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La p oliti ca nel ‘900 1900 2000
I sistemi liberali nel primo ‘900 ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
La svolta di Giolitti Giolitti determinò un’inversione di tendenza rispetto ai governi autoritari e illiberali di fine secolo: preso atto che era impossibile governare contro il popolo, cercò di ottenere il consenso dei ceti operai del nord e dell’ala moderata del PSI. A tal fine dichiarò legittimo lo sciopero economico (non politico) e attuò riforme (assicurazione contro infortuni, nazionalizzazione ferrovie), mentre al sud mantenne il volto autoritario dello stato, scendendo a compromessi con le cosche locali e guadagnandosi l’accusa di ministro della malavita (Salvemini). La scelta più aperta fu quella del suffragio universale (1912), che faceva però da contrappeso alla guerra di Libia (1911), concessione opportunistica fatta ai nazionalisti. L’ambiguo pendolarismo di Giolitti non resse però alle tensioni che precedettero la prima guerra mondiale.
Impatto politico della grande guerra In tutti i paesi coinvolti la prima guerra mondiale determinò un aumento dei poteri di controllo degli stati e dei governi sulla so-cietà. In genere si rafforzò l’esecutivo. Nei paesi liberali fu accettato un dirigismo economico impensa-bile in tempo di pace. Finita la guerra, mentre gli imperi furono travolti, nei paesi liberali sembrò allargarsi la partecipazione popolare alla politica grazie al suffragio femminile.
Il crollo dello zarismo La Russia fu il primo impero ad essere travolto dalla guerra, che risultò essere un enorme sacrificio per un esercito arretrato ed una società semifeudale (la servitù della gleba era stata abolita solo nel 1867). Già nel 1905, nel corso della guerra contro il Giappone, erano emersi la protesta del popolo e dei militari contro l’assolutismo dello zar (v. l’ episodio della corazzata Potemkin). Perciò il conflitto mondiale fu deva-stante per il paese: nel marzo del ’17 una prima rivoluzione capeggiata da Kerenskij, che si mise a capo del governo provvisorio, costrinse lo zar Nicola II ad abdicare.
Lenin e la rivoluzione d’ottobre Nel frattempo ritornò in Russia (dopo un esilio) il capo del partito bolscevico (marxista), Lenin, con un programma che ebbe facile presa sulla popola-zione: pace e terra (e “tutto il potere ai soviet”). Forte del consenso popolare, il partito bolsevico organizzò, nel novembre ’17 (ottobre per il calen-dario russo) una seconda rivoluzione che travolse anche il governo Kerenskij. I primi atti del governo furono la pace immediata e l’avvio del socialismo (spartizione delle terre e fabbriche agli operai)
L’era dei totalitarismi Per totalitarismo si intende una dittatura che utilizza i mezzi di comunicazione di massa per esercitare il massimo controllo sulla società. Infatti le principali caratteristiche di un sistema totalitario sono: 1 . Un partito unico di massa guidato da un capo che diffonde il culto della sua persona; 2. Un sistema di terrore fisico e psichico realizzato dal partito; 3. Il monopolio dei mass media (stampa, radio, cinema…); 4. Una dottrina, ovvero un’ideologia che viene diffusa in modo capillare, a partire dalle scuole; 5. L’accentramento del potere (inclusi economia, esercito, giustizia)
Un’immagine simbolo del totalitarismo
La crisi del dopoguerra in Italia Dovuta alla riconversione industriale e al deficit del bilancio, innescò la crisi sociale e indusse le grandi aziende a favorire una solu-zione autoritaria La mancata promessa, fatta in guerra,  di dare la terra ai contadini; il mito della rivoluzione russa; infine la disoc- cupazione favorirono numerose manifesta- zioni di protesta Le istituzioni liberali,di fronte ad un sistema pro-porzionale che vedeva i ceti dirigenti tradizionali perdere il controllo della situazione, si rivelarono inadeguate. Per di più la destra agitò il mito della vittoria mutilata, a proposito di Fiume Crisi del dopoguerra Economica sociale politica
Il “biennio rosso” e i fasci Mentre operai e contadini occupavano fabbriche e terre, specie negli anni ’20-’21, senza ottenere nulla di significativo (ciò che provocò la crisi del PSI e la nascita del PCI), nacque un movimento di segno contrario, quello dei fasci di combattimento, che si carat-terizzò fin da subito per azioni violente, come assalti alle sedi sindacali o di partito e aggressioni fisiche ai militanti di sinistra.
Le due anime del fascismo Il  fascismo, come movimento, nacque nel 1919 con un programma (detto di San Sepolcro), molto ibrido: nazionalismo, antibolscevismo, culto della violenza, coesistevano accanto ad uno spirito “rivoluzio-nario” (voto a 18 anni, imposta progressiva, abolizione del senato, anticlericalismo). Del resto il fondatore, Benito Mussolini, era un ex-socialista (interventista). Due risultavano le radici del fascismo: RURALE : Rappresentata dai grandi agrari animati da volontà punitiva verso i contadini. Questi assoldavano squadristi per punire i contadini ribelli URBANA: Rappresentata da ex ufficiali, ora impiegati, frustrati dal lavoro di routine che li escludeva da responsabilità (crisi psicologica)  penalizzati dall’inflazione, bisognosi  di un capro espiatorio.
Dallo squadrismo alla marcia su Roma Ben presto Mussolini si rese conto che, per puntare al governo (dopo la buona affermazione elettorale del ’21), era necessario avere la piena fiducia degli imprenditori, delle istituzioni e dell’ esercito. A tal fine bisognava  acquisire un’im- magine di rispettabilità: passare “dalla camicia nera al doppiopetto”. Pertanto M. decise di dare un freno agli atteggiamenti più illegali; il movimento diventò partito, così da contenere i più fanatici. Tuttavia per strappare al re la nomina a capo di governo dovette inscenare una manifestazione di forza ( la marcia su Roma: 28 ottobre ’22) di fronte alla quale il re non volle firmare lo stato d’assesio
Comincia la dittatura fascista Inizialmente M., presiedendo un governo di coalizione, sembrò rispettare la legalità. Ma già la legge Acerbo, del  ’23, fortemente maggioritaria (2/3 dei seggi al partito di maggioranza) rivelava i reali intenti del governo. Le elezioni del ’24, per di più,  vennero precedute da violenze ed intimidazioni, tanto da pregiudicare la libertà di voto. Avendo denunciato i brogli elettorali, il deputato Giaco-mo Matteotti venne fatto rapire da M.. Quando si ritrovò   il cadavere, gran parte dei deputati abbandonò l’aula per   protesta (Aventino), ma M. reagì alla crisi politica creata- si assumendosi la unica e piena responsabilità dei fatti accaduti e del futuro del paese, con il discorso del 3 gennaio 1925. Iniziò così la dittatura vera e propria.
Le linee della politica fascista Politica interna   Politica estera Politica  sociale Propaganda Politica culturale Ideologia Politica  economica Rapporti stato/chiesa
La politica interna Il primo atto della dittatura fu la soppressione della libertà di opinione, di stampa e di associazione, politica e sindacale. Essere antifascisti diventò un reato, punito dal Tribunale speciale e perseguitato dalla Milizia, una polizia violenta che sarebbe stata poi presa a modello dalle SA e dalle SS. Per quanto riguarda la politica istituzionale, dopo aver accentrato su di sé le cariche di capo del governo, ministro degli interni e degli esteri, M. trasformò gradualmente ma radicalmente lo stato, pur senza toccare lo Statuto Albertino: così il Parlamento lasciò il posto alla Camera dei Fasci, e le elezioni, dapprima su lista unica, diventarono plebisciti: si poteva votare solo per il Duce, perché il “no” era riconoscibile e dava a luogo a pestaggi.
La politica estera Il neo-popolazionismo alimentò il mito del “posto al sole” per l’Italia e giustificò la ripresa dell’impresa coloniale. Si ebbe così la conquista dell’ Etiopia, che permise la proclamazione dell’Impero, ottenendo però le sanzioni economiche della Società delle nazioni anche per l’uso dei gas asfissianti ai danni dei civili. Forte di questo successo, M. si avvicinò alla Germania nazista: l’Asse Roma-Berlino è del ’36, il Patto d’acciaio del ’39. La seconda guerra mondiale era alle porte, e si rivelò gravida di sconfitte ed umiliazioni.
La politica economica In un primo tempo, il f. seguì la linea liberista del ministro De Stefani, nell’ambito di un piano defla-zionista avente come obiettivo la lira a quota 90 (ciò che comportò anche  una riduzione dei salari nominali). Successivamente, raggiunto l’obiettivo nel ’26, subentrò il dirigismo economico, che si sarebbe accentuato con la crisi del ’29: ecco allora la crea-zione dell’ IRI e il varo dell’ autarchia, supportata dalla battaglia del grano e dalla campagna per la bonifica integrale. Durante la guerra, dato l’isolamento economico, si arrivò al razionamento dei viveri e al sistema delle “tessere”, alimentando un fiorente mercato nero.
La politica sociale Nei confronti dei lavoratori, il f. usò il sistema del “bastone e della carota”, alternando autoritarismo e paternalismo: ridusse i salari reali, abolì i sindacati e il diritto di sciopero, autorizzò solo i sindacati fascisti, che, nelle Corporazioni, mediavano in modo unilaterale tra lavoratori e imprenditori. Per sedare malumori e proteste, cercò di “distrarre” i ceti umili con varie iniziative, che includevano riti di socializzazione e di integrazione ideologica (il   dopolavoro, le sfilate del sabato fascista), misure assistenziali (colonie, befana fascista), misure di politica economico-sociale come la bonifica integrale e la colonizzazione dell’Agro Pontino, favorendo migrazioni interne.
L’ideologia fascista Come si è visto, nella fase iniziale, il f. non possedeva una grande coerenza ideologica, a parte l’anti-bolscevismo, ma, nel momento in cui  andò al governo, gli atteggiamenti “rivoluzionari” vennero abban- donati al fine di garantire l’Ordine, che divenne uno dei tanti miti: Dio, Patria, Famiglia, la Fede nel Capo, l’Obbedienza, la Giovinezza, la For-za, l’Impero. Dopo essersi accodato al nazismo, l’ introduzione, nel 1938, delle leggi razziali comportò l’innesto nell’ideologia fascista di un nuovo mito, suffragato da alcuni “scienziati”, quello della supe-riorità della “razza italiana”.
Documenti sul razzismo fascista
La politica culturale Il rapporto tra f. e cultura non fu traumatico perché la maggior parte degli intellettuali “si adeguò”: nel 1931, su 1.200 docenti dell’univer- sità, solo due non giurarono.  Questa relativa collaborazione rese possibile un’importante impresa culturale, come l’ Enciclopedia Ita- liana . Al di fuori del mondo accademico, il f. ebbe molta cura nell’ indottrinare le menti  dei giovani, grazie a docenti iscritti al PNF e all’introduzione della “dottrina fascista” come materia scolastica.
La propaganda Il f. fu uno dei primi sistemi autoritari a curare meticolosamente la propaganda. A tal fine fu anche creato un ministero apposito, il MINCULPOP. Le principale strategie usate a tal fine  furono due: l’organizzazione della gioventù in associazioni para-militari e l’ uso  massiccio dei mezzi di comunicazione di massa.
…  e i media Radio e cinema furono i due principali mezzi di comunicazione e di propaganda. Il f. promosse la diffusione di apparecchi radio a prezzi più contenuti che nel passato, mentre il cinema, che faceva capo all’ Istituto Luce, consentiva la trasmissione di “cinegiornali” prima del-le proiezioni che raccontavano in modo apologetico le imprese di M. e del f., anche quando le cose andavano male, come al fronte. I gior-nali erano soggetti a censura, non solo per notizie politiche (indiriz-zate dalle “veline”)  ma anche per la cronaca .  In particolare veni-vano taciuti gli episodi di criminalità e tutto ciò che poteva configu-rare disordine.
La politica religiosa L’iniziale spirito anticlericale venne abbandonato quando M. rea-lizzò che in un Paese come l’Italia l’appoggio del mondo cattolico era necessario per governare con tranquillità. Perciò , dopo una serie di trattative con il Vaticano, l’11 febbraio 1929, M. e Pio XI firmano i Patti Lateranensi. In tal modo si pose fine alla separazione tra Stato e chiesa, iniziata dalla bolla papale “non expedit” e si riconobbe il cattolicesimo come religione di stato, di cui si rendeva obbligatorio l’insegnamen-to nelle scuole. Il papa Pio Xi definì M. “l’uomo della Provvidenza”.
La nascita del nazismo La prima radice del nazismo fu costituita dalla grave crisi economica della Germania dopo la prima guer-ra mondiale e dalle umiliazioni politiche subite. Già nel ’23 Hilter, a capo del partito nazional-socialista (di destra) aveva tentato un putsch a Monaco. Arrestato, aveva composto il suo  Mein Kampf , che sarebbe diventato la bibbia dei nazisti, con i principi della superiorità della razza ariana e della lotta ad ebrei e comunisti. Il riacutizzarsi della crisi all’inizio degli anni ’30 (dopo un’effimera ripresa), provocò disoccupazione (5 milioni nel ’31, 6 nel ’32), paura, insicurezza. Hitler, con il suo partito, parve un punto di riferimento, e riscosse importanti successi elettorali tra il 30 e il 32.
La conquista del potere Sostenuto dalle SA e dalle SS, oltre che dal voto, Hitler ricevette l’incarico di cancelliere il 30 gennaio 1933, secondo le regole, formalmente. Ma in tempi molto rapidi Hitler trasformò la repubblica in stato totalitario: il cosiddetto Terzo Reich. Anzitutto H. sciolse il Parlamento, poi fece incendia-re il Reichstag per scaricarne la colpa sui comunisti ed avere un pretesto per sospendere la costituzione e mettere fuori legge i partiti. Il potere passò tutto nelle sue mani.
Confronto tra   fascismo  e  nazismo ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
La persecuzione degli ebrei L’antisemitismo, che fin dall’inizio caratteriz-zò il nazismo, si concretizzò nelle leggi raz-ziali del ’38 che introdussero forme di dis-criminazione e incoraggiarono violenze ai danni degli ebrei (v. notte dei cristalli). Con l’inizio della guerra, in Polonia, vennero attuate le prime forme di segregazione coatta (v. ghetto di Varsavia), per poi passare alla de- portazione a allo sterminio di 6 mi- lioni di ebrei, a cui si aggiunsero slavi, zingari, comunisti ed omoses-suali.
Il totalitarismo stalinista Il totalitarismo cominciò ad affermarsi negli anni ’30, sotto la leadership di Stalin. In Russia il comunismo aveva assunto forme sempre più burocratiche ed autoritarie, rivelandosi come dittatura del partito e/o dello stato, visto che le due realtà tendevano a sovrapporsi. Culto del capo, propaganda massiccia effettuata tramite i media, criminalizzazione del dissenso, gusto per le parate militari ricalcano molto le forme del totalitarismo nazi-fascista, anche se il contenuto sociale resta diverso. Uno degli aspetti più noti dello stalinismo è rappresentato dai Gulag, ovvero dalla deportazione in Siberia dei dissidenti, condannati ai lavori forzati.
La fine del fascismo Mentre quello del nazismo fu un crollo militare, avvenuto tra apri-le e maggio del ’45, il fascismo cedette ancor prima sul piano po-litico. Nel 1943, dopo i grandi scioperi  di marzo, al nord, e tutti gli insuccessi militari, lo sbarco alleato in Sicilia, fu il Gran Consiglio del F., con l’avvallo del re, a destituire Mussolini, che fu arrestato. Il governo fu dato al generale Badoglio che promise fedeltà ai tede-schi, lavorando però per un armistizio con gli alleati (8 settembre).  Quando il re e il governo, il 9, abbando-narono Roma per Brindisi, l’Italia rimase divisa in due: al sud la monarchia pro-tetta dagli alleati, al centro-nord i tede-schi, diventati occupanti.
Il biennio 43’-’45 in Italia Liberato Mussolini, i tedeschi favorirono la ricostituzione di un nuovo regime fascista che si chiamò Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò. Fu dunque nel nord che la resistenza assunse caratteri di guerra di liberazione dai tedeschi, oltre che di guerra civile, otte-nendo, in ri-sposta, terribili azioni di rappresaglia contro i civili (Marzabotto: 2000 morti; Fosse Ardeatine: 335). Per i partigiani, al cui interno operavano formazioni di diverso orientamento, l’obiettivo non era solo il nazifa- scismo, ma anche la monarchia, considerata corresponsabile. Questa pregiudiziale anti-monarchica comprometteva però l’unità del movimento e l’aiuto alleato. Sbloccò l’impasse Togliatti rinviando la questione istituzionale alla fine della guerra.
Guerre ideologiche E’ ovvio che tanta violenza alimentasse, con tanti e tali soprusi, sentimenti di odio e di rivalsa. Questo spiega certe manifestazioni di violenza che accaddero verso la fine della guerra nei confronti dei vecchi oppressori: Mussolini stesso, in fuga verso la Svizzera, dopo essere fucilato, fu appeso a testa in giù a piazzale Loreto a Milano (in risposta ai tanti partigiani impiccati e lasciati a marcire appesi ad alberi o lampioni). Un episodio particolarmente grave fu quello delle foibe, in cui i partigiani slavi buttarono molti italiani d’Istria, solo perché sospettati, sulla base della loro etnia, di essere fascisti.
Il ritorno alle democrazie: il referendum istituzionale in Italia Il 2 giugno ’46 si tenne una consultazione elettorale duplice: si scieglieva tra repubblica o monarchia, e si votata un partito per formare un’assemblea costituente. Votarono anche le donne. Vinse, ma di poco, la repubblica .  I risultati delle politiche furono i seguenti: DC, 35%; PSI, 20%; PCI, 19%; PLI, quasi il 7%. La DC diede indicazioni di voto a favore della monar-chia, le sinistre per la repub- blica;la prima si affermò al sud, la seconda al nord.
Governi di unita nazionale e Costituente A capo del governo, dopo la breve parentesi di Parri, espressio-ne del CNL, fu il capo della D.C., Alcide de Gasperi, che inizial-mente presiedeva un governo di Unità nazionale, mentre la Co-stituente svolgeva i propri lavori. Non era facile tuttavia mante-ne questa solidarietà in un mondo dominato dal clima della “guerra fredda”, che imponeva una “scelta di civiltà”. Specialmente dopo un viaggio negli USA, che confermarono la diffidenza nei confronti dei partiti della sinistra, si accentuarono le diffe-renze tra “filo-americani”  e “filo-sovietici”,  ben presto estromessi dal governo.
Il varo della Costituzione Nonostante tutte queste difficoltà, e a prezzo di nume-rosi  “compromessi”, si arrivò al varo della Costitu-zione nel 1 gennaio 1948.  Si trattava di una costitu-zione di tipo rigido (per impedire facili snaturamenti com’era avvenuto con lo Statuto Albertino), che con-figurava una democrazia parlamentare di tipo repub- blicano. I principi fondamentali, enunciati nei primi articoli, include-vano le idee-guida, i valori di questo nuovo stato, rivelando, al tempo le tre principali matrici ideologiche delle forze che avevano lavorato al testo costituzionale: democra-tico-cristiana, comunista e socialista, laica.
La rottura dell’unità  nazionale Le prime consultazioni elettorali secondo le nuove regole costituzio-nali si tennero il 18 aprile 1948. La campagna elettorale fu caratteriz-zata da una netta contrapposizione tra i due fronti, nonché da inge-renze esterne (v. pacchi-dono o lettere dagli USA).  Da parte demo-cristana fu proposta agli elettori una scelta radicale: o con la DC, per la civiltà cristiana e la libertà, o con i barbari. I comunisti venivano raffigurati come mo-stri diabolici, con tre buchi nel naso, che divoravano bambini e famiglia e gronda-vano sangue. Il frontismo ripagò la DC con un grande successo elettorale: ebbe la maggioranza assoluta dei seggi   ( 48,5% dei voti, contro il 31% del Fronte popolare).
L’era del centrismo Elez. Camera 1953 Iniziò così l’era del decentrismo, dal momento che la D.C., partito di governo, amava proporsi come “centro”, come saggio punto di equilibrio tra opposti estremismi politici, e come forza equidistante tra “capitale” e “lavoro”, secondo lo spirito della  Rerum Novarum . In realtà la dura campagna elettorale del ’48 aveva lasciato dei segni: ci fu una spacca-tura nel sindacato tra cattolici (CISL) e sinistre e nel luglio ’48 Togliatti rischiò la vita in un attentato. Intanto De Gasperi confermava la sua fe-deltà agli USA (nel ’48 l’Italia aderì al Piano Marshall e nel ’49 al Patto Atlantico). Un lieve indebolimento si ebbe solo nel ’53, in occasione della “legge truffa”, ma la DC riuscì ancora a gestire dei governi “mono-colore”.
Un anno di crisi: il 1960 Un momento critico fu rappresentato dal governo democristiano Tambroni, sostenuto, au certo punto, dai voti del Movimento Socia-le Italiano, erede “spirituale” della Repubblica di Salò. La resistenza era troppo vicina perché si potesse soprassedere: ci furono manife-stazioni popolari nelle città del nord, tra cui Genova e Reggio Emi-lia, con scontri con la polizia e morti.
Nasce il centro-sinistra I  rischi corsi nel ’60 rafforzarono, nella DC, le posizioni di chi, co-me il nuovo segretario, Aldo Moro, era favorevole ad una cauta apertura verso il PSI, anche per cogestire le tensioni che proveni-vano dal mondo sindacale e operaio, in relazione ad un “miracolo economico” costruito sui bassi salari. Fu comunque Amintore Fanfani a guidare il primo governo di centro-sinistra (formula che resse bene fino al ’68), da cui provennero riforme importanti, co-me la nazionalizzazione delle società elettriche e l’obbligo scola-stico fino a 14 anni (scuola media unificata).
Arriva il ‘68 Quello del ’68 fu un movimento giovanile di contestazione di dimensioni globali. Sorto ne-gli USA (per effetto della guerra del Vietnam), fu rilanciato dai moti del “maggio francese” in cui gli studenti fraternizzarono con gli operai. In Italia fu circoscritto, nel ’68, agli universitari: studenti medi e operai si sarebbero mossi l’anno dopo.
L’autunno caldo del 1969 Il rinnovo del contratto di lavoro di molte categorie, a partire da quella, molto combattiva dei metalmeccanici, caratterizzò l’autunno del ’69, che vide appunto saldarsi le lotte operaie per un salario ed un ambiente di lavoro più adeguato a quelle degli studenti, per la democrazia nella scuola. Ma un grave attentato, la bomba situata in una banca di Milano il 12 dicembre, rivelò un risvolto preoccupante di que-sto periodo: gruppi eversivi di destra (servizi segreti complici), mediante una stretegia detta “della tensione” creava-no le basi per una svolta autoritaria .
Gli anni ’70 volti a sinistra Elez. Camera 1976 Sotto la spinta di numerosi movimenti anti-autoritari e protesi al cam- biamento, furono introdotte leggi innovative: lo statuto dei diritti dei lavoratori e la legge sul divorzio (’70), i decreti delegati (’71). Un segno evidente di modernizzazione del paese di ebbe con il referendum per abrogare la legge sul divorzio, voluto dalla destra e dai clericali: il Paese rispose “no” (59%) in nome della libertà di coscienza. Le elezioni amministrative del ’75 e le politiche del ’76  (PCI al 34%) confermarono questa stagione favorevole alla sinistra.
L’emergenza terrorismo: l’omicidio di Aldo Moro Mentre proseguivano e si radicalizzavano vari movimenti di contesta-zione (divenne molto visibile il movimento femminista), cominciò a preoccupare l’intrecciarsi, quasi sotto le mani di un’abile regia, di due spinte terroristiche di segno opposto: quella di estrema destra, che colpiva con attentati “di massa” (strage sull’Italicus) e quella delle Brigate Rosse, sorte da frange estremiste di gruppi che accusavano di riformismo la sinistra parlamentare, e in particolare il PCI. Il segretario di questo partito, Enrico Berlinguer, riflettendo sul golpe cileno (‘73) sosteneva l’impraticabilità di un’alternativa di sinistra senza i cattolici . L’uomo della DC che già aveva aperto al centro-sini-stra, Aldo Moro, incoraggiò il dialogo con il PCI, ma il giorno in cui si doveva votare la fiducia ad un gover-no di solidarietà contro il terrorismo, Moro fu rapito e poi ucciso dalle BR.
La formula del pentapartito: inizia l’era di Bettino Craxi L’esperienza dei governi di solidarietà nazionale, con astensione od appoggio esterno del PCI durò poco, anche se contribuì a rendere più efficace la lotta al terrorismo (che pure avrebbe dato dei colpi di coda: v. la strage alla stazione di Bologna del 1980). Mentre il PCI entrava in una fase discendente, crebbe il peso del PSI sotto la di-rezione di Bettino Craxi. Questi cercò di differenziarsi, anche pole-micamente dai cugini comunisti,  e di proporsi come ago della bilan- cia: iniziò così l’era del pentapartito, cioè di governi formati da una nuova alleanza politica che com-prendeva: DC, PSI, PSDI, PRI, PLI. Per la prima vol-ta si ebbero capi del governo laici, cioè non demo-cristiani, come Spadolini e Craxi stesso (’83-’87).
Mani pulite e la lotta alla corruzione In questi anni però si diffusero pratiche di corruzione e di clienteli-smo tra i partiti di governo, che accentuarono il deficit dello stato. Fu la magistratura, nei primi anni ’90, a denunciare il sistema delle bustarelle per corrompere amministratori e governanti ed ottenere appalti lucrosi. Il giudice Di Pietro e il team dei giudici di Milano furono alla testa di questa operazione che fu chiamata “mani pulite”.
Nascono nuove formazioni politiche  La crisi del mondo sovietico e il conseguente crollo del muro di Berlino (’89) ebbero degli effetti nel mondo politico europeo: il venir meno della “frontiera” per antonomasia, creò disorientamento e sfi- ducia nelle grandi ideologie, mentre particolarismi ed spinte centri-fughe si affermavano, anche drammaticamente, nell’est europeo. In Italia si sgretolarono i partiti storici: DC, PSI, PCI , dalle cui ceneri nacquero altri gruppi: PPI, CCD, CDU, PDS, Rifondazione, mentre altre formazioni politiche sorsero ex novo come la Lega Nord (poi unitasi alla Liga Veneta) che proponeva dap-prima il federalismo, poi la secessione del nord, ricco, dal resto del Paese; come il partito-azienda, Forza Italia, e come AN, che doveva “sdoganarsi”dalla pesante eredità del MSI.
Nuove regole del gioco: la riforma del sistema elettorale La crisi politica degli anni ’90 si intrecciava con altre forme di crisi: quella economica (recessione); quella della finanza pubblica (deficit poi risanato grazie ai governi Amato-Ciampi-Prodi); quella dell’ordi-ne pubblico (nel ’92 i giudici Falcone e Borsellino, con le scorte, furono uccisi dalla mafia). Era poi in atto una crisi istituzionale (forse non ancora risolta), da cui scaturì l’abbandono del sistema elettorale a favore di quello maggioritario, per consentire una reale alternanza di governi e di responsabilità. I problemi accumulatisi verso lo scorcio del seco-lo sono stati molti, e di molti non s’intravvedono ancora soluzioni .

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  • 1. La p oliti ca nel ‘900 1900 2000
  • 2.
  • 3. La svolta di Giolitti Giolitti determinò un’inversione di tendenza rispetto ai governi autoritari e illiberali di fine secolo: preso atto che era impossibile governare contro il popolo, cercò di ottenere il consenso dei ceti operai del nord e dell’ala moderata del PSI. A tal fine dichiarò legittimo lo sciopero economico (non politico) e attuò riforme (assicurazione contro infortuni, nazionalizzazione ferrovie), mentre al sud mantenne il volto autoritario dello stato, scendendo a compromessi con le cosche locali e guadagnandosi l’accusa di ministro della malavita (Salvemini). La scelta più aperta fu quella del suffragio universale (1912), che faceva però da contrappeso alla guerra di Libia (1911), concessione opportunistica fatta ai nazionalisti. L’ambiguo pendolarismo di Giolitti non resse però alle tensioni che precedettero la prima guerra mondiale.
  • 4. Impatto politico della grande guerra In tutti i paesi coinvolti la prima guerra mondiale determinò un aumento dei poteri di controllo degli stati e dei governi sulla so-cietà. In genere si rafforzò l’esecutivo. Nei paesi liberali fu accettato un dirigismo economico impensa-bile in tempo di pace. Finita la guerra, mentre gli imperi furono travolti, nei paesi liberali sembrò allargarsi la partecipazione popolare alla politica grazie al suffragio femminile.
  • 5. Il crollo dello zarismo La Russia fu il primo impero ad essere travolto dalla guerra, che risultò essere un enorme sacrificio per un esercito arretrato ed una società semifeudale (la servitù della gleba era stata abolita solo nel 1867). Già nel 1905, nel corso della guerra contro il Giappone, erano emersi la protesta del popolo e dei militari contro l’assolutismo dello zar (v. l’ episodio della corazzata Potemkin). Perciò il conflitto mondiale fu deva-stante per il paese: nel marzo del ’17 una prima rivoluzione capeggiata da Kerenskij, che si mise a capo del governo provvisorio, costrinse lo zar Nicola II ad abdicare.
  • 6. Lenin e la rivoluzione d’ottobre Nel frattempo ritornò in Russia (dopo un esilio) il capo del partito bolscevico (marxista), Lenin, con un programma che ebbe facile presa sulla popola-zione: pace e terra (e “tutto il potere ai soviet”). Forte del consenso popolare, il partito bolsevico organizzò, nel novembre ’17 (ottobre per il calen-dario russo) una seconda rivoluzione che travolse anche il governo Kerenskij. I primi atti del governo furono la pace immediata e l’avvio del socialismo (spartizione delle terre e fabbriche agli operai)
  • 7. L’era dei totalitarismi Per totalitarismo si intende una dittatura che utilizza i mezzi di comunicazione di massa per esercitare il massimo controllo sulla società. Infatti le principali caratteristiche di un sistema totalitario sono: 1 . Un partito unico di massa guidato da un capo che diffonde il culto della sua persona; 2. Un sistema di terrore fisico e psichico realizzato dal partito; 3. Il monopolio dei mass media (stampa, radio, cinema…); 4. Una dottrina, ovvero un’ideologia che viene diffusa in modo capillare, a partire dalle scuole; 5. L’accentramento del potere (inclusi economia, esercito, giustizia)
  • 9. La crisi del dopoguerra in Italia Dovuta alla riconversione industriale e al deficit del bilancio, innescò la crisi sociale e indusse le grandi aziende a favorire una solu-zione autoritaria La mancata promessa, fatta in guerra, di dare la terra ai contadini; il mito della rivoluzione russa; infine la disoc- cupazione favorirono numerose manifesta- zioni di protesta Le istituzioni liberali,di fronte ad un sistema pro-porzionale che vedeva i ceti dirigenti tradizionali perdere il controllo della situazione, si rivelarono inadeguate. Per di più la destra agitò il mito della vittoria mutilata, a proposito di Fiume Crisi del dopoguerra Economica sociale politica
  • 10. Il “biennio rosso” e i fasci Mentre operai e contadini occupavano fabbriche e terre, specie negli anni ’20-’21, senza ottenere nulla di significativo (ciò che provocò la crisi del PSI e la nascita del PCI), nacque un movimento di segno contrario, quello dei fasci di combattimento, che si carat-terizzò fin da subito per azioni violente, come assalti alle sedi sindacali o di partito e aggressioni fisiche ai militanti di sinistra.
  • 11. Le due anime del fascismo Il fascismo, come movimento, nacque nel 1919 con un programma (detto di San Sepolcro), molto ibrido: nazionalismo, antibolscevismo, culto della violenza, coesistevano accanto ad uno spirito “rivoluzio-nario” (voto a 18 anni, imposta progressiva, abolizione del senato, anticlericalismo). Del resto il fondatore, Benito Mussolini, era un ex-socialista (interventista). Due risultavano le radici del fascismo: RURALE : Rappresentata dai grandi agrari animati da volontà punitiva verso i contadini. Questi assoldavano squadristi per punire i contadini ribelli URBANA: Rappresentata da ex ufficiali, ora impiegati, frustrati dal lavoro di routine che li escludeva da responsabilità (crisi psicologica) penalizzati dall’inflazione, bisognosi di un capro espiatorio.
  • 12. Dallo squadrismo alla marcia su Roma Ben presto Mussolini si rese conto che, per puntare al governo (dopo la buona affermazione elettorale del ’21), era necessario avere la piena fiducia degli imprenditori, delle istituzioni e dell’ esercito. A tal fine bisognava acquisire un’im- magine di rispettabilità: passare “dalla camicia nera al doppiopetto”. Pertanto M. decise di dare un freno agli atteggiamenti più illegali; il movimento diventò partito, così da contenere i più fanatici. Tuttavia per strappare al re la nomina a capo di governo dovette inscenare una manifestazione di forza ( la marcia su Roma: 28 ottobre ’22) di fronte alla quale il re non volle firmare lo stato d’assesio
  • 13. Comincia la dittatura fascista Inizialmente M., presiedendo un governo di coalizione, sembrò rispettare la legalità. Ma già la legge Acerbo, del ’23, fortemente maggioritaria (2/3 dei seggi al partito di maggioranza) rivelava i reali intenti del governo. Le elezioni del ’24, per di più, vennero precedute da violenze ed intimidazioni, tanto da pregiudicare la libertà di voto. Avendo denunciato i brogli elettorali, il deputato Giaco-mo Matteotti venne fatto rapire da M.. Quando si ritrovò il cadavere, gran parte dei deputati abbandonò l’aula per protesta (Aventino), ma M. reagì alla crisi politica creata- si assumendosi la unica e piena responsabilità dei fatti accaduti e del futuro del paese, con il discorso del 3 gennaio 1925. Iniziò così la dittatura vera e propria.
  • 14. Le linee della politica fascista Politica interna Politica estera Politica sociale Propaganda Politica culturale Ideologia Politica economica Rapporti stato/chiesa
  • 15. La politica interna Il primo atto della dittatura fu la soppressione della libertà di opinione, di stampa e di associazione, politica e sindacale. Essere antifascisti diventò un reato, punito dal Tribunale speciale e perseguitato dalla Milizia, una polizia violenta che sarebbe stata poi presa a modello dalle SA e dalle SS. Per quanto riguarda la politica istituzionale, dopo aver accentrato su di sé le cariche di capo del governo, ministro degli interni e degli esteri, M. trasformò gradualmente ma radicalmente lo stato, pur senza toccare lo Statuto Albertino: così il Parlamento lasciò il posto alla Camera dei Fasci, e le elezioni, dapprima su lista unica, diventarono plebisciti: si poteva votare solo per il Duce, perché il “no” era riconoscibile e dava a luogo a pestaggi.
  • 16. La politica estera Il neo-popolazionismo alimentò il mito del “posto al sole” per l’Italia e giustificò la ripresa dell’impresa coloniale. Si ebbe così la conquista dell’ Etiopia, che permise la proclamazione dell’Impero, ottenendo però le sanzioni economiche della Società delle nazioni anche per l’uso dei gas asfissianti ai danni dei civili. Forte di questo successo, M. si avvicinò alla Germania nazista: l’Asse Roma-Berlino è del ’36, il Patto d’acciaio del ’39. La seconda guerra mondiale era alle porte, e si rivelò gravida di sconfitte ed umiliazioni.
  • 17. La politica economica In un primo tempo, il f. seguì la linea liberista del ministro De Stefani, nell’ambito di un piano defla-zionista avente come obiettivo la lira a quota 90 (ciò che comportò anche una riduzione dei salari nominali). Successivamente, raggiunto l’obiettivo nel ’26, subentrò il dirigismo economico, che si sarebbe accentuato con la crisi del ’29: ecco allora la crea-zione dell’ IRI e il varo dell’ autarchia, supportata dalla battaglia del grano e dalla campagna per la bonifica integrale. Durante la guerra, dato l’isolamento economico, si arrivò al razionamento dei viveri e al sistema delle “tessere”, alimentando un fiorente mercato nero.
  • 18. La politica sociale Nei confronti dei lavoratori, il f. usò il sistema del “bastone e della carota”, alternando autoritarismo e paternalismo: ridusse i salari reali, abolì i sindacati e il diritto di sciopero, autorizzò solo i sindacati fascisti, che, nelle Corporazioni, mediavano in modo unilaterale tra lavoratori e imprenditori. Per sedare malumori e proteste, cercò di “distrarre” i ceti umili con varie iniziative, che includevano riti di socializzazione e di integrazione ideologica (il dopolavoro, le sfilate del sabato fascista), misure assistenziali (colonie, befana fascista), misure di politica economico-sociale come la bonifica integrale e la colonizzazione dell’Agro Pontino, favorendo migrazioni interne.
  • 19. L’ideologia fascista Come si è visto, nella fase iniziale, il f. non possedeva una grande coerenza ideologica, a parte l’anti-bolscevismo, ma, nel momento in cui andò al governo, gli atteggiamenti “rivoluzionari” vennero abban- donati al fine di garantire l’Ordine, che divenne uno dei tanti miti: Dio, Patria, Famiglia, la Fede nel Capo, l’Obbedienza, la Giovinezza, la For-za, l’Impero. Dopo essersi accodato al nazismo, l’ introduzione, nel 1938, delle leggi razziali comportò l’innesto nell’ideologia fascista di un nuovo mito, suffragato da alcuni “scienziati”, quello della supe-riorità della “razza italiana”.
  • 21. La politica culturale Il rapporto tra f. e cultura non fu traumatico perché la maggior parte degli intellettuali “si adeguò”: nel 1931, su 1.200 docenti dell’univer- sità, solo due non giurarono. Questa relativa collaborazione rese possibile un’importante impresa culturale, come l’ Enciclopedia Ita- liana . Al di fuori del mondo accademico, il f. ebbe molta cura nell’ indottrinare le menti dei giovani, grazie a docenti iscritti al PNF e all’introduzione della “dottrina fascista” come materia scolastica.
  • 22. La propaganda Il f. fu uno dei primi sistemi autoritari a curare meticolosamente la propaganda. A tal fine fu anche creato un ministero apposito, il MINCULPOP. Le principale strategie usate a tal fine furono due: l’organizzazione della gioventù in associazioni para-militari e l’ uso massiccio dei mezzi di comunicazione di massa.
  • 23. … e i media Radio e cinema furono i due principali mezzi di comunicazione e di propaganda. Il f. promosse la diffusione di apparecchi radio a prezzi più contenuti che nel passato, mentre il cinema, che faceva capo all’ Istituto Luce, consentiva la trasmissione di “cinegiornali” prima del-le proiezioni che raccontavano in modo apologetico le imprese di M. e del f., anche quando le cose andavano male, come al fronte. I gior-nali erano soggetti a censura, non solo per notizie politiche (indiriz-zate dalle “veline”) ma anche per la cronaca . In particolare veni-vano taciuti gli episodi di criminalità e tutto ciò che poteva configu-rare disordine.
  • 24. La politica religiosa L’iniziale spirito anticlericale venne abbandonato quando M. rea-lizzò che in un Paese come l’Italia l’appoggio del mondo cattolico era necessario per governare con tranquillità. Perciò , dopo una serie di trattative con il Vaticano, l’11 febbraio 1929, M. e Pio XI firmano i Patti Lateranensi. In tal modo si pose fine alla separazione tra Stato e chiesa, iniziata dalla bolla papale “non expedit” e si riconobbe il cattolicesimo come religione di stato, di cui si rendeva obbligatorio l’insegnamen-to nelle scuole. Il papa Pio Xi definì M. “l’uomo della Provvidenza”.
  • 25. La nascita del nazismo La prima radice del nazismo fu costituita dalla grave crisi economica della Germania dopo la prima guer-ra mondiale e dalle umiliazioni politiche subite. Già nel ’23 Hilter, a capo del partito nazional-socialista (di destra) aveva tentato un putsch a Monaco. Arrestato, aveva composto il suo Mein Kampf , che sarebbe diventato la bibbia dei nazisti, con i principi della superiorità della razza ariana e della lotta ad ebrei e comunisti. Il riacutizzarsi della crisi all’inizio degli anni ’30 (dopo un’effimera ripresa), provocò disoccupazione (5 milioni nel ’31, 6 nel ’32), paura, insicurezza. Hitler, con il suo partito, parve un punto di riferimento, e riscosse importanti successi elettorali tra il 30 e il 32.
  • 26. La conquista del potere Sostenuto dalle SA e dalle SS, oltre che dal voto, Hitler ricevette l’incarico di cancelliere il 30 gennaio 1933, secondo le regole, formalmente. Ma in tempi molto rapidi Hitler trasformò la repubblica in stato totalitario: il cosiddetto Terzo Reich. Anzitutto H. sciolse il Parlamento, poi fece incendia-re il Reichstag per scaricarne la colpa sui comunisti ed avere un pretesto per sospendere la costituzione e mettere fuori legge i partiti. Il potere passò tutto nelle sue mani.
  • 27.
  • 28. La persecuzione degli ebrei L’antisemitismo, che fin dall’inizio caratteriz-zò il nazismo, si concretizzò nelle leggi raz-ziali del ’38 che introdussero forme di dis-criminazione e incoraggiarono violenze ai danni degli ebrei (v. notte dei cristalli). Con l’inizio della guerra, in Polonia, vennero attuate le prime forme di segregazione coatta (v. ghetto di Varsavia), per poi passare alla de- portazione a allo sterminio di 6 mi- lioni di ebrei, a cui si aggiunsero slavi, zingari, comunisti ed omoses-suali.
  • 29. Il totalitarismo stalinista Il totalitarismo cominciò ad affermarsi negli anni ’30, sotto la leadership di Stalin. In Russia il comunismo aveva assunto forme sempre più burocratiche ed autoritarie, rivelandosi come dittatura del partito e/o dello stato, visto che le due realtà tendevano a sovrapporsi. Culto del capo, propaganda massiccia effettuata tramite i media, criminalizzazione del dissenso, gusto per le parate militari ricalcano molto le forme del totalitarismo nazi-fascista, anche se il contenuto sociale resta diverso. Uno degli aspetti più noti dello stalinismo è rappresentato dai Gulag, ovvero dalla deportazione in Siberia dei dissidenti, condannati ai lavori forzati.
  • 30. La fine del fascismo Mentre quello del nazismo fu un crollo militare, avvenuto tra apri-le e maggio del ’45, il fascismo cedette ancor prima sul piano po-litico. Nel 1943, dopo i grandi scioperi di marzo, al nord, e tutti gli insuccessi militari, lo sbarco alleato in Sicilia, fu il Gran Consiglio del F., con l’avvallo del re, a destituire Mussolini, che fu arrestato. Il governo fu dato al generale Badoglio che promise fedeltà ai tede-schi, lavorando però per un armistizio con gli alleati (8 settembre). Quando il re e il governo, il 9, abbando-narono Roma per Brindisi, l’Italia rimase divisa in due: al sud la monarchia pro-tetta dagli alleati, al centro-nord i tede-schi, diventati occupanti.
  • 31. Il biennio 43’-’45 in Italia Liberato Mussolini, i tedeschi favorirono la ricostituzione di un nuovo regime fascista che si chiamò Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò. Fu dunque nel nord che la resistenza assunse caratteri di guerra di liberazione dai tedeschi, oltre che di guerra civile, otte-nendo, in ri-sposta, terribili azioni di rappresaglia contro i civili (Marzabotto: 2000 morti; Fosse Ardeatine: 335). Per i partigiani, al cui interno operavano formazioni di diverso orientamento, l’obiettivo non era solo il nazifa- scismo, ma anche la monarchia, considerata corresponsabile. Questa pregiudiziale anti-monarchica comprometteva però l’unità del movimento e l’aiuto alleato. Sbloccò l’impasse Togliatti rinviando la questione istituzionale alla fine della guerra.
  • 32. Guerre ideologiche E’ ovvio che tanta violenza alimentasse, con tanti e tali soprusi, sentimenti di odio e di rivalsa. Questo spiega certe manifestazioni di violenza che accaddero verso la fine della guerra nei confronti dei vecchi oppressori: Mussolini stesso, in fuga verso la Svizzera, dopo essere fucilato, fu appeso a testa in giù a piazzale Loreto a Milano (in risposta ai tanti partigiani impiccati e lasciati a marcire appesi ad alberi o lampioni). Un episodio particolarmente grave fu quello delle foibe, in cui i partigiani slavi buttarono molti italiani d’Istria, solo perché sospettati, sulla base della loro etnia, di essere fascisti.
  • 33. Il ritorno alle democrazie: il referendum istituzionale in Italia Il 2 giugno ’46 si tenne una consultazione elettorale duplice: si scieglieva tra repubblica o monarchia, e si votata un partito per formare un’assemblea costituente. Votarono anche le donne. Vinse, ma di poco, la repubblica . I risultati delle politiche furono i seguenti: DC, 35%; PSI, 20%; PCI, 19%; PLI, quasi il 7%. La DC diede indicazioni di voto a favore della monar-chia, le sinistre per la repub- blica;la prima si affermò al sud, la seconda al nord.
  • 34. Governi di unita nazionale e Costituente A capo del governo, dopo la breve parentesi di Parri, espressio-ne del CNL, fu il capo della D.C., Alcide de Gasperi, che inizial-mente presiedeva un governo di Unità nazionale, mentre la Co-stituente svolgeva i propri lavori. Non era facile tuttavia mante-ne questa solidarietà in un mondo dominato dal clima della “guerra fredda”, che imponeva una “scelta di civiltà”. Specialmente dopo un viaggio negli USA, che confermarono la diffidenza nei confronti dei partiti della sinistra, si accentuarono le diffe-renze tra “filo-americani” e “filo-sovietici”, ben presto estromessi dal governo.
  • 35. Il varo della Costituzione Nonostante tutte queste difficoltà, e a prezzo di nume-rosi “compromessi”, si arrivò al varo della Costitu-zione nel 1 gennaio 1948. Si trattava di una costitu-zione di tipo rigido (per impedire facili snaturamenti com’era avvenuto con lo Statuto Albertino), che con-figurava una democrazia parlamentare di tipo repub- blicano. I principi fondamentali, enunciati nei primi articoli, include-vano le idee-guida, i valori di questo nuovo stato, rivelando, al tempo le tre principali matrici ideologiche delle forze che avevano lavorato al testo costituzionale: democra-tico-cristiana, comunista e socialista, laica.
  • 36. La rottura dell’unità nazionale Le prime consultazioni elettorali secondo le nuove regole costituzio-nali si tennero il 18 aprile 1948. La campagna elettorale fu caratteriz-zata da una netta contrapposizione tra i due fronti, nonché da inge-renze esterne (v. pacchi-dono o lettere dagli USA). Da parte demo-cristana fu proposta agli elettori una scelta radicale: o con la DC, per la civiltà cristiana e la libertà, o con i barbari. I comunisti venivano raffigurati come mo-stri diabolici, con tre buchi nel naso, che divoravano bambini e famiglia e gronda-vano sangue. Il frontismo ripagò la DC con un grande successo elettorale: ebbe la maggioranza assoluta dei seggi ( 48,5% dei voti, contro il 31% del Fronte popolare).
  • 37. L’era del centrismo Elez. Camera 1953 Iniziò così l’era del decentrismo, dal momento che la D.C., partito di governo, amava proporsi come “centro”, come saggio punto di equilibrio tra opposti estremismi politici, e come forza equidistante tra “capitale” e “lavoro”, secondo lo spirito della Rerum Novarum . In realtà la dura campagna elettorale del ’48 aveva lasciato dei segni: ci fu una spacca-tura nel sindacato tra cattolici (CISL) e sinistre e nel luglio ’48 Togliatti rischiò la vita in un attentato. Intanto De Gasperi confermava la sua fe-deltà agli USA (nel ’48 l’Italia aderì al Piano Marshall e nel ’49 al Patto Atlantico). Un lieve indebolimento si ebbe solo nel ’53, in occasione della “legge truffa”, ma la DC riuscì ancora a gestire dei governi “mono-colore”.
  • 38. Un anno di crisi: il 1960 Un momento critico fu rappresentato dal governo democristiano Tambroni, sostenuto, au certo punto, dai voti del Movimento Socia-le Italiano, erede “spirituale” della Repubblica di Salò. La resistenza era troppo vicina perché si potesse soprassedere: ci furono manife-stazioni popolari nelle città del nord, tra cui Genova e Reggio Emi-lia, con scontri con la polizia e morti.
  • 39. Nasce il centro-sinistra I rischi corsi nel ’60 rafforzarono, nella DC, le posizioni di chi, co-me il nuovo segretario, Aldo Moro, era favorevole ad una cauta apertura verso il PSI, anche per cogestire le tensioni che proveni-vano dal mondo sindacale e operaio, in relazione ad un “miracolo economico” costruito sui bassi salari. Fu comunque Amintore Fanfani a guidare il primo governo di centro-sinistra (formula che resse bene fino al ’68), da cui provennero riforme importanti, co-me la nazionalizzazione delle società elettriche e l’obbligo scola-stico fino a 14 anni (scuola media unificata).
  • 40. Arriva il ‘68 Quello del ’68 fu un movimento giovanile di contestazione di dimensioni globali. Sorto ne-gli USA (per effetto della guerra del Vietnam), fu rilanciato dai moti del “maggio francese” in cui gli studenti fraternizzarono con gli operai. In Italia fu circoscritto, nel ’68, agli universitari: studenti medi e operai si sarebbero mossi l’anno dopo.
  • 41. L’autunno caldo del 1969 Il rinnovo del contratto di lavoro di molte categorie, a partire da quella, molto combattiva dei metalmeccanici, caratterizzò l’autunno del ’69, che vide appunto saldarsi le lotte operaie per un salario ed un ambiente di lavoro più adeguato a quelle degli studenti, per la democrazia nella scuola. Ma un grave attentato, la bomba situata in una banca di Milano il 12 dicembre, rivelò un risvolto preoccupante di que-sto periodo: gruppi eversivi di destra (servizi segreti complici), mediante una stretegia detta “della tensione” creava-no le basi per una svolta autoritaria .
  • 42. Gli anni ’70 volti a sinistra Elez. Camera 1976 Sotto la spinta di numerosi movimenti anti-autoritari e protesi al cam- biamento, furono introdotte leggi innovative: lo statuto dei diritti dei lavoratori e la legge sul divorzio (’70), i decreti delegati (’71). Un segno evidente di modernizzazione del paese di ebbe con il referendum per abrogare la legge sul divorzio, voluto dalla destra e dai clericali: il Paese rispose “no” (59%) in nome della libertà di coscienza. Le elezioni amministrative del ’75 e le politiche del ’76 (PCI al 34%) confermarono questa stagione favorevole alla sinistra.
  • 43. L’emergenza terrorismo: l’omicidio di Aldo Moro Mentre proseguivano e si radicalizzavano vari movimenti di contesta-zione (divenne molto visibile il movimento femminista), cominciò a preoccupare l’intrecciarsi, quasi sotto le mani di un’abile regia, di due spinte terroristiche di segno opposto: quella di estrema destra, che colpiva con attentati “di massa” (strage sull’Italicus) e quella delle Brigate Rosse, sorte da frange estremiste di gruppi che accusavano di riformismo la sinistra parlamentare, e in particolare il PCI. Il segretario di questo partito, Enrico Berlinguer, riflettendo sul golpe cileno (‘73) sosteneva l’impraticabilità di un’alternativa di sinistra senza i cattolici . L’uomo della DC che già aveva aperto al centro-sini-stra, Aldo Moro, incoraggiò il dialogo con il PCI, ma il giorno in cui si doveva votare la fiducia ad un gover-no di solidarietà contro il terrorismo, Moro fu rapito e poi ucciso dalle BR.
  • 44. La formula del pentapartito: inizia l’era di Bettino Craxi L’esperienza dei governi di solidarietà nazionale, con astensione od appoggio esterno del PCI durò poco, anche se contribuì a rendere più efficace la lotta al terrorismo (che pure avrebbe dato dei colpi di coda: v. la strage alla stazione di Bologna del 1980). Mentre il PCI entrava in una fase discendente, crebbe il peso del PSI sotto la di-rezione di Bettino Craxi. Questi cercò di differenziarsi, anche pole-micamente dai cugini comunisti, e di proporsi come ago della bilan- cia: iniziò così l’era del pentapartito, cioè di governi formati da una nuova alleanza politica che com-prendeva: DC, PSI, PSDI, PRI, PLI. Per la prima vol-ta si ebbero capi del governo laici, cioè non demo-cristiani, come Spadolini e Craxi stesso (’83-’87).
  • 45. Mani pulite e la lotta alla corruzione In questi anni però si diffusero pratiche di corruzione e di clienteli-smo tra i partiti di governo, che accentuarono il deficit dello stato. Fu la magistratura, nei primi anni ’90, a denunciare il sistema delle bustarelle per corrompere amministratori e governanti ed ottenere appalti lucrosi. Il giudice Di Pietro e il team dei giudici di Milano furono alla testa di questa operazione che fu chiamata “mani pulite”.
  • 46. Nascono nuove formazioni politiche La crisi del mondo sovietico e il conseguente crollo del muro di Berlino (’89) ebbero degli effetti nel mondo politico europeo: il venir meno della “frontiera” per antonomasia, creò disorientamento e sfi- ducia nelle grandi ideologie, mentre particolarismi ed spinte centri-fughe si affermavano, anche drammaticamente, nell’est europeo. In Italia si sgretolarono i partiti storici: DC, PSI, PCI , dalle cui ceneri nacquero altri gruppi: PPI, CCD, CDU, PDS, Rifondazione, mentre altre formazioni politiche sorsero ex novo come la Lega Nord (poi unitasi alla Liga Veneta) che proponeva dap-prima il federalismo, poi la secessione del nord, ricco, dal resto del Paese; come il partito-azienda, Forza Italia, e come AN, che doveva “sdoganarsi”dalla pesante eredità del MSI.
  • 47. Nuove regole del gioco: la riforma del sistema elettorale La crisi politica degli anni ’90 si intrecciava con altre forme di crisi: quella economica (recessione); quella della finanza pubblica (deficit poi risanato grazie ai governi Amato-Ciampi-Prodi); quella dell’ordi-ne pubblico (nel ’92 i giudici Falcone e Borsellino, con le scorte, furono uccisi dalla mafia). Era poi in atto una crisi istituzionale (forse non ancora risolta), da cui scaturì l’abbandono del sistema elettorale a favore di quello maggioritario, per consentire una reale alternanza di governi e di responsabilità. I problemi accumulatisi verso lo scorcio del seco-lo sono stati molti, e di molti non s’intravvedono ancora soluzioni .