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Il “sistema” familiare e l’incremento della
comunicazione attraverso la CAA
Dott.ssa Silvia de Robertis
Le ricerche in CAA spesso includono informazioni circa
i parenti (tipicamente la madre) ma raramente focalizzano
l’interesse sui problemi e sulle dinamiche familiari, che
spesso si riscontrano in presenza di un membro con
disabilità.
“La nascita del bambino disabile rappresenta
un evento fortemente disadattante per
qualsiasi famiglia”
(Pierro,1994)
Tener conto delle differenze e considerare la famiglia
come protagonista di un processo di adattamento oltre che
vittima di una situazione stressante significa
Immetterla a pieno titolo nel processo terapeutico
Sia per quanto riguarda i supporti psicologici e materiali
di cui necessita, sia per quanto riguarda l’attivazione
delle risorse di cui è portatrice.
Modello multivariato:
Il modo in cui una famiglia reagisce a circostanze difficili
risulta dall’interazione fra diversi fattori:
- Dinamiche familiari;
- Capacità di effettuare una valutazione corretta del
problema;
- Strategie disponibili per affrontarlo;
- Risorse materiali;
- Supporti sociali forniti dall’esterno.
La nascita di un bambino con handicap comporta
una situazione di perdita e la necessità di elaborare
un lutto.
“Il lutto è la perdita di una presenza perfetta:
la nascita di un figlio handicappato è
l’acquisizione di una presenza menomata”
(Dell’Aglio, 1994)
Fasi di elaborazione del lutto dei genitori (Bicknell):
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Accettazione del problema e elaborazione di un progetto
-Supporto sociale: risorse che la comunità attiva di fronte
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Sostegno psicologico:
Percezione da parte dei
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isolati rispetto alla
comunità di appartenenza
Sostegno “materiale”:
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La famiglia è un sistema in cui ogni membro influenza gli altri
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ricopre all’interno del sistema
Eventuali differenze fra madri e padri di bambini disabili
nella percezione della situazione e nelle modalità di reazione
prevalenti
Le madri…
• cardine della presa in carico dei bambini disabili
• rinunciano a diverse opportunità di sviluppo personale
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• caduta del livello di autostima , soprattutto nei casi in cui la
maternità costituisce la fonte principale di autorealizzazione.
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maggiori del membro disabile
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Esiti maturativi:
• In presenza di buoni modelli genitoriali, i fratelli maggiori
possono divenire “mediatori” adeguati nei confronti del
fratello disabile.
•Attitudine alla sensibilità nei confronti dei bisogni altrui
• Incremento delle competenze sociali e comunicative ,
grazie alla necessità quotidiana di adattarsi ad un
interlocutore meno competente.
Il ciclo di vita della famiglia è
legato all’emergere
di nuovi bisogni del bambino
disabile e alle conseguenti necessità di
riorganizzazione.
Problema emergente:
Resistenza di fronte alla crescita e all’emancipazione del
figlio disabile nei suoi diversi aspetti.
Obiettivo:
Far si che il soggetto acquisti gradualmente consapevolezza
della sua situazione e si ponga in modo via via sempre più
attivo rispetto alle scelte che lo riguardano.
Il progetto di intervento non passa “sulla testa” dei suoi
destinatari, ma cerca il più possibile fin dall’inizio un
coinvolgimento attivo.
I professionisti di C.A.A., sono percepiti dagli utenti
come più collaborativi, se comprendono il dolore della
famiglia.
Quando un membro della famiglia è colpito da un
handicap grave della comunicazione, ciascun membro
ne viene colpito.
E’ difficile immaginare una disabilità che colpisca
maggiormente le dinamiche di una famiglia,
perché la comunicazione e la socializzazione
sono alla base dello sviluppo di relazioni
significative e della creazione di reti sociali.
Le dinamiche familiari sono alla base
del successo
e/o dell’insuccesso di un intervento
di C.A.A.
Primo obiettivo:
… ascoltare le famiglie!
I genitori esprimono tre grandi lamentele:
- troppe figure professionali
- frammentazione del bambino con perdita della sua globalità
- frammentazione nella coordinazione del servizio.
La persona e l’ausilio
Efficacia di ogni intervento
Facilità d’uso dell’ausilio Accettazione dell’ausilio
da parte del disabile
L’intervento degli ausili tocca diversi aspetti legati alle
sensazioni e alle convinzioni che ogni persona con disabilità,
prova verso il proprio stato.
L’adozione di un ausilio può suscitare molti sentimenti e
avere diversi significati, tra i quali:
• senso di impotenza,
• perdita della speranza di recuperare l’abilità perduta,
• contrasto con la propria immagine
La probabilità che un ausilio venga abbandonato
aumenta se la persona disabile non è stata preparata
alle difficoltà di adattamento e alla necessità di
impegnarsi per apprendere nuove
modalità di percezione e azione.
Il percorso riabilitativo ha come oggetto la persona nella
sua globalità.
La persona è fulcro di tutto il processo.
In essa risiedono le risorse interne e la volontà di costruire e
progettare la propria esistenza in relazione con le proprie
aspirazioni e con le altre persone
Educazione all’autonomia:
Impostazione metodologica che aiuta la persona a
valorizzare al massimo la propria creatività e
progettualità intrinseca nel risolvere i problemi e a
gestire tutti gli altri interventi.
Tali supporti assumono significato e valenza
differente in base alla fase del ciclo vitale
della persona.
L’adozione di un ausilio è un anello,
seppur molto importante,
della catena di interventi che
compongono il processo
di riabilitazione e integrazione
sociale.
La ricerca di un ausilio vede la persona disabile e
l’operatore
ambedue attori del processo;
L’approccio non può ispirarsi al modello del
rapporto tradizionale “medico-paziente” in cui il
primo ordina al secondo le disposizioni da attuare.
Non si può prescindere dalla partecipazione attiva della persona
che adotterà l’ausilio.
Questa non può essere vista semplicemente come “utente”
passivo di un servizio, tanto meno come un “paziente” che
attende dall’operatore “competente” la risposta completa
al suo problema
La persona è un prezioso collaboratore del processo riabilitativo.
Attraverso l’esperienza quotidiana di utilizzo dell’ausilio
• acquisisce nuove competenze,
• si apre nuovi orizzonti
• esplora nuove acquisizioni di autonomia
• propone nuove soluzioni e azioni.
La decisione di volere autonomia è una
scelta di vita
che l’operatore non può mai imporre ,
ma che con appropriata informazione può
promuovere o facilitare
Parlando di autonomia non è definibile un’equazione che
faccia corrispondere a un determinato problema una
soluzione univoca.
Un obiettivo di autonomia può essere raggiunto in svariati
modi in relazione:
• alle risorse,
• alla personalità,
• alla cultura,
• alla tradizione,
• al contesto familiare,
• all’ambiente di vita della persona.
Spesso i tecnici lamentano l’atteggiamento “passivo”degli
utenti di ausili CAA.
A tali persone sono state fornite tecnologie, che permettono loro
di comunicare idee, bisogni, ma hanno difficoltà a formulare
opinioni,anche quando gli vengono chieste.
Sono persone che per molti anni sono state passive, all’interno
di una cultura che dà ruoli passivi a persone con incapacità.
Importanza di offrire opportunità comunicative, dove possano
essere allenati a fare scelte,a condividere opinioni
sperimentare il “potere” della comunicazione, essere
protagonista della propria vita.
L’adozione di un ausilio richiede
“disponibilità a modificare se stessi e
la propria relazione con l’ambiente”.
La proposta dell’ausilio deve ruotare attorno a tre cardini:
• una corretta modalità di proporre l’ausilio all’utente e di
guidarlo nei cambiamenti che esso comporterà nel suo
stile di vita e nelle sue relazioni con l’ambiente.
• una efficace metodologia di analisi del problema individuale
per giungere alla scelta degli ausili più opportuni
• una buona informazione sugli ausili esistenti e sulle
tecnologie disponibili.
Se non esiste condivisione tra i partner comunicativi, il
bambino non può sperimentare coerenza, continuità e
integrazione tra le varie esperienze comunicative.
Perché molti genitori di bambini piccoli rifiutano l’uso di
strategie CAA che prevedono ad es. simboli, pittogrammi,
sintesi vocale?
• vedono come prioritario lo sviluppo del linguaggio verbale
• possono pensare che l’uso della CAA “per bambini non
parlanti” può implicare che i loro figli non useranno mai
il linguaggio.
• possono pensare che la CAA indirizzi solo all’uso di
pittogrammi o di ausili con sintesi vocale, escludendo lo
sviluppo del linguaggio.
Conclusioni
Intraprendere un programma di CAA richiede uno sforzo
importante da parte della famiglia e dei principali partner
comunicativi.
Da una lato, i professionisti sono chiamati a valutare
abilità, barriere e bisogni, associarli alle caratteristiche
del sistema di comunicazione esistente e a dare
raccomandazioni per l’intervento.
Dall’altro lato, le famiglie e i partner comunicativi sono
chiamati a non delegare il compito ai professionisti
di portare avanti l’intervento.
La difficoltà principale di un percorso di C.A.A. risiede
proprio in questa ottica sistemica, che costringe tutti gli
elementi ad attivarsi in coerenza l’uno con altro.
Tuttavia, l’evidenza ha dimostrato che, quando il sistema
funziona, la qualità di vita del soggetto migliora
sensibilmente in termini di partecipazione alla vita
sociale e di gratificazione personale.
Bibliografia
 “Instructing Facilitators to Support the Communication of People
Who Use Augmentative Communication Systems” Journal of
Speech and Hearing Research, Volume 35, 865-875, August
1992
 “Family Members' Perceptions of Augmentative and Alternative
Communication Device Use” Language, Speech, and Hearing
Services in Schools Vol.37 50-60 January 2006
 “Family involvement in the AAC intervention process.
Methodological issues in research in AAC”. Blackstone, S. &
Williams, M. (1994). ISAAC Research Symposium. p. 82
Bibliografia 2
•“Adolescents’ attitudes toward a peer who uses AAC” Beck, A.,
Kosuwan, K., & Thompson, J. Illinois State University. 2004 ASHA
Convention Philadelphia, PA.
•“Children’s Attitudes toward AAC Device Type
(Static vs. Dynamic Screen)”Karen Dudek, Ann R. Beck, &
Marcia Dennis. Illinois State University ASHA Convention, 2004
•“Knowledge in the world vs. knowledge in the head: the psychology
of AAC systems”. Romich, B.A. (1994). Communication Outlook,
Vol. 16 No. 2, pp. 19-21.
•Nicoletta Castagni , “Handicap e computer”,Franco Angeli
•Renzo Andrich , “Consigliare gli ausili”, SIVA
•Zanobini M, Usai M.C. ,“Psicologia dell’handicap e della riabilitazione”
Franco Angeli 2004

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4. famiglia e caa

  • 1. Il “sistema” familiare e l’incremento della comunicazione attraverso la CAA Dott.ssa Silvia de Robertis
  • 2. Le ricerche in CAA spesso includono informazioni circa i parenti (tipicamente la madre) ma raramente focalizzano l’interesse sui problemi e sulle dinamiche familiari, che spesso si riscontrano in presenza di un membro con disabilità.
  • 3. “La nascita del bambino disabile rappresenta un evento fortemente disadattante per qualsiasi famiglia” (Pierro,1994)
  • 4. Tener conto delle differenze e considerare la famiglia come protagonista di un processo di adattamento oltre che vittima di una situazione stressante significa Immetterla a pieno titolo nel processo terapeutico Sia per quanto riguarda i supporti psicologici e materiali di cui necessita, sia per quanto riguarda l’attivazione delle risorse di cui è portatrice.
  • 5. Modello multivariato: Il modo in cui una famiglia reagisce a circostanze difficili risulta dall’interazione fra diversi fattori: - Dinamiche familiari; - Capacità di effettuare una valutazione corretta del problema; - Strategie disponibili per affrontarlo; - Risorse materiali; - Supporti sociali forniti dall’esterno.
  • 6. La nascita di un bambino con handicap comporta una situazione di perdita e la necessità di elaborare un lutto. “Il lutto è la perdita di una presenza perfetta: la nascita di un figlio handicappato è l’acquisizione di una presenza menomata” (Dell’Aglio, 1994)
  • 7. Fasi di elaborazione del lutto dei genitori (Bicknell): Shock e dolore iniziali Sensi di colpa e rabbia Trattativa Accettazione del problema e elaborazione di un progetto
  • 8. -Supporto sociale: risorse che la comunità attiva di fronte all’handicap Sostegno psicologico: Percezione da parte dei genitori di non essere isolati rispetto alla comunità di appartenenza Sostegno “materiale”: Offerta di servizi e rapporti con diverse figure professionali
  • 9. Stress Accettazione della disabilità del figlio Gestione dell’handicap e dell’ausilio
  • 10. Il ruoli all’interno della famiglia La famiglia è un sistema in cui ogni membro influenza gli altri e contribuisce a determinare l’assetto generale. Esistono specificità individuali collegate ai ruoli che ciascuno ricopre all’interno del sistema Eventuali differenze fra madri e padri di bambini disabili nella percezione della situazione e nelle modalità di reazione prevalenti
  • 11. Le madri… • cardine della presa in carico dei bambini disabili • rinunciano a diverse opportunità di sviluppo personale (es.lavoro) manifestando rabbia e depressione • caduta del livello di autostima , soprattutto nei casi in cui la maternità costituisce la fonte principale di autorealizzazione.
  • 12. ..i padri.. Ruolo più marginale, prevalentemente orientato a fronteggiare l’aspetto economico piuttosto che le problematiche connesse alla cura del figlio e alle dinamiche relazionali interne alla famiglia. Riduzione della possibilità di controbilanciare i sentimenti negativi di frustrazione, rabbia e colpa.
  • 13. ..i fratelli.. Studi clinici anni ’70 Accento sui rischi di disadattamento e di sofferenza psicologica Aggressività, Impulsività, ipercinesia… Oggi Rischi e componenti maturative ( Powell et al.,1992)
  • 14. Problematiche comportamentali possono essere spiegate da: - Relativa deprivazione di cure parentali - Troppo precoci spinte alla crescita e all’autonomia - Precoce “ genitorializzazione”, soprattutto per le sorelle maggiori del membro disabile - Vergogna, frustrazione collegate all’esperienza di un familiare disabile.
  • 15. Esiti maturativi: • In presenza di buoni modelli genitoriali, i fratelli maggiori possono divenire “mediatori” adeguati nei confronti del fratello disabile. •Attitudine alla sensibilità nei confronti dei bisogni altrui • Incremento delle competenze sociali e comunicative , grazie alla necessità quotidiana di adattarsi ad un interlocutore meno competente.
  • 16. Il ciclo di vita della famiglia è legato all’emergere di nuovi bisogni del bambino disabile e alle conseguenti necessità di riorganizzazione.
  • 17. Problema emergente: Resistenza di fronte alla crescita e all’emancipazione del figlio disabile nei suoi diversi aspetti. Obiettivo: Far si che il soggetto acquisti gradualmente consapevolezza della sua situazione e si ponga in modo via via sempre più attivo rispetto alle scelte che lo riguardano. Il progetto di intervento non passa “sulla testa” dei suoi destinatari, ma cerca il più possibile fin dall’inizio un coinvolgimento attivo.
  • 18. I professionisti di C.A.A., sono percepiti dagli utenti come più collaborativi, se comprendono il dolore della famiglia. Quando un membro della famiglia è colpito da un handicap grave della comunicazione, ciascun membro ne viene colpito.
  • 19. E’ difficile immaginare una disabilità che colpisca maggiormente le dinamiche di una famiglia, perché la comunicazione e la socializzazione sono alla base dello sviluppo di relazioni significative e della creazione di reti sociali.
  • 20. Le dinamiche familiari sono alla base del successo e/o dell’insuccesso di un intervento di C.A.A.
  • 22. I genitori esprimono tre grandi lamentele: - troppe figure professionali - frammentazione del bambino con perdita della sua globalità - frammentazione nella coordinazione del servizio.
  • 23. La persona e l’ausilio
  • 24. Efficacia di ogni intervento Facilità d’uso dell’ausilio Accettazione dell’ausilio da parte del disabile
  • 25. L’intervento degli ausili tocca diversi aspetti legati alle sensazioni e alle convinzioni che ogni persona con disabilità, prova verso il proprio stato. L’adozione di un ausilio può suscitare molti sentimenti e avere diversi significati, tra i quali: • senso di impotenza, • perdita della speranza di recuperare l’abilità perduta, • contrasto con la propria immagine
  • 26. La probabilità che un ausilio venga abbandonato aumenta se la persona disabile non è stata preparata alle difficoltà di adattamento e alla necessità di impegnarsi per apprendere nuove modalità di percezione e azione.
  • 27. Il percorso riabilitativo ha come oggetto la persona nella sua globalità. La persona è fulcro di tutto il processo. In essa risiedono le risorse interne e la volontà di costruire e progettare la propria esistenza in relazione con le proprie aspirazioni e con le altre persone
  • 28. Educazione all’autonomia: Impostazione metodologica che aiuta la persona a valorizzare al massimo la propria creatività e progettualità intrinseca nel risolvere i problemi e a gestire tutti gli altri interventi.
  • 29. Tali supporti assumono significato e valenza differente in base alla fase del ciclo vitale della persona.
  • 30. L’adozione di un ausilio è un anello, seppur molto importante, della catena di interventi che compongono il processo di riabilitazione e integrazione sociale.
  • 31. La ricerca di un ausilio vede la persona disabile e l’operatore ambedue attori del processo; L’approccio non può ispirarsi al modello del rapporto tradizionale “medico-paziente” in cui il primo ordina al secondo le disposizioni da attuare.
  • 32. Non si può prescindere dalla partecipazione attiva della persona che adotterà l’ausilio. Questa non può essere vista semplicemente come “utente” passivo di un servizio, tanto meno come un “paziente” che attende dall’operatore “competente” la risposta completa al suo problema
  • 33. La persona è un prezioso collaboratore del processo riabilitativo. Attraverso l’esperienza quotidiana di utilizzo dell’ausilio • acquisisce nuove competenze, • si apre nuovi orizzonti • esplora nuove acquisizioni di autonomia • propone nuove soluzioni e azioni.
  • 34. La decisione di volere autonomia è una scelta di vita che l’operatore non può mai imporre , ma che con appropriata informazione può promuovere o facilitare
  • 35. Parlando di autonomia non è definibile un’equazione che faccia corrispondere a un determinato problema una soluzione univoca. Un obiettivo di autonomia può essere raggiunto in svariati modi in relazione: • alle risorse, • alla personalità, • alla cultura, • alla tradizione, • al contesto familiare, • all’ambiente di vita della persona.
  • 36. Spesso i tecnici lamentano l’atteggiamento “passivo”degli utenti di ausili CAA. A tali persone sono state fornite tecnologie, che permettono loro di comunicare idee, bisogni, ma hanno difficoltà a formulare opinioni,anche quando gli vengono chieste. Sono persone che per molti anni sono state passive, all’interno di una cultura che dà ruoli passivi a persone con incapacità. Importanza di offrire opportunità comunicative, dove possano essere allenati a fare scelte,a condividere opinioni sperimentare il “potere” della comunicazione, essere protagonista della propria vita.
  • 37. L’adozione di un ausilio richiede “disponibilità a modificare se stessi e la propria relazione con l’ambiente”.
  • 38. La proposta dell’ausilio deve ruotare attorno a tre cardini: • una corretta modalità di proporre l’ausilio all’utente e di guidarlo nei cambiamenti che esso comporterà nel suo stile di vita e nelle sue relazioni con l’ambiente. • una efficace metodologia di analisi del problema individuale per giungere alla scelta degli ausili più opportuni • una buona informazione sugli ausili esistenti e sulle tecnologie disponibili.
  • 39. Se non esiste condivisione tra i partner comunicativi, il bambino non può sperimentare coerenza, continuità e integrazione tra le varie esperienze comunicative.
  • 40. Perché molti genitori di bambini piccoli rifiutano l’uso di strategie CAA che prevedono ad es. simboli, pittogrammi, sintesi vocale? • vedono come prioritario lo sviluppo del linguaggio verbale • possono pensare che l’uso della CAA “per bambini non parlanti” può implicare che i loro figli non useranno mai il linguaggio. • possono pensare che la CAA indirizzi solo all’uso di pittogrammi o di ausili con sintesi vocale, escludendo lo sviluppo del linguaggio.
  • 42. Intraprendere un programma di CAA richiede uno sforzo importante da parte della famiglia e dei principali partner comunicativi. Da una lato, i professionisti sono chiamati a valutare abilità, barriere e bisogni, associarli alle caratteristiche del sistema di comunicazione esistente e a dare raccomandazioni per l’intervento. Dall’altro lato, le famiglie e i partner comunicativi sono chiamati a non delegare il compito ai professionisti di portare avanti l’intervento.
  • 43. La difficoltà principale di un percorso di C.A.A. risiede proprio in questa ottica sistemica, che costringe tutti gli elementi ad attivarsi in coerenza l’uno con altro. Tuttavia, l’evidenza ha dimostrato che, quando il sistema funziona, la qualità di vita del soggetto migliora sensibilmente in termini di partecipazione alla vita sociale e di gratificazione personale.
  • 44. Bibliografia  “Instructing Facilitators to Support the Communication of People Who Use Augmentative Communication Systems” Journal of Speech and Hearing Research, Volume 35, 865-875, August 1992  “Family Members' Perceptions of Augmentative and Alternative Communication Device Use” Language, Speech, and Hearing Services in Schools Vol.37 50-60 January 2006  “Family involvement in the AAC intervention process. Methodological issues in research in AAC”. Blackstone, S. & Williams, M. (1994). ISAAC Research Symposium. p. 82
  • 45. Bibliografia 2 •“Adolescents’ attitudes toward a peer who uses AAC” Beck, A., Kosuwan, K., & Thompson, J. Illinois State University. 2004 ASHA Convention Philadelphia, PA. •“Children’s Attitudes toward AAC Device Type (Static vs. Dynamic Screen)”Karen Dudek, Ann R. Beck, & Marcia Dennis. Illinois State University ASHA Convention, 2004 •“Knowledge in the world vs. knowledge in the head: the psychology of AAC systems”. Romich, B.A. (1994). Communication Outlook, Vol. 16 No. 2, pp. 19-21. •Nicoletta Castagni , “Handicap e computer”,Franco Angeli •Renzo Andrich , “Consigliare gli ausili”, SIVA •Zanobini M, Usai M.C. ,“Psicologia dell’handicap e della riabilitazione” Franco Angeli 2004