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Aldo Perris
I
Racconti
di
Nonna
Nicolina
I racconti di nonna nicolina
Nonna Nicolina era mia nonna.
Nonna Nicolina nacque ad aprile del 1904 e morì a maggio del 2005.
Nonna Nicolina era cieca.
Non era nata cieca, lo divenne a quarant'anni dopo una malattia che, a quei tempi,
era incurabile.
Mio padre, mia madre, i miei nonni e cinque bambini abitavamo in una casa antica
con soffitti alti sei metri e mura spesse un metro.
Ci piaceva usare manufatti di altre epoche tra i quali il trapano a legno, la
macchinetta del caffè alla napoletana, il macinino, la macchina da cucire meccanica e
l'Asciuttapanni.
L'”Asciuttapanni” era una campana composta da doghe di legno intrecciate sopra le
quali venivano posti quegli indumenti che non s'erano sufficientemente asciugati con la
stesa.
Sotto questa campana, in tempi antichi, veniva posizionato un “Braciere”, ossia un
contenitore metallico di braci ardenti che venivano prelevate dal fuoco del camino.
Quando ero bambino, il braciere era stato già soppiantato da una stufa elettrica
circolare.
Quando ero bambino, io e i miei quattro fratelli, appena finivamo di fare i compiti a
casa, ci sedevamo vicino a nonna ad ascoltare i “racconti”.
L'età di noi bambini era compresa tra i due e i dieci anni.
D'inverno, ci posizionavamo tutti (nonna e nipotini) intorno all'Asciuttapanni,
con una coperta di lana grezza che copriva le gambe di tutti in un'unica soluzione, uno
scialle sulle spalle e nonna cominciava a raccontare.
A causa della sua cecità, nonna non si accorgeva del calar del buio e noi bambini,
per non interrompere i racconti, non andavamo ad accendere la luce e restavamo in quel
buio illuminato solo dai bagliori della stufa posta sotto l'Asciuttapanni cullati dalla
melodiosa voce di nonna Nicolina.
I racconti di nonna erano favole e fiabe che le raccontava una vecchietta quando lei
era, a sua volta, una bambina.
Fiabe tramandate oralmente attraverso i secoli.
Mi è capitato di trovare riferimenti ai personaggi e ai racconti di nonna Nicolina in
scritti di narratori illustri.
Senza pretese artistiche, cercherò di riproporre i racconti di nonna Nicolina così
come ce li raccontava lei.
È il mio modesto omaggio a mia nonna alla quale sono ancora legato al di là del
tempo e delle dimensioni che ci dividono.
Aldo Perris
Racconto N°1
Pesce pesce che stai a mare
C'erano una volta un vecchio e una vecchia, erano poveri, non
possedevano il becco di un quattrino, vivevano in una catapecchia nei
pressi del porto della loro città. Si chiamavano Giacinto e Rita.
Una mattina presto, poco dopo l'alba, Giacinto decise di tentare la
fortuna e andare giù al molo. Il suo obiettivo era quello di riuscire a
pescare qualcosa da mettere sotto i denti per sé e per la sua anziana
moglie.
… e s'incamminò …
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Essendo vecchio, camminava col bastone. Non è che gli servisse
sempre ma, quando era stanco, gli faceva comodo un piccolo aiuto alle sue
stanche ossa.
Per riuscire a pescare gli occorreva una canna da pesca, una canna da
pesca che lui non possedeva.
Un antico proverbio recita: “La fame aguzza l'ingegno”. Infatti, il
vecchietto decise di usare il proprio bastone come canna. Con il solo
bastone, però, non sarebbe riuscito a pescare. Gli occorrevano anche una
lenza, un amo e un verme.
Per procurarsi la lenza sfilò la cucitura di una tasca del suo logoro
cappotto. Ne ricavò un filo lungo quasi due metri che legò strettamente
all'impugnatura del bastone.
Ora gli occorreva un amo … facile.
Mesi prima, aveva venduto la fede nuziale per comprare del cibo. Al
suo posto aveva messo del fil di ferro.
5
Il vecchio Giacinto si tolse il finto anello, lo aprì e lo legò all'altra
estremità della lenza. Infine, lo piegò ad uncino per dargli la caratteristica
forma da amo.
Per trovare il verme, seguendo il proprio olfatto acuito dalla fame, si
diresse verso un cumulo d'immondizia che era composta dagli scarti della
pesca. Lì, trovo quanto cercava.
Era pronto.
Ora poteva andare a sedersi sul molo e lanciare la sua esca in acqua.
Si sedette sulla pietra del molo e, con le gambe a penzoloni a un
metro dal pelo dell'acqua, lanciò l'esca.
Per parecchio tempo non accadde nulla, tanto che il vecchietto
s'appisolò.
Stava sognando di banchettare ad una tavola imbandita d'ogni ben di
Dio. Nel sogno, allungava una mano per prendere un cosciotto di pollo e,
mentre stava per raggiungere il suo boccone, s'accorse che qualcuno lo
stava trattenendo per un braccio, qualcuno di cui egli non vedeva il volto.
Dopo un po', la stessa persona cominciò a strattonarlo. Egli, nel provare a
divincolarsi dalla presa, si svegliò.
Effettivamente, lo stavano strattonando. Era il suo bastone … forte!
Qualcosa aveva abboccato alla sua esca … qualcosa di grosso, a giudicare
da quanto tirava.
Il bastone stava quasi per sfuggirgli di mano per cui il vecchietto,
traendo forze dalla sua fame, lo strinse più forte e tirò su.
Qualcosa volò fuori dall'acqua e gli cadde in braccio.
Un pesce.
Un pesce di almeno tre chili.
Un pesce che rassomigliava a un tonno ma che non era un tonno.
Giacinto lo poggiò sul selciato alle sue spalle cosicché non gli
scivolasse in acqua, s'alzò e, con la sua preda, s'allontanò dall'acqua di un
paio di metri.
A quel punto, sfilò il fil di ferro dalla bocca dell'animale che si
agitava in maniera forsennata e, per porre fine alle sue sofferenze, alzò il
bastone per colpirlo in testa e ucciderlo.
- No! Non uccidermi! -
6
Il vecchietto si guardò intorno per cercare di capire chi avesse
parlato. Intorno non c'era nessuno a parte due donne, ad una ventina di
metri di distanza, che parlottavano tra loro allontanandosi.
La voce che aveva sentito era maschile e proveniva da più vicino.
Pensò “la fame mi fa avere le allucinazioni … beh! Con questo bel
pesce, oggi mi sazierò!” ed alzò di nuovo il bastone per colpirlo.
- No! Ti prego, non uccidermi! -
- CHI È? - gridò il Giacinto che cominciava a spaventarsi
guardandosi intorno e non vedendo anima viva. Adesso anche le due donne
erano sparite.
Guardò verso l'animale che continuava ad agitarsi, bloccato tra la sua
coscia e il braccio sinistro.
In effetti, il pesce muoveva la bocca ma si sa, i pesci boccheggiano in
cerca di aria.
Stavolta, il vecchietto decise di guardare verso il pesce. Alzò il
bastone e …
- Nooo! Ti prego, non uccidermi. Ti darò tutto quello che vuoi! -
Stavolta non poteva essersi sbagliato. Era proprio il pesce. Al vecchio
cadde il bastone dalla mano. Sollevò il pesce e disse:
- Ma … tu … tu parli? -
- Certo che parlo! - Rispose l'animale che, cominciando a sperare di
avere salva la vita, stava riprendendo fiducia. Infatti continuò: - Ma … se
vuoi, posso pure cantare … - Giacinto, troppo impressionato da ciò che
stava accadendo, non capì la battuta.
- Ma com'è possibile che parli? I pesci non parlano. Lo dicono tutti
… da sempre … come dice la frase? … ah! … ecco, “Muto come un
pesce”... ma dai! … non è possibile che tu parli. -
- Allora vuol dire che stai impazzendo! - rispose il pesce. Il
vecchietto ci pensò su.
- Ah, ecco, … beh! … in effetti … -
- Ma no che non stai impazzendo! … - lo interruppe l'animale - … È
logico che i pesci non parlano ma io sono un pesce magico. Sono qualcosa
di unico al mondo. Sarebbe un peccato se tu mi uccidessi -.
7
- Hai ragione. Inoltre, non potrei ucciderti neanche volendo. Noi
umani non siamo dei santi ma, per uccidere un essere capace di
comunicare, bisogna essere bestie e … a proposito … cos'è quella storia
che, se non ti uccidevo, mi davi tutto ciò che volevo? -
- Tutto quello che desideri ma! ... solo dopo che m'avrai ributtato in
mare -
- Sicuro che non te ne scappi? - Fidarsi è bene ma …
- Parola di pesce – Avrebbe fatto “giurin giurello” se avesse avuto le
dita.
- Ehm! Non so se posso fida … -
- Allora uccidimi … e così non lo saprai mai – Sentenziò l'animale
con spavalderia. Giacinto ci rifletté un attimo, poi ...
- E sia! - e lo rilanciò in acqua.
Il pesce sparì sotto la superficie dell'acqua e, per qualche lunghissimo
secondo, non emerse. Poi tirò fuori la testa.
- Ah! Che bella l'acqua. A volte non capisco come si possa vivere
fuori da essa … allora … spara! -.
- Sparare? E a chi? -.
- “Spara” era un modo di dire ... ciò che volevo dire era chiedi.
Chiedi cosa desideri, … visto che m'hai lasciato in vita … -.
- Posso davvero? -
- Certo che puoi. Qualunque cosa desideri -.
- Ho fame. Mia moglie ed io abbiamo fame. Ero venuto qui a
pescare. Vorrei portare a mia moglie un bel pesce, grosso -
- È solo questo ciò che vuoi? - Il pesce era perplesso. Credeva che gli
umani fossero più avidi. La richiesta di un semplice pesce gli faceva
tenerezza.
- Si -. Rispose Giacinto.
- E sia! -
Dall'acqua saltò un bel tonno da dieci chili e volò direttamente tra le
braccia del vecchio. Era grosso e pesante e, per poco, non lo fece cadere a
terra.
A Giacinto non sembrava vero. Alzò lo sguardo per ringraziare il
pesce ma costui era già sparito.
Con questo peso sulle spalle, il vecchietto ritornò a casa.
8
tu ttù
tu ttù
tu ttù
I passi erano lenti a causa del peso del pesce.
Quando aprì l'uscio della sua catapecchia, sua moglie Rita rimase
sbalordita per l'ottimo esito della sua pesca.
Accese un fuoco e vi mise a bollire l'acqua.
Non aspettarono che arrivasse ora di pranzo. Erano tre giorni che non
mangiavano. Alle otto del mattino, s'erano già mangiati metà tonno.
Con lo stomaco pieno, ai due coniugi tornò il sorriso e la voglia di
parlare.
- Sei stato fortunatissimo, Giacinto. Senza avere una vera canna da
pesca sei riuscito a catturare un tonno enorme -. Fece la moglie, mentre
s'asciugava la bocca con la manica del vestito.
- Ma io, questo tonno non l'ho mica pescato! - Rispose Giacinto,
candidamente.
- Come sarebbe a dire “non l'ho mica pescato”? T'è forse saltato in
braccio? - Chiese Rita, sarcastica.
- Proprio così! Come fai a saperlo? - disse lui. L'unica reazione
possibile fu l'espressione spaventata della vecchietta. Egli, comprendendo
cosa stesse pensando la moglie, disse:
- No, … non sono impazzito … ora ti racconto tutto … stamattina,
con la mia lenza improvvisata, ero riuscito a catturare un bel pesce da tre
chili circa. Ero contento della fortuna che avevo avuto con la mia lenza
improvvisata. Ebbene, quando ho tolto l'amo dalla bocca del pesce e stavo
per dargli il colpo di grazia, lui mi ha supplicato di non ucciderlo -.
- Ti ha parlato? -
- Si! -
- Ma cosa vai blaterando? I pesci non parlano. C'è appunto la famosa
frase “muto come un pesce” … ma dai! - Rita si sentiva presa in giro e
cominciava ad arrabbiarsi.
- Guarda che è la stessa cosa che gli ho detto anch'io … al principio
pensavo ad uno scherzo di qualcuno che doveva essersi nascosto da
qualche parte ma, ti assicuro, non c'era anima viva nei paraggi, era proprio
il pesce a parlare -.
9
- Ma la smetti di dire sciocchezze? -
- Non sono sciocchezze … secondo te, come ho preso un pesce da
dieci chili usando un bastone, del cotone e del fil di ferro? -
- Beh! … in effetti … come hai fatto? -
- È stato lui, il pesce parlante … che era un pesce magico. M'ha detto
che se l'avessi lasciato in vita, m'avrebbe dato tutto ciò che volevo -. Rita
tacque per qualche secondo poi, il suo viso cominciò ad avvampare.
- Vorresti dire che, quando il pesce t'ha detto “ti do' tutto ciò che
vuoi”, tu gli hai chiesto un pesce? … solo un pesce?
Come avrei fatto a portarne più di uno? Questo era già bello pesante … -
- Razza d'idiota! - urlò lei.
- Ma cos'ho fatto? Non capisco … - provò a difendersi Giacinto.
- Esatto! Non capisci … non capisci un tubo, ma come? Hai la
possibilità di chiedere tutto ciò che vuoi e chiedi un pesce? … I SOLDI!!!
Brutto asino che non sei altro. Dovevi chiedere i soldi. Non so se ti sei
accorto del fatto che siamo poveri -
- Ah, già. … ma, ora? … cosa posso fare, ormai? -
- Cosa puoi fare? TORNA AL MOLO, vecchio citrullo! Trova questo
pesce e chiedigli un sacco pieno di soldi … va! Va! VAAAA! -
Il vecchietto uscì di gran carriera, anche per non sentire le urla della
moglie, e si precipitò al molo.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
I passi, dopo aver mangiato e acquistato un po' di forze, stavolta
erano più spediti.
Arrivò al mare.
Arrivato sul molo, si ricordò che non sapeva come si chiamasse il
pesce. Eppure, doveva chiamarlo. Infine, si decise e cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti
devo parlare! -
10
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
- Eeeh! Ma sei impazzito? E che modi sono questi? - il pesce tirò la
testa fuori dall'acqua. Era molto seccato.
- Scusa pesce ma, ehm! … non sapevo se riuscivi a sentirmi – si
giustificò Giacinto.
- Ti sentivo, ti sentivo … ma mi stavo facendo un attimo la barba -
- ? -
- Avanti, dimmi cosa vuoi – fece l'animale magico.
- Io … ehm! … volevo ringraziarti del bel pesce che m'hai dato ma
… ecco, volevo sapere se potresti darmi dei soldi … un sacco di soldi … -
- Ah! Volevo ben dire … e mi pareva strano che non m'avessi chiesto
i soldi … e certo! Me lo dovevo aspettare. Alla fine, tutti gli uomini
chiedono sempre i soldi ... -
- A dire il vero, me l'ha fatto notare mia moglie che, per averti
risparmiato la vita, t'avevo chiesto troppo poco … … e poi, tu m'hai detto
che m'avresti dato tutto ciò che volevo. Varrà qualcosa la promessa di un
pesce magico … o ti rimangi la parola data? -. Il pesce rimase qualche
istante a pensarci su, infine disse:
- E sia! Quanto denaro vuoi? -
- Quanto voglio? … e che ne so! Un sacco di soldi vuol dire un sacco
di soldi … io non … - Il pesce interruppe Giacinto.
- Va bene! Faccio io, … ecco! -
… e, tra le braccia del vecchio, comparve un sacco molto
voluminoso e pesante, tanto pesante che gli piegò le braccia fino a cadergli
a terra.
Il sacco era chiuso con uno spago. Egli lo sciolse e guardò il
contenuto del sacco. Era davvero un sacco di soldi. Banconote di grosso
valore.
Lui si guardò intorno per vedere se qualcuno avesse visto cos'era
successo ma il molo era totalmente deserto. “Meglio così!” pensò. Aveva
paura che qualche malintenzionato potesse portarglielo via.
11
Chiuse il sacco, si fece forza e se lo mise in spalla e ripartì verso
casa.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
I passi, stavolta, erano più lenti a causa del peso.
Arrivò a casa tutto sudato.
Rita, appena lo vide entrare, gli strappò il sacco dalle spalle, lo aprì,
guardò il contenuto e … e cominciò a ridere.
Quando l'atmosfera di festa si calmò, Giacinto, seduto al tavolo,
disse:
- Adesso siamo a posto. Tutti i nostri problemi sono finiti per sempre.
Non saremo mai più poveri -
- Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita.
- Cosa vuoi dire? - chiese il vecchietto accentuando una delle sue
rughe tra gli occhi.
- Secondo te, bastano questi soldi per risolvere tutti i problemi della
nostra vita? -
- Ma … sono tanti! - Giacinto non capiva. Rita spiegò.
- Adesso ti sembrano tanti soldi ma ci serviranno per comprare tante
cose e, così, finiranno e noi torneremo ad essere poveri -.
- Allora? -
- Allora torna dal pesce e digli che voglio una bella casa. Deve
trasformare questa catapecchia in una bella villa a due piani con tanto di
giardino -
- Ma non ti sembra di esagerare? Io credo che … -
- Tu non credi! Tu obbedisci! Va al molo e fa come ti dico! – La
moglie cominciava ad inalberarsi.
- Ma … - Provava a difendersi Giacinto.
- Vai! - Dal tono della voce, si capiva che Rita non ammetteva un
rifiuto dal marito.
- Insomma, io … - Cercò di alzare la voce il vecchio.
- VAAAAA!!!! - Rita era una furia.
Giacinto uscì da casa e si diresse al molo.
tu ttù
12
tu ttù
tu ttù
I passi, stavolta erano poco convinti.
Arrivò al mare.
Arrivato sul molo, si ricordò che s'era dimenticato di chiedere al
pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo. Cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
- Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo
dell'acqua – E un attimo! Stavo facendo una partita a dama con un amico -
- ? -
- Cosa vuoi ancora? - Chiese l'animale magico.
- Io, … ecco … vorrei una casa -. Stavolta, Giacinto non la tirò per le
lunghe.
- Perché, non ce l'hai una casa? -
- Si, no, cioè … la casa ce l'ho ma … è una catapecchia -
- Ebbene? Con tutti i soldi che ti ho dato non ce la fai a comprarti una
bella casa? -
- È la stessa cosa che ho detto a mia moglie ma lei mi ha risposto che
se spendiamo tutti i soldi per la casa, dopo, rimaniamo senza soldi per
mangiare e, … beh! … saremmo costretti a rivenderla per comprarci del
cibo e, piano piano, finirebbero tutti i soldi e, a quel punto … -
- Basta così! Ho capito … e, dove la vorresti questa casa? -
- Ah! Non lo so … va bene! Fa una cosa, trasforma la mia vecchia
casetta in una bella villa a due piani con tanto di giardino -
- In quanto a pretese te la cavi bene! - Rispose, sarcasticamente, il
pesce.
- Scusa ma, mia moglie … -
13
- Piantala con questa tiritera “Mia moglie, mia moglie” … la verità è
che pure tu vuoi questa villetta.
Giacinto abbassò lo sguardo studiandosi le scarpe logore. Il pesce
disse:
- Va bene. Torna a casa. Fa uscire tua moglie. A quel punto devi dire
la parola “Casa” e vedrai trasformarsi la tua catapecchia in una bella villa a
due piani con tanto di giardino -.
- Grazie, grazie tanto, io … -
- Basta così! Addio, vecchio -.
… e sparì sotto il pelo dell'acqua. Giacinto s'incamminò verso casa.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Stavolta il passo era incerto. Non aveva pesi ma portava il peso del
dubbio. Non era certo che sarebbe avvenuto il miracolo e che la sua
catapecchia si sarebbe trasformata in una bella villa. Sospettava che il
pesce l'avesse preso in giro.
Rientrò in casa e Rita, vedendolo, disse:
- E ti pareva! Non l'hai trovato, vero? - dando per scontato che suo
marito fosse un incapace.
- No, cioè si, insomma … l'ho trovato – s'impappinava Giacinto.
- Allora? Dov'è questa casa? -
- Vieni con me … e osserva! - fece il vecchio, con atteggiamento
teatrale.
Uscirono dalla loro catapecchia e s'allontanarono di una ventina di
passi. Poi, l'uomo si girò verso la loro vecchia dimora e pronunciò la
parola “Casa”.
Tutte le assi di legno della catapecchia cominciarono a diventare
lucide e ad espandersi, stavano trasformandosi in marmo allargando la
casa. Il tetto di lamiera sparì e il marmo delle mura cominciò ad allungarsi
in altezza. Si delinearono balconi, bovindi, un grosso terrazzo sul tetto.
Tutt'intorno all'abitazione spuntò un bel prato circondato da un muretto di
cinta ed un bel cancello all'ingresso.
- Ta, taa! - fece Giacinto alla fine della trasformazione, imitando la
gestualità di un prestigiatore.
- Bellissima – fu l'unica cosa che riuscì a dire Rita.
14
Entrarono. Insieme passarono in rassegna tutte e dieci le stanze più
l'ampio salone, l'enorme cucina e i quattro bagni.
L'euforia era tanta.Quando l'atmosfera di festa si calmò, Giacinto,
seduto al tavolo, disse:
- Adesso siamo a posto. Tutti i nostri problemi sono finiti per sempre.
Abbiamo tanti soldi e una bellissima casa. Non ci serve altro -
- Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita.
- Cosa intendi dire? - chiese il vecchietto, sospettando altre noie.
- Secondo te, basta avere questi soldi e questa casa per pensare di
aver risolto tutti i problemi della nostra vita? -
- Ma i soldi sono tanti e la casa è grande e bella, no? - fece Giacinto.
- Si, certo! La casa è grande e bella ma … guarda che brutti mobili
che abbiamo -.
- Va bene ma, abbiamo i soldi, compreremo dei bei mobili, no? -
- Così i soldi finiscono -
- Ma dai! Sono tanti soldi -
- Adesso ti sembrano tanti soldi ma … se usiamo questi soldi per
comprare i mobili, pian piano, i soldi finiranno. A quel punto, noi, per
sopravvivere, saremo costretti a venderci i mobili, … e magari la casa.
Poi, pure i soldi della vendita della casa finiranno e, a quel punto, noi
torneremo ad essere poveri -.
- Allora? Cosa vuoi che io faccia? - L'uomo stava cominciando a
capire dove volesse parare la moglie.
- Torna dal pesce -.
- No! … ti prego, e poi ... che figura ci faccio? -
- Chi se ne importa della figura! -
Rita non era una cattiva persona. Lei aveva avuto anche una buona
infanzia, provenendo da un'ottima famiglia. Per amore di Giacinto aveva
lasciato tutto e l'aveva seguito. Purtroppo, Giacinto non era abile in nessun
lavoro e, finché erano stati giovani, l'amore era bastato a farle sopportare
tutto, persino la miseria.
Ora che era anziana, era stanca di una vita di stenti e, avendo avuto
un occasione per uscire dalla povertà, voleva coglierla al massimo. Inoltre
aveva un'enorme paura di tornare a vivere nella miseria.
15
- Questo lo dici perché sono io a fare una figuraccia – Rispose
Giacinto. Lei tentò la via della persuasione dolce.
- Ascolta tesoro, quel pesce sarebbe finito nel nostro stomaco se tu
non avessi avuto pietà di lui. È stato lui che ti ha promesso di darti tutto
ciò che volevi se lo avessi liberato. Ora deve mantenere la promessa. Va al
molo … per piacere -.
Una moglie sa sempre come prendere il marito. Giacinto partì alla
volta del molo ma, mentre s'allontanava, sentì la moglie gridargli dietro:
- Mi raccomando, voglio dei mobili in stile Luigi XIV -
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Arrivato sul molo, si ricordò che, per l'ennesima volta, s'era
dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva
chiamarlo. Cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
- Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo
dell'acqua – E un attimo! Stavo facendo un quadrangolare di tennis con
alcuni amici -
- ? -
- Cosa vuoi stavolta? - Chiese l'animale magico che cominciava a
spazientirsi.
- Mobili – rispose prontamente Giacinto, per non tirarla troppo per le
lunghe.
- Mobili? E con tutti i soldi che ti ho dato non puoi comprarteli da
solo? -
16
- Si ma, se li compro coi soldi che ho … poi i soldi finiscono e torno
ad essere povero … a quel punto sarò costretto a vendere la casa e … -
- Guarda che sei davvero esagerato, tu … tu … io ... – il pesce era
veramente arrabbiato e balbettava a causa dei nervi. Il vecchio lo
interruppe dicendo:
- M'avevi promesso di darmi tutto ciò che desideravo. Hai mentito,
per caso? -
- Non ho mentito ma … -
- Niente “Ma”! … - L'uomo l'interruppe di nuovo - … se la tua
parola ha qualche valore, dammi questi mobili e non fare troppe storie -
- Uhm! D'accordo! Come li vuole il signore? - chiese il pesce con
fare canzonatorio. Lo chiese più per prenderlo in giro che per sapere come
effettivamente li volesse. Giacinto non capì la presa in giro e rispose
tranquillamente:
- Li voglio tutti in stile … aspetta … non mi ricordo bene … ah!
Ecco, … li voglio in stile Luigi XIV -
- Luigi XIV? … e va bene. Torna a casa e troverai quanto desideri -
e, con queste parole, il pesce sparì nuovamente sotto la superficie del mare
… e il vecchio tornò verso casa.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Non vi era abituato ma, quando tornò a casa, per la prima volta suonò
il campanello. Prima di allora, Giacinto e Rita non avevano nemmeno una
vera porta, usavano una vecchia tavola di legno per chiudere l'ingresso di
casa. Era pur vero che, prima di allora, non avevano motivi per chiudere la
porta perché non possedevano alcunché che potesse interessare i ladri.
La moglie aprì la porta con un bel sorriso stampato in volto e gli
disse:
- Accomodati - e lo invitò a sedere su una bellissima sedia con la
seduta imbottita, con dei bei braccioli, tutta dipinta color oro.
Giacinto non si sedette e preferì fare il giro della casa per osservare il
nuovo mobilio.
Un enorme tavolo in stanza da pranzo con mobile buffet, una grande
cucina coi fuochi al centro, librerie e vetrine un po' dappertutto.
17
In camera da letto trovò un grosso armadio a specchio, un comò, un
settimino e un enorme letto a baldacchino.
Si sedette sul bordo del letto e, asciugandosi il sudore, disse:
- Ora credo che non siamo più a rischio di tornare poveri -
- Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita.
- Cosa intendi dire? - chiese il vecchietto, disperato.
- Guarda! - le disse lei, aprendo l'armadio.
- Cosa devo guardare? - chiese lui.
- Appunto! Cosa devi guardare? Non c'è nulla da guardare. In questo
armadio, come in tutti i cassetti di ogni mobile di casa, non c'è niente -
- D'accordo, non c'è niente ma, stavolta, possiamo comprare … -
- Ma sei impazzito, per caso? - gli urlò lei.
- Nemmeno per sogno! … dai! … abbiamo mobili, casa e soldi -
- Allora te lo spiego meglio, citrullo che non sei altro. Se compriamo
i vestiti, posate, bicchieri, piatti, biancheria e tutto quanto ci occorre a
riempire i cassetti, finiscono i soldi e ci troveremo costretti a rivendere
tutto a metà prezzo. A quel punto, per sopravvivere, dovremo rivendere i
mobili e … cosa fai? -
- Vado, vado … - pur di non sentire la tiritera della moglie, Giacinto
s'incamminò nuovamente verso il molo.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Arrivato sul molo, si ricordò, per l'ennesima volta, che s'era
dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva
chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
18
- Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo
dell'acqua – E un attimo! Stavo facendo una lezione di scuola guida -
- ? -
- Cosa vuoi stavolta? Avanti, non farmi perdere tempo – disse al
povero vecchietto, senza tanti complimenti.
- Riempire i cassetti – rispose lui, sbrigativamente.
- Cosa? -
- Hai capito bene. Abbiamo un sacco di mobili ma sono vuoti. Ci
servono vestiti, posate, bicchieri, piatti, biancheria … -
- Ma con tutti i soldi che ti ho … Ooh! Va bene. Va a casa e ogni
cassetto che aprirai, si riempirà di ciò che più ti occorre. Avrai le migliori
marche al mondo ma ora lasciami in pace -
… e, senza aspettare un inutile “grazie” dall'uomo, sparì sotto il pelo
dell'acqua.
Giacinto fece ritorno.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Arrivato a casa, bussò, Rita gli andò ad aprire e lui le disse:
- Fatto! -
- Cioè? - chiese lei
- Va ad aprire i cassetti e le ante dei mobili e degli armadi.
Lei non se lo fece dire due volte, corse ad aprire tutti i cassetti e le
ante dei mobili della cucina e vi trovò piatti di porcellana di Vietri,
bicchieri di cristallo di Boemia e tutte le posate d'argento.
Corse in soggiorno e, aprendo i cassetti, vi trovò tovaglie e tovaglioli
di finissimo lino.
Si precipitò su, in camera da letto e, aprendo i cassetti del settimino e
del comò trovò biancheria di seta, pigiami e vestaglie, calze di nylon,
calzini di filo di scozia.
Ma la sorpresa più grande fu aprendo l'armadio. Vi trovò abiti
maschili e femminili delle più importanti firme della moda e scarpe di
valore uguale.
Tornò da Giacinto con un sorriso a trentadue denti (beh! Non tutti e
trentadue, per essere precisi).
19
A quel punto, Giacinto che s'era riposato, disse:
- Adesso siamo a posto. Tutti i nostri problemi sono finiti per sempre.
Abbiamo tanti soldi, una bellissima casa, tanti bei mobili pieni di tutto ciò
che ci occorre. Finalmente siamo a posto -
- Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita.
- Oh Signore, cosa vorresti ancora? - chiese il vecchietto, oramai
disperato.
- Secondo te, basta avere questi soldi, questa casa e questi mobili
pieni per pensare di aver risolto tutti i problemi della nostra vita? -
- Dici che non ci basta tutto ciò? - fece Giacinto.
- Hai visto quanto è grande la casa e quanta roba c'è? -.
- Certo? - Giacinto non capiva dove volesse parare la moglie.
- E chi lava, pulisce e lucida? Chi stira e stende? -
- Lava? Stira? Stende? … va bene, prenderemo persone a servizio -.
rispose Giacinto, con poca convinzione. Tanto sapeva a cosa alludeva la
moglie.
- Così i soldi finiscono - “Ecco, appunto!” pensò il vecchietto. A quel
punto, tentò un timido:
- Ma dai! Sono tanti soldi -
- Adesso ti sembrano tanti soldi ma … se usiamo questi soldi per
pagare la servitù, i soldi finiranno. Poi, per procurarcene altri, venderemo
le scarpe, i vestiti, le tovaglie e l'argenteria ma finiranno anche quei soldi.
Poi toccherà ai mobili e, pian piano, i soldi finiranno. A quel punto, noi,
per sopravvivere, saremo costretti a venderci la casa. Poi, pure i soldi della
vendita della casa finiranno e noi torneremo ad essere poveri -.
- Allora? Cosa vuoi che io faccia? - L'uomo ormai era rassegnato.
- Torna dal pesce ma … stavolta prendi qualcosa pure per te -.
- Per me? -
- Si. Ci servono tre persone di servizio ma a te serve una Rolls Royce
con tanto di autista. Tutta la servitù dovrà indossare la livrea -.
- Va bene -.
Stavolta, Giacinto non mosse obiezioni. L'idea dell'autista e della
Rolls Royce lo allettava. Inoltre, se era costretto a fare su e giù dalla casa
al molo, era meglio farlo in un'automobile di lusso.
S'avviò al molo.
20
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Arrivato sul molo, si ricordò, ancora una volta, che s'era dimenticato
di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo,
comunque. Cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
- Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo
dell'acqua – Ma non mi dai nemmeno il tempo di andare al bagno? -
- ? -
- Non tirarla troppo per le lunghe e dimmi cosa vuoi stavolta – disse
il pesce che, oramai, era spazientito.
- Tre cameriere – disse subito Giacinto, che non voleva far perdere
tempo al pesce magico.
- Tre cameriere? - Chiese lui. Se avesse avuto gli occhi paralleli,
l'animale ora avrebbe avuto una ruga in mezzo agli occhi.
- E un autista con la Rolls Royce – Aggiunse il vecchietto.
- E un … autista … con la … non è che vorresti anche un
maggiordomo? - Chiese sarcasticamente il pesce.
- Un … ? Non ci avevo pensato, … ottimo! Grazie molte – L'uomo
non aveva colto il sarcasmo.
- Ah! bene! … di bene in meglio. D'accordo! Va a casa e troverai
quanto hai chiesto -
- Gr … - Giacinto avrebbe voluto ringraziarlo ma l'animale magico
era già sparito sotto il pelo dell'acqua.
Era il momento di tornare a casa.
21
Stavolta, il vecchietto era troppo curioso di vedere la sua Rolls Royce
e s'affrettò.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Appena arrivò nella strada dove abitava, rimase accecato dal bagliore
del sole che si rifletteva sulla lamiera della sua scintillante autovettura.
Arrivato davanti alla Rolls Royce, lo chauffeur scese dall'auto e
chiese:
- Buongiorno signore. Sono Gastone. Va da qualche parte? -
- Io? - Giacinto si guadò intorno perché non era abituato a sentirsi
chiamare “signore”. Quando comprese che l'autista si rivolgeva proprio a
lui, rispose.
- No, grazie -.
Bussò alla porta e venne ad aprirgli un uomo in livrea.
- Scusi, devo aver sbagliato casa – disse prontamente il vecchio.
- Il signore ha sempre voglia di scherzare – rispose il suo
maggiordomo – Prego, signor Giacinto -. Gli tolse il cappotto cencioso (si!
Giacinto non aveva avuto il tempo d'indossare gli abiti nuovi) e lo appese
all'attaccapanni.
“Signore, Signor Giacinto … che bello sentirsi chiamare Signore”
pensò l'uomo ed entrò.
Era curioso avere persone che giravano per casa a svolgere tutte le
incombenze domestiche. In effetti, Rita ci aveva preso immediatamente la
mano ed impartiva ordini.
Quando lo vide gli andò incontro, lo fece accomodare al tavolo e
gridò ad una cameriera:
- Letizia, portaci due caffè! -
Mentre bevevano il caffè, Giacinto disse la famosa frase:
- Adesso siamo davvero a posto, no? - e aveva paura della risposta.
Indovinate cosa rispose la moglie? Esatto!
- Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita.
- Oh Signore, cosa credi che ci serva ancora? - chiese il vecchietto,
che stavolta non capiva per davvero cosa potesse ancora desiderare sua
moglie.
22
- Hai visto quante cose abbiamo? -
- Ecco … appunto, io … non … - ma la vecchia lo interruppe.
- Abbiamo tante belle cose ma siamo vecchi, per quanto tempo ce le
potremo godere? -
- Non capisco. Vuoi che gli restituisca qualcosa? - Chiese Giacinto,
titubante.
- Ma che sei impazzito? - rispose la moglie – Ma nemmeno per
sogno. Voglio che tu gli chieda la cosa più importante e credo che stavolta
tu non avrai niente da obiettare -.
- Cosa? - volle sapere il marito, incuriosito.
- La gioventù. Chiedigli di farci avere vent'anni a testa anziché i
quasi ottant'anni che abbiamo ma, prima di andare, indossa qualcuno dei
bei vestiti che abbiamo nell'armadio -
Giacinto non ci pensò su due volte. Indossò un abito molto elegante
ed uscì immediatamente.
Stava cominciando il suo oramai abituale
tu ttù
tu ttù
tu ttù
quando si sentì chiamare:
- Signor Giacinto, va da qualche parte? - Fece l'autista. Il vecchio
s'era dimenticato d'avere un autista con tanto di Rolls Royce. Tornò
indietro e disse:
- Al molo, grazie Gastone – e si sedette dietro la comoda vettura.
Fece fermare l'autista a cento metri dal molo dicendogli d'aspettarlo
lì. Non voleva farsi vedere mentre parlava col pesce. Gli ultimi cento metri
li fece a piedi.
tu ttù
tu ttù
tu ttù
Arrivato sul molo, si ricordò, per l'ennesima volta, che s'era
dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva
chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
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Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
- Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo
dell'acqua – Ma insomma! Me la lasci chiudere la comunicazione? Ero a
telefono con un importante cliente -.
- ? -
- Ancora hai cose da chiedere? Accidenti quanta avidità -
- Scusami pesce ma, questa cosa è la più bella che potrei chiederti. Se
c'avessi pensato prima, sarebbe stata la prima cosa che t'avrei chiesto,
credimi -
- E quale sarebbe questa bella cosa che vuoi? -
- La gioventù … puoi fare che mia moglie ed io ritorniamo ad avere
vent'anni? -
- Beh! In effetti … questo è un grande desiderio … va bene!
T'accontento subito -
e Zak! Giacinto sentì che gli tornavano tutte le energie di quando era
un ragazzo.
Guardò verso il mare ma il pesce era già svanito. A quel punto ritornò
alla macchina e si sedette dietro.
L'autista aprì nuovamente la portiera e disse:
- Ragazzino, esci di lì ché sto aspettando il mio padrone -
- Il tuo padrone? … ma … - poi si ricordò che era ringiovanito di
quasi sessant'anni e che era impossibile che l'autista lo riconoscesse - …
hai ragione … ma fidati, sono il nipote del signor Giacinto. È stato lui a
dirmi di prendere la Rolls e andare a casa … non vedi che sono vestito
come lui … e che gli rassomiglio? Fidati Gastone -.
Sentendosi chiamare per nome, l'autista si convinse. Richiuse la
portiera della Rolls Royce, si mise al volante e accompagnò a casa il
giovane.
24
Quando il giovane Giacinto scese dall'automobile, gli andò incontro
una bellissima ragazza, tutta agghindata.
Lui cercò di scansarla ma ella l'abbracciò forte e, allora, lui capì. Era
Rita, la giovane moglie.
Quando finì l'abbraccio, i due tornarono verso casa.
Non erano ancora entrati quando lui sentì dire alla moglie:
- Beh! In effetti … c'è solo una cosa che potremmo chiedere ancora
al pesce -.
- No, ti prego, basta così. Cos'altro puoi ancora desiderare? -
- Stavo pensando … - disse lei - … abbiamo soldi, casa, mobili,
vestiti, servitù, autista, automobile e gioventù ma … -
- Ma cosa? - disse lui, spazientito.
- Ecco … quando gente, così altolocata come noi, va in giro, non è
bello che ci chiamino ancora Giacinto e Rita … -
- Vuoi cambiare nome? -
- Ma non capisci mai niente? … no, non voglio cambiare il nome ma
vorrei metterci d'avanti un titolo -
- Titolo? - Il titolo significa appartenere alla nobiltà. I titoli sono:
barone, marchese, duca, conte e principe.
- Certo, un titolo. Che ne so? Il marchese Giacinto e la duchessa Rita.
Non credi che suoni meglio? -
- Beh! In effetti … - A Giacinto sorrideva l'idea di muoversi in
macchina col suo autista e non gli dispiaceva diventare nobile perciò
stavolta non obiettò - … vada per il marchese Giacinto e la duchessa Rita.
Stavolta, però, andiamoci insieme. – e, insieme, andarono verso l'autista.
- Al molo, grazie Gastone – e si sedettero entrambi dietro la comoda
vettura.
Fecero fermare l'autista a cento metri dal molo dicendogli
d'aspettarlo lì. Non volevano farsi vedere mentre parlavano col pesce. Gli
ultimi cento metri li fecero a piedi.
tu ttù - tu ttù
tu ttù - tu ttù
tu ttù - tu ttù
25
Arrivati al molo, Giacinto si ricordò, per ancora una volta, che s'era
dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva
chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
Niente. Allora lui ritentò:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ti devo parlare! -
La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo
scambiava per un matto. Anche la moglie gli avrebbe dato del “pazzo” se
non avesse assistito a tanti miracoli. Lui, incurante di tutto, ci provò
ancora:
- Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua
ché ... -
- Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo
dell'acqua – Ma insomma! Ti avevo chiesto di non disturbarmi più … e chi
è questa graziosa ragazza? -.
- Questa è mia moglie Rita -
- Ah! È lei? … allora? Cosa volete? - A quel punto intervenne Rita.
- Sentimi bene, pesce. Se mio marito non t'avesse ributtato in mare,
ora staresti nel nostro stomaco, quindi, poche storie! -
- Mi sembra d'aver ben ripagato il gesto. Vi ho dato cose che la
maggior parte di gente non vede in tre vite. Non è abbastanza? -
- È abbastanza – disse Giacinto.
- Non è abbastanza – aggiunse Rita.
- Non è abbastanza? - chiese il pesce.
- No! - concluse Rita in maniera categorica.
- E, fammi sapere, cosa vorresti ancora? - chiese l'animale magico,
rivolgendosi direttamente a lei.
- È vero, ci hai dato tante cose ma, dimmi tu, è giusto che gente così
ricca non abbia un titolo nobiliare? -
- Un titolo nobiliare? - chiese il pesce che, se avesse potuto farlo,
avrebbe sgranato gli occhi.
26
- Hai capito bene, bestia … - disse lei con arroganza e aggiunse - …
che ne so, mi piacerebbe essere chiamata baronessa, marchesa, duchessa,
contessa o, addirittura, principessa … ecco! Sai che soddisfazione sarebbe
sentirmi chiamare “contessina Rita” … -
Il pesce guardò la coppia.
Era molto arrabbiato ma, si sa, i pesci non possono diventare viola di
rabbia o rossi di vergogna o neri d'umore. Tacque per qualche istante al ché
Rita lo incalzò:
- Allora? -
- D'accordo! M'avete convinto … tu, Rita, diventerai la contessina
petecchia e tu, Giacinto, diventerai il duca pernacchia -
In quell'istante, i vestiti di Giacinto e Rita cominciarono a logorarsi e
trasformarsi nei vecchi abiti che indossavano prima di diventare ricchi. La
loro pelle cominciò a macchiarsi di vecchiaia e le ossa cominciarono a
incurvarsi. Giacinto si voltò a guardare verso l'autista giusto in tempo per
vederlo sparire in un “Puff!”. Non c'era bisogno che andassero a casa per
scoprire che era tornata ad essere la catapecchia di sempre, priva di bei
mobili, abiti, stoviglie e servitù. Inutile domandarsi se esistesse ancora il
sacco con i soldi.
Avevano perso tutto.
Il pesce restò lì a guardare tutta la scena e, quando finì il tutto e vide i
due vecchietti fiaccati e vittime della loro avidità, disse:
- Chi troppo vuole, nulla stringe – e, ciò detto, stava per rimettere la testa
sott'acqua.
- Aspetta! - urlò il vecchio.
- Cosa c'è ancora? Volete che vi tolga anche ciò che vi è rimasto? - Rita si
strinse al marito, muta e piangente. Il vecchietto disse:
- No, ti prego. Abbiamo capito la lezione. Non vogliamo chiederti più
niente, … ho solo una curiosità -
- Una curiosità? E cosa vorresti sapere, di grazia? -
- Sono venuto tante volte al molo e non ti ho mai chiesto il tuo nome. Puoi
dirmi come ti chiami? -
- Come mi chiamo? … mi chiamo Pescepescechestaiamare -
Fine
27
Racconto N°2
merluzzella
C'era una volta una ragazzina.
Il suo nome era Merluzzella.
Era una peste.
Era una bambina terribile. Oggi, i dottori, nel visitarla, direbbero che
era semplicemente iperattiva.
A quei tempi, la parola iperattiva non era stata ancora inventata per
cui, vada per “peste”.
I suoi genitori erano disperati. Ogni giorno venivano chiamati dalla
preside della sua scuola e messi al corrente dell'ennesima marachella che
aveva combinato.
Una volta aveva messo una puntina sulla sedia della sua maestra di
lingua, un'altra volta aveva incollato tutti i palloni della palestra, un'altra
volta aveva versato dell'olio per le scale della scuola, un'altra volta aveva
messo lo zucchero nel barattolo del sale, un'altra volta … insomma, avete
capito … no?
Il padre era un uomo molto severo e, spesso la sculacciava ma
nessuna punizione riusciva a raddrizzare quella creatura ribelle.
Una soluzione andava trovata e fu così che un giorno i genitori la
chiamarono in salotto e, quando lei si presentò, le dissero:
- Merluzzella cara, avremmo voluto evitare di fare quello che stiamo per
fare ma non ci lasci scelta. Andrai in collegio, dalle suore! -
Qualsiasi altra ragazzina si sarebbe messa a piangere, a protestare, a
promettere che d'ora in poi avrebbe fatto la brava.
Merluzzella annui e, lentamente, salì nella sua camera.
Dopo dieci minuti, ridiscese in salotto. Aveva una valigia in mano.
Chiese:
- Quando si parte? Sono pronta -.
28
Fu così che cominciò l'avventura che cambiò per sempre la vita e il
carattere di Merluzzella.
Il collegio dove fu messa la ragazzina era il “Convitto Ecumenico Statale Santa
Orsola” un collegio del quale non poteva essere fatto un acronimo perché
avrebbe formato una parolaccia. Inutile dire che Merluzzella, appena si
trovò di fronte all'ampia scalinata che conduceva all'andito, mise
immediatamente il soprannome alla sua nuova dimora utilizzando le
iniziali della targa d'ingresso.
Il collegio era un edificio enorme, un enorme parallelepipedo in stile
“Liberty”, tutto bianco. Al suo interno aveva una cappella capace di
contenere le duecento ragazze che erano ospiti dell'educandato più le
quaranta suore dell'ordine delle Orsoline.
In quella cappella, padre Tommaso, un prete che veniva dalla città,
ogni domenica diceva la messa e si occupava delle confessioni.
Lungo tutto l'edificio vi erano almeno ottanta finestre ad arco con
tanto di cancellata, un enorme refettorio, un chiostro interno, le cucine,
quaranta camerone che ospitavano sette ragazze ciascuna e venti camerette
che ospitavano due suore ciascuna.
L'unica ad avere diritto alla stanza singola era la madre superiora,
suor Emerenziana, una donna magra e alta con una folta peluria sul labbro
superiore. Merluzzella le mise immediatamente il soprannome
“D'Artagnan”.
Il collegio aveva anche un piano al di sotto del livello della strada. In
quel piano c'erano la dispensa, la ghiacciaia, la cantina e le celle di
punizione.
Queste celle non venivano più usate da anni, anche se suor
Emerenziana avrebbe volentieri utilizzato il polso di ferro e spedito più di
una scolaretta a patire la segregazione.
Alle spalle del collegio partiva il bosco. Era un bosco molto fitto e
buio. In giro si diceva che era abitato dai briganti e nessuno s'avventurava
oltre la radura che si trovava immediatamente adiacente alle mura.
Merluzzella fu accompagnata dai genitori fino al suo camerone.
Ogni camerone aveva sette letti singoli posti perpendicolarmente
sullo stesso lato del muro, due scrittoi all'ingresso della stanza.
Accanto ad ogni letto c'era un comodino e, sulla parete di fronte,
c'erano sette armadietti di legno, uno per ogni ragazza.
29
Di fronte alla porta d'ingresso c'era una delle ottanta finestre ad arco
con le sbarre di ferro.
Per fare in modo di non far rassomigliare le stanze alle celle di un
carcere, i finestroni erano stati corredati di tendine beige.
Merluzzella era una ragazza incapace di rispettare l'autorità ma
tutt'altra cosa era il suo rapporto con le compagne.
Era generosa, solidale, simpatica, divertente, spiritosa … insomma,
legò immediatamente con le sue sei compagne di camerone: Genoveffa,
Onofria, Ermenegilda, Cunegonda, Eusebia e Gertrude.
Bei nomi, vero?
Dov'era finita la Merluzzella pestifera? Che fine aveva fatto?
In effetti, la ragazza dava il peggio di sé solo quando riteneva d'aver
subìto un'ingiustizia.
Questa cosa fu chiara da subito alle sue compagne di stanza.
Al suo arrivo al Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola la ragazza era già stata
preceduta dalla sua sinistra fama. In tutto il collegio si era a conoscenza
dei brutti scherzi che aveva combinato a scuola e, quando le sue compagne
di stanza entrarono in confidenza con lei, cioè subito, la incalzarono
affinché raccontasse dei suoi scherzi scolastici.
− È vero che hai messo una puntina da disegno sulla sedia della tua
insegnante di lingua straniera? - fece Eusebia.
− Vero! - rispose lei.
− Ed è vero che hai incollato tutti i palloni della palestra? - fece
Ermenegilda.
− Vero! - rispose lei.
− Ed è vero che hai versato olio per le scale? - chiese Cunegonda.
− Vero! -
− Ed è vero che hai messo lo zucchero nel barattolo del sale? - volle
sapere Onofria.
− Vero! - rispose lei.
− Perché? - chiese Genoveffa.
A quella domanda, Merluzzella rimase senza parole. Era la prima
volta che qualcuno le chiedeva perché avesse fatto ciò che aveva fatto
anziché chiederle solo se era vero che lo avesse fatto.
30
− Vuoi davvero saperlo? - chiese Merluzzella a Genoveffa. La
ragazza, che era la più grande e la più saggia del camerone
rispose.
− Tu sei una persona buona e generosa, Merluzzella. Se hai fatto ciò
che hai fatto avrai avuto delle buone ragioni -.
− Bene, visto che siete così curiose, vi accontenterò. L'insegnante di
lingue straniere era un'arpia. Ci chiedeva continuamente cose in
francese, in inglese o in tedesco … certo! Si usa dialogare nelle
lingue che si vogliono imparare ma … lei ci chiedeva cose che
non ci aveva ancora insegnato e, quando non sapevamo cosa
rispondere, ci riempiva di parolacce … quelle, le parolacce, le
diceva in italiano. Non le interessava farci capire le cose nelle
lingue straniere quanto farci comprendere che eravamo idiote -.
− Perché la puntina? - chiese Gertrude.
− Volevo sapere in quale lingua avrebbe detto ahi! -
− Ah! Ah! Ah! - risero tutte. Onofria chiese.
− E i palloni incollati? Perché? -
− Il nostro insegnante di educazione fisica era un prepotente.
Probabilmente, da ragazzo, doveva essere stato un bullo. C'era un
mio compagno, Rodolfo, che era mingherlino. Non era molto
tagliato per gli sport e quel lazzarone del professore insisteva che
si arrampicasse alla pertica. Ogni qual volta Rodolfo era a metà
percorso, lui gli lanciava addosso dei palloni. Il resto va da sé -.
− Brava Merluzzella – fece Genoveffa. Cunegonda, allora, la
incalzò.
− L'olio per le scale? -
− Per l'olio, sono stata geniale. C'era un'insegnante che andava via
sempre mezz'ora prima che suonasse l'ultima campanella. Avevo
visto che scappava dalla scala di servizio perché, nel parcheggio
c'era un signore che l'aspettava di nascosto -.
− Beh? Che c'era di male? - fece Ermenegilda.
− A parte il fatto che ci lasciava da sole in classe e che rubava
mezz'ora di lavoro? C'era di male che lei era sposata e che l'uomo
al parcheggio non era il marito -.
31
− Oh! - fu il coro delle compagne.
− Vedo che avete capito … e per quanto riguarda il sale … beh! C'è
un piatto che io odio e la cuoca della scuola, che lo sapeva, l'aveva
messo fisso nel nostro menù. Le avevo chiesto di darmi un'altra
cosa da mangiare ma lei m'aveva risposto con una pernacchia. Il
giorno che è venuto l'ispettore scolastico a pranzo, lei voleva fare
una bella figura e … ci ho pensato io … così impara! -.
− Qual'è il piatto che odi? - chiese Cunegonda.
− Il riso con la verza … beh? Che c'è? - Merluzzella vide impallidire
le compagne. Rispose Onofria.
− Il mercoledì a pranzo … tutti i mercoledì … riso e verza e...
domani è mercoledì -
Il giorno seguente, tutte le ragazze furono svegliate, come tutte le
mattine (con amara sorpresa da parte di Merluzzella) alle 05,45.
Alle 06,00 c'era la messa del “mattutino” un'usanza, per gli ordini
monastici, che si perpetuava dalla notte dei tempi.
Dopo, si tornava in stanza, ci si lavava, ci si pettinava raccogliendo i
capelli in un antiestetico “toupet” e si andava in classe.
Le lezioni del mattino si svolgevano dalle 07,30 alle 12,30, orario in
cui si andava al refettorio.
Per Merluzzella, le lezioni furono interessanti. Si studiava lingua,
ortografia, aritmetica, storia (del cristianesimo) e filosofia (cattolica).
Aveva dimenticato la faccenda del riso e verza ma, appena entrò
nello stanzone dove servivano i pasti, fu investita dall'odore acido della
pietanza che tanto odiava.
Suor Carlotta, una donna bassa e grassa con un neo bitorzoluto e
peloso sulla guancia sinistra visionava il desinare delle scolarette. Lei
aveva concorso per diventare madre superiora ma, a lei, era stata preferita
suor Emerenziana e questa cosa non le andava proprio giù. Aveva un
bisogno enorme di potere, forse per compensare al fatto che la natura si
fosse accanita contro di lei, per cui si sfogava con le suore più giovani, con
le novizie e, in particolar modo, con le fanciulle che frequentavano il
“Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”.
32
Quando, passando alle spalle di Merluzzella, che era seduta allo
stesso angolo di tavolo con le sue compagne di stanza, vide che la
ragazzina non aveva nemmeno sfiorato il cibo contenuto nella propria
scodella, disse:
− Beh! Non lo sai che i bambini, in Africa, muoiono di fame? -
anche la voce era brutta e stridula.
− Oh! sorella. È proprio per questo che non sto toccando il mio cibo.
Vorrei che lo impacchettaste e lo mandaste in Africa – disse
Merluzzella col tono più innocente del suo repertorio.
− Ah! Abbiamo una spiritosa, qui? -
− No, sorella, dico sul serio – tentò la ragazza.
Suor Carlotta non ci cascò. Le mise la mano dietro la testa e gliela
spinse nel piatto poi, come se nulla fosse successo, passò oltre a
controllare le altre fanciulle.
Merluzzella alzò il volto, imbrattato di riso e verza, dal piatto e cercò
con lo sguardo le sue amiche.
Nessuna osava guardarla. Avevano, però, tutte quante il volto rosso
dalla vergogna dell'impotenza di non poter aiutare l'amica.
Merluzzella disse:
− Guardatemi, non sono buffa? -
Cunegonda fu la prima a guardarla. Merluzzella era comica con la
verza che le colava lungo la faccia. Sorrideva.
Cunegonda cominciò a ridere, allora tutte le altre ragazze della sua
camerata cominciarono, a loro volta, a ridere.
Il riso svanì subito e Merluzzella capì che suor Carlotta aveva fatto
dietro-front e s'era posizionata alle sue spalle.
− Cosa c'è da ridere? Idiota! - urlò a Cunegonda, la quale abbassò lo
sguardo e divenne più rossa di quanto già non fosse. Intervenne
Merluzzella.
− Niente, sorella. La mia amica ha scoperto quanto mi dona la verza
sul volto … sa? Pare che faccia bene alla pelle … -
Dicendo queste parole, Merluzzella s'alzò dal proprio posto.
Sovrastava la suora di almeno venti centimetri. Sorrideva ancora ma, ora,
il suo sorriso aveva assunto l'atteggiamento di un ghigno. La ragazza
continuò.
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− … anzi, ora che ci penso, con quel cespuglio che ha sulla guancia,
una cura a base di verza farebbe bene anche a lei -
E, con queste parole, prese la propria scodella e la spiaccicò in faccia
alla suora.
In un secondo, vi fu un parapiglia. Urla e salti da parte di tutte le
ragazze. Intervennero tutte le suore presenti nel refettorio.
Soluzione?
Dieci minuti dopo, Merluzzella fu condotta alla presenza di suor
Emerenziana, la superiora.
Suor Emerenziana non vedeva l'ora d'avere un pretesto per applicare
il sistema punitivo che aveva sempre sognato.
La ragazza fu condotta all'isolamento, le cellette poste sotto il livello
della strada. Le fu data una bottiglia d'acqua, una pagnotta rotonda e le fu
detto che sarebbe rimasta in punizione fino alle nove di sera saltando, in tal
modo, le lezioni pomeridiane e, soprattutto, la cena.
Era l'una. Sarebbe rimasta in isolamento per otto ore.
Otto ore in una stanza larga due metri, lunga tre e alta altri due e
mezzo.
Nella cella c'era un lettino, un tavolo e una sedia. La stanza aveva un
unico punto luce, il finestrone che s'apriva a scorrimento, a taglio col
soffitto posto sopra al lettino … il finestrone!
Merluzzella pensò che non c'era tempo da perdere. Spostò il lettino
dal finestrone e salì sulla sedia per provare ad aprire il finestrone a
scorrimento.
Ci arrivò giusto con la punta delle dita … scorreva, s'aprì. Ottimo!
Non c'erano sbarre al finestrone … certo ma, non ce la faceva ad
arrampicarvisi.
Allora mise il tavolo sotto la finestra … non era ancora
sufficientemente in alto da potersi arrampicare sul finestrone.
Allora, mise la sedia sul tavolo e vi salì su … e ce la fece. Riuscì ad
uscire dal collegio.
Stava per allontanarsi ma poi, si bloccò, tornò ad entrare nella
stanzetta e cominciò ad allestire un bel teatrino per chi si fosse avvicinato.
Per prima cosa, infilò il cuscino sotto le coperte e mise la pagnotta
nel posto dove, presumibilmente avrebbe messo la testa e coprì il tutto con
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la sudicia coperta che era lì a prendere polvere da chissà quanto tempo.
Come seconda cosa, si tolse la lunga cintura di stoffa che aveva al
fianco (faceva parte del corredo per la divisa delle scolarette), e ne lego un
capo alla spalliera della sedia e l'altro al proprio polso.
Infine, salì sul tavolo, salì sulla sedia posta sul tavolo, s'arrampicò al
davanzale del finestrone, uscì, si tirò dietro la sedia e richiuse quasi
completamente il finestrone.
Chiunque si fosse affacciato alla sua celletta, avrebbe pensato che
stava dormendo e, molto difficilmente, avrebbe notato l'assenza della
sedia. Si sarebbe insospettito molto di più se avesse visto la sedia in piedi
sul tavolo.
Era ora di partire … già ma, … quale direzione prendere?
Se Merluzzella avesse girato intorno all'edificio, sarebbe arrivata
sulla strada, la strada che l'avrebbe riportata a casa … e poi?
Intanto, correva il rischio che qualcuno potesse vederla e avvisare
immediatamente le suore e, se fosse tornata a casa, era certa che i genitori
l'avrebbero ricondotta al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”.
Il bosco!
Il bosco era l'unica direzione logica da prendere. È vero, nei racconti,
il bosco fa paura, è pericoloso.
Anche nel racconto di Merluzzella il bosco era pericoloso ma
Merluzzella non conosceva la paura, lei sapeva affrontare il pericolo senza
timore, senza tremolii di gambe o piagnistei.
Il bosco era pericoloso? Peggio per lui! … perché Merluzzella era
molto più pericolosa del bosco.
Camminò per quasi mezz'ora. Dopo mezz'ora di cammino aveva
fame. Non aveva pranzato e, per di più, aveva lasciato la pagnotta nel letto.
Aveva fame, tanta fame.
In quel momento, la foresta s'aprì in una bella radura, con una
prateria di erba piuttosto alta e, in mezzo alla radura, c'era una casa. Per la
ragazza, “casa” significava “cibo”.
Nascose, in mezzo all'erba alta, il vestito da collegiale. Rimase con
indosso solo la sottana bianca la quale, immediatamente, si macchiò con
l'erba.
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“Poco male!” pensò. Le macchie sarebbero servite alla sua recita. Per
essere più credibile, si sporcò il viso con la terra fresca. Voleva apparire
una poverella che andava a chiedere l'elemosina. Il vestito se l'era tolto
perché nessuno capisse che era scappata dal “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”.
Per arrivare di fronte all'ingresso, passò davanti ad un enorme pozzo.
Ne approfittò per calarvi dentro il secchio, tirare su un po' d'acqua e
dissetarsi.
Arrivata davanti all'uscio della casa, bussò. Non vi fu risposta. Bussò
ancora. Niente. Spinse l'uscio ed entrò.
Era una bella casa grande ad un solo piano, aveva un ampio salone
d'ingresso che comprendeva anche una sudicia cucina col caminetto, la
camera da pranzo con una grande dispensa, con salami, mortadelle e
caciotte appese sotto l'alto soffitto e un grande tavolo rettangolare posto al
centro della stanza.
Dall'altro lato dell'ingresso c'era una porta. Merluzzella l'apri.
Conduceva ad un'ampia camera da letto con sette enormi giacigli vuoti.
“Bene! …” pensò lei “... non c'è nessuno in casa”.
Si avviò verso la dispensa. Aprì un'anta della dispensa e vi trovò
conserve di melanzane e peperoni, bottiglie di passata di pomodoro fatta in
casa, pane e fette di formaggio.
Stava per afferrare una fetta di formaggio quando fu afferrata per le
spalle e costretta a girarsi.
Un omone enorme con una folta barba, alto quasi due metri la
guardava con sguardo truce. Parlò e la sua voce sembrava il suono di una
sega mentre taglia il ferro:
− Chi sei? Cosa ci fai in casa mia? - Merluzzella impallidì.
Quell'uomo metteva davvero paura.
− Io … io sono una povera ragazza, i miei genitori e i miei fratellini
hanno fame … ero venuta … -
− … a rubare, ti ho visto sai? - la interruppe il gigante.
− No! Ti giuro, io non ero venuta a rubare -
− Ma se ti ho beccata sul fatto! Non farmi ridere. Lo sai cosa
succede a chi ruba nella casa dei briganti? - e, nel fare questa
domanda, l'omone si passò il pollice sotto al collo.
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− Briganti? Io … ecco, non lo sapevo che … - doveva inventarsi
qualcosa e pure in fretta.
− Guarda che ti stavo già osservando da quando hai bevuto l'acqua
dal nostro pozzo -.
“Il pozzo, il pozzo, il pozzo … ecco!” Merluzzella aveva trovato la
scusa da dire al brigante.
Cominciò a piangere. Le ragazzine, quando vogliono, riescono a
piangere automaticamente a comando.
− Fai bene a piangere … – disse il brigante - … non hai idea di
quello che ti farò, io … - Merluzzella lo interruppe, ma
continuando a piangere.
− Non mi interessa … sigh! … quello che … sigh! … mi farai …
tanto … dopo quello che è accaduto al pozzo … -
− Perché? Cos'è accaduto al pozzo? - fece l'omone, incuriosito.
− Ero venuta per cercare di vendere l'anello della mia povera nonna
… per … sigh! … avere in cambio un tozzo di pane da dare ai
miei … sigh! … fratellini … e … - S'interruppe.
− E? - La incalzò il brigante.
− … e mi è caduto nel pozzo … ora come faro? … sigh! -
− È un anello di valore? -
− Si, è d'oro ed ha un diamante incastonato … sigh! … ma ora è
perduto … sigh! … per sempre -.
Di fronte alle lacrime e alla triste situazione di quella ragazzina, il
brigante s'intenerì. Inoltre, pensava di poter ricavare un mucchio di soldi
dalla vendita dell'anello.
− Va bene! Ora ti calo giù nel pozzo e te lo vai a riprendere -
− Il fatto è … ehm! … che ho paura dei pozzi e degli spazi bui. Me
lo prenderesti tu? -
Il brigante pensò che un anello di così grande valore valesse la pena
che lui si calasse nel pozzo.
Prese una scala, la calò all'interno del grosso buco e vi scese dentro.
Cominciò a cercare nell'acqua il prezioso anello e non s'accorse che
Merluzzella, mentre lui era chino con le mani nell'acqua, aveva tirato su la
lunga scala.
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Improvvisamente, il brigante si sentì chiamare dall'imboccatura del
pozzo.
− Brigante? … ehi, brigante? -
− Cosa … lo scaletto … dov'è? Rimandamelo immediatamente giù
se non vuoi che … -
− “Se non vuoi” cosa? - disse Merluzzella - … e tu, … saresti un
pericoloso brigante? Ma non farmi ridere … -
− Maledetta ragazzaccia … io … - La ragazza lo interruppe.
− Tu non puoi farmi niente. Ora ti dico cos'accadrà. Io adesso
chiudo il coperchio del pozzo, vado a farmi una bella mangiata
alla faccia tua e me ne torno a … casa – Non era così sciocca da
parlargli del collegio.
− Io, … se ti prendo ti uccido! - La minacciò lui.
− Sentimi bene, caprone, io tornerò qui mercoledì prossimo ma, la
prossima volta, fammi trovare un brigante più furbo di te -
e, dopo queste parole, chiuse il coperchio del pozzo, lasciando il
brigante al buio e fece quanto gli aveva promesso.
Quando Merluzzella tornò al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”, le risultò
agevole rimettere in ordine la propria celletta.
Dopo circa un'ora arrivò suor Adalgisa, una suora dolce e premurosa,
con una scodella di brodo.
− Tieni, cara ragazza ma non dirlo a nessuno che ti ho portato da …
ma come? Non hai nemmeno toccato la pagnotta di pane? Oh,
povera figliola, avrai fame … - Già. Merluzzella era sazia di tutto
ciò che aveva rubato alla casa dei briganti e non ce la faceva a
mangiarsi pure la pagnotta. Doveva inventarsi una buona scusa.
Col visino più innocente del suo repertorio, rispose:
− No, sorella, non ho fame. Mi sono nutrita di preghiere – Un po' le
dispiaceva di mentire ad una suora così buona ma, di dire la verità,
non se ne parlava proprio -.
− Hai pregato? Per tutto questo tempo? - Chiese la suora, con una
innocente perplessità.
− Si – Rispose la fanciulla. La suora insistette con fare materno:
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− Almeno un po' di brodino lo devi mangiare. Devi nutrirti e
crescere forte -
− Va bene, sorella - “La prossima volta, mi conviene ingozzarmi di
meno” pensò, tra sé e sé, la ragazza.
Intanto, gli altri sei briganti, avevano fatto ritorno alla loro casa. Si
accorsero subito che c'era stata una razzia in dispensa. Si preoccuparono
nel non trovare il loro compare a guardia della casa e cominciarono a
chiamarlo a gran voce:
− Norberto, Norberto … - finché non sentirono una voce arrivare da
un posto indefinito.
− Sono qui, aiutatemi! -
− Qui dove? - chiese Alberico, uno della banda.
− Nel pozzo! - fece Norberto.
I briganti, come avevo già detto, erano sette: Norberto, Alberico,
Ermanno, Prosdocimo, Ermenengardo, Laerte ed Attila, il loro capo.
Dieci minuti dopo, erano seduti tutti intorno al tavolo della cucina.
Norberto aveva raccontato loro tutto ciò che era accaduto con la ragazza.
Quando ultimò il racconto ripetendo le parole che aveva sentito dal fondo
del pozzo “ … io tornerò qui mercoledì prossimo ma, la prossima volta,
fammi trovare un brigante più furbo di te”, dopo alcuni secondi di silenzio,
gli altri sei briganti scoppiarono in una fragorosa risata.
Prosdocimo, tra le risate, disse:
− La ragazza ha ragione. Sei proprio un fesso! Ma come hai potuto
farti imbrogliare così? -
− Sei furbo tu! - rispose Norberto per difendersi. Intervenne Attila:
− Non inveite, compari. Caro Prosdocimo, visto che ti senti più
furbo di Norberto, il prossimo mercoledì, farai il suo turno di
guardia -.
− Ma il mio turno è il lunedì -
− Niente “ma”. Ho deciso così. Vi scambierete i turni -
Quando Attila decideva qualcosa, nessuno osava contraddirlo.
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La sera di quel mercoledì, Merluzzella raccontò alle compagne di
stanza tutto ciò che le era accaduto nel pomeriggio.
Cunegonda ci mancò poco perché non svenisse al sentir parlare di
briganti. Onofria credeva che Merluzzella stesse mentendo. Ermenegilda le
disse che aveva sentito dire in giro che nella foresta c'erano i briganti ma
pensava che fosse una favola inventata per non far avventurare i bambini
nel bosco. Eusebia e Gertrude erano eccitate dal racconto perché amavano
l'avventura. Genoveffa, la più saggia di tutte, disse:
− Cara amica mia, hai fatto una cosa davvero pericolosa. Guarda che
i briganti non si fanno scrupolo per la nostra giovane età. Oggi
pomeriggio avresti potuto morire -.
− Lo so. In alcuni momenti ho temuto il peggio. Per fortuna, il
brigante che mi è capitato era un idiota. Pensa, gli ho detto che
mercoledì prossimo me ne deve far trovare uno più furbo di lui -
− Ma mica hai intenzione di tornarci? - Chiesero Eusebia e Gertrude
che erano più eccitate che preoccupate. Merluzzella rispose alla
loro domanda con un'altra domanda.
− Voi pensate che al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” aboliranno il riso
con la verza al mercoledì? -
− Non credo proprio – risposero in coro Ermenegilda e Gertrude.
− Allora credo proprio che mercoledì prossimo tornerò a far visita a
quei simpatici briganti – Concluse Merluzzella. In quel momento
si sentì un tonfo.
− Ecco, lo sapevo … - fece Genoveffa - … Gertrude, prendi i sali
che Cunegonda è svenuta per davvero -.
La settimana al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” si svolse quieta. Era
una scuola per signorine che dovevano essere preparate a diventare delle
perfette padrone di casa.
Si studiava ricamo, taglio, cucito, culinaria, economia domestica …
in pratica, preparavano le giovinette a diventare madri e mogli quindi, le
perfette cameriere o schiave di mariti e figli.
A mensa non c'erano stati problemi perché, a parte il riso con la verza
che era il piatto del mercoledì, tutti gli altri menù erano graditi da
Merluzzella.
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Suor Carlotta, per tutta la settimana, si tenne alla larga dalla ragazza
ma, si vedeva, stava tramando qualcosa.
Merluzzella, dal canto suo, aveva già concepito un piano per potersi
difendere dalla suora malefica. Del suo piano, però, non ne aveva fatto
parola con nessuna delle compagne di dormitorio.
La vita in collegio era monotona. C'era una certa regolarità data dagli
orari di studio e di preghiera. Si studiava quasi tutto il giorno. L'unico
momento per rilassarsi era relegato alla sera, nei dormitori.
Anche se veniva ordinato loro di spegnere le luci, le ragazze si
riunivano al buio intorno al letto di Genoveffa, che era il più appartato e si
scambiavano confidenze.
− Allora? - chiese Genoveffa guardando Merluzzella.
− Allora cosa? - chiese lei.
− Ma dai! Lo sai, domani è mercoledì – intervenne Gertrude.
− Già! Lo so. Non ci volevo pensare – Merluzzella aveva lo sguardo
perso nel vuoto.
− Hai … hai paura? - le chiese Cunegonda.
− Paura? No, sono solo seccata – disse la ragazza soprappensiero.
− Perché? - chiesero in coro Eusebia ed Ermenegilda.
− Perché sarò costretta a mentire a suor Adalgisa. Lei è molto dolce
e non merita le mie bugie ma non posso coinvolgerla in cose tanto
pericolose e sono costretta a mentire con lei -.
− Sempre ammesso che tu non stia mentendo anche a noi –
intervenne Onofria.
− In che senso? - chiese Merluzzella.
− Nel senso che non credo ad una sola parola di tutta la storia dei
briganti – Tutte le ragazze guardarono la loro amica col timore che
scoppiasse una rissa. Merluzzella, invece, disse:
− Sai una cosa, Onofria? Tutto sommato hai ragione tu -. Gertrude
fece un salto sulla propria sedia. Disse:
− Vuoi dire che sono tutte bugie? -
− No, non sono bugie ma il fatto è che … credere o non credere, in
ciò che dico, dev'essere una scelta personale e rispetto il dubbio di
Onofria così come rispetto la vostra fiducia in me -.
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Con quelle parole, Merluzzella aveva trovato un sistema per evitare
di litigare con la compagna di stanza. Genoveffa, che aveva capito in pieno
l'amica, concluse:
− A volte sei davvero molto più saggia di quanto non sembri e … -
Genoveffa sentiva che stava facendosi prendere dalla commozione
allora, con voce severa, aggiunse: - … e adesso basta con le
chiacchiere ché è ora di andare tutte a nanna -.
Un coro di “Buonanotte” fu l'ultima parola di ognuna delle ragazze
per la sera di quel martedì ...
… e arrivò il mercoledì.
Appena entrata in mensa, Merluzzella notò qualcosa di strano. Di
fianco a suor Carlotta c'erano due suore corpulenti a braccia incrociate.
Sembravano due gorilla.
La ragazza stava per raggiungere il proprio posto ma suor Carlotta le
si parò dinnanzi.
− Ferma tu! Oggi il tuo posto a sedere è laggiù, nell'angolo -.
− Ah, menomale -. fece lei.
− Menomale? - chiese suor Carlotta, spiazzata da queste parole.
− Certo! Vedo che la direttrice ha accolto la mia domanda di avere
un posto a sedere più appartato -. e, con queste parole, s'avviò a
passo spedito verso il tavolo all'angolo.
Un volta che aveva preso posto a sedere, le due donne corpulente si
misero ai suoi lati.
− La direttrice mi accontenta davvero in tutto, questi sono i due
gorilla del circo che le avevo chiesto in regalo, vero? - Suor
Carlotta, rossa in viso, per tutta risposta, le prese una scodella
piena di riso con la verza e gliela mise davanti.
− Mangia! - e anche lei incrociò le braccia.
Era arrivato il momento che Merluzzella mettesse in atto il proprio
piano. Mise le braccia sotto il tavolo in modo che nessuna potesse vedere
cosa stesse facendo. Da una piega del sottogonna tirò fuori un sacchetto
che conteneva qualcosa che vi si agitava dentro. Infilò le mani nel
sacchetto e poi … tirò le mani da sotto il tavolo e poggiò su di esso il
contenuto del sacchetto … due topi.
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A quel punto, diede un urlo terribile “OH MIO DIO, TOPI. CI SONO
I TOPI NELLA MENSA”.
In meno di tre secondi, tutte le ragazze nella mensa cominciarono ad
urlare. Le due “gorilla”, dimostrando un'insospettata agilità, erano balzate
sulle panche, panche che, sotto il loro peso, si piegavano.
Mezz'ora dopo, Merluzzella era nella sua celletta. Non perse tempo.
Per prima cosa, posizionò la pagnotta e il cuscino sul letto coprendoli con
la coperta. Mise il tavolo sotto il finestrone, la sedia sul tavolo, vi salì
sopra, legò una corda alla sedia (stavolta s'era portata una corda nascosta
nel grembiule scolastico) … e fu libera.
Non aveva dubbi su dove andare, conosceva la strada.
A cento metri dalla casa dei briganti, si tolse il grembiule scolastico
e, con la sola sottana, si diresse verso il proprio obiettivo.
La volta precedente aveva potuto mangiare e studiare l'abitazione di
quegli uomini pericolosi. Aveva notato una botola sotto il soffitto. Ora
sapeva come eludere il sorvegliante di turno.
Entrò.
− C'e nessuno in casa? - urlò. Dopo qualche istante, alle sue spalle
comparve un omone più grosso di quello del mercoledì
precedente.
− Ferma lì! - e le posò una manona sulla spalla per bloccarla.
− Oh! che spavento m'avete fatto prendere! - disse lei, con fare
innocente.
− E non hai idea di ciò che t'accadrà! - aggiunse l'omone.
− Perché? Cos'ho fatto -.
− A me niente ma dopo ciò che hai fatto a mio fratello … -
− Vostro fratello, signore? Io non conosco vostro fratello -
− Ah si? Hai, per caso dimenticato? - fece lui, sarcastico.
− Signore, forse mi state scambiando per qualcun'altra, io non
conosco vostro fratello … – la sua voce era un misto d'innocenza
e sincerità. Bastò questa domanda a far vacillare le certezze del
brigante.
− Vorresti dire che … ehm! … non sei la ragazza che è venuta qui lo
scorso mercoledì? - il bestione era confuso, pronto a bersi
l'ennesima bugia della ragazza.
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− Impossibile! - fece lei - … mi sono trasferita qui l'altro ieri. Sono
la figlia del nuovo guardacaccia – Il brigante era fregato.
− Ah! … allora … scusa … - e mollò la presa dalla spalla della
fanciulla - … e, cosa vuoi? Cosa sei venuta a fare? -
− Papà mi ha detto che voi potreste vendermi qualcosa? -
− Che tipo di cosa? -
− Voleva comprare dei salumi e dei formaggi -
− Fammi vedere i soldi - “Furbo questo qui!” pensò Merluzzella. Il
problema era che lei non aveva soldi con sé. Doveva inventarsi
qualcosa.
− Mio padre non è scemo. Non mi ha dato soldi per ora. Vuole solo
che io veda se è vero quello che si dice in giro di voi … se scopro
che ciò che avete vale la spesa, … beh! … lui sarà disposto a darvi
parecchie monete … d'oro -
− E ammettiamo che io ti faccia assaggiare qualcosa, chi mi assicura
che davvero verrà tuo padre a comprare i nostri prodotti … e se tu
fossi solo una pezzente che è venuta a scroccare un po' di cibo? -
“Furbo per davvero questo qui!” pensò Merluzzella.
− Avete ragione, signore. Vorrà dire che dirò a mio padre che non
avete nulla da vendere. Penso che i vostri compari saranno
contenti quando scopriranno l'affare che vi siete fatto sfuggire
dalle mani – e, così dicendo, voltò le spalle facendo finta di andare
via.
− Aspetta! … - disse lui - … va bene! Entra pure -.
La fece entrare dentro e tagliò due fette di salame e due di provolone.
Ne mangiarono una a testa. Dopo aver assaggiato salume e formaggio,
Merluzzella disse:
− In effetti, la qualità è molto buona ma, … mi aspettavo qualcosa di
meglio. Non è che avete, per caso, prodotti migliori? -
− Noi, … migliori? … ehm! - Il brigante sentiva che l'affare gli
stava sfuggendo di mano.
− Oh, mio Dio! Quante storie … se non ne avete, non ne avete!
Punto – E alzò la testa al cielo, guardando il soffitto. Il brigante
seguì il suo sguardo ed ebbe l'illuminazione.
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− Un momento! Un momento, forse ho quello che fa per te ma … ti
costerà molto di più – Non voleva farsi sfuggire l'affare.
− Vi ho già detto che il denaro non è un problema per noi -
− Va bene. Aspetta un attimo -.
Il brigante prese una scala, vi salì fino all'ultimo piolo ed aprì la
botola in soffitta.
Dopo un attimo, s'affacciò con un prosciutto da cinque chili.
− Afferra! - e glielo lanciò. Merluzzella, per poco, non cadde a terra
sotto il peso dell'enorme insaccato.
Intanto, il brigante era scomparso nuovamente ripresentandosi, dopo
meno di un minuto, con un grosso provolone molto stagionato. Si girò per
cominciare a scendere i gradini ma il suo piede andava a vuoto, non
riusciva a trovarli. Risalì all'interno della botola e, affacciandovisi, vide
che la scala era stata spostata e accostata al muro.
− Chi ha spostato la scala? -
− Siamo solo io e te, chi può averla scostata? Deficiente! -
− Bada a come parli, ragazzina! Porta subito qui la scala -
− Fossi matta? Tu resta buono buono lì. Io, intanto, faccio provviste
… Mmh! Ottimo questo salame … – e, così dicendo, diede un bel
morso al grosso salame che aveva assaggiato in precedenza.
Per tutto il tempo che mangiò, Merluzzella ebbe, in sottofondo, gli
urli del bestione arrabbiato. Egli aveva capito che si trattava della stessa
ragazzina che, il mercoledì precedente aveva gabbato il compare ed era
arrabbiato anche con sé stesso perché aveva compreso d'essere stato messo
nel sacco. Quando la fanciulla si fu saziata a sufficienza ed ebbe bevuto un
po' d'acqua e un po' di vino, si rivolse nuovamente al brigante.
− Sei davvero un fessacchiotto! Sta buono lì ché più tardi verranno i
tuoi compari a tirarti giù … ah! Tornerò anche il prossimo
mercoledì ma, quando tornerò, fammi trovare un brigante più
furbo di te -.
− Maledetta! - urlò lui mentre Merluzzella, con il prosciutto che,
intanto, aveva tagliato in pezzi non più grandi di un pugno, se ne
usciva da quella casa.
Merluzzella fece ritorno nella sua celletta in tempo per schiacciare un
sonnellino e aspettare suor Adalgisa.
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Stavolta, suor Adalgisa le portò un panino col formaggio e
Merluzzella, ringraziandola, le disse che l'avrebbe mangiato più tardi nel
dormitorio.
Quando, la sera, i briganti fecero ritorno alla loro casa, furono
immediatamente accolti dagli urli d'aiuto di Prosdocimo, il compare
fregato dalla ragazza.
Quando scese, l'uomo raccontò lo stratagemma attraverso il quale era
stato imbrogliato da quella teppistella. Stavolta fu il turno di Norberto di
ridere dell'ingenuità del compare. La sua risata fu interrotta dallo sguardo
truce di Attila, il loro capo.
Tutti tacquero. Lui parlò.
− Ho capito. Il prossimo mercoledì resterò io di guardia -.
− Ma capo, come faremo ad andare in giro per i boschi senza di te? -
protestò Ermenengardo.
− Non vorrete farmi credere che siete delle fanciulle impaurite? -
rispose lui, al ché Laerte volle ribattere.
− No, … certamente no ma, … senza la tua guida noi … -
− Sciocchezze! Sono certo che ve la caverete perfettamente senza di
me … anzi! Laerte, sarai proprio tu a guidarli nelle scorribande
per i boschi -.
− Ma, … perché vuoi rimanere proprio tu, capo? - chiese Ermanno.
− Perché, se si scopre in giro che una ragazzina s'è presa gioco dei
briganti, nessuno avrà più paura di noi e noi non possiamo
permetterlo. La gente deve avere paura! … altrimenti comincerà a
ribellarsi … immaginate come reagirebbe la gente nel vederci se
non avesse più paura di noi? -
La sua domanda non prevedeva risposte. Con quelle parole, Attila
aveva chiuso la discussione e preso la sua decisione.
Peggio per Merluzzella!
La sera alle undici, al dormitorio, le ragazze fecero uno spuntino
fuori programma col prosciutto che la ragazza aveva sottratto ai briganti.
Stavolta, la prima a parlare fu proprio Onofria.
− Ti devo chiedere scusa, Merluzzella -
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− Perché? - fece lei.
− Perché sappiamo che non sei andata a rubare questo prosciutto in
mensa. Non lo fanno così saporito -
− Beh? Avrei potuto acquistarlo, no? -
− Poveraccia come sei? - chiese Gertrude e tutte si misero a
ridacchiare. Quando finì il momento d'ilarità, Onofria aggiunse.
− C'è anche un altro motivo per cui ti credo -
− Ah si? E quale? - chiese Merluzzella.
− Il pezzo di prosciutto che mi hai dato aveva ancora un po' di
cotenna e, sulla cotenna, c'era impresso il marchio dei briganti -.
− E ti pareva! … - fece Genoveffa - … qualcuna prenda i sali ché
Cunegonda è svenuta di nuovo -.
Un'altra settimana passò senza che accadesse nulla d'insolito …
certo! … ogni giorno, a mensa, suor Carlotta guardava Merluzzella in
cagnesco ma non c'era motivo per litigare perché il resto delle pietanze
della settimana era gradito alla ragazza … ma arrivò il mercoledì.
Nell'entrare in mensa, Merluzzella vide che c'era una lunga fila.
Stavolta, ella non aveva preparato alcun espediente per creare scompiglio
al refettorio.
Quella fila per la mensa la mise in allarme. Chiese a Cunegonda, che
si trovava davanti a lei nella fila:
− Cara, chiedi a chi sta più avanti il perché di questa fila -
La ragazza chiese immediatamente informazioni a colei che la
precedeva che, a sua volta, interrogò quella più avanti e così via fino a
quella che era più prossima all'ingresso della mensa.
Dopo un minuto, Cunegonda si girò indietro verso l'amica e le disse:
− Stanno perquisendo tutte le ragazze … non capisco perché -
− Lo capisco io! - fece Merluzzella poi, si girò verso colei che la
seguiva in fila, Genoveffa, la quale aggiunse:
− Beh? Cosa t'aspettavi -
− L'hai capita pure tu? - chiese la ragazza.
− Certo! Mica sono stupida – rispose l'amica. Da lì avanti, si volse
ed intervenne Cunegonda.
47
− Io non ho capito. Perché, secondo voi … ? -
− Lascia stare, Cunegonda … piuttosto … - e si voltò nuovamente
verso Genoveffa - … riusciresti a mangiare senza occhiali? -
− Senza occhiali? Si! … ma perché …? - fu interrotta.
− Dammeli, per favore – Genoveffa si tolse gli occhiali e glieli diede
chiedendole:
− Ma perché ti servono? Tu ci vedi bene … -
− È meglio che tu non sappia il perché … lo scoprirai dopo -.
La fila alla mensa cominciò a procedere più velocemente … fino a
che non toccò a Merluzzella d'essere perquisita.
C'era suor Carlotta con le due donnone. La ragazza fu sottoposta ad
una perquisizione in stile poliziesco.
− Se sapevo che c'erano i gorilla, avrei portato con me un paio di
banane – disse lei. Suor Carlotta rispose:
− Fa poco la spiritosa, signorina – Una delle due gorillesse
aggiunse:
− È pulita! - e Merluzzella concluse:
− Grazie, agente – e s'andò a sedere.
Nessuna notò che la ragazza portava gli occhiali.
Ricevette lo stesso trattamento della volta precedente, tavolo
all'angolo, le due gorillesse ai lati e suor Carlotta davanti.
Stavano cominciando a servire il riso con la verza da in fondo al
refettorio.
Merluzzella si tolse gli occhiali facendo la faccia più disperata che
aveva in repertorio e, per non far capire cosa stesse tramando, diede a
parlare alla suora.
− Credo proprio che questa volta sarò costretta a mangiare quella
sbobba puzzolente -
− Ah! L'hai capito, piccola impertinente? Stavolta non hai scampo –
fece la suora, con atteggiamento tronfio.
− Ma, sorella, a me non piace … - piagnucolò lei.
− Me ne farò una ragione … mentre mangi … ah! ah! Ah! -
− Sigh! -
48
Quello che, tanto la suora quanto le due donnone, non avevano
notato era la posizione in cui erano stati messi gli occhiali che Genoveffa
aveva prestato all'amica.
Merluzzella aveva approfittato di un raggio di sole proveniente dalla
finestra e aveva fatto in modo che la lente degli occhiali proiettasse luce e,
soprattutto, calore sulla tovaglia di carta del tavolo affianco al suo.
Quando il carrello col cibo era ormai a due tavoli dal suo, il piano
scattò.
La tovaglia del tavolo accanto prese fuoco e Merluzzella, che non
aspettava altro, gridò:
− Al fuoco! Al fuoco! -
Un attimo dopo, vi fu un fuggi fuggi generale.
Suor Carlotta e le due gorillesse si precipitarono a spegnere il
principio d'incendio usando i loro grembiuli e gridando “Non è niente!
Non è niente” ma le ragazze sembravano impazzite anche perché ci
pensava Merluzzella, con le proprie urla, ad alimentare il panico generale.
Placato l'incendio e la confusione generale, le suore scoprirono che
tutte le scodelle contenenti il riso con la verza erano state divelte e il loro
contenuto era stato sparso sul pavimento … e chi poteva aver mai fatto
tutto ciò?
Quindici minuti dopo, la ragazza era nella sua amata cella.
Non perse tempo. Per prima cosa, posizionò la pagnotta e il cuscino
sul letto coprendoli con la coperta. Mise il tavolo sotto il finestrone, la
sedia sul tavolo, vi salì sopra, legò una corda alla sedia (non aveva
dimenticato di portarla con sé) … e fu libera.
Destinazione?
La casa dei briganti.
Fece così come aveva fatto le due volte precedenti. Lasciò la divisa
scolastica in mezzo all'erba alta e si diresse a passo spedito verso la casa.
Si guardò intorno.
Non c'era nessuno.
Entrò.
C'era la tavola apparecchiata con salame prosciutto e formaggio già
tagliato a fette sul tavolo.
49
Accanto a quest'appetitoso companatico c'erano anche alcune fette di
pane casareccio.
La faccenda le sembrava fin troppo sospetta.
Guardò nella stanza da letto. Nessuno.
Corse fuori, s'affacciò nel pozzo. Nessuno.
Si precipitò nella stalla dietro la casa. Nessuno.
Allora prese un maialino, rientrò in casa e gli fece assaggiare tutto
ciò che lei avrebbe mangiato.
La sua paura era che ci poteva essere qualche narcotico o, peggio,
qualche veleno nel cibo.
Il maialino mangiò avidamente e, dopo cinque minuti, stava ancora
benissimo.
A quel punto, decise che anche lei poteva mangiare alla mensa dei
briganti.
Mangio, eccome!
Sazia, lasciò la casa e si diresse a prendere l'uniforme scolastica tra
l'erba alta.
Arrivata sul posto, s'accorse che il suo vestito era sparito.
− Cercavi questo? -
Un uomo enorme stava sventolando la divisa scolastica della giovane
mentre sorrideva sornione.
− Dammela! - Urlò Merluzzella.
− Eh no! Cara la mia ragazzina. Non sei proprio nella posizione di
dare ordini, non ti pare? - La ragazza stava entrando in uno stato
di panico.
− Cosa vuoi da me? - Fece lei, cercando di prendere tempo. Il
sorriso sparì del tutto dal volto dell'uomo.
− Cosa voglio? Cosa voglio? Hai pure il coraggio di chiedermelo? -
Nel dire queste parole, l'uomo avvicinò il proprio viso a quello
della ragazza. Questa, seppure solo col busto, indietreggiò
impaurita.
− Si! Voglio saperlo! -
− Semplice! Voglio fartela pagare -
− E … per cosa? Cos'avrei fatto di male? -
50
− Non ti arrendi, vero? … va bene! Allora te lo dico io … vediamo
un po' … voglio fartela pagare per i brutti scherzi che hai fatto ai
miei compari e per i furti a danno di tutti noi briganti -
− Io? Ma se io … è per la prima volta che … - Lui la interruppe.
− Non ci provare nemmeno, signorinella! Io non sono fesso come i
miei compari, a me non la si dà a bere! - Forse, Merluzzella aveva
trovato una via d'uscita.
− Si vede subito che non sei fesso come i tuoi compari. Si capisce
che tu sei furbo. Io … - Fu nuovamente interrotta.
− Forse non hai capito. Io sono Attila, il capo dei briganti e, se sono
il loro capo, non è soltanto perché sono il più forte ma sono anche
il più scaltro e non credo nelle lusinghe quindi smettila di provarci
ancora a fregarmi -. Merluzzella cominciava a sentire che
prendeva il sopravvento la disperazione. Davvero non sapeva
come uscirne … ma poi …
− Ah! Finalmente! È proprio a te che volevo arrivare! - Il brigante,
basito, chiese:
− In che senso? -
− Nel senso che … fino ad ora mi sono divertita con quei
fessacchiotti dei tuoi compari perché era proprio a te che volevo
arrivare? Avevo da farti una proposta … -
− Che tipo di proposta? - Si vedeva che era incuriosito. Merluzzella
lo incalzò.
− Volevo conoscerti ed organizzare una cosina con te -.
− Quale cosina? - Ora, Merluzzella era costretta ad inventarsi questa
“cosina”.
− Una … una festa! -
− Una festa? - Comparve una ruga in mezzo agli occhi dell'omone.
− Si! Proprio così! … - doveva improvvisare. Se si vuole dire una
bugia, bisogna mescolarla con un po' di verità - … ho sei amiche
che, con me facciamo sette. Sette belle ragazze, per sette
spaventosi briganti -.
− Ma che sciocchezza è questa? Noi siamo briganti, capito? Non
facciamo feste. Rapiniamo, uccidiamo, deprediamo e non … -
51
− Ma dai! … - lo interruppe Merluzzella - … non lo sai che noi
ragazze siamo affascinate dagli uomini rudi? Non si può fare che,
tra una rapina e un omicidio, ogni tanto vi divertiate pure un po'?
Non ve lo meritate, forse, un po' di divertimento? -
− Mmh! … e sia! Ma sappiate che siamo molto esigenti -.
− Non avrete a che pentirvene. Ora … mi ridai il mio vestito, ché
comincio ad avere freddo? -
− Te lo do' MA! Non credere che ti lascio andare via così -. E le
porse il vestito. Mentre la ragazza cominciava ad indossarlo, gli
chiese:
− In che senso “non mi lasci andare via così”? -
− Nel senso che … ti accompagno a casa. Voglio vedere dove abiti
che, nel caso tu mi stia fregando, potrò venire a casa tua e tagliarti
la gola -
Merluzzella non aveva scampo. Era costretta a mostrargli il collegio.
Era in trappola.
Prese la direzione del collegio e, mentre camminavano, fu costretta a
dirgli che erano tutte delle collegiali e che lei scappava da una cella di
punizione tutti i mercoledì al ché, il brigante disse:
− Bene! Sappi che, però, non aspetterò il prossimo mercoledì per la
festa. Voglio che veniate tutte sabato a pranzo -
− Sabato? Ma come … -
− Ho detto! -
Quando Attila, il capo brigante, diceva “Ho detto!” era come se
mettesse la parola “fine” ad ogni discussione.
L'accompagnò fino al collegio e aspettò, nascosto dietro la finestra,
che suor Carlotta aprisse la cella.
Merluzzella sapeva d'essere spiata quando la suora andò ad aprirle la
cella e s'accorse di non aver avuto mai tanta paura, in vita sua, come in
quel momento.
Ora aveva un grosso, grossissimo problema.
Doveva convincere le sue amiche per portarle tutte, il prossimo
sabato, alla casa dei briganti.
− Tu sei matta! - esclamò Onofria. Intanto, Cunegonda era svenuta
per l'ennesima volta.
52
− Prendete i sali per Cunegonda. Stavolta non può permettersi di
non ascoltare – disse Merluzzella.
Aveva raccontato alle amiche la propria disavventura col capo dei
briganti. Ora temeva un rifiuto. E, se le amiche avessero rifiutato di
aiutarla (e chi le poteva biasimare), non sapeva proprio come avrebbe
salvato il proprio collo dalla lama di Attila.
Intanto, Cunegonda aveva ripreso i sensi.
− Cara Merluzzella, … - disse Genoveffa - … ti rendi conto in che
pasticcio ci hai messe tutte quante? -.
− Lo so, ma chi poteva immaginare che … - fu interrotta da Eusebia.
− Ma cosa credevi? Pensavi davvero di farla franca per sempre? -
− Hai ragione, Eusebia, ma … vi prego, vi prego, vi prego – Questa
volta fu proprio Cunegonda a stupire tutte.
− Io ci vengo! -
− EH! - Fecero in coro tutte.
− È impazzita! - decretò Ermenegilda.
− No … - rispose lei, prontamente - … non sono impazzita. Il fatto è
che … ecco … se un'amica chiede aiuto, inutile fare tante storie,
bisogna aiutarla, e poi … sono stanca di aver paura di tutto. Se
Merluzzella ci guiderà, sono sicura che non ci accadrà nulla di
male … - Cunegonda lasciò tre puntini di sospensione. Voleva
sentire il parere delle altre ragazze. Parlò Onofria.
− Allora ci sto anch'io! - Gertrude ed Eusebia dissero in coro:
− Anch'io! - Ermenegilda aggiunse.
− Se ci stanno loro, non mi tirerò indietro io, certamente – tutte
quante le ragazze guardarono in direzione di Genoveffa. Lei le
guardò per qualche attimo e poi disse:
− Anche se la ritengo un'emerita pazzia, non posso tirarmi indietro
… e sia! Verrò anch'io! -
Vi fu un “Hurrà!” collettivo. Passata l'euforia generale, Merluzzella
prese la parola.
− Ora dobbiamo risolvere tre piccoli problemi prima di affrontare la
nostra avventura -.
− Quali problemi? - chiese Eusebia.
53
− Dobbiamo rubare due bottiglie di vino dalla cantina, del sonnifero
e una siringa dall'infermeria e … dobbiamo fare in modo da farci
mettere in punizione contemporaneamente il prossimo sabato -
− Accipicchia! - fece Gertrude.
Le ragazze si divisero i compiti.
Per prima cosa, Cunegonda finse di avere uno svenimento durante la
ricreazione e, visto che era un'abitudinaria dell'infermeria, Onofria e
Gertrude l'accompagnarono e l'aspettarono pazientemente fuori dalla
stanza della dottoressa Vitelli.
Cunegonda conosceva a memoria tutti le mensole dov'erano riposti i
medicinali dell'infermeria perché tempestava di domande la dottoressa
ogni qual volta andava lì.
Inoltre, mentre faceva visita, la dottoressa lasciava sempre aperto
l'armadietto dei medicinali.
Mentre la dottoressa le misurava il polso, si sentirono urla dal di
fuori dell'infermeria.
− Aspetta qui! - disse la Vitelli, preoccupata dalle urla provenienti
da oltre la porta del suo ambulatorio.
− E chi si muove! - rispose la ragazza.
Appena la dottoressa mise piede fuori dalla stanza, Cunegonda si
precipitò verso l'armadietto aperto, prese un flaconcino contenente un
potentissimo sonnifero e ne versò più di metà in una ampollina che s'era
portata in una tasca della divisa scolastica poi, nell'altra tasca, vi infilò una
siringa presa dal cassetto sotto le ante aperte dell'armadietto.
Dopo qualche minuto, la dottoressa Vitelli rientrò in ambulatorio e
disse:
− Niente di grave, tesoro. Quelle sciocchine delle tue compagne
credevano d'aver visto un topo nella sala d'attesa dell'ambulatorio
… allora … dov'eravamo rimaste? … -
Dopo nemmeno mezz'ora, Cunegonda, Gertrude e Onofria erano nel
dormitorio e ricevevano i complimenti da Merluzzella per l'ottimo lavoro
svolto.
In quel mentre, arrivarono anche Genoveffa, Ermenegilda ed Eusebia
tutte gongolanti.
54
− Ce l'abbiamo fatta. È stato un vero colpo di fortuna – disse
Eusebia.
− Dicci … – chiese Merluzzella. Genoveffa prese la parola e
raccontò.
− Suor Emerenziana, la custode delle cantine, come tutte voi ben
sapete, ha l'abitudine di assaggiare tutte le qualità di vini messe ad
invecchiare nelle botti. Non è raro trovarla addormentata su una
sedia per aver, a lungo, “assaggiato” … - continuò Ermenegilda.
− È stato un gioco da ragazze riuscire ad entrare in cantina e
prendere tre bottiglie del miglior vino rosso -. Concluse
Ermenegilda.
− Bene … – disse Merluzzella - … io, intanto, ho trovato il modo di
farci mettere tutte in punizione sabato mattina, ascoltatemi bene
… -.
Quel sabato mattina, le sette ragazze la fecero grossa.
Fu durante la celebrazione delle lodi mattutine.
Nel “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” si aveva l'abitudine di cantare inni
alla fine della funzione. Le ragazze venivano educate al canto liturgico con
le rigide regole della polifonia vocale del '500. La voce doveva mantenere
un suono angelico e un volume sommesso. Quel giorno dovevano cantare
“Nuper rosarium flores, terribilis est locus iste”, un canto gregoriano
molto antico. Il giorno precedente, avevano studiato il canto corale nella
sala “musica”. Il compito di Merluzzella fu di cambiare il testo con parole
poco consone alla funzione religiosa.
E fu così che, al momento del canto, mentre tutte le educande del
collegio cantavano l'inno studiato il giorno precedente, con voce angelica e
a volume contenuto, dal coro si alzarono sette voci gracchianti e urlanti
che cantarono l'inno col testo modificato in “Super rosetta florida, orribile
locusta isterica” e, per meglio sottolineare la loro disobbedienza, si misero
pure a ballare.
Tutte le suore corsero a bloccare questa blasfemia e, cinque minuti
dopo, le sette ragazze furono condotte alle celle dei sotterranei.
Ad ognuna di loro fu affidata una cella nella quale c'erano un tavolo,
una sedia, una pagnotta, una bottiglia d'acqua ed un lettino.
55
Per espiare il loro peccato, sarebbero rimaste segregate fino alla sera.
Merluzzella aveva spiegato ad ognuna di loro il sistema per evadere
dalla propria cella.
Dopo dieci minuti, ognuna delle sette ragazze era uscita sul retro del
collegio.
− Avete messo le pagnotte e i cuscini sotto le coperte? - chiese lei.
− Si – fu il coro unanime delle fanciulle.
− Avete portato le bottiglie? -
− Si -. Risposero tutte insieme. Nemmeno durante i canti liturgici, le
ragazze erano state capaci di essere così “a tempo” tra di loro.
− Bene. Andiamo! - Concluse Merluzzella.
Il viaggio verso la casa dei briganti fu silenzioso. Ognuna di loro era
assorta nei propri pensieri … tranne Cunegonda che, contrariamente al suo
temperamento pavido, canticchiava e si eccitava anche di fronte al più
piccolo spettacolo della natura.
− Uh! Una farfalla! - disse allegramente. Le rispose Onofria, stanca
di tutta quest'allegria immotivata.
− Già … una farfalla … non ne avevi mai viste in vita tua? -
− Certo che ne ho … -
− E allora piantala! … quanto mi dai ai nervi! - Cunegonda tacque,
mortificata. Genoveffa s'avvicinò a Onofria e le disse a bassa
voce:
− Lasciala in pace … questo è il suo modo di affrontare la paura …
se la sta facendo addosso -
− Ma io … - provò a protestare Onofria. Ermenegilda, che era vicino
a loro, disse:
− Preferiresti che svenisse di continuo? -
− Beh! Certo che no – Rispose Onofria, Merluzzella le interruppe.
− Ci siamo, care amiche, ecco la casa dei briganti -.
Da quel momento tacquero tutte e s'avvicinarono a quell'edificio così
come un condannato a morte s'avvicina al patibolo.
Arrivarono e trovarono i sette omoni che le aspettavano all'ingresso.
56
A Merluzzella non sfuggì che quegli uomini s'erano lavati (chissà da
quanto tempo non lo facevano ), avevano pettinato la barba e i capelli,
avevano indossato i vestiti migliori e s'erano profumati con un'essenza che,
sulla loro pelle, produceva l'afrore di un potente disinfettante.
− Bene, sei stata di parola. Buon per te! - fece Attila.
− Certo! Sono una persona seria io ma … lasciate che vi presenti le
mie compagne … Genoveffa, Onofria, Ermenegilda, Cunegonda,
Eusebia, Gertrude e io che, come sapete, mi chiamo Merluzzella –
A quel punto, anche Attila si sentì in dovere di presentare i suoi
compari.
− E questi sono Alberico, Ermanno, Prosdocimo, Ermenengardo,
Norberto, Laerte ed io che sono Attila, il loro capo -.
− Ciao Norberto, ciao Prosdocimo, come va? - fece Merluzzella.
I due uomini la guardarono in cagnesco.
Presero posto a tavola.
I briganti avevano disposto le sedie in modo che ogni fanciulla si
alternasse ad uno di loro.
A capotavola c'era Attila, sulla sua sinistra c'era Merluzzella. A
seguire, c'erano Alberico, Cunegonda, Laerte, Onofria, Prosdocimo,
Gertrude, Ermanno, Ermenegilda, Ermenengardo, Eusebia, Norberto,
Genoveffa e Attila … già! Quanto doveva essere lunga 'sta tavola?
In mezzo al tavolo c'era una gallina faraona con contorno di patate.
Dopo un primo momento d'imbarazzo da parte di entrambe le fazioni,
Attila diede il via al desinare e l'atmosfera si rilassò.
Le ragazze aprirono le bottiglie di vino ma rifiutarono di berlo
dicendo che avevano fatto un voto di morigeratezza alla madonna per farsi
perdonare della burla che avevano fatto per farsi mettere tutte in castigo.
Promisero che, la prossima volta, avrebbero bevuto ciò che, per quella
volta, avevano dovuto rifiutare.
A quel punto, Attila chiese cos'avessero combinato per farsi mettere
tutte in castigo.
Toccò a Merluzzella raccontare della burla suscitando grasse risate
dai briganti e anche dalle sue amiche.
A quel punto, Attila si alzò dalla sedia, sollevò il proprio calice e
disse:
57
I racconti di nonna nicolina
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I racconti di nonna nicolina

  • 3. Nonna Nicolina era mia nonna. Nonna Nicolina nacque ad aprile del 1904 e morì a maggio del 2005. Nonna Nicolina era cieca. Non era nata cieca, lo divenne a quarant'anni dopo una malattia che, a quei tempi, era incurabile. Mio padre, mia madre, i miei nonni e cinque bambini abitavamo in una casa antica con soffitti alti sei metri e mura spesse un metro. Ci piaceva usare manufatti di altre epoche tra i quali il trapano a legno, la macchinetta del caffè alla napoletana, il macinino, la macchina da cucire meccanica e l'Asciuttapanni. L'”Asciuttapanni” era una campana composta da doghe di legno intrecciate sopra le quali venivano posti quegli indumenti che non s'erano sufficientemente asciugati con la stesa. Sotto questa campana, in tempi antichi, veniva posizionato un “Braciere”, ossia un contenitore metallico di braci ardenti che venivano prelevate dal fuoco del camino. Quando ero bambino, il braciere era stato già soppiantato da una stufa elettrica circolare. Quando ero bambino, io e i miei quattro fratelli, appena finivamo di fare i compiti a casa, ci sedevamo vicino a nonna ad ascoltare i “racconti”. L'età di noi bambini era compresa tra i due e i dieci anni. D'inverno, ci posizionavamo tutti (nonna e nipotini) intorno all'Asciuttapanni, con una coperta di lana grezza che copriva le gambe di tutti in un'unica soluzione, uno scialle sulle spalle e nonna cominciava a raccontare. A causa della sua cecità, nonna non si accorgeva del calar del buio e noi bambini, per non interrompere i racconti, non andavamo ad accendere la luce e restavamo in quel
  • 4. buio illuminato solo dai bagliori della stufa posta sotto l'Asciuttapanni cullati dalla melodiosa voce di nonna Nicolina. I racconti di nonna erano favole e fiabe che le raccontava una vecchietta quando lei era, a sua volta, una bambina. Fiabe tramandate oralmente attraverso i secoli. Mi è capitato di trovare riferimenti ai personaggi e ai racconti di nonna Nicolina in scritti di narratori illustri. Senza pretese artistiche, cercherò di riproporre i racconti di nonna Nicolina così come ce li raccontava lei. È il mio modesto omaggio a mia nonna alla quale sono ancora legato al di là del tempo e delle dimensioni che ci dividono. Aldo Perris
  • 5. Racconto N°1 Pesce pesce che stai a mare C'erano una volta un vecchio e una vecchia, erano poveri, non possedevano il becco di un quattrino, vivevano in una catapecchia nei pressi del porto della loro città. Si chiamavano Giacinto e Rita. Una mattina presto, poco dopo l'alba, Giacinto decise di tentare la fortuna e andare giù al molo. Il suo obiettivo era quello di riuscire a pescare qualcosa da mettere sotto i denti per sé e per la sua anziana moglie. … e s'incamminò … tu ttù tu ttù tu ttù Essendo vecchio, camminava col bastone. Non è che gli servisse sempre ma, quando era stanco, gli faceva comodo un piccolo aiuto alle sue stanche ossa. Per riuscire a pescare gli occorreva una canna da pesca, una canna da pesca che lui non possedeva. Un antico proverbio recita: “La fame aguzza l'ingegno”. Infatti, il vecchietto decise di usare il proprio bastone come canna. Con il solo bastone, però, non sarebbe riuscito a pescare. Gli occorrevano anche una lenza, un amo e un verme. Per procurarsi la lenza sfilò la cucitura di una tasca del suo logoro cappotto. Ne ricavò un filo lungo quasi due metri che legò strettamente all'impugnatura del bastone. Ora gli occorreva un amo … facile. Mesi prima, aveva venduto la fede nuziale per comprare del cibo. Al suo posto aveva messo del fil di ferro. 5
  • 6. Il vecchio Giacinto si tolse il finto anello, lo aprì e lo legò all'altra estremità della lenza. Infine, lo piegò ad uncino per dargli la caratteristica forma da amo. Per trovare il verme, seguendo il proprio olfatto acuito dalla fame, si diresse verso un cumulo d'immondizia che era composta dagli scarti della pesca. Lì, trovo quanto cercava. Era pronto. Ora poteva andare a sedersi sul molo e lanciare la sua esca in acqua. Si sedette sulla pietra del molo e, con le gambe a penzoloni a un metro dal pelo dell'acqua, lanciò l'esca. Per parecchio tempo non accadde nulla, tanto che il vecchietto s'appisolò. Stava sognando di banchettare ad una tavola imbandita d'ogni ben di Dio. Nel sogno, allungava una mano per prendere un cosciotto di pollo e, mentre stava per raggiungere il suo boccone, s'accorse che qualcuno lo stava trattenendo per un braccio, qualcuno di cui egli non vedeva il volto. Dopo un po', la stessa persona cominciò a strattonarlo. Egli, nel provare a divincolarsi dalla presa, si svegliò. Effettivamente, lo stavano strattonando. Era il suo bastone … forte! Qualcosa aveva abboccato alla sua esca … qualcosa di grosso, a giudicare da quanto tirava. Il bastone stava quasi per sfuggirgli di mano per cui il vecchietto, traendo forze dalla sua fame, lo strinse più forte e tirò su. Qualcosa volò fuori dall'acqua e gli cadde in braccio. Un pesce. Un pesce di almeno tre chili. Un pesce che rassomigliava a un tonno ma che non era un tonno. Giacinto lo poggiò sul selciato alle sue spalle cosicché non gli scivolasse in acqua, s'alzò e, con la sua preda, s'allontanò dall'acqua di un paio di metri. A quel punto, sfilò il fil di ferro dalla bocca dell'animale che si agitava in maniera forsennata e, per porre fine alle sue sofferenze, alzò il bastone per colpirlo in testa e ucciderlo. - No! Non uccidermi! - 6
  • 7. Il vecchietto si guardò intorno per cercare di capire chi avesse parlato. Intorno non c'era nessuno a parte due donne, ad una ventina di metri di distanza, che parlottavano tra loro allontanandosi. La voce che aveva sentito era maschile e proveniva da più vicino. Pensò “la fame mi fa avere le allucinazioni … beh! Con questo bel pesce, oggi mi sazierò!” ed alzò di nuovo il bastone per colpirlo. - No! Ti prego, non uccidermi! - - CHI È? - gridò il Giacinto che cominciava a spaventarsi guardandosi intorno e non vedendo anima viva. Adesso anche le due donne erano sparite. Guardò verso l'animale che continuava ad agitarsi, bloccato tra la sua coscia e il braccio sinistro. In effetti, il pesce muoveva la bocca ma si sa, i pesci boccheggiano in cerca di aria. Stavolta, il vecchietto decise di guardare verso il pesce. Alzò il bastone e … - Nooo! Ti prego, non uccidermi. Ti darò tutto quello che vuoi! - Stavolta non poteva essersi sbagliato. Era proprio il pesce. Al vecchio cadde il bastone dalla mano. Sollevò il pesce e disse: - Ma … tu … tu parli? - - Certo che parlo! - Rispose l'animale che, cominciando a sperare di avere salva la vita, stava riprendendo fiducia. Infatti continuò: - Ma … se vuoi, posso pure cantare … - Giacinto, troppo impressionato da ciò che stava accadendo, non capì la battuta. - Ma com'è possibile che parli? I pesci non parlano. Lo dicono tutti … da sempre … come dice la frase? … ah! … ecco, “Muto come un pesce”... ma dai! … non è possibile che tu parli. - - Allora vuol dire che stai impazzendo! - rispose il pesce. Il vecchietto ci pensò su. - Ah, ecco, … beh! … in effetti … - - Ma no che non stai impazzendo! … - lo interruppe l'animale - … È logico che i pesci non parlano ma io sono un pesce magico. Sono qualcosa di unico al mondo. Sarebbe un peccato se tu mi uccidessi -. 7
  • 8. - Hai ragione. Inoltre, non potrei ucciderti neanche volendo. Noi umani non siamo dei santi ma, per uccidere un essere capace di comunicare, bisogna essere bestie e … a proposito … cos'è quella storia che, se non ti uccidevo, mi davi tutto ciò che volevo? - - Tutto quello che desideri ma! ... solo dopo che m'avrai ributtato in mare - - Sicuro che non te ne scappi? - Fidarsi è bene ma … - Parola di pesce – Avrebbe fatto “giurin giurello” se avesse avuto le dita. - Ehm! Non so se posso fida … - - Allora uccidimi … e così non lo saprai mai – Sentenziò l'animale con spavalderia. Giacinto ci rifletté un attimo, poi ... - E sia! - e lo rilanciò in acqua. Il pesce sparì sotto la superficie dell'acqua e, per qualche lunghissimo secondo, non emerse. Poi tirò fuori la testa. - Ah! Che bella l'acqua. A volte non capisco come si possa vivere fuori da essa … allora … spara! -. - Sparare? E a chi? -. - “Spara” era un modo di dire ... ciò che volevo dire era chiedi. Chiedi cosa desideri, … visto che m'hai lasciato in vita … -. - Posso davvero? - - Certo che puoi. Qualunque cosa desideri -. - Ho fame. Mia moglie ed io abbiamo fame. Ero venuto qui a pescare. Vorrei portare a mia moglie un bel pesce, grosso - - È solo questo ciò che vuoi? - Il pesce era perplesso. Credeva che gli umani fossero più avidi. La richiesta di un semplice pesce gli faceva tenerezza. - Si -. Rispose Giacinto. - E sia! - Dall'acqua saltò un bel tonno da dieci chili e volò direttamente tra le braccia del vecchio. Era grosso e pesante e, per poco, non lo fece cadere a terra. A Giacinto non sembrava vero. Alzò lo sguardo per ringraziare il pesce ma costui era già sparito. Con questo peso sulle spalle, il vecchietto ritornò a casa. 8
  • 9. tu ttù tu ttù tu ttù I passi erano lenti a causa del peso del pesce. Quando aprì l'uscio della sua catapecchia, sua moglie Rita rimase sbalordita per l'ottimo esito della sua pesca. Accese un fuoco e vi mise a bollire l'acqua. Non aspettarono che arrivasse ora di pranzo. Erano tre giorni che non mangiavano. Alle otto del mattino, s'erano già mangiati metà tonno. Con lo stomaco pieno, ai due coniugi tornò il sorriso e la voglia di parlare. - Sei stato fortunatissimo, Giacinto. Senza avere una vera canna da pesca sei riuscito a catturare un tonno enorme -. Fece la moglie, mentre s'asciugava la bocca con la manica del vestito. - Ma io, questo tonno non l'ho mica pescato! - Rispose Giacinto, candidamente. - Come sarebbe a dire “non l'ho mica pescato”? T'è forse saltato in braccio? - Chiese Rita, sarcastica. - Proprio così! Come fai a saperlo? - disse lui. L'unica reazione possibile fu l'espressione spaventata della vecchietta. Egli, comprendendo cosa stesse pensando la moglie, disse: - No, … non sono impazzito … ora ti racconto tutto … stamattina, con la mia lenza improvvisata, ero riuscito a catturare un bel pesce da tre chili circa. Ero contento della fortuna che avevo avuto con la mia lenza improvvisata. Ebbene, quando ho tolto l'amo dalla bocca del pesce e stavo per dargli il colpo di grazia, lui mi ha supplicato di non ucciderlo -. - Ti ha parlato? - - Si! - - Ma cosa vai blaterando? I pesci non parlano. C'è appunto la famosa frase “muto come un pesce” … ma dai! - Rita si sentiva presa in giro e cominciava ad arrabbiarsi. - Guarda che è la stessa cosa che gli ho detto anch'io … al principio pensavo ad uno scherzo di qualcuno che doveva essersi nascosto da qualche parte ma, ti assicuro, non c'era anima viva nei paraggi, era proprio il pesce a parlare -. 9
  • 10. - Ma la smetti di dire sciocchezze? - - Non sono sciocchezze … secondo te, come ho preso un pesce da dieci chili usando un bastone, del cotone e del fil di ferro? - - Beh! … in effetti … come hai fatto? - - È stato lui, il pesce parlante … che era un pesce magico. M'ha detto che se l'avessi lasciato in vita, m'avrebbe dato tutto ciò che volevo -. Rita tacque per qualche secondo poi, il suo viso cominciò ad avvampare. - Vorresti dire che, quando il pesce t'ha detto “ti do' tutto ciò che vuoi”, tu gli hai chiesto un pesce? … solo un pesce? Come avrei fatto a portarne più di uno? Questo era già bello pesante … - - Razza d'idiota! - urlò lei. - Ma cos'ho fatto? Non capisco … - provò a difendersi Giacinto. - Esatto! Non capisci … non capisci un tubo, ma come? Hai la possibilità di chiedere tutto ciò che vuoi e chiedi un pesce? … I SOLDI!!! Brutto asino che non sei altro. Dovevi chiedere i soldi. Non so se ti sei accorto del fatto che siamo poveri - - Ah, già. … ma, ora? … cosa posso fare, ormai? - - Cosa puoi fare? TORNA AL MOLO, vecchio citrullo! Trova questo pesce e chiedigli un sacco pieno di soldi … va! Va! VAAAA! - Il vecchietto uscì di gran carriera, anche per non sentire le urla della moglie, e si precipitò al molo. tu ttù tu ttù tu ttù I passi, dopo aver mangiato e acquistato un po' di forze, stavolta erano più spediti. Arrivò al mare. Arrivato sul molo, si ricordò che non sapeva come si chiamasse il pesce. Eppure, doveva chiamarlo. Infine, si decise e cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - 10
  • 11. La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - - Eeeh! Ma sei impazzito? E che modi sono questi? - il pesce tirò la testa fuori dall'acqua. Era molto seccato. - Scusa pesce ma, ehm! … non sapevo se riuscivi a sentirmi – si giustificò Giacinto. - Ti sentivo, ti sentivo … ma mi stavo facendo un attimo la barba - - ? - - Avanti, dimmi cosa vuoi – fece l'animale magico. - Io … ehm! … volevo ringraziarti del bel pesce che m'hai dato ma … ecco, volevo sapere se potresti darmi dei soldi … un sacco di soldi … - - Ah! Volevo ben dire … e mi pareva strano che non m'avessi chiesto i soldi … e certo! Me lo dovevo aspettare. Alla fine, tutti gli uomini chiedono sempre i soldi ... - - A dire il vero, me l'ha fatto notare mia moglie che, per averti risparmiato la vita, t'avevo chiesto troppo poco … … e poi, tu m'hai detto che m'avresti dato tutto ciò che volevo. Varrà qualcosa la promessa di un pesce magico … o ti rimangi la parola data? -. Il pesce rimase qualche istante a pensarci su, infine disse: - E sia! Quanto denaro vuoi? - - Quanto voglio? … e che ne so! Un sacco di soldi vuol dire un sacco di soldi … io non … - Il pesce interruppe Giacinto. - Va bene! Faccio io, … ecco! - … e, tra le braccia del vecchio, comparve un sacco molto voluminoso e pesante, tanto pesante che gli piegò le braccia fino a cadergli a terra. Il sacco era chiuso con uno spago. Egli lo sciolse e guardò il contenuto del sacco. Era davvero un sacco di soldi. Banconote di grosso valore. Lui si guardò intorno per vedere se qualcuno avesse visto cos'era successo ma il molo era totalmente deserto. “Meglio così!” pensò. Aveva paura che qualche malintenzionato potesse portarglielo via. 11
  • 12. Chiuse il sacco, si fece forza e se lo mise in spalla e ripartì verso casa. tu ttù tu ttù tu ttù I passi, stavolta, erano più lenti a causa del peso. Arrivò a casa tutto sudato. Rita, appena lo vide entrare, gli strappò il sacco dalle spalle, lo aprì, guardò il contenuto e … e cominciò a ridere. Quando l'atmosfera di festa si calmò, Giacinto, seduto al tavolo, disse: - Adesso siamo a posto. Tutti i nostri problemi sono finiti per sempre. Non saremo mai più poveri - - Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita. - Cosa vuoi dire? - chiese il vecchietto accentuando una delle sue rughe tra gli occhi. - Secondo te, bastano questi soldi per risolvere tutti i problemi della nostra vita? - - Ma … sono tanti! - Giacinto non capiva. Rita spiegò. - Adesso ti sembrano tanti soldi ma ci serviranno per comprare tante cose e, così, finiranno e noi torneremo ad essere poveri -. - Allora? - - Allora torna dal pesce e digli che voglio una bella casa. Deve trasformare questa catapecchia in una bella villa a due piani con tanto di giardino - - Ma non ti sembra di esagerare? Io credo che … - - Tu non credi! Tu obbedisci! Va al molo e fa come ti dico! – La moglie cominciava ad inalberarsi. - Ma … - Provava a difendersi Giacinto. - Vai! - Dal tono della voce, si capiva che Rita non ammetteva un rifiuto dal marito. - Insomma, io … - Cercò di alzare la voce il vecchio. - VAAAAA!!!! - Rita era una furia. Giacinto uscì da casa e si diresse al molo. tu ttù 12
  • 13. tu ttù tu ttù I passi, stavolta erano poco convinti. Arrivò al mare. Arrivato sul molo, si ricordò che s'era dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo. Cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - - Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo dell'acqua – E un attimo! Stavo facendo una partita a dama con un amico - - ? - - Cosa vuoi ancora? - Chiese l'animale magico. - Io, … ecco … vorrei una casa -. Stavolta, Giacinto non la tirò per le lunghe. - Perché, non ce l'hai una casa? - - Si, no, cioè … la casa ce l'ho ma … è una catapecchia - - Ebbene? Con tutti i soldi che ti ho dato non ce la fai a comprarti una bella casa? - - È la stessa cosa che ho detto a mia moglie ma lei mi ha risposto che se spendiamo tutti i soldi per la casa, dopo, rimaniamo senza soldi per mangiare e, … beh! … saremmo costretti a rivenderla per comprarci del cibo e, piano piano, finirebbero tutti i soldi e, a quel punto … - - Basta così! Ho capito … e, dove la vorresti questa casa? - - Ah! Non lo so … va bene! Fa una cosa, trasforma la mia vecchia casetta in una bella villa a due piani con tanto di giardino - - In quanto a pretese te la cavi bene! - Rispose, sarcasticamente, il pesce. - Scusa ma, mia moglie … - 13
  • 14. - Piantala con questa tiritera “Mia moglie, mia moglie” … la verità è che pure tu vuoi questa villetta. Giacinto abbassò lo sguardo studiandosi le scarpe logore. Il pesce disse: - Va bene. Torna a casa. Fa uscire tua moglie. A quel punto devi dire la parola “Casa” e vedrai trasformarsi la tua catapecchia in una bella villa a due piani con tanto di giardino -. - Grazie, grazie tanto, io … - - Basta così! Addio, vecchio -. … e sparì sotto il pelo dell'acqua. Giacinto s'incamminò verso casa. tu ttù tu ttù tu ttù Stavolta il passo era incerto. Non aveva pesi ma portava il peso del dubbio. Non era certo che sarebbe avvenuto il miracolo e che la sua catapecchia si sarebbe trasformata in una bella villa. Sospettava che il pesce l'avesse preso in giro. Rientrò in casa e Rita, vedendolo, disse: - E ti pareva! Non l'hai trovato, vero? - dando per scontato che suo marito fosse un incapace. - No, cioè si, insomma … l'ho trovato – s'impappinava Giacinto. - Allora? Dov'è questa casa? - - Vieni con me … e osserva! - fece il vecchio, con atteggiamento teatrale. Uscirono dalla loro catapecchia e s'allontanarono di una ventina di passi. Poi, l'uomo si girò verso la loro vecchia dimora e pronunciò la parola “Casa”. Tutte le assi di legno della catapecchia cominciarono a diventare lucide e ad espandersi, stavano trasformandosi in marmo allargando la casa. Il tetto di lamiera sparì e il marmo delle mura cominciò ad allungarsi in altezza. Si delinearono balconi, bovindi, un grosso terrazzo sul tetto. Tutt'intorno all'abitazione spuntò un bel prato circondato da un muretto di cinta ed un bel cancello all'ingresso. - Ta, taa! - fece Giacinto alla fine della trasformazione, imitando la gestualità di un prestigiatore. - Bellissima – fu l'unica cosa che riuscì a dire Rita. 14
  • 15. Entrarono. Insieme passarono in rassegna tutte e dieci le stanze più l'ampio salone, l'enorme cucina e i quattro bagni. L'euforia era tanta.Quando l'atmosfera di festa si calmò, Giacinto, seduto al tavolo, disse: - Adesso siamo a posto. Tutti i nostri problemi sono finiti per sempre. Abbiamo tanti soldi e una bellissima casa. Non ci serve altro - - Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita. - Cosa intendi dire? - chiese il vecchietto, sospettando altre noie. - Secondo te, basta avere questi soldi e questa casa per pensare di aver risolto tutti i problemi della nostra vita? - - Ma i soldi sono tanti e la casa è grande e bella, no? - fece Giacinto. - Si, certo! La casa è grande e bella ma … guarda che brutti mobili che abbiamo -. - Va bene ma, abbiamo i soldi, compreremo dei bei mobili, no? - - Così i soldi finiscono - - Ma dai! Sono tanti soldi - - Adesso ti sembrano tanti soldi ma … se usiamo questi soldi per comprare i mobili, pian piano, i soldi finiranno. A quel punto, noi, per sopravvivere, saremo costretti a venderci i mobili, … e magari la casa. Poi, pure i soldi della vendita della casa finiranno e, a quel punto, noi torneremo ad essere poveri -. - Allora? Cosa vuoi che io faccia? - L'uomo stava cominciando a capire dove volesse parare la moglie. - Torna dal pesce -. - No! … ti prego, e poi ... che figura ci faccio? - - Chi se ne importa della figura! - Rita non era una cattiva persona. Lei aveva avuto anche una buona infanzia, provenendo da un'ottima famiglia. Per amore di Giacinto aveva lasciato tutto e l'aveva seguito. Purtroppo, Giacinto non era abile in nessun lavoro e, finché erano stati giovani, l'amore era bastato a farle sopportare tutto, persino la miseria. Ora che era anziana, era stanca di una vita di stenti e, avendo avuto un occasione per uscire dalla povertà, voleva coglierla al massimo. Inoltre aveva un'enorme paura di tornare a vivere nella miseria. 15
  • 16. - Questo lo dici perché sono io a fare una figuraccia – Rispose Giacinto. Lei tentò la via della persuasione dolce. - Ascolta tesoro, quel pesce sarebbe finito nel nostro stomaco se tu non avessi avuto pietà di lui. È stato lui che ti ha promesso di darti tutto ciò che volevi se lo avessi liberato. Ora deve mantenere la promessa. Va al molo … per piacere -. Una moglie sa sempre come prendere il marito. Giacinto partì alla volta del molo ma, mentre s'allontanava, sentì la moglie gridargli dietro: - Mi raccomando, voglio dei mobili in stile Luigi XIV - tu ttù tu ttù tu ttù Arrivato sul molo, si ricordò che, per l'ennesima volta, s'era dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo. Cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - - Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo dell'acqua – E un attimo! Stavo facendo un quadrangolare di tennis con alcuni amici - - ? - - Cosa vuoi stavolta? - Chiese l'animale magico che cominciava a spazientirsi. - Mobili – rispose prontamente Giacinto, per non tirarla troppo per le lunghe. - Mobili? E con tutti i soldi che ti ho dato non puoi comprarteli da solo? - 16
  • 17. - Si ma, se li compro coi soldi che ho … poi i soldi finiscono e torno ad essere povero … a quel punto sarò costretto a vendere la casa e … - - Guarda che sei davvero esagerato, tu … tu … io ... – il pesce era veramente arrabbiato e balbettava a causa dei nervi. Il vecchio lo interruppe dicendo: - M'avevi promesso di darmi tutto ciò che desideravo. Hai mentito, per caso? - - Non ho mentito ma … - - Niente “Ma”! … - L'uomo l'interruppe di nuovo - … se la tua parola ha qualche valore, dammi questi mobili e non fare troppe storie - - Uhm! D'accordo! Come li vuole il signore? - chiese il pesce con fare canzonatorio. Lo chiese più per prenderlo in giro che per sapere come effettivamente li volesse. Giacinto non capì la presa in giro e rispose tranquillamente: - Li voglio tutti in stile … aspetta … non mi ricordo bene … ah! Ecco, … li voglio in stile Luigi XIV - - Luigi XIV? … e va bene. Torna a casa e troverai quanto desideri - e, con queste parole, il pesce sparì nuovamente sotto la superficie del mare … e il vecchio tornò verso casa. tu ttù tu ttù tu ttù Non vi era abituato ma, quando tornò a casa, per la prima volta suonò il campanello. Prima di allora, Giacinto e Rita non avevano nemmeno una vera porta, usavano una vecchia tavola di legno per chiudere l'ingresso di casa. Era pur vero che, prima di allora, non avevano motivi per chiudere la porta perché non possedevano alcunché che potesse interessare i ladri. La moglie aprì la porta con un bel sorriso stampato in volto e gli disse: - Accomodati - e lo invitò a sedere su una bellissima sedia con la seduta imbottita, con dei bei braccioli, tutta dipinta color oro. Giacinto non si sedette e preferì fare il giro della casa per osservare il nuovo mobilio. Un enorme tavolo in stanza da pranzo con mobile buffet, una grande cucina coi fuochi al centro, librerie e vetrine un po' dappertutto. 17
  • 18. In camera da letto trovò un grosso armadio a specchio, un comò, un settimino e un enorme letto a baldacchino. Si sedette sul bordo del letto e, asciugandosi il sudore, disse: - Ora credo che non siamo più a rischio di tornare poveri - - Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita. - Cosa intendi dire? - chiese il vecchietto, disperato. - Guarda! - le disse lei, aprendo l'armadio. - Cosa devo guardare? - chiese lui. - Appunto! Cosa devi guardare? Non c'è nulla da guardare. In questo armadio, come in tutti i cassetti di ogni mobile di casa, non c'è niente - - D'accordo, non c'è niente ma, stavolta, possiamo comprare … - - Ma sei impazzito, per caso? - gli urlò lei. - Nemmeno per sogno! … dai! … abbiamo mobili, casa e soldi - - Allora te lo spiego meglio, citrullo che non sei altro. Se compriamo i vestiti, posate, bicchieri, piatti, biancheria e tutto quanto ci occorre a riempire i cassetti, finiscono i soldi e ci troveremo costretti a rivendere tutto a metà prezzo. A quel punto, per sopravvivere, dovremo rivendere i mobili e … cosa fai? - - Vado, vado … - pur di non sentire la tiritera della moglie, Giacinto s'incamminò nuovamente verso il molo. tu ttù tu ttù tu ttù Arrivato sul molo, si ricordò, per l'ennesima volta, che s'era dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - 18
  • 19. - Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo dell'acqua – E un attimo! Stavo facendo una lezione di scuola guida - - ? - - Cosa vuoi stavolta? Avanti, non farmi perdere tempo – disse al povero vecchietto, senza tanti complimenti. - Riempire i cassetti – rispose lui, sbrigativamente. - Cosa? - - Hai capito bene. Abbiamo un sacco di mobili ma sono vuoti. Ci servono vestiti, posate, bicchieri, piatti, biancheria … - - Ma con tutti i soldi che ti ho … Ooh! Va bene. Va a casa e ogni cassetto che aprirai, si riempirà di ciò che più ti occorre. Avrai le migliori marche al mondo ma ora lasciami in pace - … e, senza aspettare un inutile “grazie” dall'uomo, sparì sotto il pelo dell'acqua. Giacinto fece ritorno. tu ttù tu ttù tu ttù Arrivato a casa, bussò, Rita gli andò ad aprire e lui le disse: - Fatto! - - Cioè? - chiese lei - Va ad aprire i cassetti e le ante dei mobili e degli armadi. Lei non se lo fece dire due volte, corse ad aprire tutti i cassetti e le ante dei mobili della cucina e vi trovò piatti di porcellana di Vietri, bicchieri di cristallo di Boemia e tutte le posate d'argento. Corse in soggiorno e, aprendo i cassetti, vi trovò tovaglie e tovaglioli di finissimo lino. Si precipitò su, in camera da letto e, aprendo i cassetti del settimino e del comò trovò biancheria di seta, pigiami e vestaglie, calze di nylon, calzini di filo di scozia. Ma la sorpresa più grande fu aprendo l'armadio. Vi trovò abiti maschili e femminili delle più importanti firme della moda e scarpe di valore uguale. Tornò da Giacinto con un sorriso a trentadue denti (beh! Non tutti e trentadue, per essere precisi). 19
  • 20. A quel punto, Giacinto che s'era riposato, disse: - Adesso siamo a posto. Tutti i nostri problemi sono finiti per sempre. Abbiamo tanti soldi, una bellissima casa, tanti bei mobili pieni di tutto ciò che ci occorre. Finalmente siamo a posto - - Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita. - Oh Signore, cosa vorresti ancora? - chiese il vecchietto, oramai disperato. - Secondo te, basta avere questi soldi, questa casa e questi mobili pieni per pensare di aver risolto tutti i problemi della nostra vita? - - Dici che non ci basta tutto ciò? - fece Giacinto. - Hai visto quanto è grande la casa e quanta roba c'è? -. - Certo? - Giacinto non capiva dove volesse parare la moglie. - E chi lava, pulisce e lucida? Chi stira e stende? - - Lava? Stira? Stende? … va bene, prenderemo persone a servizio -. rispose Giacinto, con poca convinzione. Tanto sapeva a cosa alludeva la moglie. - Così i soldi finiscono - “Ecco, appunto!” pensò il vecchietto. A quel punto, tentò un timido: - Ma dai! Sono tanti soldi - - Adesso ti sembrano tanti soldi ma … se usiamo questi soldi per pagare la servitù, i soldi finiranno. Poi, per procurarcene altri, venderemo le scarpe, i vestiti, le tovaglie e l'argenteria ma finiranno anche quei soldi. Poi toccherà ai mobili e, pian piano, i soldi finiranno. A quel punto, noi, per sopravvivere, saremo costretti a venderci la casa. Poi, pure i soldi della vendita della casa finiranno e noi torneremo ad essere poveri -. - Allora? Cosa vuoi che io faccia? - L'uomo ormai era rassegnato. - Torna dal pesce ma … stavolta prendi qualcosa pure per te -. - Per me? - - Si. Ci servono tre persone di servizio ma a te serve una Rolls Royce con tanto di autista. Tutta la servitù dovrà indossare la livrea -. - Va bene -. Stavolta, Giacinto non mosse obiezioni. L'idea dell'autista e della Rolls Royce lo allettava. Inoltre, se era costretto a fare su e giù dalla casa al molo, era meglio farlo in un'automobile di lusso. S'avviò al molo. 20
  • 21. tu ttù tu ttù tu ttù Arrivato sul molo, si ricordò, ancora una volta, che s'era dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - - Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo dell'acqua – Ma non mi dai nemmeno il tempo di andare al bagno? - - ? - - Non tirarla troppo per le lunghe e dimmi cosa vuoi stavolta – disse il pesce che, oramai, era spazientito. - Tre cameriere – disse subito Giacinto, che non voleva far perdere tempo al pesce magico. - Tre cameriere? - Chiese lui. Se avesse avuto gli occhi paralleli, l'animale ora avrebbe avuto una ruga in mezzo agli occhi. - E un autista con la Rolls Royce – Aggiunse il vecchietto. - E un … autista … con la … non è che vorresti anche un maggiordomo? - Chiese sarcasticamente il pesce. - Un … ? Non ci avevo pensato, … ottimo! Grazie molte – L'uomo non aveva colto il sarcasmo. - Ah! bene! … di bene in meglio. D'accordo! Va a casa e troverai quanto hai chiesto - - Gr … - Giacinto avrebbe voluto ringraziarlo ma l'animale magico era già sparito sotto il pelo dell'acqua. Era il momento di tornare a casa. 21
  • 22. Stavolta, il vecchietto era troppo curioso di vedere la sua Rolls Royce e s'affrettò. tu ttù tu ttù tu ttù Appena arrivò nella strada dove abitava, rimase accecato dal bagliore del sole che si rifletteva sulla lamiera della sua scintillante autovettura. Arrivato davanti alla Rolls Royce, lo chauffeur scese dall'auto e chiese: - Buongiorno signore. Sono Gastone. Va da qualche parte? - - Io? - Giacinto si guadò intorno perché non era abituato a sentirsi chiamare “signore”. Quando comprese che l'autista si rivolgeva proprio a lui, rispose. - No, grazie -. Bussò alla porta e venne ad aprirgli un uomo in livrea. - Scusi, devo aver sbagliato casa – disse prontamente il vecchio. - Il signore ha sempre voglia di scherzare – rispose il suo maggiordomo – Prego, signor Giacinto -. Gli tolse il cappotto cencioso (si! Giacinto non aveva avuto il tempo d'indossare gli abiti nuovi) e lo appese all'attaccapanni. “Signore, Signor Giacinto … che bello sentirsi chiamare Signore” pensò l'uomo ed entrò. Era curioso avere persone che giravano per casa a svolgere tutte le incombenze domestiche. In effetti, Rita ci aveva preso immediatamente la mano ed impartiva ordini. Quando lo vide gli andò incontro, lo fece accomodare al tavolo e gridò ad una cameriera: - Letizia, portaci due caffè! - Mentre bevevano il caffè, Giacinto disse la famosa frase: - Adesso siamo davvero a posto, no? - e aveva paura della risposta. Indovinate cosa rispose la moglie? Esatto! - Non credo proprio, mio caro! - rispose Rita. - Oh Signore, cosa credi che ci serva ancora? - chiese il vecchietto, che stavolta non capiva per davvero cosa potesse ancora desiderare sua moglie. 22
  • 23. - Hai visto quante cose abbiamo? - - Ecco … appunto, io … non … - ma la vecchia lo interruppe. - Abbiamo tante belle cose ma siamo vecchi, per quanto tempo ce le potremo godere? - - Non capisco. Vuoi che gli restituisca qualcosa? - Chiese Giacinto, titubante. - Ma che sei impazzito? - rispose la moglie – Ma nemmeno per sogno. Voglio che tu gli chieda la cosa più importante e credo che stavolta tu non avrai niente da obiettare -. - Cosa? - volle sapere il marito, incuriosito. - La gioventù. Chiedigli di farci avere vent'anni a testa anziché i quasi ottant'anni che abbiamo ma, prima di andare, indossa qualcuno dei bei vestiti che abbiamo nell'armadio - Giacinto non ci pensò su due volte. Indossò un abito molto elegante ed uscì immediatamente. Stava cominciando il suo oramai abituale tu ttù tu ttù tu ttù quando si sentì chiamare: - Signor Giacinto, va da qualche parte? - Fece l'autista. Il vecchio s'era dimenticato d'avere un autista con tanto di Rolls Royce. Tornò indietro e disse: - Al molo, grazie Gastone – e si sedette dietro la comoda vettura. Fece fermare l'autista a cento metri dal molo dicendogli d'aspettarlo lì. Non voleva farsi vedere mentre parlava col pesce. Gli ultimi cento metri li fece a piedi. tu ttù tu ttù tu ttù Arrivato sul molo, si ricordò, per l'ennesima volta, che s'era dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - 23
  • 24. Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Lui, incurante degli altri, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - - Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo dell'acqua – Ma insomma! Me la lasci chiudere la comunicazione? Ero a telefono con un importante cliente -. - ? - - Ancora hai cose da chiedere? Accidenti quanta avidità - - Scusami pesce ma, questa cosa è la più bella che potrei chiederti. Se c'avessi pensato prima, sarebbe stata la prima cosa che t'avrei chiesto, credimi - - E quale sarebbe questa bella cosa che vuoi? - - La gioventù … puoi fare che mia moglie ed io ritorniamo ad avere vent'anni? - - Beh! In effetti … questo è un grande desiderio … va bene! T'accontento subito - e Zak! Giacinto sentì che gli tornavano tutte le energie di quando era un ragazzo. Guardò verso il mare ma il pesce era già svanito. A quel punto ritornò alla macchina e si sedette dietro. L'autista aprì nuovamente la portiera e disse: - Ragazzino, esci di lì ché sto aspettando il mio padrone - - Il tuo padrone? … ma … - poi si ricordò che era ringiovanito di quasi sessant'anni e che era impossibile che l'autista lo riconoscesse - … hai ragione … ma fidati, sono il nipote del signor Giacinto. È stato lui a dirmi di prendere la Rolls e andare a casa … non vedi che sono vestito come lui … e che gli rassomiglio? Fidati Gastone -. Sentendosi chiamare per nome, l'autista si convinse. Richiuse la portiera della Rolls Royce, si mise al volante e accompagnò a casa il giovane. 24
  • 25. Quando il giovane Giacinto scese dall'automobile, gli andò incontro una bellissima ragazza, tutta agghindata. Lui cercò di scansarla ma ella l'abbracciò forte e, allora, lui capì. Era Rita, la giovane moglie. Quando finì l'abbraccio, i due tornarono verso casa. Non erano ancora entrati quando lui sentì dire alla moglie: - Beh! In effetti … c'è solo una cosa che potremmo chiedere ancora al pesce -. - No, ti prego, basta così. Cos'altro puoi ancora desiderare? - - Stavo pensando … - disse lei - … abbiamo soldi, casa, mobili, vestiti, servitù, autista, automobile e gioventù ma … - - Ma cosa? - disse lui, spazientito. - Ecco … quando gente, così altolocata come noi, va in giro, non è bello che ci chiamino ancora Giacinto e Rita … - - Vuoi cambiare nome? - - Ma non capisci mai niente? … no, non voglio cambiare il nome ma vorrei metterci d'avanti un titolo - - Titolo? - Il titolo significa appartenere alla nobiltà. I titoli sono: barone, marchese, duca, conte e principe. - Certo, un titolo. Che ne so? Il marchese Giacinto e la duchessa Rita. Non credi che suoni meglio? - - Beh! In effetti … - A Giacinto sorrideva l'idea di muoversi in macchina col suo autista e non gli dispiaceva diventare nobile perciò stavolta non obiettò - … vada per il marchese Giacinto e la duchessa Rita. Stavolta, però, andiamoci insieme. – e, insieme, andarono verso l'autista. - Al molo, grazie Gastone – e si sedettero entrambi dietro la comoda vettura. Fecero fermare l'autista a cento metri dal molo dicendogli d'aspettarlo lì. Non volevano farsi vedere mentre parlavano col pesce. Gli ultimi cento metri li fecero a piedi. tu ttù - tu ttù tu ttù - tu ttù tu ttù - tu ttù 25
  • 26. Arrivati al molo, Giacinto si ricordò, per ancora una volta, che s'era dimenticato di chiedere al pesce come si chiamasse … ma doveva chiamarlo, comunque. Cominciò ad urlare: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - Niente. Allora lui ritentò: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ti devo parlare! - La gente che passava da quelle parti, o che lo sentiva urlare, lo scambiava per un matto. Anche la moglie gli avrebbe dato del “pazzo” se non avesse assistito a tanti miracoli. Lui, incurante di tutto, ci provò ancora: - Pesce pesce che stai a mare! Pesce pesce che stai a mare! Vieni qua ché ... - - Oooh! - Gridò il pesce, mentre tirava fuori la testa dal pelo dell'acqua – Ma insomma! Ti avevo chiesto di non disturbarmi più … e chi è questa graziosa ragazza? -. - Questa è mia moglie Rita - - Ah! È lei? … allora? Cosa volete? - A quel punto intervenne Rita. - Sentimi bene, pesce. Se mio marito non t'avesse ributtato in mare, ora staresti nel nostro stomaco, quindi, poche storie! - - Mi sembra d'aver ben ripagato il gesto. Vi ho dato cose che la maggior parte di gente non vede in tre vite. Non è abbastanza? - - È abbastanza – disse Giacinto. - Non è abbastanza – aggiunse Rita. - Non è abbastanza? - chiese il pesce. - No! - concluse Rita in maniera categorica. - E, fammi sapere, cosa vorresti ancora? - chiese l'animale magico, rivolgendosi direttamente a lei. - È vero, ci hai dato tante cose ma, dimmi tu, è giusto che gente così ricca non abbia un titolo nobiliare? - - Un titolo nobiliare? - chiese il pesce che, se avesse potuto farlo, avrebbe sgranato gli occhi. 26
  • 27. - Hai capito bene, bestia … - disse lei con arroganza e aggiunse - … che ne so, mi piacerebbe essere chiamata baronessa, marchesa, duchessa, contessa o, addirittura, principessa … ecco! Sai che soddisfazione sarebbe sentirmi chiamare “contessina Rita” … - Il pesce guardò la coppia. Era molto arrabbiato ma, si sa, i pesci non possono diventare viola di rabbia o rossi di vergogna o neri d'umore. Tacque per qualche istante al ché Rita lo incalzò: - Allora? - - D'accordo! M'avete convinto … tu, Rita, diventerai la contessina petecchia e tu, Giacinto, diventerai il duca pernacchia - In quell'istante, i vestiti di Giacinto e Rita cominciarono a logorarsi e trasformarsi nei vecchi abiti che indossavano prima di diventare ricchi. La loro pelle cominciò a macchiarsi di vecchiaia e le ossa cominciarono a incurvarsi. Giacinto si voltò a guardare verso l'autista giusto in tempo per vederlo sparire in un “Puff!”. Non c'era bisogno che andassero a casa per scoprire che era tornata ad essere la catapecchia di sempre, priva di bei mobili, abiti, stoviglie e servitù. Inutile domandarsi se esistesse ancora il sacco con i soldi. Avevano perso tutto. Il pesce restò lì a guardare tutta la scena e, quando finì il tutto e vide i due vecchietti fiaccati e vittime della loro avidità, disse: - Chi troppo vuole, nulla stringe – e, ciò detto, stava per rimettere la testa sott'acqua. - Aspetta! - urlò il vecchio. - Cosa c'è ancora? Volete che vi tolga anche ciò che vi è rimasto? - Rita si strinse al marito, muta e piangente. Il vecchietto disse: - No, ti prego. Abbiamo capito la lezione. Non vogliamo chiederti più niente, … ho solo una curiosità - - Una curiosità? E cosa vorresti sapere, di grazia? - - Sono venuto tante volte al molo e non ti ho mai chiesto il tuo nome. Puoi dirmi come ti chiami? - - Come mi chiamo? … mi chiamo Pescepescechestaiamare - Fine 27
  • 28. Racconto N°2 merluzzella C'era una volta una ragazzina. Il suo nome era Merluzzella. Era una peste. Era una bambina terribile. Oggi, i dottori, nel visitarla, direbbero che era semplicemente iperattiva. A quei tempi, la parola iperattiva non era stata ancora inventata per cui, vada per “peste”. I suoi genitori erano disperati. Ogni giorno venivano chiamati dalla preside della sua scuola e messi al corrente dell'ennesima marachella che aveva combinato. Una volta aveva messo una puntina sulla sedia della sua maestra di lingua, un'altra volta aveva incollato tutti i palloni della palestra, un'altra volta aveva versato dell'olio per le scale della scuola, un'altra volta aveva messo lo zucchero nel barattolo del sale, un'altra volta … insomma, avete capito … no? Il padre era un uomo molto severo e, spesso la sculacciava ma nessuna punizione riusciva a raddrizzare quella creatura ribelle. Una soluzione andava trovata e fu così che un giorno i genitori la chiamarono in salotto e, quando lei si presentò, le dissero: - Merluzzella cara, avremmo voluto evitare di fare quello che stiamo per fare ma non ci lasci scelta. Andrai in collegio, dalle suore! - Qualsiasi altra ragazzina si sarebbe messa a piangere, a protestare, a promettere che d'ora in poi avrebbe fatto la brava. Merluzzella annui e, lentamente, salì nella sua camera. Dopo dieci minuti, ridiscese in salotto. Aveva una valigia in mano. Chiese: - Quando si parte? Sono pronta -. 28
  • 29. Fu così che cominciò l'avventura che cambiò per sempre la vita e il carattere di Merluzzella. Il collegio dove fu messa la ragazzina era il “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” un collegio del quale non poteva essere fatto un acronimo perché avrebbe formato una parolaccia. Inutile dire che Merluzzella, appena si trovò di fronte all'ampia scalinata che conduceva all'andito, mise immediatamente il soprannome alla sua nuova dimora utilizzando le iniziali della targa d'ingresso. Il collegio era un edificio enorme, un enorme parallelepipedo in stile “Liberty”, tutto bianco. Al suo interno aveva una cappella capace di contenere le duecento ragazze che erano ospiti dell'educandato più le quaranta suore dell'ordine delle Orsoline. In quella cappella, padre Tommaso, un prete che veniva dalla città, ogni domenica diceva la messa e si occupava delle confessioni. Lungo tutto l'edificio vi erano almeno ottanta finestre ad arco con tanto di cancellata, un enorme refettorio, un chiostro interno, le cucine, quaranta camerone che ospitavano sette ragazze ciascuna e venti camerette che ospitavano due suore ciascuna. L'unica ad avere diritto alla stanza singola era la madre superiora, suor Emerenziana, una donna magra e alta con una folta peluria sul labbro superiore. Merluzzella le mise immediatamente il soprannome “D'Artagnan”. Il collegio aveva anche un piano al di sotto del livello della strada. In quel piano c'erano la dispensa, la ghiacciaia, la cantina e le celle di punizione. Queste celle non venivano più usate da anni, anche se suor Emerenziana avrebbe volentieri utilizzato il polso di ferro e spedito più di una scolaretta a patire la segregazione. Alle spalle del collegio partiva il bosco. Era un bosco molto fitto e buio. In giro si diceva che era abitato dai briganti e nessuno s'avventurava oltre la radura che si trovava immediatamente adiacente alle mura. Merluzzella fu accompagnata dai genitori fino al suo camerone. Ogni camerone aveva sette letti singoli posti perpendicolarmente sullo stesso lato del muro, due scrittoi all'ingresso della stanza. Accanto ad ogni letto c'era un comodino e, sulla parete di fronte, c'erano sette armadietti di legno, uno per ogni ragazza. 29
  • 30. Di fronte alla porta d'ingresso c'era una delle ottanta finestre ad arco con le sbarre di ferro. Per fare in modo di non far rassomigliare le stanze alle celle di un carcere, i finestroni erano stati corredati di tendine beige. Merluzzella era una ragazza incapace di rispettare l'autorità ma tutt'altra cosa era il suo rapporto con le compagne. Era generosa, solidale, simpatica, divertente, spiritosa … insomma, legò immediatamente con le sue sei compagne di camerone: Genoveffa, Onofria, Ermenegilda, Cunegonda, Eusebia e Gertrude. Bei nomi, vero? Dov'era finita la Merluzzella pestifera? Che fine aveva fatto? In effetti, la ragazza dava il peggio di sé solo quando riteneva d'aver subìto un'ingiustizia. Questa cosa fu chiara da subito alle sue compagne di stanza. Al suo arrivo al Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola la ragazza era già stata preceduta dalla sua sinistra fama. In tutto il collegio si era a conoscenza dei brutti scherzi che aveva combinato a scuola e, quando le sue compagne di stanza entrarono in confidenza con lei, cioè subito, la incalzarono affinché raccontasse dei suoi scherzi scolastici. − È vero che hai messo una puntina da disegno sulla sedia della tua insegnante di lingua straniera? - fece Eusebia. − Vero! - rispose lei. − Ed è vero che hai incollato tutti i palloni della palestra? - fece Ermenegilda. − Vero! - rispose lei. − Ed è vero che hai versato olio per le scale? - chiese Cunegonda. − Vero! - − Ed è vero che hai messo lo zucchero nel barattolo del sale? - volle sapere Onofria. − Vero! - rispose lei. − Perché? - chiese Genoveffa. A quella domanda, Merluzzella rimase senza parole. Era la prima volta che qualcuno le chiedeva perché avesse fatto ciò che aveva fatto anziché chiederle solo se era vero che lo avesse fatto. 30
  • 31. − Vuoi davvero saperlo? - chiese Merluzzella a Genoveffa. La ragazza, che era la più grande e la più saggia del camerone rispose. − Tu sei una persona buona e generosa, Merluzzella. Se hai fatto ciò che hai fatto avrai avuto delle buone ragioni -. − Bene, visto che siete così curiose, vi accontenterò. L'insegnante di lingue straniere era un'arpia. Ci chiedeva continuamente cose in francese, in inglese o in tedesco … certo! Si usa dialogare nelle lingue che si vogliono imparare ma … lei ci chiedeva cose che non ci aveva ancora insegnato e, quando non sapevamo cosa rispondere, ci riempiva di parolacce … quelle, le parolacce, le diceva in italiano. Non le interessava farci capire le cose nelle lingue straniere quanto farci comprendere che eravamo idiote -. − Perché la puntina? - chiese Gertrude. − Volevo sapere in quale lingua avrebbe detto ahi! - − Ah! Ah! Ah! - risero tutte. Onofria chiese. − E i palloni incollati? Perché? - − Il nostro insegnante di educazione fisica era un prepotente. Probabilmente, da ragazzo, doveva essere stato un bullo. C'era un mio compagno, Rodolfo, che era mingherlino. Non era molto tagliato per gli sport e quel lazzarone del professore insisteva che si arrampicasse alla pertica. Ogni qual volta Rodolfo era a metà percorso, lui gli lanciava addosso dei palloni. Il resto va da sé -. − Brava Merluzzella – fece Genoveffa. Cunegonda, allora, la incalzò. − L'olio per le scale? - − Per l'olio, sono stata geniale. C'era un'insegnante che andava via sempre mezz'ora prima che suonasse l'ultima campanella. Avevo visto che scappava dalla scala di servizio perché, nel parcheggio c'era un signore che l'aspettava di nascosto -. − Beh? Che c'era di male? - fece Ermenegilda. − A parte il fatto che ci lasciava da sole in classe e che rubava mezz'ora di lavoro? C'era di male che lei era sposata e che l'uomo al parcheggio non era il marito -. 31
  • 32. − Oh! - fu il coro delle compagne. − Vedo che avete capito … e per quanto riguarda il sale … beh! C'è un piatto che io odio e la cuoca della scuola, che lo sapeva, l'aveva messo fisso nel nostro menù. Le avevo chiesto di darmi un'altra cosa da mangiare ma lei m'aveva risposto con una pernacchia. Il giorno che è venuto l'ispettore scolastico a pranzo, lei voleva fare una bella figura e … ci ho pensato io … così impara! -. − Qual'è il piatto che odi? - chiese Cunegonda. − Il riso con la verza … beh? Che c'è? - Merluzzella vide impallidire le compagne. Rispose Onofria. − Il mercoledì a pranzo … tutti i mercoledì … riso e verza e... domani è mercoledì - Il giorno seguente, tutte le ragazze furono svegliate, come tutte le mattine (con amara sorpresa da parte di Merluzzella) alle 05,45. Alle 06,00 c'era la messa del “mattutino” un'usanza, per gli ordini monastici, che si perpetuava dalla notte dei tempi. Dopo, si tornava in stanza, ci si lavava, ci si pettinava raccogliendo i capelli in un antiestetico “toupet” e si andava in classe. Le lezioni del mattino si svolgevano dalle 07,30 alle 12,30, orario in cui si andava al refettorio. Per Merluzzella, le lezioni furono interessanti. Si studiava lingua, ortografia, aritmetica, storia (del cristianesimo) e filosofia (cattolica). Aveva dimenticato la faccenda del riso e verza ma, appena entrò nello stanzone dove servivano i pasti, fu investita dall'odore acido della pietanza che tanto odiava. Suor Carlotta, una donna bassa e grassa con un neo bitorzoluto e peloso sulla guancia sinistra visionava il desinare delle scolarette. Lei aveva concorso per diventare madre superiora ma, a lei, era stata preferita suor Emerenziana e questa cosa non le andava proprio giù. Aveva un bisogno enorme di potere, forse per compensare al fatto che la natura si fosse accanita contro di lei, per cui si sfogava con le suore più giovani, con le novizie e, in particolar modo, con le fanciulle che frequentavano il “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”. 32
  • 33. Quando, passando alle spalle di Merluzzella, che era seduta allo stesso angolo di tavolo con le sue compagne di stanza, vide che la ragazzina non aveva nemmeno sfiorato il cibo contenuto nella propria scodella, disse: − Beh! Non lo sai che i bambini, in Africa, muoiono di fame? - anche la voce era brutta e stridula. − Oh! sorella. È proprio per questo che non sto toccando il mio cibo. Vorrei che lo impacchettaste e lo mandaste in Africa – disse Merluzzella col tono più innocente del suo repertorio. − Ah! Abbiamo una spiritosa, qui? - − No, sorella, dico sul serio – tentò la ragazza. Suor Carlotta non ci cascò. Le mise la mano dietro la testa e gliela spinse nel piatto poi, come se nulla fosse successo, passò oltre a controllare le altre fanciulle. Merluzzella alzò il volto, imbrattato di riso e verza, dal piatto e cercò con lo sguardo le sue amiche. Nessuna osava guardarla. Avevano, però, tutte quante il volto rosso dalla vergogna dell'impotenza di non poter aiutare l'amica. Merluzzella disse: − Guardatemi, non sono buffa? - Cunegonda fu la prima a guardarla. Merluzzella era comica con la verza che le colava lungo la faccia. Sorrideva. Cunegonda cominciò a ridere, allora tutte le altre ragazze della sua camerata cominciarono, a loro volta, a ridere. Il riso svanì subito e Merluzzella capì che suor Carlotta aveva fatto dietro-front e s'era posizionata alle sue spalle. − Cosa c'è da ridere? Idiota! - urlò a Cunegonda, la quale abbassò lo sguardo e divenne più rossa di quanto già non fosse. Intervenne Merluzzella. − Niente, sorella. La mia amica ha scoperto quanto mi dona la verza sul volto … sa? Pare che faccia bene alla pelle … - Dicendo queste parole, Merluzzella s'alzò dal proprio posto. Sovrastava la suora di almeno venti centimetri. Sorrideva ancora ma, ora, il suo sorriso aveva assunto l'atteggiamento di un ghigno. La ragazza continuò. 33
  • 34. − … anzi, ora che ci penso, con quel cespuglio che ha sulla guancia, una cura a base di verza farebbe bene anche a lei - E, con queste parole, prese la propria scodella e la spiaccicò in faccia alla suora. In un secondo, vi fu un parapiglia. Urla e salti da parte di tutte le ragazze. Intervennero tutte le suore presenti nel refettorio. Soluzione? Dieci minuti dopo, Merluzzella fu condotta alla presenza di suor Emerenziana, la superiora. Suor Emerenziana non vedeva l'ora d'avere un pretesto per applicare il sistema punitivo che aveva sempre sognato. La ragazza fu condotta all'isolamento, le cellette poste sotto il livello della strada. Le fu data una bottiglia d'acqua, una pagnotta rotonda e le fu detto che sarebbe rimasta in punizione fino alle nove di sera saltando, in tal modo, le lezioni pomeridiane e, soprattutto, la cena. Era l'una. Sarebbe rimasta in isolamento per otto ore. Otto ore in una stanza larga due metri, lunga tre e alta altri due e mezzo. Nella cella c'era un lettino, un tavolo e una sedia. La stanza aveva un unico punto luce, il finestrone che s'apriva a scorrimento, a taglio col soffitto posto sopra al lettino … il finestrone! Merluzzella pensò che non c'era tempo da perdere. Spostò il lettino dal finestrone e salì sulla sedia per provare ad aprire il finestrone a scorrimento. Ci arrivò giusto con la punta delle dita … scorreva, s'aprì. Ottimo! Non c'erano sbarre al finestrone … certo ma, non ce la faceva ad arrampicarvisi. Allora mise il tavolo sotto la finestra … non era ancora sufficientemente in alto da potersi arrampicare sul finestrone. Allora, mise la sedia sul tavolo e vi salì su … e ce la fece. Riuscì ad uscire dal collegio. Stava per allontanarsi ma poi, si bloccò, tornò ad entrare nella stanzetta e cominciò ad allestire un bel teatrino per chi si fosse avvicinato. Per prima cosa, infilò il cuscino sotto le coperte e mise la pagnotta nel posto dove, presumibilmente avrebbe messo la testa e coprì il tutto con 34
  • 35. la sudicia coperta che era lì a prendere polvere da chissà quanto tempo. Come seconda cosa, si tolse la lunga cintura di stoffa che aveva al fianco (faceva parte del corredo per la divisa delle scolarette), e ne lego un capo alla spalliera della sedia e l'altro al proprio polso. Infine, salì sul tavolo, salì sulla sedia posta sul tavolo, s'arrampicò al davanzale del finestrone, uscì, si tirò dietro la sedia e richiuse quasi completamente il finestrone. Chiunque si fosse affacciato alla sua celletta, avrebbe pensato che stava dormendo e, molto difficilmente, avrebbe notato l'assenza della sedia. Si sarebbe insospettito molto di più se avesse visto la sedia in piedi sul tavolo. Era ora di partire … già ma, … quale direzione prendere? Se Merluzzella avesse girato intorno all'edificio, sarebbe arrivata sulla strada, la strada che l'avrebbe riportata a casa … e poi? Intanto, correva il rischio che qualcuno potesse vederla e avvisare immediatamente le suore e, se fosse tornata a casa, era certa che i genitori l'avrebbero ricondotta al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”. Il bosco! Il bosco era l'unica direzione logica da prendere. È vero, nei racconti, il bosco fa paura, è pericoloso. Anche nel racconto di Merluzzella il bosco era pericoloso ma Merluzzella non conosceva la paura, lei sapeva affrontare il pericolo senza timore, senza tremolii di gambe o piagnistei. Il bosco era pericoloso? Peggio per lui! … perché Merluzzella era molto più pericolosa del bosco. Camminò per quasi mezz'ora. Dopo mezz'ora di cammino aveva fame. Non aveva pranzato e, per di più, aveva lasciato la pagnotta nel letto. Aveva fame, tanta fame. In quel momento, la foresta s'aprì in una bella radura, con una prateria di erba piuttosto alta e, in mezzo alla radura, c'era una casa. Per la ragazza, “casa” significava “cibo”. Nascose, in mezzo all'erba alta, il vestito da collegiale. Rimase con indosso solo la sottana bianca la quale, immediatamente, si macchiò con l'erba. 35
  • 36. “Poco male!” pensò. Le macchie sarebbero servite alla sua recita. Per essere più credibile, si sporcò il viso con la terra fresca. Voleva apparire una poverella che andava a chiedere l'elemosina. Il vestito se l'era tolto perché nessuno capisse che era scappata dal “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”. Per arrivare di fronte all'ingresso, passò davanti ad un enorme pozzo. Ne approfittò per calarvi dentro il secchio, tirare su un po' d'acqua e dissetarsi. Arrivata davanti all'uscio della casa, bussò. Non vi fu risposta. Bussò ancora. Niente. Spinse l'uscio ed entrò. Era una bella casa grande ad un solo piano, aveva un ampio salone d'ingresso che comprendeva anche una sudicia cucina col caminetto, la camera da pranzo con una grande dispensa, con salami, mortadelle e caciotte appese sotto l'alto soffitto e un grande tavolo rettangolare posto al centro della stanza. Dall'altro lato dell'ingresso c'era una porta. Merluzzella l'apri. Conduceva ad un'ampia camera da letto con sette enormi giacigli vuoti. “Bene! …” pensò lei “... non c'è nessuno in casa”. Si avviò verso la dispensa. Aprì un'anta della dispensa e vi trovò conserve di melanzane e peperoni, bottiglie di passata di pomodoro fatta in casa, pane e fette di formaggio. Stava per afferrare una fetta di formaggio quando fu afferrata per le spalle e costretta a girarsi. Un omone enorme con una folta barba, alto quasi due metri la guardava con sguardo truce. Parlò e la sua voce sembrava il suono di una sega mentre taglia il ferro: − Chi sei? Cosa ci fai in casa mia? - Merluzzella impallidì. Quell'uomo metteva davvero paura. − Io … io sono una povera ragazza, i miei genitori e i miei fratellini hanno fame … ero venuta … - − … a rubare, ti ho visto sai? - la interruppe il gigante. − No! Ti giuro, io non ero venuta a rubare - − Ma se ti ho beccata sul fatto! Non farmi ridere. Lo sai cosa succede a chi ruba nella casa dei briganti? - e, nel fare questa domanda, l'omone si passò il pollice sotto al collo. 36
  • 37. − Briganti? Io … ecco, non lo sapevo che … - doveva inventarsi qualcosa e pure in fretta. − Guarda che ti stavo già osservando da quando hai bevuto l'acqua dal nostro pozzo -. “Il pozzo, il pozzo, il pozzo … ecco!” Merluzzella aveva trovato la scusa da dire al brigante. Cominciò a piangere. Le ragazzine, quando vogliono, riescono a piangere automaticamente a comando. − Fai bene a piangere … – disse il brigante - … non hai idea di quello che ti farò, io … - Merluzzella lo interruppe, ma continuando a piangere. − Non mi interessa … sigh! … quello che … sigh! … mi farai … tanto … dopo quello che è accaduto al pozzo … - − Perché? Cos'è accaduto al pozzo? - fece l'omone, incuriosito. − Ero venuta per cercare di vendere l'anello della mia povera nonna … per … sigh! … avere in cambio un tozzo di pane da dare ai miei … sigh! … fratellini … e … - S'interruppe. − E? - La incalzò il brigante. − … e mi è caduto nel pozzo … ora come faro? … sigh! - − È un anello di valore? - − Si, è d'oro ed ha un diamante incastonato … sigh! … ma ora è perduto … sigh! … per sempre -. Di fronte alle lacrime e alla triste situazione di quella ragazzina, il brigante s'intenerì. Inoltre, pensava di poter ricavare un mucchio di soldi dalla vendita dell'anello. − Va bene! Ora ti calo giù nel pozzo e te lo vai a riprendere - − Il fatto è … ehm! … che ho paura dei pozzi e degli spazi bui. Me lo prenderesti tu? - Il brigante pensò che un anello di così grande valore valesse la pena che lui si calasse nel pozzo. Prese una scala, la calò all'interno del grosso buco e vi scese dentro. Cominciò a cercare nell'acqua il prezioso anello e non s'accorse che Merluzzella, mentre lui era chino con le mani nell'acqua, aveva tirato su la lunga scala. 37
  • 38. Improvvisamente, il brigante si sentì chiamare dall'imboccatura del pozzo. − Brigante? … ehi, brigante? - − Cosa … lo scaletto … dov'è? Rimandamelo immediatamente giù se non vuoi che … - − “Se non vuoi” cosa? - disse Merluzzella - … e tu, … saresti un pericoloso brigante? Ma non farmi ridere … - − Maledetta ragazzaccia … io … - La ragazza lo interruppe. − Tu non puoi farmi niente. Ora ti dico cos'accadrà. Io adesso chiudo il coperchio del pozzo, vado a farmi una bella mangiata alla faccia tua e me ne torno a … casa – Non era così sciocca da parlargli del collegio. − Io, … se ti prendo ti uccido! - La minacciò lui. − Sentimi bene, caprone, io tornerò qui mercoledì prossimo ma, la prossima volta, fammi trovare un brigante più furbo di te - e, dopo queste parole, chiuse il coperchio del pozzo, lasciando il brigante al buio e fece quanto gli aveva promesso. Quando Merluzzella tornò al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola”, le risultò agevole rimettere in ordine la propria celletta. Dopo circa un'ora arrivò suor Adalgisa, una suora dolce e premurosa, con una scodella di brodo. − Tieni, cara ragazza ma non dirlo a nessuno che ti ho portato da … ma come? Non hai nemmeno toccato la pagnotta di pane? Oh, povera figliola, avrai fame … - Già. Merluzzella era sazia di tutto ciò che aveva rubato alla casa dei briganti e non ce la faceva a mangiarsi pure la pagnotta. Doveva inventarsi una buona scusa. Col visino più innocente del suo repertorio, rispose: − No, sorella, non ho fame. Mi sono nutrita di preghiere – Un po' le dispiaceva di mentire ad una suora così buona ma, di dire la verità, non se ne parlava proprio -. − Hai pregato? Per tutto questo tempo? - Chiese la suora, con una innocente perplessità. − Si – Rispose la fanciulla. La suora insistette con fare materno: 38
  • 39. − Almeno un po' di brodino lo devi mangiare. Devi nutrirti e crescere forte - − Va bene, sorella - “La prossima volta, mi conviene ingozzarmi di meno” pensò, tra sé e sé, la ragazza. Intanto, gli altri sei briganti, avevano fatto ritorno alla loro casa. Si accorsero subito che c'era stata una razzia in dispensa. Si preoccuparono nel non trovare il loro compare a guardia della casa e cominciarono a chiamarlo a gran voce: − Norberto, Norberto … - finché non sentirono una voce arrivare da un posto indefinito. − Sono qui, aiutatemi! - − Qui dove? - chiese Alberico, uno della banda. − Nel pozzo! - fece Norberto. I briganti, come avevo già detto, erano sette: Norberto, Alberico, Ermanno, Prosdocimo, Ermenengardo, Laerte ed Attila, il loro capo. Dieci minuti dopo, erano seduti tutti intorno al tavolo della cucina. Norberto aveva raccontato loro tutto ciò che era accaduto con la ragazza. Quando ultimò il racconto ripetendo le parole che aveva sentito dal fondo del pozzo “ … io tornerò qui mercoledì prossimo ma, la prossima volta, fammi trovare un brigante più furbo di te”, dopo alcuni secondi di silenzio, gli altri sei briganti scoppiarono in una fragorosa risata. Prosdocimo, tra le risate, disse: − La ragazza ha ragione. Sei proprio un fesso! Ma come hai potuto farti imbrogliare così? - − Sei furbo tu! - rispose Norberto per difendersi. Intervenne Attila: − Non inveite, compari. Caro Prosdocimo, visto che ti senti più furbo di Norberto, il prossimo mercoledì, farai il suo turno di guardia -. − Ma il mio turno è il lunedì - − Niente “ma”. Ho deciso così. Vi scambierete i turni - Quando Attila decideva qualcosa, nessuno osava contraddirlo. 39
  • 40. La sera di quel mercoledì, Merluzzella raccontò alle compagne di stanza tutto ciò che le era accaduto nel pomeriggio. Cunegonda ci mancò poco perché non svenisse al sentir parlare di briganti. Onofria credeva che Merluzzella stesse mentendo. Ermenegilda le disse che aveva sentito dire in giro che nella foresta c'erano i briganti ma pensava che fosse una favola inventata per non far avventurare i bambini nel bosco. Eusebia e Gertrude erano eccitate dal racconto perché amavano l'avventura. Genoveffa, la più saggia di tutte, disse: − Cara amica mia, hai fatto una cosa davvero pericolosa. Guarda che i briganti non si fanno scrupolo per la nostra giovane età. Oggi pomeriggio avresti potuto morire -. − Lo so. In alcuni momenti ho temuto il peggio. Per fortuna, il brigante che mi è capitato era un idiota. Pensa, gli ho detto che mercoledì prossimo me ne deve far trovare uno più furbo di lui - − Ma mica hai intenzione di tornarci? - Chiesero Eusebia e Gertrude che erano più eccitate che preoccupate. Merluzzella rispose alla loro domanda con un'altra domanda. − Voi pensate che al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” aboliranno il riso con la verza al mercoledì? - − Non credo proprio – risposero in coro Ermenegilda e Gertrude. − Allora credo proprio che mercoledì prossimo tornerò a far visita a quei simpatici briganti – Concluse Merluzzella. In quel momento si sentì un tonfo. − Ecco, lo sapevo … - fece Genoveffa - … Gertrude, prendi i sali che Cunegonda è svenuta per davvero -. La settimana al “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” si svolse quieta. Era una scuola per signorine che dovevano essere preparate a diventare delle perfette padrone di casa. Si studiava ricamo, taglio, cucito, culinaria, economia domestica … in pratica, preparavano le giovinette a diventare madri e mogli quindi, le perfette cameriere o schiave di mariti e figli. A mensa non c'erano stati problemi perché, a parte il riso con la verza che era il piatto del mercoledì, tutti gli altri menù erano graditi da Merluzzella. 40
  • 41. Suor Carlotta, per tutta la settimana, si tenne alla larga dalla ragazza ma, si vedeva, stava tramando qualcosa. Merluzzella, dal canto suo, aveva già concepito un piano per potersi difendere dalla suora malefica. Del suo piano, però, non ne aveva fatto parola con nessuna delle compagne di dormitorio. La vita in collegio era monotona. C'era una certa regolarità data dagli orari di studio e di preghiera. Si studiava quasi tutto il giorno. L'unico momento per rilassarsi era relegato alla sera, nei dormitori. Anche se veniva ordinato loro di spegnere le luci, le ragazze si riunivano al buio intorno al letto di Genoveffa, che era il più appartato e si scambiavano confidenze. − Allora? - chiese Genoveffa guardando Merluzzella. − Allora cosa? - chiese lei. − Ma dai! Lo sai, domani è mercoledì – intervenne Gertrude. − Già! Lo so. Non ci volevo pensare – Merluzzella aveva lo sguardo perso nel vuoto. − Hai … hai paura? - le chiese Cunegonda. − Paura? No, sono solo seccata – disse la ragazza soprappensiero. − Perché? - chiesero in coro Eusebia ed Ermenegilda. − Perché sarò costretta a mentire a suor Adalgisa. Lei è molto dolce e non merita le mie bugie ma non posso coinvolgerla in cose tanto pericolose e sono costretta a mentire con lei -. − Sempre ammesso che tu non stia mentendo anche a noi – intervenne Onofria. − In che senso? - chiese Merluzzella. − Nel senso che non credo ad una sola parola di tutta la storia dei briganti – Tutte le ragazze guardarono la loro amica col timore che scoppiasse una rissa. Merluzzella, invece, disse: − Sai una cosa, Onofria? Tutto sommato hai ragione tu -. Gertrude fece un salto sulla propria sedia. Disse: − Vuoi dire che sono tutte bugie? - − No, non sono bugie ma il fatto è che … credere o non credere, in ciò che dico, dev'essere una scelta personale e rispetto il dubbio di Onofria così come rispetto la vostra fiducia in me -. 41
  • 42. Con quelle parole, Merluzzella aveva trovato un sistema per evitare di litigare con la compagna di stanza. Genoveffa, che aveva capito in pieno l'amica, concluse: − A volte sei davvero molto più saggia di quanto non sembri e … - Genoveffa sentiva che stava facendosi prendere dalla commozione allora, con voce severa, aggiunse: - … e adesso basta con le chiacchiere ché è ora di andare tutte a nanna -. Un coro di “Buonanotte” fu l'ultima parola di ognuna delle ragazze per la sera di quel martedì ... … e arrivò il mercoledì. Appena entrata in mensa, Merluzzella notò qualcosa di strano. Di fianco a suor Carlotta c'erano due suore corpulenti a braccia incrociate. Sembravano due gorilla. La ragazza stava per raggiungere il proprio posto ma suor Carlotta le si parò dinnanzi. − Ferma tu! Oggi il tuo posto a sedere è laggiù, nell'angolo -. − Ah, menomale -. fece lei. − Menomale? - chiese suor Carlotta, spiazzata da queste parole. − Certo! Vedo che la direttrice ha accolto la mia domanda di avere un posto a sedere più appartato -. e, con queste parole, s'avviò a passo spedito verso il tavolo all'angolo. Un volta che aveva preso posto a sedere, le due donne corpulente si misero ai suoi lati. − La direttrice mi accontenta davvero in tutto, questi sono i due gorilla del circo che le avevo chiesto in regalo, vero? - Suor Carlotta, rossa in viso, per tutta risposta, le prese una scodella piena di riso con la verza e gliela mise davanti. − Mangia! - e anche lei incrociò le braccia. Era arrivato il momento che Merluzzella mettesse in atto il proprio piano. Mise le braccia sotto il tavolo in modo che nessuna potesse vedere cosa stesse facendo. Da una piega del sottogonna tirò fuori un sacchetto che conteneva qualcosa che vi si agitava dentro. Infilò le mani nel sacchetto e poi … tirò le mani da sotto il tavolo e poggiò su di esso il contenuto del sacchetto … due topi. 42
  • 43. A quel punto, diede un urlo terribile “OH MIO DIO, TOPI. CI SONO I TOPI NELLA MENSA”. In meno di tre secondi, tutte le ragazze nella mensa cominciarono ad urlare. Le due “gorilla”, dimostrando un'insospettata agilità, erano balzate sulle panche, panche che, sotto il loro peso, si piegavano. Mezz'ora dopo, Merluzzella era nella sua celletta. Non perse tempo. Per prima cosa, posizionò la pagnotta e il cuscino sul letto coprendoli con la coperta. Mise il tavolo sotto il finestrone, la sedia sul tavolo, vi salì sopra, legò una corda alla sedia (stavolta s'era portata una corda nascosta nel grembiule scolastico) … e fu libera. Non aveva dubbi su dove andare, conosceva la strada. A cento metri dalla casa dei briganti, si tolse il grembiule scolastico e, con la sola sottana, si diresse verso il proprio obiettivo. La volta precedente aveva potuto mangiare e studiare l'abitazione di quegli uomini pericolosi. Aveva notato una botola sotto il soffitto. Ora sapeva come eludere il sorvegliante di turno. Entrò. − C'e nessuno in casa? - urlò. Dopo qualche istante, alle sue spalle comparve un omone più grosso di quello del mercoledì precedente. − Ferma lì! - e le posò una manona sulla spalla per bloccarla. − Oh! che spavento m'avete fatto prendere! - disse lei, con fare innocente. − E non hai idea di ciò che t'accadrà! - aggiunse l'omone. − Perché? Cos'ho fatto -. − A me niente ma dopo ciò che hai fatto a mio fratello … - − Vostro fratello, signore? Io non conosco vostro fratello - − Ah si? Hai, per caso dimenticato? - fece lui, sarcastico. − Signore, forse mi state scambiando per qualcun'altra, io non conosco vostro fratello … – la sua voce era un misto d'innocenza e sincerità. Bastò questa domanda a far vacillare le certezze del brigante. − Vorresti dire che … ehm! … non sei la ragazza che è venuta qui lo scorso mercoledì? - il bestione era confuso, pronto a bersi l'ennesima bugia della ragazza. 43
  • 44. − Impossibile! - fece lei - … mi sono trasferita qui l'altro ieri. Sono la figlia del nuovo guardacaccia – Il brigante era fregato. − Ah! … allora … scusa … - e mollò la presa dalla spalla della fanciulla - … e, cosa vuoi? Cosa sei venuta a fare? - − Papà mi ha detto che voi potreste vendermi qualcosa? - − Che tipo di cosa? - − Voleva comprare dei salumi e dei formaggi - − Fammi vedere i soldi - “Furbo questo qui!” pensò Merluzzella. Il problema era che lei non aveva soldi con sé. Doveva inventarsi qualcosa. − Mio padre non è scemo. Non mi ha dato soldi per ora. Vuole solo che io veda se è vero quello che si dice in giro di voi … se scopro che ciò che avete vale la spesa, … beh! … lui sarà disposto a darvi parecchie monete … d'oro - − E ammettiamo che io ti faccia assaggiare qualcosa, chi mi assicura che davvero verrà tuo padre a comprare i nostri prodotti … e se tu fossi solo una pezzente che è venuta a scroccare un po' di cibo? - “Furbo per davvero questo qui!” pensò Merluzzella. − Avete ragione, signore. Vorrà dire che dirò a mio padre che non avete nulla da vendere. Penso che i vostri compari saranno contenti quando scopriranno l'affare che vi siete fatto sfuggire dalle mani – e, così dicendo, voltò le spalle facendo finta di andare via. − Aspetta! … - disse lui - … va bene! Entra pure -. La fece entrare dentro e tagliò due fette di salame e due di provolone. Ne mangiarono una a testa. Dopo aver assaggiato salume e formaggio, Merluzzella disse: − In effetti, la qualità è molto buona ma, … mi aspettavo qualcosa di meglio. Non è che avete, per caso, prodotti migliori? - − Noi, … migliori? … ehm! - Il brigante sentiva che l'affare gli stava sfuggendo di mano. − Oh, mio Dio! Quante storie … se non ne avete, non ne avete! Punto – E alzò la testa al cielo, guardando il soffitto. Il brigante seguì il suo sguardo ed ebbe l'illuminazione. 44
  • 45. − Un momento! Un momento, forse ho quello che fa per te ma … ti costerà molto di più – Non voleva farsi sfuggire l'affare. − Vi ho già detto che il denaro non è un problema per noi - − Va bene. Aspetta un attimo -. Il brigante prese una scala, vi salì fino all'ultimo piolo ed aprì la botola in soffitta. Dopo un attimo, s'affacciò con un prosciutto da cinque chili. − Afferra! - e glielo lanciò. Merluzzella, per poco, non cadde a terra sotto il peso dell'enorme insaccato. Intanto, il brigante era scomparso nuovamente ripresentandosi, dopo meno di un minuto, con un grosso provolone molto stagionato. Si girò per cominciare a scendere i gradini ma il suo piede andava a vuoto, non riusciva a trovarli. Risalì all'interno della botola e, affacciandovisi, vide che la scala era stata spostata e accostata al muro. − Chi ha spostato la scala? - − Siamo solo io e te, chi può averla scostata? Deficiente! - − Bada a come parli, ragazzina! Porta subito qui la scala - − Fossi matta? Tu resta buono buono lì. Io, intanto, faccio provviste … Mmh! Ottimo questo salame … – e, così dicendo, diede un bel morso al grosso salame che aveva assaggiato in precedenza. Per tutto il tempo che mangiò, Merluzzella ebbe, in sottofondo, gli urli del bestione arrabbiato. Egli aveva capito che si trattava della stessa ragazzina che, il mercoledì precedente aveva gabbato il compare ed era arrabbiato anche con sé stesso perché aveva compreso d'essere stato messo nel sacco. Quando la fanciulla si fu saziata a sufficienza ed ebbe bevuto un po' d'acqua e un po' di vino, si rivolse nuovamente al brigante. − Sei davvero un fessacchiotto! Sta buono lì ché più tardi verranno i tuoi compari a tirarti giù … ah! Tornerò anche il prossimo mercoledì ma, quando tornerò, fammi trovare un brigante più furbo di te -. − Maledetta! - urlò lui mentre Merluzzella, con il prosciutto che, intanto, aveva tagliato in pezzi non più grandi di un pugno, se ne usciva da quella casa. Merluzzella fece ritorno nella sua celletta in tempo per schiacciare un sonnellino e aspettare suor Adalgisa. 45
  • 46. Stavolta, suor Adalgisa le portò un panino col formaggio e Merluzzella, ringraziandola, le disse che l'avrebbe mangiato più tardi nel dormitorio. Quando, la sera, i briganti fecero ritorno alla loro casa, furono immediatamente accolti dagli urli d'aiuto di Prosdocimo, il compare fregato dalla ragazza. Quando scese, l'uomo raccontò lo stratagemma attraverso il quale era stato imbrogliato da quella teppistella. Stavolta fu il turno di Norberto di ridere dell'ingenuità del compare. La sua risata fu interrotta dallo sguardo truce di Attila, il loro capo. Tutti tacquero. Lui parlò. − Ho capito. Il prossimo mercoledì resterò io di guardia -. − Ma capo, come faremo ad andare in giro per i boschi senza di te? - protestò Ermenengardo. − Non vorrete farmi credere che siete delle fanciulle impaurite? - rispose lui, al ché Laerte volle ribattere. − No, … certamente no ma, … senza la tua guida noi … - − Sciocchezze! Sono certo che ve la caverete perfettamente senza di me … anzi! Laerte, sarai proprio tu a guidarli nelle scorribande per i boschi -. − Ma, … perché vuoi rimanere proprio tu, capo? - chiese Ermanno. − Perché, se si scopre in giro che una ragazzina s'è presa gioco dei briganti, nessuno avrà più paura di noi e noi non possiamo permetterlo. La gente deve avere paura! … altrimenti comincerà a ribellarsi … immaginate come reagirebbe la gente nel vederci se non avesse più paura di noi? - La sua domanda non prevedeva risposte. Con quelle parole, Attila aveva chiuso la discussione e preso la sua decisione. Peggio per Merluzzella! La sera alle undici, al dormitorio, le ragazze fecero uno spuntino fuori programma col prosciutto che la ragazza aveva sottratto ai briganti. Stavolta, la prima a parlare fu proprio Onofria. − Ti devo chiedere scusa, Merluzzella - 46
  • 47. − Perché? - fece lei. − Perché sappiamo che non sei andata a rubare questo prosciutto in mensa. Non lo fanno così saporito - − Beh? Avrei potuto acquistarlo, no? - − Poveraccia come sei? - chiese Gertrude e tutte si misero a ridacchiare. Quando finì il momento d'ilarità, Onofria aggiunse. − C'è anche un altro motivo per cui ti credo - − Ah si? E quale? - chiese Merluzzella. − Il pezzo di prosciutto che mi hai dato aveva ancora un po' di cotenna e, sulla cotenna, c'era impresso il marchio dei briganti -. − E ti pareva! … - fece Genoveffa - … qualcuna prenda i sali ché Cunegonda è svenuta di nuovo -. Un'altra settimana passò senza che accadesse nulla d'insolito … certo! … ogni giorno, a mensa, suor Carlotta guardava Merluzzella in cagnesco ma non c'era motivo per litigare perché il resto delle pietanze della settimana era gradito alla ragazza … ma arrivò il mercoledì. Nell'entrare in mensa, Merluzzella vide che c'era una lunga fila. Stavolta, ella non aveva preparato alcun espediente per creare scompiglio al refettorio. Quella fila per la mensa la mise in allarme. Chiese a Cunegonda, che si trovava davanti a lei nella fila: − Cara, chiedi a chi sta più avanti il perché di questa fila - La ragazza chiese immediatamente informazioni a colei che la precedeva che, a sua volta, interrogò quella più avanti e così via fino a quella che era più prossima all'ingresso della mensa. Dopo un minuto, Cunegonda si girò indietro verso l'amica e le disse: − Stanno perquisendo tutte le ragazze … non capisco perché - − Lo capisco io! - fece Merluzzella poi, si girò verso colei che la seguiva in fila, Genoveffa, la quale aggiunse: − Beh? Cosa t'aspettavi - − L'hai capita pure tu? - chiese la ragazza. − Certo! Mica sono stupida – rispose l'amica. Da lì avanti, si volse ed intervenne Cunegonda. 47
  • 48. − Io non ho capito. Perché, secondo voi … ? - − Lascia stare, Cunegonda … piuttosto … - e si voltò nuovamente verso Genoveffa - … riusciresti a mangiare senza occhiali? - − Senza occhiali? Si! … ma perché …? - fu interrotta. − Dammeli, per favore – Genoveffa si tolse gli occhiali e glieli diede chiedendole: − Ma perché ti servono? Tu ci vedi bene … - − È meglio che tu non sappia il perché … lo scoprirai dopo -. La fila alla mensa cominciò a procedere più velocemente … fino a che non toccò a Merluzzella d'essere perquisita. C'era suor Carlotta con le due donnone. La ragazza fu sottoposta ad una perquisizione in stile poliziesco. − Se sapevo che c'erano i gorilla, avrei portato con me un paio di banane – disse lei. Suor Carlotta rispose: − Fa poco la spiritosa, signorina – Una delle due gorillesse aggiunse: − È pulita! - e Merluzzella concluse: − Grazie, agente – e s'andò a sedere. Nessuna notò che la ragazza portava gli occhiali. Ricevette lo stesso trattamento della volta precedente, tavolo all'angolo, le due gorillesse ai lati e suor Carlotta davanti. Stavano cominciando a servire il riso con la verza da in fondo al refettorio. Merluzzella si tolse gli occhiali facendo la faccia più disperata che aveva in repertorio e, per non far capire cosa stesse tramando, diede a parlare alla suora. − Credo proprio che questa volta sarò costretta a mangiare quella sbobba puzzolente - − Ah! L'hai capito, piccola impertinente? Stavolta non hai scampo – fece la suora, con atteggiamento tronfio. − Ma, sorella, a me non piace … - piagnucolò lei. − Me ne farò una ragione … mentre mangi … ah! ah! Ah! - − Sigh! - 48
  • 49. Quello che, tanto la suora quanto le due donnone, non avevano notato era la posizione in cui erano stati messi gli occhiali che Genoveffa aveva prestato all'amica. Merluzzella aveva approfittato di un raggio di sole proveniente dalla finestra e aveva fatto in modo che la lente degli occhiali proiettasse luce e, soprattutto, calore sulla tovaglia di carta del tavolo affianco al suo. Quando il carrello col cibo era ormai a due tavoli dal suo, il piano scattò. La tovaglia del tavolo accanto prese fuoco e Merluzzella, che non aspettava altro, gridò: − Al fuoco! Al fuoco! - Un attimo dopo, vi fu un fuggi fuggi generale. Suor Carlotta e le due gorillesse si precipitarono a spegnere il principio d'incendio usando i loro grembiuli e gridando “Non è niente! Non è niente” ma le ragazze sembravano impazzite anche perché ci pensava Merluzzella, con le proprie urla, ad alimentare il panico generale. Placato l'incendio e la confusione generale, le suore scoprirono che tutte le scodelle contenenti il riso con la verza erano state divelte e il loro contenuto era stato sparso sul pavimento … e chi poteva aver mai fatto tutto ciò? Quindici minuti dopo, la ragazza era nella sua amata cella. Non perse tempo. Per prima cosa, posizionò la pagnotta e il cuscino sul letto coprendoli con la coperta. Mise il tavolo sotto il finestrone, la sedia sul tavolo, vi salì sopra, legò una corda alla sedia (non aveva dimenticato di portarla con sé) … e fu libera. Destinazione? La casa dei briganti. Fece così come aveva fatto le due volte precedenti. Lasciò la divisa scolastica in mezzo all'erba alta e si diresse a passo spedito verso la casa. Si guardò intorno. Non c'era nessuno. Entrò. C'era la tavola apparecchiata con salame prosciutto e formaggio già tagliato a fette sul tavolo. 49
  • 50. Accanto a quest'appetitoso companatico c'erano anche alcune fette di pane casareccio. La faccenda le sembrava fin troppo sospetta. Guardò nella stanza da letto. Nessuno. Corse fuori, s'affacciò nel pozzo. Nessuno. Si precipitò nella stalla dietro la casa. Nessuno. Allora prese un maialino, rientrò in casa e gli fece assaggiare tutto ciò che lei avrebbe mangiato. La sua paura era che ci poteva essere qualche narcotico o, peggio, qualche veleno nel cibo. Il maialino mangiò avidamente e, dopo cinque minuti, stava ancora benissimo. A quel punto, decise che anche lei poteva mangiare alla mensa dei briganti. Mangio, eccome! Sazia, lasciò la casa e si diresse a prendere l'uniforme scolastica tra l'erba alta. Arrivata sul posto, s'accorse che il suo vestito era sparito. − Cercavi questo? - Un uomo enorme stava sventolando la divisa scolastica della giovane mentre sorrideva sornione. − Dammela! - Urlò Merluzzella. − Eh no! Cara la mia ragazzina. Non sei proprio nella posizione di dare ordini, non ti pare? - La ragazza stava entrando in uno stato di panico. − Cosa vuoi da me? - Fece lei, cercando di prendere tempo. Il sorriso sparì del tutto dal volto dell'uomo. − Cosa voglio? Cosa voglio? Hai pure il coraggio di chiedermelo? - Nel dire queste parole, l'uomo avvicinò il proprio viso a quello della ragazza. Questa, seppure solo col busto, indietreggiò impaurita. − Si! Voglio saperlo! - − Semplice! Voglio fartela pagare - − E … per cosa? Cos'avrei fatto di male? - 50
  • 51. − Non ti arrendi, vero? … va bene! Allora te lo dico io … vediamo un po' … voglio fartela pagare per i brutti scherzi che hai fatto ai miei compari e per i furti a danno di tutti noi briganti - − Io? Ma se io … è per la prima volta che … - Lui la interruppe. − Non ci provare nemmeno, signorinella! Io non sono fesso come i miei compari, a me non la si dà a bere! - Forse, Merluzzella aveva trovato una via d'uscita. − Si vede subito che non sei fesso come i tuoi compari. Si capisce che tu sei furbo. Io … - Fu nuovamente interrotta. − Forse non hai capito. Io sono Attila, il capo dei briganti e, se sono il loro capo, non è soltanto perché sono il più forte ma sono anche il più scaltro e non credo nelle lusinghe quindi smettila di provarci ancora a fregarmi -. Merluzzella cominciava a sentire che prendeva il sopravvento la disperazione. Davvero non sapeva come uscirne … ma poi … − Ah! Finalmente! È proprio a te che volevo arrivare! - Il brigante, basito, chiese: − In che senso? - − Nel senso che … fino ad ora mi sono divertita con quei fessacchiotti dei tuoi compari perché era proprio a te che volevo arrivare? Avevo da farti una proposta … - − Che tipo di proposta? - Si vedeva che era incuriosito. Merluzzella lo incalzò. − Volevo conoscerti ed organizzare una cosina con te -. − Quale cosina? - Ora, Merluzzella era costretta ad inventarsi questa “cosina”. − Una … una festa! - − Una festa? - Comparve una ruga in mezzo agli occhi dell'omone. − Si! Proprio così! … - doveva improvvisare. Se si vuole dire una bugia, bisogna mescolarla con un po' di verità - … ho sei amiche che, con me facciamo sette. Sette belle ragazze, per sette spaventosi briganti -. − Ma che sciocchezza è questa? Noi siamo briganti, capito? Non facciamo feste. Rapiniamo, uccidiamo, deprediamo e non … - 51
  • 52. − Ma dai! … - lo interruppe Merluzzella - … non lo sai che noi ragazze siamo affascinate dagli uomini rudi? Non si può fare che, tra una rapina e un omicidio, ogni tanto vi divertiate pure un po'? Non ve lo meritate, forse, un po' di divertimento? - − Mmh! … e sia! Ma sappiate che siamo molto esigenti -. − Non avrete a che pentirvene. Ora … mi ridai il mio vestito, ché comincio ad avere freddo? - − Te lo do' MA! Non credere che ti lascio andare via così -. E le porse il vestito. Mentre la ragazza cominciava ad indossarlo, gli chiese: − In che senso “non mi lasci andare via così”? - − Nel senso che … ti accompagno a casa. Voglio vedere dove abiti che, nel caso tu mi stia fregando, potrò venire a casa tua e tagliarti la gola - Merluzzella non aveva scampo. Era costretta a mostrargli il collegio. Era in trappola. Prese la direzione del collegio e, mentre camminavano, fu costretta a dirgli che erano tutte delle collegiali e che lei scappava da una cella di punizione tutti i mercoledì al ché, il brigante disse: − Bene! Sappi che, però, non aspetterò il prossimo mercoledì per la festa. Voglio che veniate tutte sabato a pranzo - − Sabato? Ma come … - − Ho detto! - Quando Attila, il capo brigante, diceva “Ho detto!” era come se mettesse la parola “fine” ad ogni discussione. L'accompagnò fino al collegio e aspettò, nascosto dietro la finestra, che suor Carlotta aprisse la cella. Merluzzella sapeva d'essere spiata quando la suora andò ad aprirle la cella e s'accorse di non aver avuto mai tanta paura, in vita sua, come in quel momento. Ora aveva un grosso, grossissimo problema. Doveva convincere le sue amiche per portarle tutte, il prossimo sabato, alla casa dei briganti. − Tu sei matta! - esclamò Onofria. Intanto, Cunegonda era svenuta per l'ennesima volta. 52
  • 53. − Prendete i sali per Cunegonda. Stavolta non può permettersi di non ascoltare – disse Merluzzella. Aveva raccontato alle amiche la propria disavventura col capo dei briganti. Ora temeva un rifiuto. E, se le amiche avessero rifiutato di aiutarla (e chi le poteva biasimare), non sapeva proprio come avrebbe salvato il proprio collo dalla lama di Attila. Intanto, Cunegonda aveva ripreso i sensi. − Cara Merluzzella, … - disse Genoveffa - … ti rendi conto in che pasticcio ci hai messe tutte quante? -. − Lo so, ma chi poteva immaginare che … - fu interrotta da Eusebia. − Ma cosa credevi? Pensavi davvero di farla franca per sempre? - − Hai ragione, Eusebia, ma … vi prego, vi prego, vi prego – Questa volta fu proprio Cunegonda a stupire tutte. − Io ci vengo! - − EH! - Fecero in coro tutte. − È impazzita! - decretò Ermenegilda. − No … - rispose lei, prontamente - … non sono impazzita. Il fatto è che … ecco … se un'amica chiede aiuto, inutile fare tante storie, bisogna aiutarla, e poi … sono stanca di aver paura di tutto. Se Merluzzella ci guiderà, sono sicura che non ci accadrà nulla di male … - Cunegonda lasciò tre puntini di sospensione. Voleva sentire il parere delle altre ragazze. Parlò Onofria. − Allora ci sto anch'io! - Gertrude ed Eusebia dissero in coro: − Anch'io! - Ermenegilda aggiunse. − Se ci stanno loro, non mi tirerò indietro io, certamente – tutte quante le ragazze guardarono in direzione di Genoveffa. Lei le guardò per qualche attimo e poi disse: − Anche se la ritengo un'emerita pazzia, non posso tirarmi indietro … e sia! Verrò anch'io! - Vi fu un “Hurrà!” collettivo. Passata l'euforia generale, Merluzzella prese la parola. − Ora dobbiamo risolvere tre piccoli problemi prima di affrontare la nostra avventura -. − Quali problemi? - chiese Eusebia. 53
  • 54. − Dobbiamo rubare due bottiglie di vino dalla cantina, del sonnifero e una siringa dall'infermeria e … dobbiamo fare in modo da farci mettere in punizione contemporaneamente il prossimo sabato - − Accipicchia! - fece Gertrude. Le ragazze si divisero i compiti. Per prima cosa, Cunegonda finse di avere uno svenimento durante la ricreazione e, visto che era un'abitudinaria dell'infermeria, Onofria e Gertrude l'accompagnarono e l'aspettarono pazientemente fuori dalla stanza della dottoressa Vitelli. Cunegonda conosceva a memoria tutti le mensole dov'erano riposti i medicinali dell'infermeria perché tempestava di domande la dottoressa ogni qual volta andava lì. Inoltre, mentre faceva visita, la dottoressa lasciava sempre aperto l'armadietto dei medicinali. Mentre la dottoressa le misurava il polso, si sentirono urla dal di fuori dell'infermeria. − Aspetta qui! - disse la Vitelli, preoccupata dalle urla provenienti da oltre la porta del suo ambulatorio. − E chi si muove! - rispose la ragazza. Appena la dottoressa mise piede fuori dalla stanza, Cunegonda si precipitò verso l'armadietto aperto, prese un flaconcino contenente un potentissimo sonnifero e ne versò più di metà in una ampollina che s'era portata in una tasca della divisa scolastica poi, nell'altra tasca, vi infilò una siringa presa dal cassetto sotto le ante aperte dell'armadietto. Dopo qualche minuto, la dottoressa Vitelli rientrò in ambulatorio e disse: − Niente di grave, tesoro. Quelle sciocchine delle tue compagne credevano d'aver visto un topo nella sala d'attesa dell'ambulatorio … allora … dov'eravamo rimaste? … - Dopo nemmeno mezz'ora, Cunegonda, Gertrude e Onofria erano nel dormitorio e ricevevano i complimenti da Merluzzella per l'ottimo lavoro svolto. In quel mentre, arrivarono anche Genoveffa, Ermenegilda ed Eusebia tutte gongolanti. 54
  • 55. − Ce l'abbiamo fatta. È stato un vero colpo di fortuna – disse Eusebia. − Dicci … – chiese Merluzzella. Genoveffa prese la parola e raccontò. − Suor Emerenziana, la custode delle cantine, come tutte voi ben sapete, ha l'abitudine di assaggiare tutte le qualità di vini messe ad invecchiare nelle botti. Non è raro trovarla addormentata su una sedia per aver, a lungo, “assaggiato” … - continuò Ermenegilda. − È stato un gioco da ragazze riuscire ad entrare in cantina e prendere tre bottiglie del miglior vino rosso -. Concluse Ermenegilda. − Bene … – disse Merluzzella - … io, intanto, ho trovato il modo di farci mettere tutte in punizione sabato mattina, ascoltatemi bene … -. Quel sabato mattina, le sette ragazze la fecero grossa. Fu durante la celebrazione delle lodi mattutine. Nel “Convitto Ecumenico Statale Santa Orsola” si aveva l'abitudine di cantare inni alla fine della funzione. Le ragazze venivano educate al canto liturgico con le rigide regole della polifonia vocale del '500. La voce doveva mantenere un suono angelico e un volume sommesso. Quel giorno dovevano cantare “Nuper rosarium flores, terribilis est locus iste”, un canto gregoriano molto antico. Il giorno precedente, avevano studiato il canto corale nella sala “musica”. Il compito di Merluzzella fu di cambiare il testo con parole poco consone alla funzione religiosa. E fu così che, al momento del canto, mentre tutte le educande del collegio cantavano l'inno studiato il giorno precedente, con voce angelica e a volume contenuto, dal coro si alzarono sette voci gracchianti e urlanti che cantarono l'inno col testo modificato in “Super rosetta florida, orribile locusta isterica” e, per meglio sottolineare la loro disobbedienza, si misero pure a ballare. Tutte le suore corsero a bloccare questa blasfemia e, cinque minuti dopo, le sette ragazze furono condotte alle celle dei sotterranei. Ad ognuna di loro fu affidata una cella nella quale c'erano un tavolo, una sedia, una pagnotta, una bottiglia d'acqua ed un lettino. 55
  • 56. Per espiare il loro peccato, sarebbero rimaste segregate fino alla sera. Merluzzella aveva spiegato ad ognuna di loro il sistema per evadere dalla propria cella. Dopo dieci minuti, ognuna delle sette ragazze era uscita sul retro del collegio. − Avete messo le pagnotte e i cuscini sotto le coperte? - chiese lei. − Si – fu il coro unanime delle fanciulle. − Avete portato le bottiglie? - − Si -. Risposero tutte insieme. Nemmeno durante i canti liturgici, le ragazze erano state capaci di essere così “a tempo” tra di loro. − Bene. Andiamo! - Concluse Merluzzella. Il viaggio verso la casa dei briganti fu silenzioso. Ognuna di loro era assorta nei propri pensieri … tranne Cunegonda che, contrariamente al suo temperamento pavido, canticchiava e si eccitava anche di fronte al più piccolo spettacolo della natura. − Uh! Una farfalla! - disse allegramente. Le rispose Onofria, stanca di tutta quest'allegria immotivata. − Già … una farfalla … non ne avevi mai viste in vita tua? - − Certo che ne ho … - − E allora piantala! … quanto mi dai ai nervi! - Cunegonda tacque, mortificata. Genoveffa s'avvicinò a Onofria e le disse a bassa voce: − Lasciala in pace … questo è il suo modo di affrontare la paura … se la sta facendo addosso - − Ma io … - provò a protestare Onofria. Ermenegilda, che era vicino a loro, disse: − Preferiresti che svenisse di continuo? - − Beh! Certo che no – Rispose Onofria, Merluzzella le interruppe. − Ci siamo, care amiche, ecco la casa dei briganti -. Da quel momento tacquero tutte e s'avvicinarono a quell'edificio così come un condannato a morte s'avvicina al patibolo. Arrivarono e trovarono i sette omoni che le aspettavano all'ingresso. 56
  • 57. A Merluzzella non sfuggì che quegli uomini s'erano lavati (chissà da quanto tempo non lo facevano ), avevano pettinato la barba e i capelli, avevano indossato i vestiti migliori e s'erano profumati con un'essenza che, sulla loro pelle, produceva l'afrore di un potente disinfettante. − Bene, sei stata di parola. Buon per te! - fece Attila. − Certo! Sono una persona seria io ma … lasciate che vi presenti le mie compagne … Genoveffa, Onofria, Ermenegilda, Cunegonda, Eusebia, Gertrude e io che, come sapete, mi chiamo Merluzzella – A quel punto, anche Attila si sentì in dovere di presentare i suoi compari. − E questi sono Alberico, Ermanno, Prosdocimo, Ermenengardo, Norberto, Laerte ed io che sono Attila, il loro capo -. − Ciao Norberto, ciao Prosdocimo, come va? - fece Merluzzella. I due uomini la guardarono in cagnesco. Presero posto a tavola. I briganti avevano disposto le sedie in modo che ogni fanciulla si alternasse ad uno di loro. A capotavola c'era Attila, sulla sua sinistra c'era Merluzzella. A seguire, c'erano Alberico, Cunegonda, Laerte, Onofria, Prosdocimo, Gertrude, Ermanno, Ermenegilda, Ermenengardo, Eusebia, Norberto, Genoveffa e Attila … già! Quanto doveva essere lunga 'sta tavola? In mezzo al tavolo c'era una gallina faraona con contorno di patate. Dopo un primo momento d'imbarazzo da parte di entrambe le fazioni, Attila diede il via al desinare e l'atmosfera si rilassò. Le ragazze aprirono le bottiglie di vino ma rifiutarono di berlo dicendo che avevano fatto un voto di morigeratezza alla madonna per farsi perdonare della burla che avevano fatto per farsi mettere tutte in castigo. Promisero che, la prossima volta, avrebbero bevuto ciò che, per quella volta, avevano dovuto rifiutare. A quel punto, Attila chiese cos'avessero combinato per farsi mettere tutte in castigo. Toccò a Merluzzella raccontare della burla suscitando grasse risate dai briganti e anche dalle sue amiche. A quel punto, Attila si alzò dalla sedia, sollevò il proprio calice e disse: 57