All'alba della crisi che stiamo ancora vivendo, una riflessione sui segnali che indicavano un crescente bisogno di stringersi in comunità a rete, con lo scopo di cooperare piuttosto che competere. Un cambio di paradigma che sta accelerando, grazie anche alle giovani generazioni dei nativi digitali.
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Voglia di community
di Barbara Principi, Partner Mindlab
Gli italiani sono un popolo di individualisti, ce lo ripetiamo spesso, magari con aria sconsolata
scuotendo un po' la testa: pensiamo sempre che far da soli sia meglio e non ci fidiamo molto del
vicino. Magari sappiamo in teoria che sarebbe meglio giocare più di squadra, ma poi, quando si
passa ai fatti... ognuno per conto suo.
Eppure mi pare che qualcosa stia cambiando.
Sarà perchè i tempi sono incerti e il gruppo rassicura, sarà perché gli scenari sono così complessi
che per comporre il puzzle senti il bisogno dei punti di vista di altri, comunque sia, per questa ed
altre svariate ragioni, mi giungono da molte parti segnali della voglia crescente di unirsi, costituire
piccole e grandi comunità, network di interessi personali e professionali, collegamenti facilitati
anche dalle tecnologie web, pur mantenendo la propria autonomia.
Lasciando da parte i social network modello Face Book, preferisco focalizzare l'attenzione su
quanto sta avvenendo nel mondo del business, dell'impresa e delle professioni ed offrirvi alcuni
esempi: a me sembra che, mettendo insieme i puntini, come nel gioco della settimana enigmistica,
si possa cogliere il disegno di una nuova o rinnovata volontà di unione.
Dal networking virtuale alla community reale
Mentre da più parti si parla di crisi dell'associazionismo formale, si creano invece gruppi auto
organizzati che si ritrovano intorno a temi di comune interesse: il passaggio rispetto alle prime fasi
del networking virtuale è che tali gruppi organizzano eventi in cui è possibile realizzare l'incontro
fisico.
LinkedIn è un professional network nato in ambito anglosassone e che originariamente parlava
solo inglese, ma velocemente si sta trasformando per aprire nuovi spazi.
Un esempio per tutti è la recente esperienza del gruppo dedicato alle risorse umane tutto italiano,
anzi nato nelle regioni centrali dell'Italia, FiorDiRisorse, che oltre ad utilizzare il web organizza
eventi in cui ci si può incontrare e confrontare.
Ho sempre pensato che connettersi in maniera autentica con le persone non sia solo un fatto
intellettuale, ma con una forte componente emotiva in cui ci si coinvolge sul piano personale;
credo che le piattaforme web aiutano ad ampliare i contatti, ma rimane importante per unire
veramente le forze trovarsi fisicamente intorno a tavoli comuni.
Ho capito di non essere l'unica ad avere questo bisogno.
Ritrovarsi sul terreno di comuni valori: il caso Symbola
Fortunate circostanze mi hanno portato a condividere un'esperienza di lavoro con il Segretario
Generale di Symbola, Fabio Renzi, che ha saputo entusiasmare un intero gruppo di lavoro
rappresentandoci uno scenario di piccole e medie imprese italiane assolutamente caratterizzate per
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il loro carattere locale, la radicazione sul territorio, che esprimono il nostro gusto tipico di fare le
cose bene, con amore, come fa l'artigiano, e che ci hanno consentito di sostenere ad esempio una
crescita dell'export maggiore rispetto ad altri paesi europei negli ultimi anni. Aziende per lo più
familiari che hanno superato per la maggior parte la crisi del passaggio generazionale, hanno
saputo innovare e posizionarsi ai vertici dell'eccellenza mondiale,
Anche Symbola rappresenta la voglia di queste imprese di costituire una community, che si
concretizzerà tra le altre iniziative con la prossima fiera dell'Eccellenza Italiana a Milano dal 7
maggio prossimo.
Più giro l'Italia e faccio esperienza, più mi convinco che questo modello della piccola impresa
eccellente è proprio il nostro patrimonio, a patto che non abbandoniamo i nostri saperi tradizionali
e che ci hanno portato ai vertici internazionali, chimica e biotecnologie, meccatronica, arredamento
e design, moda e lusso, tessile, per citare alcuni settori.
Se poi la nostra tendenza nazionale ad essere piccoli ed indipendenti si dovesse finalmente
affiancare alla capacità di far squadra tra simili, allora avremo quella forza che talora ci manca
senza necessariamente dover fondere tutti per formare grandi imprese.
Il caso Assolombarda: lavorare per le competenze di domani
È proprio questo bisogno di sostenere il nostro differenziale competitivo, che da qualche anno mi
trovo coinvolta (non certo mio malgrado, è evidente che mi diverto!) in gruppi di lavoro promossi
dal dipartimento Formazione dell'Assolombarda, che hanno l'obiettivo di far convergere aziende ed
istituzioni scolastiche (università e istituti di scuola superiore) verso il comune obiettivo di formare
persone professionalmente valide per il nostro futuro industriale e per il benessere del nostro
paese più in generale.
Anche qui alla fine ci si ritrova in un'esperienza di community, in cui tutte le parti hanno
evidentemente un interesse, ma non così di breve termine, dato che i risultati possono anche
venire dopo anni, e non è sempre facile avere la disponibilità delle persone competenti ed delle
organizzazioni - si sa che abbiamo tutti cose più urgenti da fare.
La prima caratteristica dei partecipanti alla fine è la lungimiranza unita anche alla generosità, la
spinta di trasmettere qualcosa alle giovani generazioni.
Un'esperienza di successo in questo senso è senz'altro quella riguardante la famiglia professionale
degli ingegneri meccanici, per i quali abbiamo prima predisposto un questionario con un elenco di
competenze (riguardanti sia le expertise tecniche che le capacità personali) che è stato poi inviato
a circa 8000 ingegneri da 0 a 10 anni dalla laurea: considerando che il tempo di "impiegabilità" di
un ingegnere dopo la laurea è di pochi mesi, la gran parte di questi hanno già una notevole
esperienza di lavoro.
La redention è stata sorprendente, oltre il 20%, e ancora più interessanti i risultati, che ci hanno
indicato come la preparazione è adeguata nelle competenze tecniche, ma molto debole nelle skills
cosiddette soft, in particolare nella comunicazione e nelle presentazioni di lavoro, nel lavoro in
team, nella capacità di leggere l'organizzazione e i ruoli.
I risultati non hanno stupito tanto i responsabili Human Resources delle aziende, che queste
indicazioni le stanno dando da anni, e che da anni lavorano per sviluppare le capacità organizzative
e relazionali tradizionalmente deboli in tutte le famiglie professionali con forte componente tecnica,
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ma hanno contribuito a rafforzare la volontà di lavorare insieme al Dipartimento di ingegneria
meccanica del Politecnico, oltre che con tirocinii e stage obbligatori, anche intensificando gli
interventi delle aziende nel corso degli studi e nei contatti con gli studenti.
Rimarchevole poi dal mio punto di vista che gli stessi interessati ci abbiano detto di essere essi
stessi più consapevoli rispetto a qualche tempo fa dell'importanza di tali capacità personali per il
loro successo professionale, spingendo quindi anche le istituzioni universitarie ad interrogarsi sulle
modalità di formazione per garantire un profilo in uscita adeguato ai bisogni del mercato del
lavoro.
Una mini community per mini biotech
Da un paio d'anni ormai ci riuniamo periodicamente anche se non troppo frequentemente in quello
che abbiamo definito l'HR community delle biotech, un piccolo gruppo che rappresenta però una
buona parte delle aziende specializzate nella ricerca farmaceutica: spesso frutto di spin off fatti da
manager e ricercatori italiani, che sono usciti dai confini nazionali, andando a cercare i fondi nei
grandi mercati di investimento, tenendo però qui i laboratori di ricerca.
Si tratta di aziende medio piccole, molto dinamiche, con un livello di istruzione molto alto
(numerosi i PhD).
Lavoriamo a stretto contatto con i nostri colleghi scienziati, che fanno comunità scientifica a livello
globale, governando il difficile equilibrio tra competizione e condivisione delle idee, senza
cui non esiste ricerca ed innovazione. Forse hanno contaminato anche noi e, pur facendo un altro
mestiere, ci è venuta voglia di far laboratorio.
Abbiamo cominciato i lavori con un bench mark sulle politiche retributive, promosso da Axxam e
che ci ha visti riuniti per la prima volta nel 2007.
Le riunioni sono continuate successivamente toccando i temi dello sviluppo manageriale, della
coesione interna, della caratteristiche del business della ricerca e quindi delle competenze
distintive delle persone da ricercare, della componente interculturale che caratterizza questi
ambienti di lavoro, del reclutamento anche internazionale, ecc.
Uno scambio che ci ha aiutato a comprendere la specificità dei queste organizzazioni, a gestire con
più consapevolezza una popolazione molto esigente e con altissimi livelli di istruzione, a trovare
soluzioni pratiche unendo le forze.
La ricetta per una buona community
Qualcuno ha detto che per fare cento passi avanti, bisogna che prima tutti ne facciano uno
indietro.
A parte i fattori per la costituzione di ogni team (obiettivi comuni, buona comunicazione interna,
regole per la convivenza...), ho imparato dall'esperienza diretta che, nel caso delle buon
community, occorrono di base persone con forte spirito collaborativo, capaci di trovare il vantaggio
del fare sistema pur nelle iniziative anche pratiche, che abbiano un effettivo mandato a
rappresentare non solo sé stessi ma anche la propria organizzazione, e infine almeno un buon
catalizzatore, cioè uno o più membri del gruppo che si assumono il ruolo di motori e facilitatori,
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lanciando iniziative ed sostenendo attivamente la realizzazione delle azioni comuni decise, per
evitare che le curve di attenzione fatalmente vadano crollando a causa delle routine, che
risucchiano nel proprio particolare.
Per concludere mi auguro che i segnali che ho creduto di cogliere si consolidino in un vero
profondo cambiamento di modello culturale, con una maggiore capacità di cogliere e agire
l'interesse comune, un bene certamente se pensiamo alla debolezza anche del nostro senso civico.
D'altro canto mi auguro invece che non si voglia riproporre la nostra tendenza a far corporazione,
cioè gruppi chiusi in posizione difensiva degli interessi costituiti.
Chissà, una volta passata, potremo anche trovarci a pensare che questa crisi, in fondo, ci ha fatto
crescere.
Pubblicato in HR On Line N° 10 2009
http://www.aidp.it/riviste/indice-rivista.php