La Valutazione Della Capacità E Della Pericolosita’ Dellimmigrato Nella Fase ...
L ipnosi in_psicoterapia_e_l_ipnosi come_psicoterapia_un_approccio_evoluzionistico_definitivo_03_01_08_inviato
1. Materiali per una proposta di modello della psicoterapia ipnotica, parte 3:
L’IPNOTERAPIA IN PSICOTERAPIA E L’IPNOTERAPIA COME PSICOTERAPIA:
UN APPROCCIO EVOLUZIONISTICO
Ambrogio Pennati, medico psichiatra psicoterapeuta
Milano
pennati.ambrogio.md@fastwebnet.it
“Chi non applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi mali; perché il tempo è il più grande
degli innovatori”. Francis Bacon, Saggi.
Il presente lavoro si propone di trattare l’argomento dell’ipnosi nella psicoterapia e
dell’ipnosi come psicoterapia secondo un approccio evoluzionistico.
Si distinguerà tale ipnosi dalla psicoterapia ipnotica che sarà oggetto di una successiva
specifica trattazione.
ALCUNE DEFINIZIONI OPERATIVE
Facendo riferimento ai lavori usciti sugli ultimi numeri della rivista, nella presente
trattazione verrà considerata ipnosi come “il complesso e variegatissimo insieme delle
procedure non fisiche (quindi prescindenti dall’utilizzo di strumenti materiali aggiuntivi al
corpo) che l’homo sapiens ha sviluppato nei millenni per modulare lo stato di coscienza
allo scopo di giungere alla trance (ipnotica) ed attivare dei moduli di (auto)guarigione che
l’evoluzione ha messo a punto” (2,8,9,17,21,26,27,32,43,50,68).
L’ipnosi verrà qua intesa come dispositivo induttore di stati modificati di coscienza (nello
specifico, induttore della trance) (2,26,3039,43,48,60,70). Come già dimostrato,
all’esperienza della trance appare intrinsecamente associata l’esperienza del rapport,
centrato sulla sintonizzazione affettivo-emotiva con una – o più - importante figura di
riferimento (8,21,24,51).
Il background evoluzionistico di tali concetti è stato esposto nei precedenti lavori.
Per terapia si intende la cura di una malattia o di un disturbo mediante mezzi socialmente
e scientificamente riconosciuti come atti allo scopo.
2. L’ipnosi diventa ipnoterapia quando nel corso delle procedure ipnotiche vengono applicate
delle tecniche di cura da un operatore umano socialmente - e legalmente - riconosciuto
(da se stesso, dal cliente, dal mondo) come terapeuta.
L’ipnoterapia, in medicina, è stata dimostrata utile nel trattamento di varie condizioni:
ferite, emorragie, ustioni, anestesia, verruche e disturbi dermatologici, colon irritabile e
disturbi funzionali di vario genere, dolore cronico, preparazione ed assistenza al parto solo
per citarne alcune. In questi casi non si può propriamente parlare di ipnoterapia come
psicoterapia, dato che gli obiettivi del trattamento – e quindi del contratto tra terapeuta e
cliente - non riguardano direttamente e strettamente la sfera psichica e/o relazionale. Non
è quindi necessario avere in questi casi una teoria del funzionamento mentale e
dell’etiopatogenesi dei disturbi che sia coerente con la metodologia di cura adottata,
condizione richiesta per una psicoterapia “scientifica” (56).
Infatti, la psicoterapia, almeno nel presente lavoro, è intesa, in accordo alla recente
definizione del Royal College of Psychiatrists del Regno Unito, in un’accezione estensiva
come “ogni modalità di aiutare le persone a fronteggiare stress, problemi emotivi,
problemi relazionali o abitudini problematiche; queste modalità hanno in comune il fatto di
essere tutti trattamenti basati sul parlare ad un’altra persona e talvolta fare qualcosa
insieme”.
Nell’ambito dell’ipnoterapia potremo quindi avere un’ipnoterapia come psicoterapia ed
un’ipnoterapia in psicoterapia.
Stando alle definizioni di cui sopra, l’ipnoterapia come psicoterapia si fonda, esplicitamente
o no, sulla trance – quindi sulla modulazione dello stato di coscienza del cliente - come
condizione ontologicamente necessaria sia dell’ipnoterapia che della psicoterapia in
oggetto, quindi la proceduralità ipnotica appare di se stessa terapeutica (vedi lavoro
precedente); in questo caso, pertanto, pertanto ipnoterapia e psicoterapia appaiono
consustanziali. In questa categoria si possono inserire procedimenti quali il rebirthing, il
training autogeno, il biofeedback, il rilassamento muscolare profondo, la
desensibilizzazione sistematica, alcune tecniche bioenergetiche, pratiche terapeutiche di
derivazione orientale, EMDR, danza e teatro terapia, il reve eveillè, la respirazione
olotropica, alcuni approcci transazionali, alcuni approcci sistemico-strategici, alcuni
approcci della PNL, l’analisi configurazionale, oltre, ovviamente, alla psicoterapia ipnotica
propriamente detta. In tali contesi la modulazione dello stato di coscienza appare
condizione irrinunciabile per la messa in atto di un corretto trattamento. Ne consegue che
3. tali approcci hanno sviluppato, chi più chi meno sia dal punto di vista qualitativo che
quantitativo, una teoria del funzionamento mentale e dell’etiopatogenesi dei disturbi che
sia coerente con la metodologia di cura adottata, e che quindi preveda che la
strutturazione di stati modificati di coscienza giochi, o abbia giocato, un ruolo chiave nel
processo in atto. In senso molto lato appare corretto affermare che l’ipnoterapia come
terapia si inserisce nei contesti terapeutici che hanno sviluppato un modello del
funzionamento mentale e dell’etiopatogenesi dei disturbi psichici che preveda che un
utilizzo disfunzionale e disadattativo del meccanismo di difesa della dissociazione da parte
dell’organismo rappresenti una condizione necessaria, anche se spesso non sufficiente e
comunque non antitetica all’utilizzo parimenti disfunzionale di altri meccanismi di difesa
(4,23,26,27,30,33,34,41,49,54,68).
L’ipnoterapia in psicoterapia, invece, si fonda, esplicitamente o no, sulla trance come
condizione ontologicamente necessaria dell’ipnoterapia mentre la psicoterapia che utilizza
quest’ultima considera la trance come condizione accessoria – e comunque non antitetica -
della sua identità pratica e teorica. Quindi in tali contesti la proceduralità ipnotica non
appare per se stessa terapeutica, ma lo diventa solo quando facilita i processi che la
psicoterapia in azione riconosce come suoi propri e specifici derivati. In questa categoria
rientra l’uso dell’ipnosi nella terapia psicanalitica, cognitiva, comportamentale,
interpersonale, sistemica, ove la modulazione dello stato di coscienza può venire
considerata utile – per quanto non indispensabile- per la messa in atto di un corretto
trattamento. In questo caso, ovviamente, la strutturazione di stati modificati di coscienza
non è considerata importante né per le teorie generali del funzionamento mentale, né dei
meccanismi etiopatogenetici, che questi approcci hanno sviluppato. Marginalmente a tali
considerazioni ci si permette di considerare come, almeno secondo il presente impianto
metodologico, sia del tutto privo di senso parlare di ipnosi senza trance. In questi modelli
di lavoro l’utilizzo disfunzionale della dissociazione gioca un ruolo secondario rispetto ad
altri meccanismi di difesa.
IPNOTERAPIA COME PSICOTERAPIA
È evidente, ricollegandoci ai precedenti lavori, come il valore evoluzionistico della trance
informi di sé gli approcci che si possono ricondurre all’ipnoterapia come psicoterapia, e
come quindi tali approcci si qualifichino, costitutivamente, come naturalistici dato che
naturale è la trance e la capacità di svilupparla (1,22,32,39,43,71).
4. Ne consegue che, dato che in tale categorie la trance può/deve giocare un ruolo sul piano
etiopatogenetico, anche i sintomi stessi avranno una duplice connotazione: di
adattamento/protezione e di sofferenza dell’organismo. Pertanto, l’esperienza della cura in
tali contesti non può non fondarsi anche – e soprattutto- su una valutazione funzionale
dell’importanza del sintomo per l’omeostasi psicofisico del soggetto sofferente. Sembra
banale - sed repetita iuvant – affermare che non può esistere ipnoterapia che si prefigga
quindi la semplice rimozione/soppressione del sintomo. Ciò che caratterizza questi
approcci – fra i quali rientra la psicoterapia ipnotica ericksoniana – è la non necessità
dell’interpretazione, cioè della lettura dei fenomeni di interesse clinico secondo un modello
precostituito e fondato su basi “scientifiche” e/o “filosofiche”.
L’ipnoterapia come psicoterapia nasce con Janet, che sviluppa specifiche tecniche di
induzione ipnotica e specifici protocolli di terapia coerenti con le teorie etiopatogenetiche
che egli sviluppa in base alla sua esperienza clinica (molto focalizzata su patologie
postraumatiche) e che si fondano sul concetto di desagregation, embrionale ma già estesa
categorizzazione di differenti fenomeni di natura dissociativa (26,35,36,37).
L’autore che successivamente implementa procedure di psicoterapia ipnotica è Milton
Erickson, che contrapponendosi allo zeitgeist della sua epoca focalizza il ruolo dello
psicoterapeuta come colui che cura, e non colui che classifica od interpreta; in Erkickson
l’ipnoterapia come psicoterapia si identifica nella pratica clinica più che nella pratica
teoretica, proprio perché genialmente e coraggiosamente Erickson comprende che ciò che
conta è curare, non costruire modelli linguistici compulsivamente tendenti alla perfezione
formale e strutturale (cioè aderenti al modello di precisione linguistica, peraltro già
demolito da Wittgenstein come criterio di validità di una teoria o della bontà del sapere
che vi sta sotto) che poi procedono come macchine classificatorie e snaturano l’essenza
del lavoro terapeutico (24). Ad Erickson non interessa troppo teorizzare come funziona la
mente, anche se un’analisi esegetica dei suoi scritti lascia trasparire un approccio che oggi
potremmo definire a ponte fra l’evoluzionismo ed il neodissociazionismo; ad Erickson
interessa una teoria della pratica clinica, e quindi gli basta usare concetti molto semplici e
funzionalistici per spiegare cosa c’è sotto il suo lavoro. La definizione dell’inconscio di
Erickson è quanto mai semplice: tutto ciò che non è immediatamente cosciente, e di volta
in volta ciò può essere visto come risorsa, come problema, a volte come metafora. Non
interessano, per le sue modalità di lavoro e per la sua posizione nel movimento
5. terapeutico dei suoi tempi, i meccanismi più profondi in base ai quali ipoteticamente
l’inconscio funziona.
Chi poi si spinge un po’ oltre è Hilgard, che sviluppa, in base ad una lunga esperienza di
laboratorio, il modello neodissociativo del funzionamento mentale (30), il quale prevede
che l’inconscio funzioni soprattutto grazie ad un utilizzo del meccanismo della
dissociazione, governato da un monitoring self che osserva il comportamento ed il suo
bidirezionale rapporto con l’ambiente attraverso l’utilizzo di unità TOTE raccordate al
comportamento messo in atto dal cosiddetto executive self, la parte del sé che opera
fattivamente.
E per Hilgard è proprio la dissociazione diventa patologica quando si assiste ad un
disfunzionale (non sempre è disfunzionale, come abbiamo visto nei lavori precedenti;
spesso è evolutivamente vantaggioso) scollamento fra executive self e monitoring self,
ovvero quando vengono messi in atti comportamenti che non sono
rappresentati/rappresentabili nel monitoring self. In questi casi si ha una patologia dello
stato di coscienza, per Hilgard rappresentato dall’armonica integrazione fra executive self
e monitoring self, integrazione dinamica che fonda l’esistenza del cosiddetto Overall Self,
cioè la funzione che consente a noi stessi di percepirci come unità integra nel tempo, nello
spazio e nel mondo.
Questi elementi verranno ripresi nell’articolo finale relativo alla psicoterapia ipnotica
propriamente detta.
Praticare l’ipnoterapia come psicoterapia è per alcuni versi vantaggioso, perché qui l’ipnosi
si muove nelle sue acque d’origine, quello dell’utilizzo di stati modificati di coscienza, e
quindi il clinico – soprattutto il giovane - non si sente tirato per la giacca da approcci
teorici potenzialmente antitetici al suo operare. Non ci si pone, quanto meno in
automatico, il problema dell’integrazione con altri approcci.
IPNOTERAPIA IN PSICOTERAPIA
In quest’ambito le cose appaiono un poco più complesse, ma anche più importanti dato
che in genere l’ipnoterapia viene usata in una psicoterapia che non assegna alla
modificazione degli stati di coscienza, né sul piano terapeutico né sul piano teorico, un
ruolo primario.
L’utilizzo dell’ipnosi in psicoterapia- sia essa di orientamento analitico, cognitivo,
comportamentale, cognitivo - comportamentale, strategico, sistemico, interpersonale- con
6. obiettivi di tipo riparativo o generativo non può sottrarsi allo sforzo di trovare
un’integrazione con il modello di psicoterapia nel quale essa viene usata. Ma cosa si
intende per integrazione, almeno in questo specifico caso?
Certamente, per rigorosità terminologica in accordo alle definizioni proposte sopra, non
potremmo non parlare di un’integrazione di una tecnica di psicoterapia con un’altra, dato
che l’ipnoterapia è comunque psicoterapia. Quindi ci si porrà il problema di un’integrazione
in senso stretto.
Le strade dell’integrazione fra psicoterapie sono numerose, e le principali appaiono le
seguenti (3,5,6,7,12,28,29,38,44,53,55,58,59,63,73):
• integrazione basata sui fattori comuni a tutte le psicoterapie (stabilità del setting,
bontà della relazione terapeutica, capacità di spiegare fenomeni che occorrono nella
vita del paziente fra cui la relazione con il terapeuta)
• eclettismo tecnico, cioè la capacità di selezionare il miglior trattamento per quello
specifico problema di quello specifico cliente, guidati dall’esperienza relativa a ciò
che meglio ha funzionato in passato
• integrazione teoretica, dove si cerca di integrare il più possibile due o più modelli
teoretici nella speranza che tale integrazione dia risultati migliori della semplice
somma dei due singoli modelli
• integrazione assimilativa, dove un approccio dominante – spesso la prima scelta
formativa operata dal singolo terapeuta, quindi nella stragrande maggioranza dei
casi coerente con lo zeitgeist del periodo e del luogo della sua prima formazione-
assimila nuove e differenti tecniche e modelli.
Dato che, in base alle varie metaanalisi condotte sull’efficacia delle varie psicoterapie, non
vi sono elementi in grado di dimostrare che una strada sia meglio dell’altra, ogni terapeuta
potrà sentirsi libero di adottare la procedura di integrazione che più vive come onesta,
corretta, utile e prossima al suo modo di essere qui e ora nel mondo. Va in ogni caso
ricordato che comunque il rapport con il cliente è considerato il principale fattore di
integrazione (6).
Ciò che conta è che ci si ricordi che l’utilizzo dell’ipnosi, per la natura intrinseca di questa,
comporta sempre il contatto con un mondo ancestrale, pre e meta linguistico, che sfugge
a definizioni rigorose e univocamente accettate. L’ipnosi in psicoterapia è sempre la Regina
Rossa di Alice del paese delle meraviglie, che appena ti avvicini sfugge e scompagina le
carte e le regole del gioco. E ciò ha a che fare con i moduli cerebrali attivi durante la
7. trance ipnotica che sembrano appartenere ad un passato solo apparentemente ancestrale,
quello dei nostri avi cacciatori-raccoglitori che vivevano in tribù di 100-150 persone (che,
nota bene, corrisponde alle media del numero di relazioni significative che a tutt’oggi
ciascuno di noi ha, sia che in città o fuori), moduli che hanno consentito la sopravvivenza
e la riproduzione, in condizioni per lo più estreme, dell’homo sapiens prima della nascita
dell’agricoltura e dell’allevamento e la conseguente genesi nascita degli stati e delle classi
sociali (1,18,19,20,27,62) e che sembrano avere un ruolo dominante nell’effetto placebo,
oggi sempre più visto come l’espressione del modulo interno di guarigione che ognuno di
noi possiede, così come sembra esistere un effetto nocebo, espressione di un modulo di
auto soppressione che presumibilmente si attiva quando il soggetto percepisce,
consapevolmente o meno, di essere di danno alla sua inclusive fitness (quindi quando il
soggetto teme che la sua sopravvivenza possa danneggiare i suoi consanguinei,
abbassando così la probabilità che i suoi geni possano replicarsi)
(4,6,9,14,21,27,32,41,43,52,57,67). In sintesi ciò che conta ricordare quindi è che l’ipnosi
è imprescindibilmente legata al mondo delle relazioni preverbali, quindi biologico-emotivo-
affettivo, con il gruppo di riferimento principale, sia esso genetico (condivisione di unità di
informazione trasferibili per replicazione attraverso il genoma) che memetico (condivisione
di unità di informazione trasferibili per replicazione attraverso il comportamento). Come
afferma Erickson, l’ipnosi è “il rapporto vitale di una persona con le sue esperienze
generato dal calore di un altro”, o, come forse più sinteticamente afferma Shore, l’ipnosi è
sempre “a labor of love” (50).
In ogni caso esisterà sempre un quantum di non integrabilità dell’esperienza
ipnoterapeutica nelle psicoterapie più formalizzate proprio perché l’esperienza ipnotica in
quanto tale trascende i limiti del linguaggio (13).
L’importante, nella pratica clinica e nel confronto con terapeuti di altre scuole, è
ricordarselo, perché ricordarselo significa avere la consapevolezza delle origini dello
strumento che si sta usando.
UNA PROSPETTIVA DI VALIDAZIONE NEUROBIOLOGICA
Le precedenti affermazioni appaiono suffragate da recenti osservazioni sperimentali.
Uno degli aspetti più importanti dell’ipnosi è che essa è da sempre studiata in laboratorio;
per quanto sussistano importanti e strutturali differenze fra ipnosi clinica e ipnosi
sperimentale, possiamo utilizzare le esperienze di molti ricercatori per integrare le nostre
8. conoscenze sulle modalità del funzionamento dell’organismo durante l’esperienza della
trance ipnotica (61).
Numerosi recenti lavori di neurobiologia e neuropsicologia suggeriscono che sia negli stati
modificati di coscienza che nella trance ipnotica si assiste ad una transitoria de attivazione
della parte anteriore dei lobi frontali (22,31); inoltre, ogni specifico induttore di ASC
avrebbe la sua specifica modalità di disattivazione di tali strutture. Nello specifico,
l’induzione ipnotica avrebbe la caratteristica, simile a quella della meditazione, di
disattivare le funzioni superiori dei lobi frontali incrementando l’attenzione verso stimoli
sociali esterni, dipendendo dall’interlocutore e incrementando la tendenza ad imitare il
comportamento di importanti figure di riferimento (22). Sembrerebbe in particolare
implicata una disattivazione della corteccia prefrontale dorso laterale dell’emisfero sinistro
e del giro cingolato anteriore, che sul piano generale si tradurrebbe in una generale
disconnessione funzionale di moduli cerebrali, dato che validerebbe la teoria
neodissociativa del funzionamento mentale proposta da Hilgard nel 1977, riproposizione
riveduta e corretta delle pioneristiche osservazioni di Janet (16,30,66).
Altre recenti sperimentazioni hanno evidenziato che nella trance ipnotica si verifica una
riduzione dei conflitti fra vari moduli cerebrali legata ad una riduzione dell’attività della
corteccia del cingolo anteriore (40), una riduzione dello stroop effect nel test Stroop
(quindi un miglioramento delle capacità di apprendimento extralinguistico) (47,64,65).
Altre importanti osservazioni, che nascono dal recente filone di studi relativo alla
cosiddetta teoria della mente, hanno parallelamente evidenziato che ad una riduzione
dell’attività della corteccia anteriore del cingolo corrisponde una maggiore capacità di
provare empatia ed identificazione con l’altro, e che la capacità di rappresentarsi lo stato
della mente dell’altro dipende dal ruolo di controllo esercitato su un complesso sistema
cerebrale dalla corteccia anteriore del cingolo, dalla corteccia orbitofrontale, dalla corteccia
ventrale e dorsale mediale prefrontale, dalla corteccia infero laterale prefrontale
(1,10,15,60,65).
L’ipnosi è quindi uno stato, uno stato modificato di coscienza, che necessita, per il suo
instaurarsi, di precise (anche se non necessariamente esplicitate) negoziazioni fra chi
ipnotizza e chi è ipnotizzato, negoziazioni che si fondano su un reciproco contratto che a
sua volta si basa su numerose variabili di tipo sociale, fra le quali le reciproche aspettative,
la reciproca percezione dei rispettivi ruoli, lo sfondo relazionale ed economico nel quale lo
scambio di beni/servizi ha luogo; tutte queste variabili possono, ovviamente, essere
9. influenzate anche dai reciproci assetti personologici e stili emotivo-cognitivi e
comunicazionali. A parere dello scrivente l’integrazione, sia essa relativa ai fattori comuni,
assimilativa, eclettica, teoretica, dell’ipnosi in psicoterapia può avvenire limitatamente al
terreno della negoziazione e della ritualità preliminare (necessaria ma non sufficiente allo
scopo) all’instaurazione dello stato di trance ipnotica, che già di per sé, come evidenziato
nei lavori precedenti, può avere valenza clinica e terapeutica.
ALCUNE RIFLESSIONI SU ERICKSON E SULL’ERICKSONISMO DI IERI, DI OGGI, E
(FORSE) DI DOMANI
Certamente il lavoro di Milton Erickson è stato rivoluzionario, sia per l’innovativo utilizzo
dell’ipnosi che per il cambio di paradigma che egli ha portato nell’ambito del movimento
psicoterapeutico. Il lavoro di Erickson si può collocare a ponte fra un uso dell’ipnoterapia
come psicoterapia ed un uso dell’ipnoterapia come psicoterapia, con una geniale
focalizzazione sulla creatività nel lavoro clinico come principale strumento di adattamento
alle sempre diverse necessità dei clienti. Buona parte della sua opera sembra cogliere sul
piano clinico le scoperte neuropsicologiche sopradescritte: l’uso delle tecniche di
confusione, di shock, di disseminazione, di metaforizzazione sembrano fatto su misura per
disattivare le funzioni critiche linguistiche (quindi la funzionalità frontale); a volte per
Erickson ciò era sufficiente per intervenire sui problemi oggetto del trattamento, a volte
egli approfondiva sino a raggiungere la trance ipnotica allo scopo di accedere a risorse
emotive-comportamentali-cognitive bloccate da un uso disadattativo del linguaggio.
L’opera di Erickson di base sembra contestualizzarsi all’interno di un approccio
implicitamente evoluzionistico, per quanto ai tempi tale disciplina non fosse ancora
sviluppata. Diverso sembra l’ericksonismo, sviluppato da molti suoi allievi o autodichiaratisi
tali, che ha spostato il focus del lavoro clinico (e della formazione e della supervisione e
della ricerca) sulla proceduralità delle induzioni e sulle modalità di comunicazione,
trasformando ciò che per Erickson era un mezzo in un fine, spesso fine a se stesso.
Erickson ha sempre lavorato in stretto contatto con antropologi e psicologi sperimentali
evitando una metodologia clinica e teorica autoreferenziale, mentre buona parte degli
ericskoniani ha percorso una strada diametralmente opposta, rifuggendo nei fatti il
confronto e l’integrazione con altre discipline che non fossero la linguistica.
Pertanto il lavoro di Erickson, che certamente era inquadrabile in un approccio
naturalistico, è stato lentamente spostato nel cosiddetto Standard Social Science Model,
10. antitetico al primo. E ciò ha comportato il progressivo svincolamento della psicoterapia e
dell’ipnoterapia ericksoniana dalla matrice originaria empirica a quella postmodernista; e
come sempre accade in questi casi, associata ad una divinizzazione del fondatore che
sembra fatta apposta per snaturarne lo spirito critico, scettico, creativo e innovativo.
Quanto un modello di lavoro si regge sulla coerenza e sulla bontà di un costrutto
linguistico, che per i postmodernisti può equivalere alla realtà fattuale, occorre sempre
provare i dogmi che reggono tale costrutto. E di solito si trovano nelle opere del pioniere,
che, come ogni testo sacro non esegeticamente analizzato, contengono tutto ed il
contrario di tutto e sono buone per ogni occasione.
Una rivisitazione critica di questo percorso è da tempo in atto nella nostra scuola, che non
a caso parla di psicoterapia ipnotica post-ericksoniana; e che si propone innanzitutto di
insegnare a osservare e a praticare, più che giocare on le parole.
Essere ericksoniani oggi è studiare il lavoro di Erickson di ieri che vale, nel suo
naturalismo, ancora oggi come varrà domani; essere ericksonisti oggi è chiudersi in una
teoretica che porterà questo movimento (come molti altri ne abbiamo visti) in un
progressivo isolamento autoreferenziale sino alla sua naturale estinzione, dato che le
modalità dell’ericksonismo sono standardizzate e lontane dalla spinta creativa che il
quotidiano contatto con la pratica dava al fondatore.
Ed essere ericksoniani è essere aperti verso la ricerca, che, con le nuove tecniche di
neuroimaging funzionale e di valutazione neuropsicologica (25,34,45,46,69), consentirà
alle menti aperte di trovare sempre nuovi spunti di riflessione e ipotesi di lavoro da
implementare nella loro pratica clinica, ericksoniamente orientata ad attivare
l’autoguaritore che ogni cliente ha in sé, se lo vuole (6,42,72).
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