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[FRANCO PESARESI]
Integrazione sociosanitaria
e Società della Salute della
Toscana
[2005]
L’integrazione sociosanitaria in Italia. Atti, strumenti e procedure di integrazione nelle regioni italiane. Le
società della salute in Toscana. I piani integrati di salute.
1
INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA E SOCIETA’ DELLA
SALUTE DELLA TOSCANA1
di Franco Pesaresi2
INDICE
pag.
1. L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA NEL CONTESTO
NORMATIVO ITALIANO 3
2. ATTI, STRUMENTI E PROCEDURE DI INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA:
COMPARAZIONE FRA LE REGIONI ITALIANE 6
2.1. Modalità di integrazione a livello regionale 6
2.2. Modalità di integrazione a livello regionale zonale 9
3. LE SOCIETA’ DELLA SALUTE IN TOSCANA 13
3.1. INTRODUZIONE 13
3.2. LE INDICAZIONI GENERALI PER L’INTEGRAZIONE
SOCIO-SANITARIA 13
3.3. LA SOCIETA’ DELLA SALUTE (SdS) 14
3.3.1. Il ruolo delle SdS 14
3.3.2. L’assetto istituzionale ed organizzativo 15
3.3.3. Gli organi delle SdS 15
3.3.4. I percorsi assistenziali 17
3.3.5. Finanziamento e modalità di funzionamento 18
3.3.6. Valutazione 19
3.4. IL PIANO INTEGRATO DI SALUTE (PIS) 19
3.4.1. La costruzione del PIS 21
3.4.2. L’attuazione del PIS 22
3.4.3. La valutazione dei risultati 22
3.5. LE FORME DI PARTECIPAZIONE E DI CONCERTAZIONE 23
3.6. L’AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONE 23
3.7. CONCLUSIONI 24
Bibliografia 25
4. PAROLE CHIAVE E INDICATORI DELLE SOCIETA’ DELLA SALUTE 26
1
Il presente lavoro è tratto dal rapporto di ricerca dal titolo “La programmazione socio-sanitaria: quali percorsi per
l’integrazione” commissionato dal Ministero della Salute (Progetto PON ATAS) e realizzato dal Formez nel 2005.
2
Dirigente Servizi sociali, educativi e sanità comune di Ancona.
2
ALLEGATI Pag.33
1. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 60 del 9 aprile 2002: (estratto del) “Piano
sanitario regionale 2002-2004 - Linee guida per la formazione del Piano integrato sociale
2002-2004- Modifica dell’Allegato 1 della deliberazione del Consiglio regionale1 febbraio
2000, n.31 (Istituzione delle Commissioni regionali per l’accreditamento ai sensi della legge
regionale 23 febbraio 1999, n.8 e successive modificazioni).” Pag. 34
2. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 122 del 24 luglio 2002: (estratto del) “Piano
integrato sociale regionale 2002-2004.” Pag. 54
3. Decreto del coordinatore del dipartimento diritto alla salute e delle politiche di solidarietà
25 ottobre 2002, n. 5652: “Costituzione gruppo di lavoro per piani integrati di salute”. Pag. 58
4. Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 settembre 2003, n. 155: “Atto di indirizzo
regionale per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 60
5. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 novembre 2003, n. 1205: “Società della Salute
– Istituzione del gruppo tecnico di valutazione previsto dal punto 2.2.7.5. del P.S.R. 2002-
2004”. Pag. 72
6. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 22 marzo 2004, n. 269: “P.S.R. 2002-2004 – Avvio
della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 74
7. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 12 luglio 2004, n. 682: “Linee guida per la
realizzazione dei piani integrati di salute”. Pag. 78
8. Deliberazione Consiglio Comunale di Firenze 17 novembre 2003, n. 919: “Costituzione del
consorzio “Società della Salute” (SdS) – Approvazione convenzione e statuto – Presentazione
documento di candidatura alla regione Toscana”. Allegati: 1) Proposta di candidatura; 2)
Convenzione (omesso lo Statuto). Pag. 88
9. Società della Salute del Mugello, Statuto. Pag. 141
3
1. L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA NEL CONTESTO NORMATIVO
ITALIANO
Il tema dell’integrazione socio-sanitaria è molto attuale in tutta Europa dove però le risposte a
questo problema sono state differenziate. In Italia ci sono state due grandi fasi dell’integrazione
socio-sanitaria. La prima avviata con la legge di riforma sanitaria del 1978 (L.833/1978) e poi
completata, dal punto di vista normativo, con il Decreto Craxi del 1985 (DPCM 8/8/1985). Nella
Legge 833 veniva posta grande enfasi all’integrazione socio-sanitaria ed il fatto che alla guida delle
USL venissero previsti proprio gli amministratori indicati dai comuni (nei Comitati di gestione)
indusse gli stessi comuni ad affidarsi alle USL, spesso più attrezzate, per la gestione dei servizi
sociali. L’obiettivo dichiarato era quello di una integrazione sia istituzionale che gestionale.
Il quadro normativo è stato poi completato dal DPCM 8/8/1985 secondo cui “rientrano tra le
attività socio-assistenziali di rilievo sanitario, con imputazione dei relativi oneri sul fondo sanitario
nazionale i ricoveri in strutture protette” purché siano dirette immediatamente e in via prevalente
alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di
prevenzione, cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza dei quali l’attività
sanitaria non può svolgersi o produrre effetti. Il decreto aveva una impostazione che oggi
definiremmo superata basandosi su una cultura ancora centrata sul primato dell’assistenza
ospedaliera e residenziale.
E’ in questo contesto che si è sviluppato il fenomeno della delega alle USL delle funzioni sociali dei
comuni nelle regioni del Nord ed in alcune del Centro (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-V.G.,
Toscana, Umbria). In altre regioni come la Liguria, l’Emilia Romagna e le Marche tale
orientamento è stato seguito solo in alcune realtà comunali o intercomunali. Nelle altre regioni
invece si è mantenuta una sostanziale separazione fra il mondo del sociale quello della sanità.
La seconda fase italiana dell’integrazione socio-sanitaria la stiamo vivendo oggi dopo le
innovazioni normative del periodo 1998/2001.
Comincia a modificare il quadro normativo di riferimento il PSN 1998/2000 con l’indicazione che
l’integrazione socio-sanitaria va attuata e verificata a livello istituzionale (con accordi specifici fra
comuni e ASL), a livello gestionale (coordinamento delle attività a livello di distretto) e a livello
professionale (con il coinvolgimento di operatori di professionalità e di enti diversi).
Un maggior coinvolgimento degli enti locali nel processo di integrazione viene stabilito con il D.
Lgsl. 229/1999, la riforma “Bindi”. Il Decreto pone tra le sue priorità proprio quella
dell’integrazione e prevede nuove condizioni di rapporto fra regioni, comuni e ASL per sviluppare
l’integrazione (Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale
che esprime pareri sul Piano sanitario e sui piani attuativi delle ASL e maggior rilievo assegnato ai
Comitati dei sindaci). Il luogo dell’integrazione è il distretto. Inoltre il Decreto “Bindi” prevede un
nuovo atto di indirizzo sull’integrazione ma poi spetta comunque alle norme regionali definire i
criteri e le modalità mediante i quali i comuni e le ASL garantiscono l’integrazione su scala
distrettuale delle attività sociosanitarie di rispettiva competenza.
Sul fronte della normativa sociale, oltre alla L. 328/00 che punta energicamente sulla
pianificazione sociale e socio-sanitaria con i Piani sociali di zona, il contributo più esplicito viene
invece fornito dal Piano sociale nazionale 2001-2003 che afferma che “è necessario garantire
unitarietà al processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste dal
Programma delle attività territoriali” (il piano dei distretti sanitari) e dal Piano di zona. E’ pertanto
necessario che i due strumenti siano gestiti all’interno di un’unica strategia programmatoria, attuata
in modo collaborativo tra azienda sanitaria ed enti locali, finalizzata alla promozione e alla tutela
della salute delle persone. Si tratta di una indicazione operativa molto avanzata che consiste,in
sostanza, nel condividere un percorso unitario dei comuni e della ASL per arrivare ad approvare una
stessa ed identica parte di piano per l’assistenza sociosanitaria da collocare sia nel PAT che nel
Piano di zona sociale (Cfr. fig.1).
4
Fig.1 – La programmazione locale sociosanitaria
Programma delle attività territoriali (PAT)
art.3 quater D. Lgs. n. 229/1999
SANITARIO SOCIOSANITARIO
SOCIOSANITARIO SOCIALE
Piano sociale di zona (Pdz)
art. 19 L. n. 328/2000
Concludono il quadro normativo il D.P.C.M. 14/2/2001 e il successivo D.P.C.M. 29/11/2001 (in
particolare l’allegato 1C sui livelli essenziali di assistenza che propongono la discussa ripartizione
degli costi per le prestazioni socio-sanitarie fra le famiglie, i comuni e il fondo sanitario.
Più complesso il D.P.C.M. 14/2/2001 secondo cui le prestazioni socio-sanitarie – ed ecco la prima
definizione - sono tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni
di salute che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di
garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
Secondo il Decreto le prestazioni socio-sanitarie comprendono:
 le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale che sono di competenza delle ASL e a carico delle
stesse essendo finanziate sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.
 le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria che sono erogate dalle aziende
sanitarie e sono a carico del fondo sanitario ma possono prevedere delle quote di partecipazione
ai costi da parte dell’utenza e/o dei comuni secondo quanto indicato nelle tabelle dei DPCM del
14/2/2001 e del 29/11/2001. In queste prestazioni la componente sanitaria e quella sociale non
risultano operativamente distinguibili ed è per questo che si è convenuta una percentuale di
costo da ripartire fra utenza, comuni e ASL.
 le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria che sono di competenza dei comuni che provvedono
al loro finanziamento. Di norma, non è prevista la partecipazione alla spesa dal parte della ASL.
L’atto di indirizzo, inoltre, definisce anche una metodologia per caratterizzare gli interventi integrati
basati su quattro criteri:
 la natura del bisogno;
 l’intensità dell’intervento assistenziale;
 la complessità dell’intervento assistenziale;
 la durata dell’intervento.
Il momento di sintesi di questi criteri è costituito dal progetto assistenziale personalizzato che deve
essere predisposto per ogni ipotesi di intervento
La suddivisione dei costi – sostanzialmente confermata dal DPCM 29/11/2001 - non è risultata
abbastanza convincente per le regioni tanto che a 4 anni di stanza solo 5 regioni hanno recepito, in
genere con modificazioni, le percentuali che lì venivano proposte.
Oltre a queste norme occorre però ricordare che all’inizio degli anni ’90 i comuni sono stati
estromessi dalla gestione delle ASL e questo evidentemente ha avuto delle conseguenze
nell’atteggiamento dei comuni che dopo qualche anno hanno cominciato a riprendersi i servizi
delegati alla USL.
5
La tendenza attuale è dunque quella della gestione comunale diretta delle funzioni sociali con il
superamento delle deleghe alle ASL, laddove persistano. Il lavoro sui Piani sociali di zona e le
aggregazioni dei comuni negli ambiti sociali forniscono ai comuni un peso negoziale rinnovato che
i comuni intendono verificare.
Siamo dunque in presenza di quadro normativo rinnovato che punta sull’integrazione socio-
sanitaria in modo tradizionale attraverso lo strumento dell’accordo fra ASL e comuni associati.
L’elemento di freno è però costituito dall’Allegato 1C del DPCM 29/11/2001 sui LEA che ha
proposto una suddivisione dei costi socio-sanitari fra utenza, comuni e ASL senza alcuna verifica
quantitativa e rigorosa di quanto avveniva nel territorio italiano.
Bibliografia
Ranci Ortigosa E., Il rapporto tra servizi sociali e servizi sanitari, in Gori C. (a cura di) “La riforma
dei servizi sociali in Italia”, Roma, 2004.
Vecchiato T., Il distretto e l’integrazione socio-sanitaria, Sanità pubblica n. 1/2000.
6
2. ATTI, STRUMENTI E PROCEDURE DI INTEGRAZIONE SOCIO-
SANITARIA: COMPARAZIONE FRA LE REGIONI ITALIANE
L’integrazione è fatta di atti, strumenti e procedure che possono creare le condizioni per la
realizzazione o per favorire l’integrazione socio-sanitaria. Nei paragrafi che seguono si affrontano
tali aspetti prima a livello regionale e poi al livello locale nelle 10 regioni oggetto
dell’approfondimento.
2.1. MODALITA’ DI INTEGRAZIONE A LIVELLO REGIONALE
Gli assessorati regionali
Il primo livello di integrazione si realizza a livello regionale fra i diversi dipartimenti regionali e fra
gli assessorati. L’ideale, da questo punto di vista, sarebbe quello di riunificare in un solo assessorato
sia le politiche sanitarie che quelle sociali. In realtà questa ipotesi è la meno diffusa ed è presente
solo nelle regioni del sud (Puglia, Basilicata e Sardegna). Uno sforzo incompleto in questa direzione
viene fatto anche dalla regione Toscana dove l’assessore alle politiche sociali gestisce anche gli
interventi ad alta integrazione socio-sanitaria relativi alle dipendenze e all’handicap, dimenticando
però la parte di gran lunga più rilevante relativa agli anziani, ai minori e alle donne. Prevale dunque
l’ipotesi di due assessorati distinti per il governo del mondo sanitario e di quello sociale, il che poi
in sostanza significa che l’integrazione socio-sanitaria, in genere, non è considerata una priorità tale
da superare le logiche politiche connesse con la ripartizioni delle deleghe assessorili (Cfr. Tab.
2.1).
Tab. 2.1 – Adempimenti regionali relativi all’integrazione socio-sanitaria.
Regioni Assessorati
alla sanità
e ai servizi
sociali
ultimo
Piano
sanitario
regionale
approvato
ultimo
Piano
sociale
regionale
approvato
linee guida
per i piani
di zona
piani di
zona
coincidenza
ambiti
sociali e
sanitari
disciplina
della
integrazione
(dopo il
DPCM
14/2/2001)
Lombardia 2 2002-2004 2002-2004 Si Si Si
Veneto 2 1996-1998 1989-1991 Si Si Si si
Toscana 2 2002-2004
+ agg. 2004
2002-2004 Si Si Si si
E.
Romagna
2 1999-2001 stralcio
2005
Si Si No**
Campania 2 2002-2004 Si Si No
Puglia 1* 2002-2004 2004-2006 Si No Si
Basilicata 1* 1997-1999 2000-2002 No Si No
Calabria 2 2004-2006 No No Si si
Sicilia 2* 2000-2002 Si No No
Sardegna 1 1998
stralcio
ospedaliero
1998-2000 No No No si
Note: *In Puglia le politiche della famiglia sono assegnate ad un secondo assessore, in Basilicata l’immigrazione e
l’emigrazione sono assegnate ad un secondo assessore, in Sicilia l’immigrazione e l’emigrazione sono assegnate ad un
terzo assessore, in Calabria è il presidente della Giunta regionale a gestire la delega alle politiche sociali, in Toscana
l’assessore alle politiche sociali gestisce anche gli interventi ad alta integrazione socio-sanitaria relativi alle dipendenze
e all’handicap. **In quasi tutto il territorio regionale vi è coincidenza degli ambiti sociali e sanitari.
7
La Lombardia ha approvato un Piano socio-sanitario regionale che assorbe sia quello sanitario sia quello sociale.
Fonte: Pesaresi (2003) integrata da nostra ricerca.
Con questo stesso orientamento, la Sicilia rappresenta il caso limite con una ripartizione delle
deleghe fra tre diversi assessori (sanità, politiche sociali, immigrazione ed emigrazione).
II piani regionali sanitari e sociali
A livello regionale, gli strumenti di integrazione principale sono i piani sanitari regionali e quelli
sociali.
Tutte e 10 le regioni esaminate dispongono di un Piano sanitario approvato anche se alcuni sono
particolarmente datati o parziali: è questo il caso del Veneto, dell’Emilia Romagna e della
Basilicata che hanno approvato i loro piani prima del 2000 e della Sardegna che nel 1998 ha
approvato esclusivamente un piano stralcio dedicato all’organizzazione ospedaliera.
Meno diffusi sono invece i piani regionali sociali ed in particolare di quelli approvati dopo
l’approvazione della L. 328/2000 che in qualche modo rappresenta uno spartiacque del modo di
intendere le politiche sociali. Rispondono, seppur parzialmente, a questi requisiti temporali solo i
piani della Lombardia, della Toscana, dell’Emilia Romagna e della Puglia, ma occorre anche
aggiungere che il piano socio-sanitario della Lombardia interviene principalmente sui servizi
sanitari e socio-sanitari mentre il piano dell’Emilia Romagna rappresenta solo uno stralcio annuale
relativo al 2005, proprio in attesa del Piano sociale triennale. Fra queste regioni spicca la Toscana il
cui processo di integrazione è sostenuto, questo è l’elemento qualificante, dalla convergenza del
Piano sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un
processo programmatorio unitario ed integrato e quindi un riferimento unico all’azione locale.
Teoricamente, un buon percorso è stato anche quello della regione Lombardia che ha preparato un
Piano socio-sanitario integrato con la collaborazione congiunta della Direzione generale
Sanità e della Direzione generale Famiglia e solidarietà sociale ma il cui risultato vede una presenza
modesta delle tematiche sociali.
In definitiva però sono ben poche le regioni italiane che possono vantare la disponibilità di ambedue
i piani sociali e sanitari approvati e recenti (Cfr. tab.1).
Gli ambiti sociali e i distretti sanitari
L’integrazione socio-sanitaria ha bisogno di un territorio che necessariamente dovrebbe essere lo
stesso per la sanità e il sociale. Le due territorializzazioni, come è noto, sono avvenute in tempi
diversi. I distretti sanitari si sono realizzati negli anni ’80 mentre, in applicazione della L. 328/00,
molte regioni hanno provveduto a ripartire il territorio regionale in ambiti territoriali/zone per la
gestione dei servizi sociali solo in questi ultimissimi anni. Tali ambiti sono quasi sempre
intercomunali con eccezione di alcune città medio-grandi dove gli ambiti sono unicomunali
(Ancona, Modena, ecc.) o, più raramente, più ambiti per una sola grande città (Roma, Genova,
ecc.).
Per favorire la programmazione e l’integrazione socio-sanitaria e per evitare il proliferare di
organismi, la maggior parte delle regioni ha previsto degli ambiti territoriali che coincidono con i
distretti sanitari o loro multipli, ma nella realtà solo la metà delle regioni indagate (Toscana,
Lombardia, Veneto, Puglia e Calabria) ha realizzato ambiti sociali completamente coincidenti con i
il territorio dei distretti sanitari (da rilevare che anche la Basilicata e l’Emilia Romagna segnalano la
coincidenza degli ambiti che però non trova ancora riscontro nei dati ufficiali del 2003. Le due
regioni vanno comunque in direzione della coincidenza). In grave ritardo la Sardegna che è l’unica
regione del gruppo a non averli ancora definiti (Cfr. Tab. 2).
La regione Campania è tra le poche che ha esplicitato i criteri che hanno portato alla identificazione
degli ambiti territoriali sociali. Le aggregazioni territoriali sono state stabilite con il fine di
assicurare la piena funzionalità operativa e le caratteristiche il più possibile omogenee e rispondenti
8
ai seguenti indicatori: a) geo-oro-morfologici; b) affinità di bisogni; c) possibilità di utilizzo di
risorse e servizi territoriali comuni; d) efficienza del sistema dei trasporti; e) accesso facilitato ai
servizi; f) pregresse esperienze progettuali integrate (Pesaresi, 2003). Purtroppo però tra i requisiti
manca proprio quello della ricerca dell’integrazione socio-sanitaria per cui gli ambiti sociali che ne
vengono fuori non coincidono con quelli sanitari.
Sono dunque soprattutto le regioni del sud a dover recuperare su questo terreno ma più nella pratica
che negli orientamenti normativi, quasi tutti concordanti.
Le dimensioni medie degli ambiti sociali sono molto diverse da una regione all’altra; si passa dai
112.300 abitanti della Campania ai 39.800 della Basilicata mentre la media italiana è di 85.600
abitanti per ambito territoriale/zona. Per questo aspetto più che la collocazione geografica sembra
contare di più la dimensione della regione. Infatti, la tendenza rilevata è che le regioni più grandi
hanno identificato degli ambiti con una popolazione più ampia mentre quelle più piccole hanno
identificato degli ambiti territoriali mediamente più piccoli (Cfr. Tab.2.2).
Tab. 2.2 – Gli ambiti territoriali in alcune regioni italiane.
regioni popolazione
al 1/1/2003
numero distretti
sanitari
2003
numero
zone/ambiti
sociali
popolazione
media per
ambito sociale
Campania 5.725.098 113 51 112.300
Toscana 3.516.296 34 34 103.400
Emilia Romagna 4.030.220 40 42 96.000
Sicilia 4.972.124 62 55 90.400
Lombardia 9.108.645 104 104 87.600
Puglia 4.023.957 48 48 83.800
Veneto 4.577.408 60 60 76.300
Calabria 2.007.392 33 33 60.800
Basilicata 596.821 10 15 39.800
Sardegna 1.637.639 25 Non definiti
Fonte: Pesaresi (2003).
I piani sociali di zona
Una delle novità più significative di questi ultimissimi anni che può dare un contributo molto
significativo alla integrazione socio-sanitaria è la previsione della realizzazione in ogni ambito
territoriale dei piani sociali di zona al cui interno deve ovviamente essere contenuta una cospicua
parte relativa ai servizi socio-sanitari. La maggior parte delle regioni indagate hanno premuto in
questa direzione approvando delle linee guida per la redazione dei piani sociali di ambito. Mancano
per ora all’appello solo la Basilicata, la Calabria e la Sardegna.
La disciplina dell’integrazione socio-sanitaria
Nel 2001 sono state emanate due normative nazionali molto importanti per la disciplina
dell’integrazione socio sanitaria ma che per essere efficaci devono essere recepite, anche con
modificazioni, dagli ordinamenti regionali. Si tratta del DPCM 14/2/2001 (“Atto di indirizzo e
coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie) che fissa i criteri dell’integrazione e del
DPCM 29/11/2001 (“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”) che determina le quote di
partecipazione alla spesa degli enti locali (e degli utenti) nelle prestazioni socio-sanitarie. Se le
regioni non provvedono a definire queste, che in definitiva sono le regole dell’integrazione,
difficilmente questa potrà svilupparsi. Ebbene, dopo il 2001 solo 4 regioni (5 in tutta Italia) hanno
9
regolamentato la materia. Per cui sono solo il Veneto, la Toscana, la Calabria e la Sardegna ad aver
approvato (in genere con modifiche) l’allegato 1C del decreto sui LEA che stabilisce le percentuali
di spesa a carico dei comuni.
Gli organismi: la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria
regionale
Quasi tutte le regioni hanno previsto la presenza ed il funzionamento della Conferenza permanente
per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale quale luogo di confronto consultivo fra
la regione, le aziende sanitarie e le autonomie locali per le tematiche legate alla programmazione
sanitaria e socio-sanitaria. Dell’organismo, peraltro previsto dal D. Lgs. 229/1999, fanno infatti
parte anche i presidenti delle Conferenze dei Sindaci ed altri rappresentanti delle autonomie locali.
Con l’introduzione dell’organismo l’intento è quello di potenziare il ruolo delle autonomie locali
nei procedimenti di programmazione sanitaria, sociosanitaria e sociale a livello regionale e locale,
in linea con quanto previsto dal Titolo V della Costituzione.
In Toscana, inoltre, la definizione del sistema di servizi inerenti l’integrazione socio-sanitaria si
realizza attraverso un processo di concertazione tra la regione e gli altri soggetti istituzionali
coinvolti per il quale il PSR prevede specifici strumenti come il tavolo di concertazione (tra la
regione e gli altri soggetti interessati alla programmazione) e il gruppo di lavoro per l’integrazione
delle politiche sociali e sanitarie.
2.2. MODALITA’ DI INTEGRAZIONE A LIVELLO ZONALE
Il governo politico locale dell’integrazione
Quasi tutte le regioni italiane hanno identificato l’organo di governo politico locale
dell’integrazione socio-sanitaria nel Comitato dei sindaci di distretto (o Assemblea dei sindaci in
Lombardia) o nella Conferenza dei sindaci, laddove l’ambito sociale coincide con la ASL. Esso è
dovunque composto dai sindaci dei comuni dell’ambito territoriale preventivamente identificato. In
Sicilia si aggiunge il direttore del distretto sanitario o il direttore generale della ASL.
Le funzioni dei Comitati dei Sindaci sono sostanzialmente simili in tutte le regioni; ad essi spetta
l’esercizio della funzione di governo territoriale nel settore sociale e socio-sanitario con
l’approvazione dei Piani sociali di zona e dei programmi delle attività territoriali di distretto (PAT).
In genere, il comitato dei Sindaci è il soggetto politico di riferimento ed è l’organo deputato a:
1. definire le modalità istituzionali e le forme di organizzazione gestionali più adatte alla
organizzazione dell’ambito territoriale e della rete dei servizi sociali;
2. nominare il suo presidente ed individuare l’ente locale capofila;
3. nominare gli organismi tecnici (ufficio di piano, coordinatore, ecc.) di supporto e di esecuzione;
4. definire le forme di collaborazione fra i comuni e l’azienda sanitaria di riferimento;
5. approvare il piano di zona.
I comitati dei sindaci, quando vi è la coincidenza geografica con i distretti sanitari, possono
esercitare anche le funzioni di comitato dei sindaci di distretto sanitario, assumendo così le funzioni
programmatorie per l’intervento sociale, socio-sanitario e sanitario con l’elaborazione dei piani di
zona (pdz) e l’approvazione del piano delle attività territoriali (PAT).
Alcune differenze si registrano qua e là, in Italia. Per esempio, la Campania ha voluto identificare
un percorso parzialmente diverso dalle altre regioni identificando un nuovo organismo politico. Per
la definizione del piano di zona, i sindaci istituiscono un coordinamento istituzionale promosso dal
comune capofila e costituito dai sindaci dei comuni, dal presidente della provincia, della comunità
10
montana ove esistente e dal direttore generale della ASL di riferimento. In Emilia Romagna invece
il coordinamento politico a livello di ambito zonale è stato affidato agli assessori ai servizi sociali.
I piani di attuazione territoriale dei distretti sanitari e i piani sociali di zona
I principali strumenti di integrazione a livello locale sono costituiti dai piani di attuazione
territoriale (PAT) dei distretti sanitari e dai piani sociali di zona dei comuni. Affinché
l’integrazione socio-sanitaria possa funzionare efficacemente è necessario garantire unitarietà al
processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste dal Programma delle
attività territoriali (art. 3 quater d.lgs. 229/99) che deve fare il distretto sanitario e dal Piano
sociale di ambito o di zona (art. 19 L. 328/2000) che devono fare i comuni.
Il programma delle attività territoriali è il piano di salute distrettuale in cui sono definiti i bisogni
prioritari e gli interventi di natura sanitaria e socio-sanitaria necessari per affrontarli. Allo stesso
tempo il Piano di zona è lo strumento per definire le strategie di risposta ai bisogni sociali e
sociosanitari. Tutti i due i piani hanno una parte piuttosto vasta che si occupa della attività
sociosanitarie. E’ pertanto necessario che i due strumenti siano gestiti all’interno di un’unica
strategia programmatoria, attuata in modo collaborativo tra azienda sanitaria ed enti locali,
finalizzata alla promozione e alla tutela della salute delle persone e delle famiglie. In sostanza è
necessario che le parti socio-sanitarie dei due piani coincidano e pertanto siano il frutto di un
percorso condiviso.
Su questo fronte la strada da fare è ancora rilevante; i piani di zona si sono fatti in Lombardia,
Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Campania e Basilicata ed anche i PAT sono una procedura che
ancora è limitata a poche regioni. Ancora più rara è l’integrazione che si realizza fra i due piani
ma che comunque ha visto delle esperienze significative in Veneto ed in Emilia Romagna (anche se
diverse altre regioni come la Puglia e la Campania l’hanno prevista). In Veneto, in particolare, il
Piano di zona dei servizi sociali è visto come strumento di indirizzo programmatico per la
formulazione del Piano attuativo locale della ULSS. A questo fine il Direttore di Distretto socio-
sanitario recepisce le indicazioni del Piano di Zona in sede di redazione del Programma delle
attività territoriali. In Campania, invece, con una procedura opposta, nei Piani di Zona
confluiscono, previa approvazione dei Comuni, le programmazioni sociosanitarie distrettuali dei
P.A.T..
Strumenti gestionali per l’integrazione
Gli strumenti principali usati per l’integrazione socio-sanitaria di tipo gestionale sono:
 l’accordo di programma (art. 34 legge n°267/2000 Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali) che è lo strumento maggiormente richiesto dalle leggi regionali per ottenere la
massima integrazione tra i servizi sociali e sanitari da siglarsi tra i soggetti interessati
(soprattutto comuni e ASL). Questo strumento è usato sostanzialmente da tutte le regioni
(Lombardia, Emilia Romagna, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna ecc.) soprattutto per
l’approvazione dei piani sociali di zona. In Lombardia, contrariamente a quanto accade nelle
altre regioni, non necessariamente la ASL è fra i sottoscrittori dell’accordo di programma
poiché essa potrebbe non avere nessun ruolo nel PDZ.
 la delega che è l’atto con cui i comuni incaricano la ASL di esercitare per loro conto talune
attività socio-sanitarie o anche socio-assistenziali. Tale modalità, un tempo più diffusa, è
presente nel territorio veneto ma in modo non generalizzato. Ad esempio, presso la ULSS 6 di
Vicenza (conta 4 Distretti) 2 Comuni hanno dato la delega alla ULSS per la tutela dei minori;
nella ULSS 15 di Cittadella tutti i Comuni hanno dato alla ULSS tutte le deleghe per le attività
socio-sanitarie. Nel Modello Veneto è stata privilegiata la strategia di integrazione tramite
delega di gestione all’ULSS di una parte delle funzioni sociosanitarie, lasciando la facoltà ai
11
Comuni di ulteriori deleghe di gestione fino ad un conferimento complessivo di tutte le attività
di interesse sociosanitario (attualmente la situazione è abbastanza variegata).
 La convenzione (art.30 legge n°267/2000 Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali) usata per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio (Emilia Romagna,
Basilicata, Puglia, ecc.).
 protocollo operativo (Puglia) o Protocolli tecnici (Basilicata) per l’erogazione di una certa
prestazione o di una sua modalità afferente l’area di elevata integrazione sociosanitaria.
La valutazione del bisogno socio-sanitario
L’Unità di Valutazione Multidimensionale, che nelle varie regioni assume varie terminologie (Unità
valutative distrettuali (UVD), unità di valutazione geriatrica (UVG), unità di valutazione
multidimensionale (UVM), unità operative di zona (UOZ), ecc.) costituisce l’anello operativo
strategico, in sede locale, per l’accesso al sistema dei servizi socio sanitari di natura domiciliare,
semiresidenziale e residenziale a gestione integrativa e compartecipata. La valutazione
multidimensionale ovvero l’analisi dettagliata dei problemi e dei bisogni che presenta il caso è
effettuata da un team multiprofessionale con competenze sanitarie e sociali in grado di leggere le
esigenze di pazienti con bisogni sanitari e sociali complessi. Tutte le regioni hanno scelto questa
modalità di valutazione dei bisogni per l’accesso alle prestazioni ma non tutte le regioni hanno
previsto una composizione dell’unità di valutazione che vede la presenza sia della ASL che del
comune nonostante che questa compresenza sia decisiva ai fini dell’efficacia dell’integrazione. In
Veneto, comunque, la valutazione del bisogno è garantita in modo unitario dall’ente locale e
dall’ULSS, a livello distrettuale, attraverso il servizio sociale professionale, integrato quando
necessario con altre figure professionali, in ragione della complessità della domanda. La valutazione
si conclude con la predisposizione di un progetto personalizzato, concordato con la persona e la sua
famiglia. Sulla stessa linea anche la Basilicata con le unità operative di zona (UOZ) la cui
composizione varia con il mutare delle caratteristiche dell’utenza.
Le innovazioni: Le società della salute della Toscana
La Toscana ha previsto uno strumento di integrazione nuovo e unico per i comuni e per le AUSL
che è identificato nei Piani integrati di salute e nella previsione, questa sperimentale e volontaria,
di un nuovo assetto organizzativo e gestionale identificato nella Società della salute (SdS) che
coinvolge, anche in questo caso, comuni e AUSL delle zone-distretti. La SdS ha come fine
istituzionale la salute ed il benessere sociale e non solo l’offerta di prestazioni. Il miglioramento
delle condizioni di salute della popolazione è affidato al concorso di tutti gli attori che possono
influire sui determinanti della salute: questo è uno dei principi ispiratori principali. I Piani integrati
di salute (PIS) costituiscono lo strumento operativo delle SdS per perseguire questi obiettivi. La
SdS è istituita in forma di consorzio pubblico cui partecipano la AUSL e i comuni della
zona/distretto. La partecipazione dei comuni è su base volontaria. L’organo di governo è composto
dai Sindaci o loro assessori delegati dei comuni partecipanti e dal direttore generale dell’azienda
sanitaria. L’organo di governo della SdS nomina un direttore tecnico che, nell’arco del mandato,
assume il ruolo di manager della SdS e di responsabile di distretto sanitario con autonomia e
responsabilità gestionale. Le SdS sono società, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende
sanitarie garantisce l’unitarietà del sistema sanitario, e la presenza dei comuni assicura la
rappresentanza delle comunità locali, l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione
di obiettivi di salute da perseguire con interventi integrati. Le SdS sono finanziate dalle ASL con la
parte della quota capitaria, corrispondente ai servizi definiti nel loro contratto di erogazione, e dai
comuni con i fondi corrispondenti ai servizi sociali, che si impegnano ad erogare. Nella prima fase
di sperimentazione le SdS si occupano del governo del sistema e dell’orientamento della domanda
prevedendo l’assunzione della gestione diretta dei servizi successivamente e in modo graduale. Allo
12
stato attuale la sperimentazione è partita da poco tempo e vede partecipare 18 zone/distretti che
rappresentano il 55% della popolazione toscana.
Le innovazioni: i voucher socio-sanitari della Lombardia
La Lombardia ha introdotto i voucher socio-sanitari per favorire la cura a domicilio delle persone
più fragili, sulla base dell’impegno della famiglia o altri soggetti con esperienza di servizi socio-
sanitari. Il voucher socio-sanitario è un titolo d’acquisto fornito dalla ASL spendibile presso
caregiver accreditati dalla ASL per dare un servizio di assistenza domiciliare integrata con tre
diversi gradi di complessità. Con il voucher socio-sanitario si possono acquistare prestazioni
mediche, riabilitative,infermieristiche e di aiuto infermieristico. Le prestazioni di aiuto
infermieristico sono, per esempio: la cura dell’igiene personale, l’aiuto nell’alzata e messa a letto,
l’aiuto nell’assunzione e somministrazione dei pasti, l’assistenza nella deambulazione,
mobilizzazione, vestizione e gestione delle altre attività quotidiane, la prevenzione delle piaghe da
decubito, l’aiuto o il controllo nell’espletamento delle normali attività quotidiane (regione
Lombardia, 2003).
Le innovazioni: La porta unitaria di accesso della Puglia
La Puglia ha previsto l’attivazione di una “Porta Unitaria di Accesso” (PUA) al sistema dei servizi
sociali e sanitari. Con tale espressione si intende l’obiettivo strategico di un “sistema di accoglienza
della domanda” in grado di aprire al cittadino, simultaneamente, tutta la gamma di opportunità
offerte dalla rete locale dei servizi e consentirgli, quindi, di percorrere, a partire da un solo punto di
accesso al sistema dei servizi, l’intera rete dei servizi sociali e sanitari.
Nell’ambito dei servizi sociali comunali essa va ad integrarsi con l’organizzazione dei servizi di
accoglienza (sportello sociale, segretariato sociale ecc.) che i Servizi Sociali dei Comuni dovranno
organizzare in ciascun ambito territoriale, consentendo in tal modo l’accesso unificato a tutte le
prestazioni socio-assistenziali e socio-sanitarie previste dal Piano Sociale di Zona.
La Porta Unitaria di Accesso svolge i seguenti compiti:
 orientamento della domanda e strumento della programmazione dell’offerta;
 accoglimento all’interno dell’ambito distrettuale di tutte le richieste di assistenza domiciliare,
semiresidenziale e residenziale a gestione integrata e compartecipata, provenienti dalla cosiddetta
“rete formale” (MMG/PLS, Unità Operative distrettuali, Presidi Ospedalieri, Servizio Sociale)
del distretto interessato;
 attivazione degli altri referenti territoriali competenti della rete formale dell’utente per un
approfondimento della richiesta;
Rimane l’interrogativo di come una Porta unitaria di accesso ai servizi sociali e sanitari possa
convivere con lo “sportello sociale” che svolge la stessa funzione ma solo sul fronte sociale.
Bibliografia
Pesaresi F., La governance dei piani sociali di zona, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 20/2003.
Regione Lombardia, Il voucher socio-sanitario, Assessorato alla famiglia e solidarietà sociale,
2003.
13
3. LE SOCIETA’ DELLA SALUTE IN TOSCANA
3.1.INTRODUZIONE
Con il Piano sanitario regionale 2002-2004 la Toscana ha avviato una vera e propria riforma
culturale ed organizzativa del sistema sanitario regionale ponendo al centro della pianificazione
cinque scelte strategiche sul versante della individuazione di obiettivi di salute, del perseguimento
della partecipazione, dell’appropriatezza , della programmazione e dell’efficienza.
Esso dedica una particolare attenzione all’integrazione socio-sanitaria al fine di assicurare
l’unitarietà della risposta assistenziale. A questo fine il PSR definisce una serie di indirizzi strategici
che comprendono:
 la conferma e il consolidamento del principio dell’integrazione socio-sanitaria sulla falsariga
del DPCM 14/2/2001;
 la definizione del sistema di servizi ed interventi integrati socio-sanitari con il metodo della
concertazione fra i soggetti istituzionali coinvolti;
 l’individuazione dei livelli di assistenza socio-sanitaria;
 la definizione di strategie ed obiettivi specifici per ognuna delle aree dell’integrazione socio-
sanitaria (Cabras, 2003).
Il processo di integrazione è sostenuto, questo è l’elemento qualificante, dalla convergenza del
Piano sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un
processo programmatorio unitario ed integrato e quindi anche un riferimento unico all’azione
locale. La conseguenza della pianificazione integrata è la previsione, generalizzata a livello locale,
di uno percorso nuovo e unico per i comuni e per le AUSL che è identificato:
1) nella individuazione di un solo livello locale di governo, coincidente con l’assetto delle zone,
comprendente sia le funzioni della zona socio-sanitaria che quelle del distretto sanitario e che
assume la denominazione di zona-distretto. Il processo si sviluppa fino alla necessaria
coincidenza degli ambiti territoriali sanitari con quelli sociali. Oggi infatti abbiamo 34 zone/distretti
che coincidono territorialmente con 34 ambiti territoriali sociali;
2) nella individuazione di un nuovo strumento di programmazione delle attività denominato Piano
integrato di salute;
3) nella previsione, questa sperimentale, di un nuovo assetto organizzativo e gestionale identificato
nelle Società della salute che coinvolge comuni e zone-distretti delle AUSL.
3.2. LE INDICAZIONI GENERALI PER L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA
Il Piano sanitario regionale 2002-2004 definisce e valorizza le attività che nel territorio possono
garantire l’integrazione socio-sanitaria sia a livello programmatorio, sia attraverso la
sperimentazione di nuovi modelli di gestione unitaria di tutti gli interventi territoriali, sia definendo
i livelli di assistenza socio-sanitaria e le condizioni per realizzarli in ogni zona. Con lo stesso atto la
regione ha approvato inoltre i parametri di ripartizione degli oneri fra AUSL e Comuni/utenti delle
prestazioni socio-sanitarie previste all’allegato 1C del decreto sui Livelli essenziali di assistenza
(LEA). In parallelo il Piano sociale regionale integrato (PISR) consente di completare la
definizione del sistema di welfare regionale, coniugandosi direttamente con i contenuti del Piano
sanitario. Le scelte finalizzate all’integrazione socio-sanitaria sono pertanto assicurate attraverso
l’unitarietà del processo programmatorio regionale, cui deve corrispondere l’azione unitaria a
livello territoriale.
Il Piano sanitario regionale propone quale nucleo fondamentale delle attività dei servizi socio
sanitari territoriali i progetti obiettivo ad alta integrazione. La loro realizzazione avviene
nell’ambito delle Società della Salute (SdS), ove costituite, e secondo la modalità operativa dei
14
Piani integrati di salute (PIS). Mediante i progetti obiettivo sono definite le strategie
programmatorie specifiche per dare risposta completa ed unitaria ai bisogni complessi in essi
rappresentati, secondo i seguenti principi:
1. definizione del piano individuale di assistenza, con individuazione delle prestazioni sanitarie
e sociali che devono essere assicurate, da effettuarsi con modalità organizzative tali da
consentire che chi prescrive l’intervento abbia il reale governo delle risorse disponibili;
2. perseguimento dell’unitarietà d’intervento, della continuità assistenziale, della progettazione
integrata delle risposte e della condivisione degli obiettivi;
3. l’apporto delle risorse sanitarie e sociali, proporzionalmente articolato in base alla “fase” del
percorso assistenziale;
4. valutazione multidimensionale del bisogno (soprattutto per disabili ed anziani non
autosufficienti) e valutazione partecipata degli esiti;
5. Accesso ai servizi secondo il criterio dell’universitalità ma previsione della possibile
partecipazione alla spesa di parte sociale sulla base dell’ISEE.
I progetti obiettivo ad alta integrazione sono relativi alla salute degli anziani, alla disabilità, alla
salute mentale, alla prevenzione e alla cura delle condotte di abuso e delle dipendenze,
all’assistenza materno infantile.
Laddove le SdS non si costituiscono, l’integrazione socio-sanitaria in Toscana si deve perseguire
avendo come punto di riferimento soprattutto i contenuti del DPCM 14/2/2001 che il PSR richiama
per l‘identificazione delle aree di integrazione e dei principi da porre alla base della
riorganizzazione degli interventi assistenziali.
I territorio di riferimento è ovviamente la zona-distretto dove la conferenza dei sindaci nella sua
articolazione zonale e la ASL programmano i servizi e le prestazioni ad alta integrazione per gli
utenti residenti nel distretto, utilizzando lo strumento dei piani integrati di salute. In tale ambito le
ASL e i comuni individuano le modalità gestionali in forma necessariamente associata.
3.3. LA SOCIETA’ DELLA SALUTE (SdS)
La regione Toscana partendo da questi presupposti ed obiettivi ha deciso di avviare una
sperimentazione gestionale con la costituzione delle Società della salute (SdS).
La SdS ha come fine istituzionale la salute ed il benessere sociale ed ha come presupposto quello di
favorire la partecipazione dei cittadini alle scelte in merito ai servizi socio-sanitari attraverso le
loro rappresentanze istituzionali e associative. Uno degli aspetti ispiratori principali delle SdS sta
nel concetto che il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione è affidato al concorso
di tutti gli attori che possono influire sui determinanti della salute. L’assunzione di responsabilità
sui temi della salute diventa condivisa fra sanità, enti locali, componenti produttive e associative
della società e gli stessi cittadini attraverso i loro comportamenti e le loro scelte.
3.3.1. Il ruolo delle SdS
Le SdS assumono la responsabilità del governo delle attività socioassistenziali, sociosanitarie,
sanitarie territoriali e specialistiche di base relative alla zona-distretto di riferimento. Uno degli
obiettivi prioritari della SdS è il rafforzamento degli elementi di integrazione nella erogazione delle
prestazioni e nella organizzazione dei servizi ad alta integrazione socio-sanitaria.
Le SdS definiscono i propri ruoli, compiti, finanziamenti tramite accordi fra le AUSL e i comuni a
livello di zona-distretto, con il coordinamento e il controllo direzionale della regione. Il processo di
sperimentazione dovrà svilupparsi con la necessaria gradualità e pertanto dovrà riguardare in prima
istanza le funzioni di governo del sistema sociale e sanitario e di orientamento della domanda
prevedendo l’assegnazione alle SdS delle funzioni di gestione diretta di servizi e attività socio-
15
sanitarie a seguito dell’autorizzazione della Giunta regionale in relazione agli andamenti della
sperimentazione.
Queste indicazioni regionali sono state interpretate in modo piuttosto omogeneo dai vari progetti
locali di costituzione delle SdS che, in genere, hanno previsto i seguenti obiettivi della
sperimentazione:
 una maggiore integrazione fra i settori di programmazione che si occupano delle varie
categorie di “determinanti della salute” dei cittadini, per consentire la definizione di una
strategia condivisa orientata agli “obiettivi di salute” da conseguire;
 un nuovo ruolo di governo congiunto del Comune e della Azienda Sanitaria, per tutti gli
interventi di sostegno alle persone (sociali, sociosanitari e sanitari) in ambito zonale;
 un pieno coinvolgimento dei cittadini e delle varie espressioni sociali;
 una programmazione unitaria e condivisa che si orienti alla verifica dell’offerta, che si
incroci con i bisogni rilevati, e consenta una valutazione di esito dei servizi, nonché la
definizione degli obiettivi di salute individuati attraverso relazioni formali e sistematiche fra
tutti coloro che si occupano delle azioni riconducibili ai vari determinanti di salute;
 un modello di impiego delle risorse che sappia consentire, attraverso una visione unitaria, il
raggiungimento di maggiore appropriatezza delle prestazioni e di razionalizzazione dell’uso
delle risorse.
3.3.2. L’assetto istituzionale ed organizzativo
Le SdS sono società, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende sanitarie e dei comuni
assicurano l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione di obiettivi di salute da
perseguire con interventi integrati. La SdS diventa così lo strumento operativo unitario dei comuni
e della AUSL per la programmazione e la gestione dei servizi socio-sanitari, sociali e socio-
assistenziali.
La SdS è istituita in forma di consorzio pubblico (ai sensi degli art. 30 e 31 del D. Lgs. 267/2000)
cui partecipano la AUSL e i comuni della zona. La sperimentazione, che è biennale (triennale
secondo il PSR) e reversibile, è limitata alle realtà in cui i soggetti interessati, comuni (almeno 80%
della popolazione del distretto) e AUSL, concordano volontariamente di realizzarla.
Lo strumento operativo principale della SdS è il Piano integrato di salute (PIS) e i seguenti atti
obbligatori: bilancio preventivo annuale e pluriennale; bilancio di esercizio annuale; budget
preventivo e consuntivo e il contratto di servizio che regolamenta i rapporti tra la SdS e gli enti che
l’hanno costituita.
In questa fase non si prevede l’utilizzo di personale dipendente ma solamente di operatori
provenienti dalla AUSL e dai comuni in regime di comando e/o di assegnazione funzionale che
mantengono il contratto di appartenenza.
3.3.3. Gli organi delle SdS
Sono organi della SdS:
 l’organo di governo denominato “Giunta della SdS”;
 il presidente;
 il direttore;
 il collegio dei revisori dei conti.
L’organo di governo è così composto:
 per i comuni, sindaci o assessori delegati, competenti nelle materie trasferite alla SdS;
 per le aziende sanitarie, dal direttore generale dell’ASL competente (Cfr. Fig. 1).
L’organo di governo:
 nomina al proprio interno un presidente tra i rappresentanti dei comuni
16
 approva i bilanci della SdS;
 nomina il collegio dei revisori dei conti;
 nomina il direttore della SdS;
 approva il contratto di servizio della SdS;
 definisce gli indirizzi per la predisposizione del piano integrato di salute;
 approva il piano integrato di salute e i budget;
 approva la relazione annuale della SdS;
 approva i regolamenti interni relativi:
o all’organizzazione e al funzionamento della SdS;
o alle modalità di attivazione e allo svolgimento del tavolo di concertazione locale;
o alle modalità di costituzione e funzionamento degli organismi di consultazione e
partecipazione.
Figura 1 – L’organo di governo della SdS
I componenti dell’organo di governo della SdS ed il presidente, le cui competenze sono disciplinate
nello statuto, non godono di remunerazione aggiuntiva rispetto a quella derivante dalle funzioni
nelle istituzioni di appartenenza.
L’organo di governo della SdS nomina un direttore tecnico che è titolare delle funzioni direzionali
che la normativa attribuisce al responsabile della zona-distretto ed ai dirigenti comunali competenti
in materia. Inoltre, il direttore:
 predispone il piano integrato di salute;
 predispone lo schema della relazione annuale della SdS;
 predispone gli atti di competenza dell’organo di governo e, ove presente, dell’esecutivo;
 assume tutti i provvedimenti di attuazione delle deliberazioni dell’organo di governo e quelli di
gestione della SdS.
Il direttore, per lo svolgimento dei propri compiti è coadiuvato da uno staff di direzione a cui, in
genere, le SdS hanno dato la seguente composizione di massima:
 i componenti dell’Ufficio di Coordinamento di Zona e del Distretto ;
 I componenti della segreteria tecnica dell’articolazione zonale della Conferenza dei Sindaci.
Questa composizione permette il coinvolgimento strutturato e continuo oltre che dei responsabili
delle varie aree dei comuni e della ASL anche dei medici di medicina generale, dei pediatri di
libera scelta e dei rappresentanti dell’ associazionismo e del volontariato locale. L’ufficio di
Presidente
Giunta della SdS
- Sindaci (o Assessori ai servizi sociali dei
Comuni della zona socio-sanitaria)
- Presidente o assessore delegato della
Comunità Montana (se presente)
- Direttore Generale ASL
17
coordinamento comprende infatti anche membri del volontariato più rappresentativo di zona,
mentre della segreteria tecnica fa parte un rappresentante del coordinamento del terzo settore
zonale.
Il Direttore si rapporta inoltre con un Collegio di Direzione per concordare le strategie generali di
organizzazione e attuazione dei programmi. Il Collegio di Direzione è composto dal Responsabile
delle politiche sociali, dal Responsabile delle funzioni relative all’attività di elevata integrazione,
dal Responsabile delle funzioni relative alle attività sanitarie territoriali e specialistiche, dal
Responsabile delle attività amministrative, dal Responsabile per le attività relative alla qualità,
monitoraggio attività e valutazione d’esito e da un Rappresentante dei Medici di Medicina Generale
e dei Pediatri di libera scelta (Cfr. fig. 2).
Fig. 2 – Gli organismi tecnici della SdS
3.3.4. I percorsi assistenziali
Obiettivo prioritario della Società della Salute è quello di fornire al cittadino percorsi di accesso
unitario e integrato tale da evitare duplicazioni di procedure, rinvii a vari uffici titolari di
competenze diverse, semplificando le complessità dei percorsi e garantendo risposte socio-sanitarie
unitarie e appropriate a bisogni complessi. A titolo esemplificativo un percorso tipo ipotizzabile
nell’ambito delle problematiche della popolazione anziana può essere quello raffigurato nella Fig. 3.
Direttore
Collegio di
Direzione
Staff di Direzione
- Ufficio di coordinamento di
Zona e di distretto
- Segreteria tecnica
dell’articolazione zonale della
conferenza dei sindaci
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Fig. 3 – Percorsi di accesso integrato all’assistenza
Accesso
Bisogno
sanitario
Bisogno
sociale
Bisogno
complesso
Medico MG Assistente Soc
Erogazione di prestazioni
e servizi sanitari
Erogazione di prestazioni
e servizi sociali
UNITÀ VALUTAZIONE
MULTIDISCIPLINARE
U.V.M.
ADI
Centro diurno Altre risposte
……………… RSA
_____________________________________________________________________________________________
Fonte: documento di candidatura della SdS di Firenze e della SdS del Mugello.
Quando sarà a regime, la SdS, oltre il governo dell’offerta di servizi sociali e sanitari territoriali, ha
come ulteriore funzione quella del governo della domanda complessivamente espressa nel territorio
di competenza.
Il governo della domanda trova attuazione da parte della SdS mediante accordi con i prescrittori (in
particolare medici di medicina generale per il controllo dei consumi) e indicazioni per la
contrattazione della ASL con i soggetti erogatori, coerentemente con gli indirizzi regionali.
Per quanto riguarda i servizi di ricovero ospedaliero, il governo della domanda trova espressione in
un atto di concertazione annuale con la AUSL relativo alle modalità di erogazione degli stessi da
parte dei presidi di propria competenza, ferma restando la competenza dell’AUSL sui rapporti
contrattuali con gli istituti di ricovero privati accreditati.
Negli accordi da stipulare con i presidi ospedalieri particolare importanza devono avere la
promozione di protocolli operativi che assicurino la continuità assistenziale tra ospedale e servizi
territoriali (ivi compresa la condivisione delle risorse professionali disponibili) nell’ambito dei
percorsi assistenziali integrati.
3.3.5. Finanziamento e modalità di funzionamento
Il bilancio delle SdS è costituito dalle risorse ad essa conferite dagli enti associati e necessarie
all’espletamento delle funzioni di programmazione e governo di propria competenza. Un’ulteriore
quota di finanziamento sarà assicurata dalla Regione per supportare i costi iniziali di funzionamento
delle SdS.
Per i servizi socio-sanitari di competenza della SdS, qualora la gestione rimanga di competenza
degli enti associati, la responsabilità della SdS si esprime nella definizione del budget di zona
(budget virtuale in quanto costituito da risorse che restano degli enti) e delle conseguenti procedure
di negoziazione che costituiscono vincolo ai budget delle diverse strutture organizzative. Analogo
budget virtuale deve essere previsto per il costo delle prestazioni sanitarie di ricovero ospedaliero di
cui la popolazione di propria competenza ha usufruito.
19
In via di principio la SdS non può chiudere l’esercizio in situazione di squilibrio economico del
budget; nell’eventualità di chiusura in deficit, la SdS è impegnata al suo riassorbimento
nell’esercizio immediatamente successivo.
3.3.6. Valutazione
La Giunta regionale toscana ha istituito un apposito gruppo tecnico di valutazione, finalizzato a
seguire tutto il processo della sperimentazione, sulla base di indicatori di qualità delle azioni assunte
dalla SdS interloquendo con essa al fine di suggerire interventi utili. Di tale azione di monitoraggio
informa periodicamente la Consulta regionale e riferisce all’assessore regionale che può, in casi
eccezionali, proporre alla Giunta regionale la cessazione della sperimentazione.
Sempre per seguire il processo di sperimentazione con un’ ottica più politica, la regione ha istituito
anche una consulta regionale presieduta dall’assessore per il diritto alla salute della quale fanno
parte una rappresentanza dei direttori generali delle aziende sanitarie, delle conferenze dei sindaci,
delle organizzazioni sindacali confederali, delle organizzazioni sindacali mediche firmatarie dei
CCNL della sanità, del terzo settore, dei medici convenzionati, delle associazioni sindacali dei
lavoratori autonomi ed, infine, anche l’Assessore regionale alle politiche sociali.
3.4. IL PIANO INTEGRATO DI SALUTE (PIS)
ll PIS è uno strumento di programmazione integrata delle politiche sociali e sanitarie e della loro
interconnessione con quelle relative ai settori, in primo luogo ambientali e territoriali, che abbiano
comunque influenza sullo stato di salute della popolazione .
Il PIS trova applicazione sull’intero territorio della Regione Toscana sia per quei territori che
sperimentano le SdS sia per quelli che non lo fanno e disegna un nuovo processo di
programmazione della zona-distretto che per raggiungere una piena realizzazione dovrà
necessariamente trovare una applicazione graduale.
Attraverso il PIS le comunità locali governano la salute collettiva e interagiscono col sistema dei
servizi. Premessa fondamentale è l’interazione fra il complesso dei servizi sanitari e sociosanitari
con quello proprio dei servizi socioassistenziali. Il PIS ha durata triennale ma può essere aggiornato
annualmente e sostituisce il programma operativo di zona e il Piano sociale di zona.
Il PIS interagisce, attraverso i suoi progetti, con gli strumenti di programmazione e/o d’indirizzo
locali e con gli strumenti amministrativi relativi agli ambiti d’intervento di competenza dei comuni
nei settori: ambiente, trasporti, formazione, sviluppo economico (Cfr. fig. 4).
20
Fig. 4 – Le interazioni del Piano integrato di salute
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Fonte: Progetto SdS Firenze
Piani ed Azioni
per l’Ambiente
Piani
Commerciali
P.I.S.
Piano della
mobilità,
traffico e dei
parcheggi
Piani della
formazione
Politiche di
intervento nei
settori casa,
socio.educativi,
sportivi, culturali,
protagonismo dei
giovani e degli
anziani, ABA, …..
P.A.O.I.
Altri piani,
programmi,
progetti di livello
regionale, area
vasta e provinciale
PRG (Piano
Srutturale; Reg.
Urbanistico;
Programma
integrato; Piani
Attuativi)
21
Il PIS prevede obiettivi di salute e benessere intervenendo sulle principali categorie di
determinanti della salute (Cfr. Tab.3.1), ne determina standard quantitativi e qualitativi e attiva
strumenti per valutarne il raggiungimento.
Tab. 3.1 – Principali determinanti della salute.
NON
MODIFICABILI
SOCIO-
ECONOMICI
AMBIENTALI STILI DI VITA
ACCESSO AI
SERVIZI
GENETICA POVERTA’ ARIA ALIMENTAZIONE ISTRUZIONE
SESSO OCCUPAZIONE
ACQUA E
ALIMENTI
ATTIVITA’ FISICA
TIPO DI
SISTEMA
SANITARIO
ETA’
ESCLUSIONE
SOCIALE
ABITATO FUMO
SERVIZI
SOCIALI
…………. CASA
AMBIENTE
SOCIALE E
CULTURALE
ATTIVITA’
SESSUALE
TRASPORTI
………….. ………….. FARMACI
ATTIVITA’
RICREATIVE
Fonte: progetto SdS Firenze
In questa ottica, nelle procedura di approvazione di qualsiasi strumento programmatorio comunale,
generale o di settore verrà introdotto formalmente un momento valutativo calibrato sui bisogni di
salute dei cittadini: la valutazione di impatto di salute.
Il Piano integrato di salute rappresenta così lo strumento di riferimento che riassorbe al suo interno
la definizione degli obiettivi di salute e delle azioni per conseguirli. Il PIS si compone di azioni
progettate relative a problemi di rilievo sociale a pertinenza locale, con specifici e valutabili
obiettivi di salute, attraverso le quali orientare l’operatività dei servizi e valorizzare le potenzialità
del contesto sociale e istituzionale.
La realizzazione del PIS, che sono cofinanziati dai soggetti realizzatori, implica il compimento
delle fasi di:
 costruzione del PIS, definizione delle azioni progettate (dei programmi e dei progetti operativi)
che lo compongono;
 attuazione del PIS, attuazione degli interventi previsti dalle azioni progettate (dai progetti
operativi);
 valutazione dei risultati.
La realizzazione del PIS è compito è della SdS o, in mancanza, dei comuni associati e della AUSL
per quanto di rispettiva competenza.
3.4.1. La costruzione del PIS
La costruzione del PIS si sviluppa in quattro fasi logico-temporali.
1. Individuazione dei problemi, dei bisogni e delle opportunità. La prima fase ha una funzione
decisiva. Sulla validità delle sue conclusioni poggiano le possibilità d’efficacia dell’intero processo
di realizzazione del PIS.
Il prodotto di fase da raggiungere con le necessarie gradualità, è l’Immagine di Salute della zona
che rappresenta il quadro sintetico delle condizioni sociali, sanitarie e ambientali del territorio e
della popolazione e che la comunità riconosce come pertinenti al proprio stato di salute.
L’Immagine di salute emerge dalla collaborazione realizzativa delle strutture tecniche dell’Azienda
ASL, delle strutture tecniche delle amministrazioni locali, degli amministratori locali, delle forze
sociali, del volontariato sociale, di gruppi di popolazione e di singoli cittadini.
Propedeutica alla costruzione dell’Immagine di Salute è la realizzazione del Profilo di Salute di
zona. Il Profilo di Salute raccoglie, dalle istituzioni competenti, e ordina i dati, demografici, sanitari,
sociali, ambientali, disponibili relativi alla zona.
22
Il Profilo di Salute svolge le funzioni di archivio integrato dei dati relativi ai fenomeni demografici,
sociali, sanitari, ambientali, e di supporto alla costruzione dell’Immagine di Salute, fornendo le
evidenze epidemiologiche e dei risultati di specifiche indagini su cui basare le valutazioni
condivise.
Poiché l’Immagine di Salute è una rappresentazione problematica connotata, che ipotizza o
chiarisce i nessi tra i vantaggi ed i problemi e le loro cause, essa, in riferimento al grado di
definizione di tali nessi, già indica la tipologia degli interventi necessari.
2. Scelta delle priorità. La scelta delle priorità ha l’obiettivo di definire una gerarchia tra le coppie
problema-soluzione, vantaggi-sviluppo, espresse dall’Immagine di salute. La fase ha valenza
tecnica e politica, ad essa partecipano sia soggetti tecnici sia politici, intendendo tra questi ultimi
oltre ai soggetti istituzionali del governo locale anche i soggetti della partecipazione.
I criteri della selezione ordinativa possono essere:
 rilevanza sul territorio, gravità e frequenza del problema nella popolazione;
 risolvibilità tecnica del problema;
 possibilità di consolidamento e sviluppo delle cause che generano vantaggi;
 disponibilità sul territorio di competenze adeguate agli interventi;
 grado di condivisione degli obiettivi da parte dei soggetti che operano la selezione;
 fattibilità economica dell’intervento;
 misurabilità dei risultati attesi;
 dimensione temporale degli effetti previsti dell’intervento;
 effetti sistemici dell’intervento, conseguenze prevedibili su altri settori del sistema locale.
3. Definizione delle azioni. Le priorità individuate devono essere tradotte in obiettivi di salute. La
decisione relativa alle azioni da programmare e attivare consegue all’ordinamento gerarchico dei
problemi-soluzioni. Tale decisione è compito dei soggetti politici. Ogni azione presuppone la
definizione di programmi articolati in progetti operativi.
4. Stesura dei progetti. La stesura dei programmi e dei progetti operativi è compito delle strutture
tecniche delle amministrazioni comunali e dell’Azienda ASL, coordinate secondo le modalità
tecnico/organizzative prescelte dalla Giunta della SdS. I progetti operativi sono orientati alla
realizzazione degli interventi necessari a conseguire i singoli obiettivi previsti dai programmi di
riferimento.
3.4.2. L’attuazione del PIS
L’attuazione del PIS richiede che gli obiettivi di salute vengano articolati in programmi e progetti
operativi e che tali attività vengano realizzate e gestite sulla base di patti territoriali tra la SdS e altri
soggetti pubblici e privati che partecipino all’attuazione del PIS.
La conclusione di fase prevede un report che, per ciascuna azione progettata, indichi gli interventi
realizzati, la valutazione del grado di integrazione della operatività, il consuntivo economico e i
fattori che hanno ostacolato e favorito la realizzazione degli interventi.
3.4.3. La valutazione dei risultati
Il processo di valutazione ha la finalità di accertare il grado di raggiungimento degli obiettivi
specifici e la loro congruità con gli obiettivi generali del PIS.
La valutazione dei risultati è compito della Giunta, coadiuvata dalla Consulta del Terzo settore, dal
Comitato di partecipazione e dal Direttore.
La valutazione si fonda sia sulla percezione che i soggetti istituzionali e della partecipazione hanno
dei mutamenti intervenuti per effetto del PIS sia sui valori quantitativi assunti dagli indicatori
appositamente progettati per la valutazione.
La valutazione risponde alle domande:
 cosa è cambiato in termini di salute nell’ambito territoriale della zona-distretto?;
23
 quali problemi, nonostante gli interventi messi in atto con il PIS, non è stato risolto?;
 cosa è cambiato in termini di integrazione informativa e operativa nella zona?.
Il processo di valutazione produce due documenti complementari:
 un report tecnico, che ha la funzione di migliorare, attraverso il confronto intersettoriale e
interzonale, l’approccio tecnico alla programmazione integrata;
 un report di valenza politico-istituzionale, o “Relazione sugli esiti del PIS”, approvato dalla
Giunta, che confluisce, come parte distinguibile e integrata, nella Relazione annuale della SdS.
3.5. LE FORME DI PARTECIPAZIONE E DI CONCERTAZIONE
Le forme di partecipazione e di concertazione si sviluppano su due livelli: quello regionale e quello
zonale.
A livello regionale il processo di concertazione prevede specifici strumenti come il tavolo di
concertazione (tra la regione e gli altri soggetti interessati alla programmazione), il gruppo di lavoro
per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie, e la Conferenza permanente per la
programmazione socio-sanitaria (Cabras, 2003).
Nelle SdS sono invece previste due forme di partecipazione: la consulta del terzo settore e il
Comitato di partecipazione.
Le organizzazioni del volontariato e del terzo settore sono rappresentate nella Consulta del terzo
settore che partecipa alla definizione del piano integrato di salute fornendo pareri o proposte prima
dell’approvazione del PIS.
Il Comitato di partecipazione è invece composto da membri nominati dall’organo di governo della
SdS tra i rappresentanti della comunità locale, espressione di soggetti della società che
rappresentano l’utenza che usufruisce dei servizi, nonché le espressioni dell’associazionismo di
tutela e “advocacy” purché non siano erogatori di prestazioni. Il Comitato:
 elabora e presenta all’organo di governo proposte per la predisposizione degli atti di
programmazione e governo generale di sua competenza;
 esprime pareri sulla qualità e quantità delle prestazioni erogate e sulla relativa rispondenza tra
queste ed i bisogni dell’utenza, sull’efficacia delle informazioni fornite agli utenti, sul grado di
integrazione socio-sanitaria dei servizi resi e su ogni altra tematica attinente al rispetto dei diritti
dei cittadini ed alla loro dignità;
 esprime parere obbligatorio sia sulla bozza di PIS che sullo schema di relazione annuale della
SdS fornendo anche proposte di integrazione e modifica;
 redige un proprio rapporto annuale sulla effettiva attuazione del PIS e sullo stato dei servizi
locali.
La Toscana scommette dunque sulla capacità dell’associazionismo e del terzo settore di
rappresentare le istanze e i bisogni della popolazione mentre non sono previste forme di
partecipazione diretta dei cittadini. Inoltre, tutti gli atti di indirizzo e programmazione sono soggetti
alla preventiva concertazione con le organizzazioni sindacali firmatarie dei CCNL della sanità. Il
verbale di concertazione rappresenta documento di riferimento per i relativi atti che gli organi della
SdS saranno chiamati ad assumere.
3.6. L’AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONE
Nel marzo 2004 la Giunta regionale toscana ha autorizzato l’avvio della sperimentazione delle
Società della Salute in 18 zone socio-sanitarie. Esse riguardano il 55% della popolazione regionale
e cioè circa 2 milioni di persone. Con l’atto si approvano una serie di prescrizioni generali e
specifiche a cui tutte le costituende SdS devono attenersi. Tra queste le più rilevanti (oltre a quella
che ricorda il rispetto delle norme sui consorzi) appaiono essere le seguenti:
24
1. Nella fase di avvio della sperimentazione delle SdS non è consentito, da parte di quest’ultime,
l’esercizio delle funzioni di gestione dei servizi, compresi quelli socio-assistenziali. Le SdS
avranno la possibilità di gestire direttamente i servizi soltanto in una fase successiva, previa
nuova procedura di autorizzazione di competenza della Giunta regionale.
2. E’ necessario evitare la sovrapposizione dei ruoli direzionali tra società della Salute ed enti
consorziati. Ne consegue che il ruolo del responsabile di zona dell’AUSL e quello del direttore
della SdS deve essere ricondotto ad una figura unica appartenente alla SdS che, in questa prima
fase, viene identificato nel responsabile della zona/distretto.
3.7. CONCLUSIONI
La regione Toscana con il PSR 2002-2004 introduce due innovativi strumenti nella
programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari - la Società della Salute e il Piano integrato di
Salute – capaci di modificare radicalmente l’approccio alle problematiche dell’integrazione socio-
sanitaria. Con la SdS si punta ad affidare ad un unico soggetto partecipato dai comuni e dalla AUSL
la programmazione e la gestione dei servizi socio-sanitari ed altri servizi sociali e sanitari. Rispetto
al passato si ribaltano completamente i ruoli dei soggetti protagonisti dell’integrazione socio-
sanitaria. Mentre in precedenza vi era la tendenza ad una delega di funzioni dei comuni verso le
AUSL che esercitavano il ruolo di maggior rilievo oggi le funzioni programmatorie, ed in futuro
anche quelle gestionali, dell’integrazione socio-sanitaria vengono affidate ad un nuovo organismo
che vede anche la partecipazione delle AUSL ma che è diretto dai comuni.
Qualche somiglianza è ravvisabile con l’esperienza dei paesi scandinavi e, in parte, del Regno
Unito, che nella ricerca di una soluzione efficace ed unitaria dell’integrazione socio-sanitaria hanno
trasferito tutte le competenze di tale settore in capo ai comuni. Così accade per l’assistenza
domiciliare sociale e sanitaria in Danimarca, per l’assistenza residenziale sociale e sanitaria nel
Regno Unito ed anche per le cure primarie in Finlandia.
Sul fronte istituzionale aumentano le responsabilità dei comuni che in cambio ottengono un
maggior potere da esercitare nel settore della tutela della salute. Le integrazioni che si realizzano a
questo livello sono almeno due: una nel livello orizzontale fra comuni e AUSL e l’altra fra SdS e
Regione. Sarà proprio nella ricerca di un equilibrio nella distribuzione dei poteri e delle competenze
fra questi livelli e nelle modalità del loro esercizio (senza scadimenti) che si giocherà il futuro di
questa esperienza.
L’altra grande innovazione è costituita dal Piano integrato di salute che è lo strumento con cui si
intendono perseguire gli obiettivi di salute intervenendo sui determinanti di salute. Con i Piani
integrati di salute si punta a coinvolgere “nella pianificazione sanitaria settori inevitabilmente
contigui (in primo luogo il settore sociale, ma anche quello urbanistico, dei trasporti, del traffico,
della casa, della cultura, dell’istruzione, ecc.), ma normalmente distanti ed estranei nelle scelte
sulla salute. Ciò è tanto più necessario se si pensa che miglioramenti significativi dello stato della
salute della popolazione oggi si possono conseguire non tanto (o non solo) dal potenziamento delle
tecnologie biomediche e dalla diffusione degli interventi sanitari, quanto dal miglioramento della
qualità della vita nelle città e dalla lotta alla povertà e all’emarginazione.” (Maciocco, 2002). Uno
strumento simile è stato previsto anche in Emilia Romagna con i Piani per la salute e nelle Marche
con i Piani comunitari di salute.
Si tratta indubbiamente di una felice intuizione la cui realizzazione per dare buoni frutti ha bisogno
di tempi lunghi e di un approccio culturale nuovo alle tematiche della salute. Sarà proprio sulla
consapevolezza di queste necessità e sulla sua diffusione che si giocherà il futuro dei PIS.
25
Bibliografia
 Cabras G., Integrazione socio sanitaria, Salute e Territorio 2003: 136: 19-22.
 Decreto del coordinatore del dipartimento diritto alla salute e delle politiche di solidarietà 25
ottobre 2002, n. 5652: “Costituzione gruppo di lavoro per i piani integrati di salute”.
 Deliberazione Consiglio Comunale di Firenze 17 novembre 2003, n. 919: “Costituzione del
consorzio “Società della Salute” (SdS) – Approvazione convenzione e statuto – Presentazione
documento di candidatura alla regione Toscana”. Allegati: 1) Proposta di candidatura; 2)
Convenzione; 3) Statuto.
 Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 9 aprile 2002, n. 60: “Piano sanitario 2002-2004 –
Linee guida per la formazione del Piano integrato sociale 2002-2004”.
 Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 luglio 2002, n. 122: “Piano integrato sociale
regionale 2002-2004”.
 Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 settembre 2003, n. 155: “Atto di indirizzo
regionale per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute”.
 Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 settembre 2002, n. 961, Piano zonale di assistenza
sociale, art. 11 L.R. 72/97 – Approvazione indirizzi operativi e strumenti per la redazione del
Piano di zona 2002-2004.
 Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 novembre 2003, n. 1205, Società della salute –
Istituzione del gruppo tecnico di valutazione previsto dal punto 2.2.7.5. del P.S.R. 2002-2004.
 Deliberazione Giunta Regionale Toscana 22 marzo 2004, n. 269, P.S.R. 2002-2004- Avvio della
sperimentazione delle Società della salute.
 Deliberazione Giunta Regionale Toscana 12 luglio 2004, n. 682, Linee guida per la
realizzazione dei piani integrati di salute.
 Maciocco G., Le Società della Salute, Salute e Territorio 2002: 132: 150-154.
 Regione Toscana, L.R. 3 ottobre 1997, n. 72: “Organizzazione e promozione di un sistema di
diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e socio-
sanitari integrati”.
 Società della Salute del Mugello, Documento di candidatura, convenzione e statuto.
26
4. PAROLE CHIAVE E INDICATORI DELLE SOCIETA’ DELLA
SALUTE
OGGETTO
INDICATORI
QUALI/
QUANTITATIVI
DESCRIZIONE
Elenco delle parole
chiave
Centralità del territorio, approccio integrato, partecipazione, Obiettivi
di salute, società della salute (SdS), Piano integrato di salute (PIS).
27
1.
Orientamenti
di valore
dichiarati
nei
documenti
regionali
Individuazione degli
orientamenti di
fondo
Il Piano sanitario regionale 2002-2004 della Toscana ha avviato
una vera e propria riforma del sistema sanitario regionale in termini
culturali ed organizzativi. Esso dedica una particolare attenzione
all’integrazione socio-sanitaria al fine di assicurare l’unitarietà della
risposta assistenziale. A questo fine il PSR definisce una serie di
indirizzi strategici che comprendono:
 la conferma e il consolidamento del principio dell’integrazione
socio-sanitaria, già sviluppato, sulla falsariga del DPCM
14/1/2001;
 la definizione del sistema di servizi ed interventi integrati socio-
sanitari con il metodo della concertazione fra i soggetti
istituzionali coinvolti;
 l’individuazione dei livelli di assistenza socio-sanitaria;
 la definizione di strategie ed obiettivi specifici per ognuna delle
aree dell’integrazione socio-sanitaria.
Il processo di integrazione è sostenuto, questo è l’elemento
qualificante, dalla convergenza del Piano sanitario regionale con il
Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un processo
programmatorio unitario ed integrato e quindi un riferimento unico
all’azione locale.
La zona socio sanitaria, che coincide con l’ambito sociale, è
individuata come il territorio con riferimento al quale i comuni
realizzano, in forma necessariamente associata secondo le modalità
del TUEL, la programmazione del sistema integrato di servizi e
prestazioni sociali e socio sanitarie d’intesa con la AUSL. La
gestione associata è obbligatoria per la gestione di interventi definiti
dai progetti approvati dal Piano di zona, per la gestione dell’attività
di integrazione socio-sanitaria, per le azioni innovative di interesse
regionale.
La conseguenza di questo percorso integrato è la previsione
generalizzata, a livello locale, di uno strumento nuovo e unico per i
comuni e per le AUSL che è identificato nei Piani integrati di salute
e nella previsione, questa sperimentale e volontaria, di un nuovo
assetto organizzativo e gestionale identificato nelle Società della
salute che coinvolge, anche in questo caso, comuni e AUSL delle
zone-distretti.
L’attuazione dei livelli di assistenza socio sanitaria avviene
all’interno di un sistema ispirato, nell’organizzazione degli
interventi, ai seguenti principi:
 valutazione multidimensionale del bisogno (soprattutto per
disabili ed anziani non autosufficienti);
 definizione del piano individuale di assistenza, con
individuazione delle prestazioni sanitarie e sociali che devono
essere assicurate, da effettuarsi con modalità organizzative tali
da consentire che chi prescrive l’intervento abbia il reale
governo delle risorse disponibili;
 l’apporto delle risorse sanitarie e sociali, proporzionalmente
articolato in base alla “fase” del percorso assistenziale,
 Accesso ai servizi secondo il criterio dell’universitalità ma
previsione della possibile partecipazione alla spesa di parte
sociale sulla base dell’ISEE.
28
2. Assetti e
relazioni
istituzionali
Rapporti tra la
Regione, gli altri
Enti territoriali
pubblici, gli Enti
privati e di Terzo
settore coinvolti
nella funzione di
programmazione
socio-sanitaria
La regione ha il compito ridefinire le regole e le risorse per
l’integrazione socio-sanitaria e il suo sviluppo.
La definizione del sistema del sistema di servizi inerenti
l’integrazione socio-sanitaria si realizza attraverso un processo di
concertazione tra la regione e gli altri soggetti istituzionali coinvolti
per il quale il PSR prevede specifici strumenti come il tavolo di
concertazione (tra la regione e gli altri soggetti interessati alla
programmazione), il gruppo di lavoro per l’integrazione delle
politiche sociali e sanitarie, la Conferenza permanente per la
programmazione socio-sanitaria (enti locali ed altri).
Tipologia delle
relazioni
interistituzionali
delineate dal sistema
di attori coinvolti
(gerarchiche / di
mercato / di
governance)
Per la programmazione e la gestione unitaria dei servizi socio-sanitari
la regione Toscana ha previsto la costituzione delle società della
Salute (SdS).
La SdS ha come fine istituzionale la salute ed il benessere sociale e
non solo l’offerta di prestazioni, ed ha come presupposto quello di
favorire la partecipazione alle scelte dei cittadini attraverso le loro
rappresentanze istituzionali e associative in merito ai servizi socio-
sanitari. Il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione
è affidato al concorso di tutti gli attori che possono influire sui
determinanti della salute: questo è uno dei principi ispiratori
principali. I Piani integrati di salute (PIS) costituiscono lo strumento
operativo delle SdS per perseguire questi obiettivi.
La SdS è istituita in forma di consorzio pubblico, ai sensi degli art.
30 e 31 del TUEL (D.Lgs. 267/2000) cui partecipano la AUSL e i
comuni della zona/distretto. La partecipazione dei comuni è su base
volontaria ma la sperimentazione si può avviare solo se i comuni del
distretto che vi partecipano rappresentano almeno l’80% dell’intera
popolazione. L’organo di governo è composto dai Sindaci o loro
assessori delegati dei comuni partecipanti e dal direttore generale
dell’azienda sanitaria. L’organo di governo della SdS nomina un
direttore tecnico che, nell’arco del mandato, assume il ruolo di
manager della SdS e di responsabile di distretto sanitario (che in
Toscana si chiama zona-distretto) con autonomia e responsabilità
gestionale, che si avvale di un organismo di direzione. Le SdS sono
società, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende
sanitarie garantisce l’unitarietà del sistema sanitario, e la presenza dei
comuni assicura la rappresentanza delle comunità locali,
l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione di
obiettivi di salute da perseguire con interventi integrati. Le SdS sono
finanziate dalle ASL con la parte della quota capitaria,
corrispondente ai servizi definiti nel loro contratto di erogazione, e
dai comuni con i fondi corrispondenti ai servizi sociali, che si
impegnano ad erogare.
Nella prima fase di sperimentazione le SdS si occupano del governo
del sistema e dell’orientamento della domanda prevedendo
l’assunzione della gestione diretta dei servizi successivamente e in
modo graduale.
La SdS diventa così lo strumento operativo unitario dei comuni e
della AUSL per la programmazione e la gestione dei servizi socio-
sanitari, sociali e socio-assistenziali nel rispetto delle direttive
regionali.
3. Ruolo
dell’Ente
regionale
nella
Visione delle
modalità con cui
l’Ente regionale
esercita le
prerogative di
La regione fissa le regole e individua gli strumenti per lo sviluppo
dell’integrazione socio-sanitaria.
Ha approvato il piano sanitario regionale e il piano sociale regionale
integrato con cui si intende dare un unico riferimento alla
programmazione locale. Ha approvato le linee guida sulle società
29
integrazione
socio-sanitaria
governo nei
confronti del
sistema e principali
strumenti utilizzati a
tal fine
della salute e deve approvare le linee guida sui piani integrati di
salute. Ha approvato inoltre (con il PSR) l’identificazione dei
servizi che richiedono l’integrazione e la definizione dei criteri e
parametri di ripartizione degli oneri fra comuni e AUSL in relazione
alle modalità assistenziali e tipologie di servizi con riferimento
all’allegato 1C sui LEA socio-sanitari.
Una parte del lavoro normativo regionale , identificato nel PSR, deve
ancora essere fatto relativamente alla:
 individuazione delle procedure per la definizione di intese tra enti
locali e ASL nella loro articolazione zonale per l’erogazione
integrata degli interventi e delle prestazioni nell’ambito dei
percorsi assistenziali specifici.
 emanazione di specifici indirizzi e linee guida sui percorsi
assistenziali e sulle modalità di erogazione dei servizi riferiti alle
varie aree.
4. Ruolo degli
Enti locali
Visione delle
modalità con cui gli
Enti locali
partecipano al
processo di
integrazione socio-
sanitaria ai diversi
livelli implicati
(programmatorio/
gestionale /
valutativo /
finanziario)
Gli enti locali partecipano alla sperimentazione delle SdS. La
sperimentazione è biennale, volontaria e reversibile. E’ limitata alle
realtà in cui i soggetti interessati, comuni (almeno 80% della
popolazione del distretto)e ASL, concordano ed esprimono la loro
disponibilità.
Il comune non assume solo funzioni di programmazione e controllo,
ma compartecipa ad un governo comune del territorio finalizzato ad
obiettivi di salute e diviene a tutti gli effetti co-gestore dei servizi
socio-sanitari territoriali. Le SdS sono finanziate dalle ASL con una
parte della quota capitaria, e dai comuni con i fondi corrispondenti ai
servizi sociali, che si impegnano ad erogare.
La provincia, pur non partecipando alla costituzione della SdS, è
coinvolta con la previsione di specifici accordi in relazione ai
contenuti del Piano integrato di salute della SdS ed all’attività
dell’osservatorio sociale provinciale.
5. Ruolo dei
soggetti privati
e di
Terzo
settore
Visione delle
modalità con cui i
soggetti privati/di
Terzo settore
partecipano al
processo di
integrazione socio-
sanitaria ai diversi
livelli implicati
(programmatorio/ge
stionale/ valutativo /
finanziario)
Non è (più) prevista la partecipazione dei soggetti privati fra i
soggetti costituenti la SdS. Il terzo settore ha un ruolo significativo
ma consultivo all’interno delle SdS che si esprime attraverso le forme
della partecipazione.
Sono previste due forme di partecipazione: la consulta del terzo
settore e il Comitato di partecipazione.
Le organizzazioni del volontariato e del terzo settore che sono
presenti in maniera rilevante nel territorio e operano in campo sociale
e sanitario sono rappresentate in una apposita Consulta del terzo
settore. La consulta partecipa alla definizione del piano integrato di
salute nell’ambito delle direttive dell’organo di governo: essa è
chiamata a fornire parere o proposte prima dell’approvazione del PIS.
Il Comitato di partecipazione è composto da membri nominati
dall’organo di governo della SdS tra i rappresentanti della comunità
locale, espressione di soggetti della società che rappresentano
l’utenza che usufruisce dei servizi, nonché le espressioni
dell’associazionismo di tutela e “advocacy” purché non siano
erogatori di prestazioni. Il Comitato presenta all’organo di governo
proposte per la predisposizione degli atti di programmazione e
governo generale, esprime pareri sulla qualità e quantità delle
prestazioni erogate, sul grado di integrazione socio-sanitaria dei
servizi resi e su ogni altra tematica attinente al rispetto dei diritti dei
cittadini ed alla loro dignità. In tale ambito esprime parere
obbligatorio sia sulla bozza di PIS che sullo schema di relazione
annuale della SdS predisposti dal Direttore fornendo anche proposte
di integrazione e modifica. L’organo di governo, qualora si discosti
30
dal parere espresso dal comitato di partecipazione, deve darne idonea
motivazione nell’atto di approvazione.
6. Funzione di
committenza
Soggetti che
gestiscono la
funzione di gestione
della domanda e
degli accessi ai
servizi socio-sanitari
e modalità relative
La SdS gestisce la funzione della domanda e degli accessi ai servizi
socio-sanitari.
Oltre il governo dell’offerta di servizi sociali, sociosanitari e sanitari
territoriali direttamente gestiti nella zona-distretto da comuni e ASL,
la SdS ha come ulteriore funzione di rilievo quella di governo della
domanda complessivamente espressa nel territorio di competenza,
cioè di quella domanda che pur riferendosi ad attività di competenza
della SdS tuttavia non trova risposta esclusiva nei servizi
direttamente gestiti dalla ASL e dai comuni (come le prestazioni
sanitarie farmaceutiche, specialistiche, diagnostiche, riabilitative),
così come la domanda di servizi non di competenza diretta della SdS
(ospedali).
Il governo della domanda trova attuazione da parte della SdS
mediante accordi con i prescrittori (in particolare medici di medicina
generale per il controllo dei consumi) e indicazioni per la
contrattazione della AUSL con i soggetti erogatori, coerentemente
con gli indirizzi regionali.
Per quanto riguarda i servizi di ricovero ospedaliero, il governo della
domanda trova espressione in un atto di concertazione annuale con la
AUSL relativo alle modalità di erogazione degli stessi da parte dei
presidi di propria competenza, ferma restando la competenza
dell’AUSL sui rapporti contrattuali con gli istituti di ricovero privati
accreditati.
Punti e modalità di
accesso (unificato o
no) previste ai
servizi socio-sanitari
Sono previsti dei punti di accesso unificato alle prestazioni socio-
sanitarie (e non solo) nei singoli progetti di SdS. Essi sono assicurati
dalla presenza di una rete omogenea e collegata di punti di
informazione e di accesso decentrati sul territorio nei presidi
comunali e delle aziende sanitarie.
7. Funzione di
produzione
Soggetti che si
occupano della
gestione dei servizi
sociosanitari
Le SdS assumono le responsabilità del governo delle attività
socioassistenziali, sociosanitarie, sanitarie territoriali e specialistiche
di base relative alla zona-distretto di riferimento. La SdS assicura
l’erogazione delle prestazioni attraverso le strutture ed i servizi
gestiti, singolarmente ovvero in forma associata o delegata ai sensi
della normativa vigente, dalla ASL e dai comuni.
Nella fase di avvio della sperimentazione delle SdS non è consentito,
da parte dei queste ultime, l’esercizio delle funzioni di gestione dei
servizi, compresi quelli socio-assistenziali. Le SdS avranno la
possibilità di gestire direttamente i servizi soltanto in una fase
successiva, previa nuova procedura di autorizzazione di competenza
della Giunta regionale. Il processo dovrà quindi svilupparsi con
gradualità e dovrà riguardare in prima istanza le funzioni di governo
del sistema sociale e sanitario e di orientamento della domanda.
Forme gestionali
(gestione diretta,
consorzi, aziende
speciali, delega
all’AUSL, società a
capitale misto, ecc.)
Lo strumento identificato per l’integrazione socio-sanitaria costituito
dalla SdS che è istituita in forma di consorzio pubblico, ai sensi
degli art. 30 e 31 del TUEL (D.Lgs. 267/2000) cui partecipano la
AUSL e i comuni della zona.
Le SdS definiscono i propri ruoli, compiti, finanziamenti tramite
accordi fra le ASL e i comuni a livello di distretto (zona-distretto),
con il coordinamento e il controllo direzionale della regione.
Ambito territoriale
di riferimento
Zona-distretto sanitario che coincide con l’ambito sociale.
31
8. Atti,
strumenti e
procedure di
integrazione
socio-sanitaria
Modalità di
integrazione a
livello regionale tra
programmazione
sanitaria e
programmazione
sociale (piano
sanitario/piano
sociale regionale,
altri piani, ecc.)
Il processo di integrazione è sostenuto dalla convergenza del Piano
sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che
propongono un processo programmatorio unitario ed integrato e
quindi anche un riferimento unico all’azione locale. Per garantire
questa unitarietà il PSR contiene le linee guida per la redazione del
successivo Piano integrato sociale regionale (PISR).
La definizione del sistema del sistema di integrazione socio-sanitaria
si realizza attraverso un processo di concertazione tra la regione e gli
altri soggetti istituzionali coinvolti per il quale il PSR prevede
specifici strumenti come il tavolo di concertazione, il gruppo di
lavoro per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie, la
Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria.
Modalità di
integrazione a
livello zonale tra
pianificazione
sanitaria e
pianificazione
sociale (accordi di
programma,
convenzioni, forme
di coordinamento,
ecc.)
L’integrazione a livello zonale si realizza attraverso la gestione
unitaria della SdS. I piani integrati di salute costituiscono la modalità
di operare delle SdS e sostituiscono il programma operativo di zona-
distretto e il piano sociale di zona.
I piani integrati di salute scaturiscono da un procedimento di
concertazione al quale partecipano i soggetti istituzionali e quelli
rappresentativi delle comunità locali nel rispetto della impostazione
regionale della programmazione integrata. I piani integrati di salute
devono interagire con gli strumenti della programmazione locale.
L’insieme dei soggetti che hanno partecipato alla concertazione e
stipulato l’accordo mette a punto un progetto di lavoro comune
basato sull’individuazione degli obiettivi di salute e sulla verifica dei
risultati, tenuto conto delle priorità emerse dal consenso e
condivisione fra i soggetti con pari dignità, tenendo conto delle
evidenze scientifiche e dei dati disponibili sul territorio e sulla salute
della popolazione, oltre che della percezione dei bisogni da parte dei
cittadini.
9. Meccanismi
di
monitoraggio e
di
valutazione
dei risultati
Soggetti che
esercitano le
funzioni di
monitoraggio e di
valutazioni
La Giunta regionale istituisce un apposito gruppo tecnico di
valutazione, finalizzato a valutare la congruenza dei progetti di SdS
sulla base degli indirizzi regionali, ed a seguire tutto il processo della
sperimentazione. Istituisce inoltre una consulta regionale, presieduta
dall’assessore per il diritto alla salute, per seguire il processo di
sperimentazione, della quale fanno parte una rappresentanza dei
direttori generali delle aziende sanitarie, delle conferenze dei sindaci,
delle organizzazioni sindacali confederali, delle imprese sociali e dei
medici convenzionati.
Criteri e strumenti
adottati in materia
Per i piani integrati di salute sono previste le valutazioni di effetto.
La valutazione di effetto consiste nella costruzione di un bilancio tra
effetti potenzialmente positivi ed effetti potenzialmente negativi del
piano integrato di salute. Il bilancio è realizzato sulla base di un set di
indicatori specifici, volti a sorvegliare lo stato di realizzazione del
piano integrato di salute in termini di effetto sulla organizzazione dei
servizi (indicatori di processo) e sulla salute e soddisfazione
dell’utenza (indicatori di esito).
32
10. Ruolo dei
cittadini nei
processi di
integrazione
socio-sanitaria
Forme previste
(dirette e
rappresentative) di
partecipazione dei
cittadini alle scelte
di programmazione
sociosanitaria, alle
modalità di gestione
dei servizi e di
monitoraggio/valuta
zione dei risultati
ottenuti
Sono previste delle forme di partecipazione alle scelte di
programmazione e verifica dei cittadini associati attraverso la
Consulta del terzo settore e il Comitato di partecipazione illustrate al
punto 5. Inoltre, tutti gli atti di indirizzo e programmazione sono
soggetti alla preventiva concertazione con le organizzazioni sindacali
firmatarie dei CCNL della sanità.
Valutazione del
grado di effettiva
applicazione delle
medesime e
problemi relativi
E’ affidata al Comitato di partecipazione.
11.
Sostenibilità
economica nel
medio/lungo
periodo
Livelli di spesa
regionale in materia
sociosanitaria nei 3
ultimi quinquenni
(1990-1994, 1995-
1999, 2000-2004)
1999: spesa pubblica per rette per residenze per anziani = 96.000.000
1999: assistenza domiciliare comunale (SAD) = 12.400.000
1999: assistenza domiciliare integrata (ADI) = 10.900.000
1999: centri diurni per anziani = 2.500.000
-----------------
1999:Totale = 121.800.00
(Fonte: Agenzia regionale sanità Toscana, 2002)
Stima dei livelli di
spesa previsti per i
prossimi due
quinquenni (2005-
2009 e 2010-2014)
in relazione
all’evoluzione
demografica
regionale
12. Sviluppo
della rete
regionale dei
servizi
socio-sanitari
per gli
anziani
N. posti disponibili
in strutture
residenziali
convenzionate
RSA = 2.085
case protette = 4.572
case di riposo = 7.459
Totale = 14.116 (dati del 1999)
Valore % dei
medesimi sulla
popolazione > 75
anni
6,1
N. posti in centri
diurni
584
Valore % dei
medesimi sulla
popolazione > 75
anni
0,25
N. anziani > 75 in
ADI
14.686 (con più di 65 anni)
Valore % dei
medesimi sulla
popolazione > 75
anni
6,4
33
ALLEGATI
10. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 60 del 9 aprile 2002: (estratto del) “Piano
sanitario regionale 2002-2004 - Linee guida per la formazione del Piano integrato sociale
2002-2004- Modifica dell’Allegato 1 della deliberazione del Consiglio regionale1 febbraio
2000, n.31 (Istituzione delle Commissioni regionali per l’accreditamento ai sensi della legge
regionale 23 febbraio 1999, n.8 e successive modificazioni).” Pag. 34
11. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 122 del 24 luglio 2002: (estratto del) “Piano
integrato sociale regionale 2002-2004.” Pag. 54
12. Decreto del coordinatore del dipartimento diritto alla salute e delle politiche di solidarietà
25 ottobre 2002, n. 5652: “Costituzione gruppo di lavoro per piani integrati di salute”. Pag. 58
13. Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 settembre 2003, n. 155: “Atto di indirizzo
regionale per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 60
14. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 novembre 2003, n. 1205: “Società della Salute
– Istituzione del gruppo tecnico di valutazione previsto dal punto 2.2.7.5. del P.S.R. 2002-
2004”. Pag. 72
15. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 22 marzo 2004, n. 269: “P.S.R. 2002-2004 – Avvio
della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 74
16. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 12 luglio 2004, n. 682: “Linee guida per la
realizzazione dei piani integrati di salute”. Pag. 78
17. Deliberazione Consiglio Comunale di Firenze 17 novembre 2003, n. 919: “Costituzione del
consorzio “Società della Salute” (SdS) – Approvazione convenzione e statuto – Presentazione
documento di candidatura alla regione Toscana”. Allegati: 1) Proposta di candidatura; 2)
Convenzione (omesso lo Statuto). Pag. 88
18. Società della Salute del Mugello, Statuto. Pag. 141
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Integrazione sociosanitaria e società della salute in Toscana

  • 1. [FRANCO PESARESI] Integrazione sociosanitaria e Società della Salute della Toscana [2005] L’integrazione sociosanitaria in Italia. Atti, strumenti e procedure di integrazione nelle regioni italiane. Le società della salute in Toscana. I piani integrati di salute.
  • 2. 1 INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA E SOCIETA’ DELLA SALUTE DELLA TOSCANA1 di Franco Pesaresi2 INDICE pag. 1. L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA NEL CONTESTO NORMATIVO ITALIANO 3 2. ATTI, STRUMENTI E PROCEDURE DI INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA: COMPARAZIONE FRA LE REGIONI ITALIANE 6 2.1. Modalità di integrazione a livello regionale 6 2.2. Modalità di integrazione a livello regionale zonale 9 3. LE SOCIETA’ DELLA SALUTE IN TOSCANA 13 3.1. INTRODUZIONE 13 3.2. LE INDICAZIONI GENERALI PER L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA 13 3.3. LA SOCIETA’ DELLA SALUTE (SdS) 14 3.3.1. Il ruolo delle SdS 14 3.3.2. L’assetto istituzionale ed organizzativo 15 3.3.3. Gli organi delle SdS 15 3.3.4. I percorsi assistenziali 17 3.3.5. Finanziamento e modalità di funzionamento 18 3.3.6. Valutazione 19 3.4. IL PIANO INTEGRATO DI SALUTE (PIS) 19 3.4.1. La costruzione del PIS 21 3.4.2. L’attuazione del PIS 22 3.4.3. La valutazione dei risultati 22 3.5. LE FORME DI PARTECIPAZIONE E DI CONCERTAZIONE 23 3.6. L’AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONE 23 3.7. CONCLUSIONI 24 Bibliografia 25 4. PAROLE CHIAVE E INDICATORI DELLE SOCIETA’ DELLA SALUTE 26 1 Il presente lavoro è tratto dal rapporto di ricerca dal titolo “La programmazione socio-sanitaria: quali percorsi per l’integrazione” commissionato dal Ministero della Salute (Progetto PON ATAS) e realizzato dal Formez nel 2005. 2 Dirigente Servizi sociali, educativi e sanità comune di Ancona.
  • 3. 2 ALLEGATI Pag.33 1. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 60 del 9 aprile 2002: (estratto del) “Piano sanitario regionale 2002-2004 - Linee guida per la formazione del Piano integrato sociale 2002-2004- Modifica dell’Allegato 1 della deliberazione del Consiglio regionale1 febbraio 2000, n.31 (Istituzione delle Commissioni regionali per l’accreditamento ai sensi della legge regionale 23 febbraio 1999, n.8 e successive modificazioni).” Pag. 34 2. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 122 del 24 luglio 2002: (estratto del) “Piano integrato sociale regionale 2002-2004.” Pag. 54 3. Decreto del coordinatore del dipartimento diritto alla salute e delle politiche di solidarietà 25 ottobre 2002, n. 5652: “Costituzione gruppo di lavoro per piani integrati di salute”. Pag. 58 4. Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 settembre 2003, n. 155: “Atto di indirizzo regionale per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 60 5. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 novembre 2003, n. 1205: “Società della Salute – Istituzione del gruppo tecnico di valutazione previsto dal punto 2.2.7.5. del P.S.R. 2002- 2004”. Pag. 72 6. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 22 marzo 2004, n. 269: “P.S.R. 2002-2004 – Avvio della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 74 7. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 12 luglio 2004, n. 682: “Linee guida per la realizzazione dei piani integrati di salute”. Pag. 78 8. Deliberazione Consiglio Comunale di Firenze 17 novembre 2003, n. 919: “Costituzione del consorzio “Società della Salute” (SdS) – Approvazione convenzione e statuto – Presentazione documento di candidatura alla regione Toscana”. Allegati: 1) Proposta di candidatura; 2) Convenzione (omesso lo Statuto). Pag. 88 9. Società della Salute del Mugello, Statuto. Pag. 141
  • 4. 3 1. L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA NEL CONTESTO NORMATIVO ITALIANO Il tema dell’integrazione socio-sanitaria è molto attuale in tutta Europa dove però le risposte a questo problema sono state differenziate. In Italia ci sono state due grandi fasi dell’integrazione socio-sanitaria. La prima avviata con la legge di riforma sanitaria del 1978 (L.833/1978) e poi completata, dal punto di vista normativo, con il Decreto Craxi del 1985 (DPCM 8/8/1985). Nella Legge 833 veniva posta grande enfasi all’integrazione socio-sanitaria ed il fatto che alla guida delle USL venissero previsti proprio gli amministratori indicati dai comuni (nei Comitati di gestione) indusse gli stessi comuni ad affidarsi alle USL, spesso più attrezzate, per la gestione dei servizi sociali. L’obiettivo dichiarato era quello di una integrazione sia istituzionale che gestionale. Il quadro normativo è stato poi completato dal DPCM 8/8/1985 secondo cui “rientrano tra le attività socio-assistenziali di rilievo sanitario, con imputazione dei relativi oneri sul fondo sanitario nazionale i ricoveri in strutture protette” purché siano dirette immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di prevenzione, cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza dei quali l’attività sanitaria non può svolgersi o produrre effetti. Il decreto aveva una impostazione che oggi definiremmo superata basandosi su una cultura ancora centrata sul primato dell’assistenza ospedaliera e residenziale. E’ in questo contesto che si è sviluppato il fenomeno della delega alle USL delle funzioni sociali dei comuni nelle regioni del Nord ed in alcune del Centro (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-V.G., Toscana, Umbria). In altre regioni come la Liguria, l’Emilia Romagna e le Marche tale orientamento è stato seguito solo in alcune realtà comunali o intercomunali. Nelle altre regioni invece si è mantenuta una sostanziale separazione fra il mondo del sociale quello della sanità. La seconda fase italiana dell’integrazione socio-sanitaria la stiamo vivendo oggi dopo le innovazioni normative del periodo 1998/2001. Comincia a modificare il quadro normativo di riferimento il PSN 1998/2000 con l’indicazione che l’integrazione socio-sanitaria va attuata e verificata a livello istituzionale (con accordi specifici fra comuni e ASL), a livello gestionale (coordinamento delle attività a livello di distretto) e a livello professionale (con il coinvolgimento di operatori di professionalità e di enti diversi). Un maggior coinvolgimento degli enti locali nel processo di integrazione viene stabilito con il D. Lgsl. 229/1999, la riforma “Bindi”. Il Decreto pone tra le sue priorità proprio quella dell’integrazione e prevede nuove condizioni di rapporto fra regioni, comuni e ASL per sviluppare l’integrazione (Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale che esprime pareri sul Piano sanitario e sui piani attuativi delle ASL e maggior rilievo assegnato ai Comitati dei sindaci). Il luogo dell’integrazione è il distretto. Inoltre il Decreto “Bindi” prevede un nuovo atto di indirizzo sull’integrazione ma poi spetta comunque alle norme regionali definire i criteri e le modalità mediante i quali i comuni e le ASL garantiscono l’integrazione su scala distrettuale delle attività sociosanitarie di rispettiva competenza. Sul fronte della normativa sociale, oltre alla L. 328/00 che punta energicamente sulla pianificazione sociale e socio-sanitaria con i Piani sociali di zona, il contributo più esplicito viene invece fornito dal Piano sociale nazionale 2001-2003 che afferma che “è necessario garantire unitarietà al processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste dal Programma delle attività territoriali” (il piano dei distretti sanitari) e dal Piano di zona. E’ pertanto necessario che i due strumenti siano gestiti all’interno di un’unica strategia programmatoria, attuata in modo collaborativo tra azienda sanitaria ed enti locali, finalizzata alla promozione e alla tutela della salute delle persone. Si tratta di una indicazione operativa molto avanzata che consiste,in sostanza, nel condividere un percorso unitario dei comuni e della ASL per arrivare ad approvare una stessa ed identica parte di piano per l’assistenza sociosanitaria da collocare sia nel PAT che nel Piano di zona sociale (Cfr. fig.1).
  • 5. 4 Fig.1 – La programmazione locale sociosanitaria Programma delle attività territoriali (PAT) art.3 quater D. Lgs. n. 229/1999 SANITARIO SOCIOSANITARIO SOCIOSANITARIO SOCIALE Piano sociale di zona (Pdz) art. 19 L. n. 328/2000 Concludono il quadro normativo il D.P.C.M. 14/2/2001 e il successivo D.P.C.M. 29/11/2001 (in particolare l’allegato 1C sui livelli essenziali di assistenza che propongono la discussa ripartizione degli costi per le prestazioni socio-sanitarie fra le famiglie, i comuni e il fondo sanitario. Più complesso il D.P.C.M. 14/2/2001 secondo cui le prestazioni socio-sanitarie – ed ecco la prima definizione - sono tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione. Secondo il Decreto le prestazioni socio-sanitarie comprendono:  le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale che sono di competenza delle ASL e a carico delle stesse essendo finanziate sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.  le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria che sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario ma possono prevedere delle quote di partecipazione ai costi da parte dell’utenza e/o dei comuni secondo quanto indicato nelle tabelle dei DPCM del 14/2/2001 e del 29/11/2001. In queste prestazioni la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili ed è per questo che si è convenuta una percentuale di costo da ripartire fra utenza, comuni e ASL.  le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria che sono di competenza dei comuni che provvedono al loro finanziamento. Di norma, non è prevista la partecipazione alla spesa dal parte della ASL. L’atto di indirizzo, inoltre, definisce anche una metodologia per caratterizzare gli interventi integrati basati su quattro criteri:  la natura del bisogno;  l’intensità dell’intervento assistenziale;  la complessità dell’intervento assistenziale;  la durata dell’intervento. Il momento di sintesi di questi criteri è costituito dal progetto assistenziale personalizzato che deve essere predisposto per ogni ipotesi di intervento La suddivisione dei costi – sostanzialmente confermata dal DPCM 29/11/2001 - non è risultata abbastanza convincente per le regioni tanto che a 4 anni di stanza solo 5 regioni hanno recepito, in genere con modificazioni, le percentuali che lì venivano proposte. Oltre a queste norme occorre però ricordare che all’inizio degli anni ’90 i comuni sono stati estromessi dalla gestione delle ASL e questo evidentemente ha avuto delle conseguenze nell’atteggiamento dei comuni che dopo qualche anno hanno cominciato a riprendersi i servizi delegati alla USL.
  • 6. 5 La tendenza attuale è dunque quella della gestione comunale diretta delle funzioni sociali con il superamento delle deleghe alle ASL, laddove persistano. Il lavoro sui Piani sociali di zona e le aggregazioni dei comuni negli ambiti sociali forniscono ai comuni un peso negoziale rinnovato che i comuni intendono verificare. Siamo dunque in presenza di quadro normativo rinnovato che punta sull’integrazione socio- sanitaria in modo tradizionale attraverso lo strumento dell’accordo fra ASL e comuni associati. L’elemento di freno è però costituito dall’Allegato 1C del DPCM 29/11/2001 sui LEA che ha proposto una suddivisione dei costi socio-sanitari fra utenza, comuni e ASL senza alcuna verifica quantitativa e rigorosa di quanto avveniva nel territorio italiano. Bibliografia Ranci Ortigosa E., Il rapporto tra servizi sociali e servizi sanitari, in Gori C. (a cura di) “La riforma dei servizi sociali in Italia”, Roma, 2004. Vecchiato T., Il distretto e l’integrazione socio-sanitaria, Sanità pubblica n. 1/2000.
  • 7. 6 2. ATTI, STRUMENTI E PROCEDURE DI INTEGRAZIONE SOCIO- SANITARIA: COMPARAZIONE FRA LE REGIONI ITALIANE L’integrazione è fatta di atti, strumenti e procedure che possono creare le condizioni per la realizzazione o per favorire l’integrazione socio-sanitaria. Nei paragrafi che seguono si affrontano tali aspetti prima a livello regionale e poi al livello locale nelle 10 regioni oggetto dell’approfondimento. 2.1. MODALITA’ DI INTEGRAZIONE A LIVELLO REGIONALE Gli assessorati regionali Il primo livello di integrazione si realizza a livello regionale fra i diversi dipartimenti regionali e fra gli assessorati. L’ideale, da questo punto di vista, sarebbe quello di riunificare in un solo assessorato sia le politiche sanitarie che quelle sociali. In realtà questa ipotesi è la meno diffusa ed è presente solo nelle regioni del sud (Puglia, Basilicata e Sardegna). Uno sforzo incompleto in questa direzione viene fatto anche dalla regione Toscana dove l’assessore alle politiche sociali gestisce anche gli interventi ad alta integrazione socio-sanitaria relativi alle dipendenze e all’handicap, dimenticando però la parte di gran lunga più rilevante relativa agli anziani, ai minori e alle donne. Prevale dunque l’ipotesi di due assessorati distinti per il governo del mondo sanitario e di quello sociale, il che poi in sostanza significa che l’integrazione socio-sanitaria, in genere, non è considerata una priorità tale da superare le logiche politiche connesse con la ripartizioni delle deleghe assessorili (Cfr. Tab. 2.1). Tab. 2.1 – Adempimenti regionali relativi all’integrazione socio-sanitaria. Regioni Assessorati alla sanità e ai servizi sociali ultimo Piano sanitario regionale approvato ultimo Piano sociale regionale approvato linee guida per i piani di zona piani di zona coincidenza ambiti sociali e sanitari disciplina della integrazione (dopo il DPCM 14/2/2001) Lombardia 2 2002-2004 2002-2004 Si Si Si Veneto 2 1996-1998 1989-1991 Si Si Si si Toscana 2 2002-2004 + agg. 2004 2002-2004 Si Si Si si E. Romagna 2 1999-2001 stralcio 2005 Si Si No** Campania 2 2002-2004 Si Si No Puglia 1* 2002-2004 2004-2006 Si No Si Basilicata 1* 1997-1999 2000-2002 No Si No Calabria 2 2004-2006 No No Si si Sicilia 2* 2000-2002 Si No No Sardegna 1 1998 stralcio ospedaliero 1998-2000 No No No si Note: *In Puglia le politiche della famiglia sono assegnate ad un secondo assessore, in Basilicata l’immigrazione e l’emigrazione sono assegnate ad un secondo assessore, in Sicilia l’immigrazione e l’emigrazione sono assegnate ad un terzo assessore, in Calabria è il presidente della Giunta regionale a gestire la delega alle politiche sociali, in Toscana l’assessore alle politiche sociali gestisce anche gli interventi ad alta integrazione socio-sanitaria relativi alle dipendenze e all’handicap. **In quasi tutto il territorio regionale vi è coincidenza degli ambiti sociali e sanitari.
  • 8. 7 La Lombardia ha approvato un Piano socio-sanitario regionale che assorbe sia quello sanitario sia quello sociale. Fonte: Pesaresi (2003) integrata da nostra ricerca. Con questo stesso orientamento, la Sicilia rappresenta il caso limite con una ripartizione delle deleghe fra tre diversi assessori (sanità, politiche sociali, immigrazione ed emigrazione). II piani regionali sanitari e sociali A livello regionale, gli strumenti di integrazione principale sono i piani sanitari regionali e quelli sociali. Tutte e 10 le regioni esaminate dispongono di un Piano sanitario approvato anche se alcuni sono particolarmente datati o parziali: è questo il caso del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Basilicata che hanno approvato i loro piani prima del 2000 e della Sardegna che nel 1998 ha approvato esclusivamente un piano stralcio dedicato all’organizzazione ospedaliera. Meno diffusi sono invece i piani regionali sociali ed in particolare di quelli approvati dopo l’approvazione della L. 328/2000 che in qualche modo rappresenta uno spartiacque del modo di intendere le politiche sociali. Rispondono, seppur parzialmente, a questi requisiti temporali solo i piani della Lombardia, della Toscana, dell’Emilia Romagna e della Puglia, ma occorre anche aggiungere che il piano socio-sanitario della Lombardia interviene principalmente sui servizi sanitari e socio-sanitari mentre il piano dell’Emilia Romagna rappresenta solo uno stralcio annuale relativo al 2005, proprio in attesa del Piano sociale triennale. Fra queste regioni spicca la Toscana il cui processo di integrazione è sostenuto, questo è l’elemento qualificante, dalla convergenza del Piano sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un processo programmatorio unitario ed integrato e quindi un riferimento unico all’azione locale. Teoricamente, un buon percorso è stato anche quello della regione Lombardia che ha preparato un Piano socio-sanitario integrato con la collaborazione congiunta della Direzione generale Sanità e della Direzione generale Famiglia e solidarietà sociale ma il cui risultato vede una presenza modesta delle tematiche sociali. In definitiva però sono ben poche le regioni italiane che possono vantare la disponibilità di ambedue i piani sociali e sanitari approvati e recenti (Cfr. tab.1). Gli ambiti sociali e i distretti sanitari L’integrazione socio-sanitaria ha bisogno di un territorio che necessariamente dovrebbe essere lo stesso per la sanità e il sociale. Le due territorializzazioni, come è noto, sono avvenute in tempi diversi. I distretti sanitari si sono realizzati negli anni ’80 mentre, in applicazione della L. 328/00, molte regioni hanno provveduto a ripartire il territorio regionale in ambiti territoriali/zone per la gestione dei servizi sociali solo in questi ultimissimi anni. Tali ambiti sono quasi sempre intercomunali con eccezione di alcune città medio-grandi dove gli ambiti sono unicomunali (Ancona, Modena, ecc.) o, più raramente, più ambiti per una sola grande città (Roma, Genova, ecc.). Per favorire la programmazione e l’integrazione socio-sanitaria e per evitare il proliferare di organismi, la maggior parte delle regioni ha previsto degli ambiti territoriali che coincidono con i distretti sanitari o loro multipli, ma nella realtà solo la metà delle regioni indagate (Toscana, Lombardia, Veneto, Puglia e Calabria) ha realizzato ambiti sociali completamente coincidenti con i il territorio dei distretti sanitari (da rilevare che anche la Basilicata e l’Emilia Romagna segnalano la coincidenza degli ambiti che però non trova ancora riscontro nei dati ufficiali del 2003. Le due regioni vanno comunque in direzione della coincidenza). In grave ritardo la Sardegna che è l’unica regione del gruppo a non averli ancora definiti (Cfr. Tab. 2). La regione Campania è tra le poche che ha esplicitato i criteri che hanno portato alla identificazione degli ambiti territoriali sociali. Le aggregazioni territoriali sono state stabilite con il fine di assicurare la piena funzionalità operativa e le caratteristiche il più possibile omogenee e rispondenti
  • 9. 8 ai seguenti indicatori: a) geo-oro-morfologici; b) affinità di bisogni; c) possibilità di utilizzo di risorse e servizi territoriali comuni; d) efficienza del sistema dei trasporti; e) accesso facilitato ai servizi; f) pregresse esperienze progettuali integrate (Pesaresi, 2003). Purtroppo però tra i requisiti manca proprio quello della ricerca dell’integrazione socio-sanitaria per cui gli ambiti sociali che ne vengono fuori non coincidono con quelli sanitari. Sono dunque soprattutto le regioni del sud a dover recuperare su questo terreno ma più nella pratica che negli orientamenti normativi, quasi tutti concordanti. Le dimensioni medie degli ambiti sociali sono molto diverse da una regione all’altra; si passa dai 112.300 abitanti della Campania ai 39.800 della Basilicata mentre la media italiana è di 85.600 abitanti per ambito territoriale/zona. Per questo aspetto più che la collocazione geografica sembra contare di più la dimensione della regione. Infatti, la tendenza rilevata è che le regioni più grandi hanno identificato degli ambiti con una popolazione più ampia mentre quelle più piccole hanno identificato degli ambiti territoriali mediamente più piccoli (Cfr. Tab.2.2). Tab. 2.2 – Gli ambiti territoriali in alcune regioni italiane. regioni popolazione al 1/1/2003 numero distretti sanitari 2003 numero zone/ambiti sociali popolazione media per ambito sociale Campania 5.725.098 113 51 112.300 Toscana 3.516.296 34 34 103.400 Emilia Romagna 4.030.220 40 42 96.000 Sicilia 4.972.124 62 55 90.400 Lombardia 9.108.645 104 104 87.600 Puglia 4.023.957 48 48 83.800 Veneto 4.577.408 60 60 76.300 Calabria 2.007.392 33 33 60.800 Basilicata 596.821 10 15 39.800 Sardegna 1.637.639 25 Non definiti Fonte: Pesaresi (2003). I piani sociali di zona Una delle novità più significative di questi ultimissimi anni che può dare un contributo molto significativo alla integrazione socio-sanitaria è la previsione della realizzazione in ogni ambito territoriale dei piani sociali di zona al cui interno deve ovviamente essere contenuta una cospicua parte relativa ai servizi socio-sanitari. La maggior parte delle regioni indagate hanno premuto in questa direzione approvando delle linee guida per la redazione dei piani sociali di ambito. Mancano per ora all’appello solo la Basilicata, la Calabria e la Sardegna. La disciplina dell’integrazione socio-sanitaria Nel 2001 sono state emanate due normative nazionali molto importanti per la disciplina dell’integrazione socio sanitaria ma che per essere efficaci devono essere recepite, anche con modificazioni, dagli ordinamenti regionali. Si tratta del DPCM 14/2/2001 (“Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie) che fissa i criteri dell’integrazione e del DPCM 29/11/2001 (“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”) che determina le quote di partecipazione alla spesa degli enti locali (e degli utenti) nelle prestazioni socio-sanitarie. Se le regioni non provvedono a definire queste, che in definitiva sono le regole dell’integrazione, difficilmente questa potrà svilupparsi. Ebbene, dopo il 2001 solo 4 regioni (5 in tutta Italia) hanno
  • 10. 9 regolamentato la materia. Per cui sono solo il Veneto, la Toscana, la Calabria e la Sardegna ad aver approvato (in genere con modifiche) l’allegato 1C del decreto sui LEA che stabilisce le percentuali di spesa a carico dei comuni. Gli organismi: la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale Quasi tutte le regioni hanno previsto la presenza ed il funzionamento della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale quale luogo di confronto consultivo fra la regione, le aziende sanitarie e le autonomie locali per le tematiche legate alla programmazione sanitaria e socio-sanitaria. Dell’organismo, peraltro previsto dal D. Lgs. 229/1999, fanno infatti parte anche i presidenti delle Conferenze dei Sindaci ed altri rappresentanti delle autonomie locali. Con l’introduzione dell’organismo l’intento è quello di potenziare il ruolo delle autonomie locali nei procedimenti di programmazione sanitaria, sociosanitaria e sociale a livello regionale e locale, in linea con quanto previsto dal Titolo V della Costituzione. In Toscana, inoltre, la definizione del sistema di servizi inerenti l’integrazione socio-sanitaria si realizza attraverso un processo di concertazione tra la regione e gli altri soggetti istituzionali coinvolti per il quale il PSR prevede specifici strumenti come il tavolo di concertazione (tra la regione e gli altri soggetti interessati alla programmazione) e il gruppo di lavoro per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie. 2.2. MODALITA’ DI INTEGRAZIONE A LIVELLO ZONALE Il governo politico locale dell’integrazione Quasi tutte le regioni italiane hanno identificato l’organo di governo politico locale dell’integrazione socio-sanitaria nel Comitato dei sindaci di distretto (o Assemblea dei sindaci in Lombardia) o nella Conferenza dei sindaci, laddove l’ambito sociale coincide con la ASL. Esso è dovunque composto dai sindaci dei comuni dell’ambito territoriale preventivamente identificato. In Sicilia si aggiunge il direttore del distretto sanitario o il direttore generale della ASL. Le funzioni dei Comitati dei Sindaci sono sostanzialmente simili in tutte le regioni; ad essi spetta l’esercizio della funzione di governo territoriale nel settore sociale e socio-sanitario con l’approvazione dei Piani sociali di zona e dei programmi delle attività territoriali di distretto (PAT). In genere, il comitato dei Sindaci è il soggetto politico di riferimento ed è l’organo deputato a: 1. definire le modalità istituzionali e le forme di organizzazione gestionali più adatte alla organizzazione dell’ambito territoriale e della rete dei servizi sociali; 2. nominare il suo presidente ed individuare l’ente locale capofila; 3. nominare gli organismi tecnici (ufficio di piano, coordinatore, ecc.) di supporto e di esecuzione; 4. definire le forme di collaborazione fra i comuni e l’azienda sanitaria di riferimento; 5. approvare il piano di zona. I comitati dei sindaci, quando vi è la coincidenza geografica con i distretti sanitari, possono esercitare anche le funzioni di comitato dei sindaci di distretto sanitario, assumendo così le funzioni programmatorie per l’intervento sociale, socio-sanitario e sanitario con l’elaborazione dei piani di zona (pdz) e l’approvazione del piano delle attività territoriali (PAT). Alcune differenze si registrano qua e là, in Italia. Per esempio, la Campania ha voluto identificare un percorso parzialmente diverso dalle altre regioni identificando un nuovo organismo politico. Per la definizione del piano di zona, i sindaci istituiscono un coordinamento istituzionale promosso dal comune capofila e costituito dai sindaci dei comuni, dal presidente della provincia, della comunità
  • 11. 10 montana ove esistente e dal direttore generale della ASL di riferimento. In Emilia Romagna invece il coordinamento politico a livello di ambito zonale è stato affidato agli assessori ai servizi sociali. I piani di attuazione territoriale dei distretti sanitari e i piani sociali di zona I principali strumenti di integrazione a livello locale sono costituiti dai piani di attuazione territoriale (PAT) dei distretti sanitari e dai piani sociali di zona dei comuni. Affinché l’integrazione socio-sanitaria possa funzionare efficacemente è necessario garantire unitarietà al processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste dal Programma delle attività territoriali (art. 3 quater d.lgs. 229/99) che deve fare il distretto sanitario e dal Piano sociale di ambito o di zona (art. 19 L. 328/2000) che devono fare i comuni. Il programma delle attività territoriali è il piano di salute distrettuale in cui sono definiti i bisogni prioritari e gli interventi di natura sanitaria e socio-sanitaria necessari per affrontarli. Allo stesso tempo il Piano di zona è lo strumento per definire le strategie di risposta ai bisogni sociali e sociosanitari. Tutti i due i piani hanno una parte piuttosto vasta che si occupa della attività sociosanitarie. E’ pertanto necessario che i due strumenti siano gestiti all’interno di un’unica strategia programmatoria, attuata in modo collaborativo tra azienda sanitaria ed enti locali, finalizzata alla promozione e alla tutela della salute delle persone e delle famiglie. In sostanza è necessario che le parti socio-sanitarie dei due piani coincidano e pertanto siano il frutto di un percorso condiviso. Su questo fronte la strada da fare è ancora rilevante; i piani di zona si sono fatti in Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Campania e Basilicata ed anche i PAT sono una procedura che ancora è limitata a poche regioni. Ancora più rara è l’integrazione che si realizza fra i due piani ma che comunque ha visto delle esperienze significative in Veneto ed in Emilia Romagna (anche se diverse altre regioni come la Puglia e la Campania l’hanno prevista). In Veneto, in particolare, il Piano di zona dei servizi sociali è visto come strumento di indirizzo programmatico per la formulazione del Piano attuativo locale della ULSS. A questo fine il Direttore di Distretto socio- sanitario recepisce le indicazioni del Piano di Zona in sede di redazione del Programma delle attività territoriali. In Campania, invece, con una procedura opposta, nei Piani di Zona confluiscono, previa approvazione dei Comuni, le programmazioni sociosanitarie distrettuali dei P.A.T.. Strumenti gestionali per l’integrazione Gli strumenti principali usati per l’integrazione socio-sanitaria di tipo gestionale sono:  l’accordo di programma (art. 34 legge n°267/2000 Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che è lo strumento maggiormente richiesto dalle leggi regionali per ottenere la massima integrazione tra i servizi sociali e sanitari da siglarsi tra i soggetti interessati (soprattutto comuni e ASL). Questo strumento è usato sostanzialmente da tutte le regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna ecc.) soprattutto per l’approvazione dei piani sociali di zona. In Lombardia, contrariamente a quanto accade nelle altre regioni, non necessariamente la ASL è fra i sottoscrittori dell’accordo di programma poiché essa potrebbe non avere nessun ruolo nel PDZ.  la delega che è l’atto con cui i comuni incaricano la ASL di esercitare per loro conto talune attività socio-sanitarie o anche socio-assistenziali. Tale modalità, un tempo più diffusa, è presente nel territorio veneto ma in modo non generalizzato. Ad esempio, presso la ULSS 6 di Vicenza (conta 4 Distretti) 2 Comuni hanno dato la delega alla ULSS per la tutela dei minori; nella ULSS 15 di Cittadella tutti i Comuni hanno dato alla ULSS tutte le deleghe per le attività socio-sanitarie. Nel Modello Veneto è stata privilegiata la strategia di integrazione tramite delega di gestione all’ULSS di una parte delle funzioni sociosanitarie, lasciando la facoltà ai
  • 12. 11 Comuni di ulteriori deleghe di gestione fino ad un conferimento complessivo di tutte le attività di interesse sociosanitario (attualmente la situazione è abbastanza variegata).  La convenzione (art.30 legge n°267/2000 Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) usata per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio (Emilia Romagna, Basilicata, Puglia, ecc.).  protocollo operativo (Puglia) o Protocolli tecnici (Basilicata) per l’erogazione di una certa prestazione o di una sua modalità afferente l’area di elevata integrazione sociosanitaria. La valutazione del bisogno socio-sanitario L’Unità di Valutazione Multidimensionale, che nelle varie regioni assume varie terminologie (Unità valutative distrettuali (UVD), unità di valutazione geriatrica (UVG), unità di valutazione multidimensionale (UVM), unità operative di zona (UOZ), ecc.) costituisce l’anello operativo strategico, in sede locale, per l’accesso al sistema dei servizi socio sanitari di natura domiciliare, semiresidenziale e residenziale a gestione integrativa e compartecipata. La valutazione multidimensionale ovvero l’analisi dettagliata dei problemi e dei bisogni che presenta il caso è effettuata da un team multiprofessionale con competenze sanitarie e sociali in grado di leggere le esigenze di pazienti con bisogni sanitari e sociali complessi. Tutte le regioni hanno scelto questa modalità di valutazione dei bisogni per l’accesso alle prestazioni ma non tutte le regioni hanno previsto una composizione dell’unità di valutazione che vede la presenza sia della ASL che del comune nonostante che questa compresenza sia decisiva ai fini dell’efficacia dell’integrazione. In Veneto, comunque, la valutazione del bisogno è garantita in modo unitario dall’ente locale e dall’ULSS, a livello distrettuale, attraverso il servizio sociale professionale, integrato quando necessario con altre figure professionali, in ragione della complessità della domanda. La valutazione si conclude con la predisposizione di un progetto personalizzato, concordato con la persona e la sua famiglia. Sulla stessa linea anche la Basilicata con le unità operative di zona (UOZ) la cui composizione varia con il mutare delle caratteristiche dell’utenza. Le innovazioni: Le società della salute della Toscana La Toscana ha previsto uno strumento di integrazione nuovo e unico per i comuni e per le AUSL che è identificato nei Piani integrati di salute e nella previsione, questa sperimentale e volontaria, di un nuovo assetto organizzativo e gestionale identificato nella Società della salute (SdS) che coinvolge, anche in questo caso, comuni e AUSL delle zone-distretti. La SdS ha come fine istituzionale la salute ed il benessere sociale e non solo l’offerta di prestazioni. Il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione è affidato al concorso di tutti gli attori che possono influire sui determinanti della salute: questo è uno dei principi ispiratori principali. I Piani integrati di salute (PIS) costituiscono lo strumento operativo delle SdS per perseguire questi obiettivi. La SdS è istituita in forma di consorzio pubblico cui partecipano la AUSL e i comuni della zona/distretto. La partecipazione dei comuni è su base volontaria. L’organo di governo è composto dai Sindaci o loro assessori delegati dei comuni partecipanti e dal direttore generale dell’azienda sanitaria. L’organo di governo della SdS nomina un direttore tecnico che, nell’arco del mandato, assume il ruolo di manager della SdS e di responsabile di distretto sanitario con autonomia e responsabilità gestionale. Le SdS sono società, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende sanitarie garantisce l’unitarietà del sistema sanitario, e la presenza dei comuni assicura la rappresentanza delle comunità locali, l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione di obiettivi di salute da perseguire con interventi integrati. Le SdS sono finanziate dalle ASL con la parte della quota capitaria, corrispondente ai servizi definiti nel loro contratto di erogazione, e dai comuni con i fondi corrispondenti ai servizi sociali, che si impegnano ad erogare. Nella prima fase di sperimentazione le SdS si occupano del governo del sistema e dell’orientamento della domanda prevedendo l’assunzione della gestione diretta dei servizi successivamente e in modo graduale. Allo
  • 13. 12 stato attuale la sperimentazione è partita da poco tempo e vede partecipare 18 zone/distretti che rappresentano il 55% della popolazione toscana. Le innovazioni: i voucher socio-sanitari della Lombardia La Lombardia ha introdotto i voucher socio-sanitari per favorire la cura a domicilio delle persone più fragili, sulla base dell’impegno della famiglia o altri soggetti con esperienza di servizi socio- sanitari. Il voucher socio-sanitario è un titolo d’acquisto fornito dalla ASL spendibile presso caregiver accreditati dalla ASL per dare un servizio di assistenza domiciliare integrata con tre diversi gradi di complessità. Con il voucher socio-sanitario si possono acquistare prestazioni mediche, riabilitative,infermieristiche e di aiuto infermieristico. Le prestazioni di aiuto infermieristico sono, per esempio: la cura dell’igiene personale, l’aiuto nell’alzata e messa a letto, l’aiuto nell’assunzione e somministrazione dei pasti, l’assistenza nella deambulazione, mobilizzazione, vestizione e gestione delle altre attività quotidiane, la prevenzione delle piaghe da decubito, l’aiuto o il controllo nell’espletamento delle normali attività quotidiane (regione Lombardia, 2003). Le innovazioni: La porta unitaria di accesso della Puglia La Puglia ha previsto l’attivazione di una “Porta Unitaria di Accesso” (PUA) al sistema dei servizi sociali e sanitari. Con tale espressione si intende l’obiettivo strategico di un “sistema di accoglienza della domanda” in grado di aprire al cittadino, simultaneamente, tutta la gamma di opportunità offerte dalla rete locale dei servizi e consentirgli, quindi, di percorrere, a partire da un solo punto di accesso al sistema dei servizi, l’intera rete dei servizi sociali e sanitari. Nell’ambito dei servizi sociali comunali essa va ad integrarsi con l’organizzazione dei servizi di accoglienza (sportello sociale, segretariato sociale ecc.) che i Servizi Sociali dei Comuni dovranno organizzare in ciascun ambito territoriale, consentendo in tal modo l’accesso unificato a tutte le prestazioni socio-assistenziali e socio-sanitarie previste dal Piano Sociale di Zona. La Porta Unitaria di Accesso svolge i seguenti compiti:  orientamento della domanda e strumento della programmazione dell’offerta;  accoglimento all’interno dell’ambito distrettuale di tutte le richieste di assistenza domiciliare, semiresidenziale e residenziale a gestione integrata e compartecipata, provenienti dalla cosiddetta “rete formale” (MMG/PLS, Unità Operative distrettuali, Presidi Ospedalieri, Servizio Sociale) del distretto interessato;  attivazione degli altri referenti territoriali competenti della rete formale dell’utente per un approfondimento della richiesta; Rimane l’interrogativo di come una Porta unitaria di accesso ai servizi sociali e sanitari possa convivere con lo “sportello sociale” che svolge la stessa funzione ma solo sul fronte sociale. Bibliografia Pesaresi F., La governance dei piani sociali di zona, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 20/2003. Regione Lombardia, Il voucher socio-sanitario, Assessorato alla famiglia e solidarietà sociale, 2003.
  • 14. 13 3. LE SOCIETA’ DELLA SALUTE IN TOSCANA 3.1.INTRODUZIONE Con il Piano sanitario regionale 2002-2004 la Toscana ha avviato una vera e propria riforma culturale ed organizzativa del sistema sanitario regionale ponendo al centro della pianificazione cinque scelte strategiche sul versante della individuazione di obiettivi di salute, del perseguimento della partecipazione, dell’appropriatezza , della programmazione e dell’efficienza. Esso dedica una particolare attenzione all’integrazione socio-sanitaria al fine di assicurare l’unitarietà della risposta assistenziale. A questo fine il PSR definisce una serie di indirizzi strategici che comprendono:  la conferma e il consolidamento del principio dell’integrazione socio-sanitaria sulla falsariga del DPCM 14/2/2001;  la definizione del sistema di servizi ed interventi integrati socio-sanitari con il metodo della concertazione fra i soggetti istituzionali coinvolti;  l’individuazione dei livelli di assistenza socio-sanitaria;  la definizione di strategie ed obiettivi specifici per ognuna delle aree dell’integrazione socio- sanitaria (Cabras, 2003). Il processo di integrazione è sostenuto, questo è l’elemento qualificante, dalla convergenza del Piano sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un processo programmatorio unitario ed integrato e quindi anche un riferimento unico all’azione locale. La conseguenza della pianificazione integrata è la previsione, generalizzata a livello locale, di uno percorso nuovo e unico per i comuni e per le AUSL che è identificato: 1) nella individuazione di un solo livello locale di governo, coincidente con l’assetto delle zone, comprendente sia le funzioni della zona socio-sanitaria che quelle del distretto sanitario e che assume la denominazione di zona-distretto. Il processo si sviluppa fino alla necessaria coincidenza degli ambiti territoriali sanitari con quelli sociali. Oggi infatti abbiamo 34 zone/distretti che coincidono territorialmente con 34 ambiti territoriali sociali; 2) nella individuazione di un nuovo strumento di programmazione delle attività denominato Piano integrato di salute; 3) nella previsione, questa sperimentale, di un nuovo assetto organizzativo e gestionale identificato nelle Società della salute che coinvolge comuni e zone-distretti delle AUSL. 3.2. LE INDICAZIONI GENERALI PER L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA Il Piano sanitario regionale 2002-2004 definisce e valorizza le attività che nel territorio possono garantire l’integrazione socio-sanitaria sia a livello programmatorio, sia attraverso la sperimentazione di nuovi modelli di gestione unitaria di tutti gli interventi territoriali, sia definendo i livelli di assistenza socio-sanitaria e le condizioni per realizzarli in ogni zona. Con lo stesso atto la regione ha approvato inoltre i parametri di ripartizione degli oneri fra AUSL e Comuni/utenti delle prestazioni socio-sanitarie previste all’allegato 1C del decreto sui Livelli essenziali di assistenza (LEA). In parallelo il Piano sociale regionale integrato (PISR) consente di completare la definizione del sistema di welfare regionale, coniugandosi direttamente con i contenuti del Piano sanitario. Le scelte finalizzate all’integrazione socio-sanitaria sono pertanto assicurate attraverso l’unitarietà del processo programmatorio regionale, cui deve corrispondere l’azione unitaria a livello territoriale. Il Piano sanitario regionale propone quale nucleo fondamentale delle attività dei servizi socio sanitari territoriali i progetti obiettivo ad alta integrazione. La loro realizzazione avviene nell’ambito delle Società della Salute (SdS), ove costituite, e secondo la modalità operativa dei
  • 15. 14 Piani integrati di salute (PIS). Mediante i progetti obiettivo sono definite le strategie programmatorie specifiche per dare risposta completa ed unitaria ai bisogni complessi in essi rappresentati, secondo i seguenti principi: 1. definizione del piano individuale di assistenza, con individuazione delle prestazioni sanitarie e sociali che devono essere assicurate, da effettuarsi con modalità organizzative tali da consentire che chi prescrive l’intervento abbia il reale governo delle risorse disponibili; 2. perseguimento dell’unitarietà d’intervento, della continuità assistenziale, della progettazione integrata delle risposte e della condivisione degli obiettivi; 3. l’apporto delle risorse sanitarie e sociali, proporzionalmente articolato in base alla “fase” del percorso assistenziale; 4. valutazione multidimensionale del bisogno (soprattutto per disabili ed anziani non autosufficienti) e valutazione partecipata degli esiti; 5. Accesso ai servizi secondo il criterio dell’universitalità ma previsione della possibile partecipazione alla spesa di parte sociale sulla base dell’ISEE. I progetti obiettivo ad alta integrazione sono relativi alla salute degli anziani, alla disabilità, alla salute mentale, alla prevenzione e alla cura delle condotte di abuso e delle dipendenze, all’assistenza materno infantile. Laddove le SdS non si costituiscono, l’integrazione socio-sanitaria in Toscana si deve perseguire avendo come punto di riferimento soprattutto i contenuti del DPCM 14/2/2001 che il PSR richiama per l‘identificazione delle aree di integrazione e dei principi da porre alla base della riorganizzazione degli interventi assistenziali. I territorio di riferimento è ovviamente la zona-distretto dove la conferenza dei sindaci nella sua articolazione zonale e la ASL programmano i servizi e le prestazioni ad alta integrazione per gli utenti residenti nel distretto, utilizzando lo strumento dei piani integrati di salute. In tale ambito le ASL e i comuni individuano le modalità gestionali in forma necessariamente associata. 3.3. LA SOCIETA’ DELLA SALUTE (SdS) La regione Toscana partendo da questi presupposti ed obiettivi ha deciso di avviare una sperimentazione gestionale con la costituzione delle Società della salute (SdS). La SdS ha come fine istituzionale la salute ed il benessere sociale ed ha come presupposto quello di favorire la partecipazione dei cittadini alle scelte in merito ai servizi socio-sanitari attraverso le loro rappresentanze istituzionali e associative. Uno degli aspetti ispiratori principali delle SdS sta nel concetto che il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione è affidato al concorso di tutti gli attori che possono influire sui determinanti della salute. L’assunzione di responsabilità sui temi della salute diventa condivisa fra sanità, enti locali, componenti produttive e associative della società e gli stessi cittadini attraverso i loro comportamenti e le loro scelte. 3.3.1. Il ruolo delle SdS Le SdS assumono la responsabilità del governo delle attività socioassistenziali, sociosanitarie, sanitarie territoriali e specialistiche di base relative alla zona-distretto di riferimento. Uno degli obiettivi prioritari della SdS è il rafforzamento degli elementi di integrazione nella erogazione delle prestazioni e nella organizzazione dei servizi ad alta integrazione socio-sanitaria. Le SdS definiscono i propri ruoli, compiti, finanziamenti tramite accordi fra le AUSL e i comuni a livello di zona-distretto, con il coordinamento e il controllo direzionale della regione. Il processo di sperimentazione dovrà svilupparsi con la necessaria gradualità e pertanto dovrà riguardare in prima istanza le funzioni di governo del sistema sociale e sanitario e di orientamento della domanda prevedendo l’assegnazione alle SdS delle funzioni di gestione diretta di servizi e attività socio-
  • 16. 15 sanitarie a seguito dell’autorizzazione della Giunta regionale in relazione agli andamenti della sperimentazione. Queste indicazioni regionali sono state interpretate in modo piuttosto omogeneo dai vari progetti locali di costituzione delle SdS che, in genere, hanno previsto i seguenti obiettivi della sperimentazione:  una maggiore integrazione fra i settori di programmazione che si occupano delle varie categorie di “determinanti della salute” dei cittadini, per consentire la definizione di una strategia condivisa orientata agli “obiettivi di salute” da conseguire;  un nuovo ruolo di governo congiunto del Comune e della Azienda Sanitaria, per tutti gli interventi di sostegno alle persone (sociali, sociosanitari e sanitari) in ambito zonale;  un pieno coinvolgimento dei cittadini e delle varie espressioni sociali;  una programmazione unitaria e condivisa che si orienti alla verifica dell’offerta, che si incroci con i bisogni rilevati, e consenta una valutazione di esito dei servizi, nonché la definizione degli obiettivi di salute individuati attraverso relazioni formali e sistematiche fra tutti coloro che si occupano delle azioni riconducibili ai vari determinanti di salute;  un modello di impiego delle risorse che sappia consentire, attraverso una visione unitaria, il raggiungimento di maggiore appropriatezza delle prestazioni e di razionalizzazione dell’uso delle risorse. 3.3.2. L’assetto istituzionale ed organizzativo Le SdS sono società, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende sanitarie e dei comuni assicurano l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione di obiettivi di salute da perseguire con interventi integrati. La SdS diventa così lo strumento operativo unitario dei comuni e della AUSL per la programmazione e la gestione dei servizi socio-sanitari, sociali e socio- assistenziali. La SdS è istituita in forma di consorzio pubblico (ai sensi degli art. 30 e 31 del D. Lgs. 267/2000) cui partecipano la AUSL e i comuni della zona. La sperimentazione, che è biennale (triennale secondo il PSR) e reversibile, è limitata alle realtà in cui i soggetti interessati, comuni (almeno 80% della popolazione del distretto) e AUSL, concordano volontariamente di realizzarla. Lo strumento operativo principale della SdS è il Piano integrato di salute (PIS) e i seguenti atti obbligatori: bilancio preventivo annuale e pluriennale; bilancio di esercizio annuale; budget preventivo e consuntivo e il contratto di servizio che regolamenta i rapporti tra la SdS e gli enti che l’hanno costituita. In questa fase non si prevede l’utilizzo di personale dipendente ma solamente di operatori provenienti dalla AUSL e dai comuni in regime di comando e/o di assegnazione funzionale che mantengono il contratto di appartenenza. 3.3.3. Gli organi delle SdS Sono organi della SdS:  l’organo di governo denominato “Giunta della SdS”;  il presidente;  il direttore;  il collegio dei revisori dei conti. L’organo di governo è così composto:  per i comuni, sindaci o assessori delegati, competenti nelle materie trasferite alla SdS;  per le aziende sanitarie, dal direttore generale dell’ASL competente (Cfr. Fig. 1). L’organo di governo:  nomina al proprio interno un presidente tra i rappresentanti dei comuni
  • 17. 16  approva i bilanci della SdS;  nomina il collegio dei revisori dei conti;  nomina il direttore della SdS;  approva il contratto di servizio della SdS;  definisce gli indirizzi per la predisposizione del piano integrato di salute;  approva il piano integrato di salute e i budget;  approva la relazione annuale della SdS;  approva i regolamenti interni relativi: o all’organizzazione e al funzionamento della SdS; o alle modalità di attivazione e allo svolgimento del tavolo di concertazione locale; o alle modalità di costituzione e funzionamento degli organismi di consultazione e partecipazione. Figura 1 – L’organo di governo della SdS I componenti dell’organo di governo della SdS ed il presidente, le cui competenze sono disciplinate nello statuto, non godono di remunerazione aggiuntiva rispetto a quella derivante dalle funzioni nelle istituzioni di appartenenza. L’organo di governo della SdS nomina un direttore tecnico che è titolare delle funzioni direzionali che la normativa attribuisce al responsabile della zona-distretto ed ai dirigenti comunali competenti in materia. Inoltre, il direttore:  predispone il piano integrato di salute;  predispone lo schema della relazione annuale della SdS;  predispone gli atti di competenza dell’organo di governo e, ove presente, dell’esecutivo;  assume tutti i provvedimenti di attuazione delle deliberazioni dell’organo di governo e quelli di gestione della SdS. Il direttore, per lo svolgimento dei propri compiti è coadiuvato da uno staff di direzione a cui, in genere, le SdS hanno dato la seguente composizione di massima:  i componenti dell’Ufficio di Coordinamento di Zona e del Distretto ;  I componenti della segreteria tecnica dell’articolazione zonale della Conferenza dei Sindaci. Questa composizione permette il coinvolgimento strutturato e continuo oltre che dei responsabili delle varie aree dei comuni e della ASL anche dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta e dei rappresentanti dell’ associazionismo e del volontariato locale. L’ufficio di Presidente Giunta della SdS - Sindaci (o Assessori ai servizi sociali dei Comuni della zona socio-sanitaria) - Presidente o assessore delegato della Comunità Montana (se presente) - Direttore Generale ASL
  • 18. 17 coordinamento comprende infatti anche membri del volontariato più rappresentativo di zona, mentre della segreteria tecnica fa parte un rappresentante del coordinamento del terzo settore zonale. Il Direttore si rapporta inoltre con un Collegio di Direzione per concordare le strategie generali di organizzazione e attuazione dei programmi. Il Collegio di Direzione è composto dal Responsabile delle politiche sociali, dal Responsabile delle funzioni relative all’attività di elevata integrazione, dal Responsabile delle funzioni relative alle attività sanitarie territoriali e specialistiche, dal Responsabile delle attività amministrative, dal Responsabile per le attività relative alla qualità, monitoraggio attività e valutazione d’esito e da un Rappresentante dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di libera scelta (Cfr. fig. 2). Fig. 2 – Gli organismi tecnici della SdS 3.3.4. I percorsi assistenziali Obiettivo prioritario della Società della Salute è quello di fornire al cittadino percorsi di accesso unitario e integrato tale da evitare duplicazioni di procedure, rinvii a vari uffici titolari di competenze diverse, semplificando le complessità dei percorsi e garantendo risposte socio-sanitarie unitarie e appropriate a bisogni complessi. A titolo esemplificativo un percorso tipo ipotizzabile nell’ambito delle problematiche della popolazione anziana può essere quello raffigurato nella Fig. 3. Direttore Collegio di Direzione Staff di Direzione - Ufficio di coordinamento di Zona e di distretto - Segreteria tecnica dell’articolazione zonale della conferenza dei sindaci
  • 19. 18 Fig. 3 – Percorsi di accesso integrato all’assistenza Accesso Bisogno sanitario Bisogno sociale Bisogno complesso Medico MG Assistente Soc Erogazione di prestazioni e servizi sanitari Erogazione di prestazioni e servizi sociali UNITÀ VALUTAZIONE MULTIDISCIPLINARE U.V.M. ADI Centro diurno Altre risposte ……………… RSA _____________________________________________________________________________________________ Fonte: documento di candidatura della SdS di Firenze e della SdS del Mugello. Quando sarà a regime, la SdS, oltre il governo dell’offerta di servizi sociali e sanitari territoriali, ha come ulteriore funzione quella del governo della domanda complessivamente espressa nel territorio di competenza. Il governo della domanda trova attuazione da parte della SdS mediante accordi con i prescrittori (in particolare medici di medicina generale per il controllo dei consumi) e indicazioni per la contrattazione della ASL con i soggetti erogatori, coerentemente con gli indirizzi regionali. Per quanto riguarda i servizi di ricovero ospedaliero, il governo della domanda trova espressione in un atto di concertazione annuale con la AUSL relativo alle modalità di erogazione degli stessi da parte dei presidi di propria competenza, ferma restando la competenza dell’AUSL sui rapporti contrattuali con gli istituti di ricovero privati accreditati. Negli accordi da stipulare con i presidi ospedalieri particolare importanza devono avere la promozione di protocolli operativi che assicurino la continuità assistenziale tra ospedale e servizi territoriali (ivi compresa la condivisione delle risorse professionali disponibili) nell’ambito dei percorsi assistenziali integrati. 3.3.5. Finanziamento e modalità di funzionamento Il bilancio delle SdS è costituito dalle risorse ad essa conferite dagli enti associati e necessarie all’espletamento delle funzioni di programmazione e governo di propria competenza. Un’ulteriore quota di finanziamento sarà assicurata dalla Regione per supportare i costi iniziali di funzionamento delle SdS. Per i servizi socio-sanitari di competenza della SdS, qualora la gestione rimanga di competenza degli enti associati, la responsabilità della SdS si esprime nella definizione del budget di zona (budget virtuale in quanto costituito da risorse che restano degli enti) e delle conseguenti procedure di negoziazione che costituiscono vincolo ai budget delle diverse strutture organizzative. Analogo budget virtuale deve essere previsto per il costo delle prestazioni sanitarie di ricovero ospedaliero di cui la popolazione di propria competenza ha usufruito.
  • 20. 19 In via di principio la SdS non può chiudere l’esercizio in situazione di squilibrio economico del budget; nell’eventualità di chiusura in deficit, la SdS è impegnata al suo riassorbimento nell’esercizio immediatamente successivo. 3.3.6. Valutazione La Giunta regionale toscana ha istituito un apposito gruppo tecnico di valutazione, finalizzato a seguire tutto il processo della sperimentazione, sulla base di indicatori di qualità delle azioni assunte dalla SdS interloquendo con essa al fine di suggerire interventi utili. Di tale azione di monitoraggio informa periodicamente la Consulta regionale e riferisce all’assessore regionale che può, in casi eccezionali, proporre alla Giunta regionale la cessazione della sperimentazione. Sempre per seguire il processo di sperimentazione con un’ ottica più politica, la regione ha istituito anche una consulta regionale presieduta dall’assessore per il diritto alla salute della quale fanno parte una rappresentanza dei direttori generali delle aziende sanitarie, delle conferenze dei sindaci, delle organizzazioni sindacali confederali, delle organizzazioni sindacali mediche firmatarie dei CCNL della sanità, del terzo settore, dei medici convenzionati, delle associazioni sindacali dei lavoratori autonomi ed, infine, anche l’Assessore regionale alle politiche sociali. 3.4. IL PIANO INTEGRATO DI SALUTE (PIS) ll PIS è uno strumento di programmazione integrata delle politiche sociali e sanitarie e della loro interconnessione con quelle relative ai settori, in primo luogo ambientali e territoriali, che abbiano comunque influenza sullo stato di salute della popolazione . Il PIS trova applicazione sull’intero territorio della Regione Toscana sia per quei territori che sperimentano le SdS sia per quelli che non lo fanno e disegna un nuovo processo di programmazione della zona-distretto che per raggiungere una piena realizzazione dovrà necessariamente trovare una applicazione graduale. Attraverso il PIS le comunità locali governano la salute collettiva e interagiscono col sistema dei servizi. Premessa fondamentale è l’interazione fra il complesso dei servizi sanitari e sociosanitari con quello proprio dei servizi socioassistenziali. Il PIS ha durata triennale ma può essere aggiornato annualmente e sostituisce il programma operativo di zona e il Piano sociale di zona. Il PIS interagisce, attraverso i suoi progetti, con gli strumenti di programmazione e/o d’indirizzo locali e con gli strumenti amministrativi relativi agli ambiti d’intervento di competenza dei comuni nei settori: ambiente, trasporti, formazione, sviluppo economico (Cfr. fig. 4).
  • 21. 20 Fig. 4 – Le interazioni del Piano integrato di salute ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ Fonte: Progetto SdS Firenze Piani ed Azioni per l’Ambiente Piani Commerciali P.I.S. Piano della mobilità, traffico e dei parcheggi Piani della formazione Politiche di intervento nei settori casa, socio.educativi, sportivi, culturali, protagonismo dei giovani e degli anziani, ABA, ….. P.A.O.I. Altri piani, programmi, progetti di livello regionale, area vasta e provinciale PRG (Piano Srutturale; Reg. Urbanistico; Programma integrato; Piani Attuativi)
  • 22. 21 Il PIS prevede obiettivi di salute e benessere intervenendo sulle principali categorie di determinanti della salute (Cfr. Tab.3.1), ne determina standard quantitativi e qualitativi e attiva strumenti per valutarne il raggiungimento. Tab. 3.1 – Principali determinanti della salute. NON MODIFICABILI SOCIO- ECONOMICI AMBIENTALI STILI DI VITA ACCESSO AI SERVIZI GENETICA POVERTA’ ARIA ALIMENTAZIONE ISTRUZIONE SESSO OCCUPAZIONE ACQUA E ALIMENTI ATTIVITA’ FISICA TIPO DI SISTEMA SANITARIO ETA’ ESCLUSIONE SOCIALE ABITATO FUMO SERVIZI SOCIALI …………. CASA AMBIENTE SOCIALE E CULTURALE ATTIVITA’ SESSUALE TRASPORTI ………….. ………….. FARMACI ATTIVITA’ RICREATIVE Fonte: progetto SdS Firenze In questa ottica, nelle procedura di approvazione di qualsiasi strumento programmatorio comunale, generale o di settore verrà introdotto formalmente un momento valutativo calibrato sui bisogni di salute dei cittadini: la valutazione di impatto di salute. Il Piano integrato di salute rappresenta così lo strumento di riferimento che riassorbe al suo interno la definizione degli obiettivi di salute e delle azioni per conseguirli. Il PIS si compone di azioni progettate relative a problemi di rilievo sociale a pertinenza locale, con specifici e valutabili obiettivi di salute, attraverso le quali orientare l’operatività dei servizi e valorizzare le potenzialità del contesto sociale e istituzionale. La realizzazione del PIS, che sono cofinanziati dai soggetti realizzatori, implica il compimento delle fasi di:  costruzione del PIS, definizione delle azioni progettate (dei programmi e dei progetti operativi) che lo compongono;  attuazione del PIS, attuazione degli interventi previsti dalle azioni progettate (dai progetti operativi);  valutazione dei risultati. La realizzazione del PIS è compito è della SdS o, in mancanza, dei comuni associati e della AUSL per quanto di rispettiva competenza. 3.4.1. La costruzione del PIS La costruzione del PIS si sviluppa in quattro fasi logico-temporali. 1. Individuazione dei problemi, dei bisogni e delle opportunità. La prima fase ha una funzione decisiva. Sulla validità delle sue conclusioni poggiano le possibilità d’efficacia dell’intero processo di realizzazione del PIS. Il prodotto di fase da raggiungere con le necessarie gradualità, è l’Immagine di Salute della zona che rappresenta il quadro sintetico delle condizioni sociali, sanitarie e ambientali del territorio e della popolazione e che la comunità riconosce come pertinenti al proprio stato di salute. L’Immagine di salute emerge dalla collaborazione realizzativa delle strutture tecniche dell’Azienda ASL, delle strutture tecniche delle amministrazioni locali, degli amministratori locali, delle forze sociali, del volontariato sociale, di gruppi di popolazione e di singoli cittadini. Propedeutica alla costruzione dell’Immagine di Salute è la realizzazione del Profilo di Salute di zona. Il Profilo di Salute raccoglie, dalle istituzioni competenti, e ordina i dati, demografici, sanitari, sociali, ambientali, disponibili relativi alla zona.
  • 23. 22 Il Profilo di Salute svolge le funzioni di archivio integrato dei dati relativi ai fenomeni demografici, sociali, sanitari, ambientali, e di supporto alla costruzione dell’Immagine di Salute, fornendo le evidenze epidemiologiche e dei risultati di specifiche indagini su cui basare le valutazioni condivise. Poiché l’Immagine di Salute è una rappresentazione problematica connotata, che ipotizza o chiarisce i nessi tra i vantaggi ed i problemi e le loro cause, essa, in riferimento al grado di definizione di tali nessi, già indica la tipologia degli interventi necessari. 2. Scelta delle priorità. La scelta delle priorità ha l’obiettivo di definire una gerarchia tra le coppie problema-soluzione, vantaggi-sviluppo, espresse dall’Immagine di salute. La fase ha valenza tecnica e politica, ad essa partecipano sia soggetti tecnici sia politici, intendendo tra questi ultimi oltre ai soggetti istituzionali del governo locale anche i soggetti della partecipazione. I criteri della selezione ordinativa possono essere:  rilevanza sul territorio, gravità e frequenza del problema nella popolazione;  risolvibilità tecnica del problema;  possibilità di consolidamento e sviluppo delle cause che generano vantaggi;  disponibilità sul territorio di competenze adeguate agli interventi;  grado di condivisione degli obiettivi da parte dei soggetti che operano la selezione;  fattibilità economica dell’intervento;  misurabilità dei risultati attesi;  dimensione temporale degli effetti previsti dell’intervento;  effetti sistemici dell’intervento, conseguenze prevedibili su altri settori del sistema locale. 3. Definizione delle azioni. Le priorità individuate devono essere tradotte in obiettivi di salute. La decisione relativa alle azioni da programmare e attivare consegue all’ordinamento gerarchico dei problemi-soluzioni. Tale decisione è compito dei soggetti politici. Ogni azione presuppone la definizione di programmi articolati in progetti operativi. 4. Stesura dei progetti. La stesura dei programmi e dei progetti operativi è compito delle strutture tecniche delle amministrazioni comunali e dell’Azienda ASL, coordinate secondo le modalità tecnico/organizzative prescelte dalla Giunta della SdS. I progetti operativi sono orientati alla realizzazione degli interventi necessari a conseguire i singoli obiettivi previsti dai programmi di riferimento. 3.4.2. L’attuazione del PIS L’attuazione del PIS richiede che gli obiettivi di salute vengano articolati in programmi e progetti operativi e che tali attività vengano realizzate e gestite sulla base di patti territoriali tra la SdS e altri soggetti pubblici e privati che partecipino all’attuazione del PIS. La conclusione di fase prevede un report che, per ciascuna azione progettata, indichi gli interventi realizzati, la valutazione del grado di integrazione della operatività, il consuntivo economico e i fattori che hanno ostacolato e favorito la realizzazione degli interventi. 3.4.3. La valutazione dei risultati Il processo di valutazione ha la finalità di accertare il grado di raggiungimento degli obiettivi specifici e la loro congruità con gli obiettivi generali del PIS. La valutazione dei risultati è compito della Giunta, coadiuvata dalla Consulta del Terzo settore, dal Comitato di partecipazione e dal Direttore. La valutazione si fonda sia sulla percezione che i soggetti istituzionali e della partecipazione hanno dei mutamenti intervenuti per effetto del PIS sia sui valori quantitativi assunti dagli indicatori appositamente progettati per la valutazione. La valutazione risponde alle domande:  cosa è cambiato in termini di salute nell’ambito territoriale della zona-distretto?;
  • 24. 23  quali problemi, nonostante gli interventi messi in atto con il PIS, non è stato risolto?;  cosa è cambiato in termini di integrazione informativa e operativa nella zona?. Il processo di valutazione produce due documenti complementari:  un report tecnico, che ha la funzione di migliorare, attraverso il confronto intersettoriale e interzonale, l’approccio tecnico alla programmazione integrata;  un report di valenza politico-istituzionale, o “Relazione sugli esiti del PIS”, approvato dalla Giunta, che confluisce, come parte distinguibile e integrata, nella Relazione annuale della SdS. 3.5. LE FORME DI PARTECIPAZIONE E DI CONCERTAZIONE Le forme di partecipazione e di concertazione si sviluppano su due livelli: quello regionale e quello zonale. A livello regionale il processo di concertazione prevede specifici strumenti come il tavolo di concertazione (tra la regione e gli altri soggetti interessati alla programmazione), il gruppo di lavoro per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie, e la Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria (Cabras, 2003). Nelle SdS sono invece previste due forme di partecipazione: la consulta del terzo settore e il Comitato di partecipazione. Le organizzazioni del volontariato e del terzo settore sono rappresentate nella Consulta del terzo settore che partecipa alla definizione del piano integrato di salute fornendo pareri o proposte prima dell’approvazione del PIS. Il Comitato di partecipazione è invece composto da membri nominati dall’organo di governo della SdS tra i rappresentanti della comunità locale, espressione di soggetti della società che rappresentano l’utenza che usufruisce dei servizi, nonché le espressioni dell’associazionismo di tutela e “advocacy” purché non siano erogatori di prestazioni. Il Comitato:  elabora e presenta all’organo di governo proposte per la predisposizione degli atti di programmazione e governo generale di sua competenza;  esprime pareri sulla qualità e quantità delle prestazioni erogate e sulla relativa rispondenza tra queste ed i bisogni dell’utenza, sull’efficacia delle informazioni fornite agli utenti, sul grado di integrazione socio-sanitaria dei servizi resi e su ogni altra tematica attinente al rispetto dei diritti dei cittadini ed alla loro dignità;  esprime parere obbligatorio sia sulla bozza di PIS che sullo schema di relazione annuale della SdS fornendo anche proposte di integrazione e modifica;  redige un proprio rapporto annuale sulla effettiva attuazione del PIS e sullo stato dei servizi locali. La Toscana scommette dunque sulla capacità dell’associazionismo e del terzo settore di rappresentare le istanze e i bisogni della popolazione mentre non sono previste forme di partecipazione diretta dei cittadini. Inoltre, tutti gli atti di indirizzo e programmazione sono soggetti alla preventiva concertazione con le organizzazioni sindacali firmatarie dei CCNL della sanità. Il verbale di concertazione rappresenta documento di riferimento per i relativi atti che gli organi della SdS saranno chiamati ad assumere. 3.6. L’AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONE Nel marzo 2004 la Giunta regionale toscana ha autorizzato l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute in 18 zone socio-sanitarie. Esse riguardano il 55% della popolazione regionale e cioè circa 2 milioni di persone. Con l’atto si approvano una serie di prescrizioni generali e specifiche a cui tutte le costituende SdS devono attenersi. Tra queste le più rilevanti (oltre a quella che ricorda il rispetto delle norme sui consorzi) appaiono essere le seguenti:
  • 25. 24 1. Nella fase di avvio della sperimentazione delle SdS non è consentito, da parte di quest’ultime, l’esercizio delle funzioni di gestione dei servizi, compresi quelli socio-assistenziali. Le SdS avranno la possibilità di gestire direttamente i servizi soltanto in una fase successiva, previa nuova procedura di autorizzazione di competenza della Giunta regionale. 2. E’ necessario evitare la sovrapposizione dei ruoli direzionali tra società della Salute ed enti consorziati. Ne consegue che il ruolo del responsabile di zona dell’AUSL e quello del direttore della SdS deve essere ricondotto ad una figura unica appartenente alla SdS che, in questa prima fase, viene identificato nel responsabile della zona/distretto. 3.7. CONCLUSIONI La regione Toscana con il PSR 2002-2004 introduce due innovativi strumenti nella programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari - la Società della Salute e il Piano integrato di Salute – capaci di modificare radicalmente l’approccio alle problematiche dell’integrazione socio- sanitaria. Con la SdS si punta ad affidare ad un unico soggetto partecipato dai comuni e dalla AUSL la programmazione e la gestione dei servizi socio-sanitari ed altri servizi sociali e sanitari. Rispetto al passato si ribaltano completamente i ruoli dei soggetti protagonisti dell’integrazione socio- sanitaria. Mentre in precedenza vi era la tendenza ad una delega di funzioni dei comuni verso le AUSL che esercitavano il ruolo di maggior rilievo oggi le funzioni programmatorie, ed in futuro anche quelle gestionali, dell’integrazione socio-sanitaria vengono affidate ad un nuovo organismo che vede anche la partecipazione delle AUSL ma che è diretto dai comuni. Qualche somiglianza è ravvisabile con l’esperienza dei paesi scandinavi e, in parte, del Regno Unito, che nella ricerca di una soluzione efficace ed unitaria dell’integrazione socio-sanitaria hanno trasferito tutte le competenze di tale settore in capo ai comuni. Così accade per l’assistenza domiciliare sociale e sanitaria in Danimarca, per l’assistenza residenziale sociale e sanitaria nel Regno Unito ed anche per le cure primarie in Finlandia. Sul fronte istituzionale aumentano le responsabilità dei comuni che in cambio ottengono un maggior potere da esercitare nel settore della tutela della salute. Le integrazioni che si realizzano a questo livello sono almeno due: una nel livello orizzontale fra comuni e AUSL e l’altra fra SdS e Regione. Sarà proprio nella ricerca di un equilibrio nella distribuzione dei poteri e delle competenze fra questi livelli e nelle modalità del loro esercizio (senza scadimenti) che si giocherà il futuro di questa esperienza. L’altra grande innovazione è costituita dal Piano integrato di salute che è lo strumento con cui si intendono perseguire gli obiettivi di salute intervenendo sui determinanti di salute. Con i Piani integrati di salute si punta a coinvolgere “nella pianificazione sanitaria settori inevitabilmente contigui (in primo luogo il settore sociale, ma anche quello urbanistico, dei trasporti, del traffico, della casa, della cultura, dell’istruzione, ecc.), ma normalmente distanti ed estranei nelle scelte sulla salute. Ciò è tanto più necessario se si pensa che miglioramenti significativi dello stato della salute della popolazione oggi si possono conseguire non tanto (o non solo) dal potenziamento delle tecnologie biomediche e dalla diffusione degli interventi sanitari, quanto dal miglioramento della qualità della vita nelle città e dalla lotta alla povertà e all’emarginazione.” (Maciocco, 2002). Uno strumento simile è stato previsto anche in Emilia Romagna con i Piani per la salute e nelle Marche con i Piani comunitari di salute. Si tratta indubbiamente di una felice intuizione la cui realizzazione per dare buoni frutti ha bisogno di tempi lunghi e di un approccio culturale nuovo alle tematiche della salute. Sarà proprio sulla consapevolezza di queste necessità e sulla sua diffusione che si giocherà il futuro dei PIS.
  • 26. 25 Bibliografia  Cabras G., Integrazione socio sanitaria, Salute e Territorio 2003: 136: 19-22.  Decreto del coordinatore del dipartimento diritto alla salute e delle politiche di solidarietà 25 ottobre 2002, n. 5652: “Costituzione gruppo di lavoro per i piani integrati di salute”.  Deliberazione Consiglio Comunale di Firenze 17 novembre 2003, n. 919: “Costituzione del consorzio “Società della Salute” (SdS) – Approvazione convenzione e statuto – Presentazione documento di candidatura alla regione Toscana”. Allegati: 1) Proposta di candidatura; 2) Convenzione; 3) Statuto.  Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 9 aprile 2002, n. 60: “Piano sanitario 2002-2004 – Linee guida per la formazione del Piano integrato sociale 2002-2004”.  Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 luglio 2002, n. 122: “Piano integrato sociale regionale 2002-2004”.  Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 settembre 2003, n. 155: “Atto di indirizzo regionale per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute”.  Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 settembre 2002, n. 961, Piano zonale di assistenza sociale, art. 11 L.R. 72/97 – Approvazione indirizzi operativi e strumenti per la redazione del Piano di zona 2002-2004.  Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 novembre 2003, n. 1205, Società della salute – Istituzione del gruppo tecnico di valutazione previsto dal punto 2.2.7.5. del P.S.R. 2002-2004.  Deliberazione Giunta Regionale Toscana 22 marzo 2004, n. 269, P.S.R. 2002-2004- Avvio della sperimentazione delle Società della salute.  Deliberazione Giunta Regionale Toscana 12 luglio 2004, n. 682, Linee guida per la realizzazione dei piani integrati di salute.  Maciocco G., Le Società della Salute, Salute e Territorio 2002: 132: 150-154.  Regione Toscana, L.R. 3 ottobre 1997, n. 72: “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e socio- sanitari integrati”.  Società della Salute del Mugello, Documento di candidatura, convenzione e statuto.
  • 27. 26 4. PAROLE CHIAVE E INDICATORI DELLE SOCIETA’ DELLA SALUTE OGGETTO INDICATORI QUALI/ QUANTITATIVI DESCRIZIONE Elenco delle parole chiave Centralità del territorio, approccio integrato, partecipazione, Obiettivi di salute, società della salute (SdS), Piano integrato di salute (PIS).
  • 28. 27 1. Orientamenti di valore dichiarati nei documenti regionali Individuazione degli orientamenti di fondo Il Piano sanitario regionale 2002-2004 della Toscana ha avviato una vera e propria riforma del sistema sanitario regionale in termini culturali ed organizzativi. Esso dedica una particolare attenzione all’integrazione socio-sanitaria al fine di assicurare l’unitarietà della risposta assistenziale. A questo fine il PSR definisce una serie di indirizzi strategici che comprendono:  la conferma e il consolidamento del principio dell’integrazione socio-sanitaria, già sviluppato, sulla falsariga del DPCM 14/1/2001;  la definizione del sistema di servizi ed interventi integrati socio- sanitari con il metodo della concertazione fra i soggetti istituzionali coinvolti;  l’individuazione dei livelli di assistenza socio-sanitaria;  la definizione di strategie ed obiettivi specifici per ognuna delle aree dell’integrazione socio-sanitaria. Il processo di integrazione è sostenuto, questo è l’elemento qualificante, dalla convergenza del Piano sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un processo programmatorio unitario ed integrato e quindi un riferimento unico all’azione locale. La zona socio sanitaria, che coincide con l’ambito sociale, è individuata come il territorio con riferimento al quale i comuni realizzano, in forma necessariamente associata secondo le modalità del TUEL, la programmazione del sistema integrato di servizi e prestazioni sociali e socio sanitarie d’intesa con la AUSL. La gestione associata è obbligatoria per la gestione di interventi definiti dai progetti approvati dal Piano di zona, per la gestione dell’attività di integrazione socio-sanitaria, per le azioni innovative di interesse regionale. La conseguenza di questo percorso integrato è la previsione generalizzata, a livello locale, di uno strumento nuovo e unico per i comuni e per le AUSL che è identificato nei Piani integrati di salute e nella previsione, questa sperimentale e volontaria, di un nuovo assetto organizzativo e gestionale identificato nelle Società della salute che coinvolge, anche in questo caso, comuni e AUSL delle zone-distretti. L’attuazione dei livelli di assistenza socio sanitaria avviene all’interno di un sistema ispirato, nell’organizzazione degli interventi, ai seguenti principi:  valutazione multidimensionale del bisogno (soprattutto per disabili ed anziani non autosufficienti);  definizione del piano individuale di assistenza, con individuazione delle prestazioni sanitarie e sociali che devono essere assicurate, da effettuarsi con modalità organizzative tali da consentire che chi prescrive l’intervento abbia il reale governo delle risorse disponibili;  l’apporto delle risorse sanitarie e sociali, proporzionalmente articolato in base alla “fase” del percorso assistenziale,  Accesso ai servizi secondo il criterio dell’universitalità ma previsione della possibile partecipazione alla spesa di parte sociale sulla base dell’ISEE.
  • 29. 28 2. Assetti e relazioni istituzionali Rapporti tra la Regione, gli altri Enti territoriali pubblici, gli Enti privati e di Terzo settore coinvolti nella funzione di programmazione socio-sanitaria La regione ha il compito ridefinire le regole e le risorse per l’integrazione socio-sanitaria e il suo sviluppo. La definizione del sistema del sistema di servizi inerenti l’integrazione socio-sanitaria si realizza attraverso un processo di concertazione tra la regione e gli altri soggetti istituzionali coinvolti per il quale il PSR prevede specifici strumenti come il tavolo di concertazione (tra la regione e gli altri soggetti interessati alla programmazione), il gruppo di lavoro per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie, la Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria (enti locali ed altri). Tipologia delle relazioni interistituzionali delineate dal sistema di attori coinvolti (gerarchiche / di mercato / di governance) Per la programmazione e la gestione unitaria dei servizi socio-sanitari la regione Toscana ha previsto la costituzione delle società della Salute (SdS). La SdS ha come fine istituzionale la salute ed il benessere sociale e non solo l’offerta di prestazioni, ed ha come presupposto quello di favorire la partecipazione alle scelte dei cittadini attraverso le loro rappresentanze istituzionali e associative in merito ai servizi socio- sanitari. Il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione è affidato al concorso di tutti gli attori che possono influire sui determinanti della salute: questo è uno dei principi ispiratori principali. I Piani integrati di salute (PIS) costituiscono lo strumento operativo delle SdS per perseguire questi obiettivi. La SdS è istituita in forma di consorzio pubblico, ai sensi degli art. 30 e 31 del TUEL (D.Lgs. 267/2000) cui partecipano la AUSL e i comuni della zona/distretto. La partecipazione dei comuni è su base volontaria ma la sperimentazione si può avviare solo se i comuni del distretto che vi partecipano rappresentano almeno l’80% dell’intera popolazione. L’organo di governo è composto dai Sindaci o loro assessori delegati dei comuni partecipanti e dal direttore generale dell’azienda sanitaria. L’organo di governo della SdS nomina un direttore tecnico che, nell’arco del mandato, assume il ruolo di manager della SdS e di responsabile di distretto sanitario (che in Toscana si chiama zona-distretto) con autonomia e responsabilità gestionale, che si avvale di un organismo di direzione. Le SdS sono società, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende sanitarie garantisce l’unitarietà del sistema sanitario, e la presenza dei comuni assicura la rappresentanza delle comunità locali, l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione di obiettivi di salute da perseguire con interventi integrati. Le SdS sono finanziate dalle ASL con la parte della quota capitaria, corrispondente ai servizi definiti nel loro contratto di erogazione, e dai comuni con i fondi corrispondenti ai servizi sociali, che si impegnano ad erogare. Nella prima fase di sperimentazione le SdS si occupano del governo del sistema e dell’orientamento della domanda prevedendo l’assunzione della gestione diretta dei servizi successivamente e in modo graduale. La SdS diventa così lo strumento operativo unitario dei comuni e della AUSL per la programmazione e la gestione dei servizi socio- sanitari, sociali e socio-assistenziali nel rispetto delle direttive regionali. 3. Ruolo dell’Ente regionale nella Visione delle modalità con cui l’Ente regionale esercita le prerogative di La regione fissa le regole e individua gli strumenti per lo sviluppo dell’integrazione socio-sanitaria. Ha approvato il piano sanitario regionale e il piano sociale regionale integrato con cui si intende dare un unico riferimento alla programmazione locale. Ha approvato le linee guida sulle società
  • 30. 29 integrazione socio-sanitaria governo nei confronti del sistema e principali strumenti utilizzati a tal fine della salute e deve approvare le linee guida sui piani integrati di salute. Ha approvato inoltre (con il PSR) l’identificazione dei servizi che richiedono l’integrazione e la definizione dei criteri e parametri di ripartizione degli oneri fra comuni e AUSL in relazione alle modalità assistenziali e tipologie di servizi con riferimento all’allegato 1C sui LEA socio-sanitari. Una parte del lavoro normativo regionale , identificato nel PSR, deve ancora essere fatto relativamente alla:  individuazione delle procedure per la definizione di intese tra enti locali e ASL nella loro articolazione zonale per l’erogazione integrata degli interventi e delle prestazioni nell’ambito dei percorsi assistenziali specifici.  emanazione di specifici indirizzi e linee guida sui percorsi assistenziali e sulle modalità di erogazione dei servizi riferiti alle varie aree. 4. Ruolo degli Enti locali Visione delle modalità con cui gli Enti locali partecipano al processo di integrazione socio- sanitaria ai diversi livelli implicati (programmatorio/ gestionale / valutativo / finanziario) Gli enti locali partecipano alla sperimentazione delle SdS. La sperimentazione è biennale, volontaria e reversibile. E’ limitata alle realtà in cui i soggetti interessati, comuni (almeno 80% della popolazione del distretto)e ASL, concordano ed esprimono la loro disponibilità. Il comune non assume solo funzioni di programmazione e controllo, ma compartecipa ad un governo comune del territorio finalizzato ad obiettivi di salute e diviene a tutti gli effetti co-gestore dei servizi socio-sanitari territoriali. Le SdS sono finanziate dalle ASL con una parte della quota capitaria, e dai comuni con i fondi corrispondenti ai servizi sociali, che si impegnano ad erogare. La provincia, pur non partecipando alla costituzione della SdS, è coinvolta con la previsione di specifici accordi in relazione ai contenuti del Piano integrato di salute della SdS ed all’attività dell’osservatorio sociale provinciale. 5. Ruolo dei soggetti privati e di Terzo settore Visione delle modalità con cui i soggetti privati/di Terzo settore partecipano al processo di integrazione socio- sanitaria ai diversi livelli implicati (programmatorio/ge stionale/ valutativo / finanziario) Non è (più) prevista la partecipazione dei soggetti privati fra i soggetti costituenti la SdS. Il terzo settore ha un ruolo significativo ma consultivo all’interno delle SdS che si esprime attraverso le forme della partecipazione. Sono previste due forme di partecipazione: la consulta del terzo settore e il Comitato di partecipazione. Le organizzazioni del volontariato e del terzo settore che sono presenti in maniera rilevante nel territorio e operano in campo sociale e sanitario sono rappresentate in una apposita Consulta del terzo settore. La consulta partecipa alla definizione del piano integrato di salute nell’ambito delle direttive dell’organo di governo: essa è chiamata a fornire parere o proposte prima dell’approvazione del PIS. Il Comitato di partecipazione è composto da membri nominati dall’organo di governo della SdS tra i rappresentanti della comunità locale, espressione di soggetti della società che rappresentano l’utenza che usufruisce dei servizi, nonché le espressioni dell’associazionismo di tutela e “advocacy” purché non siano erogatori di prestazioni. Il Comitato presenta all’organo di governo proposte per la predisposizione degli atti di programmazione e governo generale, esprime pareri sulla qualità e quantità delle prestazioni erogate, sul grado di integrazione socio-sanitaria dei servizi resi e su ogni altra tematica attinente al rispetto dei diritti dei cittadini ed alla loro dignità. In tale ambito esprime parere obbligatorio sia sulla bozza di PIS che sullo schema di relazione annuale della SdS predisposti dal Direttore fornendo anche proposte di integrazione e modifica. L’organo di governo, qualora si discosti
  • 31. 30 dal parere espresso dal comitato di partecipazione, deve darne idonea motivazione nell’atto di approvazione. 6. Funzione di committenza Soggetti che gestiscono la funzione di gestione della domanda e degli accessi ai servizi socio-sanitari e modalità relative La SdS gestisce la funzione della domanda e degli accessi ai servizi socio-sanitari. Oltre il governo dell’offerta di servizi sociali, sociosanitari e sanitari territoriali direttamente gestiti nella zona-distretto da comuni e ASL, la SdS ha come ulteriore funzione di rilievo quella di governo della domanda complessivamente espressa nel territorio di competenza, cioè di quella domanda che pur riferendosi ad attività di competenza della SdS tuttavia non trova risposta esclusiva nei servizi direttamente gestiti dalla ASL e dai comuni (come le prestazioni sanitarie farmaceutiche, specialistiche, diagnostiche, riabilitative), così come la domanda di servizi non di competenza diretta della SdS (ospedali). Il governo della domanda trova attuazione da parte della SdS mediante accordi con i prescrittori (in particolare medici di medicina generale per il controllo dei consumi) e indicazioni per la contrattazione della AUSL con i soggetti erogatori, coerentemente con gli indirizzi regionali. Per quanto riguarda i servizi di ricovero ospedaliero, il governo della domanda trova espressione in un atto di concertazione annuale con la AUSL relativo alle modalità di erogazione degli stessi da parte dei presidi di propria competenza, ferma restando la competenza dell’AUSL sui rapporti contrattuali con gli istituti di ricovero privati accreditati. Punti e modalità di accesso (unificato o no) previste ai servizi socio-sanitari Sono previsti dei punti di accesso unificato alle prestazioni socio- sanitarie (e non solo) nei singoli progetti di SdS. Essi sono assicurati dalla presenza di una rete omogenea e collegata di punti di informazione e di accesso decentrati sul territorio nei presidi comunali e delle aziende sanitarie. 7. Funzione di produzione Soggetti che si occupano della gestione dei servizi sociosanitari Le SdS assumono le responsabilità del governo delle attività socioassistenziali, sociosanitarie, sanitarie territoriali e specialistiche di base relative alla zona-distretto di riferimento. La SdS assicura l’erogazione delle prestazioni attraverso le strutture ed i servizi gestiti, singolarmente ovvero in forma associata o delegata ai sensi della normativa vigente, dalla ASL e dai comuni. Nella fase di avvio della sperimentazione delle SdS non è consentito, da parte dei queste ultime, l’esercizio delle funzioni di gestione dei servizi, compresi quelli socio-assistenziali. Le SdS avranno la possibilità di gestire direttamente i servizi soltanto in una fase successiva, previa nuova procedura di autorizzazione di competenza della Giunta regionale. Il processo dovrà quindi svilupparsi con gradualità e dovrà riguardare in prima istanza le funzioni di governo del sistema sociale e sanitario e di orientamento della domanda. Forme gestionali (gestione diretta, consorzi, aziende speciali, delega all’AUSL, società a capitale misto, ecc.) Lo strumento identificato per l’integrazione socio-sanitaria costituito dalla SdS che è istituita in forma di consorzio pubblico, ai sensi degli art. 30 e 31 del TUEL (D.Lgs. 267/2000) cui partecipano la AUSL e i comuni della zona. Le SdS definiscono i propri ruoli, compiti, finanziamenti tramite accordi fra le ASL e i comuni a livello di distretto (zona-distretto), con il coordinamento e il controllo direzionale della regione. Ambito territoriale di riferimento Zona-distretto sanitario che coincide con l’ambito sociale.
  • 32. 31 8. Atti, strumenti e procedure di integrazione socio-sanitaria Modalità di integrazione a livello regionale tra programmazione sanitaria e programmazione sociale (piano sanitario/piano sociale regionale, altri piani, ecc.) Il processo di integrazione è sostenuto dalla convergenza del Piano sanitario regionale con il Piano integrato sociale regionale (PISR) che propongono un processo programmatorio unitario ed integrato e quindi anche un riferimento unico all’azione locale. Per garantire questa unitarietà il PSR contiene le linee guida per la redazione del successivo Piano integrato sociale regionale (PISR). La definizione del sistema del sistema di integrazione socio-sanitaria si realizza attraverso un processo di concertazione tra la regione e gli altri soggetti istituzionali coinvolti per il quale il PSR prevede specifici strumenti come il tavolo di concertazione, il gruppo di lavoro per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie, la Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria. Modalità di integrazione a livello zonale tra pianificazione sanitaria e pianificazione sociale (accordi di programma, convenzioni, forme di coordinamento, ecc.) L’integrazione a livello zonale si realizza attraverso la gestione unitaria della SdS. I piani integrati di salute costituiscono la modalità di operare delle SdS e sostituiscono il programma operativo di zona- distretto e il piano sociale di zona. I piani integrati di salute scaturiscono da un procedimento di concertazione al quale partecipano i soggetti istituzionali e quelli rappresentativi delle comunità locali nel rispetto della impostazione regionale della programmazione integrata. I piani integrati di salute devono interagire con gli strumenti della programmazione locale. L’insieme dei soggetti che hanno partecipato alla concertazione e stipulato l’accordo mette a punto un progetto di lavoro comune basato sull’individuazione degli obiettivi di salute e sulla verifica dei risultati, tenuto conto delle priorità emerse dal consenso e condivisione fra i soggetti con pari dignità, tenendo conto delle evidenze scientifiche e dei dati disponibili sul territorio e sulla salute della popolazione, oltre che della percezione dei bisogni da parte dei cittadini. 9. Meccanismi di monitoraggio e di valutazione dei risultati Soggetti che esercitano le funzioni di monitoraggio e di valutazioni La Giunta regionale istituisce un apposito gruppo tecnico di valutazione, finalizzato a valutare la congruenza dei progetti di SdS sulla base degli indirizzi regionali, ed a seguire tutto il processo della sperimentazione. Istituisce inoltre una consulta regionale, presieduta dall’assessore per il diritto alla salute, per seguire il processo di sperimentazione, della quale fanno parte una rappresentanza dei direttori generali delle aziende sanitarie, delle conferenze dei sindaci, delle organizzazioni sindacali confederali, delle imprese sociali e dei medici convenzionati. Criteri e strumenti adottati in materia Per i piani integrati di salute sono previste le valutazioni di effetto. La valutazione di effetto consiste nella costruzione di un bilancio tra effetti potenzialmente positivi ed effetti potenzialmente negativi del piano integrato di salute. Il bilancio è realizzato sulla base di un set di indicatori specifici, volti a sorvegliare lo stato di realizzazione del piano integrato di salute in termini di effetto sulla organizzazione dei servizi (indicatori di processo) e sulla salute e soddisfazione dell’utenza (indicatori di esito).
  • 33. 32 10. Ruolo dei cittadini nei processi di integrazione socio-sanitaria Forme previste (dirette e rappresentative) di partecipazione dei cittadini alle scelte di programmazione sociosanitaria, alle modalità di gestione dei servizi e di monitoraggio/valuta zione dei risultati ottenuti Sono previste delle forme di partecipazione alle scelte di programmazione e verifica dei cittadini associati attraverso la Consulta del terzo settore e il Comitato di partecipazione illustrate al punto 5. Inoltre, tutti gli atti di indirizzo e programmazione sono soggetti alla preventiva concertazione con le organizzazioni sindacali firmatarie dei CCNL della sanità. Valutazione del grado di effettiva applicazione delle medesime e problemi relativi E’ affidata al Comitato di partecipazione. 11. Sostenibilità economica nel medio/lungo periodo Livelli di spesa regionale in materia sociosanitaria nei 3 ultimi quinquenni (1990-1994, 1995- 1999, 2000-2004) 1999: spesa pubblica per rette per residenze per anziani = 96.000.000 1999: assistenza domiciliare comunale (SAD) = 12.400.000 1999: assistenza domiciliare integrata (ADI) = 10.900.000 1999: centri diurni per anziani = 2.500.000 ----------------- 1999:Totale = 121.800.00 (Fonte: Agenzia regionale sanità Toscana, 2002) Stima dei livelli di spesa previsti per i prossimi due quinquenni (2005- 2009 e 2010-2014) in relazione all’evoluzione demografica regionale 12. Sviluppo della rete regionale dei servizi socio-sanitari per gli anziani N. posti disponibili in strutture residenziali convenzionate RSA = 2.085 case protette = 4.572 case di riposo = 7.459 Totale = 14.116 (dati del 1999) Valore % dei medesimi sulla popolazione > 75 anni 6,1 N. posti in centri diurni 584 Valore % dei medesimi sulla popolazione > 75 anni 0,25 N. anziani > 75 in ADI 14.686 (con più di 65 anni) Valore % dei medesimi sulla popolazione > 75 anni 6,4
  • 34. 33 ALLEGATI 10. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 60 del 9 aprile 2002: (estratto del) “Piano sanitario regionale 2002-2004 - Linee guida per la formazione del Piano integrato sociale 2002-2004- Modifica dell’Allegato 1 della deliberazione del Consiglio regionale1 febbraio 2000, n.31 (Istituzione delle Commissioni regionali per l’accreditamento ai sensi della legge regionale 23 febbraio 1999, n.8 e successive modificazioni).” Pag. 34 11. Deliberazione Consiglio regionale Toscana n. 122 del 24 luglio 2002: (estratto del) “Piano integrato sociale regionale 2002-2004.” Pag. 54 12. Decreto del coordinatore del dipartimento diritto alla salute e delle politiche di solidarietà 25 ottobre 2002, n. 5652: “Costituzione gruppo di lavoro per piani integrati di salute”. Pag. 58 13. Deliberazione Consiglio Regionale Toscana 24 settembre 2003, n. 155: “Atto di indirizzo regionale per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 60 14. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 17 novembre 2003, n. 1205: “Società della Salute – Istituzione del gruppo tecnico di valutazione previsto dal punto 2.2.7.5. del P.S.R. 2002- 2004”. Pag. 72 15. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 22 marzo 2004, n. 269: “P.S.R. 2002-2004 – Avvio della sperimentazione delle Società della Salute”. Pag. 74 16. Deliberazione Giunta Regionale Toscana 12 luglio 2004, n. 682: “Linee guida per la realizzazione dei piani integrati di salute”. Pag. 78 17. Deliberazione Consiglio Comunale di Firenze 17 novembre 2003, n. 919: “Costituzione del consorzio “Società della Salute” (SdS) – Approvazione convenzione e statuto – Presentazione documento di candidatura alla regione Toscana”. Allegati: 1) Proposta di candidatura; 2) Convenzione (omesso lo Statuto). Pag. 88 18. Società della Salute del Mugello, Statuto. Pag. 141