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In fondo a via dei tigli nel paese di Quicistò
c'era un parco. Un parco di quelli con la statua,
la panchina e le aiuole.
Alberto viveva lì. Non lì vicino, nei palazzi con le saracinesche alle finestre.
No, lui, Alberto, viveva proprio lì,
lì nel parco.
Tanto tempo prima un bimbo aveva seppellito una ghianda nel mezzo
dell'aiuola più grande e poi se n'era dimenticato.
E così Alberto La Quercia era nato e cresciuto lì in quell'aiuola del parco
in fondo a via dei tigli a Quicistò.
Come posto per viverci quel parco non era poi
così male: acqua piovana e sole non mancavano quasi mai,
lo spazzino puliva bene, e bimbi ed uccelli
gli facevano spesso compagnia.
Alberto poi si divertiva ad ascoltare i bambini
che fanno la conta per decidere chi fa il lupo,
e guardava con ammirazione i battimani a ritmo delle bambine
una di fronte all'altra; e gli piaceva anche il solletico che fanno i capelli
sulla corteccia quando qualcuno si appoggia con la fronte al tronco per contare in fretta il
tempo del nascondino.
L'unica cosa che gli mancava, e gli mancava ogni giorno un po' di più,
era di poter scambiare quattro chiacchiere con qualcuno.
I bambini e le bambine erano troppo intenti ai loro giochi, le mamme e le nonne troppo
impegnate ad aggiornarsi tra loro sulle ultime novità,
i papà e i nonni erano sempre persi nelle loro discussioni.
Gli uccellini poi avevano sempre fretta, o fame, o sonno, o paura o qualcos'altro da fare.
E la statua … non rispondeva mai.
Insomma Alberto iniziava a soffrire di solitudine.
Anche perché in quel parco, di altri alberi non c'era nemmeno l'ombra!
E anche in via dei tigli, dei tigli era rimasto giusto il nome!
Fu così che Alberto iniziò a parlare da solo,
senza paura di sembrare un po' matto,
certo del fatto che tanto nessuno lo stesse
ad ascoltare: la panchina taceva, la fontana
sgocciolava di quando in quando, e il lampione
del parco ronzava soltanto.
Fino a che una sera, all'ora in cui tutti
ormai sono a casa per cena, Alberto ebbe una sorpresa …
"Sì!" disse una vocetta.
Ci mancò poco che Alberto
per lo spavento
non diventasse un pino!
Provò a ripetere un po' intimorito
la domanda che aveva appena pronunciato:
"Ma esisterà da qualche parte un posto
in cui gli alberi non sono si sentono mai soli? ..."
"Sì!" rispose ancora la voce. "Io vengo da là!" aggiunse.
Sembrava una piccola stella che sa parlare.
... a parte il fatto che si sposta di qua e di là ...
... e si spegne! E poi si riaccende?!
Ma come fa?
Molto confuso Alberto riuscì solo a chiedere:
"Da là dove?"
"Da là, dal bosco!" rispose la voce che nel frattempo si era fatta più vicina.
"Vengo dalla foresta e mi chiamo Alice. E tu come ti chiami?" domandò posandosi sullo
schienale della panchina davanti a lui.
"Alberto" rispose l'albero. E spostò un paio di frasche per vedere meglio quel lumicino
lampeggiante.
“Ma tu ​cosa​sei?” chiese Alberto.
“Ma come ​cosa​?! Sono una lucciola! Possibile che tu non ne abbia mai incontrata una
prima d'ora?”. Alice era davvero stupita.
“Beh, come vedi – continuò l'albero - non è che qui ci sia un gran viavai a quest'ora.
Giusto un paio di innamorati di tanto in tanto. E di giorno non ho mai visto niente che
assomigli a una lucciola . . . A proposito: dove hai imparato il trucco della stella che si
accende e si spegne?”
“Non è un trucco, – rispose la lucciola – è un dono. Un po' come per voi querce fare le
ghiande ...”
“Te ne intendi di alberi, tu.!” commentò Alberto ammirato. “ Cos'altro sai sul nostro
conto? Parlami di quelli che vivono nel bosco.”
“Ah, sono in tanti e sono dei gran chiacchieroni! E molto simpatici. Un po' come te . . .”
“Grazie, sei molto gentile . . .” disse Alberto un po' imbarazzato. “Vorrei conoscerli i tuoi
amici con le radici” riprese.
“Bella idea!” esclamo la lucciola. “Seguimi. Non dista molto da qui.”
Il giorno dopo il primo ad accorgersi della scomparsa dell'albero fu Ciccio, il cagnolino
meticcio che passava tutte le mattine ad 'annaffiare' il tronco di Alberto.
Di lì a poco anche lo spazzino notò la sparizione e corse ad avvertire il vigile urbano.
Poi toccò ai nonni che leggevano il giornale sulla panchina: “Dove andremo a finire di
questo passo! Ora rubano anche gli alberi! Che roba, che mondo . . .” borbottavano.
Le mamme e le nonne telefonarono ai tecnici del Comune, e passo di là anche il Sindaco
a controllare. Ma di Alberto La Quercia non c'era traccia.
Le bambine e i bambini andarono al parco anche quel giorno, e il giorno seguente
ancora, ma giocare a nascondino non era più come prima! Senza nemmeno un po'
d'ombra per riposare . . .
Nel frattempo Alberto, accompagnato da Alice, aveva fatto conoscenza con un sacco di
altri alberi come lui: platani, faggi, tigli veri, vecchi e giovani, alti e bassi, dritti e storti.
Tutti simpatici e chiacchieroni, proprio come aveva detto la sua amica lucciola.
La notte passata nel bosco era stata bellissima.
Aveva ascoltato storie incredibili di epoche passate e che gli abitanti della foresta si
tramandavano di generazione in generazione, e ancora oggi.
Quella che lo aveva affascinato più di tutte raccontava di un gruppo di cavalieri in
armatura che fuggendo tra gli alberi perse un elmo piumato, caduto proprio 'in testa' ad
un giovane germoglio di quercia, il quale crescendo se l'era portato per anni in cima alla
chioma, fino a quando l'elmo un giorno non era rotolato giù andandosi ad incastrare tra i
rami, e diventando col tempo il nido più ambito del bosco.
Alberto invece descrisse la sua vita in quel fazzoletto di verde popolato di piccioni
assonnati, merli affaccendati, cani a zonzo, e persone in quantità, che si trovava in una
via che dei tigli ormai aveva solo il nome.
Ma mentre spiegava ai suoi nuovi amici com'erano solitarie le sue giornate a Quicistò,
l'albero di città sentì di avere nostalgia delle voci, dei giochi e delle facce dei bambini,
delle mamme e dei nonni che aveva lasciato là.
Fu così che Alberto decise di ringraziare tutti e Alice in particolare, e tornare alla sua
aiuola nel parco in fondo a via dei tigli a Quicistò.
Da allora, ancora oggi, ogni tanto qualche amico del bosco passa a trovarlo di sera.
E ogni tanto chi sbircia dai palazzi d'intorno crede di avere le traveggole perché giù nel
parco gli alberi sembrano due e non uno soltanto.

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Alberto la quercia

  • 1. In fondo a via dei tigli nel paese di Quicistò c'era un parco. Un parco di quelli con la statua, la panchina e le aiuole. Alberto viveva lì. Non lì vicino, nei palazzi con le saracinesche alle finestre. No, lui, Alberto, viveva proprio lì, lì nel parco. Tanto tempo prima un bimbo aveva seppellito una ghianda nel mezzo dell'aiuola più grande e poi se n'era dimenticato. E così Alberto La Quercia era nato e cresciuto lì in quell'aiuola del parco in fondo a via dei tigli a Quicistò.
  • 2. Come posto per viverci quel parco non era poi così male: acqua piovana e sole non mancavano quasi mai, lo spazzino puliva bene, e bimbi ed uccelli gli facevano spesso compagnia. Alberto poi si divertiva ad ascoltare i bambini che fanno la conta per decidere chi fa il lupo, e guardava con ammirazione i battimani a ritmo delle bambine una di fronte all'altra; e gli piaceva anche il solletico che fanno i capelli sulla corteccia quando qualcuno si appoggia con la fronte al tronco per contare in fretta il tempo del nascondino.
  • 3. L'unica cosa che gli mancava, e gli mancava ogni giorno un po' di più, era di poter scambiare quattro chiacchiere con qualcuno. I bambini e le bambine erano troppo intenti ai loro giochi, le mamme e le nonne troppo impegnate ad aggiornarsi tra loro sulle ultime novità, i papà e i nonni erano sempre persi nelle loro discussioni. Gli uccellini poi avevano sempre fretta, o fame, o sonno, o paura o qualcos'altro da fare. E la statua … non rispondeva mai. Insomma Alberto iniziava a soffrire di solitudine. Anche perché in quel parco, di altri alberi non c'era nemmeno l'ombra! E anche in via dei tigli, dei tigli era rimasto giusto il nome!
  • 4. Fu così che Alberto iniziò a parlare da solo, senza paura di sembrare un po' matto, certo del fatto che tanto nessuno lo stesse ad ascoltare: la panchina taceva, la fontana sgocciolava di quando in quando, e il lampione del parco ronzava soltanto. Fino a che una sera, all'ora in cui tutti ormai sono a casa per cena, Alberto ebbe una sorpresa …
  • 5. "Sì!" disse una vocetta. Ci mancò poco che Alberto per lo spavento non diventasse un pino! Provò a ripetere un po' intimorito la domanda che aveva appena pronunciato: "Ma esisterà da qualche parte un posto in cui gli alberi non sono si sentono mai soli? ..." "Sì!" rispose ancora la voce. "Io vengo da là!" aggiunse. Sembrava una piccola stella che sa parlare.
  • 6. ... a parte il fatto che si sposta di qua e di là ... ... e si spegne! E poi si riaccende?! Ma come fa? Molto confuso Alberto riuscì solo a chiedere: "Da là dove?" "Da là, dal bosco!" rispose la voce che nel frattempo si era fatta più vicina. "Vengo dalla foresta e mi chiamo Alice. E tu come ti chiami?" domandò posandosi sullo schienale della panchina davanti a lui. "Alberto" rispose l'albero. E spostò un paio di frasche per vedere meglio quel lumicino lampeggiante. “Ma tu ​cosa​sei?” chiese Alberto.
  • 7. “Ma come ​cosa​?! Sono una lucciola! Possibile che tu non ne abbia mai incontrata una prima d'ora?”. Alice era davvero stupita. “Beh, come vedi – continuò l'albero - non è che qui ci sia un gran viavai a quest'ora. Giusto un paio di innamorati di tanto in tanto. E di giorno non ho mai visto niente che assomigli a una lucciola . . . A proposito: dove hai imparato il trucco della stella che si accende e si spegne?” “Non è un trucco, – rispose la lucciola – è un dono. Un po' come per voi querce fare le ghiande ...” “Te ne intendi di alberi, tu.!” commentò Alberto ammirato. “ Cos'altro sai sul nostro conto? Parlami di quelli che vivono nel bosco.” “Ah, sono in tanti e sono dei gran chiacchieroni! E molto simpatici. Un po' come te . . .” “Grazie, sei molto gentile . . .” disse Alberto un po' imbarazzato. “Vorrei conoscerli i tuoi amici con le radici” riprese.
  • 8. “Bella idea!” esclamo la lucciola. “Seguimi. Non dista molto da qui.”
  • 9. Il giorno dopo il primo ad accorgersi della scomparsa dell'albero fu Ciccio, il cagnolino meticcio che passava tutte le mattine ad 'annaffiare' il tronco di Alberto. Di lì a poco anche lo spazzino notò la sparizione e corse ad avvertire il vigile urbano. Poi toccò ai nonni che leggevano il giornale sulla panchina: “Dove andremo a finire di questo passo! Ora rubano anche gli alberi! Che roba, che mondo . . .” borbottavano. Le mamme e le nonne telefonarono ai tecnici del Comune, e passo di là anche il Sindaco a controllare. Ma di Alberto La Quercia non c'era traccia. Le bambine e i bambini andarono al parco anche quel giorno, e il giorno seguente ancora, ma giocare a nascondino non era più come prima! Senza nemmeno un po' d'ombra per riposare . . .
  • 10. Nel frattempo Alberto, accompagnato da Alice, aveva fatto conoscenza con un sacco di altri alberi come lui: platani, faggi, tigli veri, vecchi e giovani, alti e bassi, dritti e storti. Tutti simpatici e chiacchieroni, proprio come aveva detto la sua amica lucciola. La notte passata nel bosco era stata bellissima. Aveva ascoltato storie incredibili di epoche passate e che gli abitanti della foresta si tramandavano di generazione in generazione, e ancora oggi. Quella che lo aveva affascinato più di tutte raccontava di un gruppo di cavalieri in armatura che fuggendo tra gli alberi perse un elmo piumato, caduto proprio 'in testa' ad un giovane germoglio di quercia, il quale crescendo se l'era portato per anni in cima alla chioma, fino a quando l'elmo un giorno non era rotolato giù andandosi ad incastrare tra i rami, e diventando col tempo il nido più ambito del bosco.
  • 11. Alberto invece descrisse la sua vita in quel fazzoletto di verde popolato di piccioni assonnati, merli affaccendati, cani a zonzo, e persone in quantità, che si trovava in una via che dei tigli ormai aveva solo il nome. Ma mentre spiegava ai suoi nuovi amici com'erano solitarie le sue giornate a Quicistò, l'albero di città sentì di avere nostalgia delle voci, dei giochi e delle facce dei bambini, delle mamme e dei nonni che aveva lasciato là. Fu così che Alberto decise di ringraziare tutti e Alice in particolare, e tornare alla sua aiuola nel parco in fondo a via dei tigli a Quicistò.
  • 12. Da allora, ancora oggi, ogni tanto qualche amico del bosco passa a trovarlo di sera. E ogni tanto chi sbircia dai palazzi d'intorno crede di avere le traveggole perché giù nel parco gli alberi sembrano due e non uno soltanto.