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LE GARANZIE COSTITUZIONALI Partendo dallo studio e dalle riflessioni su quel convulso periodo storico che ha visto l’affermarsi della rivoluzione francese, ci è venuto spontaneo chiederci: una volta riconosciuto che la sovranità appartiene al popolo e una volta compreso che per governarsi il popolo deve pattuire un corpo di regole da rispettare cioè deve darsi una Costituzione, cosa succede se la maggioranza del popolo, abusando del proprio potere, approva una legge non conforme o contraria al patto costituzionale? C’è un organo adibito a custode della Costituzione, oppure la maggioranza o i suoi rappresentanti detengono un potere assoluto? Già l’abate Seyes durante il regime del Termidoro e dopo la parentesi terribile della dittatura giacobina aveva avuto modo di sottolineare che “una Costituzione è un corpo di leggi obbligatorie, oppure non è niente. Se è un corpo di leggi, ci si domanda dove sarà il guardiano, dove sarà la magistratura di questo codice”. Su tale base, si prospettava l’istituzione di un  jury constitutionaire , volto a vigilare sul rispetto della Costituzione. Tuttavia l’invito di Seyes resterà lettera morta. Per cercare il vero momento fondativo del sindacato di costituzionalità abbiamo rivolto la nostra attenzione a quanto, più o meno nello stesso periodo, stava avvenendo nei neo-nati Sati Uniti d’America dove dalle pagine del  Federalist  Alexander Hamilton si faceva promotore di una battaglia per riconoscere la Costituzione come legge fondamentale dello Stato e quindi tale da non poter essere modificata con delle semplici leggi ordinarie, battaglia che coglierà i suoi frutti concretizzandosi in una sentenza epocale durante  il caso Marbury vs Madison del 1803. Mentre in Europea bisognerà aspettare il contributo dato dal giurista Hans Kelsen all’inizio del ‘900, che sottolineerà con forza l’importanza e la necessità che siano previsti organi di garanzia costituzionale.  Dopo aver ripercorso queste tappe decisive ci siamo rivolti ad analizzare in dettaglio lo strumento di garanzia della nostra Costituzione: la Corte costituzionale.
Il nostro lavoro ci ha condotto a queste considerazioni conclusive.   Le moderne costituzioni nascono e vengono scritte per  fissare limiti  al potere di chi comanda, per definire i modi e le condizioni in cui l’autorità deve essere esercitata e per  fissare i diritti  dei soggetti nei confronti dell’autorità, che non può violarli. Esemplare a tal proposito l’art. 16 della  Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino  del 1789: “Un popolo, che non riconosce i diritti dell’uomo e non attua la divisione dei poteri, non ha Costituzione”. L’idea di base è sempre quella del potere limitato, e dunque non più assoluto : ossia di un potere che venga esercitato entro dei limiti previsti dalla Costituzione e pertanto detti di costituzionalità. Nelle monarchie, le costituzioni sorgono proprio per porre limiti al potere sovrano, che resta detentore di un potere di vertice, anche se non più assoluto.  Ma anche dove si afferma pienamente il principio democratico, e dunque la sovranità è attribuita per intero al popolo, la Costituzione ha il compito di regolare e dunque limitare il potere sovrano, distribuendolo fra le diverse autorità e stabilendo le condizioni e i limiti del suo legittimo esercizio. Così si esprime ad es. l’art. 1, comma 2, della nostra Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita  nelle forme e nei limiti della Costituzione ”: nelle forme, cioè con le procedure stabilite, ma anche nei limiti. Ma, si potrebbe dire, se la sovranità appartiene al popolo, il popolo può anche cambiare la Costituzione, e ha diritto di cambiarla.  In effetti le Costituzioni prevedono di solito anche il modo in cui possono essere modificate. Però è normale che le procedure attraverso cui ciò può avvenire siano più complesse e difficili da realizzare di quanto non siano le normali procedure legislative.
Siamo dunque, sembrerebbe, di fronte ad un paradosso. La Costituzione, frutto della volontà del popolo sovrano, pretende di limitare il potere dello stesso popolo di modificarla in via legale. In realtà una tale contraddizione sussisterebbe e avrebbe ragion d’essere solo se si parte dal presupposto che la sovranità del popolo è assoluta. Ma il costituzionalismo è qualcosa di più e di diverso dell’assolutismo democratico.  La Costituzione nasce sì per regolare le forme di esercizio del potere attribuito al popolo, ma anche, o ancor prima, per fissare i confini di questo potere, dunque per limitarlo. Anche il popolo sovrano non può e non deve essere un sovrano assoluto. Nessun sovrano, dunque neanche il popolo. Si potrebbe dire: se c’è un sovrano assoluto, sia pure esso il popolo, non c’è Costituzione. La Costituzione contiene le regole attraverso cui la maggioranza può decidere, ma anche i principi da cui la stessa maggioranza non può discostarsi, a tutela di valori e interessi che non sono appannaggio della sola maggioranza.  Ebbene, la nascita di organi di garanzia quali sono le corti costituzionali ha segnato la fine del mito della sovranità parlamentare assoluta che aveva dominato, dall’epoca della Rivoluzione francese, nei regimi rappresentativi. Il controllo di costituzionalità fa sì che nessun organo dello Stato, nemmeno il Parlamento, disponga di un potere illimitato; che anche il potere politico più elevato sia assoggettato a regole.  
 
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Democrazia e rappresentanza sono diverse fra loro. La democrazia, come potere del popolo, richiede identità tra governanti e governati; la rappresentanza si basa invece su un dualismo tra gli uni e gli altri. Il rappresentante è colui che parla in nome di un altro e con i suoi atti può obbligarlo; la democrazia è invece decisione del popolo. Essa può essere di due tipi : diretta o indiretta. Si ha democrazia diretta quando è il popolo stesso che delibera le leggi ( ad es. Il referendum ), si ha invece democrazia indiretta quando a deliberare le leggi sono i portavoce, eletti dal popolo, che si riuniscono in delle assemblee nelle quali sono obbligati ad esprimere la volontà del popolo. Al contrario il regime rappresentativo presuppone il fatto che il popolo sia incapace di gestire i propri interessi e quindi se ne occupi qualcun’altro da lui eletto.
Il funzionamento del regime rappresentativo richiede  che vi sia un gruppo di persone che si occupi costantemente di politica e che di questa ne faccia una professione. Sieyes diceva che la politica è un mestiere. Inoltre era un sostenitore della rappresentanza e non, come Rousseau, della democrazia.
Sieyes sosteneva che la concezione democratica, che presuppone un popolo politicamente competente e disposto a dedicare tutto il suo impegno alla politica, era una visione idealistica e pericolosa. Inoltre riteneva che il regime rappresentativo fosse superiore al regime democratico. Il problema non era tanto quello di tenere unito il popolo nei grandi stati, quanto l’incapacità politica della massa degli uomini a gestire la cosa pubblica. Negli stati moderni la gente non ha più la possibilità di dedicarsi alla gestione della “res pubblica”, secondo l’antico ideale della democrazia ateniese. Allora la democrazia era possibile grazie agli schiavi che si occupavano delle faccende di prima necessità, lasciando così del tempo libero ai loro padroni che si sarebbero potuti occupare di politica, oggi non è più possibile.
Rousseau, al contrario di Sieyes, sosteneva la superiorità del regime democratico. Il filosofo proponeva, se non la democrazia diretta, applicabile in piccoli stati, assemblee di deputati sottoposti al continuo controllo del popolo, avvicendamenti ravvicinati nel tempo, a intervalli di non di più di due anni, affinchè non si creasse una sorta di “casta” dei politici. Inoltre ci doveva essere una ratifica popolare delle loro decisioni e la possibilità di revoca in ogni momento.
 
L’assemblea dei rappresentanti agiva in nome della nazione. La volontà dell’assemblea si esprimeva attraverso la legge, quindi la legge fu definita “espressione della volontà generale della nazione”. Dalla rivoluzione francese in poi, la legge non è più l’accordo tra il principe e certi suoi sudditi. E’ invece un comando assoluto, che proviene da una volontà generale e non ha di fronte a sè contraenti, ma sottoposti, obbligati a osservarla senza nulla pretendere in cambio. Nella legge si esprima la concentrazione illimitata del potere politico. Disponendo di così alto potere,il legislatore rivoluzionario ( Napoleone ) poté portare a compimento ciò che nessun re aveva appena sfiorato,cioè l’unificazione giuridica dello stato.
La legge è generale perchè tratta tutti i cittadini allo stesso modo, senza distinzione di condizioni sociali. Nessun privilegio è più ammesso. Ciò significa che la legge generale coincide con l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: la legge è uguale per tutti. Il grande principio dell’uguaglianza giuridica inoltre è ambivalente. Infatti esso può tradursi in uguaglianza nella pari libertà, cioè in una società aperta, in cui si presuppone anche l’esistenza di un potere autoritario ed incontrastato, il quale non subisca pressioni da altri poteri o da richieste particolari.
Diritti "naturali" Derivano dalla natura stessa dell’uomo; non sono creati dallo Stato Fondato a partire dai cittadini e dai loro diritti, e non viceversa Deve provvedere alla difesa stessa dei diritti contro possibili attentati Costituzione attraverso la
Costituzione È lo strumento per “limitare” lo Stato e “liberare” la società assicurandone i diritti (garantismo costituzionale) Criterio per giudicare la correttezza dei governanti "Le società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non hanno costituzione" (Art. 16 della  Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino  del 1789)
 
Separazione dei poteri Legislativo Esecutivo Giudiziario assegnati a organi distinti permette la creazione di un “governo temperato” e quindi la salvaguardia dei diritti naturali dell’uomo (vita, libertà, proprietà)
Separazione dei poteri   Principio di legalità  : preminenza della legge sugli atti esecutivi e giurisdizionali > controllo della legalità   Scopo della rivoluzione francese  : rovesciare l’assetto politico dell’Antico regime > onnipotenza legislatore (paradosso)
Alexander Hamilton  ( Nevis, 11 gennaio1757 – New York, 12 luglio 1804 ) fu  un politico, militare ed economista statunitense. Ritenuto uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario al Tesoro della nuova nazione americana. Ritratto sul biglietto da dieci dollari, è l'unico, assieme a Benjamin Franklin, ad avere il privilegio di apparire su una banconota comune, pur non essendo stato Presidente degli Stati Uniti.
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La Corte costituzionale è una istituzione creata in tempi relativamente   recenti, soprattutto sulla base delle elaborazioni teoriche di un grande giurista   democratico austriaco, Hans Kelsen.  Alle Corti supreme o alle Corti costituzionali spetta il compito di garantire,  in modo indipendente ed imparziale, l’osservanza della Costituzione. Quando l’Assemblea costituente italiana si accinse ad elaborare il testo della Costituzione fece una scelta di fondo: attribuire alla nuova Costituzione una forza “superlegislativa”, così che le leggi “ordinarie” non potessero modificarla né derogare ad essa.
Nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente approvò la  legge costituzionale n. 1 del 1948, che stabilisce chi e come può ricorrere alla Corte.  Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale,  che si insediò nel palazzo della Consulta e si diede la prima necessaria organizzazione,  emanando anche le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti:  le cosiddette “Norme integrative”.  Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione,  finalmente  la Corte era in grado di funzionare. Il 23 aprile 1956 si tenne la prima udienza pubblica  della Corte, presieduta dal suo primo Presidente,  Enrico De Nicola. Busto bronzeo di Enrico De Nicola primo Presidente della Corte Costituzionale già primo Presidente della Repubblica.
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PRESIDENTE La Corte elegge fra i propri componenti il Presidente, che dura in carica tre anni ed è rieleggibile. E’ eletto dai giudici a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta, e non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti, quando il suo voto vale doppio. ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA La Corte dispone della propria sede e di un bilancio autonomo alimentato da fondi provenienti dal bilancio dello Stato (52,7 milioni di euro per il 2009).
La Corte è chiamata a controllare se gli atti  legislativi siano stati formati con i procedimenti richiesti dalla Costituzione (cosiddetta costituzionalità formale) e se il loro contenuto sia conforme ai princìpi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale). Atti legislativi: dunque leggi dello Stato, ma anche decreti legislativi delegati (deliberati dal Governo su delega delle Camere), decreti-legge ed anche leggi delle Regioni e delle province autonome, le quali, nel nostro sistema costituzionale, dispongono di una propria potestà legislativa.  Non sono invece soggetti al controllo della Corte, sotto questo profilo, gli atti normativi subordinati alla legge, come i regolamenti: tali atti sono soggetti al controllo di legittimità (cioè della loro conformità alla legge) svolto dai giudici comuni.
Quando è sollevata una questione di costituzionalità di una norma di legge, la Corte conclude il suo giudizio, se la questione è ritenuta fondata, con una pronuncia di accoglimento, che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, oppure con una pronuncia di rigetto, che dichiara la questione non fondata. La questione può essere ritenuta invece non ammissibile, quando mancano i requisiti necessari per sollevarla. Se la sentenza è di accoglimento, cioè dichiara l’illegittimità costituzionale della legge, questa perde automaticamente di efficacia. È molto frequente che la Corte respinga un dubbio di costituzionalità non perché esso, così come formulato dal giudice comune, sia privo di fondamento, ma perché è da respingere l’interpretazione che il giudice ha dato della disposizione impugnata, una disposizione che, se interpretata in altro modo, non presenta il vizio denunciato.
Le decisioni della Corte costituzionale assumono la forma delle decisioni giurisdizionali tipiche:  sentenze  (decisioni di merito),  ordinanze  (decisioni processuali),  decreti  (decisioni procedurali). Posta la modesta rilevanza esterna dei decreti, si può quindi affermare che le pronunce della Corte si possano distinguere in due categorie: le sentenze di accoglimento e le decisioni di rigetto (siano esse di merito o processuali). Decisioni di natura processuale  Per quanto riguarda le  decisioni processuali , esse si basano su considerazioni che non consentono di passare all'esame del merito della questione di legittimità costituzionale. Nella giurisprudenza della Consulta, si può notare come esse assumano promiscuamente la forma delle sentenze o delle ordinanze, non contando tanto la forma stessa, quanto il motivo che sta alla base della decisione di non passare al merito, e presentano in alcuni casi un carattere sostanzialmente decisorio.
Decisioni di merito  Possono essere divise in  sentenze di accoglimento , tramite le quali la Corte si pronuncia sia sulla questione che sulla legge, e  decisioni di rigetto , le quali invece si pronunciano solo sulla questione, in quanto non spetta alla Corte un generale potere di esternazione della costituzionalità o incostituzionalità delle leggi, ma solo un potere repressivo dell'incostituzionalità. Decisioni interpretative  Nelle  decisioni interpretative  la Corte si pronuncia non sulla disposizione di legge nel significato normativo individuato dal giudice  a quo , bensì su un diverso significato normativo che essa stessa ritiene contenuto nella disposizione impugnata.  Le decisioni interpretative di rigetto si dicono  correttive  quando la Corte «corregge» l'interpretazione fornita dal giudice  a quo  la quale si discosta dal diritto vivente; si dicono invece  adeguatrici  quando la Corte individua nella disposizione impugnata dal giudice  a quo  un diverso significato, eventualmente anche contrario al diritto vivente, ma conforme al dettato costituzionale. Le sentenze interpretative di accoglimento, invece, le quali sostanzialmente si basano sullo schema di una doppia pronuncia, vengono adottate soprattutto nelle ipotesi in cui si mantenga un diritto vivente difforme a una precedente decisione interpretativa di rigetto.
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È in camera di consiglio che si svolge la discussione tra i giudici per la decisione delle questioni. La Corte si riunisce in camera di consiglio, di regola, ogni due settimane, in concomitanza con l’udienza pubblica. Si inizia con l’esposizione del relatore e si continua con la discussione, prima sull’ammissibilità stessa e poi sul merito. Quindi intervengono gli altri giudici e per ultimo il Presidente.  Il relatore può intervenire a dare risposte a singoli interventi, oppure intervenire soltanto alla fine traendo il risultato della discussione e formulando le sue proposte finali. La prassi della Corte è di decidere sulla proposta finale del relatore. Tutti i giudici presenti alla discussione debbono votare a favore o contro la proposta messa ai voti: non è consentito astenersi.
La Corte non è una assemblea politica, ma non è neppure un asettico consesso di tecnici che si pronunciano su questioni che interessano solo gli specialisti. I suoi giudici non vengono chiamati a esercitare il loro compito dal voto degli elettori, ma non sono lontani ed estranei alla vita democratica del paese e ai suoi problemi, molti dei quali si manifestano anche come problemi di costituzionalità. E la Costituzione è lo strumento che, nel mutevole volgersi delle decisioni e degli indirizzi politici, e nel permanente rinnovarsi del confronto sociale, serve a mantenere saldi e stabili i riferimenti comuni a tutti, maggioranze e minoranze, necessari per il paese. L’intervento di garanzia della Corte costituzionale non è espressione dunque di un’arbitraria volontà che si impone a tutti ma vale a garantire il rispetto, da parte di chi forma e applica la legge, dei confini oltre i quali tale saggezza sarebbe perduta. Nel continuo e mutevole confronto nei vari ambiti della giurisprudenza, della politica, della cultura e della società, la giustizia costituzionale rappresenta una espressione fondamentale dello spirito e degli ideali che il nostro Paese si è dato con la Costituzione.
Realizzazione a cura di: Basile Martina Bastianon Federico Bincoletto Giorgia Carozzi Francesca Dal Pozzo Martina Dalfovo Alice Dugo Sara Durigon Giacomo Feltrin Silvia Fontana Leonardo Gatto Francesco Kovacevic Ivan Marino Eugenio Mattiuzzo Gabriele Pezzato Mattia Piccolo Damiano Ricci Elettra Rusalem Luca Scinni Alessandra Vendrame Valentina Vidotto Luca Viscuso Chiara Zago Dario Zaniol Giovanni

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Lavoro costituzione 4 n

  • 1. LE GARANZIE COSTITUZIONALI Partendo dallo studio e dalle riflessioni su quel convulso periodo storico che ha visto l’affermarsi della rivoluzione francese, ci è venuto spontaneo chiederci: una volta riconosciuto che la sovranità appartiene al popolo e una volta compreso che per governarsi il popolo deve pattuire un corpo di regole da rispettare cioè deve darsi una Costituzione, cosa succede se la maggioranza del popolo, abusando del proprio potere, approva una legge non conforme o contraria al patto costituzionale? C’è un organo adibito a custode della Costituzione, oppure la maggioranza o i suoi rappresentanti detengono un potere assoluto? Già l’abate Seyes durante il regime del Termidoro e dopo la parentesi terribile della dittatura giacobina aveva avuto modo di sottolineare che “una Costituzione è un corpo di leggi obbligatorie, oppure non è niente. Se è un corpo di leggi, ci si domanda dove sarà il guardiano, dove sarà la magistratura di questo codice”. Su tale base, si prospettava l’istituzione di un jury constitutionaire , volto a vigilare sul rispetto della Costituzione. Tuttavia l’invito di Seyes resterà lettera morta. Per cercare il vero momento fondativo del sindacato di costituzionalità abbiamo rivolto la nostra attenzione a quanto, più o meno nello stesso periodo, stava avvenendo nei neo-nati Sati Uniti d’America dove dalle pagine del Federalist Alexander Hamilton si faceva promotore di una battaglia per riconoscere la Costituzione come legge fondamentale dello Stato e quindi tale da non poter essere modificata con delle semplici leggi ordinarie, battaglia che coglierà i suoi frutti concretizzandosi in una sentenza epocale durante il caso Marbury vs Madison del 1803. Mentre in Europea bisognerà aspettare il contributo dato dal giurista Hans Kelsen all’inizio del ‘900, che sottolineerà con forza l’importanza e la necessità che siano previsti organi di garanzia costituzionale. Dopo aver ripercorso queste tappe decisive ci siamo rivolti ad analizzare in dettaglio lo strumento di garanzia della nostra Costituzione: la Corte costituzionale.
  • 2. Il nostro lavoro ci ha condotto a queste considerazioni conclusive.   Le moderne costituzioni nascono e vengono scritte per fissare limiti al potere di chi comanda, per definire i modi e le condizioni in cui l’autorità deve essere esercitata e per fissare i diritti dei soggetti nei confronti dell’autorità, che non può violarli. Esemplare a tal proposito l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: “Un popolo, che non riconosce i diritti dell’uomo e non attua la divisione dei poteri, non ha Costituzione”. L’idea di base è sempre quella del potere limitato, e dunque non più assoluto : ossia di un potere che venga esercitato entro dei limiti previsti dalla Costituzione e pertanto detti di costituzionalità. Nelle monarchie, le costituzioni sorgono proprio per porre limiti al potere sovrano, che resta detentore di un potere di vertice, anche se non più assoluto. Ma anche dove si afferma pienamente il principio democratico, e dunque la sovranità è attribuita per intero al popolo, la Costituzione ha il compito di regolare e dunque limitare il potere sovrano, distribuendolo fra le diverse autorità e stabilendo le condizioni e i limiti del suo legittimo esercizio. Così si esprime ad es. l’art. 1, comma 2, della nostra Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ”: nelle forme, cioè con le procedure stabilite, ma anche nei limiti. Ma, si potrebbe dire, se la sovranità appartiene al popolo, il popolo può anche cambiare la Costituzione, e ha diritto di cambiarla. In effetti le Costituzioni prevedono di solito anche il modo in cui possono essere modificate. Però è normale che le procedure attraverso cui ciò può avvenire siano più complesse e difficili da realizzare di quanto non siano le normali procedure legislative.
  • 3. Siamo dunque, sembrerebbe, di fronte ad un paradosso. La Costituzione, frutto della volontà del popolo sovrano, pretende di limitare il potere dello stesso popolo di modificarla in via legale. In realtà una tale contraddizione sussisterebbe e avrebbe ragion d’essere solo se si parte dal presupposto che la sovranità del popolo è assoluta. Ma il costituzionalismo è qualcosa di più e di diverso dell’assolutismo democratico. La Costituzione nasce sì per regolare le forme di esercizio del potere attribuito al popolo, ma anche, o ancor prima, per fissare i confini di questo potere, dunque per limitarlo. Anche il popolo sovrano non può e non deve essere un sovrano assoluto. Nessun sovrano, dunque neanche il popolo. Si potrebbe dire: se c’è un sovrano assoluto, sia pure esso il popolo, non c’è Costituzione. La Costituzione contiene le regole attraverso cui la maggioranza può decidere, ma anche i principi da cui la stessa maggioranza non può discostarsi, a tutela di valori e interessi che non sono appannaggio della sola maggioranza. Ebbene, la nascita di organi di garanzia quali sono le corti costituzionali ha segnato la fine del mito della sovranità parlamentare assoluta che aveva dominato, dall’epoca della Rivoluzione francese, nei regimi rappresentativi. Il controllo di costituzionalità fa sì che nessun organo dello Stato, nemmeno il Parlamento, disponga di un potere illimitato; che anche il potere politico più elevato sia assoggettato a regole.  
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  • 8. Democrazia e rappresentanza sono diverse fra loro. La democrazia, come potere del popolo, richiede identità tra governanti e governati; la rappresentanza si basa invece su un dualismo tra gli uni e gli altri. Il rappresentante è colui che parla in nome di un altro e con i suoi atti può obbligarlo; la democrazia è invece decisione del popolo. Essa può essere di due tipi : diretta o indiretta. Si ha democrazia diretta quando è il popolo stesso che delibera le leggi ( ad es. Il referendum ), si ha invece democrazia indiretta quando a deliberare le leggi sono i portavoce, eletti dal popolo, che si riuniscono in delle assemblee nelle quali sono obbligati ad esprimere la volontà del popolo. Al contrario il regime rappresentativo presuppone il fatto che il popolo sia incapace di gestire i propri interessi e quindi se ne occupi qualcun’altro da lui eletto.
  • 9. Il funzionamento del regime rappresentativo richiede che vi sia un gruppo di persone che si occupi costantemente di politica e che di questa ne faccia una professione. Sieyes diceva che la politica è un mestiere. Inoltre era un sostenitore della rappresentanza e non, come Rousseau, della democrazia.
  • 10. Sieyes sosteneva che la concezione democratica, che presuppone un popolo politicamente competente e disposto a dedicare tutto il suo impegno alla politica, era una visione idealistica e pericolosa. Inoltre riteneva che il regime rappresentativo fosse superiore al regime democratico. Il problema non era tanto quello di tenere unito il popolo nei grandi stati, quanto l’incapacità politica della massa degli uomini a gestire la cosa pubblica. Negli stati moderni la gente non ha più la possibilità di dedicarsi alla gestione della “res pubblica”, secondo l’antico ideale della democrazia ateniese. Allora la democrazia era possibile grazie agli schiavi che si occupavano delle faccende di prima necessità, lasciando così del tempo libero ai loro padroni che si sarebbero potuti occupare di politica, oggi non è più possibile.
  • 11. Rousseau, al contrario di Sieyes, sosteneva la superiorità del regime democratico. Il filosofo proponeva, se non la democrazia diretta, applicabile in piccoli stati, assemblee di deputati sottoposti al continuo controllo del popolo, avvicendamenti ravvicinati nel tempo, a intervalli di non di più di due anni, affinchè non si creasse una sorta di “casta” dei politici. Inoltre ci doveva essere una ratifica popolare delle loro decisioni e la possibilità di revoca in ogni momento.
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  • 13. L’assemblea dei rappresentanti agiva in nome della nazione. La volontà dell’assemblea si esprimeva attraverso la legge, quindi la legge fu definita “espressione della volontà generale della nazione”. Dalla rivoluzione francese in poi, la legge non è più l’accordo tra il principe e certi suoi sudditi. E’ invece un comando assoluto, che proviene da una volontà generale e non ha di fronte a sè contraenti, ma sottoposti, obbligati a osservarla senza nulla pretendere in cambio. Nella legge si esprima la concentrazione illimitata del potere politico. Disponendo di così alto potere,il legislatore rivoluzionario ( Napoleone ) poté portare a compimento ciò che nessun re aveva appena sfiorato,cioè l’unificazione giuridica dello stato.
  • 14. La legge è generale perchè tratta tutti i cittadini allo stesso modo, senza distinzione di condizioni sociali. Nessun privilegio è più ammesso. Ciò significa che la legge generale coincide con l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: la legge è uguale per tutti. Il grande principio dell’uguaglianza giuridica inoltre è ambivalente. Infatti esso può tradursi in uguaglianza nella pari libertà, cioè in una società aperta, in cui si presuppone anche l’esistenza di un potere autoritario ed incontrastato, il quale non subisca pressioni da altri poteri o da richieste particolari.
  • 15. Diritti "naturali" Derivano dalla natura stessa dell’uomo; non sono creati dallo Stato Fondato a partire dai cittadini e dai loro diritti, e non viceversa Deve provvedere alla difesa stessa dei diritti contro possibili attentati Costituzione attraverso la
  • 16. Costituzione È lo strumento per “limitare” lo Stato e “liberare” la società assicurandone i diritti (garantismo costituzionale) Criterio per giudicare la correttezza dei governanti "Le società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non hanno costituzione" (Art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789)
  • 17.  
  • 18. Separazione dei poteri Legislativo Esecutivo Giudiziario assegnati a organi distinti permette la creazione di un “governo temperato” e quindi la salvaguardia dei diritti naturali dell’uomo (vita, libertà, proprietà)
  • 19. Separazione dei poteri Principio di legalità : preminenza della legge sugli atti esecutivi e giurisdizionali > controllo della legalità Scopo della rivoluzione francese : rovesciare l’assetto politico dell’Antico regime > onnipotenza legislatore (paradosso)
  • 20. Alexander Hamilton ( Nevis, 11 gennaio1757 – New York, 12 luglio 1804 ) fu un politico, militare ed economista statunitense. Ritenuto uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario al Tesoro della nuova nazione americana. Ritratto sul biglietto da dieci dollari, è l'unico, assieme a Benjamin Franklin, ad avere il privilegio di apparire su una banconota comune, pur non essendo stato Presidente degli Stati Uniti.
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  • 34. La Corte costituzionale è una istituzione creata in tempi relativamente recenti, soprattutto sulla base delle elaborazioni teoriche di un grande giurista democratico austriaco, Hans Kelsen. Alle Corti supreme o alle Corti costituzionali spetta il compito di garantire, in modo indipendente ed imparziale, l’osservanza della Costituzione. Quando l’Assemblea costituente italiana si accinse ad elaborare il testo della Costituzione fece una scelta di fondo: attribuire alla nuova Costituzione una forza “superlegislativa”, così che le leggi “ordinarie” non potessero modificarla né derogare ad essa.
  • 35. Nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente approvò la legge costituzionale n. 1 del 1948, che stabilisce chi e come può ricorrere alla Corte. Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale, che si insediò nel palazzo della Consulta e si diede la prima necessaria organizzazione, emanando anche le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti: le cosiddette “Norme integrative”. Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, finalmente la Corte era in grado di funzionare. Il 23 aprile 1956 si tenne la prima udienza pubblica della Corte, presieduta dal suo primo Presidente, Enrico De Nicola. Busto bronzeo di Enrico De Nicola primo Presidente della Corte Costituzionale già primo Presidente della Repubblica.
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  • 38. PRESIDENTE La Corte elegge fra i propri componenti il Presidente, che dura in carica tre anni ed è rieleggibile. E’ eletto dai giudici a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta, e non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti, quando il suo voto vale doppio. ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA La Corte dispone della propria sede e di un bilancio autonomo alimentato da fondi provenienti dal bilancio dello Stato (52,7 milioni di euro per il 2009).
  • 39. La Corte è chiamata a controllare se gli atti legislativi siano stati formati con i procedimenti richiesti dalla Costituzione (cosiddetta costituzionalità formale) e se il loro contenuto sia conforme ai princìpi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale). Atti legislativi: dunque leggi dello Stato, ma anche decreti legislativi delegati (deliberati dal Governo su delega delle Camere), decreti-legge ed anche leggi delle Regioni e delle province autonome, le quali, nel nostro sistema costituzionale, dispongono di una propria potestà legislativa. Non sono invece soggetti al controllo della Corte, sotto questo profilo, gli atti normativi subordinati alla legge, come i regolamenti: tali atti sono soggetti al controllo di legittimità (cioè della loro conformità alla legge) svolto dai giudici comuni.
  • 40. Quando è sollevata una questione di costituzionalità di una norma di legge, la Corte conclude il suo giudizio, se la questione è ritenuta fondata, con una pronuncia di accoglimento, che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, oppure con una pronuncia di rigetto, che dichiara la questione non fondata. La questione può essere ritenuta invece non ammissibile, quando mancano i requisiti necessari per sollevarla. Se la sentenza è di accoglimento, cioè dichiara l’illegittimità costituzionale della legge, questa perde automaticamente di efficacia. È molto frequente che la Corte respinga un dubbio di costituzionalità non perché esso, così come formulato dal giudice comune, sia privo di fondamento, ma perché è da respingere l’interpretazione che il giudice ha dato della disposizione impugnata, una disposizione che, se interpretata in altro modo, non presenta il vizio denunciato.
  • 41. Le decisioni della Corte costituzionale assumono la forma delle decisioni giurisdizionali tipiche: sentenze (decisioni di merito), ordinanze (decisioni processuali), decreti (decisioni procedurali). Posta la modesta rilevanza esterna dei decreti, si può quindi affermare che le pronunce della Corte si possano distinguere in due categorie: le sentenze di accoglimento e le decisioni di rigetto (siano esse di merito o processuali). Decisioni di natura processuale Per quanto riguarda le decisioni processuali , esse si basano su considerazioni che non consentono di passare all'esame del merito della questione di legittimità costituzionale. Nella giurisprudenza della Consulta, si può notare come esse assumano promiscuamente la forma delle sentenze o delle ordinanze, non contando tanto la forma stessa, quanto il motivo che sta alla base della decisione di non passare al merito, e presentano in alcuni casi un carattere sostanzialmente decisorio.
  • 42. Decisioni di merito Possono essere divise in sentenze di accoglimento , tramite le quali la Corte si pronuncia sia sulla questione che sulla legge, e decisioni di rigetto , le quali invece si pronunciano solo sulla questione, in quanto non spetta alla Corte un generale potere di esternazione della costituzionalità o incostituzionalità delle leggi, ma solo un potere repressivo dell'incostituzionalità. Decisioni interpretative Nelle decisioni interpretative la Corte si pronuncia non sulla disposizione di legge nel significato normativo individuato dal giudice a quo , bensì su un diverso significato normativo che essa stessa ritiene contenuto nella disposizione impugnata. Le decisioni interpretative di rigetto si dicono correttive quando la Corte «corregge» l'interpretazione fornita dal giudice a quo la quale si discosta dal diritto vivente; si dicono invece adeguatrici quando la Corte individua nella disposizione impugnata dal giudice a quo un diverso significato, eventualmente anche contrario al diritto vivente, ma conforme al dettato costituzionale. Le sentenze interpretative di accoglimento, invece, le quali sostanzialmente si basano sullo schema di una doppia pronuncia, vengono adottate soprattutto nelle ipotesi in cui si mantenga un diritto vivente difforme a una precedente decisione interpretativa di rigetto.
  • 43.
  • 44. È in camera di consiglio che si svolge la discussione tra i giudici per la decisione delle questioni. La Corte si riunisce in camera di consiglio, di regola, ogni due settimane, in concomitanza con l’udienza pubblica. Si inizia con l’esposizione del relatore e si continua con la discussione, prima sull’ammissibilità stessa e poi sul merito. Quindi intervengono gli altri giudici e per ultimo il Presidente. Il relatore può intervenire a dare risposte a singoli interventi, oppure intervenire soltanto alla fine traendo il risultato della discussione e formulando le sue proposte finali. La prassi della Corte è di decidere sulla proposta finale del relatore. Tutti i giudici presenti alla discussione debbono votare a favore o contro la proposta messa ai voti: non è consentito astenersi.
  • 45. La Corte non è una assemblea politica, ma non è neppure un asettico consesso di tecnici che si pronunciano su questioni che interessano solo gli specialisti. I suoi giudici non vengono chiamati a esercitare il loro compito dal voto degli elettori, ma non sono lontani ed estranei alla vita democratica del paese e ai suoi problemi, molti dei quali si manifestano anche come problemi di costituzionalità. E la Costituzione è lo strumento che, nel mutevole volgersi delle decisioni e degli indirizzi politici, e nel permanente rinnovarsi del confronto sociale, serve a mantenere saldi e stabili i riferimenti comuni a tutti, maggioranze e minoranze, necessari per il paese. L’intervento di garanzia della Corte costituzionale non è espressione dunque di un’arbitraria volontà che si impone a tutti ma vale a garantire il rispetto, da parte di chi forma e applica la legge, dei confini oltre i quali tale saggezza sarebbe perduta. Nel continuo e mutevole confronto nei vari ambiti della giurisprudenza, della politica, della cultura e della società, la giustizia costituzionale rappresenta una espressione fondamentale dello spirito e degli ideali che il nostro Paese si è dato con la Costituzione.
  • 46. Realizzazione a cura di: Basile Martina Bastianon Federico Bincoletto Giorgia Carozzi Francesca Dal Pozzo Martina Dalfovo Alice Dugo Sara Durigon Giacomo Feltrin Silvia Fontana Leonardo Gatto Francesco Kovacevic Ivan Marino Eugenio Mattiuzzo Gabriele Pezzato Mattia Piccolo Damiano Ricci Elettra Rusalem Luca Scinni Alessandra Vendrame Valentina Vidotto Luca Viscuso Chiara Zago Dario Zaniol Giovanni