Crisi lavoro psicopatologia mobbing - a cura di Rosalba Gerli
"DAL COLORE AL CUORE" - Processi emozionali in Arte Terapia
1. UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES - BELGIQUE
THESE FINALE EN
ARTS THERAPIES
“Dal Colore al Cuore”
Processi emozionali in Arte Terapia
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Specializzando: Michela Ambrosin
Matr. 2826
2. ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L.
BRUXELLES
MICHELA AMBROSIN – SST IN ARTI TERAPIE - TERZO
ANNO 2012-2013.
Bruxelles, Ottobre 2013
IL VERO VIAGGIO DI SCOPERTA
NON CONSISTE NEL CERCARE NUOVE TERRE
MA NELL’AVERE NUOVI OCCHI.
(M. PROUST)
2
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ANNO 2012-2013.
RINGRAZIAMENTI
A mio marito,
che mi ha aiutato e sostenuto
in questo progetto
nonostante le difficoltà
dandomi la possibilità
di realizzare un sogno
Desidero inoltre ringraziare la Dott.ssa Roberta Frison che ha creduto in me e mi ha sempre
incoraggiato a fare affidamento nelle mie capacità nel perseguire il raggiungimento di questo
diploma.
Vorrei poi esprimere la mia riconoscenza nei confronti di tutte le persone che, in modi diversi,
sono state vicine, in particolar modo a Stefania e a tutti quelli che mi hanno incentivato,
sostenuto, assecondato, stimolato, rimproverato, appoggiato… e ringrazio non solo chi ha
contribuito alla mia formazione e ai miei studi nel campo delle arti terapie ma anche tutti
quelli che, in questi cinque anni, mi hanno saputo dare nuovi occhi per vedere la vita.
A tutte le persone, che nella mia vita, hanno contribuito a rendermi quella che ora sono.
GRAZIE.
Michela
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ANNO 2012-2013.
Indice dei Contenuti
Premessa ……………………………………………………………………………………... 06
Introduzione…………………………………………………………………………… ……. 06
PRIMA PARTE: PREMESSE TEORICHE
1. LE ARTI TERAPIE 10
1.1.Quale funzione hanno e come funzionano le terapie espressive 10
1.1.1 Dalle immagini che curano alle relazioni che curano 10
1.1.2 Il processo creativo come processo di trasformazione 12
1.1.3 Una relazione triadica: fare arte ma non da soli 15
1.2.Arte Terapia e bambini 18
1.2.1. Cos’è la creatività 19
1.2.2. Il gioco come attività creativa, creatività come benessere 20
1.2.3. Le “attività artistiche” come strumento di prevenzione 21
1.2.4. Il disegno infantile, significato ed evoluzione 22
2. LE EMOZIONI 23
2.1.Le emozioni costruisco la mente 23
2.1.1. abbandonare la dicotomia: ragione –emozione 23
2.1.1.1. Come si manifestano le emozioni 24
2.1.1.2. Capacità di giudizio 24
2.1.1.3. Imparare dall’autismo 24
2.2.Colore ed emozione 25
3. UN GRUPPO DI “ABILITA’ MISTE” 27
3.1.L’importanza del gruppo misto 27
3.2.La sindrome di Down e il ritardo mentale 30
SECONDA PARTE: PROJECT WORK
4
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4. IL PROGETTO 34
4.1.Premessa 34
4.2.Titolo 34
4.3.Autori 34
4.4.Contesto 34
4.5.Tipologia del progetto 35
4.6. Tipologia dei destinatari 35
4.7.Finalità e obiettivi 35
4.7.1. Finalità 35
4.7.2. Obiettivi 35
4.8.Organizzazione 36
4.8.1. Metodo di lavoro 36
4.8.2. Spazi 37
4.8.3. Strumenti e materiali 37
4.8.4. Collaborazioni 38
4.8.5. Risorse 38
4.8.6. Tempi e fasi di lavoro 38
4.8.7. Descrizione di ogni singolo laboratorio ipotizzato 39
4.9.Verifica dei risultati attesi 48
5. RELAZIONI INCONTRI 49
5.1.Primo incontro: “SPERIMENTIAMO” 50
5.2.Secondo incontro: “SPERIMENTIAMO-2” 56
5.3.Terzo incontro: “ABBRACCIO DI COLORI” 64
5.4.Quarto incontro: “I PIENI E I VUOTI” 72
5.5.Quinto incontro: “TUTTE LE TONALITA’” 80
5.6.Sesto incontro: “COLORE E MUSICA” 87
5.7.Settimo incontro: “STORIE DI PAURE” 94
5.8.Ottavo incontro: “COLLAGE DI SORRISI” 101
5.9.Nono incontro: “LEADERSHIP” 107
5.10. Decimo incontro “IL MANDALE DELL’AMORE” 113
5.11. Foto dei cartelloni “mostra in progress” 118
5.12. Il “Diario” finale del percorso di “F.” e il Suo gruppo 121
6. RISULTATI DEGLI OBIETTIVI 127
7. CONCLUSIONI FINALI 129
8. BIBLIOGRAFIA 131
9. SITOGRAFIA 132
5
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10. TESI CONSULTATE 133
Premessa
Questa Tesi nasce dalla realizzazione di un Project Work di arte terapia basato sul tema delle
emozioni. Il progetto, che si sviluppa in 15 laboratori espressivi sinestesici, è rivolto ad una
ragazza con sindrome down e il suo gruppo (alcuni compagni di scuola e di classe).
La tesi si articola in due parti: una prima parte teorica che tratta e analizza argomenti come il
significato e la funzione delle arti terapie, il concetto di immagine, emozione, gruppo, ecc. al
fine di comprendere meglio la seconda parte della tesi in cui è esposto tutto il progetto “Dal
colore al Cuore”, con le relazioni di ogni incontro svolto e foto “in progress” dei laboratori per
la mostra finale.
Al termine di questa Tesi il progetto è ancora in fase di completamento, ma i laboratori già
realizzati hanno permesso comunque di esporre in modo esauriente i contenuti trattati, gli
obiettivi ipotizzati, arrivando una riflessione conclusiva sulle attese, anche se il percorso
prosegue.
Introduzione
La scelta di fare questo project work con i bambini, in particolare bambini con diverse abilità,
la scelta del tema “emozioni” e la scelta di fare “arte terapia” di tipo plastico-pittorico
(iconografico) nel contesto scolastico non sono casuali.
Lungo questo percorso di studio ho potuto maturare e capire sempre meglio che cosa sono le
arti terapie e quanta importanza abbia applicare le stesse all’interno del modello Bio-Psico-
Sociale, a differenza di altre scuole di pensiero che basano l’arte terapia su modelli quali lo
psicodinamico, il cognitivo o il fenomenologico, ecc. Tutti questi paradigmi, ognuno con una
sua validità, rimangono però limitati ad una certa “visione” che può essere riduttiva ed in
questo, vengono superati dal paradigma Bio-Psico-Sociale che dà, invece, una visione molto
più estesa e completa, abbracciando una “scelta della complessità” come unica strada
possibile per un approccio il più completo possibile quando ci troviamo di fronte ad uno stato
di “malattia”, sia essa organica o psicologica1
.
Tutte arti terapie, in tutte le loro forme, essendo un approccio recente, iniziato negli anni 40,
che si sta ancora espandendo ed evolvendo verso una forma autonoma per non essere
considerato solamente come una prassi, di sostegno, in alcuni casi palliativa2
, si dovrebbero
porre in questo paradigma.
1
Paride Braibanti, Valentina Strappa, Anna Zunino, "Psicologia sociale e promozione della salute. Volume I: Fondamenti
psicologici e riflessioni critiche", Milano, Franco Angeli (2009).
6
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Secondo l’approccio Bio-Psico-Socio-Culturale pone l’uomo in un’ottica sistemica3
e
multifattoriale (Engel, 1977), cambiando la modalità di visione di chi si prende cura del
“paziente”, o della persona portatrice di una sofferenza, che non può più essere considerata
solamente un “corpo da guarire” da parte di un medico senza tener conto di fattori come lo
stress, la sfera emozionale, senza considerarla nella sua globalità. Come uno psicologo non può
più considerare solo la sfera emozionale e mentale in modo individuale senza tener conto del
conteso e della rete famigliare, scolastica, sociale e culturale in cui vive la persona di cui si sta
prendendo cura.
Le arti terapie già si rivolgono, nel campo delle relazioni di aiuto, ad una larga fascia di utenza:
dal malato oncologico, quindi dalle malattie terminali alle malattie croniche; si rivolgono a
malattie legate all’aspetto corporeo interno ed esterno, come le disabilità acquisite, toccando
tutta la fascia delle disabilità genetiche. Si applica altresì (e nei suoi primordi soprattutto) alla
sfera del disagio psicologico, della malattia psichiatrica ma anche del disagio sociale, nelle
situazioni di dipendenza, di povertà, di integrazione, ecc. Vede la sua applicazione anche nei
disturbi dell’apprendimento quindi nelle scuole ma i luoghi delle arti terapie sono anche le
carceri, oltre che gli ospedali e tutte le altre strutture sanitarie e sociali.
Quindi, già di per sé, le Arti Terapie partono da una base allargata e seguono un’ottica di
molteplicità. Per questo si adattano bene ad essere calate nel paradigma psico-bio-sociale che
vede, anch’esso, la salute in un’ottica di molteplicità nella quale interagiscono fattori biologici,
psicologici, sociali e culturali (Engel, 1977)4
.
Partendo da queste premesse la scelta di applicare le arti terapie ai bambini, ed in particolare ai
bambini diversamente abili, viene di conseguenza, come la scelta della “tematica emozioni”,
visto che, secondo recenti studi, le emozioni “sembrano collocarsi alla base di tutto lo
sviluppo mentale” (Stanley I. Greenspan, 1997).
Se l’essere umano, e la sua condizione di salute dipendono non solo dal suo aspetto biologico o
biochimico, ma da tutta una serie di fattori interdipendenti legati al suo essere sociale e
semantico, diventa palese che una “buona crescita” uno sviluppo ottimale di tutti gli aspetti
interni ed esterni “dell’individuo bambino” possa predisporre le basi per un adulto “sano”5
in
grado di affrontare al meglio, avendone ricevuto gli strumenti, le eventuali sofferenze che
possono emergere nel corso della vita senza che queste vadano ad intaccare una resilienza di
fondo, scompensando la persona sino alla malattia o impedendogli di reagire alla stessa.
Le arti terapie “curano” ma, soprattutto, danno la possibilità a chi le pratica di iniziare un
processo di trasformazione, che ha dei tempi diversi per ognuno. Nelle sue varie metodologie
le arti terapie hanno la capacità di attivare molteplici canali: cognitivi, senso motori, emotivi,
2
Le Arti Terapie “non richiedono di essere integrate o "completate" da altre forme di terapia, perché rispetto a queste
stimolano un diverso percorso cognitivo ed esperienziale, in grado di condurre in modo autonomo a esiti terapeutici” quindi
“ne deriva percorso diagnostico e terapeutico che non ha uguali in altre forme di terapia, e che possiede quindi uno statuto
completamente autonomo” (Marco Alessandrini, Psychomedia.it, 27 marzo 2008).
3
Il modello di tipo sistemico fa riferimento alla “teoria generale dei sistemi” la quale si fonda sulla sostanziale
consapevolezza dell’interdipendenza tra tutti i fenomeni: fisici, biologici, psicologici sociali e culturali.
4
Paride Braibanti, Valentina Strappa, Anna Zunino, “Psicologica sociale e promozione della salute”, Milano, Franco Angeli,
(2009).
5
Con la parola “sano” si intende qui non l’assenza di malattia (fisica o psicologica) perché l’essere umano cresce e prospera
in un ambiente dove non ci saranno mai le condizioni ottimali per evitare preoccupazioni o difficoltà e vive una “fisicità”
che non si può slegare da una certa dose di “dolore”, vista com’è strutturato biologicamente il nostro corpo.
7
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logico-riflessivi, ecc.6
per questo sarebbe importantissimo inserire attività di arti terapie già nel
periodo dell’infanzia accompagnando le stesse lungo tutto il percorso di sviluppo. Lo stesso
accompagnamento psicologico, inserito nelle scuole, il monitoraggio della salute psichica già
dalla prima infanzia sono prassi che dovrebbero affermasi sempre maggiormente nella nostra
società per poter puntare sia ad una prevenzione del disagio e della malattia, sia per uno
sviluppo sano ed equilibrato dell’individuo. I benefici dell’inserimento di attività arti
terapeutiche, associate o meno ad altri interventi di prevenzione, nei percorsi di formazione dei
bambini produrrebbero benefici ben più profondi e a lungo termine, rispetto ad un intervento su
un impianto patologico già formato e cristallizzato di un soggetto adulto. Non è difficile capire,
che tutta la prevenzione nella salute, dovrebbe abbracciare una visione psico-bio-socio-
culturale nell’ottica della prevenzione.
Le Arti terapie sono un ottimo mezzo sia di aiuto nel “qui ed ora” che di prevenzione, perché
applicano una diversa modalità di intervento sull’individuo, utilizzando il canale delle
immagini, quindi un linguaggio non verbale. Per questo sono ottime per lavorare con ragazzi
diversamente abili, nei quali la sfera del linguaggio verbale e la capacità di esprimersi con i
normali mezzi di comunicazione usati dai loro pari è deficitaria o assente. Di importanza
fondamentale è l’arte terapia verso il mondo delle diverse abilità nell’infanzia per dare modo al
ragazzo di sviluppare tutte quelle potenzialità esistenti e alternative ad una visione di
“normalità” che permea le persone di pregiudizi nei confronti della diversità che vede questi
soggetti ancora come “mancanti” di qualcosa e quindi emarginati perché inadatti agli standard
richiesti del “vivere per produrre” come se l’esistenza di una persona dipendesse solo dalla sua
utilità e dalla sua forza lavoro.
Si può concludere la presente introduzione sulle motivazioni di questa tesi esplicitando la scelta
della tematica delle emozioni, già anticipata con l’affermazione che le emozioni sono alla base
dello sviluppo mentale e cognitivo dell’individuo.
Certamente non è stato scelto il tema delle “emozioni” perché trattandosi di un argomento di
“ampio respiro” risulta di facile inserimento in diversi contesti arte-terapici.
Quasi tutti i laboratori di arti terapie si basano sul tema delle emozioni, spinta che nasce
dall’esigenza di dare un’alternativa ad una logica che mette ancora in primo piano l’aspetto
razionale della persona che non trova, di conseguenza, nella scuola, nel lavoro e in genere nelle
attività sociali il giusto spazio dove esprimere anche la parte creativa e meno razionale. Spinta
che nasce anche dal tipo di attività che viene praticata: in un’attività creativa l’abbinamento
con la tematica “emozione” sembra essere imprescindibile. Il binomio arte ed emozioni spinge
molto a praticare le arti terapie lavorando, appunto, sulle emozioni senza, spesso, approfondire
l’importanza fondamentale di queste nello sviluppo del cervello, non come componente
secondaria ma fondamentale per un buono funzionamento e sviluppo cognitivo. “Sono, infatti,
le emozioni, e non la stimolazione cognitiva, a determinare l’architettura della mente” (Stanley
I. Greenspan, 1997).
Che poi, in ogni pratica di arti terapie vengano sviluppati i più disparati argomenti, che
possono andare dalla produzione libera di immagini, al tema dell’amore, della vita,
dell’autoritratto, dei colori, delle paure, ecc. alla base rimane l’espressione delle emozioni.
Basti pensare a come, in disturbi come l’autismo la mancanza di poter comprendere ed
6
Argomento che verrà sviluppato nel Cap. 1quando si andrà ad esprimere i concetti di base delle arti terapie, attraverso un
“review” dei concetti base di diversi libri.
8
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esprimere le emozioni possa rendere impossibile una vita “normale” ostacolando sia l’uso del
linguaggio che tutta l’interazione sociale7
.
Vista quindi, non solo l’importanza ma la basilarità delle emozioni nella costruzione della
persona, vista l’importanza di agire con una modalità preventiva e di lavorare abbracciando
tutta la complessità della parola “salute” questa tesi non poteva che svilupparsi attraverso
queste importanti tematiche e trovare il suo “luogo” naturale in una struttura scolastica
piattaforma di lancio, sempre più spesso trascurata, da dove partono le radici per una società
civile e spiccano il volo verso il mondo adulto i futuri componenti della stessa.
7
Argomento che verrà sviluppato nel Cap. 2 andando a riassumere il pensiero di Stanley I. Greenspan espresso nel suo libro
“L’intelligenza del cuore” (2007).
9
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PRIMA PARTE: PREMESSE TEORICHE
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1. LE ARTI TERAPIE
L’arte non riproduce ciò che è visibile,
ma rende visibile ciò che non sempre lo è.
(P.Klee)
1.1. Quale funzione hanno e come funzionano le terapie espressive?
In che cosa consistono le arti terapie? Ma soprattutto come funzionano?
Il fatto che le arti terapie consistano nell’utilizzare un’attività artistica (che può essere arte
plastico-pittorica, attività musicale o teatrale, ecc.) in un setting individuale o di gruppo è
palese e non ha bisogno di ulteriori chiarimenti, salvo si voglia approfondire in cosa consiste
ogni tipo di disciplina, cioè spiegare cosa si fa in arte terapia o in musicoterapia (metodologie e
strumenti).
Che questa attività artistica diventi uno “strumento” o “mezzo” di comunicazione alternativo
alla comunicazione verbale è altresì chiaro se pensiamo che certi contenuti mentali sono di
difficile espressione verbale e che, ad esempio in un disegno possano uscire elementi che
difficilmente una persona esprimerebbe a “parole”.
Ma quando si inizia a dire che il risultato dell’attività e quindi l’opera creata, in senso ampio, è
definita un “oggetto transazionale” (Winnicott, 1971) tra il cliente e l’operatore, all’interno di
una relazione triadica, capace di mettere in contatto il mondo interno del cliente con il mondo
esterno i significati cominciano ad oscurarsi se mancano delle basi si conoscenza non ci si
spiega il modo in cui questo accade, cioè in che modo l’immagine diventa “curativa”?
Perché usare le immagini invece delle parole sembra così importante e sembra ottenere
benefici, in molte aree dove la comunicazione “normalmente” usata non ottiene?
Perché è così importante “fare arte” all’interno di una relazione triadica o di un gruppo?
E cosa s’intende quando si parla di “processo creativo” per spiegare l’effetto trasformativo che
avviene nella persona che sta creando all’interno di un’attività artistica?
Per capire meglio che cosa sono e come funzionano le arti terapie si devono indagare e cercare
di capire concetti come “oggetto tradizionale”, “processo creativo”, “relazione triadica” e
soprattutto sapere, quando si parla di immagini di che cosa si sta parlando soprattutto per chi
voglia, all’interno delle arti terapie, intraprendere “l’arte terapia” cioè quella strettamente legata
all’attività artistica plastico-pittorica, iconografica, argomento di questa tesi.
1.1.1. Dalle immagini che curano alle relazioni che curano
Alcuni concetti di G. Sacco, esposti nel libro, Artiterapie, tra clinica e ricerca, (M. Cavallo,
2004) chiariscono che, quando parliamo di “immagini”, possiamo riferirci a due tipi di
immagini quelle che recepiamo dal mondo esterno attraverso il senso della vista e quelle che
costruiamo all’interno del nostro pensiero. Queste ultime vengono definite come
“immaginazione” che è la nostra capacità di fa riaffiorare nella mente, come in un film,
frammenti di ricordi che possono consistere in dialoghi o in situazioni, ambienti, immagini di
ricordi che possono esser modificati, all’interno dei nostri pensieri sino ad arrivare a cambiarli
totalmente, basta pensare a quelli che si chiamano “sogni ad occhi aperti”, costruzioni mentali
di situazioni del tutto o in parte distaccati da eventi reali cioè un rimodellamento dei ricordi in
forme nuove, diverse ed anche più complesse.
11
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Per capire l’importanza che possono avere le immagini in arte terapia bisogna avere presente
l’importanza fondamentale che essere hanno nel “costruire la nostra mente”, si ricordi che Jung
affermava che “ogni accadimento psichico è un’immagine o un immaginare” e che molti altri
studi hanno evidenziato come il nostro pensiero “funziona per immagini”. Per questo motivo è
utile spendere un po’ del nostro tempo, e un paragrafo di questa tesi per capire meglio come le
immagini abbiano un potere “curativo” se utilizzate in terapia e come possa essere importante
una terapia che si basa esclusivamente sul “linguaggio delle immagini” come l’arte terapia.
Concetti come il “processo creativo”, il “processo terziario”, lo “spazio transazionale”, ecc. che
si sentono usare spesso quando si parla di arti terapie posso essere compresi meglio se si
capisce la funzione e l’importanza delle immagini come “strutturanti dell’individuo”8
perché
“attraverso la funzione immaginativa, la psiche produce e plasma se stessa”.9
Si possono distinguere le immagini in quattro tipologie principali (Richardson 1969, 1983):
- Immagini persistenti
- Immagini eidetiche
- Immagini mnestiche
- Dell’immaginazione
Si parla di immagini persistenti per identificare quelle immagini che vengono impresse nella
retina e vi rimangono anche dopo che è stato distolto lo sguardo, come per un rumore o un
profumo che si possono continuare a sentire anche dopo che è venuto meno lo stimolo
sensoriale.
Si parla di immagini eidetiche riferendosi alle immagini della “memoria fotografica”, cioè
quella capacità di vedere, facendo riaffiorare nella mente, immagini identiche a quelle viste
nell’esperienza visiva originale. Sono un tipo di immagini che possono essere richiamate alla
mente anche durante terapie che prevedono la tecnica dell’”Immaginazione attiva” (Jung,
1935).
Si parla di immagini mnesiche riferendosi alle immagini del pensiero comune, quella che ci
accompagna tutti i giorni quando ricordiamo o stiamo processando un’azione presente o stiamo
pensando ad un’azione da intraprendere.
Le immagini dell’immaginazione sono immagini molto forti che possono addirittura abbassare
il livello di consapevolezza, e l’attenzione dalla realtà esterna, del soggetto creando anche un
rilassamento corporeo. Il contenuto di queste esperienze di immaginazione può essere
emotivamente molto forte fino ad attivare canali sensoriali sinestesici.
Bisogna sempre tener presente che ogni individuo ha un’esperienza immaginativa diversa e
personale, il contenuto delle immagini può essere più o meno vivo e preciso, il coinvolgimento
può essere più o meno intenso, le immagini stesse possono contenere delle distorsioni o dei
deficit percettivi, cognitivi (M. Cavallo, 2007).
Esistono diverse teorie che hanno cercato di comprendere come il nostro sistema cognitivo,
utilizzi anche le immagini, ed in base ad ognuna di queste teorie si sono sviluppate correnti di
pensiero che hanno portato a diverse esperienze e metodi per utilizzare questa capacità
immaginativa a favore dell’individuo. Meritano di essere citati gli studi cognitivisti
(comportamentali) che hanno dimostrato come le immagini (mentali) possano modificare il
8
Claudio Widmann, “Immagini che curano”, http://www.claudiowidmann.it (Aprile, 2013).
9
Claudio Widmann “La dinamica delle immagini”, http://www.claudiowidmann.it (Aprile, 2013).
12
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comportamento, ad esempio come negli ansiosi il crearsi “film mentali catastrofici” di quello
che potrà succedergli, quindi crearsi, continuamente, nella mente immagini negative possa
influenzare ed aumentare i livelli di ansia o di depressione e come invece, la sostituzione delle
immagini mentali “negative” con immagini “positive” possa portare ad un miglioramento sia
dello stato psicologico che ad una modifica del comportamento. Rimanendo fuori dal campo
del disagio psicologico, anche solo un atleta mentre si presta a compiere un esercizio, se prima
dell’azione questi “la visualizza” riesce ad ottenere un’esecuzione migliore della stessa, detta
mental training (C. Widmann, 2004)
Quindi l’immagine ha capacità curative perché è in grado di “suscitare emozioni e condizioni
fisiche che ad essa corrispondono”10
.
“Ricerche di Tilde G. Gallino sulla costruzione dell’identità nell’infanzia hanno evidenziato il
ruolo dell’immaginazione attraverso il gioco di finzione” e come “la fantasia è un agente
plasmante dell’identità”.11
Si entra così anche nel campo dell’infanzia del mondo delle fantasie
infantili e quindi “nel processo primario” perché le immagini fanno parte di questo. Dei
processi primario, secondario e terziario si accennerà nel paragrafo dove si cercherà di spiegare
il processo creativo, alla luce anche del codice multiplo (Arieti, 1990).
Importante qui sottolineare che le immagini fanno parte del processo primario, appartengono
quindi al regno dell’infanzia, del sogno, della fantasia, questi “spazi mentali” bisogna ricordare
che sono anche “spazi transazionali”. Il gioco, nel bambino, è uno “spazio transazionale” come
l’immagine con i suoi contenuti è in arte terapia un “oggetto transazionale”.
L’opera creata all’interno di un setting di arte terapia si configura come oggetto transazionale
perché è un’immagine che percepiamo staccata da noi, la possiamo osservare, ci possiamo
riflettere, può essere vista anche dagli altri, fa parte a tutti gli effetti del mondo “fuori di noi”,
ma fa anche parte del nostro mondo interno, in essa si esprime e si visualizza la nostra realtà
interna, un parte intima di noi. L’immagine assume quasi la forma di un ponte, un
collegamento tra ciò che è dentro di noi, tra il nostro inconscio, e ciò che sta fuori di noi, il
mondo conscio.
1.1.2. Il processo creativo come processo di trasformazione
Per parlare di processo creativo, bisogno parlare di creatività e partendo da questa,
considerandola un fenomeno che deriva dall’inconscio, si rende necessario fare una breve
premessa su che cos’è l’inconscio in relazione alla creatività C. Widmann scrive:
L’inconscio è quella porzione della personalità totale che non è assoggettata ai
processi di adattamento alla realtà (Io), né alle norme e alle costrizioni sociali (Super-
io). Ciò rende ragione del fatto che la fantasia, il cui ruolo nell’atto creativo abbiamo
visto centrale, goda di un particolare statuto di libertà. Essa, in effetti, è attività di
pensiero sottratta al principio di realtà e quindi ispirata essenzialmente al principio del
piacere o, più genericamente, alla logica dell’inconscio. Di qui l’intenso godimento che
accompagna l’esperienza creatrice, ma anche il carattere sovversivo dell’atto creativo
e, al suo estremo, il temperamento asociale, irriverente o anarchico delle personalità
dominate dalla funzione creatrice. Il gioco dei bambini è espressione pressoché pura
10
Claudio Widmann “Radici antropologiche delle terapie immaginative”, http://www.claudiowidmann.it.
11
Claudio Widmann, “Immagini che curano”, http://www.claudiowidmann.it.
13
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della “fantasia al potere”, ma anche nell’adulto sopravvive una certa parte di pensiero
esentato dal principio di realtà, ad esempio nei sogni ad occhi aperti o, appunto, nel
pensiero creativo. Diremo meglio che la creatività è intermedia fra realtà e fantasia e
che non è unicamente inconscia e anarchica rispetto alla realtà. Tra l’altro, ciò sarà un
criterio per discriminare fra creatività e patologia”12
.
La creatività ed il pensiero creativo attingono quindi dai livelli più inconsci del nostro essere e
arriva anche da quelli più arcaici e remoti, accostandosi ai miti dai popoli antichi e primitivi
esso è più figurativo che verbale, infatti, questo tipo di pensiero si esprime attraverso “il
simbolo”.13
Per questo l’immagine, il suo simbolo e, in senso più esteso, il pensiero creativo fa parte del
processo primario, e la funzione creativa si colloca tra il “processo primario” e il “processo
secondario”. Ma che cos’è il processo primario? Ce lo spiega il Dr. P. Migone (2007) in un suo
articolo in cui tratta l’argomento partendo dalla definizione della teoria dei due codici di Freud
per arrivare alla definizione del codice multiplo di W. Bucci:
Freud suddivide i processi mentali del pensiero in due tipi:
- Il processo primario
Viene chiamato “primario” perché viene prima, durante l’infanzia, rispetto al secondario che
arriva dopo, nell’età adulta. Caratterizza il funzionamento del bambino ma lo ritroviamo anche
nel funzionamento dei sogni, del nevrotico, dell’uomo primitivo. Ha come caratteristiche
principali l’assenza di logica, la mancanza del principio di contraddizione e del principio di
tempo, e la presenza del concetto di condensazione (per cui, ad esempio in un sogno, una
persona può essere contemporaneamente due persone diverse assieme.)
- Il processo secondario
Caratterizza l’età adulta ed è caratterizzato dalla logica che si contrappone al principio di
contraddizione e di condensazione, in esso ritroviamo il senso del tempo e della realtà.
Il bambino mentre cresce abbandona progressivamente il pensiero primario per sostituirlo con
quello secondario.
Questa teoria dei due codici viene superata da Wilma Bucci che aggiunge un terzo codice,
asserendo che comunque i codici non sarebbero solo tre, infatti, la sua viene chiamata la “teoria
del codice multiplo”14
dalla quale Arieti arriva a definire la sua teoria della “sintesi magica” per
definire la creatività ed il pensiero creativo.
Nella Teoria della “sintesi magica” (Arieti, 1990) Arieti ipotizza che il pensiero creativo sia una
sintesi tra il processo primario e quello secondario, arrivando quindi ad un “processo terziario”,
12
Claudio Widmann”L’esperienza creativa”, http://www.claudiowidmann.it.
13
Il simbolo è una parola o un’immagine che implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio ed immediato. Esso
possiede un aspetto più ampio ed “inconscio” che non è mai definito con precisione o compiutamente [..], pag. 5, Carl G.
Jung, “L’uomo e i suoi simboli”, Bergamo, TEA (2011).
14
Paolo Migone, “Riflessioni sulla teoria del codice multiplo di Wilma Bucci”, Il Ruolo Terapeutico, 2007, 106: 95-102,
www.psychomedia.it.
14
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sulla linea teorica di W. Bucci che ipotizzava un terzo processo come referenziale, cioè che
connetteva il primo con il secondo.
In questa sintesi magica (o processo terziario) l’artista, e comunque la persona che “crea”,
riesce a “ritornare nel processo primario” cioè in una dimensione infantile, di sogno, di gioco
senza per questo perdere il contatto con il processo secondario, cioè riuscendo a mantenere il
senso della realtà, come invece succede in alcune regressioni al processo primario in soggetti
psicotici che rimangono però “imbrigliati” in questo stato senza riuscire più ad emergerne.
Arieti ipotizzava che esistono due tipi di creatività quella straordinaria, delle grandi menti che
scoprono nuovi paradigmi contribuendo al progresso di tutta l’umanità e quella “ordinaria”,
quella che serve all’uomo per risolvere i problemi di tutti i giorni e che consente di migliorare
la propria vita.
E’ a questa che guardano le arti terapie, ed in generale tutte le relazioni di aiuto, dalla
psicoterapia al counselling, le quali si propongono di attivare un processo di trasformazione
nell’individuo che gli consente di trovare nuove soluzioni, diverse e migliori rispetto a quelle
che vive e che gli creano disagio.
Dove e quando un processo creativo diventa anche trasformativo?
Quando si parla di processo creativo in arte terapia ci si riferisce in specifico all’atto di
realizzare un’opera non tanto per l’importanza del prodotto finale che ne risulterà ma per la
mobilitazione di risorse interne che il “fare” ed il “creare” comporta.
Durante la creazione di un’opera, che si vada dal semplice collage ad un lavoro più
complesso, non emerge solo il “piacere” del fare, non si attiva solo l’autostima del creare
qualcosa, si attivano tutta una serie di canali sinestesici, da quelli cognitivi a quelli affettivi,
da quelli senso-motori a quelli logico-riflessivi.
Il fare creativo diventa un processo in cui vi è un’intensificazione della coscienza, della
meditazione e della concentrazione, si attiva in esso un processo conoscitivo, in cui si entra
in contatto con una parte profonda del proprio Sé (M. Caterina Boria Migliorini, 2006)
Mentre si crea in un ambiente (setting) che si configura come “base sicura”, non giudicante
e facilitante, si ha la possibilità di sperimentare sensazioni e nuovi strumenti attraverso
colori e forme che diventano metafora della sperimentazione di nuovi atteggiamenti nei
confronti di sé stessi e della vita.
Durante il processo creativo si muovono in noi vissuti profondi, non verbalizzati, a volte
dolorosi che solo attraverso l’opera creata riescono a prendere una forma definita che può
essere elaborata all’interno della relazione terapeutica dato che un’immagine concretizzata
può essere vista e condivisa ma non necessariamente interpretata anche se sembra assumere
una qualità di “specchio” perché chi “crea” lo fa utilizzando le stesse modalità con le quali
“crea” e realizza la propria vita. “La creazione artistica, al pari del gioco, si muove
nell’area intermedia tra realtà e modo interiore e ha una funzione terapeutica nella misura
in cui non riempie quest’area con dei significati, dei contenuti precostituiti di provenienza
sia interna che esterna, ma organizza essa stessa il suo significato attraverso l’uso
consapevole dei mezzi espressivi artistici”.15
15
Maria Caterina, Boria Migliorini, “Arte-terapia e psicodramma classico. I metodi attivi nel trattamento dei disturbi del
comportamento alimentare”, Milano, Vita e Pensiero, (2006).
15
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Un processo creativo, quindi, può diventare anche processo trasformativo, assumendo un
aspetto terapeutico, ma perché questo avvenga deve svolgersi all’interno di un setting di arte
terapia.
1.1.3. Una relazione triadica: fare arte ma non da soli.
Molti pensando all’arte terapia sono indotti a credere, come spesso viene detto dagli stessi
operatori di questa disciplina, che l’arte e di per sé terapeutica. Quindi, ci si immagina
erroneamente che fare arte sia una terapia. Che improvvisarsi artisti, rimanendo nello specifico
delle arti plastico pittoriche o iconiche, possa in qualche modo “curare” o migliorare la propria
condizione patologica. In parte si potrebbe confermare questa affermazione ma ci
inganneremmo se pensassimo che “fare attività artistica” sia curativo e terapeutico.
Demonizzando il mito “dell’arte che cura”, bisogna indirizzarsi verso il concetto “dell’arte
come cura” perché le attività creative producono uno stato di benessere ma si tratta di uno stato
passeggero e, in alcuni individui, non c’è nemmeno perché il fare attività artistiche, per taluni,
crea ansie e paure.
1.1.3.1. Arte
L’artista comunica attraverso la sua opera d’arte, comunica le sue emozioni e quindi nell’opera
esso riversa anche i suoi disagi, ma non per questo la sua opera diventa, necessariamente,
terapeutica per l’artista.
Sicuramente l’impulso a produrre immagini e a lasciare la “propria impronta” è nato con
l’uomo come se fosse una necessità primaria. La produzione di immagini e la produzione
artistica fa parte della storia dell’uomo sin dalle epoche più primitive come se l’arte fosse il
primo e principale mezzo dell’uomo per comunicare. Significato che si è mantenuto nella storia
della produzione artistica sino ad oggi, cioè una visione del “fare arte” come un mezzo per
comunicare con gli altri, per esternare emozioni profonde portando fuori la parte più interna di
sé, rendendola manifesta attraverso l’opera d’arte. Ma questo “dialogo” non necessariamente
prevedere un interlocutore, l’artista dialoga anche solo con la sua opera e con sé stesso e il fine
principale della comune opera artistica rimane quello del “pubblico”, un’opera è fatta per
essere vista, esposta, guardata, acquistata. Quindi deve rimanere ben distinto il “fare arte” nella
come produzione artistica di autori che non esprimono, o non hanno, nella loro vita disagi
particolari e sono nel complesso persone equilibrate, dal “fare arte” di soggetti che invece
hanno problematiche psicologiche ed emotive.
1.1.3.2. Arte e follia?
Pongo l’accento su questo punto, perché si sono scritti tantissimi libri sull’arte e la malattia
(psichica soprattutto) a partire dall’art brut ci si è sempre chiesto se le opere sono originate
dalla malattia, espressione della stessa e se non ci fosse questa non verrebbe creata nemmeno
l’opera. In alcuni casi questo può essere vero. Chi sta male in qualche modo deve “buttare
fuori” il malessere per non esserne sopraffatto. Ma non per questo otteniamo la formula
matematica arte = terapia.
Quindi potremmo affermare che “il talento, piuttosto che la malattia, determina l’arte” questa
frase di J. Feilacher, vuole avvalorare l’idea che non è la malattia a produrre “capolavori” o fa
uscire “l’artista” perché questo, in realtà, esiste già. Questa tesi deriva dal fatto verificato che in
pazienti psichiatrici la produzione artistica si attiva ed è migliore nei periodi di benessere che
non nelle fasi di sofferenza acuta “Senza escludere che una psicosi, producendo uno stato
16
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alterato della mente e dei pensieri, possa produrre un lavoro più interessante rispetto ad
un’opera realizzata in condizioni normali” (A. Narni, 2006).16
1.1.3.3. Arte e terapia
Cosa significa questo? Che “fare arte”, nel senso classico, può avere effetti positivi, per chi è
predisposto ed ha in sé delle potenzialità che lo possono favorire in questo senso ma per
divenire effettivamente terapeutica l’arte ha bisogno di una “relazione”, non va fatta da soli,
non basta la relazione diadica tra la persona e la sua opera perché l’elemento terapeutico sta
proprio nella relazione triadica dell’arte terapia: paziente – opera – terapeuta.
Grafico 1 Schema “triangolo triadico” in arte terapia
“Perché si possa parlare di arte-terapia nessuna delle tre direttrici della relazione può
mancare o fare a meno dell'altra, e ognuna riceve spessore dalle altre due, riflettendosi in una
più complessa dinamica transferale-controtransferale”.17
Quindi nell’arte terapia l’arte diventa terapeutica all’interno di una relazione in cui l’arte
terapeuta, essendo un esperto dei linguaggi artistici, oltre che un esperto nel campo delle
relazioni d’aiuto, ha la capacità di orientare il cliente attraverso i vari mezzi e strumenti artistici
e accompagnarlo verso un processo trasformativo, all’interno di un dialogo non solo parlato
che ha come medium il prodotto artistico.
Ciò che viene creato acquisisce importanza, sia nel momento in cui lo si realizza,
(individualmente all’interno di un setting che consenta il fare arte senza ansie, timori,
consapevoli che non è il risultato che conta ma il processo creativo) sia in funzione della
relazione e della “restituzione” con il terapeuta o con il gruppo.
Nel setting di arte terapia si sviluppano, dunque, tre tipologie di comunicazione:
“Espressivo-creativa (Grafico2.a) Presuppone un tipo di comunicazione intra-psichica
16
Alcuni tratti di questo paragrafo sono tratti, con libera interpretazione, dal libro: A. Nardi, “L'identità imprigionata.
Tra patologie e atti creativi”, Trento, Editrice UNI Service, (2006).
17
Carla Maria Carlevaris, “Esperienza estetica, esperienza artistica e processo terapeutico nell'arte-terapia”, (PM, 11
giugno 1999) www.Psychomedia.it di Carla Maria Carlevaris.
17
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Che riguardailpazienteelasuaimmagine.Èprevalentementenonverbale,tuttaviasiailpazientecheil
terapeuta possono usare il linguaggio verbale per suggerimenti sul materiale artistico da usare o per
propostecreative.Ilruolodell'arteterapeutaèditestimoneefacilitatoredelprocesso.
Simbolico - cognitiva (Grafico2.b) Presuppone un tipo di comunicazione simbolico -
interattiva che riguarda la comunicazione tra paziente e terapeuta attraverso l'immagine e in
presenza di entrambi. E' un intreccio di momenti verbali e non-verbali. L'immagine
simbolo del mondo interno del paziente stimola una riflessione verbale che a sua volta
può stimolare altre immagini. Il ruolo dell'arte terapeuta è quello di un alleato terapeutico, egli
stabilisceuncontattocolpazientetramitel'immaginecreataelavoranoinsiemesulmaterialeespresso,il
paziente si sente così capito e, attraverso il processo di autovalutazione, capisce meglio sé stesso e può,
perciò,attuarecambiamentidistatod'animo,diatteggiamentiedicomportamento.
Interattivo - analitica (Grafico2.c) Presuppone un tipo di comunicazione inter-personale che
riguarda la comunicazione diretta tra paziente e terapeuta ed è prevalentemente verbale. Può essere
specifica quando include l'immagine) o a-specifica (quando è simile alla comunicazione verbale
neitradizionalisettingbi-polare.)
Questetredimensionipossonoesseretutteattivabilinelsettingmanontuttenellostessomomento.Sipuò
passare a momenti in cui il paziente è concentrato sul suo lavoro con una minima interazione col
terapeuta o col gruppo, a momenti in cui il rapporto paziente-terapeuta diventa prioritario. La
comunicazione, quindi, si muove lungo un continuum che va da una dimensione comunicativa ad
un‟altra, il paziente, dovrebbe essere in grado di passare da una dimensione all'altra in modo
fluido. Ci sono, tuttavia, individui che vorrebbero solo lavorare coi materiali artistici, altri che
vorrebbero solo parlare; le prime si direzionano, quindi, verso lo spazio perché temono
il rapporto personale mentre le seconde si direzionano verso le persone perché temono
lo spazio.
Il momento in cui l‟uso delle tre dimensioni avviene in modo spontaneo, senza nessun
disagio,puòessereconsideratounnotevoleprogresso”.18
Grafico 2 Le tre dimensioni comunicative: (a) Espressivo-creativa, (b) Simbolico-cognitiva, (c)
Interattivo-analitica.19
Il processo creativo è un elemento certamente in comune con l’attività esclusivamente artistica,
ma è all’interno della relazione triadica di un setting di arte terapia che questo può diventare un
processo terapeutico, trasformativo.
18
Antea Mazzoni, Tesi “L’evoluzione dell’arte. Da necessità biologica a terapia”, Accademia Belle Arti Firenze, Firenze,
(2010/2011).
19
Ibidem.
18
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Un bambino creativo è un bambino felice.
(B. Munari)
1.2. Arteterapia e bambini
A titolo esplicativo vengono di seguito riportati alcuni dati OMS riferiti all’aumento delle
situazioni di disagio sia infantile che adolescenziale, con evidente aumento di patologie di tipo
psicologico, in età sempre più precoce:
“Le proiezioni dell´Organizzazione mondiale della sanità per il 2020 sono
preoccupanti: il carico di disabilità legato ai disturbi mentali nei giovani è destinato ad
aumentare. La depressione, in particolare, potrebbe diventare la seconda causa di
disabilità fra tutte le condizioni morbose. Sempre secondo l´Oms, oltre il 20% dei
soggetti in età evolutiva soffrirebbe di una qualche forma di disturbo mentale, il
suicidio la terza causa di morte in età adolescenziale; parallelamente si assisterebbe a
un grande aumento dei disturbi della condotta correlati a situazioni come dipendenza
da sostanze, problemi relazionali, malattie, povertà. Ancora, l´Organizzazione (i dati
sono riportati anche dall´ottavo rapporto di Telefono Azzurro e Eurispes sulla
condizione dell´infanzia e dell´adolescenza) ha evidenziato che ben 5 patologie
psichiatriche sono tra le prime 30 cause di mortalità prematura e di disabilità nel
mondo [..]. Secondo altri studi riportati nel rapporto Eurispes - Telefono Azzurro di
fine 2007, il rischio di sviluppare un problema psichiatrico secondario è molto elevato
tra i minori con disabilità persistenti (fino all´80%). Studi recenti hanno evidenziato
che molti disturbi mentali dell´età adulta sono preceduti da disturbi dell´età evolutiva-
adolescenziale: oscilla tra il 30 e il 70% la percentuale di coloro che, manifestando un
disturbo psichiatrico da adulti, ha già avuto un problema neuropsichiatrico in età
evolutiva”[..].20
Di fronte a dati di questo tipo, sembra rendersi sempre più necessaria una corretta politica di
prevenzione che parte della società, a partire dalle famiglie sino alle scuole, con particolare
attenzione allo sviluppo psico-fisico e alla corporeità, attraverso attività che non siano solo di
sostegno a problematiche già emerse, ma che vadano a lavorare anche sul bambino che non ha
ancora sviluppato scompensi e problematiche se non quelle relative al normale corso dello
sviluppo e della sua crescita.
Come accennato nell’introduzione, le arti terapie sono un’attività che si adatta bene come
“accompagnamento alla crescita”, soprattutto l’arte terapia praticata con metodologia di
gruppo.
Lavorare sulla “prevenzione” del disagio, sulla formazione dell’individuo, prima che si
manifestino eventuali situazioni di sofferenza è sicuramente più proficuo che lavorare su
soggetti adulti con patologie e disagi già conclamati e radicati.
Per il bambino le attività artistiche sono assimilabili ad un gioco, se parliamo di attività non
20
Inchiesta: “Disturbi psichiatrici in età evolutiva, l´Oms: destinati ad aumentare”, http://www.superabile.it/ (2008).
19
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finalizzata all’educazione artistica, ma alla libera espressione della propria creatività, il
bambino. Vi è quindi una forte predisposizione di base che consente di iniziare a fare arte
terapia anche con bimbi molto piccoli.
Nel fare attività creative all’interno di un gruppo, in un setting di arte terapia (quindi in uno
spazio protetto e regolato appositamente per questo tipo di esperienza) il bambino impara a
modulare il suo complesso mondo di emozioni, strutturando in modo adeguato il suo rapporto
con il mondo, le sue relazioni con gli altri. Questo tipo di attività si adatta bene ad una
prevenzione o eventuale possibilità di curare sul nascere difficoltà emozionali e
comportamentali del bambino.
1.2.1. Cos’è la creatività
La creatività, nella sua definizione più semplice ed immediata, e maggiormente condivisa,
come già accennato parlando della “sintesi magica” di Arieti, è la capacità di una persona di
realizzare qualcosa di nuovo (idee, prodotti originali, non derivati da nessun altro noto) che va
ad apportare un beneficio attraverso la soluzione di un problema o la soddisfazione di un
bisogno. Il tutto attraverso un processo personale, che vede l’esprimersi creativo appartenere ad
una dimensione individuale per poi essere di “beneficio” alla dimensione collettiva.
Quindi la spiegazione della creatività va ricercata nell’uomo, nel singolo, e in particolare, con
l’avvento delle neuroscienze nel funzionamento del cervello, anche se le basi della creatività, a
livello neuropsicologico, nonostante tutti i progressi nel campo dello studio del funzionamento
del nostro cervello, non sono ancora state scoperte.
“Accettando l'idea che la creatività consista essenzialmente nel produrre nuove
combinazioni di elementi che siano utili, Mednick ha sostenuto che la base del processo
di rielaborazioni non poteva che essere l'insieme degli elementi suscettibili di
associazioni registrati nel cervello. Tali elementi sarebbero registrati in forma discreta,
come memoria di impressioni, stimolazioni, informazioni apprese, eventi favorevoli o
negativi, ed il loro collegamento può avvenire solo in relazione a processi che
richiedano la formazione di un legame. In determinate condizioni, stati mentali che
conducano ad associare tra loro elementi normalmente tenuti separati potrebbero
favorire la creazione di nuove combinazioni, alcune delle quali suscettibili di risultare
innovative ed originali. Individui che pensano per <immagini>, ad esempio, é possibile
che siano portati ad associare tra loro qualità di un oggetto che altri trascurerebbero.
In effetti, la capacità di <pensare per immagini> é una qualità descritta in alcuni
grandi innovatori, l'esempio più celebre essendo quello di Einstein”.21
Cercando in un panorama più recente troviamo, Franco Valenti (2007) che in un suo articolo
sul “processo creativo” lo definisce in questo modo:
“Creare consiste nell’estrapolare dalla mente, attraverso l’immaginazione ed il
pensiero esplorativo, combinazioni di conoscenze ed esperienze che credevamo
erroneamente estranee le une alle altre, ma che unite scopriamo avere il dono di
generare un risultato “inedito” e “utile”. Maggiore è la quantità di esperienze che
21
Antonio Preti, “Creatività e scienze del cervello”, http://www.schizophreniaproject.org/Creativity/crea-home.htm ,
(Aprile, 2013).
20
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formano il bacino all’interno del quale la mente estrae le informazioni, maggiore è la
probabilità che se ne ricavi un’idea inedita e forte”.22
Ho voluto riportare questi due pensieri perché esprimono molto bene l’idea di creatività, una
creatività che possiamo dire sia di fondamentale importanza nello sviluppo della mente visto
che in tutti e due i casi per avere “creatività” bisogna avere “multidisciplinarietà” cioè di
“abbondanza di informazioni” che non siano però delle più disparate che si possano collegare e
che gravitino attorno al tema in oggetto del pensiero creativo. Quindi il cervello deve essere
aperto alla conoscenza, e l’attività cognitiva di apprendimento è sicuramente benefica e
migliorativa delle nostre capacità mentali. La “mente aperta”, il pensiero laterale (E. De Bono,
1967) non sono altro che modalità nelle quali i ragionamenti individuali non si lasciano
imbrigliare dalla routine, da convinzioni radicate ma riesco, a fronte di molteplici stimoli,
apprendimenti ed esperienze, ad uscire dagli schemi, trovando per questo combinazioni nuove.
E’ evidente, comprendendo i meccanismi della creatività, come questa capacità sia di aiuto
allo sviluppo mentale mantiene attivo il cervello attraverso un continuo apprendimento di cose
nuove e terapeutica perché permette alle nostre “narrazioni interne”, grazie all’entrata e
ricombinazione di nuovi elementi, di non irrigidirsi in un sistema chiuso.23
1.2.2. Il gioco come attività creativa, creatività come benessere
“un bambino creativo è un bambino felice” diceva Bruno Munari24
, ma questa frase si potrebbe
estendere anche agli adulti, perché anche un adulto quando risveglia la sua creatività è felice.
La creatività per i bambini è essenziale nella crescita e se i bambini esprimo la loro creatività
giocando, è palese che il gioco sia fondamentale. I laboratori di arti terapie per bambini si
propongono come uno spazio di “creatività ludica” anche perché solitamente il bambino
associa l’attività artistica con il gioco e ne è subito coinvolto: forme e colori con cui creare,
giocare.
Troppo spesso vengono dati ai bambini giochi precostituiti, riproduzioni in miniatura del
mondo degli adulti che quindi contengono al loro interno dei significati anch’essi già
precostituiti (B. Restelli, 2002) e questo non da spazio allo sviluppo della creatività. Anche se
il bambino nel gioco mette in atto un’imitazione del mondo adulto, che gli serve per
avvicinarsi, prepararsi e comprendere meglio tale mondo e quindi possono essere accettabili
giocattoli già confezionati a imitazione del mondo degli adulti, il bambino ha bisogno anche di
poter liberare la sua fantasia da schemi precostituiti.
Su questa linea abbiano visto crescere sul mercato una serie di giochi detti “creativi”, ma in
alcuni casi, il bambino non più abituato ad usare la fantasia, se lasciato da solo con questi
giochi ha difficoltà a “comprenderli” e tende a tornare su facili giochi già chiaramente pre-
organizzati.
Nel gioco creativo, come ogni attività creativa il bambino andrebbe accompagnato perché
anche se molti danno per scontato che il bambino sia di per sé creativo, non sempre è così.
Forse per il fatto di non essere più abituati ad usare la fantasia, molti bambini oggi hanno perso
la loro innata creatività ed hanno bisogno di essere aiutati a riconquistarla.
22
Franco Valenti, “Il processo creativo”, http://www. psicolab.net/ (2007).
23
Sistema chiuso inteso come sistema patologico, in cui non entra più informazioni ed elementi nuovi.
24
Metodo Bruno Munari, autore dei laboratori per bambini “Giocare con l’Arte”, http://www.brunomunari.it/index2.htm.
21
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Parlando dell’importanza del gioco come attività creativa e, avendo parlato dell’oggetto
transizionale riferendoci al prodotto artistico all’interno del setting di arte terapia, è doveroso
riportare qui la spiegazione di gioco data da Winnicott.
L’area di gioco per Winnicott non è “solo uno spazio fisico” ma una realtà psichica interna,
anche se è fuori del bambino non è il mondo esterno. In quest’area il bambino usa, raccoglie
oggetti (fenomeni) che appartengono al mondo esterno ma mettendoli al servizio di una sua
realtà interna. Il bambino pone fuori di sé, in una realtà percettivamente oggettiva, un elemento
“ similmente onirico” senza che questo si possa definire allucinatorio.
Il gioco quindi è uno spazio transazionale come lo era l’oggetto transazionale, cioè un elemento
che è “fuori” ma nel contempo “dentro” e fa da ponte tra queste due realtà (interna ed esterna).
Figura 3 Schema “spazio transazionale”
1.2.3. Le “attività artistiche” come strumento di prevenzione
“Soltanto mentre gioca il bambino o l’adulto è libero di essere creativo” “ed è solo
nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”. (
Winnicott, 1971)
Per i bambini è importante potersi “Inventare” un mondo e dei significati all’interno dei loro
giochi e delle loro attività artistiche che non gli siano dati dagli adulti, e questo è un compito
che possono assolvere bene i laboratori di arte terapia, dove non si fa “didattica” ma
sperimentazione, scoperta, dove si attivano tutti i canali sinestesi25
in attività creative dove il
bambino deve guardare con gli occhi, toccare con le mani, ascoltare con le orecchie, imparare
la realtà utilizzando tutti i sensi.
Un’attività arte terapeutica di prevenzione con i bambini, pensata per una fascia d’infanzia
25
Per “sinestesia” si intende un processo che mette in moto contemporaneamente diversi sensi (C. Branzaglia, 2003.)
22
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dove non siano emerse problematiche specifiche, non avrebbe quindi come focus lo
scioglimento di nodi conflittuali o il riequilibrio di comportamenti scompensati ma avrebbe il
compito di sviluppare la creatività, stimolare la curiosità, sviluppare la fantasia aiutando il
bambino ad acquisire una mente elastica, flessibile, aperta, non ripetitiva, ma soprattutto
fornire una “base sicura” quando la famiglia e la rete sociale non è in grado di farlo e creare nel
bambino le fondamenta di una “resilienza” interna che gli consentirà non di essere un “adulto
felice chiavi in mano”, ma di avere gli strumenti (capacità di adattamento, flessibilità,
creatività) per affrontare al meglio le difficoltà della vita.
All’interno di percorsi arti terapeutici di prevenzione si potranno altresì evidenziare
precocemente se nei bambini ci sono delle problematiche e mettere modulare l’intervento di
arte terapia in base a ciò che il bambino fa emergere, in collaborazione con un’equipe si
sostegno e con competenze più specifiche se questo si rendesse necessario.
1.2.4. Il disegno infantile, evoluzione e significato
La prima traccia in assoluto lasciata dal bambino è lo scarabocchio. Dalla prima volta in cui il
bimbo di un anno inizia a tenere in mano la matita, che usa più per colpire il foglio che per
farla scivolare sullo stesso, lo scarabocchio che egli traccia ha un suo sviluppo: a due anni circa
comincia ad assumere forme circolari ed ad angolo, dopo i due anni aumenta il controllo
motorio, a tre anni non scarabocchia più solo per il piacere del movimento e vi è già
“un’intenzionalità rappresentativa” anche se agli occhi di un adulto lo scarabocchio non ha
ancora acquistato nessun significato. A 4 anni di età quando lo scarabocchio inizia a prendere
un significato comprensibile anche per l’adulto.
Dopo i cinque, sei anni a per alcuni anni successivi il bambino disegna non quello che vede ma
quello che sa sulle cose, per questo a volte nei disegni vengono trascurati particolari esistenti
ma che per il bambino non hanno importanza nella sua rappresentazione ed invece appaiono
particolari che nella realtà non si vedrebbero ma che per lui sono importanti. Questi vengono a
volte interpretati come errori da chi non conosce l’evoluzione grafica dei disegni infantili.
Ad un certo punto anche il bambino inizierà a rinunciare alla rappresentazione di ciò che sa a
favore di ciò che vede, correggendo le incongruenze a favore del “realismo visivo”. Tra i dieci
e i quattordici anni si consoliderà sempre di più questa fare di ricerca del realismo.
L’analisi del disegno è importante perché, nel caso di un ritardo mentale, può aiutare a capire
in che fase di età si attesta il ritardo. Per esempio il disegno della figura umana ha anch’esso
un’evoluzione dai 3 ai 4 anni viene rappresentata solo la testa, molto grande senza il tronco,
dalla quale dipartono braccia e gambe realizzate schematicamente con dei semplici segni
lineari.
Dai 4 anni in su comincia a disegnare il primo abbozzo di tronco, dai 5 l’omino è
riconoscibilissimo, dal tronco spuntano nella loro posizione le braccia e le gambe. A sei anni
l’omino si arricchisce del collo in fondo alle braccia compaiono le mani.
Disegnando o dipingendo i bambini esprimono stati d’animo e sensazione del momento
assieme a sentimenti più radicati e profondi, sul foglio da disegno appaiono i loro sogni e
desideri. Il bambino trova nel disegno un mezzo di espressione a lui congeniale dove può
spaziare liberamente con l’immaginazione e proiettare se stesso assieme al suo bagaglio
emotivo, le sue ansie e le sue paure che trasposte sulla carta si “distaccano” da lui acquistando
un nuovo aspetto che le rende meno terribili e pressanti. Questo fenomeno non avviene solo nel
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bambino ma in qualsiasi persona che si appresti a “disegnare” o a dare forma in un’opera d’arte
alle sue paure.
Questo riflettersi nei disegni di ansie e paure è più evidente quando entriamo nel mondo dei
bambini con problematiche, disagi psicologici o diverse abilità. Emerge, la loro difficoltà nei
rapporti umani, i complessi di inferiorità e la solitudine di sentirsi diversi dai loro compagni. In
questi disegni si mantengo a lungo, se non per sempre, le tematiche tipiche dei bambini più
piccoli essendo il disegno espressione della loro effettiva età mentale.
Le modalità di intervento sull’attività artistica del bambino devo essere calibrate in modo da
porte dare allo stesso la possibilità di esprimersi senza essere costretto ad eseguire copie o
compiti non graditi, per i quali non è ancora pronto, per esempio dettagli di una figura umana ai
quali l’evoluzione del suo disegno non è ancora arrivata o viceversa temi già superati per età ed
esperienze.
Bisogna altresì calibrare interventi troppo diretti che vadano a condizionare e reprimere la
fantasia del bambino o interventi troppo liberi, all’interno dei quali il ragazzo può perdersi e
non sapere bene cosa fare. Mentre l’intervento giusto è quello che sa calibrare gli stimoli
creando un ambiente adatto in cui il bambino possa trovare la giusta espressione e
gratificazione nel suo disegnare.
L’attività di gruppo in questo senso favorisce la stimolazione della fantasia reciproca tra i
partecipanti, dove bambini con poca iniziativa posso essere trascinati dagli altri grazie alle idee
che rimbalzano da un componente all’altro del gruppo, cosa che non avviene, ovviamente, con
un bambino da solo. Al di sotto dei 6 anni, comunque, il lavoro di gruppo non è possibile a
causa della fase di “egocentrismo” del bambino che impedisce lo scambio reciproco delle idee,
anche se già il disegnare insieme, non sullo stesso foglio ed ad un unico progetto, può essere
utile premessa ad un lavoro di gruppo al quale abituare i bambini. Nel terzo capitolo sono
esposti in modo più esteso i significati del gruppo mentre nella seconda parte della presente
tesi, all’interno del progetto, si possono vedere in dettaglio gli obietti che si pone di
raggiungere il lavoro di gruppo.
L’espressione artistica e l’originalità del bambino tende a diminuire verso i dieci anni per il
fatto che la scuola da più importanza al “nozionismo”, alla riproduzione e alla copia, per
insegnare al bambino a disegnare correttamente senza contravvenire alle regole prospettiche e
di naturalismo invece di lasciare spazio alla spontaneità del disegno che aiuta il bambino a
crescere, comunicare e ad esprimersi.26
2. LE EMOZIONI
Il ricordo della felicità non é più felicità,
il ricordo del dolore é ancora dolore.
(A. Einstein)
2.1. Le emozioni costruisco la mente
26
In questo capitolo è stato espresso un “sunto” di quanto scritto da di Anna O. Ferraris nel suo libro “Il significato del
disegno infantile”, (1978).
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2.1.1. Abbandonare la dicotomia: ragione – emozione.
“In realtà sono le emozioni, e non la stimolazione cognitiva, a determinare l’architettura della
mente” (Stanley I. Greenspan, 2007).
S. I. Greenspan ha pubblicato diverse opere, ma la più interessante per quanto riguarda questa
tesi è quella in cui espone i risultati di diverse ricerche fatte da lui e da altri, nelle quali si rileva
l’importanza delle emozioni, sovente trascurate a beneficio della “ragione”. Di seguito una
sintesi che vuole riassumere brevemente ma toccando i punti più salienti, il pensiero espresso
da S.I. Greenspan nel suo libro “L’intelligenza del cuore” (2007).
L’importanza che la nostra società sta dando ancora all’aspetto cognitivo rispetto all’aspetto
emotivo andrebbe superata, alla luce di quelle ricerche che evidenziano come le esperienze
emotive sono alla base dello sviluppo mentale tanto che senza le emozioni non ci sarebbe
nemmeno lo sviluppo cognitivo.
L’aspetto emotivo viene sempre posto dopo, dalla cura del bambino alla scuola, al lavoro tutto
verte sull’aspetto razionale trascurando l’aspetto emozionale, considerandoli come due
elementi separati quando invece sono indivisibili.
Sembra che questa eterna dicotomia esista perché si è sempre trascurato come le funzioni
cognitive e ed emozionali interagiscono sin dalla primissima infanzia svolgendo un ruolo
fondamentale ed attivo nella formazione dell’intelletto.
Per spiegare questo bisogna chiedersi come imparano a “pensare” i bambini. I bambini, nei
primi mesi di vita, imparano a conoscere il mondo esterno attraverso sensazioni sonore e tattili.
Ogni sensazione “registrata” dal bambino da origine anche ad un’emozione quindi quando il
bambino reagisce ad uno stimolo fisico reagisce anche all’effetto emozionale che lo stimolo
produce e tanto più crescono le sue esperienze, tanto più queste si legano ad un significato
emotivo, creando un “codice duale” attraverso il quale vengono organizzate le capacità
cognitive e il senso del sé.
Una conferma di questo viene dal fatto che una certa sensazione non produce lo stesso effetto
su tutti gli individui. Ogni soggetto reagisce diversamente ad uno stimolo nonostante
l’apparato sensoriale di cui è dotato sia uguale a quello di tutte le altre persone (ad esempio una
voce stridente, con un timbro alto può esser fastidiosa per una persona ed piacevole per
un’altra, ecc.). Le risposte sensoriali possono esser anche simili tra gli individui ma non uguali,
perché producono effetti diversi dal punto di vista emozionale e questo perché da piccoli, ogni
esperienza sensoriale e il suo contenuto emotivo associato avvengono in contesti (famigliari e
di vita) diversi.
2.1.1.1. Come si manifestano le emozioni
Le emozioni si “sentono” sia nella mente che nel corpo. Le emozioni che nascono dentro si
manifestano attraverso le espressioni del viso e i gesti che si compiono, con i movimenti non
solo dei muscoli facciali ma anche del resto del corpo (spalle ricurve, gesti delle mani, ecc.).
Ma non solo i muscoli volontari contribuisco a sentire ed esprimere un’emozione, anche gli
organi interni e muscoli involontari come il cuore contribuiscono (aumento dei battiti,
modificazioni della pressione, ecc.)
25
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2.1.1.2. La capacità di giudizio
Le emozioni sembrano organizzare anche esperienza e comportamento permettendo
all’individuo di poter scegliere il comportamento giusto per un determinato contesto.
Il bambino discrimina quali comportamenti adottare in un certo contesto non in base a regole
(consce o inconsce) ma in quanto porta con sé da una situazione ad una altra il proprio bagaglio
di stimoli emotivi, il proprio “codice duale”. Le situazioni sociali si gestiscono con la capacità
di discriminare emotivamente, che funge quasi da “sesto senso”, ogni pensiero creativo o
risoluzione di un problema segue un percorso emozionale.
2.1.1.3. Imparare dall’autismo
Quando un bambino ha un’alterazione dello sviluppo che ostacola i collegamenti tra pensieri ed
emozioni sorgono, infatti, i problemi che rientrano nello spettro dell’autismo.
L’esperienza emotiva si rende necessaria per dare risposte che abbiano un senso alle domande
più semplici. Per pensare una risposta dobbiamo disporre di una struttura emotiva che valuti e
vagli idee e ipotesi prima di poterle esporre e rappresentare attraverso parole o simboli, il
cervello necessita della capacità di astrarre, oltre che del pensiero concreto. Senza una struttura
emotiva, di categorie affettive, costruita sulla base delle nostre esperienze difficilmente si
riesce a dare un significato ad un evento.
Un esempio pratico, riferito al fatto che i bambini autistici non esprimano desideri o intenzioni,
e che questo sia dovuto alla mancanza del contenuto emotivo, lo si può osservare nell’esempio
di un bambino che ha sete ma non chiede da bere, ad esempio ha un bicchiere di aranciata
davanti ma non lo chiede. Questo perché un’azione o un pensiero deve essere guidato da un
desiderio o un intento per avere significato. Il bambino non ha associato l’atto del bere ad
un’emozione di piacere, nel dissetarsi, è quindi mancante di “intenzione emotiva”. I bambini
autistici mancano di una base emotiva con la quale le interazioni con il mondo (persone,
oggetti) acquisiscono “scopo e funzione”. Di conseguenza rimangono incapaci di interagire con
gli altri attraverso un linguaggio appropriato perché le parole non avranno un significato, non
riuscirà a percepire segnali sociali ed emotivi e i suoi interessi rimarranno incentrati su se
stesso, il proprio corpo ed oggetti inanimati.
In conclusione si evince, da ciò che ha espresso Greenspan, che non possono nascere abilità
cognitive separate dallo sviluppo delle emozioni ma soprattutto, queste non sviluppano solo
l’intelligenza di una persona ma anche le sue difese psicologiche e il modo in cui riesce ad
affrontare le difficoltà. Le emozioni vanno quindi a costruire l’intera strutta della personalità di
un individuo.
“I colori maturano la notte”
(A. Merini)
2.2. Colore ed emozione
Il titolo di questa tesi parla di emozioni ma anche di colore, per questo è necessario capire
anche la psicologia dei colori, il tipo di emozioni che esprimono a livello universale, culturale
ed individuale.
26
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“Il colore è come la musica, un linguaggio che esprime i nostri sentimenti, al punto che si può
dire che o colori sono <sentimenti visualizzati>“.27
A grandi linee si può esprimere un significato ed un’emozione generale dei colori ma non va
mai trascurato il fatto che e sensazione che si attribuisce ad un colore è soprattutto frutto di
esperienze personali, oltre che culturali.
I significati del colore sono stati indagati in ambito artistico, basti pensare alle teorie sull’uso
del colore di Kandinsky secondo le quali questo può avere un effetto sia psicologico che fisico
su chi lo osserva, ma anche in psicologia o pedagogia, in ambito letterario, nel marketing e
questo perché il colore è un efficace strumento di comunicazione che può influenzare
emotivamente chi lo percepisce.
Essendo tantissime le simbologie e i significati attribuiti ai colori si è qui scelto di riferirci al
ciò che scrive Marianna Maiorino (2002) nel suo libro “La saggezza dei colori” per avere una
breve panoramica non tanto dei significati emotivi simbolici espressi dai colori, come
potremmo trovare in un libro come “La psicologia dei colori” di Widmann, ma su alcune
“caratteristiche emozionali” dei colori, cioè le sensazioni immediate che si possono provare di
fronte a determinati colori.
Il bianco: il bianco è il colore della luce, la luce bianca è la manifestazione della
pienezza, della totalità, dell’unità perché è la somma di tutti i colori. E’ il simbolo del
candore e della purezza.
Il rosso: è un colore caldo che aumenta l’energia e la vitalità, è il colore del sangue e
della passione. In soggetti molto emotivi ed irritabili può causare agitazione e
nervosismo, viceversa in soggetti apatici e spossati fornisce la carica per superare la
debolezza emotiva.[..] Per lo psicologo Max Luscher è il colore della sicurezza di sé e
in negativo cioè in eccesso, della spavalderia.
L’arancione: è il colore formato dall’unione del giallo con il rosso quindi presenta
tutte le caratteristiche dei due colori ma ammorbidite. E’ il colore associato alla
famiglia e all’entusiasmo perfetto rimedio contro la depressione [..]. L’arancione è poi
indicato in sostituzione del giallo in tutti i casi in cui le persone presentino delle
avversità proprio col giallo.
Il giallo: è un colore caldo, comunicativo, stimola l’energia, l’estroversione, le lucidità,
la vivacità. E’ considerato un antidepressivo [..] Inoltre è il colore del sole simbolo
della vita per eccellenza. Per Luscher è il colore della libertà mentre in negativo della
fuga da se stessi.
Il blu: è un colore freddo. E’ associato al cielo, alla calma, alla pace, è un colore che
richiama a sé, produce serenità e induce alla ricerca, alla riflessione, alla meditazione,
all’introspezione [..]. Per Luscher è il colore dell’appagamento e in negativo della
rinuncia a se stessi.
Il verde: è un colore neutro, si colloca al centro tra i colori caldi e i freddi. E’ il colore
della natura che ciclicamente si riproduce sempre. La primavera segue sempre
l’inverno, per questo è il colore della fiducia, della speranza, dell’equilibrio [..]. Per
Luscher è il colore dell’autostima e in negativo della presunzione.
27
Isabella Romanello, “Il colore: espressione e funzione”, Milano, Hoepli (2002)
27
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L’indaco. È il colore risultante dall’unione del blu e del viola, che in esso si esaltano a
vicenda sicché da un lato calma e rilassa aiutando a raggiungere profondi stati di
rilassamento [..], dall’altro stimola l’intelligenza e la capacità di vedere le cose per
quello che sono senza farsi ingannare dai condizionamenti [..].
Il viola è il colore dell’intelligenza, della conoscenza [..] nello spettro corrisponde alla
frequenza più alta e rappresenta la porta dell’aldilà, E’ un colore che indice alla
riflessione analitica guidata dall’intuizione e libera da preconcetti.28
Tutte le teorie dei colori trovano dei limiti quando sono calate nel rapporto soggettivo che ogni
persona ha con i colori. Come si è accennato precedentemente ogni colore è vissuto in base a
proprie esperienze personali, secondo personali associazioni mentali. Anche se a grandi linee i
colori freddi possono trasmettere a tutti, universalmente, determinate sensazioni come,
viceversa, i colori caldi non è scientificamente possibile provare che l’uso di determinati colori
abbia determinati effetti “terapeutici” e non si può usare un colore come se fosse una pillola: il
blu per rilassare, il rosso per ricaricare, ecc. Se questo avviene è dovuto per lo più ad un
condizionamento esterno, quasi un effetto placebo, infatti, riguardo al colore non si può
prescindere dalla seguente affermazione:
“il colore appartiene non tanto all’oggetto, quanto all’esperienza che ne facciamo. Esso è
sempre molto di più di una percezione fisica; raccoglie e condensa la dimensione emozionale
ed immaginativa di un’esperienza”.29
Di conseguenza, per lo stesso motivo per cui, in arte terapia, l’immagine non viene usata per
un’interpretazione di significati, ma per un’espressione di significato che va elaborata
personalmente dall’autore, anche il colore non deve essere usato come qualcosa “da cui
conoscere” ma come un mezzo “per conoscere”, a cui va data una lettura del tutto individuale.
Sicuramente l’uso del colore, cioè come una persona usa il colore e che tipo di colore usa non
va trascurata, ad esempio se un paziente/cliente durante le sedute di arte terapia utilizza
soltanto il colore nero o si esprimere solo con tonalità di grigi o bianchi e neri tralasciando gli
altri colori questo ha certamente un significato e il soggetto deve essere stimolato a riflettere su
questo. Nel caso di un soggetto diversamente abile, dove le capacità cognitive sono limitate da
un ritardo mentale e dove quindi non ci sia possibilità di “auto-riflessione” sui propri elaborati,
se ci si dovesse trovare di fronte ad un uso continuo del colore nero o monocromatico sarà
sicuramente di beneficio introdurre la sperimentazione di altri colori, al di là del significato
insito nei colori stessi e della capacità di elaborazione dello stesso da parte del soggetto in
questione.
Di fronte ad un colore bisognerebbe sempre sollecitare il paziente/cliente a chiedersi che tipo di
reazioni questo o quel colore suscita in lui, perché ha scelto un determinato colore invece di un
altro, quali sono le sensazioni che associa al colore usato, che emozioni trasmette, ecc.
3. UN GRUPPO DI “ABILITA’ MISTE”
28
Marianna Maiorino, “La saggezza dei colori”, Roma, Universo (2010).
29
Claudio Widmann, “Sul Significato dei colori”, http://www.claudiowidmann.it
28
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“Il gruppo può essere ben più reale del mondo esterno”.
(I. Yalom)
3.1. L’importanza del gruppo misto
Si partirà in questo capitolo, spiegando che cos’è un gruppo, anche se può sembrare banale,
perché non sempre un gruppo di persone è un “gruppo”, per poi arrivare a definire, nelle sue
caratteristiche principali, il disturbo di Down in ragione del fatto che il gruppo con cui si è
realizzato il project work è un gruppo di “abilità miste” dove erano presenti ragazzi con
disturbo dello spettro autistico e ragazzi “normodotati” ma dove il soggetto principale di tutto il
lavoro è una ragazza con sindrome di down nei confronti della quale si è sviluppato focus del
progetto.
Le dinamiche di un gruppo sono state largamente studiate e non è intenzione di questa tesi
descriverle in specifico ma, visto che il lavoro di project work è stato impostato sul gruppo,
anche se in parte nel progetto sono descritte le potenzialità e gli obietti del gruppo misto, è
doveroso dedicare una parte della tesi per chiarire meglio cosa s’intende per gruppo e quali
caratteristiche utili abbia un gruppo misto, anche alla luce dell’apprendimento per differenze.
Per avere un gruppo non basta un raggruppamento di individui, cioè non basta stare assieme in
un luogo per definirsi un gruppo. I componenti del gruppo, per ritenersi tali, devo sentire un
senso di appartenenza al gruppo, devo essere identificabili dagli elementi del gruppo chi ne fa
parte e chi non ne fa parte.
Deve esistere un obiettivo o un compito comune.
Il gruppo si può assimilare ad un sistema (complesso e in cambiamento continuo) e quindi le
interazioni e le cose che accadono al suo interno vengono definite “dinamiche” tra le quali
troviamo: l’identità del gruppo, l’appartenenza ad un gruppo (socializzazione), i compiti o
scopi del gruppo e le relazioni dei componenti, le regole e le norme del gruppo, il livello di
coesione, ecc.
Sempre più spesso si usa utilizzare la terapia di gruppo, in problematiche che riguardano le
dipendenze o sofferenze psicologiche. In arte terapia l’utilizzo del gruppo è una metodologia
largamente utilizzata.
Questo tipo di metodologia si è visto che può ottenere gli stessi risultati di una terapia
individuale ma può, in certi casi, raggiungere risultati maggiori.
Gli obiettivi che si possono raggiunge in una terapia di gruppo sono diversi ma se ne possono
citare alcuni fondamentali:
Il sollievo dai sintomi
Sembra, infatti, che il sollievo psicologico che si ottiene partecipando ad un gruppo
alleggerisca e/o dia sollievo anche ai sintomi fisici di una patologia.
L’acquisizione di competenze
Infatti, per funzionare all’interno di un gruppo o di una società si devono avere una serie di
competenze che se mancanti possono creare dei conflitti all’interno dell’individuo e nella sua
rete sociale. Lavorando nel gruppo si possono acquisire esperienze di apprendimento nella
gestione delle emozioni, nelle soluzioni di problemi, nella capacità di interazione con l’altro,
29
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imparando strategie di adattamento che prima di entrare nel gruppo non c’erano.
Cambiamenti a livello personale e intrapsichico.
Nel gruppo la persona può riuscire ad aumentare l’autostima, a istaurare relazioni più salutari e
soddisfacenti. Nei bambini si è evidenziato che, la partecipazione al gruppo diminuisce
l’aggressività e aumenta la capacità di controllo.
Edoardo Giusti e M. Cristina Nardini nel libro “Gruppi pluralistici". Guida transteorica alle
“terapie collettive integrate” descrivono molto bene un gruppo di arte terapia:
“Questo tipo di gruppi prevede un numero di partecipanti che varia da 6 a 9, il loro
obiettivo è quello di esplorare e utilizzare canali di comunicazione non-verbali e visuo-
spaziali. Le emozioni, le fantasie ed i comportamenti possono essere rappresentati in
forma grafica attraverso creazioni artistiche che possono essere o meno guidate dal
responsabile di gruppo. Il risultato è quello di far percepire a chi partecipa al gruppo
la presenza degli altri membri e anche di se stessi; il paziente, infatti, incrementa
l’espressione dei propri sentimenti, prova la soddisfazione di aver creato un manufatto
artistico, impara ad utilizzare questo modo di esprimere i propri sentimenti e lo
utilizzerà per rilasciare ansie e tensioni, aumenta la propria consapevolezza all’interno
del gruppo grazie alle discussioni e diventa sempre più capace di mantenere discussioni
di tipo costruttivo ed a feed-back, riesce a incanalare nella costruzione e
nell’espressione simbolica l’energia distruttiva e negativa.
I pazienti più indicati per questo tipo di terapia sono coloro che hanno difficoltà ad
esprimersi verbalmente, che interiorizzano i sentimenti in modo autodistruttivo, che
intellettualizzano i propri sentimenti per mascherare le loro emozioni e hanno uno
scarso senso di identità. Non è necessario avere talento artistico per partecipare a
questo tipo di gruppi (Giusti, 2002a).
Il ruolo dell’arte terapeuta che conduce il gruppo è quello di fornire ai partecipanti
vari modi di esprimere le proprie emozioni e un canale per le comunicazioni sia verbali
che non verbali. Il tipo di setting non giudicante incoraggia il paziente ad esprimersi
liberamente e nel modo più creativo possibile. Metà della seduta è dedicata alla
realizzazione dei manufatti, il resto del tempo è utilizzato per commentarli assieme al
gruppo. Il terapeuta può aiutare le persone a scegliere il “messo” migliore per
esprimere i propri sentimenti, sia questo un disegno o una scultura, ed attraverso
modificazioni, nel corso del tempo, delle opere prodotte sarà possibile mettere in luce
anche i cambiamenti che avvengono a livello individuale ed intrapsichico nei
partecipanti al gruppo”.30
A tutto questo detto sul gruppo si può aggiunge, per avvalorare l’importanza del “gruppo
misto” che l’apprendimento in un gruppo si sviluppa con due modalità:
Per imitazione, cioè degli individui se posti all’interno di un gruppo che sta svolgendo dei
“compiti” per prima cosa attiveranno un modello di imitazione per ripetere ciò che sta facendo
il gruppo e per inserirsi nello stesso. Vi è quindi un apprendimento per imitazione, cioè
guardando l’altro (proto apprendimento31
).
30
Edoardo Giusti e M. Cristina Nardini, “Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie collettive integrate”, Roma,
Sovera Multimedia s.r.l. (2004).
31
Il proto apprendimento è la forma di apprendimento più semplice alla quale segue il deutero-apprendimento che è
30
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Per differenza, se si pensa che “le differenze” sono informazioni nuove che arrivano
all’individuo si può capire l’importanza dell’apprendere grazie alle differenze all’interno di un
gruppo. Se pone una persona in un gruppo o ambiente troppo simile, questa si vedrà solo
riconfermata e non gli arriveranno stimoli “diversi” e “nuovi” con i quali confrontarsi, dai
quali imparare. Sostanzialmente la funzione del gruppo misto è anche quella di “perturbare” il
sistema stabile e chiuso in cui si trova il soggetto, con nuovi elementi dal quale questi potrà
attingere per modificare e trasformare se stesso. Certamente anche un gruppo omogeneo può
apportare beneficio per la condivisione che in esso trova la persona delle sue stesse
problematiche ma in taluni casi le caratteristiche del gruppo misto sono più favorevoli ad un
miglioramento.
“Penso che talvolta i veri limiti esistano in chi ci guarda”.
(C. Cannavò)
3.2. La sindrome di Down e il ritardo mentale
La sindrome di Down deriva il suo nome da John Langdon Down che ha descritto questa
patologia nel 1862. E’ una patologia dovuta ad un’anomalia cromosomica e viene definita
sindrome per l’insieme di conseguenze anomale negative che si verificano
contemporaneamente, si ha, infatti, un ritardo mentale di diversa gravità (che in genere non
compromette la possibilità di una buona integrazione con capacità di svolgere semplici compiti
lavorativi), un rallentamento dello sviluppo, una maggiore sensibilità alle infezioni e
disfunzioni alla vista, all’udito e ad altri organi, in particolare al cuore. Oltre al caratteristico
aspetto fisico (occhi a mandorla, statura bassa, ecc.).
Di seguito si è scelto di presentare delle brevi descrizioni con tabelle illustrative dei vari aspetti
disfunzionali della sindrome down per avere una panoramica che tocchi I punti fondamentali di
questo argomento senza appesantire l’esposizione con troppe nozioni tecniche e mediche32
.
Sindrome di Down è la causa cromosomica di ritardo mentale più diffusa la sua incidenza è di
1 su 800/1200 ma questa percentuale si riferisce ai bambini nati. Essendo la presenza di questa
patologia verificabile con esame prenatale (amniocentesi) molte gravidanze si concludo con un
aborto. Se non succedesse questo l’incidenza sarebbe di 1 su 200 circa. La percentuale di
incidenza della sindrome down, come per altre malattie cromosomiche aumenta in rapporto
all’aumento dell’età della madre.
l’apprendere all’apprendere. Queste nozioni di apprendimento sono state osservate dall’antropologo Bateson e riportate nel
suo libro “Ecologia della mente” (ved. In bibliografia).
32
I dati di seguito riportati sono stati estrapolati dal sito sindrome-down.it A cura del Centro di Documentazione per
l’integrazione (CDI) dell’ASP, Azienda Servizi alla Persona Ravenna, Cervia e Russi Con La collaborazione con MeMo,
il Multicentro Educativo "Sergio Neri" di Modena che si occupa delle Disabilità Intellettive (www.disabilitaintellettive.it),
contribuisce all'approfondimento dei contenuti trattati.
31
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Tabella 1 incidenza della sindrome di down sui bambini nati vivi da madri di diversa età33
Ritardo mentale
“La sindrome di Down comporta ritardo di diversa intensità nella quasi totalità degli
individui. In termini di Quoziente Intellettuale (QI) non sono facili indicazioni generali,
anche perché esso cambia con il progredire dell'età, nel senso che tende a diminuire. Se
prendiamo come punto di riferimento i 10-12 anni la grande maggioranza dei bambini
con sindrome di Down si colloca fra 30 e 55 punti di QI, cioè nel ritardo moderato (54-
40) o grave (39-25)”.34
.
Prove
Età media di
riferimento
in anni
Età media
S. di Down
in anni
Seriazioni di quattro ulteriori casette in
una seriazione già effettuata con cinque
5 12-13
Conservazione del numero con cinque bottiglie
e cinque bicchieri
4 10-11
Quantità con dieci gettoni rossi e dieci blu 5 12-13
Conservazione del numero con dieci gettoni
rossi e dieci gettoni blu
5 12-13
Classificazione in due gruppi di otto cartoncini
diversi per forma, colore e dimensione
4 o meno 8-9
Conservazione della quantità con due palline
di plastilina
5 10-11
Tabella 2 tabella Età, in anni, in cui la maggioranza (almeno 50%) dei bambini o ragazzi con sindrome di
Down risponde correttamente ad alcune prove, Come si può notare la prova più facile, risolta dai bambini
normodotati a quattro anni o anche prima, viene risolta dai bambini con sindrome di Down a otto - nove anni.
Cioè in una età "doppia" (o poco più)35
.
33
http://www. sindrome-down.it.
34
http://www.sindrome-down.it
35
Ibidem.
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Invecchiamento
“Tipico della sindrome di Down è un precoce invecchiamento che si manifesta con un
certo declino intellettivo, soprattutto relativamente a compiti che richiedono prontezza
di riflessi, buon uso della memoria a breve termine e di lavoro, orientamento spaziale,
mentre minore è il declino relativamente alle capacità verbali e numeriche già
acquisite. Tale declino è più marcato nel caso di una vita caratterizzata da scarsi
stimoli cognitivi”.36
.
Memoria
Nei compiti mnemonici che abbisognano di strategie di controllo (per ricordare meglio) i
ragazzi down hanno prestazioni inferiori rispetto ai ragazzi di pari età mentale ciò avviene
anche per la memoria verbale mentre nelle prove di memoria visuo-spaziale i bambini down
hanno ottenuto gli stessi risultati dei loro pari età mentale.
Conclusioni sull’aspetto cognitivo
“Per molti individui con sindrome di Down lo sviluppo cognitivo procede con un certo
ritmo fino all'acquisizione di prestazioni di pensiero logico equivalenti all'età mentale di
4-5 anni (raggiunto dalla maggioranza dei bambini con sindrome di Down fra i 7 e gli
11 anni), ma poi rallenta in modo notevole (pur non arrestandosi). Un dato numerico è
esemplificativo. La differenza fra le medie dei bambini di 7-8 anni e quelle dei ragazzi di
16-17 è, in termini di età mentale, equivalente a 7 mesi. In altre parole ciò che nei
bambini normodotati viene acquisito, in media, in 7 mesi, richiede, in media, 9 anni ai
minori con sindrome di Down. Poiché sappiamo che il progresso cognitivo tra i 5 e i 7
anni di età mentale è cruciale per l'apprendimento scolastico e per lo sviluppo
dell'autonomia risulta molto importante dedicare notevoli energie alla costruzione di
materiali e strumenti per il potenziamento del pensiero negli individui con sindrome di
Down”.37
Integrazione e lavoro
I bambini con sindrome down non sono destinati ad un futuro di emarginazione e possono, se
seguiti nella maniera più adatta a loro, arrivare alle stesse conquiste dei coetanei, anche se in
tempi più lunghi. Questo, ovviamente in base anche al grado di ritardo mentale presente nel
soggetto. Nella riabilitazione di una persona down non si dovrebbe cercare di recuperare o
compensare funzioni che mancano ma cercare di realizzare un intervento educativo globale che
possa favorire lo sviluppo di tutte le potenzialità che il bambino può sviluppare per integrarsi al
meglio nell’ambiente e nella rete sociale.
Le aree dove deve essere svolta un’educazione mirata e l’integrazione dei bambini down sono:
la famiglia, la scuola, la società. In particolare, in quest’ultima c’è bisogno di indirizzare i
ragazzi e gli adulti down verso un’integrazione sociale extra scolastica e extra lavorativa, verso
una formazione professionale e verso un lavoro, gli stessi hanno bisogno di avere delle
opportunità residenziali e di vita autonoma da adulti, aspetti assistenziali e di tutela sia nell’età
36
Ibidem.
37
http://www. sindrome-down.it.
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giovanile sia quando iniziano l’età della senescenza perché, grazie ai progressi della medicina
ed al benessere, anche per i down si è allungata l’aspettativa di vita.
Senza trascurare che ci sono realtà organizzate e all’avanguardia dove le persone con sindrome
di down riescono a trovare una soddisfacente integrazione sociale e lavorativa, nella situazione
generale dell’Italia la formazione ed l’inserimento professionale per I ragazzi down trova una
realtà complessa e insoddisfacente. In una realtà diversa, dove questi ragazzi avessero la
possibilità di frequentare scuole professionali adatte, con insegnanti adeguati, il loro futuro e la
loro integrazione sociale/lavorativa potrebbero essere notevolmente migliori.38
.
SECONDA PARTE: PROJECT WORK
38
Questo paragrafo ha ripreso un sunto di libera interpretazione dei dati espressi dal sito www.sindrome-down.it.
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4. IL PROGETTO
Dalle emozioni dei colori alle emozioni del cuore è un progetto di arte terapia che è stato
titolato: “Dal colore al Cuore” il cui focus è incentrato sulle emozioni, partendo da quelle che
ci vengono trasmesse dai colori per arrivare a “toccare” le emozioni che ci vengo dal di dentro.
Dal colore al cuore sintetizza un percorso attraverso un ponte che il mondo esterno a quello
interno, di seguito la premessa e tutti i punti del progetto presentato.
Per Rispetto alle normative della Privacy dal progetto sono stati tolti elementi che potevano
identificare i ragazzi partecipanti al gruppo, quindi non vi sarà scritto il nome della scuola ma
solo il luogo, non vi saranno scritti i nomi dei professori partecipanti, ma solo il nome del
Supervisore che è anche il relatore di questa Tesi. Non vi saranno riportati i nomi dei ragazzi.
4.1.Premessa
In questi anni si è visto un aumento, nell’ambito scolastico, di ragazzi diversamente abili che
necessitano di interventi da parte della scuola che permettano sia l’integrazione di questi con i
soggetti normodotati, sia lo sviluppo, con programmazioni dedicate, delle capacità residue o
delle “diverse potenzialità” che questi ragazzi possiedono.
Il progetto intende favorire l’integrazione e le pari opportunità, nel rispetto della diversità,
degli alunni diversamente abili e si offre come integrazione dell’offerta formativa della scuola,
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con l’allestimento di laboratori espressivi di arte che hanno il duplice scopo di integrare
maggiormente i ragazzi diversamente abili con i loro compagni di scuola e di dare la possibilità
di produrre una propria “impronta” creativa rendendoli visibili a se stessi e agli altri, dando un
messaggio importante come: “Io ci sono e ho qualcosa da esprimere” perché è desiderio di
tutti, essere riconosciuti ed accettati dal mondo esterno.
Anche per questo motivo, verrà allestita una mostra finale dei lavori realizzati all’interno
dell’edificio scolastico.
4.2.Titolo
Titolo del progetto “Dal colore al cuore”
4.3.Autori
Michela Ambrosin, specializzanda in Arti Terapie presso l’Istituto MEME di Modena
4.4.Contesto
SCUOLA MEDIA <……………>
Via <………………….> Modena (MO)
SUPERVISORE
Dott.ssa Roberta Frison
PERSONALE DELLA SCUOLA COINVOLTO NEL PROGETTO
1° Insegnate di sostegno <………………………>
2° insegnante di sostegno <…………………..…..>
PERSONALE ESTERNO ALLA SCUOLA
Michela Ambrosin specializzanda in Arti Terapie.
4.5.Tipologia del progetto
Tirocinio formativo: laboratori sinestesici di Arte terapia impostati sull’espressione delle
emozioni, in particolare l’amore e la paura.
4.6.Tipologia dei destinatari
Nr. 5 alunni della scuola (età 12 anni) in un gruppo misto:
“F.” con sindrome di Down e grave ritardo, “S.” e “F.” con disturbo pervasivo dello sviluppo e
3 ragazzi a rotazione della 2° <…> (compagni di classe di “F.”)
4.7.Finalità e obiettivi
4.7.1. FINALITA’
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Il presente progetto servirà ad accompagnare i ragazzi in un percorso di comunicazione
attraverso i linguaggi non verbali, usando come mediatori i materiali artistici (colori, paste,
carte, ecc.)
L’arte, nel processo arte terapeutico, viene utilizzata per accrescere le capacità di
comunicazione ed interazione affettiva, offrendo la possibilità di esprimersi con un linguaggio
alternativo e di comunicare i propri vissuti non attraverso le consuete forme di comunicazione
scritta e verbale ma attraverso il linguaggio artistico, che è “simbolicamente” immagine, forma
e colore, ed è durante il processo creativo che si passa dalla semplice realizzazione artistica,
all’attribuzione di significati emotivi e trasformativi interni all’individuo.
Questo mezzo, stimolando l’attività creativa diviene per il ragazzo un’esperienza, che, grazie
anche al lavoro nel gruppo, lo toglie dall’isolamento e gli permette di mettere in contatto il suo
mondo interno con il mondo esterno, gli permette di dare libera espressione ai propri affetti,
esprimere liberamente i propri stati d’animo, esternalizzare i propri conflitti, anche quelli che a
volte, in altri contesti, non riesce ad esprimere.
“Il linguaggio espressivo - artistico rappresenta un veicolo privilegiato, un tramite attraverso
il quale il ragazzo può esprimere emozioni, bisogni, sentimenti che non avrebbero possibilità
d’espressione se è utilizzato esclusivamente il canale verbale” (A. Stern, 1979).
4.7.2. OBIETTIVI
In relazione alle finalità indicate, il progetto intende realizzare gli obiettivi generali di un
laboratorio di arte terapia:
o Sperimentare un sé corporeo in cui si integrano gli aspetti sensoriali (visivi, motori,
percettivi, uditivi, ecc.).
o Valorizzare la comunicazione non verbale (corpo, suono, segno, colore, ) come
strumento di espressione.
o Trasformare delle sensazioni in emozioni e poi in immagini al fine di giungere ad
una maggiore consapevolezza delle stesse.
o Aumentare il livello di autostima del singolo all’interno di un setting non
giudicante, dove non esiste il bello ed il brutto e ogni realizzazione artistica viene
valorizzata.
o Dare possibilità di sperimentare il gruppo come risorsa e contenitore delle emozioni
oltre che per favorire la socializzazione.
o Focalizzare l’attenzione sulle risorse delle persone e non sui limiti per migliorarne
la motivazione, liberando in maniera costruttiva aree di potenzialità inespresse.
o Acquisire capacità relazionali e interpersonali. 39
Altri obiettivi trasversali:
o Lavorare in gruppo per sviluppare comportamenti relazionali positivi di
collaborazione, rispetto e valorizzazione degli altri. Abituare alla verbalizzazione in
gruppo
− Promuovere la stima e la fiducia negli altri.
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Libera interpretazione degli obiettivi proposti dall’artista Franco Murtinu per un suo progetto tipo per ospedali e/o
ospedali per bambini http://art-evolution.jimdo.com/ (Feb. 2013).
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