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Mario Ferrara
Fotografare
tecnica e cultura fotografica
Ringraziamenti
Si ringraziano: Agfa, Canon, Durst, Fuji, Ilford, Kodak, Nital (Nikon), Polyphoto (Leica), Rossi & C. (Minolta, Zenza
Bronica) per il supporto e il materiale fornito per la pubblicazione. In particolare si ringraziano la signora Nogarotto ed
i signori Bassanello, Mongiovetto, Rovere, Rappaini, Storace, Tchajkowski, assieme a Mario Giammusso e Sergio Rizzo
dell’Agenzia R&G. Un ringraziamento particolare ai fotografi che hanno collaborato fornendo scritti e immagini che
hanno impreziosito il testo: Giac Casale, Franco Fontana, Giuliano Francesconi, Giancarlo Mecarelli, Marco Moscadelli,
Giancarlo Zuin. Le fotografie, coperte da copyrigt, sono state riprodotte nel testo per loro gentile concessione. Grazie
a Giancarlo Alesiani per gli spunti e le preziose esercitazioni fornite. Un ultimo ringraziamento a Stella Ferrara, Angelo
Infanti, Rodolfina Rasotto e Carlo Schiavon per i contributi apportati al teso, Claudia, Paola e Paolo per i loro volti,
Giovanni Federle, Carlo Ferrara, Giuseppe Ongaro, Andrea Rossi, Carla Stefani, ai colleghi ed agli studenti dell’I.P.S.S
“Bartolomeo Montagna” di Vicenza.
Crediti
Ove non diversamente specificato, le fotografie sono dell’Autore.
Le immagini sottoelencate sono pubblicate per gentile concessione di:
Agfa:
2/226-1/227-1/228-1,2/229-1/239.
Canon:
1/32-3934-1,2,3,4,5/44-1/45-2/65-1/66-1/72-3/76-1/110-1/111-1/224-1/232-1/234-2/239-3/177.
Durst:
2/156-3/157-1,3,4/160-1,2/211.
Fuji:
1/201.
Leica:
1/40-1/41-2/45-1,2/102-1,2/297.
Minolta:
1/33-2,3/42-2,3/69-2/72-1,2,3/77-2/81-1/104-3,4/109.
Zenza Bronica:
3/32-1,4/39-2,3/40-4/48-1,2,3/49-1/50.
Le immagini dei prodotti e i messaggi pubblicitari contenuti nel testo, sono presenti esclusivamente per finalità
didattica, senza scopo di lucro.
L’Editore ha cercato di reperire tutte le fonti delle illustrazioni ed è comunque a disposizione di eventuali aventi
diritto nell’ambito delle leggi internazionali.
Copertina progetto grafico e impaginazione: Giovanni Federle, Vicenza 2006.
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è certificato UNI EN ISO 9001:2000
tamburino Fotografare 1-02-2006 16:58 Pagina 1
Sommario dei moduli
1.	 Primo approccio
	 2	 Approccio sperimentale
	 3	 La carta vede il rosso?
	 3	 Giochiamo con la luce
	 3	 Analisi
	 4	 Un po’ di fantasia
	 4	 Non solo camera oscura
	 5	 I chimigrammi
	 6	 Analisi
	 7	 Una possibile variante
	 7	 Le infinite variabili
	 7	 Lavoriamo a casa
	 8	 Esperienze d’autore
	 8	 Laslo Moholy-Nagy
	 9	 Man Ray
	 10	 LuigiVeronesi
	 10	 Christian Schad
	 11	 Ripresa
	 11	 Fasi preliminari
	 11	 Sala pose
	 12	 Ripresa a mano libera
2.	La luce e i materiali
	fotosensibili
	 14	 Le fonti luminose
	 14	 Caratteristiche della luce
	 14	 Le fonti luminose
	 14	 Luce naturale
	 16	 Luce artificiale
	 16	 Pellicole
	 17	 La struttura
	 17	 L’emulsione
	 17	 L’immagine latente
	 18	 Il negativo
	 19	 Pellicole diapositive
	 19	 Sensibilità cromatica
	 19	 Pellicole pancromatiche
	 19	 Pellicole ortocromatiche
	 20	 Pellicole sensibili al blu
	 21	 Pellicole all’infrarosso
	 21	 Pellicole a sviluppo cromogeno
	 21	 Pellicole con estesa sensibilità al rosso
	 22	 Sensibilità alla luce
	 22	 Caratteristiche principali
	 23	 La grana
	 24	 Il formato
	 25	 Contrasto
	 25	 Potere risolutivo
	 26	 Acutanza
	 26	 Latitudine di posa
3.	Gli apparecchi fotografici
	 28	 Componenti principali
	 28	 Il formato
	 28	 Il corpo macchina
	 28	 Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento
	 30	 Il dorso
	 30	 L’otturatore
	 30	 Otturatore sul piano focale, det­to a tendina
	 32	 Il tempo di sincronizzazione
	 32	 I tempi di esposizione
	 32	 L’otturatore centrale
	 33	 Tipi di otturatore a confronto
	 33	 L’obiettivo
	 34	 Il diaframma
	 34	 Il mirino
	 35	 Macchine a telemetro
	 35	 Il telemetro
	 36	 Pro e contro
	 37	 La reflex monoculare 35 mm
	 37	 La visione reflex
	 39	 La messa a fuoco
	 40	 Potenzialità
	 40	 Accessori
	 41	 La reflex digitale
	 41	 Pro e contro
	 41	 I punti a favore
	 41	 I punti a sfavore
	 42	 Conclusioni
	 42	 La reflex biottica
	 42	 L’inquadratura
	 43	 La messa a fuoco
	 43	 Pro e contro
	 44	 La reflex di medio formato
Sommario
	 45	 L’otturatore
	 45	 L’inquadratura
	 45	 Messa a fuoco
	 46	 Pro e contro
	 47	 Sistemi a corpi mobili
	 47	 Parti dell’apparecchio
	 48	 L’inquadratura
	 49	 L’esposizione
	 50	 I movimenti
	 50	 Conseguenze del decentramento
	 52	 Conseguenze del basculaggio
4.	Gli obiettivi
	 56	 Caratteristiche generali
	 56	 Qualità e difetti dell’obiettivo
	 57	 Potere di copertura
	 58	 Messa a fuoco
	 59	 Lunghezza focale
	 60	 Ingrandimento e angolo di campo
	 62	 Obiettivi normali
	 63	 Corrispondenze metriche
	 63	 Caratteristiche ed utilizzo
	 64	 Obiettivi di lunga focale
	 64	 Caratteristiche e proprietà
	 64	 Pro e contro
	 66	 Obiettivi di corta focale
	 66	 Pro e contro
	 67	 Obiettivi speciali
	 67	 Obiettivi zoom
	 69	 Obiettivi catadiotrici
	 70	 Obiettivi macro
	 70	 Obiettivi per il controllo della prospettiva
“PC” Perspective control
	 70	 Obiettivi per gli apparecchi a corpi mobili
	 71	 Obiettivi per ingranditore
	 71	 Prospettiva
	 73	 Il diaframma
5.	Tecniche di ripresa
	 78	 Il movimento
	 78	 Introduzione
	 78	 Congelare il movimento
	 79	 Uso del flash
	 81	 La profondità di campo
	 84	 Valutazione della profondità di campo
	 85	 Distanza iperfocale
	 86	 L’ingrandimento
	 86	 Tabella riassuntiva
6.	Tecniche di esposizione
	 88	 Esposizione
	 88	 Gli effetti della luce sui materiali fotosensibili
	 88	 Diaframma ed otturatore: un’azione
combinata
	 89	 La reciprocità
	 90	 Effetti della sotto e sovra-esposizione
	 90	 Esposimetri
	 90	 Introduzione
	 91	 Caratteristiche generali
	 92	 Esposimetri esterni
	 93	 Lettura per luce riflessa
	 94	 Lettura per luce incidente
	 94	 Problematiche dell’esposizione (letture
ingannevoli)
	 95	 Lo standard del grigio medio
	 96	 Esposimetri incorporati (TTL)
	 97	 Schemi di lettura
	 98	 Automatismi
	 98	 Generalità
	 98	 Sistemi tradizionali
	 99	 Sistemi avanzati
	100	 Immagini high-key e low-key
7.	 I filtri
102	 La traduzione del colore in grigio
	102	 Il fattore filtro
	103	 I filtri contrasto
	105	 Filtri polarizzatori
	106	 Uso del filtro polarizzatore
	107	 Filtri Skylight e anti-UV
	107	 Filtri a densità neutra ND
8.	Illuminazione
110	 Premessa
110	 La luce artificiale
111	 La luce continua
112	 Il flash elettronico
113	 L’esposizione manuale
114	 L’attrezzatura professionale da studio
115	 Schemi operativi
116	 Tecniche particolari
117	 Luce pennellata
117	 La luce naturale
117	 Il controllo del contrasto
118	 Il momento giusto
9.	Laboratorio trattamento
	della pellicola in bianco nero
120	 Ambiente di lavoro
121	 Attrezzatura
123	 Prodotti chimici
126	 Prodotti particolari
127	 Procedure
130	 Trattamento della pellicola
131	 Trattamento delle pellicole piane in bacinella
132	 Procedure particolari
10. Laboratorio stampa
	in bianco e nero
136	 Attrezzatura
136	 Attrezzatura basilare
140	 Attrezzatura opzionale
141	 Prodotti chimici
141	 Rivelatore
141	 Arresto
141	 Fissaggio
142	 Viraggio
142	 Coadiuvanti del lavaggio
143	 Le carte
143	 Struttura delle carte da stampa
143	 Peso
144	 Dimensioni
144	 Superficie della carta
144	 Gradazioni di contrasto
145	 Sensibilità
145	 Sensibilità cromatica
146	 Stampa per contatto
146	 Procedure standard
148	 Stampa per ingrandimento
148	 Scelta del negativo
149	 Uso dell’ingranditore
149	 Controllo del contrasto
149	 Calcolo dell’esposizione
150	 La posizione del provino
150	 Le fasi in bacinella
152	 Asciugatura
152	 Valutazione finale
152	 La stampa fine art
153	 Procedure preliminari
154	 Conosciamo la nostra carta
156	 Esecuzione di una stampa fine art
159	 Elaborazioni
159	 Viraggio seppia
161	 La solarizzazione (effetto Sabattier)
11. Fotografia a colori
166	 Introduzione
167	 Approfondimento storico
168	 Il colore a livello di comunicazione
168	 Il colore nella pubblicità
169	 I colori della luce
170	 La percezione dell’occhio
170	 La sintesi additiva
171	 La sintesi sottrattiva
171	 La temperatura del colore
172	 Luce naturale
172	 Luce artificiale
172	 I filtri
173	 Filtri di conversione
173	 Filtri per il controllo cromatico
174	 Struttura della pellicola
175	 Pellicole negative
175	 Pellicole diapositive
176	 Negative e diapositive a confronto
178	 Sviluppo delle pellicole a colori
178	 Pellicole negative
180	 Pellicole invertibili
181	 La pratica dello sviluppo
182	 Sviluppo della pellicola negativa
183	 Sviluppo della pellicola invertibile
184	 Conclusioni
185	 Stampa delle pellicole a colori
185	 Attrezzatura per la camera oscura
186	 Stampa da negativo
187	 Stampa da diapositiva
187	 Il metodo Ilford Cibachrome
Sommario
12 Fotografia digitale
192	 Introduzione
194	 Acquisizione dell’immagine
194	 Lo scanner
196	 Dalla pellicola al sensore CCD
200	 Risoluzione dell’immagine
201	 Le schede di memoria
202	 Le macchine digitali
203	 Gli apparecchi reflex
203	 I dorsi digitali
204	 Gli obiettivi
205	 Ripresa
205	 La luce
205	 Fotografare
207	 Ottimizzare l’immagine
209	 RGB, CMYK o Scala di grigio?
211	 Il software
216	 A proposito di contrasto
216	 Selezionare
217	 Formati di salvataggio
218	 Comandi di uso comune
219	 La fotografia in bianco e nero nell’era
del digitale
219	 Fotografie in bianco e nero ricavate da files a
colori
219	 Fotografie in bianco e nero ricavate dalle
stampe a colori (tramite scanner)
219	 Intervenire con i programmi di fotoritocco
222	 Il viraggio
224	 Conclusioni
224	 La stampa
224	 Valutazione finale
13	Generi
228	 Generalità
228	 La fotografia in studio
228	 L’attrezzatura
229	 La fotografia all’aperto
231	 Ritratto
232	 Ritratto glamour
232	 Obiettivi per il ritratto
233	 L’inquadratura
234	 L’inquadratura “riferita”
234	 L’inquadratura “benevola”
235	 Il ritratto ambientale
235	 Altre regole generali
237	 Illuminazione
237	 Schemi tipici d’illuminazione
237	 Fotografia publicitaria
239	 Still life
240	 Attrezzatura
241	 Still life per l’editoria
241	 Reportage e fotogiornalismo
241	 Fotografia di guerra
242	 Fotografia di cronaca
242	 Fotografia sportiva
243	 Paesaggio
244	 Attrezzatura
245	 Paesaggio urbano
245	 Fotografia di architettura
246	 La fotografia di interni
14	L’invenzione
248	 Premessa
249	 I settori di ricerca
249	 L’ottica
249	 La chimica
250	 I pionieri
250	 Joseph Nicéphore Niépce
251	 Louis Jaques Mandé Daguerre
254	 Gli altri inventori
254	 Hippolyte Bayard
255	 John FredericWilliam Herschel
256	 I sistemi
256	 La lastra umida al collodio
257	 La lastra a secco e la pellicola
257	 Esordi della fotografia in Italia
258	 Gli apparecchi fotografici
258	 La Kodak
259	 La Leica
260	 La reflex biottica
261	 Le innovazioni recenti
261	 La Polaroid
261	 Il colore
261	 La luce artificiale
262	 Il digitale
15	Il linguaggio fotografico
264	 Introduzione
265	 Il linguaggio
267	 Fotografare la guerra
268	 La foto di documentazione
271	 La censura
272	 Fotogiornalismo
273	 Moda e pubblicità
16	La fotografia in Italia
276	 Nascita della fotografia in Italia
276	 I grandi atelier
277	 La Fotodinamica futurista dei fratelli
Bragaglia
280	 Nota biografica
281	 Fotografia futurista
282	 Manifesto della fotografia futurista
283	 Fotografia fascista
285	 I circoli fotografici
286	 La Bussola
286	 Il MISA
286	 La Gondola
287	 Altri circoli
287	 Il dopoguerra
288	 I giornali
290	 Fotografia contemporanea
291	 Bellissimi quegli anni!
17	Autori
296	 I grandi fotografi
297	 Nadar
298	 Paul Strand
299	 Brassaï
300	 André Kertész
301	 I fotografi del “Club F/64”
302	 EdwardWeston
303	 AnselAdams
304	 Dorothea Lange
305	 Walker Evans
306	 August Sander
307	 Man Ray
308	 Robert Doisneau
309	 I fotografi dell’agenzia “Magnum Photos”
310	 Henry Cartier-Bresson
312	 Robert Capa
314	 Werner Bishof
315	 Eugene Smith
315	 Ernst Haas
315	 Josef Koudelka
316	 Sebastiao Salgado
317	 Robert Frank
317	 William Klein
317	 RichardAvedon
319	 Helmut Newton
320	 Irving Penn
321	 Ugo Mulas
322	 Mario Giacomelli
322	 Gianni Berengo Gardin
323	 Ferdinando Scianna
324	 Mimmo Jodice
324	 Gabriele Basilico
325	 OlivieroToscani
18	Veridicità e artisticità: due
temi storicamente dibattuti
327	 Veridicità e artisticità: due temi
storicamente dibattuti
328	 Veridicità
328	 Le verità parziali
328	 Fotografia e politica
329	 La stampa scandalistica
329	 Conclusioni
331	 Esercizi
332	 L’artisticità
332	 Il difficile rapporto fotografia-arte
333	 Citazioni
334	 La fotografia come percorso artistico
335	 L’abbietto
341	 La fotografia e la rappresentazione
dell’oggetto artistico
Sommario
19	Fotografia e pittura
346	 Gli esordi
348	 Le avanguardie
351	 Verso il 2000
352	 Brevi note biografiche
356	 Scrivere di fotografia
356	 Dai giornali
356	 “L’Omero degli emigranti”
358	 Commento all’articolo
359	 “E laTV uccise la fotografia”
360	 “Elogio del fotogiornalismo”
361	 Commento agli articoli
362	 Le riviste di fotografia
364	 I libri
364	 Leggere per crescere
365	 Il cinema
365	 Sotto tiro
366	 Istantanee
366	 La dolce vita
367	 Salvador
367	 Occhio indiscreto
368	 One hour photo
368	 Internet
20	Fotografia e media
356	 Scrivere di fotografia
356	 Dai giornali
356	 “L’Omero degli emigranti”
358	 Commento all’articolo
359	 “E laTV uccise la fotografia”
360	 “Elogio del fotogiornalismo”
361	 Commento agli articoli
362	 Le riviste di fotografia
364	 I libri
364	 Leggere per crescere
365	 Il cinema
365	 Sotto tiro
366	 Istantanee
366	 La dolce vita
367	 Salvador
367	 Occhio indiscreto
368	 One hour photo
368	 Internet
21		La parola ai protagonisti
370	 Giac Casale
373	 Franco Fontana
375	 Giuliano Francesconi
380	 Giancarlo Mecarelli
386	 Marco Moscadelli
390	 Giancarlo Zuin
394	 Giancarlo Alesiani
22		Legislazione
404	 Il diritto all’immagine
405	 Fotografia nella scuola
23		Glossario
407	 Glossario
Presentazione
Questo libro nasce da un’esperienza didattica
pluriennale in un Istituto per Grafici pubblicitari:
l’idea generatrice dell’opera è stata dunque quella
di coniugare, in unico testo, gli aspetti tecnici della
materia, assieme a quelli culturali. In quest’ottica,
si è cercato di trattare una notevole mole di temi,
offrendo all’insegnante la possibilità di scegliere
ed argomentare gli aspetti, tecnici e culturali, da
più punti di vista. Aspetti che, questo è l’augurio,
sapranno suscitare l’interesse degli alunni, che po-
tranno approfondire i singoli argomenti grazie alla
bibliografia specifica ed alle numerose indicazioni
riferite a riviste, romanzi, saggistica, film e web.
Per quanto il libro cerchi di essere esaustivo, è
scontato infatti, che non possa trattarsi del testo
definitivo. La fotografia è materia vastissima, e “Fo-
tografare” si pone l’obiettivo di creare delle basi,
sufficientemente solide da stimolare il lettore ad
andare oltre, sperimentando in proprio e appro-
fondendo il personale interesse, al di là dell’aspetto
scolastico.
A testimonianza del fatto che la fotografia sia,
oggi come sempre, soprattutto confronto con gli
altri, il libro è stato arricchito di nuovi interventi
esterni che, con la loro qualità, contribuiscono ad
avvalorare il ruolo della fotografia in una società
come quella odierna, che viene comunemente defi-
nita “dell’immagine”.
Con la seconda edizione del libro, si è inteso raf-
forzare la struttura del precedente. Ogni modulo è
stato potenziato, sia per renderlo più attuale, sia
per permettere un’ulteriore possibilità di collega-
mento tra le discipline scolastiche, prima di tutto
con le materie storico-letterarie ed artistiche.
La crescente affermazione della tecnologia di-
gitale inoltre, ha comportato l’approfondimento
e l’ampliamento del capitolo specifico, ma anche
un maggiore livello di specializzazione per alcuni
aspetti della fotografia tradizionale, sulla scia di un
mercato che, in questo settore, premia soprattutto
la qualità.
La struttura del testo, per concludere, rispecchia
più fedelmente la dicitura completa del titolo: Fo-
tografare, Tecnica e cultura fotografica. Ad un pri-
mo capitolo introduttivo, fanno infatti seguito due
parti distinte: tecnica e culturale.
Riguardo l’argomento iniziale del testo, intito-
lato “Primo approccio” è opportuna una breve ri-
flessione.
Si tratta di un capitolo che vuole essere in qual-
che modo il “manifesto programmatico” del libro:
lo studente è invitato a sperimentare, senza trop-
pi indugi, le possibilità espressive del mezzo foto-
grafico. Sono dell’idea che alla fotografia non ci si
debba arrivare dopo lo studio, ma prima. Lo studio,
se il primo impatto susciterà interesse, verrà ben
accettato per correggere, migliorare e ampliare le
tecniche sommariamente apprese.
L’approccio sperimentale garantisce inoltre di
affrontare lo studio con un vissuto personale di
esperienze che facilitano la comprensione successi-
va. Quante cose devono infatti assimilare i ragazzi
nelle varie materie come dato di fatto? Ad esempio,
spiegare il processo di formazione dell’immagine
fotografica nella pellicola unicamente leggendo il
testo, significa stabilire un rapporto di tipo passi-
vo. Più proficuo, è rimandare all’esperienza della
camera oscura con gli esperimenti sulla carta foto-
grafica, facendo comprendere per analogia, ciò che
accade quando si sviluppa in completa oscurità, e
quindi senza poterne apprezzare le modificazioni,
la pellicola.
La presenza di brevi schede culturali, riferite
ad autori che hanno fatto della sperimentazione
la loro bandiera, servirà infine a far comprendere
fin da subito che la fotografia, al pari delle altre
espressioni (artistiche e non) ha riferimenti culturali
importanti la cui conoscenza potrà essere utile e,
nel caso specifico addirittura più che in altre mate-
rie, interessante e gradevole.
Sono convinto che qualsiasi materia possa susci-
tare passione nello studente. Sono altresì convinto
che, in un’ipotetica classifica, la fotografia possa
indubbiamente godere di una posizione di privile-
gio.
Mario Ferrara
aCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCultura
	 Primo approccio
	 2	 Approccio
sperimentale
	 3	 La carta vede il rosso?
	 3	 Giochiamo con la luce
	 3	 Analisi
	 4	 Un po’ di fantasia
	 4	 Non solo camera oscura
	 5	 I chimigrammi
	 6	 Analisi
	 7	 Una possibile variante
	 7	 Le infinite variabili
	 7	 Lavoriamo a casa
	 8	 Esperienze d’autore
	 8	 Laslo Moholy-Nagy
	 9	 Man Ray
	 10	 LuigiVeronesi
	 10	 Christian Schad
	 11	 Ripresa
	 11	 Fasi preliminari
	 11	 Sala pose
	 12	 Ripresa a mano libera
1
1. Primo approccio
Approccio sperimentale
Per imparare bisogna “fare”, per migliorare si deve an­che
studiare! Con questo motto, anticipiamo la filosofia di questo
capitolo, che vede nell’approccio operativo la chiave con cui
aprirsi nei confronti della fotografia. È un dato certo che la
grande maggioranza dei fotografi italiani, Giacomelli, Jodice,
Migliori e tanti al­tri, si siano formati autonomamente, come
fotoamatori, prima di dedicarsi alla fotografia a livello profes-
sionale. È altresì impensabile che si leggano interi libri prima di
procedere al primo scatto fotografico mentre, al contrario, è
spesso la documentazione a seguire i primi esperimenti, spesso
maldestri, dettati dalla passione. Ed è su questo termine, pas-
sione, che cerchiamo di basare lo sviluppo successivo dell’atti-
vità fotografica, consci che un impatto eccessivamente teori-
co potrebbe allontanare, mentre l’imbattersi fin da subito in
pratiche manuali, con gli inevitabili errori da correggere, potrà
stimolare un ulteriore approfondimento. Ecco allora una trac-
cia di possibili interventi in laboratorio, che possono costituire
di fatto le prime lezioni, utili per sperimentare le proprietà dei
materiali e le metodologie operative. Per gli argomenti trattati,
può risultare produttivo svolgere questo capitolo in contem-
poranea con quello storico, al fine di rendere “visibili” alcune
delle invenzioni esposte. A questo, si somma il vantaggio di al-
leggerire le prime lezioni, altrimenti solo teoriche, con l’attività
pratica.
1	 Esercitazione
La carta vede il rosso?
In camera oscura non si lavora sempre al buio, come il nome
potrebbe far intendere: si utilizza la luce di sicurezza. Il colore
che viene subito alla mente è il rosso, se non altro perché in
alcuni film è la luce che si usa in scene di questo tipo. In realtà
non è solo il rosso a non essere visto dalla carta da stampa (la
qua­le, per la precisione, vede solo la luce blu) ma anche il gial-
lo-verde, che è il colore generalmente raccoman­da­­to.
Spenta la luce bianca, ci vorrà qualche secondo di adatta-
mento alla luce di sicurezza; di seguito ci si potrà muovere per-
fettamente a proprio agio.
Giochiamo con la luce
Grazie alla mancata percezione della luce di sicurezza, si
può estrarre un foglio di carta fotografica dalla confezione, e
posizionarlo sopra un piano.
Metteteci una mano sopra, a coprirlo parzialmente, ed ac-
cendete la luce per qualche secondo (una qualsiasi luce bianca
del laboratorio).
Spenta la luce, osservate il foglio. Dopo alcuni secondi di
imbarazzante silenzio, si dovrà trarre la conclusione che non è
successo nulla, a meno che…
L’insegnante vi avrà preparato delle vaschette con dei liqui-
di, vediamo allora a cosa servono.
Immergete la carta nella prima vaschetta: dopo alcuni se-
condi vedrete formarsi la sagoma della vostra mano bianca su
sfondo nero. A questo punto, fate come vi suggerisce l’istinto
e accendete la luce: se vi siete già complimentati, non abbat-
tetevi troppo perché l’immagine si sta rovinando, dovrete solo
rivedere qualcosa nell’esecuzione.
Grazie ad Herschel, dal 1839 disponiamo di un ottimo fissag-
gio, perciò usiamolo!
Si ripeta tutta l’operazione, con l’accortezza di introdurre la
carta anche nella vaschetta del fissaggio prima di accendere la
luce. L’immagine prodotta, che andrà successivamente lavata, è
ora visibile e perfettamente stabile.
Analisi
Il processo fotografico prodotto per intero, ha messo in evi-
denza come non sia sufficiente la sola esposizione alla luce del
materiale fotosensibile, ma che ad essa debba seguire lo svi-
luppo chimico, che va completato con il fissaggio, pena l’anne-
rimento dell’immagine intera. Chiameremo immagine latente
l’immagine che sappiamo esserci in seguito all’esposizione, che
senza sviluppo rimane invisibile.
La prima cosa che balza agli occhi osservando la stampa, è
che la luce ha prodotto un’immagine scura, mentre dove l’emul-
sione era protetta dalla mano la carta è rimasta perfettamente
bianca: siamo in presenza di un negativo.
Con ogni probabilità, il risultato di questo primo esperimen-
to sarà un’immagine bianca e nera, priva di grigi. Le fasi succes-
sive, consisteranno allora nella ricerca di tonalità intermedie,
con l’utilizzo di tempi di esposizione più brevi e l’impiego di
materiali semi-trasparenti.
1	 Esercitazione: esposizione alla luce.
2	 Esercitazione: trattamento chimico.
3	 Esercitazione: ne risulta un negativo.
1. Primo approccio
Un po’ di fantasia
Le tecniche appena introdotte possono sembrare semplici
giochi propedeutici, mentre in realtà costituiscono un linguag-
gio autonomo della fotografia, esplorato da molti fotografi alla
ricerca del puro segno della luce. Si dia quindi spazio alla speri-
mentazione, con l’utilizzo di differenti materiali e tecniche.
Affinandosi, si sentirà l’esigenza di un maggiore controllo
sulla luce, al fine di ottenere quelle sfumature determinate dal
giusto dosaggio dell’illuminazione. È così arrivato il momento
di utilizzare l’ingranditore, che impiegato come semplice lam-
padina, offre ampie garanzie di controllo grazie all’azione del
diaframma e del timer. A questo punto si hanno a disposizione
tutti gli strumenti, basta saperli sfruttare.
Non solo camera oscura
Parlando di laboratorio fotografico, si è immediatamente
portati a pensare alla camera oscura, luogo, in qualche misu-
ra, misterioso e affascinante, nel quale il fotografo rinchiuso
ed isolato dal resto del mondo, produce le proprie immagini.
Tuttavia, a livello sperimentale, la fotografia ammette delle
trasgressioni interessanti che vale la pena di esplorare. Una di
queste, riguarda la creazione di immagini direttamente in un
ambiente chiaro, perfettamente illuminato a giorno: vogliamo
procedere?
Successione dei chimici
La successione corretta del trattamento in baci­
nella è: sviluppo, arresto, fissaggio e lavaggio.
L’arresto, che in questa fase può essere costi­
tuito da acqua e qualche goccia di aceto, serve
anche a mantenere più attivo il fissaggio.
1	 Oggetti appoggiati sul foglio fotosen-
sibile.
2	 Esercitazione.
I chimigrammi
Il termine chimigramma deriva dal greco e significa scrittura
chimica: vediamolo nel dettaglio.
Innanzitutto ci si deve procurare il materiale:
•	 Prodotti chimici: rivelatore, arresto (acqua con qualche goc-
cia di aceto), fissaggio
•	 Tre vaschette
•	 Carta fotografica
•	 Pinze o guanti per maneggiare la carta nei chimici
•	 Uno o più pennelli
Come vedete, a parte i pennelli, è l’attrezzatura che si è già
utilizzata in camera oscura.
Prima di procedere con la sperimentazione, è necessaria una
breve fase preliminare al buio: estraete da una confezione i
fogli di carta che vi servono e riponeteli in una busta di plastica
nera: successivamente, usate solo questi.
Preparate ora l’ambiente di lavoro: se non siete nel labora-
torio scolastico (questo è un lavoro che si può eseguire ovun-
que, anche a casa vostra), disponete le vaschette su un tavo-
lo che avrete precedentemente protetto per mezzo di teli in
plastica o carta di giornali, e riempitele con i prodotti chimici.
Preparate allo stesso modo il piano dove appoggerete la carta
fotosensibile. Ora, è possibile iniziare.
Sbagliamo!
Produrre immediatamente im­magini pienamen­
te soddisfa­cen­ti, non è molto educativo; lo sba­
glio, come esperienza vissuta sulle proprie spal­
le, è molto più formativo. Non abbiate perciò
paura di sprecare qualche foglio di carta (usate
il 10x15 cm): saranno fogli ben spesi perché l’a­
nalisi dell’errore porta alla riflessione su quanto
si è prodotto.
1	 Chimigramma ottenuto intingendo il
pennello nello sviluppo.
2	 Esercitazione: mano inumidita con il
fissaggio.
1. Primo approccio
Estraete un foglio ed osservatelo bene: esso vi apparirà com-
pletamente bianco anche se, col tempo potrà assumere una co-
lorazione giallastra o rosa.
Prendete il pennello ed immergetelo nel rivelatore: avete
ora un’ampia possibilità di scelta perché potete disegnare qual-
siasi cosa sul foglio. Volete provare con la vostra firma?
Analisi
La carta, dal momento in cui l’avete estratta dal foglio, ha
preso tutta la luce necessaria, eppure, non ha mostrato evidenti
modificazioni. Solo dove siete passati con il pennello, nel giro
di pochi secondi apparirà un’immagine nera: luce, carta foto-
sensibile e rivelatore, utilizzati insieme, forniscono l’immagine
fotografica (in questo caso, più correttamente chiamata chimi-
gramma).
Per completare l’opera e stabilizzarla nel tempo, lavate la
stampa nell’arresto e concludete con il fissaggio. Al termine,
lavate in acqua corrente ed asciugate.
Già al termine del fissaggio, il chimigramma mostra il suo
aspetto definitivo: l’annerimento riguarda esclusivamente la
zona passata con il pennello. Nuovi progetti, possono a questo
punto iniziare.
Precauzioni
Per i prodotti chimici attenersi alle indicazioni
del fabbricante. In particolare, nel caso di con­
tatto con gli occhi, lavare accuratamente con
acqua corrente ed eventualmente rivolgersi al
medico. A questo riguardo, è consigliato l’uso
di occhiali. I tessuti, in caso di contatto, specie
con il rivelatore, vanno lavati immediatamente.
L’utilizzo di un camice è consigliato.
Allergie
I prodotti utilizzati in fotografie possono occa­
sionalmente scatenare allergie sia per contatto
che per inalazione. Nel primo caso è sufficien­
te munirsi di guanti in lattice, nel secondo,
a seconda della gravità, si deve valutare la
possibilità di permanenza nel laboratorio che,
comunque, deve essere munito di impianto di
aspirazione forzata.
1	 Chimigramma ottenuto intingendo il
pennello nel fissaggio.
Una possibile variante
Cosa succede se s’immerge il pennello nel fissaggio anziché
nel rivelatore?
Per scoprirlo non resta che provare, ma con un’accortezza:
quando avete finito con il pennello, la carta deve essere lavata.
Solo a questo punto potete procedere con la normale proce-
dura di sviluppo, altrimenti danneggereste il rivelatore che in
nessun caso deve venire a contatto con il fissaggio. Seguono,
come di norma, un breve risciacquo, fissaggio e lavaggio.
Le infinite variabili
Gli esempi accennati sono solo il punto d’inizio; è facile
intuire le ampie possibilità che questa tecnica offre a livello
espressivo: lasciate libera la fantasia e provate.
Da un punto di vista tecnico, vi suggerisco solo alcune sem-
plici varianti: l’impiego di un rivelatore molto diluito (maggiore
controllo dei grigi), e l’utilizzo combinato del rivelatore e del
fissaggio (attenti a non mescolarli) nella scrittura dell’immagi-
ne.
Lavoriamo a casa
Una camera oscura si può improvvisare facilmente, even-
tualmente allestendola di sera per evitare infiltrazioni di luce.
Gli stessi materiali fotografici, sviluppo e fissaggio, non essendo
particolarmente pericolosi si maneggiano in sicurezza, e le baci-
nelle possono essere sostituite da normali contenitori in allumi-
nio, vetro o acciaio recuperati in casa o al supermercato (ottime
le vaschette in alluminio, da evitare quelle in plastica leggera).
La luce di sicurezza, è reperibile nei negozi specializzati; la colo-
razione “fai da te” di lampadine normali, non solo non garan-
tisce risultati ottimali, ma, trattandosi di materiale elettrico, se
ne sconsiglia la manipolazione. La carta deve essere conservata
in buste di plastica nera dentro una scatola. Per abbattere i co-
sti, si compri una confezione di carta da cento fogli in gruppo
e si suddivida. Allo stesso modo si possono ottenere numerose
porzioni monouso di prodotti chimici.
Per la produzione di chimigrammi, si conferma la dotazione
chimica (carta, rivelatore, fissaggio), e l’attrezzatura base (ba-
cinelle, guanti o pinze). La mancata necessità di un ambiente
oscurato rende le operazioni ancora più semplici.
Chiunque, a casa propria, può così condurre le proprie spe-
rimentazioni, di cui fornirà, in seguito, dettagliata documenta-
zione all’insegnante.
1	 Esercitazione: chimigramma.
2	 Esercitazione: foto a contatto.
1. Primo approccio
Esperienze d’autore
Alcuni autori hanno preso alla lettera il termine “fotogra-
fia”, producendo immagini disegnate dalla lu­ce senza nemme-
no l’ausilio della fotocamera. Già Talbot con la sua produzione
di “disegni fotogenici” otteneva immagini direttamente per
contatto, ma il linguaggio era ancora piuttosto semplice. Altri,
e non solo il più famoso su tutti, Man Ray, dedicheranno molto
tempo e passione alla ricerca di tecniche anche estremamente
complesse, finalizzate alla produzione d’immagini in grado di
vivere di vita propria, completamente slegate dalla tanto prete-
sa obiettività fotografica.
Laslo Moholy-Nagy
Nel 1925 Laslo Moholy-Nagy nel suo “Pittura Foto­grafia
Film” mette in luce come la fotografia, dai tempi di Daguerre,
venisse considerata un’arte riproduttiva basata su leggi pro-
spettiche, e costantemente al traino di correnti pittoriche.
La constatazione, lucidamente espressa dall’autore, che
“l’antico ha una funzione inibitoria ” risulta molto attuale, spe-
cie in una cultura come quella italiana talmente ricca di storia
da rimanerne talvolta prigioniera.
Uno dei modi suggeriti da Moholy-Nagy per sfuggire a que-
sta trappola è il “fotogramma”, una composizione luminosa
padroneggiata dal fotografo, al pari del colore per il pittore e
delle note per il musicista.
Biografia. Nato a Budapest nel 1895, si de­dica inizialmente
alla pittura, interessandosi all’arte astratta. Dal 1923 al 1928,
chia­mato da Wal­ter Gropius, insegna al Bauhaus. Con l’av­vento
del nazismo si trasferisce a Londra e successivamente a New
York, dove fonda la School of Design. Muo­re nel 1946.
Per saperne di più
“Il fotogramma non è una vera fotografia ma è
solo la registrazione della forma, delle traspa­
renze e delle ombre di un og­get­to.” L.Moholy-
Nagy.
Man Ray
Già pittore, appartenente alla corrente dadaista, Man Ray
sperimenta in tutti i modi la possibilità di allontanare il mezzo
fotografico dalla resa obiettiva, utilizzando un gran numero di
tecniche con e senza macchina fotografica. In “Autoritratto”
racconta di come si sia avvicinato casualmente alla tecnica foto-
grafia che successivamente prenderà il nome di “rayogramma”.
Nell’attesa vana che un foglio di carta sensibile annerisse nel-
lo sviluppo (era stato sviluppato erroneamente un foglio non
impressionato), vi posò sopra alcuni oggetti semitrasparenti e
accese la luce: “sotto i miei occhi cominciò a formarsi un’imma-
gine: non era una semplice silhouette degli oggetti, ma defor-
mata e rifratta dal vetro, a seconda che fossero più o meno in
contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla
luce spiccava come in rilievo sul fondo nero…”.
I rayogrammi sono immagini complesse, frutto di svariate
tecniche, comprese la solarizzazione ed i raggi x.
Biografia. Man Ray è il nome d’arte di Emanuel Radnitsky,
nato a Phi­ladelphia nel 1890. Tras­feritosi a New York, entra in
contatto con gli ambienti artistici ed in particolar modo con
Alfred Steaglitz e frequenta la “Galleria 291”. Nel 1921 si re­ca
a Parigi dove conosce gli artisti dadaisti. È del 1922 la prima
raccolta di rayogrammi “Le Champ Deliceux”. La fotografia di-
venta un’occupazione costante, con numerose mo­stre e pubbli-
cazioni. Muore nel 1976.
1	 Talbot, 1843	
Disegno fotogenico.
2	 Moholy-Nagy, 1925 	
Il movimento a spirale dello spazio.
3	 Man Ray	
Rayogramma.
4	 Moholy-Nagy, 1924	
Fotogramma
5	 Man Ray, 1927	
Rayogramma.
10	 1. Primo approccio
Luigi Veronesi
Dal 1930 Luigi Veronesi, pittore, grafico e cineasta, si dedica
alla sperimentazione fotografica sulla scia delle esperienze di
Moholy-Nagy e Man Ray. Ciò che caratterizza questi fotogram-
mi è la progettualità, grazie alla quale Veronesi riesce a tra-
sformare gli oggetti in immagini, secondo un disegno preciso
e premeditato. La fotografia come documento lascia dunque
spazio alla trasfigurazione, nella ricerca di luci ed ombre che
del mezzo fotografico usa la chimica (carte e sviluppi) per otte-
nere un risultato grafico.
Biografia. Nasce a Milano nel 1908 e dal 1925 si interessa di
fotografia, attirato dalle sperimentazioni della camera oscura.
Fondatore del gruppo fotografico “La Bussola” e successiva-
mente del­l’”Unione Fotografica”, aderisce nel 1934 al gruppo
parigino “Abstraction-Création, art nonfiguratif”.
Ha inoltre legato il suo nome all’insegnamento, co­me do-
cente di Graphic design a Venezia e Cromatologia a Milano,
do­ve muore nel 1998.
Christian Schad
La formazione culturale di Christian Schad avviene all’Acca-
demia di Arti applicate di Monaco, ma molto importanti risul-
teranno i suoi contatti con gli artisti dada. In questo periodo
scopre la fotografia senza macchina fotografica, anticipando i
lavori di Man Ray e di Moholy-Nagy. Alle trenta immagini pro-
dotte nel 1919, alle quali Tristan Tzara darà il nome di “schado-
grafie”, ne seguiranno altre, dopo il 1960.
Biografia. Nasce nel 1894 in Germania dove studia; ben
presto si sposta a Ginevra ottenendo dei contatti con gli artisti
dada di Zurigo. Dopo aver vissuto in Italia ed a Vienna, ritorna
in Germania do­ve muore nel 1982.
Luigi Veronesi
“Il fotogramma non è una vera fotografia ma è
solo la registrazione della forma, delle traspa­
renze e delle ombre di un oggetto”.
1	 C. Schad, 1960	
Schadografia.
2	 L. Veronesi, 1936	
Fotogramma.
11
Ripresa
Se si possiede un apparecchio fotografico chiamato “banco
ottico” ci si può divertire nel produrre le prime immagini come
facevano i pionieri della fotografia, dato che si tratta della fo-
tocamera più simile alle antiche “camere obscure” di cui si parla
nel capitolo dedicato alla storia della fotografia.
Un banco ottico (per la precisione, apparecchio a corpi mo-
bili) consente di vedere sul vetro smerigliato il capovolgimento
ottico operato dall’obiettivo o dal foro stenopeico, e si presta
molto bene alle prime riprese in studio. Con esso, tra l’altro,
è utilizzabile la carta fotografica al posto della pellicola, con
l’indubbio vantaggio di poter subito effettuare le operazioni
di sviluppo con la luce di sicurezza, controllando l’evoluzione
dell’immagine durante i passaggi.
Fasi preliminari
In camera oscura, si ritagli una carta fotografica a grandezza
del formato del banco ottico e la s’inserisca nello chassis (porta-
pellicola); il caso più frequente riguarderà sicuramente il 4x5”
(misura in pollici) corrispondente a circa 10x12 centimetri.
Sala pose
Con il banco ottico si effettua l’inquadratura e la messa a
fuoco, al termine s’inserisce lo chassis nell’apparecchio. Dopo
aver chiuso l’otturatore, si toglie la protezione (il volet, che
funge da proteggi-pellicola) e si esegue lo scatto fotografico.
Dato che la carta ha una sensibilità notevolmente inferio-
re alla pellicola (valutabile a circa 10 ISO), è consigliato l’uso
del flash. Al termine, riposta la protezione, si torna in camera
oscura per lo sviluppo. Il risultato è un negativo, ovvero un’im-
magine con i toni chiari al posto di quelli scuri e viceversa. Dato
che un foglio di carta fotografica è ancora sufficientemente
trasparente, una successiva stampa per contatto riporterà i va-
lori normali. Abbiamo in questo modo ripercorso le modalità
operative che Talbot eseguiva nella prima metà dell’800, e che
ancor oggi sono valide. Se il laboratorio dispone di prodotti
“lith” trasparenti, la somiglianza con la pellicola risulta ancora
maggiore, con il vantaggio di poter seguire completamente a
vista l’evoluzione dell’immagine fotografica.
1	 Esercitazione: caricamento dello chassis.
2	 Esercitazione: inquadratura con banco
ottico.
3	 Esercitazione: ne risulta un negativo
da stampare in positivo.
12	 1. Primo approccio
Ripresa a mano libera
Se la prima parte deve essere condotta prevalentemente
dall’insegnante, la seconda, una volta apprese semplici regole,
è affidata all’allievo. Si utilizzi una fotocamera reflex completa-
mente manuale, caricata con una pellicola da 400 ISO per limi-
tare le difficoltà di ripresa. Le istruzioni vanno ridotte all’osso:
impugnatura, messa a fuoco, esposizione. Quest’ultima è visua-
lizzata in modi differenti a seconda dei modelli: il più sempli-
ce è il sistema a led luminosi, associabile ad un semaforo, ma
anche il modello a sovrapposizione degli aghi è di immediata
comprensione. Di massima, si proceda come indicato:
•	 regolare la fotocamera con un tempo di otturazione di
1/125”
•	 premere leggermente il pulsante di scatto per azionare
l’esposimetro
•	 girare la ghiera dei diaframmi finché non si accende la luce
verde o si sovrappongono le lancette (a seconda dei modelli)
•	 controllare la perfetta messa a fuoco e scattare.
Senza ulteriori conoscenze (composizione, esposizione) è
inevitabile che si vada incontro ad errori, che potranno tutta-
via essere sfruttati vantaggiosamente. Saranno questi infatti il
libro migliore su cui studiare per comprendere come migliorare
l’inquadratura, od ottenere un’esposizione più bilanciata. Lo
studio successivo, questa volta più puntuale, fornirà gli elemen-
ti per il controllo dell’immagine e sarà visto, a questo punto,
come il mezzo per raggiungere un preciso fine.
Mettere a fuoco
Dopo aver inquadrato, girare la ghiera per la
messa a fuoco.
Perfezionare l’operazione me­dian­te l’ausilio del­
la “linea spezzata”: inquadrando al centro una
parte rettilinea, l’immagine è a fuoco se la linea
è continua (non spezzata).
1	 Corretta impugnatura della fotoca-
mera.
2	 Esposimetro incorporato a led e, sot-
to, ad aghi.
3	 Esercitazione: errata valutazione del
controluce.
13
icaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnic
La luce
e i materiali fotosensibili
	 14	 Le fonti luminose
	 14	 Caratteristiche della luce
	 14	 Le fonti luminose
	 14	 Luce naturale
	 16	 Luce artificiale
	 16	 Pellicole
	 17	 La struttura
	 17	 L’emulsione
	 17	 L’immagine latente
	 18	 Il negativo
	 19	 Pellicole diapositive
	 19	 Sensibilità cromatica
	 19	 Pellicole pancromatiche
	 19	 Pellicole ortocromatiche
	 20	 Pellicole sensibili al blu
	 21	 Pellicole all’infrarosso
	 21	 Pellicole a sviluppo cromogeno
	 21	 Pellicole con estesa sensibilità
al rosso
	 22	 Sensibilità alla luce
	 22	 Caratteristiche principali
	 23	 La grana
	 24	 Il formato
	 25	 Contrasto
	 25	 Potere risolutivo
	 26	 Acutanza
	 26	 Latitudine di posa
2
14	 2. La luce e i materiali fotosensibili
Le fonti luminose
Caratteristiche della luce
Fotografia significa disegno per mezzo della luce. Il fenome-
no si basa sulla proprietà di alcuni materiali, detti fotosensibili,
di reagire modificandosi se colpiti da essa.
Ciò che noi chiamiamo luce è un fenomeno elettromagne-
tico, emesso da un corpo radiante che può essere naturale, il
sole, o artificiale, una lampada. L’ir­radiazione si propaga in tut-
te le direzioni con moto cosiddetto ondulatorio. Immaginate di
gettare un sasso in un acquario: se osservate dall’alto vedrete
che le onde concentriche si propagano a 360°; se poi osservate
lateralmente noterete qualcosa di molto simile al disegno 2.
In natura esistono molti tipi di onde elettromagnetiche, che
si differenziano in base alla loro lunghezza d’onda ed alla fre-
quenza. L’occhio è in grado di vedere solo una piccola porzio-
ne dell’intero spettro elettromagnetico, precisamente quella di
frequenze comprese tra 400 e 700 nanomètri, corrispondenti
ai limiti del blu e del rosso. Un nanomètro (nm) equivale ad un
milionesimo di millimetro. All’interno di questi limiti corrispon-
dono lunghezze d’onda alle quali il nostro occhio attribuisce
colori diversi. Se la retina dell’occhio è colpita da tutte le lun-
ghezze d’onda in egual misura, si ha la percezione del bianco.
Oltre i confini di questi valori troviamo l’ultravioletto e l’infra-
rosso, a noi invisibili.
Le fonti luminose
L’esigenza di fonti luminose alternative o complementari al
sole è molto antica, e trova tra i precursori lo stesso Talbot.
Sappiamo infatti che già dal 1851 egli sperimentava la luce pro-
dotta per mezzo di scintille elettriche, per sopperire alla scarsa
sensibilità dei materiali dell’epoca.
Oggi abbiamo a disposizione più fonti d’illuminazione, ed
è opportuno conoscerle in modo approfondito per saperne co-
gliere vantaggiosamente le caratteristiche e poterle abbinare
in modo corretto alle pellicole.
Luce naturale
La luce naturale principale proviene dal sole (ma non si deve
neppure trascurare il cielo, che rappresenta una fonte di luce
diffusa). Limitarsi a questa classificazione sarebbe però estre-
mamente semplicistico perché al variare delle ore del giorno, le
caratteristiche illuminotecniche cambiano sensibilmente.
La misura di questa variazione è espressa in gradi Kelvin,
e riguarda la temperatura del colore. In pratica, si verifica che
l’emissione di luce da parte del sole a noi perviene in maniera
diversa nell’arco della giornata, a causa delle diverse inclina-
zioni dei raggi in corrispondenza dei diversi orari. Più il sole
è inclinato (primo mattino e tardo pomeriggio) più lungo è il
percorso che i raggi effettuano nell’atmosfera, con un valore
minimo che si verifica invece a mezzogiorno. Ed è proprio que-
sto filtro atmosferico a conferire di­verse caratteristiche colori-
metriche al sole.
1	 Visualizzazione della propagazione
concentrica delle onde.
2	 Schema del movimento ondulatorio
della luce.
3	 Lo spetto elettromagnetico visibile ed
invisibile.
15
Un secondo fattore, fondamentale nella determinazione
delle caratteristiche della luce, è rappresentato dai fenomeni
atmosferici: nebbia, nuvolosità più o meno diffusa o cielo limpi-
do caratterizzano sensibilmente il tipo di luce che ci perviene. In
fotografia è importante conoscere i valori di queste differenze
perché le pellicole vengono tarate per un tipo preciso di luce,
precisamente quella di mezzogiorno, di temperatura co­lore
pari a circa 5500 k. Se ci troviamo a fotografare in situazioni di-
verse, l’emulsione registrerà le differenze in modo più marcato
rispetto alla visione dell’occhio. Il nostro cervello infatti tende a
bilanciare le differenze eccessive, mentre le pellicole si limitano
a registrare. Se da un lato le stesse potrebbero presentarci pia-
cevoli sorprese, è comunque meglio saper controllare i risultati
in anticipo anziché restarne soggiogati.
È chiaro che un discorso del genere è fondamentale nella
fotografia a colori, mentre in bianco e nero le differenze si at-
tenuano, ma si sa, un buon fotografo si distingue anche dai
piccoli particolari. In tabella si ri­por­tano le temperature relative
a situazioni tipiche. No­tate che a basse temperature di colore
corrisponde una luce calda, tendente al rosso, ad alte tempera-
ture la luce si fa azzurrognola e fredda.
Situazione Gradi Kelvin
alba e tramonto 3.000
un’ora dopo l’alba 3.500
un’ora prima del tramonto 3.500
luce solare a mezzogiorno 5.500
luce diurna media 5.500
misto di cielo e sole 5.500
cielo coperto (blu) 7.000-8.000
cielo velato 9.000
cielo limpido 12.000
Nota: i valori sono indicativi.
1	 Corsica, Calanques. 	
Fotografia eseguita verso sera
2	 Rappresentazione del percorso della
luce alle varie ore del giorno: all’alba,
a mezzogiorno, al tramonto e relativo
filtro esercitato dall’atmosfera.
3	 Corsica, Calanques. Fotografia esegui-
ta in ore centrali.
Fotografia digitale
Le fotocamere digitali offrono un sostanziale
aiuto riguardo al controllo della temperatura di
colore. Accedendo all’apposito menu (White ba­
lance), è possibile tarare il sensore alle differenti
fonti luminose, oppure affidare alla fotocamera
stessa l’individuazione del valore ottimale, per
mezzo dell’apposito automatismo. Un ulteriore
aspetto positivo, non avendo più a che fare con
l’intero rullino, riguarda il fatto che le regolazio­
ni possono essere effettuate in modo differen­
ziato, anche su ogni singolo fotogramma.
16	 2. La luce e i materiali fotosensibili
Luce artificiale
Il fotografo di oggi ha a disposizioni un parco luci talmente
vasto da porre, a volte, l’imbarazzo della scelta. Ai sistemi a
lu­ce continua si è affiancato il flash, che nella versione elettro-
nica è diventato uno strumento di grande versatilità e potenza.
Pregi e difetti dei singoli sistemi potrebbero tenere occupati
per ore gli appassionati, ma sarà sempre la pratica ed il proprio
metro di giudizio a indurre verso la preferenza per un certo
tipo di illuminazione. Appare invece interessante classificare le
fonti luminose in base alle caratteristiche della luce emessa, in
particolare riguardo alla temperatura di colore.
Tipo di luce	 	 Gradi Kelvin
candela 1500-1800
lampada tungsteno 40 W 2650
lampada tungsteno 75 W 2800
lampada tungsteno 100 W 2900
lampada photoflood 3200-3400
lampada al quarzo 3200
lampada ad arco 5200
flash elettronico 5500
Dalla tabella appare evidente che, a parte il flash elettroni-
co, le temperature di colore differiscono anche notevolmente
da quelle medie, su cui sono tarate le pellicole per luce diurna
(5500 K).
Nella fotografia a colori, una giusta corrispondenza tra pelli-
cola e fonte luminosa è indispensabile per evitare di avere forti
dominanti di colore. La conoscenza delle temperature di colore
delle lampade utilizzate, ci garantisce di riuscire a scegliere il
giusto abbinamento luce - pellicola.
In alternativa, volendo utilizzare l’emulsione per luce diur-
na, si possono adoperare i filtri di conversione che, applicati
frontalmente all’obiettivo, sono in grado di rendere compati-
bili le pellicole alle varie fonti luminose. Lo stesso flash, pur
avendo la giusta temperatura di colore, può produrre immagini
troppo fredde. Appositi filtri, denominati “worm”, forniscono
un’immagine più calda e naturale.
Pellicole
Tra i personaggi che hanno dato il loro contributo alla nasci-
ta della fotografia, un ruolo particolare spetta all’inglese Henry
Fox Talbot, che possiamo definire l’inventore della fotografia
intesa in senso moderno. Già dal 1839, infatti, mentre Daguerre
produceva immagini su lastra in unico esemplare, Talbot otte-
neva le sue fotografie da negativi di carta, stampabili in un nu-
mero a piacere di copie. Da allora, il supporto ha subito nume-
rose migliorie, passando dalla carta trasparente al vetro, dalla
pellicola in celluloide a quella attuale in acetato di cellulosa.
1	 Dominante gialla prodotta da illumi-
nazione artificiale su pellicola per luce
solare (il fondale è di colore grigio).
Percezione del colore
Ad alcuni, sarà capitato di comprare un capo
d’abbigliamento colorato, e di rimanere sor­
presi dal colore una volta osservato alla luce
solare. È successo che il colore che noi abbiamo
apprezzato nel negozio, era illuminato da una
luce artificiale, e perciò da essa influenzato, col
risultato di un’alterazione nella percezione visi­
va. Per evitare sorprese sa­reb­be opportuno, se
possibile, con­­trollare preventivamente il colore
alla luce solare.
Fotografia in bianco e nero
Con il bianco e nero il problema relativo alla
temperatura del colore sussiste in misura logica­
mente inferiore. Bisogna però te­nere presente
che la resa in termini di grigio di alcuni colori
potrebbe scostarsi dal normale. A seconda dei
casi, si potrebbe a­vere un aumento o una di­
minuzione del contrasto nella registrazione dei
colori.
17
La struttura
La moderna pellicola è costituita da un consistente supporto
plastico, al quale sono fatti aderire altri strati dalle funzioni
differenti. Con l’aiuto del disegno, ve­dia­mo di analizzarli uno
ad uno.
1.	 Strato antigraffio: è uno strato sottilissimo con funzio­ne
protettiva contro graffi ed abrasioni.
2.	 Emulsione: è lo strato che contiene la sostanza fotosensibile,
ossia l’alogenuro d’argento.
3.	 Strato adesivo: composto da una gelatina collosa stesa in
uno strato sottilissimo, ha la funzione di far aderire l’emul-
sione.
4.	 Base della pellicola: supporto in acetato di cellulosa o polie-
stere, offre ottime doti di trasparenza e stabilità.
5.	 Secondo strato adesivo: ha la funzione di far aderire lo stra-
to sottostante.
6.	 Strato antialone: ha la funzione di impedire che i raggi lu-
minosi si riflettano sul fondo della pellicola o del dorso della
fotocamera, tornando all’emulsione; se questo avvenisse, si
formerebbero degli aloni nelle zone più chiare. Lo strato ha
anche funzione anti-accartocciamento.
L’emulsione
Lo strato che desta maggiore interesse è sicuramente l’emul-
sione. In tanti anni di storia, la fotografia deve in buona parte i
suoi progressi alle caratteristiche costantemente migliorate sia
in fatto di qualità che di sensibilità. Non dimentichiamoci che a
Niépce furono necessarie ben otto ore di esposizione alla luce,
ed anche i dagherrotipi necessitavano di diversi minuti, tanto
da non consentire inizialmente la ripresa di persone.
L’emulsione è costituita da gelatina purissima nella quale
sono stati sciolti bromuro e ioduro di potassio, e successivamen-
te nitrato d’argento. Il composto definitivo, nelle varie formu-
lazioni, prende il nome di alogenuro d’argento. Le moderne
pellicole possono avere uno o più strati di emulsione.
L’immagine latente
Le trasformazioni che avvengono all’interno di una pellico-
la durante l’esposizione ed il successivo trattamento chimico,
non le possiamo controllare a vista perché il film deve rimanere
costantemente al buio. Può tuttavia aiutarci l’esperienza in ca-
mera oscura relativa alla stampa, perché pellicola e carta rea-
giscono nello stesso modo, con la differenza che quest’ultima
può essere costantemente visionata grazie all’ausilio della luce
di sicurezza.
Mediante l’esposizione, si verifica un fatto fondamentale:
la luce provoca un’alterazione delle particelle fotosensibili di
alogenuro d’argento, generando un’immagine che noi definia-
mo latente. A questo livello, se la pellicola fosse visionabile,
l’occhio non sarebbe in grado di percepire nulla, come avviene
del resto per la carta. L’immagine latente è quindi un’immagine
invisibile, che diviene evidente solo in seguito al trattamento
chimico operato dal rivelatore. Sviluppando una carta possiamo
osservare il “miracolo” avverarsi sotto i nostri occhi. In pratica
1	 Sezione di una pellicola in bianco/nero.
2	 Dicitura “Safety” sulle pellicole attuali.
Safety film
Le attuali pellicole in acetato so­no ininfiamma­
bili ed hanno la denominazione “safety film”
che ne indica la sicurezza d’uso. Sebbene meno
sentito dal fotografo, il problema dell’infiam­
mabilità era particolarmente considerato nel
mondo del cinematografo. Le vecchie pellicole
in cellulosa, utilizzate in macchinari per la proie­
zione, potevano infatti innescare veri e propri
incendi. Se volete saperne di più, questo è un
ottimo pretesto per vedere il film “Nuovo Ci­
nema Paradiso”, che valse al regista Giuseppe
Tornatore il Premio Oscar.
18	 2. La luce e i materiali fotosensibili
è bastata la formazione di pochi atomi di argento metallico al-
l’interno di ogni cristallo di alogenuro d’argento per innescare
quel processo, che grazie al rivelatore subisce una forte accele-
razione, e porta all’immagine fotografica.
Si può paragonare l’immagine latente ad un suono, talmen-
te debole da non essere percepito dall’orecchio, che può però
essere amplificato, diventando perfettamente udibile.
Il rivelatore svolge quindi un’azione amplificatrice nella tra-
sformazione degli alogenuri d’argento in ar­gen­to metallico.
Il negativo
Le pellicole si possono dividere in due categorie: negative
ed invertibili (diapositive). Le prime sono le più diffuse in asso-
luto e sono caratterizzate dal fatto che forniscono un’immagi-
ne negativa. Vediamone il significato.
Negativo significa che un tono viene registrato con il suo
opposto: il colore bianco diventa nero, mentre il nero è regi-
strato come bianco. In generale, i colori chiari sono trasformati
in grigi scuri e viceversa.
Il motivo di questa inversione rispetto alla realtà, è dato dal
tipo di sostanza fotosensibile utilizzata, l’argento, e dalla sua
reazione nei confronti della luce: l’annerimento. L’emulsione
colpita dalla luce diventa nera perché l’alogenuro d’argento si
trasforma in argento metallico, mentre le zone non illuminate
non reagiscono, risultando successivamente trasparenti.
L’esperienza in camera oscura è la via più semplice per capi-
re questi concetti. Poiché anche la carta è un negativo, si può
utilizzarla come paragone. Riprendendo l’esperienza trattata
in “Primo approccio”, su un foglio di carta fotosensibile appog-
giamo la nostra mano ed accendiamo la luce, la parte di carta
che viene impressionata è solo quella lasciata scoperta. Lo svi-
luppo in bacinella produrrà una mano bianca su sfondo nero.
Nella realtà, la mano era più scura del fondo bianco, mentre
l’esperimento ci evidenzia che diventa più scuro ciò che riceve
più luce.
In fotografia, il negativo rappresenta solo il primo passag-
gio, cui deve seguire la stampa. In questa fase i colori si inverto-
no nuovamente, col risultato che a quelli chiari corrispondono
grigi scuri, a quelli più scuri, tonalità di grigio chiaro.
Carte e pellicole reagiscono allo stesso modo. Per­tan­to,
avvalendovi della camera oscura, sperimentate quanto detto:
sono sufficienti un foglio di carta sensibile, una lampada ed
una mano.
1	 Esercitazione: esposizione.
2	 Esercitazione: l’immagine latente invi-
sibile.
3	 Esercitazione: sviluppo dell’immagine
latente.
19
Pellicole diapositive
Le pellicole diapositive a colori sono molto diffuse ed uti-
lizzate sia a livello professionale che amatoriale. L’equivalente
prodotto in bianco e nero invece, trova una diffusione piutto-
sto limitata, e la stessa offerta da parte dei produttori è ristret-
ta a pochissimi prodotti.
Si tratta di pellicole invertibili, nelle quali ad un certo punto
del trattamento avviene l’inversione dei toni: quelli scuri diven-
tano chiari e viceversa, ottenendo un’immagine direttamente
positiva su pellicola. L’immagine, successivamente intelaiata,
viene vista tramite proiezione.
Le pellicole invertibili possono anche essere trattate come
negative, saltando il processo di inversione. In questo modo si
possono produrre negativi eccellenti, ma dal costo piuttosto
elevato.
Sensibilità cromatica
Una pellicola in bianco e nero trasforma i colori in varie to-
nalità di grigio, in base al loro livello d’illuminazione ed alla
capacità di captare detti colori.
Sappiamo che l’occhio percepisce solo una parte delle onde
elettromagnetiche esistenti in natura. In effetti noi possiamo
vedere lo spettro che va da 400 nm a 700 nm (nanomètri), ovve-
ro dal blu-viola al rosso.
Quando è stata inventata la fotografia, le emulsioni foto-
sensibili non erano in grado di registrare i colori così come li
coglie l’occhio e, a ben vedere, sarebbe stato un puro caso!
Oggi, possiamo disporre di emulsioni dalle diverse risposte
alla luce: dalle pellicole pancromatiche sensibili a tutti i colori,
alle pellicole con una limitata sensibilità spettrale, come le “blu
sensibili”.
Pellicole pancromatiche
Le pellicole oggi più comunemente usate, le pancromati-
che, sono tarate per percepire gli stessi colori visibili dall’occhio
anche se, in realtà, evidenziano una differenza nell’intensità
percettiva.
L’occhio, infatti, manifesta una sensibilità maggiore per il
verde che diviene così più luminoso, minore per il rosso ed il
blu. Le emulsioni pancromatiche, al contrario, registrano il blu-
violetto ed il rosso più chiari, il verde più scuro.
Nel caso fosse necessaria una corrispondenza particolarmen-
te accurata tra la visione dell’occhio e quella della pellicola, è
consigliato l’uso di un filtro giallo chiaro. Le pellicole pancro-
matiche, essendo sensibili a tutti i colori, vanno trattate al buio
totale.
Pellicole ortocromatiche
Sebbene poco utilizzate, queste pellicole trovano ancora
estimatori nel campo della ritrattistica. Le loro caratteristiche
possono adattarsi bene a chi vuole mettere in evidenza parti-
colari del volto, quali le labbra, le lentiggini o un viso partico-
larmente roseo. In questi casi, l’effetto ottenuto è una minore
densità nel negativo, in corrispondenza di questi particolari, e
1	 Esercitazione: esposizione.
2	 Esercitazione: negativo.
3	 Esercitazione: controtipo, positivo ot-
tenuto per contatto.
4	 Spettro visibile da 400 a 700 nm.
20	 2. La luce e i materiali fotosensibili
quindi un maggior annerimento nella stampa.
Questo si spiega per il fatto che le pellicole ortocromatiche
non sono sensibili al rosso e all’arancione scuro. I colori non
percepiti dall’emulsione, nel negativo risultano trasparenti, e
nella successiva stampa neri.
Al pari delle pellicole blu sensibili, queste trovano utilizzo
anche nelle riproduzioni di originali unicamente in bianco e
nero, privi cioè di grigi intermedi.
Pellicole sensibili al blu
Le prime emulsioni erano sensibili solamente alle lunghezze
d’onda del violetto e del blu. Osservando le vecchie stampe si
notano infatti i cieli bianchi e privi di particolari, mentre ciò
che era verde come l’erba, o rosso come i tetti, appariva molto
scuro.
Queste pellicole, tuttora prodotte ma destinate ad usi parti-
colari, sono dette blu sensibili, e sono del tutto simili alla carta
fotografica.
Il loro utilizzo è prevalentemente rivolto alla riproduzione
“al tratto” di originali bianco-neri privi di grigi intermedi. Il
trattamento si può effettuare con luce di sicurezza gialla.
Accorgimenti
Senza ricorrere all’acquisto di pel­licole ortocro­
matiche, è pos­­­­sibile ottenerne in gran parte gli
effetti con una normale pellicola pancromatica.
Basta anteporre al­l’obiettivo un filtro rosso
negativo 44A che, di fatto, rende la pellicola
insensibile al colore rosso, trasmettendo so­lo
blu e verde.
Per ottenere gli stessi effetti di una pellicola blu
sensibile con una normale pellicola pancromati­
ca, si deve utilizzare un filtro blu scuro (n 47 B)
che rende l’emulsione insensibile al giallo.
“Al tratto”
Sono così definiti i di­segni in bianco e nero con
i soli tratti del contorno, senza gri­gi ed anche i
testi di un libro.
1	 Corsica. Pellicola a sviluppo cromoge-
no stampata su carta a colori.
21
Pellicole all’infrarosso
Sono pellicole sensibili parzialmente al rosso, ma soprattut-
to all’infrarosso, che come sappiamo non é percepibile dall’oc-
chio. Sono anche in grado di vedere luce blu, tuttavia questa
lunghezza d’onda può essere eliminata anteponendo un filtro
rosso o giallo scuro (blu negativo) all’obiettivo. Il risultato è
una pellicola che vede principalmente ciò che l’occhio non vede
(fino a 900 nm), con risultati spesso affascinanti sebbene con-
trollabili solo dopo aver maturato molta esperienza.
Pellicole a sviluppo cromogeno
In questi ultimi anni sono state immesse sul mercato delle
pellicole dalle caratteristiche molto particolari, a sviluppo cro-
mogeno.
Nonostante si tratti di emulsioni in bianco e nero, la loro
struttura è tale da necessitare dello stesso sviluppo che si uti-
lizza con le pellicole a colori, il comune C41. Questo è il del
trattamento più consueto, utilizzato per la quasi totalità delle
pellicole negative a colori. La stampa del negativo può essere
eseguita con la tradizionale carta in bianco e nero, ma anche
con quella a colori.
I vantaggi, per chi usa da tempo il bianco e nero, sono evi-
denti: oggi, servendosi dei minilabs, i piccoli laboratori di svi-
luppo rapido diffusi ovunque, si può avere il rullino sviluppato
e stampato nel giro di un’ora, a prezzi ormai molto favorevoli.
Le foto che si ritengono più meritevoli possono essere successi-
vamente stampate per ingrandimento nel proprio laboratorio,
o affidandosi a quello di fiducia.
Dal punto di vista delle prestazioni, sono pellicole dall’eccel-
lente resa dell’immagine e dall’elevata latitudine di posa, che
arriva a ben dodici stop, contro gli otto delle normali negati-
ve.
Un limite, ancor oggi parzialmente irrisolto, riguarda la dif-
ficoltà di taratura delle macchine per la stampa su carta a colori.
In molti casi infatti, le immagini anziché bianco-nere tendono
ad un colore, nel migliore dei casi seppia, come le vecchie foto
virate, oppure con dominanti diverse. Stampando su carta per il
bianco e nero, il problema non sussiste.
Pellicole con estesa sensibilità al rosso
Sono pellicole pancromatiche particolarmente sensibili al
colore rosso. Usate senza filtri producono risultati simili alle
normali pellicole pancromatiche, mentre utilizzando filtri dal
giallo al rosso scuro, offrono riproduzioni tonali inconsuete. In
particolare, con un filtro rosso il cielo appare molto scuro men-
tre i colori rossi, o contenenti il rosso, sono resi particolarmente
chiari, portando all’estremo i risultati ottenibili analogamente
con le pellicole pancromatiche standard. Si vedano a proposito
i “filtri contrasto”.
Pur essendo pellicole molto simili a quelle all’infrarosso, si
possono caricare in macchina anche alla luce, purché sia atte-
nuata, e vengono sviluppate con i normali prodotti.
Per saperne di più
Uso del filtro specifico: il Ko­dak Wratten n 89B,
specifico per pellicole all’infrarosso, as­sorbe tut­
te le lunghezze d’on­da percepibili dall’occhio,
pertanto la pellicola vede unicamente l’infra­
rosso. Considerato il totale assorbimento della
luce, la messa a fuo­co va eseguita senza filtro.
Pellicole a sviluppo cromogeno
Come nelle pellicole negative a colori, l’imma­
gine è composta dai coloranti giallo, magenta
e cyan, ma emulsionati in modo da ottenere un
negativo b/n.
Si veda il capitolo dedicato al trat­­­tamento delle
pellicole negative a colori.
Nonostante siano pellicole della sensibilità no­
minale di 400 ISO, la grana ha una estrema fi­
nezza, paragonabile a quella di emulsioni meno
sensibili. Inoltre, a seconda delle necessità, la
pellicola può essere esposta da 50 a 800 Iso:
durante lo sviluppo, sarà sufficiente variarne il
tempo, senza ricorrere a prodotti per procedi­
menti “spinti”.
Il trattamento della pellicola può essere ese­
guito dallo stesso fotografo grazie ad un kit di
sviluppo. Questo particolare può essere molto
apprezzato da chi non vuole rinunciare al to­
tale controllo delle operazioni, ma necessita di
un’attrezzatura più sofisticata di quella abituale,
dato che la temperatura di sviluppo di 38° ha
un margine di tolleranza di soli 0,2°.
Latitudine di posa
È la capacità da parte della pellicola di registrare
con sufficiente dettaglio zone caratterizzate
da una diversa illuminazione, che rispetto al­
l’esposizione generale portano a sovra o sotto-
esposizione. In pratica, un’elevata latitudine di
posa comporta un soddisfacente dettaglio sia
nelle zone fortemente illuminate che in quelle
in ombra.
22	 2. La luce e i materiali fotosensibili
Sensibilità alla luce
La sensibilità alla luce è un elemento fondamentale delle
pellicole. La storia della fotografia registra un costante inte-
resse ed impegno da parte dei produttori nel cercare emulsioni
sempre più rapide. La maggiore sensibilità deve infatti fare i
conti con la qualità fotografica, che spesso ne risente. Tra i si-
stemi di misurazione della sensibilità, negli anni sono andati
affermandosi quelli americano (ASA) e tedesco (DIN).
Oggi si è adottata a livello internazionale la misurazione ISO
(International Standards Organisation) che, di fatto, ha sola-
mente riunito i due sistemi già in uso. Una pellicola di 100 ASA,
equivalente a 21 DIN, viene ora indicata 100/21° ISO. A livello
pratico però, si è soliti dire solamente 100 ISO, trascurando il
valore DIN. Questo è dovuto anche al fatto che sia le fotocame-
re che gli esposimetri recenti riportano solo il primo valore. In
concreto, quindi, ISO e ASA coincidono. La sensibilità espressa
in ISO adotta dunque la vecchia scala ASA, di tipo aritmetico.
Nella scala, al raddoppiare del valore, corrisponde il rad-
doppio della sensibilità. Questo significa che ad esempio una
pellicola da 200 ISO ha bisogno di metà luce rispetto ad una di
sensibilità 100. In termini operativi, la differenza è di uno stop
(tempo o diaframma).
Vediamo un esempio pratico: la corretta esposizione con
una pellicola da 100 ISO può essere, ad esempio, 1/30” con f/8.
Con una pellicola da 200 ISO, si guadagna uno stop, pertanto
si può usare un tempo più breve (1/60”) o un diaframma più
chiuso (f/11).
Le due coppie equivalenti sono quindi, 1/60” con f/8, e 1/30”
con f/11.
Caratteristiche principali
I numerosi prodotti presenti sul mercato offrono am­pie ga-
ranzie di riuscita del lavoro da eseguire. A se­con­da dei generi
fotografici, le caratteristiche da ritenere prioritarie cambiano:
per una pagina pubbli­ci­taria si deve ricercare la massima quali-
tà possibile, mentre per il reportage assume primaria importan-
za la fattibilità, anche a costo di una definizione inferiore.
Le pellicole, comunque, sono tra di loro confrontabili, e al-
l’interno di una stessa categoria di appartenenza (ad esempio
la sensibilità) vi sono parametri da prendere in considerazione
per individuare quella più adatta alle esigenze del momento.
Fotografia digitale.
Le fotocamere digitali offrono l’opportunità di
impostare la sensibilità del sensore a differenti
valori. La scala adottata, rimane quella ISO, tipi­
ca delle pellicole.
Particolarmente apprezzata, è la possibilità di
variare la sensibilità da uno scatto all’altro, a se­
conda delle condizioni di luce. Per contro, solo
i modelli professionali possiedono una scelta
paragonabile alle pellicole, mentre i modelli più
comuni sono spesso limitati alla sensibilità di
400 ISO.
Scala DIN
La scala DIN è di tipo logaritmico. In essa quan­
do si raddoppia la sensibilità, il numero aumen­
ta di tre unità.
Tabella corrispondenze
ASA DIN
25 15
50 18
100 21
200 24
400 27
800 30
1600 33
3200 36
Scala dei valori base
6	 12	 25	 50	 100	 200	 400	 800	 1600	 3200	 6400
Scala che tiene conto dei valori corrispondenti ad 1/3 e 2/3 di diaframma
2 16 20 25 32 40 50 64 80 100 125 160 200 250 320 400
1	 Confezione di pellicola a colori: in
evidenza le caratteristiche e i dati sulla
conservazione.
23
La grana
Un’emulsione di elevata sensibilità è ottenuta me­diante la
formazione di cristalli di alogenuro d’argento più grandi. Tra-
sformandosi in argento metallico, questi pezzi andranno a com-
porre il mosaico che formerà l’immagine. Tanto maggiore è la
loro dimensione, tanto più evidente sarà l’effetto sgranato ot-
tenuto. Si riscontra perciò che tra un pezzo e l’altro di’argento,
c’è un piccolo spazio vuoto, e questo sarà tanto più grande col
crescere della sensibilità. Una volta stampata per ingrandimen-
to, l’immagine apparirà sgranata, con una generale perdita del
dettaglio. In una pellicola di minore sensibilità invece, è come
se disponessimo di tessere di mosaico molto più minute. Ap-
pare evidente che l’immagine ottenibile, grazie ad una grana
ben più contenuta, si evidenzia per una maggiore continuità
di tratto.
In un negativo sviluppato, la grana è dunque costituita dalle
macchioline di argento metallico derivato dallo sviluppo del-
l’alogenuro d’argento esposto alla luce, ed è visibile solo me-
diante l’uso di microscopi o forti lenti d’ingrandimento.
Il destino del negativo però, è di essere stampato, ed il più
delle volte ciò avviene per ingrandimento. Questo comporta
una maggiore dimensione dell’immagine ed anche della gra-
na.
La grana, come si è visto, dipende direttamente dalla sensi-
bilità della pellicola, ma non solo. Il suo controllo dimensionale
può avvenire anche in fase di sviluppo mediante rivelatori “fine
granulanti”, temperature di sviluppo non superiori ai 20°, ri-
velatori diluiti. In fase di ripresa, invece, si deve stare attenti a
non sovraesporre, mentre in stampa, una carta più contrastata
ne riduce l’evidenza. È logico infine che maggiore è l’ingrandi-
mento, maggiore risulta l’effetto sgra­nato; si deve anche tenere
presente che tali foto vanno visionate ad una distanza maggio-
re, per cui la grana diviene meno evidente. Il formato, infine, è
fondamentale dato che a parità di stampa finale, le dimensioni
del negativo comportano differenti livelli di ingrandimento.
Una stampa 18x24 ottenuta da una pellicola 35 mm richiede un
ingrandimento di otto volte, mentre sono sufficienti due soli
ingrandimenti se si usa un formato 10 x 12 centimetri.
Per saperne di più
È da notare che, con riferimento alla stampa,
ciò che i fotografi chiamano grana sono le mac­
chie nere derivate dagli spazi vuoti della pellico­
la. Le zone del negativo ricoperte d’argento for­
mano infatti una barriera al passaggio della luce
e vengono ri­prodotte come bianco sulla stam­pa.
Al contrario, gli spazi tra­spa­renti lasciano passa­
re la lu­ce che, impressionando la car­ta, for­merà
il nero. Anche se im­pro­priamente, questa è la
grana cui si fa riferimento nella valutazione fi­
nale delle stampe.
1	 Esercitazione: fotografia ottenuta con
una pellicola da 400 ISO.
2	 Esercitazione: fotografia ottenuta con
una pellicola da 50 ISO.
3	 Fotografia pubblicitaria a dimensione di
stampa.
4	 Fotografia di reportage a dimensione di
stampa.
24	 2. La luce e i materiali fotosensibili
Il formato
La scelta del formato può sembrare un aspetto banale, per-
chè non implica formulazioni chimiche od altre questioni tecni-
che. In realtà l’adozione di un formato sottintende una scelta
fondamentale: la qualità o la maneggevolezza. Chiaramente, i
piccoli formati come il 35 mm che si abbinano a macchine picco-
le e leggere sono scelti da chi esegue foto d’azione, nelle quali
conta più la possibilità di riprendere le immagini, che la quali-
tà. Al contrario, chi può fotografare senza fretta, con l’ausilio
del treppiede, troverà indubbio vantaggio nelle prestazioni dei
formati maggiori.
In tabella sono riportati alcuni formati in commercio e la re-
lativa grandezza d’immagine nel negativo. Altri tipi di formato
sono piuttosto inusuali. Vi sono inoltre pellicole che vengono
vendute in bobine, sia per il 35 mm che per il medio formato.
Dal punto di vista delle prestazioni, premesso che la struttu-
ra della pellicola è pressoché uguale nei vari formati (con uno
spessore maggiore nelle pellicole piane), la qualità è sicuramen-
te a favore dei formati maggiori per due fondamentali motivi:
1	 Un minor ingrandimento necessario, con conseguente ridot-
ta evidenziazione della grana; in alcuni casi si può addirittu-
ra stampare per contatto.
2	 La minore compressione dei dati: la stessa inquadra­tura vie-
ne registrata su una superficie più ampia, con un aumento
del potere risolutivo.
denominazione formato dim. effettive n. fotogrammi
110 13 x 17	 mm 13 x 17 12 – 20
APS 17 x 30	 mm 17 x 30 25
135 24 x 36	 mm 24 x 36 12 – 24 – 36
120 4,5 x 6	 cm 45 x 57 15
120 6 x 6	 cm 57 x 57 12
120 6 x 7	 cm 57 x 70 10
120 6 x 9	 cm 57 x 90 8
220 4,5 x 6	 cm 45 x 57 30
220 6 x 6	 cm 57 x 57 24
Pellicola piana* 4 x 5” 10,2 x 12,7 1
Pellicola piana* 5 x 7” 12,7 x 17,8 1
Pellicola piana* 8 x 10” 20,3 x 25,4 1
*misure in pollici: 1”= cm 2,54
Le pellicole piane
Sono impiegate in apparecchi fo­­­­t­ografici di
grande formato, tipo il banco ottico.
Inserite al buio in appositi telai chiamati chassis,
vengono alloggiate nelle fotocamere consenten­
do singoli scatti di grandi di­mensioni. Possono
essere sviluppate in bacinella o in tank, singolar­
mente o in piccolo nu­mero.
25
Contrasto
Una semplice definizione di contrasto, riguardante un’im-
magine fotografica, può essere sintetizzata nel grado di diffe-
renza tra le zone chiare e quelle scure. Quando il salto percet-
tivo è elevato, passando direttamente da zone molto luminose
ad ombre marcate, si dice che il contrasto è alto. Se invece in
un’immagine si leggono molti dettagli sia in zone chiare che in
zone più scure, e la differenza di luminosità è contenuta, dicia-
mo che si ha un contrasto medio. Il contrasto, infine, è basso se
l’immagine appare piatta, poco tridimensionale, con le lumino-
sità compresse.
Tra i fattori che influenzano il contrasto finale di una fo-
tografia c’è il contrasto intrinseco della pellicola, ed il fattore
principale da cui esso dipende è lo spessore dell’emulsione e, di
conseguenza, la sensibilità. Le pellicole poco sensibili hanno in-
fatti un’emulsione più sottile di quelle più rapide. Col crescere
dello spessore, e quindi della sensibilità, il contrasto diminui-
sce.
Le emulsioni poco sensibili, caratterizzate da un elevato
contrasto, non sono in grado di registrare una vasta gamma
di luminanze, per cui il controllo dell’illuminazione, quando
possibile, deve tendere ad un contenimento dei diversi livelli
luminosi sul soggetto.
Al contrario, le pellicole ad elevate sensibilità hanno una
maggiore capacità di riprendere una gamma di luminosità più
estesa. Questo può portare, quasi paradossalmente, alla loro
scelta in situazioni di notevole illuminazione, quando questa
sia accompagnata da forti chiaroscuri sul soggetto.
Il contrasto finale di un’immagine fotografica dipende dun-
que:
•	 dall’illuminazione del soggetto,
•	 dalla pellicola,
ma anche:
•	 dal trattamento del negativo
•	 dalla carta usata in stampa, come evidenzieremo in seguito.
Potere risolutivo
A livello di test di laboratorio, il potere risolutivo di una
pellicola indica la sua capacità di registrare una serie di linee tra
loro molto ravvicinate come entità distinte l’una dall’altra.
A livello pratico, è la capacità di registrare i dettagli più mi-
nuti presenti nella scena.
Come è logico aspettarsi, il potere risolutivo si abbina male
ad una pellicola con grana grossa, per cui sarà maggiore nelle
emulsioni lente (poco sensibili).
Un secondo elemento importante è il formato. La possibilità
di registrare l’immagine su una superficie maggiore garantisce
risultati migliori.
La scelta di determinati rivelatori, in fase di sviluppo del ne-
gativo, porta ad un ulteriore controllo di questa caratteristica.
1	 Immagine negativa a basso contrasto.
2	 Immagine negativa ad alto contrasto.
26	 2. La luce e i materiali fotosensibili
Acutanza
L’acutanza è la misura del contrasto in prossimità dei limiti
tra zone chiare e scure. Se riprendiamo in considerazione le li-
nee nere su fondo bianco utilizzate nella prova di laboratorio
per misurare il potere risolutivo, l’acutanza (detta anche micro-
contrasto) riguarda il modo con cui si passa dal nero al bianco.
Con acutanza elevata, il passaggio è netto, altrimenti ci appare
sfumato, e può essere confuso con la sfocatura.
L’acutanza, come il potere risolutivo, è maggiore nelle pel-
licole poco sensibili, ma è molto influenzata anche dal tipo di
rivelatore utilizzato nello sviluppo del negativo. Poiché i rivela-
tori ad alta acutanza comportano un accrescimento della gra-
na, il loro utilizzo è consigliabile solo con pellicole lente.
Latitudine di posa
L’occhio è un organo dalle capacità straordinarie, in grado
tra l’altro di distinguere e leggere, in una scena, sia zone forte-
mente illuminate, sia parti in ombra.
Se si fotografa la stessa scena pensando di poterla rivedere
altrettanto distintamente nelle singole parti, si può andare in-
contro a cocenti delusioni. La pellicola, infatti, non ha una pari
capacità di estendere contemporaneamente la registrazione
alle zone così diversamente illuminate, col risultato di rendere
indistinguibili i particolari troppo in ombra rispetto a quelli più
illuminati o viceversa.
La latitudine di posa di una pellicola è la capacità di regi-
strare a livelli più o meno estesi le zone con differenti illumi-
nazioni.
Conoscerla significa sapere quanto la pellicola è in grado di
registrare le zone illuminate in maniera diversa rispetto a quel-
la dove è stata fatta la lettura con l’esposimetro. In altre parole,
la latitudine di posa è l’errore tollerato rispetto all’esposizione
fatta.
Poiché capita spessissimo di dover fotografare soggetti con
illuminazioni molto diversificate, la scelta della pellicola può
esser fatta anche in base a questo parametro. Più in generale,
se si conoscono il comportamento ed i limiti della pellicola da
utilizzare è possibile condizionarne l’esposizione privilegiando
le basse o le alte luminosità.
Le pellicole con maggiore latitudine di posa sono quelle
negative. Le diapositive invece hanno una tolleranza molto ri-
dotta e sono più difficili da usare. Infine, la latitudine di posa
cresce con l’aumentare della sensibilità della pellicola.
Nitidezza
Potere risolutivo ed acutanza, vengono spesso
riassunti con il termine nitidezza.
Fotografia digitale.
Nella fotografia digitale, i termini di valutazione
della qualità fotografica, hanno sostanziali ana­
logie con la fotografia tradizionale. È evidente,
che a sensori di piccole dimensioni corrispon­
dano prestazioni inferiori, così come ad elevate
sensibilità corrispondano immagini meno det­
tagliate, in questo caso per l’insorgenza di un
“rumore” elettronico prodotto dal sensore. Ri­
guardo la nitidezza, si effettuano le stesse prove
di valutazione della resa fotografica su mire.
1	 Mira utilizzata nelle prove di laborato­
rio per testare la nitidezza dell’imma­
gine.
2	 Cristalli di alogenuro d’argento ingran­
di­ti con il microscopio elettronico.
27
icaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecTecnicani
Gli apparecchi
fotografici
	 28	 Componenti
principali
	 28	 Il formato
	 28	 Il corpo macchina
	 28	 Il porta-pellicola e il sistema
di trascinamento
	 30	 Il dorso
	 30	 L’otturatore
	 30	 Otturatore sul piano focale,
det­to a tendina
	 32	 Il tempo di sincronizzazione
	 32	 I tempi di esposizione
	 32	 L’otturatore centrale
	 33	 Tipi di otturatore a
confronto
	 33	 L’obiettivo
	 34	 Il diaframma
	 34	 Il mirino
	 35	 Macchine a telemetro
	 35	 Il telemetro
	 36	 Pro e contro
	 37	 La reflex monoculare
35 mm
	 37	 La visione reflex
	 39	 La messa a fuoco
	 40	 Potenzialità
	 40	 Accessori
	 41	 La reflex digitale
	 41	 Pro e contro
	 41	 I punti a favore
	 41	 I punti a sfavore
	 42	 Conclusioni
	 42	 La reflex biottica
	 42	 L’inquadratura
	 43	 La messa a fuoco
	 43	 Pro e contro
	 44	 La reflex di medio
formato
	 45	 L’otturatore
	 45	 L’inquadratura
	 45	 Messa a fuoco
	 46	 Pro e contro
	 47	 Sistemi a corpi mobili
	 47	 Parti dell’apparecchio
	 48	 L’inquadratura
	 49	 L’esposizione
	 50	 I movimenti
	 50	 Conseguenze del
decentramento
	 52	 Conseguenze del
basculaggio
3
28	 3. Gli apparecchi fotografici
Componenti principali
Il formato
Una prima distinzione importante per gli apparecchi foto-
grafici riguarda il formato della pellicola che sono in grado di
alloggiare. Dagli apparecchi miniaturizzati di tipo spionistico, a
quelli di grande formato per pellicole piane, la scelta è piutto-
sto ampia ma, nella pratica, si distinguono tre categorie: picco-
lo, medio e grande formato.
Alla prima categoria appartengono gli apparecchi fino al 35
mm, alla seconda quelli che utilizzano pellicole 120 (dal 4,5x6 al
6x9 cm), alla terza quelli che impiegano formati superiori.
Se alla prima categoria spetta il primato della praticità e
facilità di utilizzo, le macchine di formato maggiore, grazie al-
l’impiego di pellicole di grandi dimensioni, sono in grado di
fornire livelli qualitativi indubbiamente superiori.
Il corpo macchina
Il corpo di un apparecchio fotografico deve offrire una ga-
ranzia assoluta di ermeticità alla luce, ma non solo.
A distanza di quasi duecento anni, la “camera obscura” si
è trasformata arricchendosi di componenti sia meccanici che
elettronici in grado di conferirne prestazioni particolari, e di
velocizzare e semplificare le varie operazioni che vanno dal cal-
colo automatico dell’esposizione al trascinamento motorizzato
della pellicola. L’alloggiamento dei componenti elettronici, del
motore e delle batterie ha portato ad un ripensamento della
forma dell’apparecchio. I modelli attuali sono più voluminosi
dei precedenti; vengono però progettati con particolare cura
riguardo l’ergonomia, tanto da risultare particolarmente ma-
neggevoli.
Al di là del tipo di apparecchio e del suo grado di innova-
zione, nel corpo macchina trovano alloggiamento gli elementi
fondamentali di ogni sistema fotografico che vedremo di se-
guito.
Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento
La parte posteriore del corpo macchina è predisposta per
l’alloggiamento della pellicola e dei meccanismi per il suo tra-
scinamento.
Rimandando il caso particolare delle pellicole piane alla
conclusione del capitolo (sistemi a corpi mobili), esaminiamo il
caso più comune delle pellicole in rullo.
Apparecchi 35mm
Per aprire l’apparecchio fotografico, a seconda dei mo­delli,
si solleva la manopola di riavvolgimento, oppure si agisce su dei
pulsanti posti lateralmente. Una volta aperto il dorso, si nota
sulla sinistra l’alloggiamento per l’involucro metallico della pel-
licola. Negli apparecchi recenti ci sono anche i sensori per la
lettura del codice a barre impresso sul rullino, che consentono
il trasferimento automatico dei dati del film.
A destra ci sono i congegni di agganciamento, che differi-
scono a seconda si abbia o meno il trascinamento motorizzato
1	 Fotocamera 35 mm “compatta.
2	 Banco ottico.
3	 Fotocamera di medio formato.
4	 Apertura del dorso per mezzo della ma­
nopola di riavvolgimento.
29
della pellicola. In questo caso (la quasi totalità degli apparecchi
sul mercato), facendo ben aderire la pellicola, è sufficiente po-
sizionarne la parte terminale in corrispondenza della tacca di
riferimento e chiudere il dorso della fotocamera. Premendo il
pulsante di scatto, il motore trascina la pellicola fino al primo
fotogramma utile.
Negli apparecchi privi di motorizzazione, la parte stretta
della pellicola va inserita nel rocchetto, controllandone il cor-
retto inserimento dei denti nelle perforazioni. Dopo aver dato
la giusta tensione alla pellicola per farla perfettamente aderire,
si chiude il dorso e, tramite la levetta di avanzamento, la si tra-
scina eseguendo due scatti a vuoto. Durante questa esecuzione
è importante controllare la manopola di riavvolgimento: se gira
vuol dire che la pellicola avanza regolarmente, altrimenti è ne-
cessario rivedere le procedure.
Mentre nei modelli motorizzati la pellicola viene fatta avan-
zare automaticamente ad ogni scatto, nelle macchine prive di
motore è necessario agire sulla leva di avanzamento.
Un grande vantaggio offerto dalla motorizzazione è dato
dalla possibilità di eseguire fotografie a raffica, la cui velocità
varia a seconda del livello più o meno professionale dell’appa-
recchio.
Ultimato un rullino, la pellicola deve essere riavvolta nell’in-
volucro metallico. Se disponete del motore è sufficiente darne
comando, generalmente premendo simultaneamente due pul-
santi, altrimenti si deve dapprima sganciare la pellicola median-
te un pulsante posto sul fondo della macchina, e successiva-
mente agire sulla manovella di riavvolgimento.
Apparecchi di medio formato
Gli apparecchi di medio formato utilizzano pellicole prive
di involucro metallico munite di uno strato di carta che eserci-
ta una funzione protettiva sia all’inizio che alla fine del rullo.
Per questo motivo, esauriti gli scatti a disposizione, non occorre
riavvolgere la pellicola, ma è sufficiente completare l’avanza-
mento svolgendo completamente la carta.
1	 Apparecchio medio formato: 	
in evidenza la pellicola.
2	 Inserimento della pellicola.
3	 Inserimento della pellicola negli appa-
recchi motorizzati.
4	 Manovella di riavvolgimento.
5	 Levetta di avanzamento della pel­­licola
e carica dell’otturatore.
30	 3. Gli apparecchi fotografici
Il rocchetto della pellicola già impiegata viene utilizzato per
quella seguente, cambiandogli posizione, facendolo diventare
cioè rocchetto ricevente.
Il sistema di trascinamento può essere anche in questo caso
manuale o motorizzato, mediante l’applicazione di speciali im-
pugnature con alloggiamento per motore e batterie.
Il dorso
Il dorso di una macchina fotografica ha la duplice funzione
di chiudere l’apparecchio ermeticamente alla luce e di mante-
nere la pellicola perfettamente piana, tramite il “pressore”.
Se si vogliono evitare inconvenienti quali infiltrazioni di luce
o strisci sulla pellicola, è indispensabile una buona manutenzio-
ne delle guarnizioni ed una perfetta pulizia.
Alcuni dorsi sono dotati di una finestrella a tenuta di luce
per controllare il tipo di pellicola impiegato.
L’otturatore
Nel 1826 a Niépce furono necessarie ben otto ore di espo-
sizione per ottenere la prima immagine fotografica; oggi, con
l’accresciuta sensibilità della pellicole, per la stessa immagine
basterebbero frazioni di secondo ed in condizioni particolari
potremmo ipotizzare addirittura un tempo di 1/1000 di secon-
do. Come si può esporre una pellicola per un tempo così breve
ed in modo preciso?
Ciò si ottiene grazie ad un congegno chiamato otturatore,
che può essere di tipo meccanico, sebbene oggi sia più frequen-
temente a controllo elettronico.
Esistono due tipi di otturatori, ognuno con dei punti di for-
za, il cui utilizzo è in genere condizionato dal tipo di apparec-
chio sul quale vanno montati. Vediamo di conoscerli.
Otturatore sul piano focale, det­to a tendina
L’otturatore a tendina si colloca nel corpo macchina, sul pia-
no focale, davanti alla pellicola. Assieme al dorso dell’apparec-
chio, è il congegno in grado di riparare costantemente dalla
luce l’emulsione, salvo il momento in cui il fotografo preme
il pulsante di scatto. In questo caso, l’otturatore è in grado di
aprirsi per un tempo predeterminato, durante il quale la luce
im­pressiona la pellicola.
Questo modello prende il nome da due tendine costituite
originariamente da una tela gommata a tenuta di luce, oggi
sostituite da lamelle in metallo che ne ricalcano comunque i
movimenti. Vediamoli nel dettaglio:
ipotizziamo di impostare un tempo di esposizione di 1”
•	 al momento dello scatto, la prima tendina si apre spostan-
dosi dall’alto in basso scoprendo interamente la pellicola.
•	 esattamente dopo 1”dall’inizio del movimento della prima
tendina, ne parte una seconda che, sempre dall’alto in bas-
so, chiude l’otturatore coprendo la pellicola.
Notate che la zona che viene scoperta per prima, quella su-
periore, è anche la prima a richiudersi, garantendo così un iden-
tico tempo di esposizione in qualsiasi punto della pellicola.
Se effettuate una prova con un apparecchio fotografico (sen­
za pellicola naturalmente), noterete inoltre la straordinaria ve-
1	 Dorso di apparecchio motorizzato.
2	 Otturatore a tendina con scorrimento
orizzontale.
3	 Otturatore metallico a scorrimento
verticale.
31
locità delle tendine. Effettuato lo scatto, agite sulla levetta per
caricare la pellicola ed osservate il movimento, questa volta dal
basso verso l’alto, delle tendine che, restando ermeticamente
chiuse, si riportano nella posizione precedente, pronte per un
altro scatto.
Con un tempo di esposizione lungo come quello dell’esem-
pio, la pellicola resta completamente scoperta. Questo avviene
anche per alcuni tempi più brevi ma, accorciandosi drastica-
mente l’esposizione, il movimento delle due tendine si fa più
ravvicinato, tanto che la seconda parte quando la prima non ha
ancora concluso la sua corsa. In questo caso la pellicola viene
esposta mediante la luce che passa attraverso una finestrella, di
larghezza costante, che scorre dall’alto verso il basso, la cui lar-
ghezza è determinata dal tempo di esposizione, e che si riduce
ad una feritoia impercettibile per i tempi ultra rapidi.
Nell’esempio si fa riferimento al modello oggi più diffuso:
l’otturatore a scorrimento verticale che, lavorando sul lato più
corto del formato, consente di arrivare a tempi di esposizione
brevissimi. Altre macchine montano un secondo tipo di ottura-
tore in cui lo scorrimento delle tendine avviene orizzontalmen-
te, tuttavia si tratta per lo più di apparecchi fuori produzione. Il
principio di funzionamento è identico a quello sopra descritto.
1	 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento verticale con tempi ugua-
li o più lunghi di 1/125 di secondo.
2	 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento verticale con tempi più
brevi di 1/125 di secondo.
3	 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento orizzontale con tempi
uguali o più lunghi di 1/60 di secondo.
4	 Sequenza apertura delle tendine a
scorrimento orizzontale con tempi più
brevi di 1/60 di secondo.
32	 3. Gli apparecchi fotografici
Il tempo di sincronizzazione
Con tempi di esposizione lunghi, la seconda tendina parte
quando la prima é già arrivata a fine corsa, mentre per tempi
brevi il ritardo tra le tendine si riduce e l’esposizione avviene
mediante la luce che passa attraverso una finestrella formata
dalle due tendine in movimento.
Qual è il tempo più breve per il quale si mantiene l’intera
apertura dell’otturatore?
Fino a qualche anno fa, la risposta sarebbe stata semplice:
1/60” per gli otturatori a scorrimento orizzontale, 1/125” per
quelli a scorrimento verticale. Oggi, con i progressi ottenuti
grazie all’elettronica, i tempi si sono accorciati, fino ad 1/250”.
Per conoscere il tempo preciso si deve consultare il libretto del-
le istruzioni.
Questo tempo particolare prende il nome di tempo di sin-
cronizzazione ed è riferito all’uso del flash. Si tratta del tempo
più breve che si può utilizzare con un flash elettronico ed è
intuitivo comprenderne le ragioni. Se si usasse un tempo infe-
riore, infatti, l’emissione del lampo impressionerebbe solo una
parte della pellicola, quella lasciata scoperta dalla finestrella
tra le due tendine.
Nelle macchine attuali, quando il flash è inserito, la rego-
lazione del tempo è generalmente automatica; in quelle più
vecchie deve essere eseguita dal fotografo.
I tempi di esposizione
I tempi di esposizione seguono una regola molto semplice:
ogni tempo è il doppio o la metà di un altro. Nelle macchine
fotografiche troveremo perciò i seguenti tempi espressi in se-
condi:
Per ragioni di spazio, nelle fotocamere i suddetti valori ven-
gono riportati senza la frazione per cui 1/500”, ad esempio, vie-
ne visualizzato solo con 500.
Le macchine recenti possono offrire tempi più brevi, oggi
fino ad 1/8000” ed anche il controllo di tempi lunghi oltre 1”.
Mancando quest’ultima opzione, si può utilizzare la posa B che
consente di mantenere aperto l’otturatore finché resta schiac-
ciato il pulsante di scatto. In questo caso è consigliabile l’uso
di un cronometro e diventa indispensabile lo scatto flessibile
per evitare di trasmettere vibrazioni con la pressione del dito.
I modelli recenti inoltre hanno introdotto l’impiego di tempi
intermedi, ma generalmente è un’opzione riservata a modalità
di utilizzo in automatico.
L’otturatore centrale
Il secondo tipo di otturatore è quello a lamelle, comune-
mente detto centrale. La funzione svolta è la medesima di quel-
lo a tendine: garantire alla pellicola un’e­spo­si­zio­ne alla luce in
un tempo preciso predeterminato, però la forma costruttiva e
1	 Fotografia eseguita con il flash ad un
tempo più breve del tempo di sincro-
nizzazione.
2	 Ghiera dei tempi.
Scala dei valori di base
1 1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000 1/2000
33
la collocazione lo fanno differire nettamente dall’altro tipo di
otturatore.
Innanzitutto si deve osservarne il posizionamento: l’ot­­tu­ra­
tore centrale è tutt’uno con l’obiettivo. Di conseguenza la sua
forma è circolare, e precisamente è costituito da una serie di
lamelle che al momento dello scatto si aprono, lasciando pas-
sare la luce.
Una volta apertesi totalmente, trascorso il tempo di ottura­
zio­ne impostato, le lamelle tornano alla posizione iniziale ri-
chiudendosi.
È importante notare che per qualsiasi tempo di esposizione
si ha la totale apertura dell’otturatore, consentendo in questo
modo l’utilizzo del flash anche con i tempi più brevi che, tutta-
via, arrivano solamente ad 1/500”.
Tipi di otturatore a confronto
L’otturatore a tendina ha dimensioni pari al formato del-
la pellicola. Di conseguenza il suo utilizzo è limitato al picco-
lo formato e alle misure inferiori del medio. E’ impensabile la
costruzione di otturatori per apparecchi di grande dimensione
quali il 4x5” o addirittura l’8x10” (misure in pollici: un pollice
cor­risponde a 25,4 mm).
L’otturatore centrale è perciò obbligatoriamente impiega-
to nel medio - grande formato, ma trova un suo largo utilizzo
anche negli apparecchi compatti di piccolo formato ad ottica
fis­sa.
I punti di forza dell’otturatore a tendina sono:
•	 i brevissimi tempi di esposizione
•	 la collocazione sul piano focale, che lo rende perfettamente
idoneo per l’utilizzo in apparecchi reflex.
A favore dell’otturatore centrale vanno invece:
•	 la semplicità costruttiva
•	 la sincronizzazione totale con il flash
•	 l’estrema silenziosità.
Per contro, qualora l’apparecchio abbia le ottiche intercam-
biabili, ognuna di queste dovrà essere munita di otturatore,
con un aggravio di spese.
L’obiettivo
L’obiettivo costituisce il cuore di un sistema fotografico, in-
fluendo sulla qualità dell’immagine più di qualunque altra in-
novazione tecnica. Dal semplice foro stenopeico dei primi mo-
delli di “camera obscura” ai più recenti sistemi ottici, le case
produttrici si sono costantemente impegnate per migliorarne
qualità e versatilità.
Un foro stenopeico è un foro estremamente piccolo, in gra-
do di far passare i raggi provenienti dal soggetto inquadrato
in modo selettivo. Con un’apertura maggiore, i raggi passereb-
bero in modo disordinato senza formare l’immagine. Grazie
1	 Sequenza di apertura di un otturatore
cen­trale.
2	 Otturatore centrale parzialmente aper­
to e diaframma regolato f/16.
34	 3. Gli apparecchi fotografici
all’ausilio di lenti, un obiettivo è invece in grado di formare
un’immagine nitida con aperture molto maggiori, ottenendo
tra l’altro una notevole diminuzione del tempo di posa.
Togliendo l’obiettivo dalla macchina fotografica, non sareb-
be possibile ottenere un’immagine, ma solamente un’esposizio-
ne della pellicola alla luce.
Le macchine fotografiche, a seconda dei modelli, possono
avere l’ottica fissa oppure intercambiabile. In questo secondo
caso il sistema fotografico risulta sicuramente più versatile e
completo. Gli apparecchi con obiettivo fisso, a parte quelli più
economici, sono generalmente muniti di ottica zoom.
Il diaframma
I moderni obiettivi sono tutti dotati di diaframma.
Collocato circa al centro del sistema di lenti, è oggi comu-
nemente impiegato il modello ad iride, formato da un numero
di lamelle variabile da cinque ad otto, che ne danno la forma
caratteristica da pentagonale ad ottagonale.
I primi sistemi fotografici, al contrario, disponevano di una
serie di piastrine con fori circolari, da applicare manualmente
all’obiettivo, regolandone in questo modo la luminosità.
Il diaframma svolge una duplice funzione:
•	 regola l’esposizione della pellicola (insieme all’otturatore)
•	 conferisce all’immagine una forte caratterizzazione relati-
vamente all’estensione delle zone messe a fuoco (profondi-
tà di campo).
La scelta del diaframma da utilizzare, costituisce uno dei
momenti più delicati nella ripresa fotografica, e va ponderata
attentamente.
Il mirino
Le macchine fotografiche di piccolo e medio formato si dif-
ferenziano anche in base al mirino utilizzato per inquadrare.
Distinguiamo principalmente due tipi:
•	 fotocamere a mirino separato
•	 fotocamere a mirino reflex.
Per saperne di più
Per conseguire un’accurata mes­­­sa a fuoco
dell’immagine, gli o­biet­tivi, salvo le eccezioni
che ve­dremo in seguito, han­no una ghiera,
ruotando la qua­­le si modifica la distanza tra le
lenti e, di conseguenza, la dimensione totale del
barilotto.
L’obiettivo zoom, grazie ad una costruzione
mobile, permette di avvicinare o allontanare il
soggetto inquadrato senza spostarsi. È spesso
im­piegato anche nelle riprese te­le­visive.
1	 Diaframma.
2	 Senza l’obiettivo (o il foro stenopeico)
nell’apparecchio fotografico ci sareb-
be ingresso di luce senza formazione
dell’immagine.	
Con l’obiettivo i raggi vengono fo-
calizzati sul piano focale ottenendo
un’immagine.
Fotografare Tecnica e cultura fotografica.
Fotografare Tecnica e cultura fotografica.
Fotografare Tecnica e cultura fotografica.
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  • 2. Ringraziamenti Si ringraziano: Agfa, Canon, Durst, Fuji, Ilford, Kodak, Nital (Nikon), Polyphoto (Leica), Rossi & C. (Minolta, Zenza Bronica) per il supporto e il materiale fornito per la pubblicazione. In particolare si ringraziano la signora Nogarotto ed i signori Bassanello, Mongiovetto, Rovere, Rappaini, Storace, Tchajkowski, assieme a Mario Giammusso e Sergio Rizzo dell’Agenzia R&G. Un ringraziamento particolare ai fotografi che hanno collaborato fornendo scritti e immagini che hanno impreziosito il testo: Giac Casale, Franco Fontana, Giuliano Francesconi, Giancarlo Mecarelli, Marco Moscadelli, Giancarlo Zuin. Le fotografie, coperte da copyrigt, sono state riprodotte nel testo per loro gentile concessione. Grazie a Giancarlo Alesiani per gli spunti e le preziose esercitazioni fornite. Un ultimo ringraziamento a Stella Ferrara, Angelo Infanti, Rodolfina Rasotto e Carlo Schiavon per i contributi apportati al teso, Claudia, Paola e Paolo per i loro volti, Giovanni Federle, Carlo Ferrara, Giuseppe Ongaro, Andrea Rossi, Carla Stefani, ai colleghi ed agli studenti dell’I.P.S.S “Bartolomeo Montagna” di Vicenza. Crediti Ove non diversamente specificato, le fotografie sono dell’Autore. Le immagini sottoelencate sono pubblicate per gentile concessione di: Agfa: 2/226-1/227-1/228-1,2/229-1/239. Canon: 1/32-3934-1,2,3,4,5/44-1/45-2/65-1/66-1/72-3/76-1/110-1/111-1/224-1/232-1/234-2/239-3/177. Durst: 2/156-3/157-1,3,4/160-1,2/211. Fuji: 1/201. Leica: 1/40-1/41-2/45-1,2/102-1,2/297. Minolta: 1/33-2,3/42-2,3/69-2/72-1,2,3/77-2/81-1/104-3,4/109. Zenza Bronica: 3/32-1,4/39-2,3/40-4/48-1,2,3/49-1/50. Le immagini dei prodotti e i messaggi pubblicitari contenuti nel testo, sono presenti esclusivamente per finalità didattica, senza scopo di lucro. L’Editore ha cercato di reperire tutte le fonti delle illustrazioni ed è comunque a disposizione di eventuali aventi diritto nell’ambito delle leggi internazionali. Copertina progetto grafico e impaginazione: Giovanni Federle, Vicenza 2006. Copyright 2002 CLITT srl - Roma Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. Nessuna parte può essere riprodotta, in alcun modo, senza specifica autorizzazione scritta dall’editore. Finito di stampare nel mese di Febbraio 2006 nella Tipografia Grafiche Flaminia srl - Via delle Industrie, 10 - Foligno (PG) per conto della CLITT srl - Via Appiano, 21 - 00136 Roma - Tel. 06-35453592 - Fax 06-35455363 Il Sistema di Qualità CLITT è certificato UNI EN ISO 9001:2000 tamburino Fotografare 1-02-2006 16:58 Pagina 1
  • 3. Sommario dei moduli 1. Primo approccio 2 Approccio sperimentale 3 La carta vede il rosso? 3 Giochiamo con la luce 3 Analisi 4 Un po’ di fantasia 4 Non solo camera oscura 5 I chimigrammi 6 Analisi 7 Una possibile variante 7 Le infinite variabili 7 Lavoriamo a casa 8 Esperienze d’autore 8 Laslo Moholy-Nagy 9 Man Ray 10 LuigiVeronesi 10 Christian Schad 11 Ripresa 11 Fasi preliminari 11 Sala pose 12 Ripresa a mano libera 2. La luce e i materiali fotosensibili 14 Le fonti luminose 14 Caratteristiche della luce 14 Le fonti luminose 14 Luce naturale 16 Luce artificiale 16 Pellicole 17 La struttura 17 L’emulsione 17 L’immagine latente 18 Il negativo 19 Pellicole diapositive 19 Sensibilità cromatica 19 Pellicole pancromatiche 19 Pellicole ortocromatiche 20 Pellicole sensibili al blu 21 Pellicole all’infrarosso 21 Pellicole a sviluppo cromogeno 21 Pellicole con estesa sensibilità al rosso 22 Sensibilità alla luce 22 Caratteristiche principali 23 La grana 24 Il formato 25 Contrasto 25 Potere risolutivo 26 Acutanza 26 Latitudine di posa 3. Gli apparecchi fotografici 28 Componenti principali 28 Il formato 28 Il corpo macchina 28 Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento 30 Il dorso 30 L’otturatore 30 Otturatore sul piano focale, det­to a tendina 32 Il tempo di sincronizzazione 32 I tempi di esposizione 32 L’otturatore centrale 33 Tipi di otturatore a confronto 33 L’obiettivo 34 Il diaframma 34 Il mirino 35 Macchine a telemetro 35 Il telemetro 36 Pro e contro 37 La reflex monoculare 35 mm 37 La visione reflex 39 La messa a fuoco 40 Potenzialità 40 Accessori 41 La reflex digitale 41 Pro e contro 41 I punti a favore 41 I punti a sfavore 42 Conclusioni 42 La reflex biottica 42 L’inquadratura 43 La messa a fuoco 43 Pro e contro 44 La reflex di medio formato
  • 4. Sommario 45 L’otturatore 45 L’inquadratura 45 Messa a fuoco 46 Pro e contro 47 Sistemi a corpi mobili 47 Parti dell’apparecchio 48 L’inquadratura 49 L’esposizione 50 I movimenti 50 Conseguenze del decentramento 52 Conseguenze del basculaggio 4. Gli obiettivi 56 Caratteristiche generali 56 Qualità e difetti dell’obiettivo 57 Potere di copertura 58 Messa a fuoco 59 Lunghezza focale 60 Ingrandimento e angolo di campo 62 Obiettivi normali 63 Corrispondenze metriche 63 Caratteristiche ed utilizzo 64 Obiettivi di lunga focale 64 Caratteristiche e proprietà 64 Pro e contro 66 Obiettivi di corta focale 66 Pro e contro 67 Obiettivi speciali 67 Obiettivi zoom 69 Obiettivi catadiotrici 70 Obiettivi macro 70 Obiettivi per il controllo della prospettiva “PC” Perspective control 70 Obiettivi per gli apparecchi a corpi mobili 71 Obiettivi per ingranditore 71 Prospettiva 73 Il diaframma 5. Tecniche di ripresa 78 Il movimento 78 Introduzione 78 Congelare il movimento 79 Uso del flash 81 La profondità di campo 84 Valutazione della profondità di campo 85 Distanza iperfocale 86 L’ingrandimento 86 Tabella riassuntiva 6. Tecniche di esposizione 88 Esposizione 88 Gli effetti della luce sui materiali fotosensibili 88 Diaframma ed otturatore: un’azione combinata 89 La reciprocità 90 Effetti della sotto e sovra-esposizione 90 Esposimetri 90 Introduzione 91 Caratteristiche generali 92 Esposimetri esterni 93 Lettura per luce riflessa 94 Lettura per luce incidente 94 Problematiche dell’esposizione (letture ingannevoli) 95 Lo standard del grigio medio 96 Esposimetri incorporati (TTL) 97 Schemi di lettura 98 Automatismi 98 Generalità 98 Sistemi tradizionali 99 Sistemi avanzati 100 Immagini high-key e low-key 7. I filtri 102 La traduzione del colore in grigio 102 Il fattore filtro 103 I filtri contrasto 105 Filtri polarizzatori 106 Uso del filtro polarizzatore 107 Filtri Skylight e anti-UV 107 Filtri a densità neutra ND 8. Illuminazione 110 Premessa 110 La luce artificiale 111 La luce continua 112 Il flash elettronico
  • 5. 113 L’esposizione manuale 114 L’attrezzatura professionale da studio 115 Schemi operativi 116 Tecniche particolari 117 Luce pennellata 117 La luce naturale 117 Il controllo del contrasto 118 Il momento giusto 9. Laboratorio trattamento della pellicola in bianco nero 120 Ambiente di lavoro 121 Attrezzatura 123 Prodotti chimici 126 Prodotti particolari 127 Procedure 130 Trattamento della pellicola 131 Trattamento delle pellicole piane in bacinella 132 Procedure particolari 10. Laboratorio stampa in bianco e nero 136 Attrezzatura 136 Attrezzatura basilare 140 Attrezzatura opzionale 141 Prodotti chimici 141 Rivelatore 141 Arresto 141 Fissaggio 142 Viraggio 142 Coadiuvanti del lavaggio 143 Le carte 143 Struttura delle carte da stampa 143 Peso 144 Dimensioni 144 Superficie della carta 144 Gradazioni di contrasto 145 Sensibilità 145 Sensibilità cromatica 146 Stampa per contatto 146 Procedure standard 148 Stampa per ingrandimento 148 Scelta del negativo 149 Uso dell’ingranditore 149 Controllo del contrasto 149 Calcolo dell’esposizione 150 La posizione del provino 150 Le fasi in bacinella 152 Asciugatura 152 Valutazione finale 152 La stampa fine art 153 Procedure preliminari 154 Conosciamo la nostra carta 156 Esecuzione di una stampa fine art 159 Elaborazioni 159 Viraggio seppia 161 La solarizzazione (effetto Sabattier) 11. Fotografia a colori 166 Introduzione 167 Approfondimento storico 168 Il colore a livello di comunicazione 168 Il colore nella pubblicità 169 I colori della luce 170 La percezione dell’occhio 170 La sintesi additiva 171 La sintesi sottrattiva 171 La temperatura del colore 172 Luce naturale 172 Luce artificiale 172 I filtri 173 Filtri di conversione 173 Filtri per il controllo cromatico 174 Struttura della pellicola 175 Pellicole negative 175 Pellicole diapositive 176 Negative e diapositive a confronto 178 Sviluppo delle pellicole a colori 178 Pellicole negative 180 Pellicole invertibili 181 La pratica dello sviluppo 182 Sviluppo della pellicola negativa 183 Sviluppo della pellicola invertibile 184 Conclusioni 185 Stampa delle pellicole a colori 185 Attrezzatura per la camera oscura 186 Stampa da negativo 187 Stampa da diapositiva 187 Il metodo Ilford Cibachrome
  • 6. Sommario 12 Fotografia digitale 192 Introduzione 194 Acquisizione dell’immagine 194 Lo scanner 196 Dalla pellicola al sensore CCD 200 Risoluzione dell’immagine 201 Le schede di memoria 202 Le macchine digitali 203 Gli apparecchi reflex 203 I dorsi digitali 204 Gli obiettivi 205 Ripresa 205 La luce 205 Fotografare 207 Ottimizzare l’immagine 209 RGB, CMYK o Scala di grigio? 211 Il software 216 A proposito di contrasto 216 Selezionare 217 Formati di salvataggio 218 Comandi di uso comune 219 La fotografia in bianco e nero nell’era del digitale 219 Fotografie in bianco e nero ricavate da files a colori 219 Fotografie in bianco e nero ricavate dalle stampe a colori (tramite scanner) 219 Intervenire con i programmi di fotoritocco 222 Il viraggio 224 Conclusioni 224 La stampa 224 Valutazione finale 13 Generi 228 Generalità 228 La fotografia in studio 228 L’attrezzatura 229 La fotografia all’aperto 231 Ritratto 232 Ritratto glamour 232 Obiettivi per il ritratto 233 L’inquadratura 234 L’inquadratura “riferita” 234 L’inquadratura “benevola” 235 Il ritratto ambientale 235 Altre regole generali 237 Illuminazione 237 Schemi tipici d’illuminazione 237 Fotografia publicitaria 239 Still life 240 Attrezzatura 241 Still life per l’editoria 241 Reportage e fotogiornalismo 241 Fotografia di guerra 242 Fotografia di cronaca 242 Fotografia sportiva 243 Paesaggio 244 Attrezzatura 245 Paesaggio urbano 245 Fotografia di architettura 246 La fotografia di interni 14 L’invenzione 248 Premessa 249 I settori di ricerca 249 L’ottica 249 La chimica 250 I pionieri 250 Joseph Nicéphore Niépce 251 Louis Jaques Mandé Daguerre 254 Gli altri inventori 254 Hippolyte Bayard 255 John FredericWilliam Herschel 256 I sistemi 256 La lastra umida al collodio 257 La lastra a secco e la pellicola 257 Esordi della fotografia in Italia 258 Gli apparecchi fotografici 258 La Kodak 259 La Leica 260 La reflex biottica 261 Le innovazioni recenti 261 La Polaroid 261 Il colore 261 La luce artificiale 262 Il digitale
  • 7. 15 Il linguaggio fotografico 264 Introduzione 265 Il linguaggio 267 Fotografare la guerra 268 La foto di documentazione 271 La censura 272 Fotogiornalismo 273 Moda e pubblicità 16 La fotografia in Italia 276 Nascita della fotografia in Italia 276 I grandi atelier 277 La Fotodinamica futurista dei fratelli Bragaglia 280 Nota biografica 281 Fotografia futurista 282 Manifesto della fotografia futurista 283 Fotografia fascista 285 I circoli fotografici 286 La Bussola 286 Il MISA 286 La Gondola 287 Altri circoli 287 Il dopoguerra 288 I giornali 290 Fotografia contemporanea 291 Bellissimi quegli anni! 17 Autori 296 I grandi fotografi 297 Nadar 298 Paul Strand 299 Brassaï 300 André Kertész 301 I fotografi del “Club F/64” 302 EdwardWeston 303 AnselAdams 304 Dorothea Lange 305 Walker Evans 306 August Sander 307 Man Ray 308 Robert Doisneau 309 I fotografi dell’agenzia “Magnum Photos” 310 Henry Cartier-Bresson 312 Robert Capa 314 Werner Bishof 315 Eugene Smith 315 Ernst Haas 315 Josef Koudelka 316 Sebastiao Salgado 317 Robert Frank 317 William Klein 317 RichardAvedon 319 Helmut Newton 320 Irving Penn 321 Ugo Mulas 322 Mario Giacomelli 322 Gianni Berengo Gardin 323 Ferdinando Scianna 324 Mimmo Jodice 324 Gabriele Basilico 325 OlivieroToscani 18 Veridicità e artisticità: due temi storicamente dibattuti 327 Veridicità e artisticità: due temi storicamente dibattuti 328 Veridicità 328 Le verità parziali 328 Fotografia e politica 329 La stampa scandalistica 329 Conclusioni 331 Esercizi 332 L’artisticità 332 Il difficile rapporto fotografia-arte 333 Citazioni 334 La fotografia come percorso artistico 335 L’abbietto 341 La fotografia e la rappresentazione dell’oggetto artistico
  • 8. Sommario 19 Fotografia e pittura 346 Gli esordi 348 Le avanguardie 351 Verso il 2000 352 Brevi note biografiche 356 Scrivere di fotografia 356 Dai giornali 356 “L’Omero degli emigranti” 358 Commento all’articolo 359 “E laTV uccise la fotografia” 360 “Elogio del fotogiornalismo” 361 Commento agli articoli 362 Le riviste di fotografia 364 I libri 364 Leggere per crescere 365 Il cinema 365 Sotto tiro 366 Istantanee 366 La dolce vita 367 Salvador 367 Occhio indiscreto 368 One hour photo 368 Internet 20 Fotografia e media 356 Scrivere di fotografia 356 Dai giornali 356 “L’Omero degli emigranti” 358 Commento all’articolo 359 “E laTV uccise la fotografia” 360 “Elogio del fotogiornalismo” 361 Commento agli articoli 362 Le riviste di fotografia 364 I libri 364 Leggere per crescere 365 Il cinema 365 Sotto tiro 366 Istantanee 366 La dolce vita 367 Salvador 367 Occhio indiscreto 368 One hour photo 368 Internet 21 La parola ai protagonisti 370 Giac Casale 373 Franco Fontana 375 Giuliano Francesconi 380 Giancarlo Mecarelli 386 Marco Moscadelli 390 Giancarlo Zuin 394 Giancarlo Alesiani 22 Legislazione 404 Il diritto all’immagine 405 Fotografia nella scuola 23 Glossario 407 Glossario
  • 9. Presentazione Questo libro nasce da un’esperienza didattica pluriennale in un Istituto per Grafici pubblicitari: l’idea generatrice dell’opera è stata dunque quella di coniugare, in unico testo, gli aspetti tecnici della materia, assieme a quelli culturali. In quest’ottica, si è cercato di trattare una notevole mole di temi, offrendo all’insegnante la possibilità di scegliere ed argomentare gli aspetti, tecnici e culturali, da più punti di vista. Aspetti che, questo è l’augurio, sapranno suscitare l’interesse degli alunni, che po- tranno approfondire i singoli argomenti grazie alla bibliografia specifica ed alle numerose indicazioni riferite a riviste, romanzi, saggistica, film e web. Per quanto il libro cerchi di essere esaustivo, è scontato infatti, che non possa trattarsi del testo definitivo. La fotografia è materia vastissima, e “Fo- tografare” si pone l’obiettivo di creare delle basi, sufficientemente solide da stimolare il lettore ad andare oltre, sperimentando in proprio e appro- fondendo il personale interesse, al di là dell’aspetto scolastico. A testimonianza del fatto che la fotografia sia, oggi come sempre, soprattutto confronto con gli altri, il libro è stato arricchito di nuovi interventi esterni che, con la loro qualità, contribuiscono ad avvalorare il ruolo della fotografia in una società come quella odierna, che viene comunemente defi- nita “dell’immagine”. Con la seconda edizione del libro, si è inteso raf- forzare la struttura del precedente. Ogni modulo è stato potenziato, sia per renderlo più attuale, sia per permettere un’ulteriore possibilità di collega- mento tra le discipline scolastiche, prima di tutto con le materie storico-letterarie ed artistiche. La crescente affermazione della tecnologia di- gitale inoltre, ha comportato l’approfondimento e l’ampliamento del capitolo specifico, ma anche un maggiore livello di specializzazione per alcuni aspetti della fotografia tradizionale, sulla scia di un mercato che, in questo settore, premia soprattutto la qualità. La struttura del testo, per concludere, rispecchia più fedelmente la dicitura completa del titolo: Fo- tografare, Tecnica e cultura fotografica. Ad un pri- mo capitolo introduttivo, fanno infatti seguito due parti distinte: tecnica e culturale. Riguardo l’argomento iniziale del testo, intito- lato “Primo approccio” è opportuna una breve ri- flessione. Si tratta di un capitolo che vuole essere in qual- che modo il “manifesto programmatico” del libro: lo studente è invitato a sperimentare, senza trop- pi indugi, le possibilità espressive del mezzo foto- grafico. Sono dell’idea che alla fotografia non ci si debba arrivare dopo lo studio, ma prima. Lo studio, se il primo impatto susciterà interesse, verrà ben accettato per correggere, migliorare e ampliare le tecniche sommariamente apprese. L’approccio sperimentale garantisce inoltre di affrontare lo studio con un vissuto personale di esperienze che facilitano la comprensione successi- va. Quante cose devono infatti assimilare i ragazzi nelle varie materie come dato di fatto? Ad esempio, spiegare il processo di formazione dell’immagine fotografica nella pellicola unicamente leggendo il testo, significa stabilire un rapporto di tipo passi- vo. Più proficuo, è rimandare all’esperienza della camera oscura con gli esperimenti sulla carta foto- grafica, facendo comprendere per analogia, ciò che accade quando si sviluppa in completa oscurità, e quindi senza poterne apprezzare le modificazioni, la pellicola. La presenza di brevi schede culturali, riferite ad autori che hanno fatto della sperimentazione la loro bandiera, servirà infine a far comprendere fin da subito che la fotografia, al pari delle altre espressioni (artistiche e non) ha riferimenti culturali importanti la cui conoscenza potrà essere utile e, nel caso specifico addirittura più che in altre mate- rie, interessante e gradevole. Sono convinto che qualsiasi materia possa susci- tare passione nello studente. Sono altresì convinto che, in un’ipotetica classifica, la fotografia possa indubbiamente godere di una posizione di privile- gio. Mario Ferrara
  • 10. aCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCulturaTecnicaCultura Primo approccio 2 Approccio sperimentale 3 La carta vede il rosso? 3 Giochiamo con la luce 3 Analisi 4 Un po’ di fantasia 4 Non solo camera oscura 5 I chimigrammi 6 Analisi 7 Una possibile variante 7 Le infinite variabili 7 Lavoriamo a casa 8 Esperienze d’autore 8 Laslo Moholy-Nagy 9 Man Ray 10 LuigiVeronesi 10 Christian Schad 11 Ripresa 11 Fasi preliminari 11 Sala pose 12 Ripresa a mano libera 1
  • 11. 1. Primo approccio Approccio sperimentale Per imparare bisogna “fare”, per migliorare si deve an­che studiare! Con questo motto, anticipiamo la filosofia di questo capitolo, che vede nell’approccio operativo la chiave con cui aprirsi nei confronti della fotografia. È un dato certo che la grande maggioranza dei fotografi italiani, Giacomelli, Jodice, Migliori e tanti al­tri, si siano formati autonomamente, come fotoamatori, prima di dedicarsi alla fotografia a livello profes- sionale. È altresì impensabile che si leggano interi libri prima di procedere al primo scatto fotografico mentre, al contrario, è spesso la documentazione a seguire i primi esperimenti, spesso maldestri, dettati dalla passione. Ed è su questo termine, pas- sione, che cerchiamo di basare lo sviluppo successivo dell’atti- vità fotografica, consci che un impatto eccessivamente teori- co potrebbe allontanare, mentre l’imbattersi fin da subito in pratiche manuali, con gli inevitabili errori da correggere, potrà stimolare un ulteriore approfondimento. Ecco allora una trac- cia di possibili interventi in laboratorio, che possono costituire di fatto le prime lezioni, utili per sperimentare le proprietà dei materiali e le metodologie operative. Per gli argomenti trattati, può risultare produttivo svolgere questo capitolo in contem- poranea con quello storico, al fine di rendere “visibili” alcune delle invenzioni esposte. A questo, si somma il vantaggio di al- leggerire le prime lezioni, altrimenti solo teoriche, con l’attività pratica. 1 Esercitazione
  • 12. La carta vede il rosso? In camera oscura non si lavora sempre al buio, come il nome potrebbe far intendere: si utilizza la luce di sicurezza. Il colore che viene subito alla mente è il rosso, se non altro perché in alcuni film è la luce che si usa in scene di questo tipo. In realtà non è solo il rosso a non essere visto dalla carta da stampa (la qua­le, per la precisione, vede solo la luce blu) ma anche il gial- lo-verde, che è il colore generalmente raccoman­da­­to. Spenta la luce bianca, ci vorrà qualche secondo di adatta- mento alla luce di sicurezza; di seguito ci si potrà muovere per- fettamente a proprio agio. Giochiamo con la luce Grazie alla mancata percezione della luce di sicurezza, si può estrarre un foglio di carta fotografica dalla confezione, e posizionarlo sopra un piano. Metteteci una mano sopra, a coprirlo parzialmente, ed ac- cendete la luce per qualche secondo (una qualsiasi luce bianca del laboratorio). Spenta la luce, osservate il foglio. Dopo alcuni secondi di imbarazzante silenzio, si dovrà trarre la conclusione che non è successo nulla, a meno che… L’insegnante vi avrà preparato delle vaschette con dei liqui- di, vediamo allora a cosa servono. Immergete la carta nella prima vaschetta: dopo alcuni se- condi vedrete formarsi la sagoma della vostra mano bianca su sfondo nero. A questo punto, fate come vi suggerisce l’istinto e accendete la luce: se vi siete già complimentati, non abbat- tetevi troppo perché l’immagine si sta rovinando, dovrete solo rivedere qualcosa nell’esecuzione. Grazie ad Herschel, dal 1839 disponiamo di un ottimo fissag- gio, perciò usiamolo! Si ripeta tutta l’operazione, con l’accortezza di introdurre la carta anche nella vaschetta del fissaggio prima di accendere la luce. L’immagine prodotta, che andrà successivamente lavata, è ora visibile e perfettamente stabile. Analisi Il processo fotografico prodotto per intero, ha messo in evi- denza come non sia sufficiente la sola esposizione alla luce del materiale fotosensibile, ma che ad essa debba seguire lo svi- luppo chimico, che va completato con il fissaggio, pena l’anne- rimento dell’immagine intera. Chiameremo immagine latente l’immagine che sappiamo esserci in seguito all’esposizione, che senza sviluppo rimane invisibile. La prima cosa che balza agli occhi osservando la stampa, è che la luce ha prodotto un’immagine scura, mentre dove l’emul- sione era protetta dalla mano la carta è rimasta perfettamente bianca: siamo in presenza di un negativo. Con ogni probabilità, il risultato di questo primo esperimen- to sarà un’immagine bianca e nera, priva di grigi. Le fasi succes- sive, consisteranno allora nella ricerca di tonalità intermedie, con l’utilizzo di tempi di esposizione più brevi e l’impiego di materiali semi-trasparenti. 1 Esercitazione: esposizione alla luce. 2 Esercitazione: trattamento chimico. 3 Esercitazione: ne risulta un negativo.
  • 13. 1. Primo approccio Un po’ di fantasia Le tecniche appena introdotte possono sembrare semplici giochi propedeutici, mentre in realtà costituiscono un linguag- gio autonomo della fotografia, esplorato da molti fotografi alla ricerca del puro segno della luce. Si dia quindi spazio alla speri- mentazione, con l’utilizzo di differenti materiali e tecniche. Affinandosi, si sentirà l’esigenza di un maggiore controllo sulla luce, al fine di ottenere quelle sfumature determinate dal giusto dosaggio dell’illuminazione. È così arrivato il momento di utilizzare l’ingranditore, che impiegato come semplice lam- padina, offre ampie garanzie di controllo grazie all’azione del diaframma e del timer. A questo punto si hanno a disposizione tutti gli strumenti, basta saperli sfruttare. Non solo camera oscura Parlando di laboratorio fotografico, si è immediatamente portati a pensare alla camera oscura, luogo, in qualche misu- ra, misterioso e affascinante, nel quale il fotografo rinchiuso ed isolato dal resto del mondo, produce le proprie immagini. Tuttavia, a livello sperimentale, la fotografia ammette delle trasgressioni interessanti che vale la pena di esplorare. Una di queste, riguarda la creazione di immagini direttamente in un ambiente chiaro, perfettamente illuminato a giorno: vogliamo procedere? Successione dei chimici La successione corretta del trattamento in baci­ nella è: sviluppo, arresto, fissaggio e lavaggio. L’arresto, che in questa fase può essere costi­ tuito da acqua e qualche goccia di aceto, serve anche a mantenere più attivo il fissaggio. 1 Oggetti appoggiati sul foglio fotosen- sibile. 2 Esercitazione.
  • 14. I chimigrammi Il termine chimigramma deriva dal greco e significa scrittura chimica: vediamolo nel dettaglio. Innanzitutto ci si deve procurare il materiale: • Prodotti chimici: rivelatore, arresto (acqua con qualche goc- cia di aceto), fissaggio • Tre vaschette • Carta fotografica • Pinze o guanti per maneggiare la carta nei chimici • Uno o più pennelli Come vedete, a parte i pennelli, è l’attrezzatura che si è già utilizzata in camera oscura. Prima di procedere con la sperimentazione, è necessaria una breve fase preliminare al buio: estraete da una confezione i fogli di carta che vi servono e riponeteli in una busta di plastica nera: successivamente, usate solo questi. Preparate ora l’ambiente di lavoro: se non siete nel labora- torio scolastico (questo è un lavoro che si può eseguire ovun- que, anche a casa vostra), disponete le vaschette su un tavo- lo che avrete precedentemente protetto per mezzo di teli in plastica o carta di giornali, e riempitele con i prodotti chimici. Preparate allo stesso modo il piano dove appoggerete la carta fotosensibile. Ora, è possibile iniziare. Sbagliamo! Produrre immediatamente im­magini pienamen­ te soddisfa­cen­ti, non è molto educativo; lo sba­ glio, come esperienza vissuta sulle proprie spal­ le, è molto più formativo. Non abbiate perciò paura di sprecare qualche foglio di carta (usate il 10x15 cm): saranno fogli ben spesi perché l’a­ nalisi dell’errore porta alla riflessione su quanto si è prodotto. 1 Chimigramma ottenuto intingendo il pennello nello sviluppo. 2 Esercitazione: mano inumidita con il fissaggio.
  • 15. 1. Primo approccio Estraete un foglio ed osservatelo bene: esso vi apparirà com- pletamente bianco anche se, col tempo potrà assumere una co- lorazione giallastra o rosa. Prendete il pennello ed immergetelo nel rivelatore: avete ora un’ampia possibilità di scelta perché potete disegnare qual- siasi cosa sul foglio. Volete provare con la vostra firma? Analisi La carta, dal momento in cui l’avete estratta dal foglio, ha preso tutta la luce necessaria, eppure, non ha mostrato evidenti modificazioni. Solo dove siete passati con il pennello, nel giro di pochi secondi apparirà un’immagine nera: luce, carta foto- sensibile e rivelatore, utilizzati insieme, forniscono l’immagine fotografica (in questo caso, più correttamente chiamata chimi- gramma). Per completare l’opera e stabilizzarla nel tempo, lavate la stampa nell’arresto e concludete con il fissaggio. Al termine, lavate in acqua corrente ed asciugate. Già al termine del fissaggio, il chimigramma mostra il suo aspetto definitivo: l’annerimento riguarda esclusivamente la zona passata con il pennello. Nuovi progetti, possono a questo punto iniziare. Precauzioni Per i prodotti chimici attenersi alle indicazioni del fabbricante. In particolare, nel caso di con­ tatto con gli occhi, lavare accuratamente con acqua corrente ed eventualmente rivolgersi al medico. A questo riguardo, è consigliato l’uso di occhiali. I tessuti, in caso di contatto, specie con il rivelatore, vanno lavati immediatamente. L’utilizzo di un camice è consigliato. Allergie I prodotti utilizzati in fotografie possono occa­ sionalmente scatenare allergie sia per contatto che per inalazione. Nel primo caso è sufficien­ te munirsi di guanti in lattice, nel secondo, a seconda della gravità, si deve valutare la possibilità di permanenza nel laboratorio che, comunque, deve essere munito di impianto di aspirazione forzata. 1 Chimigramma ottenuto intingendo il pennello nel fissaggio.
  • 16. Una possibile variante Cosa succede se s’immerge il pennello nel fissaggio anziché nel rivelatore? Per scoprirlo non resta che provare, ma con un’accortezza: quando avete finito con il pennello, la carta deve essere lavata. Solo a questo punto potete procedere con la normale proce- dura di sviluppo, altrimenti danneggereste il rivelatore che in nessun caso deve venire a contatto con il fissaggio. Seguono, come di norma, un breve risciacquo, fissaggio e lavaggio. Le infinite variabili Gli esempi accennati sono solo il punto d’inizio; è facile intuire le ampie possibilità che questa tecnica offre a livello espressivo: lasciate libera la fantasia e provate. Da un punto di vista tecnico, vi suggerisco solo alcune sem- plici varianti: l’impiego di un rivelatore molto diluito (maggiore controllo dei grigi), e l’utilizzo combinato del rivelatore e del fissaggio (attenti a non mescolarli) nella scrittura dell’immagi- ne. Lavoriamo a casa Una camera oscura si può improvvisare facilmente, even- tualmente allestendola di sera per evitare infiltrazioni di luce. Gli stessi materiali fotografici, sviluppo e fissaggio, non essendo particolarmente pericolosi si maneggiano in sicurezza, e le baci- nelle possono essere sostituite da normali contenitori in allumi- nio, vetro o acciaio recuperati in casa o al supermercato (ottime le vaschette in alluminio, da evitare quelle in plastica leggera). La luce di sicurezza, è reperibile nei negozi specializzati; la colo- razione “fai da te” di lampadine normali, non solo non garan- tisce risultati ottimali, ma, trattandosi di materiale elettrico, se ne sconsiglia la manipolazione. La carta deve essere conservata in buste di plastica nera dentro una scatola. Per abbattere i co- sti, si compri una confezione di carta da cento fogli in gruppo e si suddivida. Allo stesso modo si possono ottenere numerose porzioni monouso di prodotti chimici. Per la produzione di chimigrammi, si conferma la dotazione chimica (carta, rivelatore, fissaggio), e l’attrezzatura base (ba- cinelle, guanti o pinze). La mancata necessità di un ambiente oscurato rende le operazioni ancora più semplici. Chiunque, a casa propria, può così condurre le proprie spe- rimentazioni, di cui fornirà, in seguito, dettagliata documenta- zione all’insegnante. 1 Esercitazione: chimigramma. 2 Esercitazione: foto a contatto.
  • 17. 1. Primo approccio Esperienze d’autore Alcuni autori hanno preso alla lettera il termine “fotogra- fia”, producendo immagini disegnate dalla lu­ce senza nemme- no l’ausilio della fotocamera. Già Talbot con la sua produzione di “disegni fotogenici” otteneva immagini direttamente per contatto, ma il linguaggio era ancora piuttosto semplice. Altri, e non solo il più famoso su tutti, Man Ray, dedicheranno molto tempo e passione alla ricerca di tecniche anche estremamente complesse, finalizzate alla produzione d’immagini in grado di vivere di vita propria, completamente slegate dalla tanto prete- sa obiettività fotografica. Laslo Moholy-Nagy Nel 1925 Laslo Moholy-Nagy nel suo “Pittura Foto­grafia Film” mette in luce come la fotografia, dai tempi di Daguerre, venisse considerata un’arte riproduttiva basata su leggi pro- spettiche, e costantemente al traino di correnti pittoriche. La constatazione, lucidamente espressa dall’autore, che “l’antico ha una funzione inibitoria ” risulta molto attuale, spe- cie in una cultura come quella italiana talmente ricca di storia da rimanerne talvolta prigioniera. Uno dei modi suggeriti da Moholy-Nagy per sfuggire a que- sta trappola è il “fotogramma”, una composizione luminosa padroneggiata dal fotografo, al pari del colore per il pittore e delle note per il musicista. Biografia. Nato a Budapest nel 1895, si de­dica inizialmente alla pittura, interessandosi all’arte astratta. Dal 1923 al 1928, chia­mato da Wal­ter Gropius, insegna al Bauhaus. Con l’av­vento del nazismo si trasferisce a Londra e successivamente a New York, dove fonda la School of Design. Muo­re nel 1946. Per saperne di più “Il fotogramma non è una vera fotografia ma è solo la registrazione della forma, delle traspa­ renze e delle ombre di un og­get­to.” L.Moholy- Nagy.
  • 18. Man Ray Già pittore, appartenente alla corrente dadaista, Man Ray sperimenta in tutti i modi la possibilità di allontanare il mezzo fotografico dalla resa obiettiva, utilizzando un gran numero di tecniche con e senza macchina fotografica. In “Autoritratto” racconta di come si sia avvicinato casualmente alla tecnica foto- grafia che successivamente prenderà il nome di “rayogramma”. Nell’attesa vana che un foglio di carta sensibile annerisse nel- lo sviluppo (era stato sviluppato erroneamente un foglio non impressionato), vi posò sopra alcuni oggetti semitrasparenti e accese la luce: “sotto i miei occhi cominciò a formarsi un’imma- gine: non era una semplice silhouette degli oggetti, ma defor- mata e rifratta dal vetro, a seconda che fossero più o meno in contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla luce spiccava come in rilievo sul fondo nero…”. I rayogrammi sono immagini complesse, frutto di svariate tecniche, comprese la solarizzazione ed i raggi x. Biografia. Man Ray è il nome d’arte di Emanuel Radnitsky, nato a Phi­ladelphia nel 1890. Tras­feritosi a New York, entra in contatto con gli ambienti artistici ed in particolar modo con Alfred Steaglitz e frequenta la “Galleria 291”. Nel 1921 si re­ca a Parigi dove conosce gli artisti dadaisti. È del 1922 la prima raccolta di rayogrammi “Le Champ Deliceux”. La fotografia di- venta un’occupazione costante, con numerose mo­stre e pubbli- cazioni. Muore nel 1976. 1 Talbot, 1843 Disegno fotogenico. 2 Moholy-Nagy, 1925 Il movimento a spirale dello spazio. 3 Man Ray Rayogramma. 4 Moholy-Nagy, 1924 Fotogramma 5 Man Ray, 1927 Rayogramma.
  • 19. 10 1. Primo approccio Luigi Veronesi Dal 1930 Luigi Veronesi, pittore, grafico e cineasta, si dedica alla sperimentazione fotografica sulla scia delle esperienze di Moholy-Nagy e Man Ray. Ciò che caratterizza questi fotogram- mi è la progettualità, grazie alla quale Veronesi riesce a tra- sformare gli oggetti in immagini, secondo un disegno preciso e premeditato. La fotografia come documento lascia dunque spazio alla trasfigurazione, nella ricerca di luci ed ombre che del mezzo fotografico usa la chimica (carte e sviluppi) per otte- nere un risultato grafico. Biografia. Nasce a Milano nel 1908 e dal 1925 si interessa di fotografia, attirato dalle sperimentazioni della camera oscura. Fondatore del gruppo fotografico “La Bussola” e successiva- mente del­l’”Unione Fotografica”, aderisce nel 1934 al gruppo parigino “Abstraction-Création, art nonfiguratif”. Ha inoltre legato il suo nome all’insegnamento, co­me do- cente di Graphic design a Venezia e Cromatologia a Milano, do­ve muore nel 1998. Christian Schad La formazione culturale di Christian Schad avviene all’Acca- demia di Arti applicate di Monaco, ma molto importanti risul- teranno i suoi contatti con gli artisti dada. In questo periodo scopre la fotografia senza macchina fotografica, anticipando i lavori di Man Ray e di Moholy-Nagy. Alle trenta immagini pro- dotte nel 1919, alle quali Tristan Tzara darà il nome di “schado- grafie”, ne seguiranno altre, dopo il 1960. Biografia. Nasce nel 1894 in Germania dove studia; ben presto si sposta a Ginevra ottenendo dei contatti con gli artisti dada di Zurigo. Dopo aver vissuto in Italia ed a Vienna, ritorna in Germania do­ve muore nel 1982. Luigi Veronesi “Il fotogramma non è una vera fotografia ma è solo la registrazione della forma, delle traspa­ renze e delle ombre di un oggetto”. 1 C. Schad, 1960 Schadografia. 2 L. Veronesi, 1936 Fotogramma.
  • 20. 11 Ripresa Se si possiede un apparecchio fotografico chiamato “banco ottico” ci si può divertire nel produrre le prime immagini come facevano i pionieri della fotografia, dato che si tratta della fo- tocamera più simile alle antiche “camere obscure” di cui si parla nel capitolo dedicato alla storia della fotografia. Un banco ottico (per la precisione, apparecchio a corpi mo- bili) consente di vedere sul vetro smerigliato il capovolgimento ottico operato dall’obiettivo o dal foro stenopeico, e si presta molto bene alle prime riprese in studio. Con esso, tra l’altro, è utilizzabile la carta fotografica al posto della pellicola, con l’indubbio vantaggio di poter subito effettuare le operazioni di sviluppo con la luce di sicurezza, controllando l’evoluzione dell’immagine durante i passaggi. Fasi preliminari In camera oscura, si ritagli una carta fotografica a grandezza del formato del banco ottico e la s’inserisca nello chassis (porta- pellicola); il caso più frequente riguarderà sicuramente il 4x5” (misura in pollici) corrispondente a circa 10x12 centimetri. Sala pose Con il banco ottico si effettua l’inquadratura e la messa a fuoco, al termine s’inserisce lo chassis nell’apparecchio. Dopo aver chiuso l’otturatore, si toglie la protezione (il volet, che funge da proteggi-pellicola) e si esegue lo scatto fotografico. Dato che la carta ha una sensibilità notevolmente inferio- re alla pellicola (valutabile a circa 10 ISO), è consigliato l’uso del flash. Al termine, riposta la protezione, si torna in camera oscura per lo sviluppo. Il risultato è un negativo, ovvero un’im- magine con i toni chiari al posto di quelli scuri e viceversa. Dato che un foglio di carta fotografica è ancora sufficientemente trasparente, una successiva stampa per contatto riporterà i va- lori normali. Abbiamo in questo modo ripercorso le modalità operative che Talbot eseguiva nella prima metà dell’800, e che ancor oggi sono valide. Se il laboratorio dispone di prodotti “lith” trasparenti, la somiglianza con la pellicola risulta ancora maggiore, con il vantaggio di poter seguire completamente a vista l’evoluzione dell’immagine fotografica. 1 Esercitazione: caricamento dello chassis. 2 Esercitazione: inquadratura con banco ottico. 3 Esercitazione: ne risulta un negativo da stampare in positivo.
  • 21. 12 1. Primo approccio Ripresa a mano libera Se la prima parte deve essere condotta prevalentemente dall’insegnante, la seconda, una volta apprese semplici regole, è affidata all’allievo. Si utilizzi una fotocamera reflex completa- mente manuale, caricata con una pellicola da 400 ISO per limi- tare le difficoltà di ripresa. Le istruzioni vanno ridotte all’osso: impugnatura, messa a fuoco, esposizione. Quest’ultima è visua- lizzata in modi differenti a seconda dei modelli: il più sempli- ce è il sistema a led luminosi, associabile ad un semaforo, ma anche il modello a sovrapposizione degli aghi è di immediata comprensione. Di massima, si proceda come indicato: • regolare la fotocamera con un tempo di otturazione di 1/125” • premere leggermente il pulsante di scatto per azionare l’esposimetro • girare la ghiera dei diaframmi finché non si accende la luce verde o si sovrappongono le lancette (a seconda dei modelli) • controllare la perfetta messa a fuoco e scattare. Senza ulteriori conoscenze (composizione, esposizione) è inevitabile che si vada incontro ad errori, che potranno tutta- via essere sfruttati vantaggiosamente. Saranno questi infatti il libro migliore su cui studiare per comprendere come migliorare l’inquadratura, od ottenere un’esposizione più bilanciata. Lo studio successivo, questa volta più puntuale, fornirà gli elemen- ti per il controllo dell’immagine e sarà visto, a questo punto, come il mezzo per raggiungere un preciso fine. Mettere a fuoco Dopo aver inquadrato, girare la ghiera per la messa a fuoco. Perfezionare l’operazione me­dian­te l’ausilio del­ la “linea spezzata”: inquadrando al centro una parte rettilinea, l’immagine è a fuoco se la linea è continua (non spezzata). 1 Corretta impugnatura della fotoca- mera. 2 Esposimetro incorporato a led e, sot- to, ad aghi. 3 Esercitazione: errata valutazione del controluce.
  • 22. 13 icaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnic La luce e i materiali fotosensibili 14 Le fonti luminose 14 Caratteristiche della luce 14 Le fonti luminose 14 Luce naturale 16 Luce artificiale 16 Pellicole 17 La struttura 17 L’emulsione 17 L’immagine latente 18 Il negativo 19 Pellicole diapositive 19 Sensibilità cromatica 19 Pellicole pancromatiche 19 Pellicole ortocromatiche 20 Pellicole sensibili al blu 21 Pellicole all’infrarosso 21 Pellicole a sviluppo cromogeno 21 Pellicole con estesa sensibilità al rosso 22 Sensibilità alla luce 22 Caratteristiche principali 23 La grana 24 Il formato 25 Contrasto 25 Potere risolutivo 26 Acutanza 26 Latitudine di posa 2
  • 23. 14 2. La luce e i materiali fotosensibili Le fonti luminose Caratteristiche della luce Fotografia significa disegno per mezzo della luce. Il fenome- no si basa sulla proprietà di alcuni materiali, detti fotosensibili, di reagire modificandosi se colpiti da essa. Ciò che noi chiamiamo luce è un fenomeno elettromagne- tico, emesso da un corpo radiante che può essere naturale, il sole, o artificiale, una lampada. L’ir­radiazione si propaga in tut- te le direzioni con moto cosiddetto ondulatorio. Immaginate di gettare un sasso in un acquario: se osservate dall’alto vedrete che le onde concentriche si propagano a 360°; se poi osservate lateralmente noterete qualcosa di molto simile al disegno 2. In natura esistono molti tipi di onde elettromagnetiche, che si differenziano in base alla loro lunghezza d’onda ed alla fre- quenza. L’occhio è in grado di vedere solo una piccola porzio- ne dell’intero spettro elettromagnetico, precisamente quella di frequenze comprese tra 400 e 700 nanomètri, corrispondenti ai limiti del blu e del rosso. Un nanomètro (nm) equivale ad un milionesimo di millimetro. All’interno di questi limiti corrispon- dono lunghezze d’onda alle quali il nostro occhio attribuisce colori diversi. Se la retina dell’occhio è colpita da tutte le lun- ghezze d’onda in egual misura, si ha la percezione del bianco. Oltre i confini di questi valori troviamo l’ultravioletto e l’infra- rosso, a noi invisibili. Le fonti luminose L’esigenza di fonti luminose alternative o complementari al sole è molto antica, e trova tra i precursori lo stesso Talbot. Sappiamo infatti che già dal 1851 egli sperimentava la luce pro- dotta per mezzo di scintille elettriche, per sopperire alla scarsa sensibilità dei materiali dell’epoca. Oggi abbiamo a disposizione più fonti d’illuminazione, ed è opportuno conoscerle in modo approfondito per saperne co- gliere vantaggiosamente le caratteristiche e poterle abbinare in modo corretto alle pellicole. Luce naturale La luce naturale principale proviene dal sole (ma non si deve neppure trascurare il cielo, che rappresenta una fonte di luce diffusa). Limitarsi a questa classificazione sarebbe però estre- mamente semplicistico perché al variare delle ore del giorno, le caratteristiche illuminotecniche cambiano sensibilmente. La misura di questa variazione è espressa in gradi Kelvin, e riguarda la temperatura del colore. In pratica, si verifica che l’emissione di luce da parte del sole a noi perviene in maniera diversa nell’arco della giornata, a causa delle diverse inclina- zioni dei raggi in corrispondenza dei diversi orari. Più il sole è inclinato (primo mattino e tardo pomeriggio) più lungo è il percorso che i raggi effettuano nell’atmosfera, con un valore minimo che si verifica invece a mezzogiorno. Ed è proprio que- sto filtro atmosferico a conferire di­verse caratteristiche colori- metriche al sole. 1 Visualizzazione della propagazione concentrica delle onde. 2 Schema del movimento ondulatorio della luce. 3 Lo spetto elettromagnetico visibile ed invisibile.
  • 24. 15 Un secondo fattore, fondamentale nella determinazione delle caratteristiche della luce, è rappresentato dai fenomeni atmosferici: nebbia, nuvolosità più o meno diffusa o cielo limpi- do caratterizzano sensibilmente il tipo di luce che ci perviene. In fotografia è importante conoscere i valori di queste differenze perché le pellicole vengono tarate per un tipo preciso di luce, precisamente quella di mezzogiorno, di temperatura co­lore pari a circa 5500 k. Se ci troviamo a fotografare in situazioni di- verse, l’emulsione registrerà le differenze in modo più marcato rispetto alla visione dell’occhio. Il nostro cervello infatti tende a bilanciare le differenze eccessive, mentre le pellicole si limitano a registrare. Se da un lato le stesse potrebbero presentarci pia- cevoli sorprese, è comunque meglio saper controllare i risultati in anticipo anziché restarne soggiogati. È chiaro che un discorso del genere è fondamentale nella fotografia a colori, mentre in bianco e nero le differenze si at- tenuano, ma si sa, un buon fotografo si distingue anche dai piccoli particolari. In tabella si ri­por­tano le temperature relative a situazioni tipiche. No­tate che a basse temperature di colore corrisponde una luce calda, tendente al rosso, ad alte tempera- ture la luce si fa azzurrognola e fredda. Situazione Gradi Kelvin alba e tramonto 3.000 un’ora dopo l’alba 3.500 un’ora prima del tramonto 3.500 luce solare a mezzogiorno 5.500 luce diurna media 5.500 misto di cielo e sole 5.500 cielo coperto (blu) 7.000-8.000 cielo velato 9.000 cielo limpido 12.000 Nota: i valori sono indicativi. 1 Corsica, Calanques. Fotografia eseguita verso sera 2 Rappresentazione del percorso della luce alle varie ore del giorno: all’alba, a mezzogiorno, al tramonto e relativo filtro esercitato dall’atmosfera. 3 Corsica, Calanques. Fotografia esegui- ta in ore centrali. Fotografia digitale Le fotocamere digitali offrono un sostanziale aiuto riguardo al controllo della temperatura di colore. Accedendo all’apposito menu (White ba­ lance), è possibile tarare il sensore alle differenti fonti luminose, oppure affidare alla fotocamera stessa l’individuazione del valore ottimale, per mezzo dell’apposito automatismo. Un ulteriore aspetto positivo, non avendo più a che fare con l’intero rullino, riguarda il fatto che le regolazio­ ni possono essere effettuate in modo differen­ ziato, anche su ogni singolo fotogramma.
  • 25. 16 2. La luce e i materiali fotosensibili Luce artificiale Il fotografo di oggi ha a disposizioni un parco luci talmente vasto da porre, a volte, l’imbarazzo della scelta. Ai sistemi a lu­ce continua si è affiancato il flash, che nella versione elettro- nica è diventato uno strumento di grande versatilità e potenza. Pregi e difetti dei singoli sistemi potrebbero tenere occupati per ore gli appassionati, ma sarà sempre la pratica ed il proprio metro di giudizio a indurre verso la preferenza per un certo tipo di illuminazione. Appare invece interessante classificare le fonti luminose in base alle caratteristiche della luce emessa, in particolare riguardo alla temperatura di colore. Tipo di luce Gradi Kelvin candela 1500-1800 lampada tungsteno 40 W 2650 lampada tungsteno 75 W 2800 lampada tungsteno 100 W 2900 lampada photoflood 3200-3400 lampada al quarzo 3200 lampada ad arco 5200 flash elettronico 5500 Dalla tabella appare evidente che, a parte il flash elettroni- co, le temperature di colore differiscono anche notevolmente da quelle medie, su cui sono tarate le pellicole per luce diurna (5500 K). Nella fotografia a colori, una giusta corrispondenza tra pelli- cola e fonte luminosa è indispensabile per evitare di avere forti dominanti di colore. La conoscenza delle temperature di colore delle lampade utilizzate, ci garantisce di riuscire a scegliere il giusto abbinamento luce - pellicola. In alternativa, volendo utilizzare l’emulsione per luce diur- na, si possono adoperare i filtri di conversione che, applicati frontalmente all’obiettivo, sono in grado di rendere compati- bili le pellicole alle varie fonti luminose. Lo stesso flash, pur avendo la giusta temperatura di colore, può produrre immagini troppo fredde. Appositi filtri, denominati “worm”, forniscono un’immagine più calda e naturale. Pellicole Tra i personaggi che hanno dato il loro contributo alla nasci- ta della fotografia, un ruolo particolare spetta all’inglese Henry Fox Talbot, che possiamo definire l’inventore della fotografia intesa in senso moderno. Già dal 1839, infatti, mentre Daguerre produceva immagini su lastra in unico esemplare, Talbot otte- neva le sue fotografie da negativi di carta, stampabili in un nu- mero a piacere di copie. Da allora, il supporto ha subito nume- rose migliorie, passando dalla carta trasparente al vetro, dalla pellicola in celluloide a quella attuale in acetato di cellulosa. 1 Dominante gialla prodotta da illumi- nazione artificiale su pellicola per luce solare (il fondale è di colore grigio). Percezione del colore Ad alcuni, sarà capitato di comprare un capo d’abbigliamento colorato, e di rimanere sor­ presi dal colore una volta osservato alla luce solare. È successo che il colore che noi abbiamo apprezzato nel negozio, era illuminato da una luce artificiale, e perciò da essa influenzato, col risultato di un’alterazione nella percezione visi­ va. Per evitare sorprese sa­reb­be opportuno, se possibile, con­­trollare preventivamente il colore alla luce solare. Fotografia in bianco e nero Con il bianco e nero il problema relativo alla temperatura del colore sussiste in misura logica­ mente inferiore. Bisogna però te­nere presente che la resa in termini di grigio di alcuni colori potrebbe scostarsi dal normale. A seconda dei casi, si potrebbe a­vere un aumento o una di­ minuzione del contrasto nella registrazione dei colori.
  • 26. 17 La struttura La moderna pellicola è costituita da un consistente supporto plastico, al quale sono fatti aderire altri strati dalle funzioni differenti. Con l’aiuto del disegno, ve­dia­mo di analizzarli uno ad uno. 1. Strato antigraffio: è uno strato sottilissimo con funzio­ne protettiva contro graffi ed abrasioni. 2. Emulsione: è lo strato che contiene la sostanza fotosensibile, ossia l’alogenuro d’argento. 3. Strato adesivo: composto da una gelatina collosa stesa in uno strato sottilissimo, ha la funzione di far aderire l’emul- sione. 4. Base della pellicola: supporto in acetato di cellulosa o polie- stere, offre ottime doti di trasparenza e stabilità. 5. Secondo strato adesivo: ha la funzione di far aderire lo stra- to sottostante. 6. Strato antialone: ha la funzione di impedire che i raggi lu- minosi si riflettano sul fondo della pellicola o del dorso della fotocamera, tornando all’emulsione; se questo avvenisse, si formerebbero degli aloni nelle zone più chiare. Lo strato ha anche funzione anti-accartocciamento. L’emulsione Lo strato che desta maggiore interesse è sicuramente l’emul- sione. In tanti anni di storia, la fotografia deve in buona parte i suoi progressi alle caratteristiche costantemente migliorate sia in fatto di qualità che di sensibilità. Non dimentichiamoci che a Niépce furono necessarie ben otto ore di esposizione alla luce, ed anche i dagherrotipi necessitavano di diversi minuti, tanto da non consentire inizialmente la ripresa di persone. L’emulsione è costituita da gelatina purissima nella quale sono stati sciolti bromuro e ioduro di potassio, e successivamen- te nitrato d’argento. Il composto definitivo, nelle varie formu- lazioni, prende il nome di alogenuro d’argento. Le moderne pellicole possono avere uno o più strati di emulsione. L’immagine latente Le trasformazioni che avvengono all’interno di una pellico- la durante l’esposizione ed il successivo trattamento chimico, non le possiamo controllare a vista perché il film deve rimanere costantemente al buio. Può tuttavia aiutarci l’esperienza in ca- mera oscura relativa alla stampa, perché pellicola e carta rea- giscono nello stesso modo, con la differenza che quest’ultima può essere costantemente visionata grazie all’ausilio della luce di sicurezza. Mediante l’esposizione, si verifica un fatto fondamentale: la luce provoca un’alterazione delle particelle fotosensibili di alogenuro d’argento, generando un’immagine che noi definia- mo latente. A questo livello, se la pellicola fosse visionabile, l’occhio non sarebbe in grado di percepire nulla, come avviene del resto per la carta. L’immagine latente è quindi un’immagine invisibile, che diviene evidente solo in seguito al trattamento chimico operato dal rivelatore. Sviluppando una carta possiamo osservare il “miracolo” avverarsi sotto i nostri occhi. In pratica 1 Sezione di una pellicola in bianco/nero. 2 Dicitura “Safety” sulle pellicole attuali. Safety film Le attuali pellicole in acetato so­no ininfiamma­ bili ed hanno la denominazione “safety film” che ne indica la sicurezza d’uso. Sebbene meno sentito dal fotografo, il problema dell’infiam­ mabilità era particolarmente considerato nel mondo del cinematografo. Le vecchie pellicole in cellulosa, utilizzate in macchinari per la proie­ zione, potevano infatti innescare veri e propri incendi. Se volete saperne di più, questo è un ottimo pretesto per vedere il film “Nuovo Ci­ nema Paradiso”, che valse al regista Giuseppe Tornatore il Premio Oscar.
  • 27. 18 2. La luce e i materiali fotosensibili è bastata la formazione di pochi atomi di argento metallico al- l’interno di ogni cristallo di alogenuro d’argento per innescare quel processo, che grazie al rivelatore subisce una forte accele- razione, e porta all’immagine fotografica. Si può paragonare l’immagine latente ad un suono, talmen- te debole da non essere percepito dall’orecchio, che può però essere amplificato, diventando perfettamente udibile. Il rivelatore svolge quindi un’azione amplificatrice nella tra- sformazione degli alogenuri d’argento in ar­gen­to metallico. Il negativo Le pellicole si possono dividere in due categorie: negative ed invertibili (diapositive). Le prime sono le più diffuse in asso- luto e sono caratterizzate dal fatto che forniscono un’immagi- ne negativa. Vediamone il significato. Negativo significa che un tono viene registrato con il suo opposto: il colore bianco diventa nero, mentre il nero è regi- strato come bianco. In generale, i colori chiari sono trasformati in grigi scuri e viceversa. Il motivo di questa inversione rispetto alla realtà, è dato dal tipo di sostanza fotosensibile utilizzata, l’argento, e dalla sua reazione nei confronti della luce: l’annerimento. L’emulsione colpita dalla luce diventa nera perché l’alogenuro d’argento si trasforma in argento metallico, mentre le zone non illuminate non reagiscono, risultando successivamente trasparenti. L’esperienza in camera oscura è la via più semplice per capi- re questi concetti. Poiché anche la carta è un negativo, si può utilizzarla come paragone. Riprendendo l’esperienza trattata in “Primo approccio”, su un foglio di carta fotosensibile appog- giamo la nostra mano ed accendiamo la luce, la parte di carta che viene impressionata è solo quella lasciata scoperta. Lo svi- luppo in bacinella produrrà una mano bianca su sfondo nero. Nella realtà, la mano era più scura del fondo bianco, mentre l’esperimento ci evidenzia che diventa più scuro ciò che riceve più luce. In fotografia, il negativo rappresenta solo il primo passag- gio, cui deve seguire la stampa. In questa fase i colori si inverto- no nuovamente, col risultato che a quelli chiari corrispondono grigi scuri, a quelli più scuri, tonalità di grigio chiaro. Carte e pellicole reagiscono allo stesso modo. Per­tan­to, avvalendovi della camera oscura, sperimentate quanto detto: sono sufficienti un foglio di carta sensibile, una lampada ed una mano. 1 Esercitazione: esposizione. 2 Esercitazione: l’immagine latente invi- sibile. 3 Esercitazione: sviluppo dell’immagine latente.
  • 28. 19 Pellicole diapositive Le pellicole diapositive a colori sono molto diffuse ed uti- lizzate sia a livello professionale che amatoriale. L’equivalente prodotto in bianco e nero invece, trova una diffusione piutto- sto limitata, e la stessa offerta da parte dei produttori è ristret- ta a pochissimi prodotti. Si tratta di pellicole invertibili, nelle quali ad un certo punto del trattamento avviene l’inversione dei toni: quelli scuri diven- tano chiari e viceversa, ottenendo un’immagine direttamente positiva su pellicola. L’immagine, successivamente intelaiata, viene vista tramite proiezione. Le pellicole invertibili possono anche essere trattate come negative, saltando il processo di inversione. In questo modo si possono produrre negativi eccellenti, ma dal costo piuttosto elevato. Sensibilità cromatica Una pellicola in bianco e nero trasforma i colori in varie to- nalità di grigio, in base al loro livello d’illuminazione ed alla capacità di captare detti colori. Sappiamo che l’occhio percepisce solo una parte delle onde elettromagnetiche esistenti in natura. In effetti noi possiamo vedere lo spettro che va da 400 nm a 700 nm (nanomètri), ovve- ro dal blu-viola al rosso. Quando è stata inventata la fotografia, le emulsioni foto- sensibili non erano in grado di registrare i colori così come li coglie l’occhio e, a ben vedere, sarebbe stato un puro caso! Oggi, possiamo disporre di emulsioni dalle diverse risposte alla luce: dalle pellicole pancromatiche sensibili a tutti i colori, alle pellicole con una limitata sensibilità spettrale, come le “blu sensibili”. Pellicole pancromatiche Le pellicole oggi più comunemente usate, le pancromati- che, sono tarate per percepire gli stessi colori visibili dall’occhio anche se, in realtà, evidenziano una differenza nell’intensità percettiva. L’occhio, infatti, manifesta una sensibilità maggiore per il verde che diviene così più luminoso, minore per il rosso ed il blu. Le emulsioni pancromatiche, al contrario, registrano il blu- violetto ed il rosso più chiari, il verde più scuro. Nel caso fosse necessaria una corrispondenza particolarmen- te accurata tra la visione dell’occhio e quella della pellicola, è consigliato l’uso di un filtro giallo chiaro. Le pellicole pancro- matiche, essendo sensibili a tutti i colori, vanno trattate al buio totale. Pellicole ortocromatiche Sebbene poco utilizzate, queste pellicole trovano ancora estimatori nel campo della ritrattistica. Le loro caratteristiche possono adattarsi bene a chi vuole mettere in evidenza parti- colari del volto, quali le labbra, le lentiggini o un viso partico- larmente roseo. In questi casi, l’effetto ottenuto è una minore densità nel negativo, in corrispondenza di questi particolari, e 1 Esercitazione: esposizione. 2 Esercitazione: negativo. 3 Esercitazione: controtipo, positivo ot- tenuto per contatto. 4 Spettro visibile da 400 a 700 nm.
  • 29. 20 2. La luce e i materiali fotosensibili quindi un maggior annerimento nella stampa. Questo si spiega per il fatto che le pellicole ortocromatiche non sono sensibili al rosso e all’arancione scuro. I colori non percepiti dall’emulsione, nel negativo risultano trasparenti, e nella successiva stampa neri. Al pari delle pellicole blu sensibili, queste trovano utilizzo anche nelle riproduzioni di originali unicamente in bianco e nero, privi cioè di grigi intermedi. Pellicole sensibili al blu Le prime emulsioni erano sensibili solamente alle lunghezze d’onda del violetto e del blu. Osservando le vecchie stampe si notano infatti i cieli bianchi e privi di particolari, mentre ciò che era verde come l’erba, o rosso come i tetti, appariva molto scuro. Queste pellicole, tuttora prodotte ma destinate ad usi parti- colari, sono dette blu sensibili, e sono del tutto simili alla carta fotografica. Il loro utilizzo è prevalentemente rivolto alla riproduzione “al tratto” di originali bianco-neri privi di grigi intermedi. Il trattamento si può effettuare con luce di sicurezza gialla. Accorgimenti Senza ricorrere all’acquisto di pel­licole ortocro­ matiche, è pos­­­­sibile ottenerne in gran parte gli effetti con una normale pellicola pancromatica. Basta anteporre al­l’obiettivo un filtro rosso negativo 44A che, di fatto, rende la pellicola insensibile al colore rosso, trasmettendo so­lo blu e verde. Per ottenere gli stessi effetti di una pellicola blu sensibile con una normale pellicola pancromati­ ca, si deve utilizzare un filtro blu scuro (n 47 B) che rende l’emulsione insensibile al giallo. “Al tratto” Sono così definiti i di­segni in bianco e nero con i soli tratti del contorno, senza gri­gi ed anche i testi di un libro. 1 Corsica. Pellicola a sviluppo cromoge- no stampata su carta a colori.
  • 30. 21 Pellicole all’infrarosso Sono pellicole sensibili parzialmente al rosso, ma soprattut- to all’infrarosso, che come sappiamo non é percepibile dall’oc- chio. Sono anche in grado di vedere luce blu, tuttavia questa lunghezza d’onda può essere eliminata anteponendo un filtro rosso o giallo scuro (blu negativo) all’obiettivo. Il risultato è una pellicola che vede principalmente ciò che l’occhio non vede (fino a 900 nm), con risultati spesso affascinanti sebbene con- trollabili solo dopo aver maturato molta esperienza. Pellicole a sviluppo cromogeno In questi ultimi anni sono state immesse sul mercato delle pellicole dalle caratteristiche molto particolari, a sviluppo cro- mogeno. Nonostante si tratti di emulsioni in bianco e nero, la loro struttura è tale da necessitare dello stesso sviluppo che si uti- lizza con le pellicole a colori, il comune C41. Questo è il del trattamento più consueto, utilizzato per la quasi totalità delle pellicole negative a colori. La stampa del negativo può essere eseguita con la tradizionale carta in bianco e nero, ma anche con quella a colori. I vantaggi, per chi usa da tempo il bianco e nero, sono evi- denti: oggi, servendosi dei minilabs, i piccoli laboratori di svi- luppo rapido diffusi ovunque, si può avere il rullino sviluppato e stampato nel giro di un’ora, a prezzi ormai molto favorevoli. Le foto che si ritengono più meritevoli possono essere successi- vamente stampate per ingrandimento nel proprio laboratorio, o affidandosi a quello di fiducia. Dal punto di vista delle prestazioni, sono pellicole dall’eccel- lente resa dell’immagine e dall’elevata latitudine di posa, che arriva a ben dodici stop, contro gli otto delle normali negati- ve. Un limite, ancor oggi parzialmente irrisolto, riguarda la dif- ficoltà di taratura delle macchine per la stampa su carta a colori. In molti casi infatti, le immagini anziché bianco-nere tendono ad un colore, nel migliore dei casi seppia, come le vecchie foto virate, oppure con dominanti diverse. Stampando su carta per il bianco e nero, il problema non sussiste. Pellicole con estesa sensibilità al rosso Sono pellicole pancromatiche particolarmente sensibili al colore rosso. Usate senza filtri producono risultati simili alle normali pellicole pancromatiche, mentre utilizzando filtri dal giallo al rosso scuro, offrono riproduzioni tonali inconsuete. In particolare, con un filtro rosso il cielo appare molto scuro men- tre i colori rossi, o contenenti il rosso, sono resi particolarmente chiari, portando all’estremo i risultati ottenibili analogamente con le pellicole pancromatiche standard. Si vedano a proposito i “filtri contrasto”. Pur essendo pellicole molto simili a quelle all’infrarosso, si possono caricare in macchina anche alla luce, purché sia atte- nuata, e vengono sviluppate con i normali prodotti. Per saperne di più Uso del filtro specifico: il Ko­dak Wratten n 89B, specifico per pellicole all’infrarosso, as­sorbe tut­ te le lunghezze d’on­da percepibili dall’occhio, pertanto la pellicola vede unicamente l’infra­ rosso. Considerato il totale assorbimento della luce, la messa a fuo­co va eseguita senza filtro. Pellicole a sviluppo cromogeno Come nelle pellicole negative a colori, l’imma­ gine è composta dai coloranti giallo, magenta e cyan, ma emulsionati in modo da ottenere un negativo b/n. Si veda il capitolo dedicato al trat­­­tamento delle pellicole negative a colori. Nonostante siano pellicole della sensibilità no­ minale di 400 ISO, la grana ha una estrema fi­ nezza, paragonabile a quella di emulsioni meno sensibili. Inoltre, a seconda delle necessità, la pellicola può essere esposta da 50 a 800 Iso: durante lo sviluppo, sarà sufficiente variarne il tempo, senza ricorrere a prodotti per procedi­ menti “spinti”. Il trattamento della pellicola può essere ese­ guito dallo stesso fotografo grazie ad un kit di sviluppo. Questo particolare può essere molto apprezzato da chi non vuole rinunciare al to­ tale controllo delle operazioni, ma necessita di un’attrezzatura più sofisticata di quella abituale, dato che la temperatura di sviluppo di 38° ha un margine di tolleranza di soli 0,2°. Latitudine di posa È la capacità da parte della pellicola di registrare con sufficiente dettaglio zone caratterizzate da una diversa illuminazione, che rispetto al­ l’esposizione generale portano a sovra o sotto- esposizione. In pratica, un’elevata latitudine di posa comporta un soddisfacente dettaglio sia nelle zone fortemente illuminate che in quelle in ombra.
  • 31. 22 2. La luce e i materiali fotosensibili Sensibilità alla luce La sensibilità alla luce è un elemento fondamentale delle pellicole. La storia della fotografia registra un costante inte- resse ed impegno da parte dei produttori nel cercare emulsioni sempre più rapide. La maggiore sensibilità deve infatti fare i conti con la qualità fotografica, che spesso ne risente. Tra i si- stemi di misurazione della sensibilità, negli anni sono andati affermandosi quelli americano (ASA) e tedesco (DIN). Oggi si è adottata a livello internazionale la misurazione ISO (International Standards Organisation) che, di fatto, ha sola- mente riunito i due sistemi già in uso. Una pellicola di 100 ASA, equivalente a 21 DIN, viene ora indicata 100/21° ISO. A livello pratico però, si è soliti dire solamente 100 ISO, trascurando il valore DIN. Questo è dovuto anche al fatto che sia le fotocame- re che gli esposimetri recenti riportano solo il primo valore. In concreto, quindi, ISO e ASA coincidono. La sensibilità espressa in ISO adotta dunque la vecchia scala ASA, di tipo aritmetico. Nella scala, al raddoppiare del valore, corrisponde il rad- doppio della sensibilità. Questo significa che ad esempio una pellicola da 200 ISO ha bisogno di metà luce rispetto ad una di sensibilità 100. In termini operativi, la differenza è di uno stop (tempo o diaframma). Vediamo un esempio pratico: la corretta esposizione con una pellicola da 100 ISO può essere, ad esempio, 1/30” con f/8. Con una pellicola da 200 ISO, si guadagna uno stop, pertanto si può usare un tempo più breve (1/60”) o un diaframma più chiuso (f/11). Le due coppie equivalenti sono quindi, 1/60” con f/8, e 1/30” con f/11. Caratteristiche principali I numerosi prodotti presenti sul mercato offrono am­pie ga- ranzie di riuscita del lavoro da eseguire. A se­con­da dei generi fotografici, le caratteristiche da ritenere prioritarie cambiano: per una pagina pubbli­ci­taria si deve ricercare la massima quali- tà possibile, mentre per il reportage assume primaria importan- za la fattibilità, anche a costo di una definizione inferiore. Le pellicole, comunque, sono tra di loro confrontabili, e al- l’interno di una stessa categoria di appartenenza (ad esempio la sensibilità) vi sono parametri da prendere in considerazione per individuare quella più adatta alle esigenze del momento. Fotografia digitale. Le fotocamere digitali offrono l’opportunità di impostare la sensibilità del sensore a differenti valori. La scala adottata, rimane quella ISO, tipi­ ca delle pellicole. Particolarmente apprezzata, è la possibilità di variare la sensibilità da uno scatto all’altro, a se­ conda delle condizioni di luce. Per contro, solo i modelli professionali possiedono una scelta paragonabile alle pellicole, mentre i modelli più comuni sono spesso limitati alla sensibilità di 400 ISO. Scala DIN La scala DIN è di tipo logaritmico. In essa quan­ do si raddoppia la sensibilità, il numero aumen­ ta di tre unità. Tabella corrispondenze ASA DIN 25 15 50 18 100 21 200 24 400 27 800 30 1600 33 3200 36 Scala dei valori base 6 12 25 50 100 200 400 800 1600 3200 6400 Scala che tiene conto dei valori corrispondenti ad 1/3 e 2/3 di diaframma 2 16 20 25 32 40 50 64 80 100 125 160 200 250 320 400 1 Confezione di pellicola a colori: in evidenza le caratteristiche e i dati sulla conservazione.
  • 32. 23 La grana Un’emulsione di elevata sensibilità è ottenuta me­diante la formazione di cristalli di alogenuro d’argento più grandi. Tra- sformandosi in argento metallico, questi pezzi andranno a com- porre il mosaico che formerà l’immagine. Tanto maggiore è la loro dimensione, tanto più evidente sarà l’effetto sgranato ot- tenuto. Si riscontra perciò che tra un pezzo e l’altro di’argento, c’è un piccolo spazio vuoto, e questo sarà tanto più grande col crescere della sensibilità. Una volta stampata per ingrandimen- to, l’immagine apparirà sgranata, con una generale perdita del dettaglio. In una pellicola di minore sensibilità invece, è come se disponessimo di tessere di mosaico molto più minute. Ap- pare evidente che l’immagine ottenibile, grazie ad una grana ben più contenuta, si evidenzia per una maggiore continuità di tratto. In un negativo sviluppato, la grana è dunque costituita dalle macchioline di argento metallico derivato dallo sviluppo del- l’alogenuro d’argento esposto alla luce, ed è visibile solo me- diante l’uso di microscopi o forti lenti d’ingrandimento. Il destino del negativo però, è di essere stampato, ed il più delle volte ciò avviene per ingrandimento. Questo comporta una maggiore dimensione dell’immagine ed anche della gra- na. La grana, come si è visto, dipende direttamente dalla sensi- bilità della pellicola, ma non solo. Il suo controllo dimensionale può avvenire anche in fase di sviluppo mediante rivelatori “fine granulanti”, temperature di sviluppo non superiori ai 20°, ri- velatori diluiti. In fase di ripresa, invece, si deve stare attenti a non sovraesporre, mentre in stampa, una carta più contrastata ne riduce l’evidenza. È logico infine che maggiore è l’ingrandi- mento, maggiore risulta l’effetto sgra­nato; si deve anche tenere presente che tali foto vanno visionate ad una distanza maggio- re, per cui la grana diviene meno evidente. Il formato, infine, è fondamentale dato che a parità di stampa finale, le dimensioni del negativo comportano differenti livelli di ingrandimento. Una stampa 18x24 ottenuta da una pellicola 35 mm richiede un ingrandimento di otto volte, mentre sono sufficienti due soli ingrandimenti se si usa un formato 10 x 12 centimetri. Per saperne di più È da notare che, con riferimento alla stampa, ciò che i fotografi chiamano grana sono le mac­ chie nere derivate dagli spazi vuoti della pellico­ la. Le zone del negativo ricoperte d’argento for­ mano infatti una barriera al passaggio della luce e vengono ri­prodotte come bianco sulla stam­pa. Al contrario, gli spazi tra­spa­renti lasciano passa­ re la lu­ce che, impressionando la car­ta, for­merà il nero. Anche se im­pro­priamente, questa è la grana cui si fa riferimento nella valutazione fi­ nale delle stampe. 1 Esercitazione: fotografia ottenuta con una pellicola da 400 ISO. 2 Esercitazione: fotografia ottenuta con una pellicola da 50 ISO. 3 Fotografia pubblicitaria a dimensione di stampa. 4 Fotografia di reportage a dimensione di stampa.
  • 33. 24 2. La luce e i materiali fotosensibili Il formato La scelta del formato può sembrare un aspetto banale, per- chè non implica formulazioni chimiche od altre questioni tecni- che. In realtà l’adozione di un formato sottintende una scelta fondamentale: la qualità o la maneggevolezza. Chiaramente, i piccoli formati come il 35 mm che si abbinano a macchine picco- le e leggere sono scelti da chi esegue foto d’azione, nelle quali conta più la possibilità di riprendere le immagini, che la quali- tà. Al contrario, chi può fotografare senza fretta, con l’ausilio del treppiede, troverà indubbio vantaggio nelle prestazioni dei formati maggiori. In tabella sono riportati alcuni formati in commercio e la re- lativa grandezza d’immagine nel negativo. Altri tipi di formato sono piuttosto inusuali. Vi sono inoltre pellicole che vengono vendute in bobine, sia per il 35 mm che per il medio formato. Dal punto di vista delle prestazioni, premesso che la struttu- ra della pellicola è pressoché uguale nei vari formati (con uno spessore maggiore nelle pellicole piane), la qualità è sicuramen- te a favore dei formati maggiori per due fondamentali motivi: 1 Un minor ingrandimento necessario, con conseguente ridot- ta evidenziazione della grana; in alcuni casi si può addirittu- ra stampare per contatto. 2 La minore compressione dei dati: la stessa inquadra­tura vie- ne registrata su una superficie più ampia, con un aumento del potere risolutivo. denominazione formato dim. effettive n. fotogrammi 110 13 x 17 mm 13 x 17 12 – 20 APS 17 x 30 mm 17 x 30 25 135 24 x 36 mm 24 x 36 12 – 24 – 36 120 4,5 x 6 cm 45 x 57 15 120 6 x 6 cm 57 x 57 12 120 6 x 7 cm 57 x 70 10 120 6 x 9 cm 57 x 90 8 220 4,5 x 6 cm 45 x 57 30 220 6 x 6 cm 57 x 57 24 Pellicola piana* 4 x 5” 10,2 x 12,7 1 Pellicola piana* 5 x 7” 12,7 x 17,8 1 Pellicola piana* 8 x 10” 20,3 x 25,4 1 *misure in pollici: 1”= cm 2,54 Le pellicole piane Sono impiegate in apparecchi fo­­­­t­ografici di grande formato, tipo il banco ottico. Inserite al buio in appositi telai chiamati chassis, vengono alloggiate nelle fotocamere consenten­ do singoli scatti di grandi di­mensioni. Possono essere sviluppate in bacinella o in tank, singolar­ mente o in piccolo nu­mero.
  • 34. 25 Contrasto Una semplice definizione di contrasto, riguardante un’im- magine fotografica, può essere sintetizzata nel grado di diffe- renza tra le zone chiare e quelle scure. Quando il salto percet- tivo è elevato, passando direttamente da zone molto luminose ad ombre marcate, si dice che il contrasto è alto. Se invece in un’immagine si leggono molti dettagli sia in zone chiare che in zone più scure, e la differenza di luminosità è contenuta, dicia- mo che si ha un contrasto medio. Il contrasto, infine, è basso se l’immagine appare piatta, poco tridimensionale, con le lumino- sità compresse. Tra i fattori che influenzano il contrasto finale di una fo- tografia c’è il contrasto intrinseco della pellicola, ed il fattore principale da cui esso dipende è lo spessore dell’emulsione e, di conseguenza, la sensibilità. Le pellicole poco sensibili hanno in- fatti un’emulsione più sottile di quelle più rapide. Col crescere dello spessore, e quindi della sensibilità, il contrasto diminui- sce. Le emulsioni poco sensibili, caratterizzate da un elevato contrasto, non sono in grado di registrare una vasta gamma di luminanze, per cui il controllo dell’illuminazione, quando possibile, deve tendere ad un contenimento dei diversi livelli luminosi sul soggetto. Al contrario, le pellicole ad elevate sensibilità hanno una maggiore capacità di riprendere una gamma di luminosità più estesa. Questo può portare, quasi paradossalmente, alla loro scelta in situazioni di notevole illuminazione, quando questa sia accompagnata da forti chiaroscuri sul soggetto. Il contrasto finale di un’immagine fotografica dipende dun- que: • dall’illuminazione del soggetto, • dalla pellicola, ma anche: • dal trattamento del negativo • dalla carta usata in stampa, come evidenzieremo in seguito. Potere risolutivo A livello di test di laboratorio, il potere risolutivo di una pellicola indica la sua capacità di registrare una serie di linee tra loro molto ravvicinate come entità distinte l’una dall’altra. A livello pratico, è la capacità di registrare i dettagli più mi- nuti presenti nella scena. Come è logico aspettarsi, il potere risolutivo si abbina male ad una pellicola con grana grossa, per cui sarà maggiore nelle emulsioni lente (poco sensibili). Un secondo elemento importante è il formato. La possibilità di registrare l’immagine su una superficie maggiore garantisce risultati migliori. La scelta di determinati rivelatori, in fase di sviluppo del ne- gativo, porta ad un ulteriore controllo di questa caratteristica. 1 Immagine negativa a basso contrasto. 2 Immagine negativa ad alto contrasto.
  • 35. 26 2. La luce e i materiali fotosensibili Acutanza L’acutanza è la misura del contrasto in prossimità dei limiti tra zone chiare e scure. Se riprendiamo in considerazione le li- nee nere su fondo bianco utilizzate nella prova di laboratorio per misurare il potere risolutivo, l’acutanza (detta anche micro- contrasto) riguarda il modo con cui si passa dal nero al bianco. Con acutanza elevata, il passaggio è netto, altrimenti ci appare sfumato, e può essere confuso con la sfocatura. L’acutanza, come il potere risolutivo, è maggiore nelle pel- licole poco sensibili, ma è molto influenzata anche dal tipo di rivelatore utilizzato nello sviluppo del negativo. Poiché i rivela- tori ad alta acutanza comportano un accrescimento della gra- na, il loro utilizzo è consigliabile solo con pellicole lente. Latitudine di posa L’occhio è un organo dalle capacità straordinarie, in grado tra l’altro di distinguere e leggere, in una scena, sia zone forte- mente illuminate, sia parti in ombra. Se si fotografa la stessa scena pensando di poterla rivedere altrettanto distintamente nelle singole parti, si può andare in- contro a cocenti delusioni. La pellicola, infatti, non ha una pari capacità di estendere contemporaneamente la registrazione alle zone così diversamente illuminate, col risultato di rendere indistinguibili i particolari troppo in ombra rispetto a quelli più illuminati o viceversa. La latitudine di posa di una pellicola è la capacità di regi- strare a livelli più o meno estesi le zone con differenti illumi- nazioni. Conoscerla significa sapere quanto la pellicola è in grado di registrare le zone illuminate in maniera diversa rispetto a quel- la dove è stata fatta la lettura con l’esposimetro. In altre parole, la latitudine di posa è l’errore tollerato rispetto all’esposizione fatta. Poiché capita spessissimo di dover fotografare soggetti con illuminazioni molto diversificate, la scelta della pellicola può esser fatta anche in base a questo parametro. Più in generale, se si conoscono il comportamento ed i limiti della pellicola da utilizzare è possibile condizionarne l’esposizione privilegiando le basse o le alte luminosità. Le pellicole con maggiore latitudine di posa sono quelle negative. Le diapositive invece hanno una tolleranza molto ri- dotta e sono più difficili da usare. Infine, la latitudine di posa cresce con l’aumentare della sensibilità della pellicola. Nitidezza Potere risolutivo ed acutanza, vengono spesso riassunti con il termine nitidezza. Fotografia digitale. Nella fotografia digitale, i termini di valutazione della qualità fotografica, hanno sostanziali ana­ logie con la fotografia tradizionale. È evidente, che a sensori di piccole dimensioni corrispon­ dano prestazioni inferiori, così come ad elevate sensibilità corrispondano immagini meno det­ tagliate, in questo caso per l’insorgenza di un “rumore” elettronico prodotto dal sensore. Ri­ guardo la nitidezza, si effettuano le stesse prove di valutazione della resa fotografica su mire. 1 Mira utilizzata nelle prove di laborato­ rio per testare la nitidezza dell’imma­ gine. 2 Cristalli di alogenuro d’argento ingran­ di­ti con il microscopio elettronico.
  • 36. 27 icaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecnicaTecTecnicani Gli apparecchi fotografici 28 Componenti principali 28 Il formato 28 Il corpo macchina 28 Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento 30 Il dorso 30 L’otturatore 30 Otturatore sul piano focale, det­to a tendina 32 Il tempo di sincronizzazione 32 I tempi di esposizione 32 L’otturatore centrale 33 Tipi di otturatore a confronto 33 L’obiettivo 34 Il diaframma 34 Il mirino 35 Macchine a telemetro 35 Il telemetro 36 Pro e contro 37 La reflex monoculare 35 mm 37 La visione reflex 39 La messa a fuoco 40 Potenzialità 40 Accessori 41 La reflex digitale 41 Pro e contro 41 I punti a favore 41 I punti a sfavore 42 Conclusioni 42 La reflex biottica 42 L’inquadratura 43 La messa a fuoco 43 Pro e contro 44 La reflex di medio formato 45 L’otturatore 45 L’inquadratura 45 Messa a fuoco 46 Pro e contro 47 Sistemi a corpi mobili 47 Parti dell’apparecchio 48 L’inquadratura 49 L’esposizione 50 I movimenti 50 Conseguenze del decentramento 52 Conseguenze del basculaggio 3
  • 37. 28 3. Gli apparecchi fotografici Componenti principali Il formato Una prima distinzione importante per gli apparecchi foto- grafici riguarda il formato della pellicola che sono in grado di alloggiare. Dagli apparecchi miniaturizzati di tipo spionistico, a quelli di grande formato per pellicole piane, la scelta è piutto- sto ampia ma, nella pratica, si distinguono tre categorie: picco- lo, medio e grande formato. Alla prima categoria appartengono gli apparecchi fino al 35 mm, alla seconda quelli che utilizzano pellicole 120 (dal 4,5x6 al 6x9 cm), alla terza quelli che impiegano formati superiori. Se alla prima categoria spetta il primato della praticità e facilità di utilizzo, le macchine di formato maggiore, grazie al- l’impiego di pellicole di grandi dimensioni, sono in grado di fornire livelli qualitativi indubbiamente superiori. Il corpo macchina Il corpo di un apparecchio fotografico deve offrire una ga- ranzia assoluta di ermeticità alla luce, ma non solo. A distanza di quasi duecento anni, la “camera obscura” si è trasformata arricchendosi di componenti sia meccanici che elettronici in grado di conferirne prestazioni particolari, e di velocizzare e semplificare le varie operazioni che vanno dal cal- colo automatico dell’esposizione al trascinamento motorizzato della pellicola. L’alloggiamento dei componenti elettronici, del motore e delle batterie ha portato ad un ripensamento della forma dell’apparecchio. I modelli attuali sono più voluminosi dei precedenti; vengono però progettati con particolare cura riguardo l’ergonomia, tanto da risultare particolarmente ma- neggevoli. Al di là del tipo di apparecchio e del suo grado di innova- zione, nel corpo macchina trovano alloggiamento gli elementi fondamentali di ogni sistema fotografico che vedremo di se- guito. Il porta-pellicola e il sistema di trascinamento La parte posteriore del corpo macchina è predisposta per l’alloggiamento della pellicola e dei meccanismi per il suo tra- scinamento. Rimandando il caso particolare delle pellicole piane alla conclusione del capitolo (sistemi a corpi mobili), esaminiamo il caso più comune delle pellicole in rullo. Apparecchi 35mm Per aprire l’apparecchio fotografico, a seconda dei mo­delli, si solleva la manopola di riavvolgimento, oppure si agisce su dei pulsanti posti lateralmente. Una volta aperto il dorso, si nota sulla sinistra l’alloggiamento per l’involucro metallico della pel- licola. Negli apparecchi recenti ci sono anche i sensori per la lettura del codice a barre impresso sul rullino, che consentono il trasferimento automatico dei dati del film. A destra ci sono i congegni di agganciamento, che differi- scono a seconda si abbia o meno il trascinamento motorizzato 1 Fotocamera 35 mm “compatta. 2 Banco ottico. 3 Fotocamera di medio formato. 4 Apertura del dorso per mezzo della ma­ nopola di riavvolgimento.
  • 38. 29 della pellicola. In questo caso (la quasi totalità degli apparecchi sul mercato), facendo ben aderire la pellicola, è sufficiente po- sizionarne la parte terminale in corrispondenza della tacca di riferimento e chiudere il dorso della fotocamera. Premendo il pulsante di scatto, il motore trascina la pellicola fino al primo fotogramma utile. Negli apparecchi privi di motorizzazione, la parte stretta della pellicola va inserita nel rocchetto, controllandone il cor- retto inserimento dei denti nelle perforazioni. Dopo aver dato la giusta tensione alla pellicola per farla perfettamente aderire, si chiude il dorso e, tramite la levetta di avanzamento, la si tra- scina eseguendo due scatti a vuoto. Durante questa esecuzione è importante controllare la manopola di riavvolgimento: se gira vuol dire che la pellicola avanza regolarmente, altrimenti è ne- cessario rivedere le procedure. Mentre nei modelli motorizzati la pellicola viene fatta avan- zare automaticamente ad ogni scatto, nelle macchine prive di motore è necessario agire sulla leva di avanzamento. Un grande vantaggio offerto dalla motorizzazione è dato dalla possibilità di eseguire fotografie a raffica, la cui velocità varia a seconda del livello più o meno professionale dell’appa- recchio. Ultimato un rullino, la pellicola deve essere riavvolta nell’in- volucro metallico. Se disponete del motore è sufficiente darne comando, generalmente premendo simultaneamente due pul- santi, altrimenti si deve dapprima sganciare la pellicola median- te un pulsante posto sul fondo della macchina, e successiva- mente agire sulla manovella di riavvolgimento. Apparecchi di medio formato Gli apparecchi di medio formato utilizzano pellicole prive di involucro metallico munite di uno strato di carta che eserci- ta una funzione protettiva sia all’inizio che alla fine del rullo. Per questo motivo, esauriti gli scatti a disposizione, non occorre riavvolgere la pellicola, ma è sufficiente completare l’avanza- mento svolgendo completamente la carta. 1 Apparecchio medio formato: in evidenza la pellicola. 2 Inserimento della pellicola. 3 Inserimento della pellicola negli appa- recchi motorizzati. 4 Manovella di riavvolgimento. 5 Levetta di avanzamento della pel­­licola e carica dell’otturatore.
  • 39. 30 3. Gli apparecchi fotografici Il rocchetto della pellicola già impiegata viene utilizzato per quella seguente, cambiandogli posizione, facendolo diventare cioè rocchetto ricevente. Il sistema di trascinamento può essere anche in questo caso manuale o motorizzato, mediante l’applicazione di speciali im- pugnature con alloggiamento per motore e batterie. Il dorso Il dorso di una macchina fotografica ha la duplice funzione di chiudere l’apparecchio ermeticamente alla luce e di mante- nere la pellicola perfettamente piana, tramite il “pressore”. Se si vogliono evitare inconvenienti quali infiltrazioni di luce o strisci sulla pellicola, è indispensabile una buona manutenzio- ne delle guarnizioni ed una perfetta pulizia. Alcuni dorsi sono dotati di una finestrella a tenuta di luce per controllare il tipo di pellicola impiegato. L’otturatore Nel 1826 a Niépce furono necessarie ben otto ore di espo- sizione per ottenere la prima immagine fotografica; oggi, con l’accresciuta sensibilità della pellicole, per la stessa immagine basterebbero frazioni di secondo ed in condizioni particolari potremmo ipotizzare addirittura un tempo di 1/1000 di secon- do. Come si può esporre una pellicola per un tempo così breve ed in modo preciso? Ciò si ottiene grazie ad un congegno chiamato otturatore, che può essere di tipo meccanico, sebbene oggi sia più frequen- temente a controllo elettronico. Esistono due tipi di otturatori, ognuno con dei punti di for- za, il cui utilizzo è in genere condizionato dal tipo di apparec- chio sul quale vanno montati. Vediamo di conoscerli. Otturatore sul piano focale, det­to a tendina L’otturatore a tendina si colloca nel corpo macchina, sul pia- no focale, davanti alla pellicola. Assieme al dorso dell’apparec- chio, è il congegno in grado di riparare costantemente dalla luce l’emulsione, salvo il momento in cui il fotografo preme il pulsante di scatto. In questo caso, l’otturatore è in grado di aprirsi per un tempo predeterminato, durante il quale la luce im­pressiona la pellicola. Questo modello prende il nome da due tendine costituite originariamente da una tela gommata a tenuta di luce, oggi sostituite da lamelle in metallo che ne ricalcano comunque i movimenti. Vediamoli nel dettaglio: ipotizziamo di impostare un tempo di esposizione di 1” • al momento dello scatto, la prima tendina si apre spostan- dosi dall’alto in basso scoprendo interamente la pellicola. • esattamente dopo 1”dall’inizio del movimento della prima tendina, ne parte una seconda che, sempre dall’alto in bas- so, chiude l’otturatore coprendo la pellicola. Notate che la zona che viene scoperta per prima, quella su- periore, è anche la prima a richiudersi, garantendo così un iden- tico tempo di esposizione in qualsiasi punto della pellicola. Se effettuate una prova con un apparecchio fotografico (sen­ za pellicola naturalmente), noterete inoltre la straordinaria ve- 1 Dorso di apparecchio motorizzato. 2 Otturatore a tendina con scorrimento orizzontale. 3 Otturatore metallico a scorrimento verticale.
  • 40. 31 locità delle tendine. Effettuato lo scatto, agite sulla levetta per caricare la pellicola ed osservate il movimento, questa volta dal basso verso l’alto, delle tendine che, restando ermeticamente chiuse, si riportano nella posizione precedente, pronte per un altro scatto. Con un tempo di esposizione lungo come quello dell’esem- pio, la pellicola resta completamente scoperta. Questo avviene anche per alcuni tempi più brevi ma, accorciandosi drastica- mente l’esposizione, il movimento delle due tendine si fa più ravvicinato, tanto che la seconda parte quando la prima non ha ancora concluso la sua corsa. In questo caso la pellicola viene esposta mediante la luce che passa attraverso una finestrella, di larghezza costante, che scorre dall’alto verso il basso, la cui lar- ghezza è determinata dal tempo di esposizione, e che si riduce ad una feritoia impercettibile per i tempi ultra rapidi. Nell’esempio si fa riferimento al modello oggi più diffuso: l’otturatore a scorrimento verticale che, lavorando sul lato più corto del formato, consente di arrivare a tempi di esposizione brevissimi. Altre macchine montano un secondo tipo di ottura- tore in cui lo scorrimento delle tendine avviene orizzontalmen- te, tuttavia si tratta per lo più di apparecchi fuori produzione. Il principio di funzionamento è identico a quello sopra descritto. 1 Sequenza apertura delle tendine a scorrimento verticale con tempi ugua- li o più lunghi di 1/125 di secondo. 2 Sequenza apertura delle tendine a scorrimento verticale con tempi più brevi di 1/125 di secondo. 3 Sequenza apertura delle tendine a scorrimento orizzontale con tempi uguali o più lunghi di 1/60 di secondo. 4 Sequenza apertura delle tendine a scorrimento orizzontale con tempi più brevi di 1/60 di secondo.
  • 41. 32 3. Gli apparecchi fotografici Il tempo di sincronizzazione Con tempi di esposizione lunghi, la seconda tendina parte quando la prima é già arrivata a fine corsa, mentre per tempi brevi il ritardo tra le tendine si riduce e l’esposizione avviene mediante la luce che passa attraverso una finestrella formata dalle due tendine in movimento. Qual è il tempo più breve per il quale si mantiene l’intera apertura dell’otturatore? Fino a qualche anno fa, la risposta sarebbe stata semplice: 1/60” per gli otturatori a scorrimento orizzontale, 1/125” per quelli a scorrimento verticale. Oggi, con i progressi ottenuti grazie all’elettronica, i tempi si sono accorciati, fino ad 1/250”. Per conoscere il tempo preciso si deve consultare il libretto del- le istruzioni. Questo tempo particolare prende il nome di tempo di sin- cronizzazione ed è riferito all’uso del flash. Si tratta del tempo più breve che si può utilizzare con un flash elettronico ed è intuitivo comprenderne le ragioni. Se si usasse un tempo infe- riore, infatti, l’emissione del lampo impressionerebbe solo una parte della pellicola, quella lasciata scoperta dalla finestrella tra le due tendine. Nelle macchine attuali, quando il flash è inserito, la rego- lazione del tempo è generalmente automatica; in quelle più vecchie deve essere eseguita dal fotografo. I tempi di esposizione I tempi di esposizione seguono una regola molto semplice: ogni tempo è il doppio o la metà di un altro. Nelle macchine fotografiche troveremo perciò i seguenti tempi espressi in se- condi: Per ragioni di spazio, nelle fotocamere i suddetti valori ven- gono riportati senza la frazione per cui 1/500”, ad esempio, vie- ne visualizzato solo con 500. Le macchine recenti possono offrire tempi più brevi, oggi fino ad 1/8000” ed anche il controllo di tempi lunghi oltre 1”. Mancando quest’ultima opzione, si può utilizzare la posa B che consente di mantenere aperto l’otturatore finché resta schiac- ciato il pulsante di scatto. In questo caso è consigliabile l’uso di un cronometro e diventa indispensabile lo scatto flessibile per evitare di trasmettere vibrazioni con la pressione del dito. I modelli recenti inoltre hanno introdotto l’impiego di tempi intermedi, ma generalmente è un’opzione riservata a modalità di utilizzo in automatico. L’otturatore centrale Il secondo tipo di otturatore è quello a lamelle, comune- mente detto centrale. La funzione svolta è la medesima di quel- lo a tendine: garantire alla pellicola un’e­spo­si­zio­ne alla luce in un tempo preciso predeterminato, però la forma costruttiva e 1 Fotografia eseguita con il flash ad un tempo più breve del tempo di sincro- nizzazione. 2 Ghiera dei tempi. Scala dei valori di base 1 1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000 1/2000
  • 42. 33 la collocazione lo fanno differire nettamente dall’altro tipo di otturatore. Innanzitutto si deve osservarne il posizionamento: l’ot­­tu­ra­ tore centrale è tutt’uno con l’obiettivo. Di conseguenza la sua forma è circolare, e precisamente è costituito da una serie di lamelle che al momento dello scatto si aprono, lasciando pas- sare la luce. Una volta apertesi totalmente, trascorso il tempo di ottura­ zio­ne impostato, le lamelle tornano alla posizione iniziale ri- chiudendosi. È importante notare che per qualsiasi tempo di esposizione si ha la totale apertura dell’otturatore, consentendo in questo modo l’utilizzo del flash anche con i tempi più brevi che, tutta- via, arrivano solamente ad 1/500”. Tipi di otturatore a confronto L’otturatore a tendina ha dimensioni pari al formato del- la pellicola. Di conseguenza il suo utilizzo è limitato al picco- lo formato e alle misure inferiori del medio. E’ impensabile la costruzione di otturatori per apparecchi di grande dimensione quali il 4x5” o addirittura l’8x10” (misure in pollici: un pollice cor­risponde a 25,4 mm). L’otturatore centrale è perciò obbligatoriamente impiega- to nel medio - grande formato, ma trova un suo largo utilizzo anche negli apparecchi compatti di piccolo formato ad ottica fis­sa. I punti di forza dell’otturatore a tendina sono: • i brevissimi tempi di esposizione • la collocazione sul piano focale, che lo rende perfettamente idoneo per l’utilizzo in apparecchi reflex. A favore dell’otturatore centrale vanno invece: • la semplicità costruttiva • la sincronizzazione totale con il flash • l’estrema silenziosità. Per contro, qualora l’apparecchio abbia le ottiche intercam- biabili, ognuna di queste dovrà essere munita di otturatore, con un aggravio di spese. L’obiettivo L’obiettivo costituisce il cuore di un sistema fotografico, in- fluendo sulla qualità dell’immagine più di qualunque altra in- novazione tecnica. Dal semplice foro stenopeico dei primi mo- delli di “camera obscura” ai più recenti sistemi ottici, le case produttrici si sono costantemente impegnate per migliorarne qualità e versatilità. Un foro stenopeico è un foro estremamente piccolo, in gra- do di far passare i raggi provenienti dal soggetto inquadrato in modo selettivo. Con un’apertura maggiore, i raggi passereb- bero in modo disordinato senza formare l’immagine. Grazie 1 Sequenza di apertura di un otturatore cen­trale. 2 Otturatore centrale parzialmente aper­ to e diaframma regolato f/16.
  • 43. 34 3. Gli apparecchi fotografici all’ausilio di lenti, un obiettivo è invece in grado di formare un’immagine nitida con aperture molto maggiori, ottenendo tra l’altro una notevole diminuzione del tempo di posa. Togliendo l’obiettivo dalla macchina fotografica, non sareb- be possibile ottenere un’immagine, ma solamente un’esposizio- ne della pellicola alla luce. Le macchine fotografiche, a seconda dei modelli, possono avere l’ottica fissa oppure intercambiabile. In questo secondo caso il sistema fotografico risulta sicuramente più versatile e completo. Gli apparecchi con obiettivo fisso, a parte quelli più economici, sono generalmente muniti di ottica zoom. Il diaframma I moderni obiettivi sono tutti dotati di diaframma. Collocato circa al centro del sistema di lenti, è oggi comu- nemente impiegato il modello ad iride, formato da un numero di lamelle variabile da cinque ad otto, che ne danno la forma caratteristica da pentagonale ad ottagonale. I primi sistemi fotografici, al contrario, disponevano di una serie di piastrine con fori circolari, da applicare manualmente all’obiettivo, regolandone in questo modo la luminosità. Il diaframma svolge una duplice funzione: • regola l’esposizione della pellicola (insieme all’otturatore) • conferisce all’immagine una forte caratterizzazione relati- vamente all’estensione delle zone messe a fuoco (profondi- tà di campo). La scelta del diaframma da utilizzare, costituisce uno dei momenti più delicati nella ripresa fotografica, e va ponderata attentamente. Il mirino Le macchine fotografiche di piccolo e medio formato si dif- ferenziano anche in base al mirino utilizzato per inquadrare. Distinguiamo principalmente due tipi: • fotocamere a mirino separato • fotocamere a mirino reflex. Per saperne di più Per conseguire un’accurata mes­­­sa a fuoco dell’immagine, gli o­biet­tivi, salvo le eccezioni che ve­dremo in seguito, han­no una ghiera, ruotando la qua­­le si modifica la distanza tra le lenti e, di conseguenza, la dimensione totale del barilotto. L’obiettivo zoom, grazie ad una costruzione mobile, permette di avvicinare o allontanare il soggetto inquadrato senza spostarsi. È spesso im­piegato anche nelle riprese te­le­visive. 1 Diaframma. 2 Senza l’obiettivo (o il foro stenopeico) nell’apparecchio fotografico ci sareb- be ingresso di luce senza formazione dell’immagine. Con l’obiettivo i raggi vengono fo- calizzati sul piano focale ottenendo un’immagine.