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1 ALLENAMENTO E PRESTAZIONE
NELL’ATLETA DI ALTO LIVELLO.
APPLICAZIONE PRATICA:
LA PROGRAMMAZIONE
Jean Claude Chatard
Laboratorio di fisiologia, Facoltà di medicina, Università di Saint-Etienne
15 Rue Ambroise Paré, 42 023 Saint-Etienne Cedex 2
chatard@univ-st-etienne.fr
ALLENAMENTO E PRESTAZIONE NELL’ATLETA DI ALTO LIVELLO
Rigoletto
Introduzione
Nello sport il carico di allenamento molto spesso viene definito attraverso il volume,
l’intensità, la frequenza delle sedute e il lavoro specifico, come la muscolazione.
Il nostro primo obiettivo è realizzare una rassegna, tra questi fattori, di quelli che
sono più correlati con le variazioni di rendimento (prestazione) misurate in gara.
Il secondo è determinare quale sia la parte di adattamento individuale all’allenamento e quali sono le applicazioni pratiche per la pratica dell’allenamento.
La misura del carico di allenamento
Il volume medio di allenamento dei nuotatori di alto livello va da 10 km ad addirittura 18 km al giorno, distribuiti in due o tre sedute di allenamento quotidiane
(Costill 1985; Maglischo 1982). L’intensità, calcolata in base alla relazione velocità di nuotata/concentrazione di lattato ematico viene divisa in cinque livelli
rispetto alla soglia d’accumulo del lattato ematico:
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I zona d’intensità: velocità di nuotata inferiore a 4 mmol/l,
II zona d’intensità: velocità di nuotata vicina alle 4 mmol/l;
III zona d’intensità: velocità di nuotata vicina a 6 mmol/l;
IV zona d’intensità: velocità di nuotata vicina alle 10 mmol/l;
V zona d’intensità: velocità massima di sprint.
La frequenza delle sedute è quantificata sia attraverso il numero delle sedute sia
attraverso il numero delle semigiornate di riposo.
Durante una stagione completa di allenamento di diciotto nuotatori francesi di
livello internazionale, Mujika et al. (1995) hanno misurato valori medi di allenamento di 1126±222 km per quanto riguardava il volume, 316±44 semigiornate
per il riposo e di 1108±828 min per l’allenamento di muscolazione a secco. La
figura 1 mostra la percentuale nuotata a ogni zona d’intensità.
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1 LA FATICA: MECCANISMI E CONSEGUENZE
Charles-Yannick Guezennec
IMASSA-Brétigny sur Orge
cyguezennec@imassa.fr
La fatica
LA FATICA: MECCANISMI E CONSEGUENZE
Rigoletto
La fatica può essere definita uno stato che è il risultato di costrizioni fisiologiche
e psicologiche che provocano una diminuzione delle prestazioni fisiche o mentali.
Essa è stata da tempo temuta per le conseguenze che provoca come la diminuzione del rendimento nell’industria, la diminuzione delle prestazioni o l’aumento
del tasso di infortuni nello sport, ed è vissuta da chi è affaticato come: “sensazione di una diminuzione delle proprie capacità fisiche e/o intellettuali”.
La fatica che interessa l’atleta è una fatica immediata che colpisce individui sani,
le cui origini sono identificabili ed è percepita come normale. Compare rapidamente ed è di breve durata quando l’atleta si può riposare. Quindi, ha un ruolo
protettivo in quanto avverte l’individuo della necessità di recuperare. Può diventare cronica nello stato di superallenamento, nel qual caso diventa patologica.
La fatica prodotta dal lavoro muscolare
Questa componente della fatica è quella meglio conosciuta sul piano fisiologico.
Comprende una componente periferica metabolica, una componente endocrina e
una componente centrale.
La componente periferica si basa sulla descrizione dei fenomeni metabolici e ionici prodotti dal lavoro muscolare. Questi fenomeni provocano una diminuzione
della capacità contrattile dei muscoli scheletrici. I meccanismi sono diversi secondo la durata e l’intensità della contrazione muscolare.
1. La componente metabolica
I fattori metabolici della fatica evolvono secondo la durata e l’intensità dell’esercizio
muscolare. Negli esercizi brevi e intensi esistono due elementi che concorrono alla
diminuzione delle capacità contrattili del muscolo scheletrico, ovvero la variazione
delle riserve di fosfageni e le modificazioni degli equilibri ionici. Si tratta, essenzialmente, di un accumulo intramuscolare di fosforo inorganico, di un aumento del
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1 LA REIDRATAZIONE IN ALLENAMENTO
E IN GARA
Jean Marc Lavoie
Dipartimento di cinesiologia, Università di Montréal
Montréal, Canada
Jean-marc.lavoie@Umontreal.CA
LA REIDRATAZIONE IN ALLENAMENTO E IN GARA
Rigoletto
Il tasso di sudorazione durante l’attività di allenamento o di gara può facilmente
essere superiore a 1 l/h (per un rewiew in francese, cfr. Gauthier, Lavoie 2000). Se
si considera che la disidratazione (1,2% del peso corporeo) provoca una diminuzione del rendimento durante un esercizio fisico, per quanto possibile è essenziale
evitare che si produca. Ciò richiede una strategia particolare di sostituzione dei
fluidi durante l’esercizio, ma anche prima e dopo di esso.
L’idratazione nella situazione precedente
all’esercizio fisico
Per garantire che l’esercizio sia iniziato senza una carenza di liquidi, l’ACSM
(American College of Sports Madicine) (1996) raccomanda d’assumere da 400 e
600 ml di acqua, due ore prima del suo inizio. Questo lasso di tempo dovrebbe
permettere all’atleta di eliminare i liquidi in eccesso con l’urina. Queste raccomandazioni, però, sono molto generali e i bisogni dell’atleta potrebbero essere
notevolmente maggiori, soprattutto nel caso di temperatura esterna calda, di un
tasso elevato di umidità e quando è stata prodotta una grande quantità di sudore
nelle due ore che precedono l’allenamento o la gara (Galloway 1999). Inoltre, per
la sua capacità di favorire l’assorbimento e la ritenzione dell’acqua potrebbe
essere preferibile assumere una soluzione contenente glucidi ed elettroliti (Galloway 1999).
La reintegrazione dei liquidi durante l’esercizio
Sembra che i benefici di una buona idratazione durante l’esercizio siano ottimali
quando l’assunzione di liquidi equivale alla perdita di sudore (Noakes 1993). La
sete, purtroppo, non è un buon indicatore del fabbisogno di liquidi durante l’esercizio fisico (Horswill 1998). E l’ingestione ad libitum di liquidi raramente equivale
alle perdite (Noakes 1993). Ciò mette evidenzia l’importanza di una strategia efficace di reintegrazione dei liquidi.
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1 ELETTROSTIMOLAZIONE E RECUPERO
Guillaume Millet
Laboratorio di fisiologia dell’esercizio, Università Jean Monnet, Saint-Etienne
Guillaume.millet @univ-st.etienne.fr
Introduzione
ELETTROSTIMOLAZIONE E RECUPERO
Rigoletto
Gli effetti positivi dell’elettrostimolazione nel trattamento di patologie molto diverse come l’incontinenza, i disturbi delle vie respiratorie superiori (Grill 2001) o per il
ricondizionamento nei trapianti cardiaci (Maillefert 1998) sono noti. L’elettrostimolazione è stata anche utilizzata con successo nel trattamento del dolore (Walsh et
al. 1995), la rieducazione motoria (Burridge, Ladouceur 2001) e il miglioramento
della forza e della resistenza del muscolo scheletrico di soggetti paralizzati (Martin
1992).
Dopo varie settimane di allenamento con elettrostimolazione, in un soggetto sano
sono stati misurati aumenti di forza e/o della prestazione in esercizi d’intensità elevata (ad esempio, Maffiuletti 2000). Questo metodo non permette incrementi di
forza superiori a quelli prodotti dalla ripetizione di contrazioni muscolari volontarie,
ma sembra che un allenamento con elettrostimolazione e un programma con contrazioni volontarie siano complementari (Duchateau 1992). È noto che su animali l’applicazione sul nervo motorio da 8 a 24 ore al giorno, per alcune settimane, di correnti
elettriche con frequenza da 5 a 1 Hz è in grado di cambiare completamente la tipologia muscolare (ad esempio, Hicks et al. 1997). Più recentemente, nell’uomo, si è
dimostrato che l’elettrostimolazione poteva aumentare il potenziale ossidativo (Gauthier et al. 1992), la resistenza alla fatica (Thériault et al. 1996) e anche modificare
parzialmente la tipologia delle fibre nel senso di un aumento della percentuale di
fibre di II tipo (Nuhr et al. 2003), malgrado durate di stimolazione quotidiana molto
minori. Oltre ai programmi di sviluppo della forza e della resistenza la maggioranza
degli apparecchi per l’elettrostimolazione propongono uno o più programmi di recupero. Questa pratica è infatti diffusa in numerose discipline, anche ad alto livello. Le
ricerche che dimostrano la fondatezza di questo metodo sono scarse. Questo lavoro
si pone l’obiettivo di fare il punto su quale sia l’interesse dell’elettrostimolazione per
il recupero dell’atleta. Non tratteremo il ruolo potenziale dell’elettrostimolazione per
il trattamento dell’atleta infortunato (su questo cfr. Bussières, Brual 2001).