle medie, su cui sono tarate le pellicole per luce diurna
(5500 K).
Nella fotografia a colori, una giusta corrispondenza tra pelli-
cola e fonte luminosa è indispensabile per evitare di avere forti
dominanti di colore. La conoscenza delle temperature di colore
delle lampade utilizzate, ci garantisce di riuscire a scegliere il
giusto abbinamento luce - pellicola.
In alternativa, volendo utilizzare l’emulsione per luce diur-
na, si possono adoperare i filtri di conversione che, applicati
frontalmente all’obiettivo, sono in grado di rendere compati-
bili le pellicole alle varie fonti luminose. Lo stesso flash, pur
avendo la giusta temperatura di colore, può produrre immagini
troppo fredde. Appositi filtri, denominati “worm”, forniscono
un’immagine più calda e naturale.
Pellicole
Tra i personaggi che hanno dato il loro contributo alla nasci-
ta della fotografia, un ruolo particolare spetta all’inglese Henry
Fox Talbot, che possiamo definire l’inventore della fotografia
intesa in senso moderno. Già dal 1839, infatti, mentre Daguerre
produceva immagini su lastra in unico esemplare, Talbot otte-
neva le sue fotografie da negativi di carta, stampabili in un nu-
mero a piacere di copie. Da allora, il supporto ha subito nume-
rose migliorie, passando dalla carta trasparente al vetro, dalla
pellicola in celluloide a quella attuale in acetato di cellulosa.
1 Dominante gialla prodotta da illumi-
nazione artificiale su pellicola per luce
solare (il fondale è di colore grigio).
Percezione del colore
Ad alcuni, sarà capitato di comprare un capo
d’abbigliamento colorato, e di rimanere sor
presi dal colore una volta osservato alla luce
solare. È successo che il colore che noi abbiamo
apprezzato nel negozio, era illuminato da una
luce artificiale, e perciò da essa influenzato, col
risultato di un’alterazione nella percezione visi
va. Per evitare sorprese sarebbe opportuno, se
possibile, controllare preventivamente il colore
alla luce solare.
Fotografia in bianco e nero
Con il bianco e nero il problema relativo alla
temperatura del colore sussiste in misura logica
mente inferiore. Bisogna però tenere presente
che la resa in termini di grigio di alcuni colori
potrebbe scostarsi dal normale. A seconda dei
casi, si potrebbe avere un aumento o una di
minuzione del contrasto nella registrazione dei
colori.
26. 17
La struttura
La moderna pellicola è costituita da un consistente supporto
plastico, al quale sono fatti aderire altri strati dalle funzioni
differenti. Con l’aiuto del disegno, vediamo di analizzarli uno
ad uno.
1. Strato antigraffio: è uno strato sottilissimo con funzione
protettiva contro graffi ed abrasioni.
2. Emulsione: è lo strato che contiene la sostanza fotosensibile,
ossia l’alogenuro d’argento.
3. Strato adesivo: composto da una gelatina collosa stesa in
uno strato sottilissimo, ha la funzione di far aderire l’emul-
sione.
4. Base della pellicola: supporto in acetato di cellulosa o polie-
stere, offre ottime doti di trasparenza e stabilità.
5. Secondo strato adesivo: ha la funzione di far aderire lo stra-
to sottostante.
6. Strato antialone: ha la funzione di impedire che i raggi lu-
minosi si riflettano sul fondo della pellicola o del dorso della
fotocamera, tornando all’emulsione; se questo avvenisse, si
formerebbero degli aloni nelle zone più chiare. Lo strato ha
anche funzione anti-accartocciamento.
L’emulsione
Lo strato che desta maggiore interesse è sicuramente l’emul-
sione. In tanti anni di storia, la fotografia deve in buona parte i
suoi progressi alle caratteristiche costantemente migliorate sia
in fatto di qualità che di sensibilità. Non dimentichiamoci che a
Niépce furono necessarie ben otto ore di esposizione alla luce,
ed anche i dagherrotipi necessitavano di diversi minuti, tanto
da non consentire inizialmente la ripresa di persone.
L’emulsione è costituita da gelatina purissima nella quale
sono stati sciolti bromuro e ioduro di potassio, e successivamen-
te nitrato d’argento. Il composto definitivo, nelle varie formu-
lazioni, prende il nome di alogenuro d’argento. Le moderne
pellicole possono avere uno o più strati di emulsione.
L’immagine latente
Le trasformazioni che avvengono all’interno di una pellico-
la durante l’esposizione ed il successivo trattamento chimico,
non le possiamo controllare a vista perché il film deve rimanere
costantemente al buio. Può tuttavia aiutarci l’esperienza in ca-
mera oscura relativa alla stampa, perché pellicola e carta rea-
giscono nello stesso modo, con la differenza che quest’ultima
può essere costantemente visionata grazie all’ausilio della luce
di sicurezza.
Mediante l’esposizione, si verifica un fatto fondamentale:
la luce provoca un’alterazione delle particelle fotosensibili di
alogenuro d’argento, generando un’immagine che noi definia-
mo latente. A questo livello, se la pellicola fosse visionabile,
l’occhio non sarebbe in grado di percepire nulla, come avviene
del resto per la carta. L’immagine latente è quindi un’immagine
invisibile, che diviene evidente solo in seguito al trattamento
chimico operato dal rivelatore. Sviluppando una carta possiamo
osservare il “miracolo” avverarsi sotto i nostri occhi. In pratica
1 Sezione di una pellicola in bianco/nero.
2 Dicitura “Safety” sulle pellicole attuali.
Safety film
Le attuali pellicole in acetato sono ininfiamma
bili ed hanno la denominazione “safety film”
che ne indica la sicurezza d’uso. Sebbene meno
sentito dal fotografo, il problema dell’infiam
mabilità era particolarmente considerato nel
mondo del cinematografo. Le vecchie pellicole
in cellulosa, utilizzate in macchinari per la proie
zione, potevano infatti innescare veri e propri
incendi. Se volete saperne di più, questo è un
ottimo pretesto per vedere il film “Nuovo Ci
nema Paradiso”, che valse al regista Giuseppe
Tornatore il Premio Oscar.
27. 18 2. La luce e i materiali fotosensibili
è bastata la formazione di pochi atomi di argento metallico al-
l’interno di ogni cristallo di alogenuro d’argento per innescare
quel processo, che grazie al rivelatore subisce una forte accele-
razione, e porta all’immagine fotografica.
Si può paragonare l’immagine latente ad un suono, talmen-
te debole da non essere percepito dall’orecchio, che può però
essere amplificato, diventando perfettamente udibile.
Il rivelatore svolge quindi un’azione amplificatrice nella tra-
sformazione degli alogenuri d’argento in argento metallico.
Il negativo
Le pellicole si possono dividere in due categorie: negative
ed invertibili (diapositive). Le prime sono le più diffuse in asso-
luto e sono caratterizzate dal fatto che forniscono un’immagi-
ne negativa. Vediamone il significato.
Negativo significa che un tono viene registrato con il suo
opposto: il colore bianco diventa nero, mentre il nero è regi-
strato come bianco. In generale, i colori chiari sono trasformati
in grigi scuri e viceversa.
Il motivo di questa inversione rispetto alla realtà, è dato dal
tipo di sostanza fotosensibile utilizzata, l’argento, e dalla sua
reazione nei confronti della luce: l’annerimento. L’emulsione
colpita dalla luce diventa nera perché l’alogenuro d’argento si
trasforma in argento metallico, mentre le zone non illuminate
non reagiscono, risultando successivamente trasparenti.
L’esperienza in camera oscura è la via più semplice per capi-
re questi concetti. Poiché anche la carta è un negativo, si può
utilizzarla come paragone. Riprendendo l’esperienza trattata
in “Primo approccio”, su un foglio di carta fotosensibile appog-
giamo la nostra mano ed accendiamo la luce, la parte di carta
che viene impressionata è solo quella lasciata scoperta. Lo svi-
luppo in bacinella produrrà una mano bianca su sfondo nero.
Nella realtà, la mano era più scura del fondo bianco, mentre
l’esperimento ci evidenzia che diventa più scuro ciò che riceve
più luce.
In fotografia, il negativo rappresenta solo il primo passag-
gio, cui deve seguire la stampa. In questa fase i colori si inverto-
no nuovamente, col risultato che a quelli chiari corrispondono
grigi scuri, a quelli più scuri, tonalità di grigio chiaro.
Carte e pellicole reagiscono allo stesso modo. Pertanto,
avvalendovi della camera oscura, sperimentate quanto detto:
sono sufficienti un foglio di carta sensibile, una lampada ed
una mano.
1 Esercitazione: esposizione.
2 Esercitazione: l’immagine latente invi-
sibile.
3 Esercitazione: sviluppo dell’immagine
latente.
28. 19
Pellicole diapositive
Le pellicole diapositive a colori sono molto diffuse ed uti-
lizzate sia a livello professionale che amatoriale. L’equivalente
prodotto in bianco e nero invece, trova una diffusione piutto-
sto limitata, e la stessa offerta da parte dei produttori è ristret-
ta a pochissimi prodotti.
Si tratta di pellicole invertibili, nelle quali ad un certo punto
del trattamento avviene l’inversione dei toni: quelli scuri diven-
tano chiari e viceversa, ottenendo un’immagine direttamente
positiva su pellicola. L’immagine, successivamente intelaiata,
viene vista tramite proiezione.
Le pellicole invertibili possono anche essere trattate come
negative, saltando il processo di inversione. In questo modo si
possono produrre negativi eccellenti, ma dal costo piuttosto
elevato.
Sensibilità cromatica
Una pellicola in bianco e nero trasforma i colori in varie to-
nalità di grigio, in base al loro livello d’illuminazione ed alla
capacità di captare detti colori.
Sappiamo che l’occhio percepisce solo una parte delle onde
elettromagnetiche esistenti in natura. In effetti noi possiamo
vedere lo spettro che va da 400 nm a 700 nm (nanomètri), ovve-
ro dal blu-viola al rosso.
Quando è stata inventata la fotografia, le emulsioni foto-
sensibili non erano in grado di registrare i colori così come li
coglie l’occhio e, a ben vedere, sarebbe stato un puro caso!
Oggi, possiamo disporre di emulsioni dalle diverse risposte
alla luce: dalle pellicole pancromatiche sensibili a tutti i colori,
alle pellicole con una limitata sensibilità spettrale, come le “blu
sensibili”.
Pellicole pancromatiche
Le pellicole oggi più comunemente usate, le pancromati-
che, sono tarate per percepire gli stessi colori visibili dall’occhio
anche se, in realtà, evidenziano una differenza nell’intensità
percettiva.
L’occhio, infatti, manifesta una sensibilità maggiore per il
verde che diviene così più luminoso, minore per il rosso ed il
blu. Le emulsioni pancromatiche, al contrario, registrano il blu-
violetto ed il rosso più chiari, il verde più scuro.
Nel caso fosse necessaria una corrispondenza particolarmen-
te accurata tra la visione dell’occhio e quella della pellicola, è
consigliato l’uso di un filtro giallo chiaro. Le pellicole pancro-
matiche, essendo sensibili a tutti i colori, vanno trattate al buio
totale.
Pellicole ortocromatiche
Sebbene poco utilizzate, queste pellicole trovano ancora
estimatori nel campo della ritrattistica. Le loro caratteristiche
possono adattarsi bene a chi vuole mettere in evidenza parti-
colari del volto, quali le labbra, le lentiggini o un viso partico-
larmente roseo. In questi casi, l’effetto ottenuto è una minore
densità nel negativo, in corrispondenza di questi particolari, e
1 Esercitazione: esposizione.
2 Esercitazione: negativo.
3 Esercitazione: controtipo, positivo ot-
tenuto per contatto.
4 Spettro visibile da 400 a 700 nm.
29. 20 2. La luce e i materiali fotosensibili
quindi un maggior annerimento nella stampa.
Questo si spiega per il fatto che le pellicole ortocromatiche
non sono sensibili al rosso e all’arancione scuro. I colori non
percepiti dall’emulsione, nel negativo risultano trasparenti, e
nella successiva stampa neri.
Al pari delle pellicole blu sensibili, queste trovano utilizzo
anche nelle riproduzioni di originali unicamente in bianco e
nero, privi cioè di grigi intermedi.
Pellicole sensibili al blu
Le prime emulsioni erano sensibili solamente alle lunghezze
d’onda del violetto e del blu. Osservando le vecchie stampe si
notano infatti i cieli bianchi e privi di particolari, mentre ciò
che era verde come l’erba, o rosso come i tetti, appariva molto
scuro.
Queste pellicole, tuttora prodotte ma destinate ad usi parti-
colari, sono dette blu sensibili, e sono del tutto simili alla carta
fotografica.
Il loro utilizzo è prevalentemente rivolto alla riproduzione
“al tratto” di originali bianco-neri privi di grigi intermedi. Il
trattamento si può effettuare con luce di sicurezza gialla.
Accorgimenti
Senza ricorrere all’acquisto di pellicole ortocro
matiche, è possibile ottenerne in gran parte gli
effetti con una normale pellicola pancromatica.
Basta anteporre all’obiettivo un filtro rosso
negativo 44A che, di fatto, rende la pellicola
insensibile al colore rosso, trasmettendo solo
blu e verde.
Per ottenere gli stessi effetti di una pellicola blu
sensibile con una normale pellicola pancromati
ca, si deve utilizzare un filtro blu scuro (n 47 B)
che rende l’emulsione insensibile al giallo.
“Al tratto”
Sono così definiti i disegni in bianco e nero con
i soli tratti del contorno, senza grigi ed anche i
testi di un libro.
1 Corsica. Pellicola a sviluppo cromoge-
no stampata su carta a colori.
30. 21
Pellicole all’infrarosso
Sono pellicole sensibili parzialmente al rosso, ma soprattut-
to all’infrarosso, che come sappiamo non é percepibile dall’oc-
chio. Sono anche in grado di vedere luce blu, tuttavia questa
lunghezza d’onda può essere eliminata anteponendo un filtro
rosso o giallo scuro (blu negativo) all’obiettivo. Il risultato è
una pellicola che vede principalmente ciò che l’occhio non vede
(fino a 900 nm), con risultati spesso affascinanti sebbene con-
trollabili solo dopo aver maturato molta esperienza.
Pellicole a sviluppo cromogeno
In questi ultimi anni sono state immesse sul mercato delle
pellicole dalle caratteristiche molto particolari, a sviluppo cro-
mogeno.
Nonostante si tratti di emulsioni in bianco e nero, la loro
struttura è tale da necessitare dello stesso sviluppo che si uti-
lizza con le pellicole a colori, il comune C41. Questo è il del
trattamento più consueto, utilizzato per la quasi totalità delle
pellicole negative a colori. La stampa del negativo può essere
eseguita con la tradizionale carta in bianco e nero, ma anche
con quella a colori.
I vantaggi, per chi usa da tempo il bianco e nero, sono evi-
denti: oggi, servendosi dei minilabs, i piccoli laboratori di svi-
luppo rapido diffusi ovunque, si può avere il rullino sviluppato
e stampato nel giro di un’ora, a prezzi ormai molto favorevoli.
Le foto che si ritengono più meritevoli possono essere successi-
vamente stampate per ingrandimento nel proprio laboratorio,
o affidandosi a quello di fiducia.
Dal punto di vista delle prestazioni, sono pellicole dall’eccel-
lente resa dell’immagine e dall’elevata latitudine di posa, che
arriva a ben dodici stop, contro gli otto delle normali negati-
ve.
Un limite, ancor oggi parzialmente irrisolto, riguarda la dif-
ficoltà di taratura delle macchine per la stampa su carta a colori.
In molti casi infatti, le immagini anziché bianco-nere tendono
ad un colore, nel migliore dei casi seppia, come le vecchie foto
virate, oppure con dominanti diverse. Stampando su carta per il
bianco e nero, il problema non sussiste.
Pellicole con estesa sensibilità al rosso
Sono pellicole pancromatiche particolarmente sensibili al
colore rosso. Usate senza filtri producono risultati simili alle
normali pellicole pancromatiche, mentre utilizzando filtri dal
giallo al rosso scuro, offrono riproduzioni tonali inconsuete. In
particolare, con un filtro rosso il cielo appare molto scuro men-
tre i colori rossi, o contenenti il rosso, sono resi particolarmente
chiari, portando all’estremo i risultati ottenibili analogamente
con le pellicole pancromatiche standard. Si vedano a proposito
i “filtri contrasto”.
Pur essendo pellicole molto simili a quelle all’infrarosso, si
possono caricare in macchina anche alla luce, purché sia atte-
nuata, e vengono sviluppate con i normali prodotti.
Per saperne di più
Uso del filtro specifico: il Kodak Wratten n 89B,
specifico per pellicole all’infrarosso, assorbe tut
te le lunghezze d’onda percepibili dall’occhio,
pertanto la pellicola vede unicamente l’infra
rosso. Considerato il totale assorbimento della
luce, la messa a fuoco va eseguita senza filtro.
Pellicole a sviluppo cromogeno
Come nelle pellicole negative a colori, l’imma
gine è composta dai coloranti giallo, magenta
e cyan, ma emulsionati in modo da ottenere un
negativo b/n.
Si veda il capitolo dedicato al trattamento delle
pellicole negative a colori.
Nonostante siano pellicole della sensibilità no
minale di 400 ISO, la grana ha una estrema fi
nezza, paragonabile a quella di emulsioni meno
sensibili. Inoltre, a seconda delle necessità, la
pellicola può essere esposta da 50 a 800 Iso:
durante lo sviluppo, sarà sufficiente variarne il
tempo, senza ricorrere a prodotti per procedi
menti “spinti”.
Il trattamento della pellicola può essere ese
guito dallo stesso fotografo grazie ad un kit di
sviluppo. Questo particolare può essere molto
apprezzato da chi non vuole rinunciare al to
tale controllo delle operazioni, ma necessita di
un’attrezzatura più sofisticata di quella abituale,
dato che la temperatura di sviluppo di 38° ha
un margine di tolleranza di soli 0,2°.
Latitudine di posa
È la capacità da parte della pellicola di registrare
con sufficiente dettaglio zone caratterizzate
da una diversa illuminazione, che rispetto al
l’esposizione generale portano a sovra o sotto-
esposizione. In pratica, un’elevata latitudine di
posa comporta un soddisfacente dettaglio sia
nelle zone fortemente illuminate che in quelle
in ombra.
31. 22 2. La luce e i materiali fotosensibili
Sensibilità alla luce
La sensibilità alla luce è un elemento fondamentale delle
pellicole. La storia della fotografia registra un costante inte-
resse ed impegno da parte dei produttori nel cercare emulsioni
sempre più rapide. La maggiore sensibilità deve infatti fare i
conti con la qualità fotografica, che spesso ne risente. Tra i si-
stemi di misurazione della sensibilità, negli anni sono andati
affermandosi quelli americano (ASA) e tedesco (DIN).
Oggi si è adottata a livello internazionale la misurazione ISO
(International Standards Organisation) che, di fatto, ha sola-
mente riunito i due sistemi già in uso. Una pellicola di 100 ASA,
equivalente a 21 DIN, viene ora indicata 100/21° ISO. A livello
pratico però, si è soliti dire solamente 100 ISO, trascurando il
valore DIN. Questo è dovuto anche al fatto che sia le fotocame-
re che gli esposimetri recenti riportano solo il primo valore. In
concreto, quindi, ISO e ASA coincidono. La sensibilità espressa
in ISO adotta dunque la vecchia scala ASA, di tipo aritmetico.
Nella scala, al raddoppiare del valore, corrisponde il rad-
doppio della sensibilità. Questo significa che ad esempio una
pellicola da 200 ISO ha bisogno di metà luce rispetto ad una di
sensibilità 100. In termini operativi, la differenza è di uno stop
(tempo o diaframma).
Vediamo un esempio pratico: la corretta esposizione con
una pellicola da 100 ISO può essere, ad esempio, 1/30” con f/8.
Con una pellicola da 200 ISO, si guadagna uno stop, pertanto
si può usare un tempo più breve (1/60”) o un diaframma più
chiuso (f/11).
Le due coppie equivalenti sono quindi, 1/60” con f/8, e 1/30”
con f/11.
Caratteristiche principali
I numerosi prodotti presenti sul mercato offrono ampie ga-
ranzie di riuscita del lavoro da eseguire. A seconda dei generi
fotografici, le caratteristiche da ritenere prioritarie cambiano:
per una pagina pubblicitaria si deve ricercare la massima quali-
tà possibile, mentre per il reportage assume primaria importan-
za la fattibilità, anche a costo di una definizione inferiore.
Le pellicole, comunque, sono tra di loro confrontabili, e al-
l’interno di una stessa categoria di appartenenza (ad esempio
la sensibilità) vi sono parametri da prendere in considerazione
per individuare quella più adatta alle esigenze del momento.
Fotografia digitale.
Le fotocamere digitali offrono l’opportunità di
impostare la sensibilità del sensore a differenti
valori. La scala adottata, rimane quella ISO, tipi
ca delle pellicole.
Particolarmente apprezzata, è la possibilità di
variare la sensibilità da uno scatto all’altro, a se
conda delle condizioni di luce. Per contro, solo
i modelli professionali possiedono una scelta
paragonabile alle pellicole, mentre i modelli più
comuni sono spesso limitati alla sensibilità di
400 ISO.
Scala DIN
La scala DIN è di tipo logaritmico. In essa quan
do si raddoppia la sensibilità, il numero aumen
ta di tre unità.
Tabella corrispondenze
ASA DIN
25 15
50 18
100 21
200 24
400 27
800 30
1600 33
3200 36
Scala dei valori base
6 12 25 50 100 200 400 800 1600 3200 6400
Scala che tiene conto dei valori corrispondenti ad 1/3 e 2/3 di diaframma
2 16 20 25 32 40 50 64 80 100 125 160 200 250 320 400
1 Confezione di pellicola a colori: in
evidenza le caratteristiche e i dati sulla
conservazione.
32. 23
La grana
Un’emulsione di elevata sensibilità è ottenuta mediante la
formazione di cristalli di alogenuro d’argento più grandi. Tra-
sformandosi in argento metallico, questi pezzi andranno a com-
porre il mosaico che formerà l’immagine. Tanto maggiore è la
loro dimensione, tanto più evidente sarà l’effetto sgranato ot-
tenuto. Si riscontra perciò che tra un pezzo e l’altro di’argento,
c’è un piccolo spazio vuoto, e questo sarà tanto più grande col
crescere della sensibilità. Una volta stampata per ingrandimen-
to, l’immagine apparirà sgranata, con una generale perdita del
dettaglio. In una pellicola di minore sensibilità invece, è come
se disponessimo di tessere di mosaico molto più minute. Ap-
pare evidente che l’immagine ottenibile, grazie ad una grana
ben più contenuta, si evidenzia per una maggiore continuità
di tratto.
In un negativo sviluppato, la grana è dunque costituita dalle
macchioline di argento metallico derivato dallo sviluppo del-
l’alogenuro d’argento esposto alla luce, ed è visibile solo me-
diante l’uso di microscopi o forti lenti d’ingrandimento.
Il destino del negativo però, è di essere stampato, ed il più
delle volte ciò avviene per ingrandimento. Questo comporta
una maggiore dimensione dell’immagine ed anche della gra-
na.
La grana, come si è visto, dipende direttamente dalla sensi-
bilità della pellicola, ma non solo. Il suo controllo dimensionale
può avvenire anche in fase di sviluppo mediante rivelatori “fine
granulanti”, temperature di sviluppo non superiori ai 20°, ri-
velatori diluiti. In fase di ripresa, invece, si deve stare attenti a
non sovraesporre, mentre in stampa, una carta più contrastata
ne riduce l’evidenza. È logico infine che maggiore è l’ingrandi-
mento, maggiore risulta l’effetto sgranato; si deve anche tenere
presente che tali foto vanno visionate ad una distanza maggio-
re, per cui la grana diviene meno evidente. Il formato, infine, è
fondamentale dato che a parità di stampa finale, le dimensioni
del negativo comportano differenti livelli di ingrandimento.
Una stampa 18x24 ottenuta da una pellicola 35 mm richiede un
ingrandimento di otto volte, mentre sono sufficienti due soli
ingrandimenti se si usa un formato 10 x 12 centimetri.
Per saperne di più
È da notare che, con riferimento alla stampa,
ciò che i fotografi chiamano grana sono le mac
chie nere derivate dagli spazi vuoti della pellico
la. Le zone del negativo ricoperte d’argento for
mano infatti una barriera al passaggio della luce
e vengono riprodotte come bianco sulla stampa.
Al contrario, gli spazi trasparenti lasciano passa
re la luce che, impressionando la carta, formerà
il nero. Anche se impropriamente, questa è la
grana cui si fa riferimento nella valutazione fi
nale delle stampe.
1 Esercitazione: fotografia ottenuta con
una pellicola da 400 ISO.
2 Esercitazione: fotografia ottenuta con
una pellicola da 50 ISO.
3 Fotografia pubblicitaria a dimensione di
stampa.
4 Fotografia di reportage a dimensione di
stampa.
33. 24 2. La luce e i materiali fotosensibili
Il formato
La scelta del formato può sembrare un aspetto banale, per-
chè non implica formulazioni chimiche od altre questioni tecni-
che. In realtà l’adozione di un formato sottintende una scelta
fondamentale: la qualità o la maneggevolezza. Chiaramente, i
piccoli formati come il 35 mm che si abbinano a macchine picco-
le e leggere sono scelti da chi esegue foto d’azione, nelle quali
conta più la possibilità di riprendere le immagini, che la quali-
tà. Al contrario, chi può fotografare senza fretta, con l’ausilio
del treppiede, troverà indubbio vantaggio nelle prestazioni dei
formati maggiori.
In tabella sono riportati alcuni formati in commercio e la re-
lativa grandezza d’immagine nel negativo. Altri tipi di formato
sono piuttosto inusuali. Vi sono inoltre pellicole che vengono
vendute in bobine, sia per il 35 mm che per il medio formato.
Dal punto di vista delle prestazioni, premesso che la struttu-
ra della pellicola è pressoché uguale nei vari formati (con uno
spessore maggiore nelle pellicole piane), la qualità è sicuramen-
te a favore dei formati maggiori per due fondamentali motivi:
1 Un minor ingrandimento necessario, con conseguente ridot-
ta evidenziazione della grana; in alcuni casi si può addirittu-
ra stampare per contatto.
2 La minore compressione dei dati: la stessa inquadratura vie-
ne registrata su una superficie più ampia, con un aumento
del potere risolutivo.
denominazione formato dim. effettive n. fotogrammi
110 13 x 17 mm 13 x 17 12 – 20
APS 17 x 30 mm 17 x 30 25
135 24 x 36 mm 24 x 36 12 – 24 – 36
120 4,5 x 6 cm 45 x 57 15
120 6 x 6 cm 57 x 57 12
120 6 x 7 cm 57 x 70 10
120 6 x 9 cm 57 x 90 8
220 4,5 x 6 cm 45 x 57 30
220 6 x 6 cm 57 x 57 24
Pellicola piana* 4 x 5” 10,2 x 12,7 1
Pellicola piana* 5 x 7” 12,7 x 17,8 1
Pellicola piana* 8 x 10” 20,3 x 25,4 1
*misure in pollici: 1”= cm 2,54
Le pellicole piane
Sono impiegate in apparecchi fotografici di
grande formato, tipo il banco ottico.
Inserite al buio in appositi telai chiamati chassis,
vengono alloggiate nelle fotocamere consenten
do singoli scatti di grandi dimensioni. Possono
essere sviluppate in bacinella o in tank, singolar
mente o in piccolo numero.
34. 25
Contrasto
Una semplice definizione di contrasto, riguardante un’im-
magine fotografica, può essere sintetizzata nel grado di diffe-
renza tra le zone chiare e quelle scure. Quando il salto percet-
tivo è elevato, passando direttamente da zone molto luminose
ad ombre marcate, si dice che il contrasto è alto. Se invece in
un’immagine si leggono molti dettagli sia in zone chiare che in
zone più scure, e la differenza di luminosità è contenuta, dicia-
mo che si ha un contrasto medio. Il contrasto, infine, è basso se
l’immagine appare piatta, poco tridimensionale, con le lumino-
sità compresse.
Tra i fattori che influenzano il contrasto finale di una fo-
tografia c’è il contrasto intrinseco della pellicola, ed il fattore
principale da cui esso dipende è lo spessore dell’emulsione e, di
conseguenza, la sensibilità. Le pellicole poco sensibili hanno in-
fatti un’emulsione più sottile di quelle più rapide. Col crescere
dello spessore, e quindi della sensibilità, il contrasto diminui-
sce.
Le emulsioni poco sensibili, caratterizzate da un elevato
contrasto, non sono in grado di registrare una vasta gamma
di luminanze, per cui il controllo dell’illuminazione, quando
possibile, deve tendere ad un contenimento dei diversi livelli
luminosi sul soggetto.
Al contrario, le pellicole ad elevate sensibilità hanno una
maggiore capacità di riprendere una gamma di luminosità più
estesa. Questo può portare, quasi paradossalmente, alla loro
scelta in situazioni di notevole illuminazione, quando questa
sia accompagnata da forti chiaroscuri sul soggetto.
Il contrasto finale di un’immagine fotografica dipende dun-
que:
• dall’illuminazione del soggetto,
• dalla pellicola,
ma anche:
• dal trattamento del negativo
• dalla carta usata in stampa, come evidenzieremo in seguito.
Potere risolutivo
A livello di test di laboratorio, il potere risolutivo di una
pellicola indica la sua capacità di registrare una serie di linee tra
loro molto ravvicinate come entità distinte l’una dall’altra.
A livello pratico, è la capacità di registrare i dettagli più mi-
nuti presenti nella scena.
Come è logico aspettarsi, il potere risolutivo si abbina male
ad una pellicola con grana grossa, per cui sarà maggiore nelle
emulsioni lente (poco sensibili).
Un secondo elemento importante è il formato. La possibilità
di registrare l’immagine su una superficie maggiore garantisce
risultati migliori.
La scelta di determinati rivelatori, in fase di sviluppo del ne-
gativo, porta ad un ulteriore controllo di questa caratteristica.
1 Immagine negativa a basso contrasto.
2 Immagine negativa ad alto contrasto.
35. 26 2. La luce e i materiali fotosensibili
Acutanza
L’acutanza è la misura del contrasto in prossimità dei limiti
tra zone chiare e scure. Se riprendiamo in considerazione le li-
nee nere su fondo bianco utilizzate nella prova di laboratorio
per misurare il potere risolutivo, l’acutanza (detta anche micro-
contrasto) riguarda il modo con cui si passa dal nero al bianco.
Con acutanza elevata, il passaggio è netto, altrimenti ci appare
sfumato, e può essere confuso con la sfocatura.
L’acutanza, come il potere risolutivo, è maggiore nelle pel-
licole poco sensibili, ma è molto influenzata anche dal tipo di
rivelatore utilizzato nello sviluppo del negativo. Poiché i rivela-
tori ad alta acutanza comportano un accrescimento della gra-
na, il loro utilizzo è consigliabile solo con pellicole lente.
Latitudine di posa
L’occhio è un organo dalle capacità straordinarie, in grado
tra l’altro di distinguere e leggere, in una scena, sia zone forte-
mente illuminate, sia parti in ombra.
Se si fotografa la stessa scena pensando di poterla rivedere
altrettanto distintamente nelle singole parti, si può andare in-
contro a cocenti delusioni. La pellicola, infatti, non ha una pari
capacità di estendere contemporaneamente la registrazione
alle zone così diversamente illuminate, col risultato di rendere
indistinguibili i particolari troppo in ombra rispetto a quelli più
illuminati o viceversa.
La latitudine di posa di una pellicola è la capacità di regi-
strare a livelli più o meno estesi le zone con differenti illumi-
nazioni.
Conoscerla significa sapere quanto la pellicola è in grado di
registrare le zone illuminate in maniera diversa rispetto a quel-
la dove è stata fatta la lettura con l’esposimetro. In altre parole,
la latitudine di posa è l’errore tollerato rispetto all’esposizione
fatta.
Poiché capita spessissimo di dover fotografare soggetti con
illuminazioni molto diversificate, la scelta della pellicola può
esser fatta anche in base a questo parametro. Più in generale,
se si conoscono il comportamento ed i limiti della pellicola da
utilizzare è possibile condizionarne l’esposizione privilegiando
le basse o le alte luminosità.
Le pellicole con maggiore latitudine di posa sono quelle
negative. Le diapositive invece hanno una tolleranza molto ri-
dotta e sono più difficili da usare. Infine, la latitudine di posa
cresce con l’aumentare della sensibilità della pellicola.
Nitidezza
Potere risolutivo ed acutanza, vengono spesso
riassunti con il termine nitidezza.
Fotografia digitale.
Nella fotografia digitale, i termini di valutazione
della qualità fotografica, hanno sostanziali ana
logie con la fotografia tradizionale. È evidente,
che a sensori di piccole dimensioni corrispon
dano prestazioni inferiori, così come ad elevate
sensibilità corrispondano immagini meno det
tagliate, in questo caso per l’insorgenza di un
“rumore” elettronico prodotto dal sensore. Ri
guardo la nitidezza, si effettuano le stesse prove
di valutazione della resa fotografica su mire.
1 Mira utilizzata nelle prove di laborato
rio per testare la nitidezza dell’imma
gine.
2 Cristalli di alogenuro d’argento ingran
diti con il microscopio elettronico.
36. 27
icaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecTecnicani
Gli apparecchi
fotografici
28 Componenti
principali
28 Il formato
28 Il corpo macchina
28 Il porta-pellicola e il sistema
di trascinamento
30 Il dorso
30 L’otturatore
30 Otturatore sul piano focale,
detto a tendina
32 Il tempo di sincronizzazione
32 I tempi di esposizione
32 L’otturatore centrale
33 Tipi di otturatore a
confronto
33 L’obiettivo
34 Il diaframma
34 Il mirino
35 Macchine a telemetro
35 Il telemetro
36 Pro e contro
37 La reflex monoculare
35 mm
37 La visione reflex
39 La messa a fuoco
40 Potenzialità
40 Accessori
41 La reflex digitale
41 Pro e contro
41 I punti a favore
41 I punti a sfavore
42 Conclusioni
42 La reflex biottica
42 L’inquadratura
43 La messa a fuoco
43 Pro e contro
44 La reflex di medio
formato
45 L’otturatore
45 L’inquadratura
45 Messa a fuoco
46 Pro e contro
47 Sistemi a corpi mobili
47 Parti dell’apparecchio
48 L’inquadratura
49 L’esposizione
50 I movimenti
50 Conseguenze del
decentramento
52 Conseguenze del
basculaggio
3
37. 28 3. Gli apparecchi fotografici
Componenti principali
Il formato
Una prima distinzione importante per gli apparecchi foto-
grafici riguarda il formato della pellicola che sono in grado di
alloggiare. Dagli apparecchi miniaturizzati di tipo spionistico, a
quelli di grande formato per pellicole piane, la scelta è piutto-
sto ampia ma, nella pratica, si distinguono tre categorie: picco-
lo, medio e grande formato.
Alla prima categoria appartengono gli apparecchi fino al 35
mm, alla seconda quelli che utilizzano pellicole 120 (dal 4,5x6 al
6x9 cm), alla terza quelli che impiegano formati superiori.
Se alla prima categoria spetta il primato della praticità e
facilità di utilizzo, le macchine di formato maggiore, grazie al-
l’impiego di pellicole di grandi dimensioni, sono in grado di
fornire livelli qualitativi indubbiamente superiori.
Il corpo macchina
Il corpo di un apparecchio fotografico deve offrire una ga-
ranzia assoluta di ermeticità alla luce, ma non solo.
A distanza di quasi duecento anni, la “camera obscura” si
è trasformata arricchendosi di componenti sia meccanici che
elettronici in grado di conferirne prestazioni particolari, e di
velocizzare e semplificare le varie operazioni che vanno dal cal-
colo automatico dell’esposizione al trascinamento motorizzato
della pellicola. L’alloggiamento dei componenti elettronici, del
motore e delle batterie ha portato ad un ripensamento della
forma dell’apparecchio. I modelli attuali sono più voluminosi
dei precedenti; vengono però progettati con particolare cura
riguardo l’ergonomia, tanto da risultare particolarmente ma-
neggevoli.
Al di là del tipo di apparecchio e del suo grado di innova-
zione, nel corpo macchina trovano alloggiamento gli elementi
fondamentali di ogni sistema fotografico che vedremo di se-
guito.
Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento
La parte posteriore del corpo macchina è predisposta per
l’alloggiamento della pellicola e dei meccanismi per il suo tra-
scinamento.
Rimandando il caso particolare delle pellicole piane alla
conclusione del capitolo (sistemi a corpi mobili), esaminiamo il
caso più comune delle pellicole in rullo.
Apparecchi 35mm
Per aprire l’apparecchio fotografico, a seconda dei modelli,
si solleva la manopola di riavvolgimento, oppure si agisce su dei
pulsanti posti lateralmente. Una volta aperto il dorso, si nota
sulla sinistra l’alloggiamento per l’involucro metallico della pel-
licola. Negli apparecchi recenti ci sono anche i sensori per la
lettura del codice a barre impresso sul rullino, che consentono
il trasferimento automatico dei dati del film.
A destra ci sono i congegni di agganciamento, che differi-
scono a seconda si abbia o meno il trascinamento motorizzato
1 Fotocamera 35 mm “compatta.
2 Banco ottico.
3 Fotocamera di medio formato.
4 Apertura del dorso per mezzo della ma
nopola di riavvolgimento.
38. 29
della pellicola. In questo caso (la quasi totalità degli apparecchi
sul mercato), facendo ben aderire la pellicola, è sufficiente po-
sizionarne la parte terminale in corrispondenza della tacca di
riferimento e chiudere il dorso della fotocamera. Premendo il
pulsante di scatto, il motore trascina la pellicola fino al primo
fotogramma utile.
Negli apparecchi privi di motorizzazione, la parte stretta
della pellicola va inserita nel rocchetto, controllandone il cor-
retto inserimento dei denti nelle perforazioni. Dopo aver dato
la giusta tensione alla pellicola per farla perfettamente aderire,
si chiude il dorso e, tramite la levetta di avanzamento, la si tra-
scina eseguendo due scatti a vuoto. Durante questa esecuzione
è importante controllare la manopola di riavvolgimento: se gira
vuol dire che la pellicola avanza regolarmente, altrimenti è ne-
cessario rivedere le procedure.
Mentre nei modelli motorizzati la pellicola viene fatta avan-
zare automaticamente ad ogni scatto, nelle macchine prive di
motore è necessario agire sulla leva di avanzamento.
Un grande vantaggio offerto dalla motorizzazione è dato
dalla possibilità di eseguire fotografie a raffica, la cui velocità
varia a seconda del livello più o meno professionale dell’appa-
recchio.
Ultimato un rullino, la pellicola deve essere riavvolta nell’in-
volucro metallico. Se disponete del motore è sufficiente darne
comando, generalmente premendo simultaneamente due pul-
santi, altrimenti si deve dapprima sganciare la pellicola median-
te un pulsante posto sul fondo della macchina, e successiva-
mente agire sulla manovella di riavvolgimento.
Apparecchi di medio formato
Gli apparecchi di medio formato utilizzano pellicole prive
di involucro metallico munite di uno strato di carta che eserci-
ta una funzione protettiva sia all’inizio che alla fine del rullo.
Per questo motivo, esauriti gli scatti a disposizione, non occorre
riavvolgere la pellicola, ma è sufficiente completare l’avanza-
mento svolgendo completamente la carta.
1 Apparecchio medio formato:
in evidenza la pellicola.
2 Inserimento della pellicola.
3 Inserimento della pellicola negli appa-
recchi motorizzati.
4 Manovella di riavvolgimento.
5 Levetta di avanzamento della pellicola
e carica dell’otturatore.
39. 30 3. Gli apparecchi fotografici
Il rocchetto della pellicola già impiegata viene utilizzato per
quella seguente, cambiandogli posizione, facendolo diventare
cioè rocchetto ricevente.
Il sistema di trascinamento può essere anche in questo caso
manuale o motorizzato, mediante l’applicazione di speciali im-
pugnature con alloggiamento per motore e batterie.
Il dorso
Il dorso di una macchina fotografica ha la duplice funzione
di chiudere l’apparecchio ermeticamente alla luce e di mante-
nere la pellicola perfettamente piana, tramite il “pressore”.
Se si vogliono evitare inconvenienti quali infiltrazioni di luce
o strisci sulla pellicola, è indispensabile una buona manutenzio-
ne delle guarnizioni ed una perfetta pulizia.
Alcuni dorsi sono dotati di una finestrella a tenuta di luce
per controllare il tipo di pellicola impiegato.
L’otturatore
Nel 1826 a Niépce furono necessarie ben otto ore di espo-
sizione per ottenere la prima immagine fotografica; oggi, con
l’accresciuta sensibilità della pellicole, per la stessa immagine
basterebbero frazioni di secondo ed in condizioni particolari
potremmo ipotizzare addirittura un tempo di 1/1000 di secon-
do. Come si può esporre una pellicola per un tempo così breve
ed in modo preciso?
Ciò si ottiene grazie ad un congegno chiamato otturatore,
che può essere di tipo meccanico, sebbene oggi sia più frequen-
temente a controllo elettronico.
Esistono due tipi di otturatori, ognuno con dei punti di for-
za, il cui utilizzo è in genere condizionato dal tipo di apparec-
chio sul quale vanno montati. Vediamo di conoscerli.
Otturatore sul piano focale, detto a tendina
L’otturatore a tendina si colloca nel corpo macchina, sul pia-
no focale, davanti alla pellicola. Assieme al dorso dell’apparec-
chio, è il congegno in grado di riparare costantemente dalla
luce l’emulsione, salvo il momento in cui il fotografo preme
il pulsante di scatto. In questo caso, l’otturatore è in grado di
aprirsi per un tempo predeterminato, durante il quale la luce
impressiona la pellicola.
Questo modello prende il nome da due tendine costituite
originariamente da una tela gommata a tenuta di luce, oggi
sostituite da lamelle in metallo che ne ricalcano comunque i
movimenti. Vediamoli nel dettaglio:
ipotizziamo di impostare un tempo di esposizione di 1”
• al momento dello scatto, la prima tendina si apre spostan-
dosi dall’alto in basso scoprendo interamente la pellicola.
• esattamente dopo 1”dall’inizio del movimento della prima
tendina, ne parte una seconda che, sempre dall’alto in bas-
so, chiude l’otturatore coprendo la pellicola.
Notate che la zona che viene scoperta per prima, quella su-
periore, è anche la prima a richiudersi, garantendo così un iden-
tico tempo di esposizione in qualsiasi punto della pellicola.
Se effettuate una prova con un apparecchio fotografico (sen
za pellicola naturalmente), noterete inoltre la straordinaria ve-
1 Dorso di apparecchio motorizzato.
2 Otturatore a tendina con scorrimento
orizzontale.
3 Otturatore metallico a scorrimento
verticale.
40. 31
locità delle tendine. Effettuato lo scatto, agite sulla levetta per
caricare la pellicola ed osservate il movimento, questa volta dal
basso verso l’alto, delle tendine che, restando ermeticamente
chiuse, si riportano nella posizione precedente, pronte per un
altro scatto.
Con un tempo di esposizione lungo come quello dell’esem-
pio, la pellicola resta completamente scoperta. Questo avviene
anche per alcuni tempi più brevi ma, accorciandosi drastica-
mente l’esposizione, il movimento delle due tendine si fa più
ravvicinato, tanto che la seconda parte quando la prima non ha
ancora concluso la sua corsa. In questo caso la pellicola viene
esposta mediante la luce che passa attraverso una finestrella, di
larghezza costante, che scorre dall’alto verso il basso, la cui lar-
ghezza è determinata dal tempo di esposizione, e che si riduce
ad una feritoia impercettibile per i tempi ultra rapidi.
Nell’esempio si fa riferimento al modello oggi più diffuso:
l’otturatore a scorrimento verticale che, lavorando sul lato più
corto del formato, consente di arrivare a tempi di esposizione
brevissimi. Altre macchine montano un secondo tipo di ottura-
tore in cui lo scorrimento delle tendine avviene orizzontalmen-
te, tuttavia si tratta per lo più di apparecchi fuori produzione. Il
principio di funzionamento è identico a quello sopra descritto.
1 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento verticale con tempi ugua-
li o più lunghi di 1/125 di secondo.
2 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento verticale con tempi più
brevi di 1/125 di secondo.
3 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento orizzontale con tempi
uguali o più lunghi di 1/60 di secondo.
4 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento orizzontale con tempi più
brevi di 1/60 di secondo.
41. 32 3. Gli apparecchi fotografici
Il tempo di sincronizzazione
Con tempi di esposizione lunghi, la seconda tendina parte
quando la prima é già arrivata a fine corsa, mentre per tempi
brevi il ritardo tra le tendine si riduce e l’esposizione avviene
mediante la luce che passa attraverso una finestrella formata
dalle due tendine in movimento.
Qual è il tempo più breve per il quale si mantiene l’intera
apertura dell’otturatore?
Fino a qualche anno fa, la risposta sarebbe stata semplice:
1/60” per gli otturatori a scorrimento orizzontale, 1/125” per
quelli a scorrimento verticale. Oggi, con i progressi ottenuti
grazie all’elettronica, i tempi si sono accorciati, fino ad 1/250”.
Per conoscere il tempo preciso si deve consultare il libretto del-
le istruzioni.
Questo tempo particolare prende il nome di tempo di sin-
cronizzazione ed è riferito all’uso del flash. Si tratta del tempo
più breve che si può utilizzare con un flash elettronico ed è
intuitivo comprenderne le ragioni. Se si usasse un tempo infe-
riore, infatti, l’emissione del lampo impressionerebbe solo una
parte della pellicola, quella lasciata scoperta dalla finestrella
tra le due tendine.
Nelle macchine attuali, quando il flash è inserito, la rego-
lazione del tempo è generalmente automatica; in quelle più
vecchie deve essere eseguita dal fotografo.
I tempi di esposizione
I tempi di esposizione seguono una regola molto semplice:
ogni tempo è il doppio o la metà di un altro. Nelle macchine
fotografiche troveremo perciò i seguenti tempi espressi in se-
condi:
Per ragioni di spazio, nelle fotocamere i suddetti valori ven-
gono riportati senza la frazione per cui 1/500”, ad esempio, vie-
ne visualizzato solo con 500.
Le macchine recenti possono offrire tempi più brevi, oggi
fino ad 1/8000” ed anche il controllo di tempi lunghi oltre 1”.
Mancando quest’ultima opzione, si può utilizzare la posa B che
consente di mantenere aperto l’otturatore finché resta schiac-
ciato il pulsante di scatto. In questo caso è consigliabile l’uso
di un cronometro e diventa indispensabile lo scatto flessibile
per evitare di trasmettere vibrazioni con la pressione del dito.
I modelli recenti inoltre hanno introdotto l’impiego di tempi
intermedi, ma generalmente è un’opzione riservata a modalità
di utilizzo in automatico.
L’otturatore centrale
Il secondo tipo di otturatore è quello a lamelle, comune-
mente detto centrale. La funzione svolta è la medesima di quel-
lo a tendine: garantire alla pellicola un’esposizione alla luce in
un tempo preciso predeterminato, però la forma costruttiva e
1 Fotografia eseguita con il flash ad un
tempo più breve del tempo di sincro-
nizzazione.
2 Ghiera dei tempi.
Scala dei valori di base
1 1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000 1/2000
42. 33
la collocazione lo fanno differire nettamente dall’altro tipo di
otturatore.
Innanzitutto si deve osservarne il posizionamento: l’ottura
tore centrale è tutt’uno con l’obiettivo. Di conseguenza la sua
forma è circolare, e precisamente è costituito da una serie di
lamelle che al momento dello scatto si aprono, lasciando pas-
sare la luce.
Una volta apertesi totalmente, trascorso il tempo di ottura
zione impostato, le lamelle tornano alla posizione iniziale ri-
chiudendosi.
È importante notare che per qualsiasi tempo di esposizione
si ha la totale apertura dell’otturatore, consentendo in questo
modo l’utilizzo del flash anche con i tempi più brevi che, tutta-
via, arrivano solamente ad 1/500”.
Tipi di otturatore a confronto
L’otturatore a tendina ha dimensioni pari al formato del-
la pellicola. Di conseguenza il suo utilizzo è limitato al picco-
lo formato e alle misure inferiori del medio. E’ impensabile la
costruzione di otturatori per apparecchi di grande dimensione
quali il 4x5” o addirittura l’8x10” (misure in pollici: un pollice
corrisponde a 25,4 mm).
L’otturatore centrale è perciò obbligatoriamente impiega-
to nel medio - grande formato, ma trova un suo largo utilizzo
anche negli apparecchi compatti di piccolo formato ad ottica
fissa.
I punti di forza dell’otturatore a tendina sono:
• i brevissimi tempi di esposizione
• la collocazione sul piano focale, che lo rende perfettamente
idoneo per l’utilizzo in apparecchi reflex.
A favore dell’otturatore centrale vanno invece:
• la semplicità costruttiva
• la sincronizzazione totale con il flash
• l’estrema silenziosità.
Per contro, qualora l’apparecchio abbia le ottiche intercam-
biabili, ognuna di queste dovrà essere munita di otturatore,
con un aggravio di spese.
L’obiettivo
L’obiettivo costituisce il cuore di un sistema fotografico, in-
fluendo sulla qualità dell’immagine più di qualunque altra in-
novazione tecnica. Dal semplice foro stenopeico dei primi mo-
delli di “camera obscura” ai più recenti sistemi ottici, le case
produttrici si sono costantemente impegnate per migliorarne
qualità e versatilità.
Un foro stenopeico è un foro estremamente piccolo, in gra-
do di far passare i raggi provenienti dal soggetto inquadrato
in modo selettivo. Con un’apertura maggiore, i raggi passereb-
bero in modo disordinato senza formare l’immagine. Grazie
1 Sequenza di apertura di un otturatore
centrale.
2 Otturatore centrale parzialmente aper
to e diaframma regolato f/16.
43. 34 3. Gli apparecchi fotografici
all’ausilio di lenti, un obiettivo è invece in grado di formare
un’immagine nitida con aperture molto maggiori, ottenendo
tra l’altro una notevole diminuzione del tempo di posa.
Togliendo l’obiettivo dalla macchina fotografica, non sareb-
be possibile ottenere un’immagine, ma solamente un’esposizio-
ne della pellicola alla luce.
Le macchine fotografiche, a seconda dei modelli, possono
avere l’ottica fissa oppure intercambiabile. In questo secondo
caso il sistema fotografico risulta sicuramente più versatile e
completo. Gli apparecchi con obiettivo fisso, a parte quelli più
economici, sono generalmente muniti di ottica zoom.
Il diaframma
I moderni obiettivi sono tutti dotati di diaframma.
Collocato circa al centro del sistema di lenti, è oggi comu-
nemente impiegato il modello ad iride, formato da un numero
di lamelle variabile da cinque ad otto, che ne danno la forma
caratteristica da pentagonale ad ottagonale.
I primi sistemi fotografici, al contrario, disponevano di una
serie di piastrine con fori circolari, da applicare manualmente
all’obiettivo, regolandone in questo modo la luminosità.
Il diaframma svolge una duplice funzione:
• regola l’esposizione della pellicola (insieme all’otturatore)
• conferisce all’immagine una forte caratterizzazione relati-
vamente all’estensione delle zone messe a fuoco (profondi-
tà di campo).
La scelta del diaframma da utilizzare, costituisce uno dei
momenti più delicati nella ripresa fotografica, e va ponderata
attentamente.
Il mirino
Le macchine fotografiche di piccolo e medio formato si dif-
ferenziano anche in base al mirino utilizzato per inquadrare.
Distinguiamo principalmente due tipi:
• fotocamere a mirino separato
• fotocamere a mirino reflex.
Per saperne di più
Per conseguire un’accurata messa a fuoco
dell’immagine, gli obiettivi, salvo le eccezioni
che vedremo in seguito, hanno una ghiera,
ruotando la quale si modifica la distanza tra le
lenti e, di conseguenza, la dimensione totale del
barilotto.
L’obiettivo zoom, grazie ad una costruzione
mobile, permette di avvicinare o allontanare il
soggetto inquadrato senza spostarsi. È spesso
impiegato anche nelle riprese televisive.
1 Diaframma.
2 Senza l’obiettivo (o il foro stenopeico)
nell’apparecchio fotografico ci sareb-
be ingresso di luce senza formazione
dell’immagine.
Con l’obiettivo i raggi vengono fo-
calizzati sul piano focale ottenendo
un’immagine.