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Fausto Intilla
L’Esperimento di Afshar
Verso un nuovo approccio al principio di
complementarità
Immagine di copertina tratta dal web
(http://holographicarchetypes.weebly.com)
L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze,
per gli stralci di alcuni articoli (ed immagini) riportati in questo
volume, qualora questi ultimi fossero coperti da copyright.
Indice
Prefazione…………………………………………………4
Il mondo dei quanti……………………………………….7
- L’interferometro di Mach-Zehnder..……………..….12
- Il principio di Indiscernibilità……………………….18
- Principi di fisica quantistica……………….……………..19
- Which-way detector………………………………………..25
- Which-way entangler………………………………………26
- Which-way entangler con atomi………………………….30
- Entanglement…………………………………….…………32
- Quantum eraser……………………………..……………..32
- Una curiosità………………………………………...……..44
- Shahriar Afshar………………………………….…………45
L’Esperimento di Afshar…………………………...……47
Molte menti, molte tesi…………………………..………60
- Ruth Kastner………………………....………….…..….60
- Eduardo Flores ed Ernst Knoesel……………...……65
- Daniel Reitzner………………………………………..……71
- William George Unruh…………………………………….78
- Luboš Motl…………………………………….……….85
- Aurelien Drezet………………………………………..……94
- John G. Cramer………………………………..…………102
- Ole Steuernagel………………………………...…………106
APPENDICE………………………………………..….109
- La polarizzazione……………………....………..……109
- L’esperimento a scelta ritardata……………...……111
Bibliografia / Sitografia……………………………...…121
“Si può trovare la verità con la logica,
soltanto se la si è già trovata
senza di essa”
G.K.Chesterton
“Per poter tracciare un limite al pensiero,
dovremmo trovare concepibili entrambi
i versanti di quel limite…dovremmo
essere in grado di pensare quel
che non è pensabile”
Ludwig Wittgenstein
Prefazione
Affidandoci a quanto sostenuto da Abraham Pais ne “Il danese
tranquillo” (una biografia del celebre fisico danese, Niels Bohr),
il termine “complementarità” compare per la prima volta in un
appunto del 10 luglio 1927 (nella corrispondenza di Bohr, tale
termine lo si ritrova in un lettera indirizzata a Wolfgang Pauli,
scritta il mese successivo, ossia nell’agosto del 1927). Sempre
secondo Pais, può darsi che Bohr abbia deciso di utilizzarlo nel
corso di una gita in barca con amici. Il fatto è che da allora,
dopo quasi un secolo di storia (buio e breve nella visione di E.J.
Hobsbawm, a causa delle due grandi guerre mondiali, ma
parallelamente luminoso e ben promettente, a parere di molti
altri storici e scienziati, in relazione all’incessante evoluzione
nel campo della scienza e della tecnologia), quel termine tanto
amato da Bohr (Contraria sunt complementa, riporta lo stemma
araldico della sua famiglia, da egli stesso disegnato), non ha mai
smesso di stimolare la curiosità e l’ingegno di migliaia di
filosofi e scienziati, in ogni parte del mondo. Tutti
forsennatamente alla ricerca di una prova decisiva, ultima,
fondamentale, ma soprattutto rigorosamente sperimentale, di
quel principio definito da un termine che sembrerebbe legato ad
ogni aspetto della realtà fisica: il principio di complementarità.
“Non cercate di capire ciò che sta nel cuore della luce (ossia i
suoi aspetti più profondi ed intrinsechi), ciò non ha alcun senso;
poiché da una parte sembra impossibile conciliare le due
immagini di onda e particella, e dall’altra (e questo è il punto
chiave), non abbiamo alcun mezzo per poter decidere, a livello
sperimentale, se orientarci a favore di una o dell’altra ipotesi”;
tali considerazioni, esposte in più occasioni da Bohr verso la
fine degli anni venti (agli albori dell’Interpretazione di
Copenhagen), quasi a titolo di monito per tutti coloro che
avessero voluto intraprendere un cammino lungo e irto di
ostacoli fisici, logici e matematici (che alla fine si sarebbe
rivelato del tutto infruttuoso) verso una verità estremamente
lontana ed indimostrabile (Gödel docet), evidentemente non
furono mai prese seriamente in considerazione da molti fisici di
allora, come del resto neppure da molti fra quelli di oggi. Infatti,
per ciò che riguarda la ricerca sperimentale, gli esperimenti che
si sono susseguiti nel corso degli anni ( o meglio dei decenni,
visto che cominciarono già verso l’inizio degli anni trenta),
soprattutto nel campo dell’ottica quantistica, oltre che ad aprire
nuove strade e prospettive in seno alle attuali e future
applicazioni tecnologiche, hanno anche gettato le basi per una
nuova visione ed interpretazione del principio di
complementarità.
Uno di questi esperimenti (nel campo dell’ottica quantistica),
considerato da molti teorici e ricercatori, il più controverso (ma
al contempo anche geniale ed “intrigante”) degli ultimi venti-
trent’anni, è l’ormai noto: Esperimento di Afshar (proposto al
grande pubblico dalla rivista New Scientist, in forma
divulgativa, durante l’estate del 2004).
Quello del fisico iraniano-americano Shahriar Sadigh Afshar , è
un esperimento che negli ultimi dieci anni (il primo esperimento
di Afshar, risale infatti al 2001), ha suscitato infinite critiche e
dibattiti vari nella comunità dei fisici, poiché sembrerebbe
inficiare le basi stesse del principio di complementarità di Bohr;
facendo così tremare la terra sotto ai piedi (come accadde nel
1927, quando si gettarono le basi per una nuova fisica, con
l’Interpretazione di Copenhagen) all’intera comunità scientifica
di fisici teorici e ricercatori. L’importanza di tale esperimento,
dovuta ai suoi profondi risvolti, sia in ambito scientifico che
filosofico, non è mai stata però pienamente riconosciuta
dall’intera comunità scientifica; per certi aspetti quindi, una
parte di tale comunità, ha largamente sottovalutato le
implicazioni dell’esperimento di Afshar (o in ogni caso le ha
“ liquidate” , appellandosi alle leggi della buona, vecchia e cara
meccanica quantistica che quando occorre, con le sue ferree
leggi del tutto contro-intuitive per la mente umana, ma
inoppugnabili da un punto di vista prettamente matematico,
mette sempre tutto a tacere nel modo più elegante possibile).
Con questo breve saggio sull’esperimento di Afshar, ho cercato
semplicemente di raccogliere una serie di critiche nei confronti
dell’esperimento in questione, elaborate (spesso con grande
rigore matematico) da diversi fisici (alcuni famosi, altri un po’
meno), con l’unico scopo di dare al lettore interessato
all’argomento in questione, un quadro un po’ più nitido e
completo di come attualmente fisici e filosofi, tendano a volgere
il loro sguardo verso l’intramontabile principio di
complementarità.
Fausto Intilla,
Cadenazzo, 3 agosto 2012
Il mondo dei quanti
“Essendo fondate su concetti, ipotesi ed esperimenti,
le leggi non hanno accuratezza e attendibilità maggiori
della formulazione delle definizioni o
dell’accuratezza ed estensione degli esperimenti
che ne sono il supporto”
Gerald Holton
Il titolo di questo libro non lascia spazio ad alcun dubbio; il
tema trattato tra le pagine che vi appresterete a leggere, è quello
relativo ad un famoso esperimento di ottica quantistica1
,
realizzato per la prima volta all’ “Institute for Radiation-Induced
Mass Studies - (IRIMS)” di Boston nel 2001 (ed in seguito
riprodotto presso l’università di Harvard nel 2003), per mano di
un fisico iraniano-americano di nome: Shahriar Sadigh Afshar
(di cui darò qualche cenno biografico più avanti nel libro).
Tuttavia, per ovvi motivi, prima di iniziare ad addentrarmi nel
nocciolo di tale contesto-argomento scientifico, occorre che dia
al lettore, in procinto di inoltrarsi in questo campo della fisica
estremamente arduo e complesso, perlomeno alcune nozioni
relative ai principi di base (che regolano il mondo dell’ottica
quantistica), sui quali si fonda l’esperimento e la logica fisico-
matematica sostenuti da Shahriar Afshar.
La teoria dei quanti ha preso vita quando Max Planck, nel 1900,
durante le sue ricerche sulla radiazione del corpo nero, avanzò
l’ipotesi che la radiazione non venga emessa sotto forma di onda
1
L'ottica quantistica è una branca della fisica che studia l'interazione della
luce con la materia dal punto di vista della meccanica quantistica.
continua, ma di pacchetti discreti detti quanta, o quanti. Questi
ultimi, nella loro “quantità”, sono discreti; ossia rappresentano
una quantità di energia finita. Da un punto di vista sperimentale,
non è però possibile localizzarli in un punto ben preciso. Essi
infatti tendono ad occupare tutto lo spazio e ciò indica che la
loro spazialità, è dunque continua.
I quanti, mostrano quindi una certa analogia con le particelle,
per ciò che concerne il concetto di quantità; ma risultano inoltre
paragonabili a dei campi, se definiti in seno alla loro spazialità.
Ci si è dunque accorti che le onde elettromagnetiche non sono
veramente delle onde, perché non posseggono una continuità sul
piano della quantità. Inoltre, questi minuscoli “puntini di luce”,
chiamati in seguito fotoni, non sono nemmeno definibili come
particelle classiche, visto che la loro spazialità è continua.
La tabella riportata qui di seguito, mostra le differenze tra
quanti, campi e particelle:
Elemento Quantità Spazialità
Quanto discreta continua
Campo continua continua
Particella discreta discreta
Nel momento in cui si scopre che anche l’elettrone (che si
riteneva fosse una particella classica), presenta una certa
continuità spaziale, si assume l’idea che anch’esso, come il
fotone, sia da considerarsi un quanto. Dalla struttura dualista
delle onde (o dei campi) e delle particelle, ben presto prende
forma un modello, composto dal solo concetto di quanto (che
getta le basi della moderna meccanica quantistica).
Nei primi anni in cui venne proposta la teoria quantistica, nella
descrizione dei quanti, si parlava di dualità onda-particella. Si
pensava infatti che i quanti fossero contemporaneamente, sia
particelle che onde; ma ciò ovviamente non poteva rientrare in
un contesto descrittivo della realtà, del tutto coerente e
razionale. Dopo qualche anno, i fisici arrivarono dunque alla
conclusione che i quanti non sono né onde e né particelle, anche
se in alcune condizioni possono comportarsi in modo simile alle
onde oppure alle particelle.
Nel 1920 si compiono esperimenti di interferenza con dei quanti
(elettroni), e si scopre che il loro comportamento è simile a
quello dei raggi X. Per i fisici di allora, fu un fatto davvero
sorprendente, visto che fino a poco tempo prima, le interferenze
e la diffrazione venivano considerati come dei fenomeni
puramente ondulatori. A quel punto, diventa quindi importante,
per i fisici impegnati in tale ambito di ricerche, realizzare
ulteriori esperimenti (con apparati di misurazione operanti con
un solo quanto alla volta), affinché i risultati sperimentali
potessero essere confrontati con quelli teorici. Molti anni dopo,
quando ormai gli sviluppi della tecnologia lo permettevano, si
iniziò dunque con i primi esperimenti di interferenza quantistica,
in cui i “reagenti” fondamentali fossero le particelle di materia.
L'esperimento della doppia fenditura fu eseguito per la prima
volta utilizzando elettroni da Claus Jönsson dell'Università di
Tubinga nel 1961. Fu quindi ripetuto nel 1974 a Bologna da Pier
Giorgio Merli, Gianfranco Missiroli e Giulio Pozzi, che però
inviarono un elettrone alla volta sulla lastra fotografica. L'idea di
Merli e dei suoi collaboratori fu quella di utilizzare un
microscopio elettronico sia come interferometro che come
sorgente di elettroni, facendo passare gli stessi attraverso un
biprisma elettronico, come originariamente concepito da
Gottfried Möllenstedt. I risultati dell'esperimento del 1974,
nonostante fossero stati pubblicati e nonostante fosse anche stato
realizzato un documentario in proposito, andarono pressoché
ignorati, tant'è che, quando nel 1989 Akira Tonomura e
collaboratori ripeterono l'esperimento, lo si considerò
erroneamente il primo ad aver verificato questo risultato
previsto dalla meccanica quantistica.
I primi esperimenti in cui si utilizzano neutroni, dovuti ad
Helmut Rauch, risalgono al 1974. In questo caso si utilizzò un
cristallo di silicio per sfruttare la diffrazione di Bragg ed avere
due fasci neutronici coerenti da inviare all'interferometro. Molti
anni dopo, Rauch costruì un interferometro per neutroni ultra-
freddi, eseguendo così un esperimento che spianò la strada a
molti altri esperimenti simili, eseguiti con gli atomi. Con tali
esperimenti, si arrivò ad una più precisa verifica della linearità
della meccanica quantistica, oltre che ad un bellissimo
esperimento di diffrazione con doppia fenditura, eseguito con un
solo neutrone alla volta nell’apparato. In tale esperimento,
mentre un neutrone veniva registrato, il successivo risiedeva
ancora nel suo nucleo di Uranio in attesa di fissione.
Tra l’esperimento di interferenza di Rauch (con neutroni) e
quelli invece ti tipo classico (con fotoni), emerge quindi una
differenza molto importante: negli esperimenti classici, la figura
di interferenza si ottiene facendo passare molti fotoni alla volta
nell’apparato di misurazione; in tal caso l’interferenza, che
risulta essere istantanea, si spiega grazie al principio di
sovrapposizione delle onde. Nell’esperimento con neutroni di
Rauch, invece, la figura d’interferenza risulta evidente solo alla
fine di tutto il processo, sovrapponendo i punti d’impatto di
ciascun neutrone. Questo fenomeno si chiama interferenza a una
particella e contrariamente al caso classico, non è istantaneo
(basti pensare che per ottenere i risultati dell’esperimento di
interferenza con neutroni, ci sono volute ben 210 ore!).
L'interferometria con la tecnica delle due fenditure per le
particelle ha raggiunto oggi livelli di eccezionalità. Nel 1999
Anton Zeilinger e i suoi collaboratori all'università di Vienna
riuscirono ad effettuare l'esperimento di Young utilizzando
molecole di fullerene (che è circa 720 volte più pesante del
neutrone), composte da 60 atomi di carbonio. L'eccezionalità
dell'esperimento è dovuta al fatto che mai si era osservato il
dualismo onda-corpuscolo con particelle di queste dimensioni.
Composizione del fullerene (C60)
Per l’esperimento venne utilizzato un interferometro formato da
un reticolo con fenditure larghe 50 nm e distanziate di 100 nm,
con una lunghezza d’onda di De Broglie del fullerene di 2.5 pm.
I risultati ottenuti sperimentalmente, coincidevano perfettamente
con i calcoli teorici.
Nel 2003 gli stessi autori hanno esteso l'esperimento di
interferenza a molecole più pesanti, le tetrafenilporfirine o
fluorofullereni con 60 atomi di carbonio e 48 di fluoro,
confermando ancora una volta l'evidenza del dualismo. Gli
esperimenti proseguono attualmente, sempre all'università di
Vienna, sotto la direzione di Markus Arndt. La tecnica
sperimentale sviluppata da questi autori fa uso di un
interferometro di Talbot-Lau e costituisce una profonda
innovazione nel campo dell'interferometria, oltre ad aver
dimostrato il dualismo onda-corpuscolo con oggetti molto vicini
al mondo macroscopico.
La particolarità degli esperimenti di interferenza come quelli sin
qui esposti ha motivato diverse interpretazioni dei risultati. Si
tratta di risultati contro-intuitivi, in cui i concetti classici di onda
e particella sembrano in qualche modo combinarsi per fornire
qualcosa che sfugge al senso comune. La conseguenza di ciò è
che si sono sviluppate interpretazioni della meccanica
quantistica diverse dalla classica interpretazione di Copenaghen,
che cercano di dare un'interpretazione dei fenomeni osservati
che si adatti anche agli schemi di comprensione più usuali. Da
un punto di vista strettamente sperimentale non è possibile
decidere quale sia l'interpretazione corretta, ma coesistono tutte,
ognuna con i suoi pro e contro.
L’interferometro di Mach-Zehnder:
Un apparato semplice di misurazione per comprendere meglio le
interferenze quantistiche, è l’interferometro di Mach-Zehnder.
Si tratta di un interferometro a divisione di ampiezza, costituito
da due specchi e da due beam splitter. Le onde all'interno del
sistema percorrono due strade differenti; la differenza di
cammino ottico può essere introdotta da una piccola asimmetria
in uno dei beam splitter. Visto che i due percorsi sono separati,
tale interferometro è difficile da allineare. Le sue applicazioni
sono molto numerose: generalmente lungo uno dei due percorsi
viene inserito un oggetto, ad esempio un vetro, che produce una
differenza di cammino ottico. Conoscendo tale differenza, è ad
esempio possibile calcolare l'indice di rifrazione del mezzo
interposto. Prima di arrivare all’interferenza quantistica vera e
propria, cerchiamo innanzitutto di capire il funzionamento di
questo interferometro, attraverso la spiegazione di quattro
semplici esperimenti.
Il primo esperimento consiste nell’inviare, una alla volta, una
grande quantità di particelle su uno specchio semitrasparente
(che rifletta o lasci passare le particelle in modo aleatorio). Nel
nostro caso, la particella che lo raggiunge viene trasmessa o
riflessa con una probabilità di
ଵ
ଶ
. Due rilevatori posti dopo il
separatore indicano quale delle due vie è stata presa (Fig.1: S=
particelle inviate; BS= specchio semitrasparente; T= particelle
trasmesse e R= particelle riflesse).
Fig.1
Nello schema (fig.1), lo specchio utilizzato, è di tipo semitrasparente.
In questo semplicissimo esperimento, emergono due fatti assai
interessanti: il primo è che i due rilevatori collocati ai due lati
dello specchio semitrasparente non si attivano mai
contemporaneamente; ciò significa che ogni particella viene o
riflessa o trasmessa, e che dunque non è possibile assistere ad
entrambi gli eventi (riflessione e trasmissione) nello stesso
identico momento. Il secondo, è che ciascuno dei due rilevatori
riceve esattamente la metà delle particelle inviate inizialmente.
Nel secondo esperimento, a ciascuna uscita del primo specchio
semitrasparente viene posto un altro specchio separatore. In
questo caso sarà quindi necessario mettere quattro rilevatori, al
posto dei due utilizzati nel caso precedente. Ogni rilevatore, ci
indicherà dunque quale percorso è stato preso da ogni particella.
I possibili tragitti delle particelle sono quattro:
TT: particelle trasmesse da entrambi gli specchi.
TR: particelle trasmesse dal primo specchio e riflesse dal
secondo.
RT: particelle riflesse dal primo specchio e trasmesse dal
secondo.
RR: particelle riflesse da entrambi gli specchi.
La figura 2 riportata qui di seguito, illustra chiaramente come
viene disposto l’interferometro per questo secondo esperimento.
Fig.2
Nello schema (fig.2), tutti e tre gli specchi utilizzati, sono di tipo
semitrasparente.
La domanda che a questo punto risulta lecito porsi è la seguente:
“In quali rilevatori verranno rilevate le particelle?”. Risulta assai
difficile rispondere a questa domanda senza effettuare
l’esperimento; però esisterebbero due possibilità:
a) Le particelle potrebbero contenere delle informazioni
che le obbligano a comportarsi in un determinato modo
quando incontrano uno specchio semitrasparente. In
questo caso metà delle particelle verrebbe rilevata in TT
e l’altra metà in RR; ma nessuna in RT e TR.
b) Le particelle si comportano in modo casuale quando si
trovano di fronte ad uno specchio semitrasparente. La
probabilità di essere riflessa o trasmessa, per una
particella, risulta quindi essere uguale, a prescindere
dallo specchio separatore. In ciascuno dei rilevatori,
verrà rilevato un quarto delle particelle.
Una volta formulate queste due ipotesi, possiamo in seguito
verificare quale delle due corrisponderà alla realtà,
semplicemente eseguendo l’esperimento. Dopo aver inviato una
grande quantità di particelle, si osserva il risultato
dell’esperimento e si scopre che in tutti e quattro i rilevatori è
arrivato esattamente un quarto del totale delle particelle. Da ciò
si evince che le particelle non contengono informazioni atte a far
sì che vengano riflesse o trasmesse, secondo delle regole ben
precise. Il loro comportamento, risulta dunque essere aleatorio.
Vediamo ora il terzo caso, in cui l’interferometro di Mach-
Zehnder viene disposto in modo classico (equilibrato).
L’apparecchio è composto da due specchi semitrasparenti
(uguali a quelli dei due precedenti esperimenti) e da due specchi
perfetti (uno specchio perfetto è uno specchio che riflette tutte le
particelle che lo colpiscono, senza lasciarne passare alcuna), che
permettono di reindirizzare le particelle uscite dal primo
specchio semitrasparente verso il secondo. In questo modo, una
delle due uscite del secondo separatore corrisponde ai percorsi
RT o TR, mentre l’altro corrisponde ai percorsi RR o TT.
Conoscendo i risultati del secondo esperimento, la disposizione
di specchi e rilevatori in questo caso, non sembrerebbe porre dei
problemi particolari. Visto che nel percorso RT era stato rilevato
il 25% delle particelle, così come nel percorso TR, in questo
esperimento, all’uscita RT o TR, ci aspetteremo la seguente
ripartizione percentuale; ossia: 25% + 25% = 50% di particelle
(ovviamente, l’altro 50% dovrà trovarsi all’uscita TT o RR).
Riassumendo, in base alle nostre previsioni teoriche, il 50%
delle particelle verrà captato all’uscita RT o TR, mentre l’altro
50% prenderà l’uscita TT o RR.
Fig.3
Nello schema (fig.3), i due specchi perfetti sono posti uno nell’angolo
in alto a destra, e l’altro nell’angolo in basso a sinistra; gli altri due
(ossia il primo e l’ultimo) sono specchi semitrasparenti.
Curiosamente però, se eseguiamo l’esperimento così come
indicato nella figura 3, notiamo che questa previsione non si
avvera. Ciò che si osserva invece, ad esperimento avvenuto, è
che tutte le particelle vengono rilevate all’uscita RT o TR.
Esisterà una spiegazione logica e razionale, in grado di far luce
su questo strano comportamento delle particelle?
Siccome le particelle vengono inviate una dopo l’altra (e non
tutte assieme), risulta impossibile che il risultato sia determinato
da scontri fra particelle (e neppure da scontri tra frammenti di
particelle, visto che queste ultime non sono divisibili; come
abbiamo già potuto appurare sin dal primo esperimento). Non è
dunque possibile trovare una risposta oggettiva a questa
domanda. Tuttavia, per poterci avvicinare alla comprensione di
questo strano fenomeno fisico, e dunque cercare di dare una
risposta accettabile alla succitata domanda, possiamo eseguire
un altro esperimento.
Nel prossimo (ed ultimo) esperimento che sto per esporvi, i
percorsi che possono prendere le particelle, sono di uguale
lunghezza. A questo punto però, modifichiamo uno dei percorsi,
come indicato nella figura 4:
Fig.4
Nello schema (fig.4), gli unici specchi semitrasparenti sono: il primo
(ossia quello nell’angolo in alto a sinistra), e l’ultimo (ossia quello
nell’angolo in basso a destra, vicino ai rilevatori). Tutti gli altri sono
degli specchi perfetti.
Appena la lunghezza dei due percorsi differisce di poco, qualche
particella (pochissime se la differenza di percorso è molto
piccola) comincia a prendere il percorso TT o RR. Quando i due
percorsi differiscono di una certa lunghezza L, tutte le particelle
prenderanno l’uscita TT o RR. Se dovessimo continuare ad
aumentare questa lunghezza, si avrebbe l’effetto inverso. Una
volta raggiunta una differenza di percorso di 2L, tutte le
particelle si troverebbero in RT o TR, e così via se si allunga
ancora il percorso. Si tratta ovviamente di un risultato a dir poco
sconvolgente, che porta inevitabilmente alla seguenti domande:
“Ma come è possibile che modificando uno solo dei due
percorsi, si riesca a modificare il comportamento di tutte le
particelle?”; “Come hanno fatto le particelle che sono passate
dal percorso non modificato, ad accorgersi del cambiamento?”.
Eppure è proprio ciò che si osserva in quest’ultimo esperimento.
A questo punto dobbiamo concludere che ogni particella è
informata, non si sa come, su tutti i possibili percorsi che
potrebbe prendere (come se li percorresse entrambi). Nel primo
esperimento comunque, ciò non accade. Ma un fatto ancora più
inquietante di questo è che, se cerchiamo di scoprire quale
percorso è stato preso da una particella, allora lo strano effetto
che abbiamo appena visto scompare e si ottiene ancora come
risultato, un 50% di particelle in TR o RT e un 50% in TT o RR
(a prescindere dalla differenza di percorso). Questo bizzarro
comportamento delle particelle ha un nome: si parla di
interferenza a una particella o del fatto che la particella
interferisce con se stessa.
Il principio d’indiscernibilità:
Molti studiosi e ricercatori sembrerebbe che abbiano rinunciato
a cercare di trovare una spiegazione al genere di fenomeni che
abbiamo appena visto; tutti però concordano su un principio che
si limita a descrivere ciò che si osserva, comunemente noto
come: principio di indiscernibilità. Secondo questo principio: Le
interferenze appaiono quando una particella può seguire più
percorsi per arrivare allo stesso rilevatore e quando il suo
tragitto risulta essere indiscernibile dopo il rilevamento.
Cerchiamo di capire questo principio sulla base di ciò che
abbiamo visto finora. Nei primi due esperimenti, c’è solo un
percorso che porta a ciascun rilevatore; quindi, una volta rilevata
una particella, sappiamo esattamente quale percorso ha seguito.
In questo caso quindi il percorso è discernibile, e non si verifica
nessun fenomeno d’interferenza. Negli ultimi due esperimenti
invece (utilizzando le classiche disposizioni di un interferometro
di Mach-Zehnder), una volta che la particella è stata rilevata
dopo il secondo specchio semitrasparente, non possiamo in
alcun modo sapere quale percorso ha seguito (dato che per ogni
rilevatore, sono possibili due percorsi).In questo caso i due
percorsi sono indiscernibili, e si osservano dei fenomeni
d’interferenza. Inoltre, se negli esperimenti 3 e 4, rileviamo la
presenza di una particella in uno dei due percorsi, l’interferenza
scompare. Questo accade perché i percorsi non sono più
indiscernibili.
Principi di fisica quantistica:
Per descrivere i fenomeni che si verificano all’interno
dell’interferometro di Mach-Zehnder (esperimenti 3 e 4),
necessitiamo dei seguenti elementi (propri del formalismo
logico-matematico):
a) Una notazione per descrivere “la particella si propaga
lungo l’asse x” e “la particella si propaga lungo l’asse
y”; questo corrisponde a descrivere lo stato della
particella, in relazione alla proprietà: direzione di
propagazione.
b) Una descrizione degli specchi separatori (o beam-
splitters) e degli specchi perfetti; questo corrisponde a
descrivere l’evoluzione dello stato delle particelle in
presenza degli specchi.
c) Un modo per descrivere la differenza di percorso; questo
corrisponde a descrivere l’evoluzione dello stato delle
particelle in presenza di una modifica di percorso (tale
modifica, o differenza di percorso, è detta anche fase).
d) Una regola che ci permetta di calcolare le probabilità che
hanno le particelle di essere rilevate in un rilevatore o
nell’altro (ossia nel rilevatore associato alla
propagazione nella direzione x, oppure in quello
associato alla propagazione nella direzione y).
Iniziamo dunque a considerare lo stato di propagazione, notando
con⎹	‫ۧݔ‬ la particella che si propaga lungo l’asse x, e con⎹	‫ۧݕ‬ la
particella che si propaga lungo l’asse y. Questi due stati,
ortogonali tra loro per costruzione, costituiscono una base di
Hprop = C2
, relativa allo spazio degli stati di propagazione.
Nel seguente modo invece, descriviamo l’evoluzione con gli
specchi (ossia l’azione che ogni specchio compie):
⎹	‫ۧݔ‬ 	→	ඥ‫ۧݔ	⎹ݐ‬	+ ݅	ඥ‫ۧݕ	⎹ݎ‬
⎹	‫ۧݕ‬	→	ඥ‫ۧݕ	⎹ݐ‬	+ ݅	ඥ‫	ۧݔ	⎹ݎ‬
I valori t e r sono rispettivamente le probabilità che la particella
ha di essere trasmessa o riflessa quando raggiunge uno specchio
separatore. Queste probabilità devono rispettare la seguente
condizione, definita dall’equazione: t + r = 1.
Uno specchio perfetto si descrive quindi nel seguente modo
(dato che t = 0 e r =1):
⎹	‫ۧݔ‬	→ 	݅⎹	‫ۧݕ‬
⎹	‫ۧݕ‬	→ 	݅⎹	‫ۧݔ‬
Se consideriamo lo specchio semitrasparente utilizzato nel
terzo esperimento (fig.3), ovvero uno specchio
semitrasparente equilibrato (ovvero uno specchio in grado
di trasmettere esattamente la metà delle particelle e di
riflettere tutte le altre), avremo che t = r =
ଵ
ଶ
; dunque
possiamo scrivere:
⎹	‫ۧݔ‬	→	
ଵ
√ଶ
	(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬
⎹	‫ۧݕ‬	→	
ଵ
√ଶ
	(⎹	‫ۧݕ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݔ‬
Una differenza di percorso all’interno dell’interferometro, si
traduce in un fattore di fase ݁௜థ
, inserito nell’espressione
matematica rappresentante il percorso modificato. Se è il
percorso x si ottiene:
⎹	‫ۧݔ‬ 	→		݁௜థ
⎹	‫ۧݔ‬
⎹	‫ۧݕ‬	→ ⎹	‫ۧݕ‬
Il valore della fase ϕ è proporzionale alla lunghezza L della
differenza di percorso.
La probabilità che la particella venga rilevata nel rilevatore
orientato lungo l’asse x, rispettivamente y, corrisponde al
modulo al quadrato del numero complesso che moltiplica⎹	‫ۧݔ‬ ,
rispettivamente⎹	‫.ۧݕ‬ Se è dato lo stato:
⎹	߰ۧ = ߙ⎹	‫ۧݔ‬	+ 		ߚ⎹	‫ۧݕ‬
allora si ottiene:
Prob.(x) è uguale a:
⃦	ܲ⎹	௫ۧ	⎹	߰ۧ			⃦ଶ
= 		⃦⎹	‫⃦			ݔ	ۦ	ۧݔ‬	߰ۧ				⃦ଶ
=
⃦⎹	‫⃦				ۧݔ‬ଶ
			⃦	‫⃦				ۧ߰	⎹ݔ	ۦ‬ଶ
=		|ߙ|ଶ
Prob. (y) è uguale a:
⃦	ܲ⎹	௬ۧ	⎹	߰ۧ			⃦ଶ
= 		⃦⎹	‫⃦			ݕ	ۦ	ۧݕ‬	߰ۧ				⃦ଶ
=
⃦⎹	‫⃦				ۧݕ‬ଶ
			⃦	‫⃦				ۧ߰	⎹ݕ	ۦ‬ଶ
=		|ߚ|ଶ
Fig.5
Nello schema (fig.5), gli specchi semitrasparenti sono indicati con
BS1 e BS2, mentre i due specchi perfetti sono indicati con M.
Il percorso seguito dalla particella partita dal cammino x, ossia
nello stato⎹	‫ۧݔ‬ , si può descrivere nel seguente modo:
⎹	‫ۧݔ‬	
஻ௌଵ
ሱۛሮ		
1
√2
	(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬
௙௔௦௘
ሱۛሮ		
1
√2
	(݁௜థ
⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬
ெ
→		
1
√2
	(݁௜థ	
݅⎹	‫ۧݕ‬ − ⎹	‫)	ۧݔ‬
஻ௌଶ
ሱۛሮ		
1
√2
	൫݁௜థ	
݅⎹	‫ۧݕ‬ −	݁௜థ	
⎹	‫	ۧݔ‬൯ −	
1
2
		(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬
=
1
2
	൫−1 −	݁௜థ	
൯⎹	‫ۧݔ‬	+	
1
2
	(−1 +	݁௜థ	
)	݅⎹	‫ۧݕ‬
	=(∗)
	− ݁	
௜థ
ଶ 	ܿ‫	ݏ݋‬
߶
2
⎹	‫ۧݔ‬		+		݁	
௜థ
ଶ 	‫	݊݁ݏ‬
߶
2
⎹	‫		ۧݕ‬
Dove per (*) è stato utilizzato:
cos ߙ =
ଵ
ଶ
(݁௜ఈ
+	݁ି௜ఈ
) e sin ߙ =
ଵ
ଶ
݅(݁ି௜ఈ
−	݁௜ఈ
)
Si può riassumere ciò che abbiamo appena visto dicendo che lo
stato della particella si modifica nell’interferometro di Mach-
Zehnder nel seguente modo:
⎹	‫ۧݔ‬	
ெି௓
ሱۛሮ		−݁	
௜థ
ଶ 	ܿ‫	ݏ݋‬
߶
2
⎹	‫ۧݔ‬		+		݁	
௜థ
ଶ 	‫	݊݁ݏ‬
߶
2
⎹	‫		ۧݕ‬
Infine, le probabilità di osservare la particella nei rilevatori Dx e
Dy sono:
Prob. (x) = cos2 థ
ଶ
	=	
ଵ	ା	ୡ୭ୱథ
ଶ
Prob. (y) = sen2 థ
ଶ
	=		
ଵ	ିୡ୭ୱ థ
ଶ
A questo punto possiamo notare che:
1) Con ϕ = 0 , come nel risultato sperimentale, tutte le
particelle prendono l’uscita x.
2) Variando ϕ, la probabilità di una particella di trovarsi in
y aumenta gradualmente finché si ottiene Prob.(y) = 1 e
poi diminuisce ancora.
Fig.6
Grafico della variazione della probabilità di rilevazione in funzione di
ϕ. La sinusoide partente da 1, rappresenta la Prob.(x); mentre la
sinusoide partente da 0, rappresenta la Prob.(y).
Ed ecco descritto , secondo il formalismo di Dirac,
l’esperimento eseguito con l’interferometro di Mach-Zehnder
concernente l’interferenza a una particella. Si osserva che
l’effetto d’interferenza è dovuto al fatto che dopo il primo
specchio semitrasparente (BS1), la particella si trova nello stato
di sovrapposizione:
ଵ
√ଶ
	(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬ ; ciò coincide
all’esplorazione dei due percorsi e produce in seguito, dopo il
ricongiungimento dei percorsi in BS2 (secondo specchio
semitrasparente), lo stato finale di sovrapposizione.
Which-way detector:
Per poter conoscere il percorso che è stato preso dalla particella,
si possono porre dei sensori DA e DB (come indicato in fig.7)
Fig.7
In questo caso, anche se i rilevatori non modificano in alcun
modo lo stato della particella, l’effetto di interferenza quantistica
scompare. Infatti la conoscenza del percorso coincide con la
certezza che la particella si trova ad esempio in DA ; in tal caso il
suo stato non è più lo stato di sovrapposizione:
1
√2
	(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬
Esso infatti diventa⎹	‫ۧݔ‬ , e quindi dopo il secondo specchio
semitrasparente abbiamo:
⎹	‫ۧݔ‬	
஻ௌଶ
ሱۛሮ		
1
√2
	(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬
Da cui troviamo le probabilità Prob.(x) = Prob.(y) =
ଵ
√ଶ
. In
modo analogo, la stessa relazione vale anche se la particella è
rilevata in DB. La conoscenza del percorso e l’interferenza
quantistica, sono due aspetti che non possono essere osservati
nello stesso momento.
Which-way entangler:
Come abbiamo visto, nel caso in cui poniamo dei sensori che
rilevano direttamente la presenza di una particella in un dato
percorso, l’interferenza quantistica scompare. Per conoscere il
percorso preso da una particella, senza compiere direttamente
delle misure sulla stessa, possiamo misurarlo indirettamente,
usando un modello chiamato which-way entangler; nel quale la
misura effettiva (nel senso di conoscerne il risultato) non è
necessaria. Sarà la semplice possibilità di ottenere questa
informazione, all’origine della perdita delle interferenze.
Queste misure si possono effettuare in diversi modi; vedremo di
seguito come compierle nel caso di un fotone prima (sfruttando
la sua polarizzazione) e in quello di un atomo dopo (sfruttando il
suo livello di energia). Cercheremo dunque di scoprire se il fatto
che la conoscenza del percorso e relativa interferenza
quantistica, da cui è possibile stabilire la natura complementare
di detti eventi, sia dovuto al modo di misurare il passaggio di
una particella in un dato punto, o se si tratta di qualcosa che
avviene indipendentemente dal metodo di misura.
Per prima cosa, analizziamo un which-way entangler usato per
conoscere il percorso di un fotone, e dunque utilizzato per fare
esperimenti con la luce. Per cercare di scoprire il percorso
imboccato da ciascun fotone, effettuiamo il seguente
esperimento con l’interferometro di Mach-Zehnder (come
indicato in fig.8). Nello schema, possiamo notare che su uno dei
percorsi, è stato aggiunto un rotatore di polarizzazione. In tal
modo si potranno distinguere i vari percorsi seguiti dai fotoni.
Infatti, se un fotone percorre il tragitto sul quale è stato
posizionato il rotatore di polarizzazione, alla fine avrà una
polarizzazione diversa da quella iniziale.
Fig.8
Nello schema (fig.8) abbiamo un interferometro di Mach-Zehnder, in
cui è stato aggiunto un rotatore di polarizzazione.
Usando il formalismo matematico, descriviamo il percorso di un
fotone tenendo conto anche della polarizzazione dello stesso.
Possiamo scrivere lo stato iniziale del fotone con polarizzazione
orizzontale come:
⎹	߰௜௡ۧ		= ⎹	‫ۧݔ‬			⊗ 	⎹	‫ۧ	ܪ‬
Dove ⎹	‫ۧݔ‬ rappresenta la direzione di propagazione (asse x) e
⎹	‫ۧ	ܪ‬ la polarizzazione (orizzontale). Vediamo ora l’evoluzione
dello stato del fotone nell’apparecchio:
⎹	‫ۧݔ‬			⊗ 	⎹	‫ۧ	ܪ‬
஻ௌଵ
ሱۛሮ			
ଵ
√ଶ
	(⎹	‫ۧݔ‬	+ ݅⎹	‫)	ۧݕ‬		⊗ ⎹	‫ۧ	ܪ‬
ெ
→			
1
√2
	(݅⎹	‫ۧݕ‬	− ⎹	‫)	ۧݔ‬		⊗ ⎹	‫ۧ	ܪ‬
ఈ
→			
1
√2
	(݅⎹	‫ۧ	ݕ‬		⊗ ⎹	ߙ	ۧ	− ⎹	‫ۧ	ݔ‬	⊗ ⎹	‫)	ۧ	ܪ‬
஻ௌଶ
ሱۛሮ			
1
2
	[(݅⎹	‫ۧ	ݕ‬		⊗ (⎹	ߙ	ۧ − ⎹	‫)	ۧ	ܪ‬ −	⎹	‫ۧ	ݔ‬	⊗ (⎹	ߙ	ۧ + ⎹	‫])	ۧ	ܪ‬
=
ଵ
ଶ
	[−⎹	‫⎹(		ۧ	ݔ‬ ⊗	ۧ	ߙ	 + ⎹	‫)	ۧ	ܪ‬ + 	݅⎹	‫ۧݕ‬ ⊗ (⎹	ߙ	ۧ − ⎹	‫])	ۧ	ܪ‬
E otteniamo quindi che Prob.(x) è uguale a:
⃦	ܲ⎹	௫ۧ	⎹	߰௢௨௧ۧ			⃦ଶ
= 		⃦⎹	‫⎹ݔ	ۦ	ۧ	ݔ‬		⊗ 	‫߰⎹ܫ‬௢௨௧ۧ			⃦ଶ
=	
1
4
			⃦⎹	‫ۧ	ݔ‬	⊗	(⎹	ߙ	ۧ + ⎹	‫⃦			)	ۧ	ܪ‬ଶ
=	
1
4
			⃦⎹	ߙ	ۧ + ⎹	‫⃦			ۧ	ܪ‬ଶ	
	=		
1
4
	(2 + 2	 cos ߙ	)	
=		
1
2
	(1 +	cos ߙ	)
Mentre Prob.(y) sarà uguale a:
⃦	ܲ⎹	௬ۧ	⎹	߰௢௨௧ۧ			⃦ଶ
= 		⃦⎹	‫⎹ݕ	ۦ	ۧ	ݕ‬		⊗ 	‫߰⎹ܫ‬௢௨௧ۧ			⃦ଶ
=	
1
4
			⃦⎹	‫ۧ	ݕ‬	⊗	(⎹	ߙ	ۧ	− ⎹	‫⃦			)	ۧ	ܪ‬ଶ
=	
1
4
			⃦⎹	ߙ	ۧ	− ⎹	‫⃦			ۧ	ܪ‬ଶ	
	=		
1
4
	(2 − 2	 cos ߙ	)	
=		
1
2
	(1 −	cos ߙ	)
La visibilità delle frange d’interferenza si definisce come:
V=
௉௥௢௕	(௫)ି௉௥௢௕	(௬)
௉௥௢௕	(௫)ା௉௥௢௕	(௬)
= cos ߙ
Notiamo dunque che V = 1 quando α = 0 (ossia quando ⎹	ߙ	ۧ =
⎹	‫ۧ	ܪ‬ ; e V = 0 quando α =
గ
ଶ
( ossia quando ⎹	ߙ	ۧ = ⎹	ܸ	ۧ ).
Da tutto ciò che è stato esposto finora, è possibile notare che gli
stati ⎹	‫ۧ	ܪ‬ e ⎹	ܸ	ۧ risultano perfettamente distinguibili e la
misurazione della polarizzazione permette di risalire alla
traiettoria del fotone. Si osserva che, se α =
గ
ଶ
= ⎹	ܸ	ۧ = ⎹	
గ
ଶ
	඀ ,
dunque:
Prob.(x) = Prob.(y) =
ଵ
ଶ
Inoltre la visibilità è nulla; e ciò significa che le interferenze
quantistiche sono del tutto scomparse. Se invece α = 0 , ⎹	ߙ	ۧ =
⎹	‫ۧ	ܪ‬ = ⎹	0	ۧ , allora avremo:
Prob.(x) = 1 e Prob.(y) = 0
In questo caso la visibilità non è più nulla, ed il suo valore è 1.
Notiamo che non è possibile conoscere con certezza il percorso
intrapreso dal fotone e contemporaneamente la sua destinazione.
Infatti, se conosciamo con certezza la sua polarizzazione⎹	ܸ	ۧ
oppure⎹	‫,ۧܪ‬ l’interferenza quantistica scompare completamente.
Se invece sappiamo con certezza che il fotone arriva all’uscita
TR o RT (interferenza), non potremo conoscere il percorso che
esso ha seguito. Nel caso in cui α ≠	
గ
ଶ
, l’interferenza sarà solo
parziale e la visibilità compresa tra 0 e 1.
Anche in questo caso possiamo affermare che i concetti di
interferenza quantistica e conoscenza del percorso sono
complementari (ciò non dipende quindi dal metodo di
misurazione del percorso intrapreso dal fotone). Si può dunque
enunciare il principio di complementarietà come segue:
In determinate situazioni, due o più informazioni non possono in
alcun modo essere conosciute contemporaneamente; o se ne
conosce una, o si conosce l’altra. Queste informazioni sono
dette complementari.
Which-way entangler con atomi:
Siccome la polarizzazione è una caratteristica specifica della
luce, il modello di which-way entangler con polarizzazione visto
precedentemente, non funziona con tutte le particelle. Vediamo
ora un modello di interferometro adatto al caso in cui vengano
utilizzati degli atomi, al posto dei fotoni.
Si consideri ancora la stessa disposizione dell’interferometro
usato nell’esperimento con i due sensori (rilevatori) DA e DB
(fig.7), ma con una piccola modifica: i rilevatori DA e DB non
rilevano direttamente il passaggio di una particella, ma fanno sì
che quest’ultima emetta un fotone quando li attraversa, e
rilevano il fotone emesso. Per fare ciò, la particella viene emessa
dalla sorgente in uno stato eccitato; quando questa attraversa
uno dei due sensori DA o DB , torna nuovamente al suo stato
fondamentale , tramite l’emissione di un fotone (confr. Fig.9):
Fig.9
Notiamo lo stato del fotone emesso come ⎹	‫ۧ	ܣ‬ o ⎹	‫,ۧ	ܤ‬ a
dipendenza del sensore che l’ha rilevato (⎹	0	ۧ significa che il
fotone non è ancora stato emesso). Lo stato ⎹	݁	ۧ sta ad indicare
che la particella si trova nel suo stato eccitato, mentre ⎹	݃	ۧ
significa che è nel suo stato fondamentale. Descriviamo ora
l’evoluzione dello stato della particella. Lo stato iniziale sarà:
⎹	߰௜௡ۧ		= ⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	0	ۧ			⊗	⎹	݁	ۧ			
⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	0	ۧ			⊗	⎹	݁	ۧ			
		
஻ௌଵ
ሱۛሮ	
1
√2
	(⎹	‫ۧݔ‬ + ݅⎹	‫)	ۧݕ‬ ⊗	⎹	0	ۧ			⊗	⎹	݁	ۧ				
஻ௌଵ
ሱۛሮ	
1
√2
	(⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	‫ۧ	ܣ‬ + 	݅⎹	‫ۧݕ‬	⊗	⎹	‫)ۧ	ܤ‬	⊗	⎹	݃	ۧ
ெ
→	
1
√2
	(݅⎹	‫ۧ	ݕ‬		⊗	⎹	‫ۧ	ܣ‬ − 	⎹	‫ۧݔ‬	⊗	⎹	‫)ۧ	ܤ‬	⊗	⎹	݃	ۧ
஻ௌଶ
ሱۛሮ	
1
2
	[(݅⎹	‫ۧ	ݕ‬ −	⎹	‫)ۧ	ݔ‬ ⊗ ⎹	‫ۧ	ܣ‬ − (⎹	‫ۧ	ݔ‬ + ݅⎹	‫)ۧ	ݕ‬	⊗	⎹	‫]ۧ	ܤ‬	⊗ ⎹	݃	ۧ
=
1
2
	[݅⎹	‫ۧݕ‬	⊗		(⎹	‫ۧ	ܣ‬	−	⎹	‫)ۧ	ܤ‬ −	⎹	‫ۧ	ݔ‬	⊗		(⎹	‫ۧ	ܣ‬ + ⎹	‫])ۧ	ܤ‬ ⊗ ⎹	݃	ۧ	
Le probabilità, saranno quindi così definite:
Prob.(x) =
ଵ
ସ
			⃦⎹	‫ۧ	ܣ‬	+ ⎹	‫	ܤ‬ۧ			⃦ଶ
=	
ଵ
ସ
	(1 + 1) =	
ଵ
ଶ
Prob.(y) =
ଵ
ସ
			⃦⎹	‫ۧ	ܣ‬ − ⎹	‫	ܤ‬ۧ			⃦ଶ
=	
ଵ
ସ
	(1 + 1) =	
ଵ
ଶ
Come nel caso del wich-way entangler con la polarizzazione,
anche qui il percorso è perfettamente conosciuto, e la figura di
interferenza scompare completamente. Anche in questo caso si
può parlare di complementarietà. Dal momento che conosciamo
esattamente il percorso preso dalla particella, l’interferenza
scompare; ma se vogliamo che essa riappaia, è sufficiente
rinunciare a conoscere il percorso seguito dalla particella.
Entanglement:
Negli esperimenti eseguiti con il wich-way entangler, abbiamo
visto che l’interferenza viene distrutta ogniqualvolta sia
possibile differenziare i percorsi presi dalle particelle. Nel caso
del fotone, ad esempio, ciò avviene quando la sua polarizzazione
viene diversificata nei due differenti percorsi; mentre nel caso
dell’atomo, come abbiamo potuto osservare nell’esperimento
mostrato in fig.9, ciò avviene nel momento in cui il fotone
emesso viene rilevato (permettendo così di risalire al punto in
cui l’atomo è rientrato nel suo stato fondamentale).
La caratteristica dello stato del fotone concernente la sua
polarizzazione, ci fornisce informazioni anche sul percorso
preso dallo stesso (e viceversa); mentre il fotone liberato
dall’atomo contiene informazioni riguardanti il percorso
intrapreso dall’atomo (e viceversa). In entrambi i casi si parla si
stato intrecciato (entangled): nel primo fra polarizzazione e
direzione di propagazione; nel secondo tra atomo e fotone.
Questo fenomeno prende il nome di entanglement quantistico.
Quantum eraser:
Abbiamo visto che la conoscenza del percorso preso dalla
particella e l’effetto d’interferenza quantistica sono due
fenomeni complementari, e dunque la conoscenza totale del
percorso ottenuta mediante l’uso del which-way entangler fa sì
che l’interferenza non si manifesti. Vediamo ora come
cancellare le informazioni concernenti il percorso intrapreso
dalla particella con un’ulteriore estensione dell’interferometro di
Mach-Zehnder, chiamata quantum eraser (o gomma quantistica).
Anche qui vedremo l’esperimento con il cancellatore
quantistico, in modo analogo ai due casi precedenti, ovvero con
i fotoni e con gli atomi. Partiamo dunque con il primo
esperimento, dove verranno utilizzati dei fotoni.
L’interferometro di Mach-Zehnder, dovrà essere posizionato in
modo uguale a quello utilizzato per conoscere il percorso di ogni
singolo fotone, con l’unica differenza che occorrerà aggiungere
dei polarizzatori dopo ciascuna uscita del secondo beam-splitter,
con un angolo di polarizzazione β uguale per entrambe le uscite.
In questo modo è possibile cancellare le informazioni sul
percorso seguito da ogni fotone (infatti tutti i fotoni che
attraversano il polarizzatore avranno una polarizzazione ⎹	ߚ	ۧ	 ,
uguale all’asse preferenziale di quest’ultimo; mentre tutti i
fotoni con polarizzazione ⎹	ߚ⏊
	ൿ saranno assorbiti o riflessi dal
polarizzatore).
Fig.10
Descriviamo a questo punto il percorso del fotone e l’evoluzione
del suo stato. Lo stato iniziale del fotone è:
⎹	߰௜௡ۧ		= ⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	‫			ۧ	ܪ‬
Visto che α =
గ
ଶ
, l’interferenza scompare completamente.
Fissando l’angolo del rotatore di polarizzazione ad α =
గ
ଶ
, la sua
azione sarà dunque: ⎹	‫ۧ	ܪ‬			
ఈ
→	⎹	ܸ	ۧ	.
⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	‫ۧ	ܪ‬			
஻ௌଵ
ሱۛሮ	
1
√2
	(⎹	‫ۧݔ‬ + ݅⎹	‫)	ۧݕ‬		⊗ ⎹	‫ۧ	ܪ‬
ெ
→	
1
√2
	(݅⎹	‫ۧݕ‬ − ⎹	‫)	ۧ	ݔ‬		⊗ ⎹	‫ۧ	ܪ‬
ఈ
→	
ଵ
√ଶ
	(݅⎹	‫ۧݕ‬		⊗ ⎹	ܸ	ۧ − 	⎹	‫ۧ	ݔ‬	⊗ ⎹	‫ۧ	ܪ‬ )	
஻ௌଶ
ሱۛሮ		
ଵ
ଶ
	[(݅⎹		‫ۧ	ݕ‬ − 	⎹	‫)	ۧ	ݔ‬		⊗ ⎹	ܸ	ۧ − (⎹	‫ۧݔ‬ + ݅⎹	‫)	ۧݕ‬		⊗ ⎹	‫]	ۧ	ܪ‬
A questo punto occorre descrivere l’azione del polarizzatore, il
quale agisce come una sorta di filtro; ovvero: più l’angolo di
polarizzazione α del fotone risulterà diverso dall’angolo β del
polarizzatore, e assai minore sarà la probabilità che il fotone
riesca a passare (con Prob(α ⏊ β ) = 0 e Prob( α	‖	β	)=	1).		
Visto	che	nel	nostro	caso	le	due	polarizzazioni	sono	⎹	ܸ	ۧ		e	
⎹	‫	ۧ	ܪ‬ ,	 le	 probabilità	 che	 i	 fotoni	 passino	 dal	 filtro	
polarizzatore	e	che	quindi	cambino	la	loro	polarizzazione	in	
β	,	saranno:		
	
Prob	(	V	)	=	sen2		(β	)	
Prob	(H	)	=	cos2	(β	)	
	
E l’azione del polarizzatore sarà:
⎹	ܸ	ۧ				
ఉ
→ 			‫	ۧ	ߚ	⎹)	ߚ(	݊݁ݏ‬
⎹	‫				ۧ	ܪ‬
ఉ
→ 			ܿ‫	ۧ	ߚ	⎹)	ߚ(	ݏ݋‬
Otteniamo	quindi:	
		
	
ఉ
→		
1
2
[(݅⎹	‫ۧ	ݕ‬ − 	⎹	‫)	ۧ	ݔ‬	⊗ (‫	)ۧ	ߚ	⎹)	ߚ(݊݁ݏ‬
−(⎹	‫ۧݔ‬ + ݅⎹	‫)	ۧݕ‬	⊗ (ܿ‫	=	])ۧ	ߚ	⎹)	ߚ(	ݏ݋‬
1
2
		[−(‫ߚ݊݁ݏ‬ + 	ܿ‫)		ߚݏ݋‬			⊗ 	⎹	‫	ݔ‬ۧ		
	+	݅	(‫ߚ݊݁ݏ‬ − 	ܿ‫	)ߚݏ݋‬⎹	‫	ݕ‬ۧ]			⊗ ⎹	ߚ	ۧ		
		
E	troviamo	le	probabilità:	
	
Prob.(x)	=		⎹	
ଵ
ଶ
	(‫ߚ݊݁ݏ‬ + 	ܿ‫⎹)		ߚݏ݋‬ଶ
			⃦	⎹	‫ݔ‬ۧ				⃦2
			⃦⎹	ߚ	ۧ			⃦2
		
=		
1
4
	(1 + 2	ܿ‫		)	ߚ݊݁ݏ	ߚݏ݋‬
	
Prob.(y)	=		⎹	
ଵ
ଶ
	(‫ߚ݊݁ݏ‬ − 	ܿ‫⎹)		ߚݏ݋‬ଶ
			⃦	⎹	‫ݕ‬ۧ				⃦2
			⃦⎹	ߚ	ۧ			⃦2
	
=		
1
4
	(1 − 2	ܿ‫	)	ߚ݊݁ݏ	ߚݏ݋‬
	
Osserviamo	 che	 le	 probabilità	 calcolate	 sono	 condizionate	 dal	
fatto	che	i	fotoni	oltrepassano	il	polarizzatore	ߚ	.	Poiché	in	ogni	
caso	 la	 metà	 di	 essi	 viene	 assorbita,	 la	 somma	 delle	
probabilità	sarà	
ଵ
ଶ
	;	e	solo	condizionandola	al	passaggio	si	otterrà	
1.	Se	il	polarizzatore	è	in	posizione	orizzontale	(β	=	0)	,	oppure	
verticale	(β	=	
గ
ଶ
	),	allora	avremo	che:	
	
Prob.(x)	=	Prob.(y)	=		
ଵ
ସ
	
	
e	 quindi	 non	 abbiamo	 l’interferenza.	 Questo	 accade	 perché	 è	
ancora	possibile	conoscere	quale	percorso	è	stato	preso	da	ogni	
fotone	giunto	sino	al	rilevatore	(la	metà	di	essi	viene	assorbita	o	
riflessa	dal	polarizzatore;	infatti	se	β	=	0	,	passano	solo	i	fotoni	
polarizzati	⎹	‫	,ۧ	ܪ‬e	viceversa	se	β	=	
గ
ଶ
	).		
Se	 invece	 ci	 avviciniamo	 al	 valore	 definito	 dal	 passaggio	
dello	 stesso	 numero	 di	 fotoni	 con	 polarizzazioni	 ⎹	‫		ۧ	ܪ‬ e		
⎹	ܸ	ۧ	(dove	β	=	
గ
ସ
	),	vediamo	che	il	fenomeno	di	interferenza	
aumenta,	fino	ad	essere	completa	quando	l’informazione	sul	
percorso	intrapreso	viene	cancellata	completamente.
Prob.(x)	=		
ଵ
ସ
	൬	1 + 2 cos ቀ
గ
ସ
ቁ ‫݊݁ݏ‬ ቀ
గ
ସ
ቁ൰ =	
ଵ
ଶ
		
	
Prob.(y)	=		
ଵ
ସ
	൬	1 − 2 cos ቀ
గ
ସ
ቁ ‫݊݁ݏ‬ ቀ
గ
ସ
ቁ൰ = 	0		
	
Si	 ricordi	 che	 la	 probabilità	 è	 Prob.(x)	 =	
ଵ
ଶ
	 ,	 perché	 l’altra	
metà	dei	fotoni	viene	assorbita	o	riflessa	dal	polarizzatore	e	
quindi	non	raggiunge	alcuna	uscita.	Se	calcoliamo	Prob.(x)	in	
relazione	 esclusivamente	 ai	 fotoni	 che	 oltrepassano	 il	
polarizzatore,	otteniamo:	
	
Prob.	(x⎹	passato)	=	1	
Prob.	(y⎹	passato)	=	0	
	
Si	 noti	 che	 lo	 stesso	 esperimento	 può	 essere	 realizzato,	
posizionando	 i	 rilevatori	 prima	 del	 cancellatore	 quantistico	
(quantum	 eraser),	 in	 modo	 tale	 che	 essi	 (rilevatori)	 lascino	
passare	 i	 fotoni	 dopo	 aver	 rilevato	 il	 loro	 passaggio	 e	 che	 la	
polarizzazione	venga	cambiata	dopo	il	rilevamento.			
	
Fig.11
Anche in questo caso il fenomeno dell’interferenza ricompare,
come se i fotoni “sapessero” che vi è il cancellatore quantistico
sul loro percorso, già prima di passare dal rilevatore. Questo tipo
di esperimento viene solitamente denominato: “Cancellatore
quantistico a scelta ritardata” ( delayed choice quantum eraser).
Anche nel caso in cui eseguiamo l’esperimento del which-way
entangler usando delle particelle diverse dai fotoni (anche degli
atomi, ad esempio), possiamo cancellare semplicemente le
informazioni sul percorso seguito da tali particelle (dotate di
massa).
Come per il caso della polarizzazione, anche in questo caso
l’esperimento del quantum eraser è una semplice estensione
dell’interferometro di Mach-Zehnder (già utilizzato per
l’esperimento del which-way entangler ). Abbiamo dunque
bisogno di un quantum eraser che ci consenta di cancellare le
informazioni sul percorso intrapreso da ogni atomo. Per fare ciò,
occorre fare in modo che il fotone emesso dall’atomo quando
passa dallo stato eccitato ⎹	݁	ۧ a quello fondamentale ⎹	݃	ۧ ,
venga assorbito in modo tale che non sia più possibile rilevare il
percorso dal quale è partito. L’esperimento prevede di collocare
un’ulteriore particella ε in un punto fra i rilevatori, come in
fig.12 (ε sarà dunque il nostro quantum eraser):
Fig.12
Nel caso in cui il fotone emesso venga assorbito dal quantum
eraser, l’informazione sul percorso viene completamente persa;
e secondo le previsioni dovrebbe verificarsi un’interferenza
quantistica. La descrizione del prossimo esperimento è molto
simile al caso del which-way entangler; ci serve però una
notazione per descrivere lo stato del quantum eraser ε.
Noteremo dunque con ⎹	ߝ	ۧ il quantum eraser nel suo stato
eccitato (ossia quando viene assorbito il fotone) e con ⎹	ߛ	ۧ il
quantum eraser nel suo stato fondamentale. Consideriamo ora
l’evoluzione del sistema il cui stato iniziale è:
⎹	߰௜௡ۧ		= ⎹	‫ۧ	ݔ‬			⊗	⎹	0	ۧ			⊗	⎹	݁	ۧ			⊗	⎹	ߛ	ۧ					
Se facciamo in modo che il fotone emesso, bloccando il
percorso C (confr. Fig.12), non raggiunga il quantum eraser,
otteniamo lo stesso risultato dell’esperimento con il which-way
entangler. Dunque avremo:
⎹	‫ۧ	ݔ‬			⊗	⎹	0	ۧ			⊗	⎹	݁	ۧ			⊗	⎹	ߛ	ۧ					
஻ௌଵ
ሱۛሮ	
1
√2
	(⎹	‫ۧ	ݔ‬ + ݅⎹	‫)	ۧ	ݕ‬		⊗	⎹	0	ۧ	⊗	⎹	݁	ۧ			⊗	⎹	ߛ	ۧ						
஽ಲ,ಳ
ሱۛሮ	
1
√2
	(⎹	‫ۧ	ݔ‬	⊗	⎹	‫ۧ	ܣ‬ + 	݅⎹	‫ۧ	ݕ‬		⊗	⎹	‫)ۧ	ܤ‬	⊗ ⎹	݃	ۧ		⊗ ⎹	ߛ	ۧ					
			
ெ
→	
1
√2
	(	݅⎹	‫ۧ	ݕ‬	⊗	⎹	‫ۧ	ܣ‬ − ⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	‫)ۧ	ܤ‬	⊗ ⎹	݃	ۧ		⊗ ⎹	ߛ	ۧ					
	
஻ௌଶ
ሱۛሮ	
1
2
	[݅⎹	‫ۧ	ݕ‬		⊗	(⎹	‫ۧ	ܣ‬ − ⎹	‫	)	ۧ	ܤ‬
−	⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	(⎹	‫ۧ	ܣ‬ + ⎹	‫])	ۧ	ܤ‬			⊗ ⎹	݃	ۧ		⊗ ⎹	ߛ	ۧ
E quindi:
Prob.(x) = Prob.(y) = 	
ଵ
ଶ
Se invece lasciamo aperto il percorso C, il fotone viene assorbito
dalla particella soltanto in alcuni casi. Se non viene assorbito,
otteniamo ancora:
Prob.(x)	=	Prob.(y)	=		
ଵ
ଶ
	
	
Nel caso in cui il fotone venga assorbito, sappiamo che il primo tratto
del percorso risulterà uguale a quello di prima; per cui avremo ancora:
	
⎹	‫ۧ	ݔ‬			⊗	⎹	0	ۧ			⊗	⎹	݁	ۧ			⊗	⎹	ߛ	ۧ					
஻ௌଵ
ሱۛሮ	
1
√2
	(⎹	‫ۧ	ݔ‬ + ݅⎹	‫)	ۧ	ݕ‬		⊗	⎹	0	ۧ	⊗	⎹	݁	ۧ			⊗	⎹	ߛ	ۧ	
	
In
஽ಲ,ಳ
ሱۛሮ	 il fotone viene assorbito dal quantum eraser, quindi sappiamo
che:
	
஽ಲ,ಳ
ሱۛሮ			
1
√2
	(⎹	‫	ݔ‬ۧ + ݅⎹	‫	ݕ‬ۧ	)		⊗	⎹	0	ൿ	⊗	⎹	݃	ൿ			⊗	⎹	ߝ	ൿ	
ெ
→			
1
√2
	(݅⎹	‫	ݕ‬ۧ − ⎹	‫	ݔ‬ۧ	)		⊗	⎹	0	ൿ	⊗	⎹	݃	ൿ			⊗	⎹	ߝ	ൿ	
	
஻ௌଶ
ሱۛሮ		
1
2
	[	݅⎹	‫ۧ	ݕ‬ − ⎹	‫ۧ	ݔ‬	− ⎹	‫ۧ	ݔ‬ − 	݅⎹	‫]ۧ	ݕ‬ ⊗	⎹	0	ۧ	⊗	⎹	݃	ۧ			⊗	⎹	ߝ	ۧ			
	
	
= −	⎹	‫ۧ	ݔ‬		⊗	⎹	0	ൿ			⊗	⎹	݃	ൿ			⊗	⎹	ߝ	ൿ	
	
	
In ultima analisi, possiamo trovare la probabilità che la
particella esca in x e y, nel caso in cui il fotone venga assorbito
dal quantum eraser. Le probabilità Prob.(x) e Prob.(y), sono
quindi sostituite dalle probabilità condizionali Prob.(x⎹ abs) e
Prob.(y⎹ abs). Dunque otteniamo:
	
Prob.(x⎹	abs):	
	
⎹ − 1	⎹ଶ
		⃦⎹	‫⃦			ۧ	ݔ‬ଶ
			⃦	⎹	0	ۧ				⃦ଶ
				⃦	⎹	݃	ۧ				⃦ଶ
				⃦⎹	ߝ	ۧ				⃦ଶ
= 1
Mentre	Prob.(y⎹	abs)	=	0	
	
Per concludere, possiamo affermare che la cancellazione delle
informazioni riguardanti il percorso della particella, riesce a
ripristinare completamente il fenomeno dell’interferenza
quantistica nell’interferometro di Mach-Zehnder. Possiamo
dunque affermare che le informazioni riguardanti il percorso e
quelle relative all’interferenza, sono complementari. Notiamo
però che le interferenze si possono osservare solo nel
sottoinsieme delle particelle per le quali il fotone è stato
assorbito dal quantum eraser (un fatto questo, che è emerso
calcolando le probabilità condizionate).
Abbiamo visto che un’interferenza quantistica, appare solo
quando una particella giunge ad un certo punto, in cui può
scegliere due percorsi differenti per arrivare ad un rilevatore.
Percorsi , questi, che devono essere indiscernibili dopo la
rilevazione (principio di indiscernibilità).
Inoltre abbiamo visto che l’informazione sul percorso intrapreso
dalla particella quantistica, è ottenuta sfruttando l’entanglement
esistente tra la stessa e un rilevatore presente sul percorso. La
conoscenza del percorso fa scomparire l’interferenza
quantistica; quindi l’entanglement fra questi due elementi
modifica lo stato della particella, che infine risulta correlato con
quello del rilevatore (si parla infatti di stato intrecciato, o
entangled).
Infine, siamo inoltre riusciti a stabilire che l’interferenza
quantistica, può essere ripristinata mediante l’utilizzo di un
quantum eraser (o cancellatore quantistico; ovvero uno
strumento che disintreccia gli stati della particella e del
rilevatore). In questo modo si ottiene quindi la cancellazione di
ogni informazione sul percorso seguito dalla particella
quantistica (ossia vengono perse le informazioni di tipo which-
way; dall’inglese: which-way informations), e l’interferenza
riappare, ma solo in modo condizionato ad alcune caratteristiche
dell’esperimento (trasmissione di fotoni nel primo caso o
assorbimento di fotoni nel secondo).
Possiamo dunque affermare ancora una volta che, le
informazioni relative al percorso della particella e quelle relative
all’uscita presa dalla particella (ovvero gli effetti di
interferenza), sono due proprietà complementari.
Il principio di complementarità, enunciato da Niels Bohr nel
1927 per fondare su una valida base logica la teoria atomica, è
un'enunciazione del fatto che tutti i fenomeni fisici presentano, a
livello atomico o subatomico, un duplice aspetto, corpuscolare e
ondulatorio, e che una qualsiasi esperienza immaginata per
evidenziare uno dei due aspetti non può evidenziare l'altro.
L'applicazione della teoria dei quanti alla fisica atomica
costringe alla rinuncia dell'idea classica di causalità e al ricorso
a questo principio. L'osservazione di un fenomeno atomico
modifica in modo imprevedibile quest'ultimo in modo tale che
risulta impossibile parlare di un comportamento dell'oggetto
fisico indipendente dall'apparecchio di misura, che opera
sull'oggetto stesso in modo casuale. I dati sperimentali relativi a
fenomeni atomici non si riferiscono quindi all'oggetto di per sé,
bensì all'oggetto in condizioni determinate, fissate da apparecchi
di tipo diverso.
Esso consente dunque di eliminare ogni contraddizione logica
tra la descrizione corpuscolare e quella ondulatoria dei fenomeni
atomici e implica l'impossibilità di dimostrare la verità dell'una
o la falsità dell'altra. In base al principio di complementarietà, la
dualità dell'interpretazione corpuscolare e di quella ondulatoria
viene considerata una diretta conseguenza dell'impossibilità di
tracciare una netta linea di demarcazione tra l'oggetto conosciuto
e il soggetto percipiente. Il manifestarsi del fenomeno sotto una
forma piuttosto che sotto un l'altra, dipende appunto dal tipo di
apparecchiatura con cui si cerca di osservarlo. L'esattezza di un
simile punto di vista è dimostrata dal fatto che il medesimo
fenomeno non può mai apparire nello stesso tempo come
particella e come onda; poiché, analizzando gli apparecchi usati
nei due casi si conclude che essi si escludono a vicenda. Tali
apparecchi sono definiti da Bohr: tra loro complementari;
complementari o duali vengono chiamate le grandezze che
mediante essi possono essere misurate; complementari o duali
vengono anche chiamati i corrispondenti quadri descrittivi,
ondulatorio e corpuscolare, che ne risultano. Il principio di
complementarità ebbe così vasti consensi da assumere presto il
ruolo di principio filosofico generale, con il quale si cercarono
di risolvere, in modo peraltro molto discutibile, questioni nel
campo della biologia, della sociologia e della psicologia; nonché
problemi concernenti l'interrelazione tra scienza e arte e tra
scienza e religione. Alcuni pensatori tentarono addirittura, in
base ad esso, di arrivare alla risoluzione di un problema
filosofico così arduo e complesso come quello del libero
arbitrio.
Bohr amava molto questo concetto di complementarietà della
realtà, tanto da estenderlo a una lezione di vita. Diceva per
esempio che: "The opposite of a true statement is a false
statement, but the opposite of a profound truth is usually
another profound truth". Ovvero: "L'opposto di una
affermazione vera è una affermazione falsa, ma l'opposto di una
profonda/fondamentale verità è un'altra verità profonda".
Oppure potremmo dire che: più grande è una verità, più grande
sarà il suo opposto. Nel 1947, Bohr fu insignito dell' "Ordine
dell'elefante", un grande onore in Danimarca. Parte di questo fu
la possibilità di scolpire su un muro apposito il proprio simbolo
araldico di famiglia. Bohr era un borghese e in quanto tale non
ne aveva uno. Decise dunque di disegnarselo.
Nello stemma araldico della famiglia Bohr (riportato poco più
avanti), è possibile notare il simbolo Tao di “Ying & Yang”
(ovvero gli opposti che si completano a vicenda: uomo-donna;
bianco-nero; attivo-passivo; e via dicendo); mentre la frase in
latino recita: “Contraria sunt complementa” (ovvero: “Gli
opposti sono complementari”).
Stemma araldico della famiglia Bohr
Una curiosità…
Durante l’estate del 2011, un gruppo di ricercatori
dell'Università di Toronto ha sviluppato un metodo per applicare
sofisticate tecniche di misurazione allo storico esperimento delle
due fenditure (in cui un fascio di luce che passa attraverso due
strette fenditure fra loro vicine forma figure d'interferenza su
uno schermo posto dietro di esse). In questo esperimento, i
ricercatori sono riusciti per la prima volta a ricostruire
sperimentalmente le traiettorie complete, che forniscono una
descrizione del modo in cui le particelle di luce si muovono
attraverso due fenditure e formano le figure d'interferenza. La
tecnica utilizzata si basa sulla teoria della misurazione debole
sviluppata da Yakir Aharonov della Tel Aviv University; dove
una misura è considerata "debole" se ha una grossa
indeterminazione ( tale cioè da lasciare lo stato del sistema quasi
imperturbato). Sulla base di questa teoria, Howard Wiseman
della Griffith University , aveva ipotizzato che combinando
l'informazione sulla direzione del fotone in vari punti attraverso
misure deboli, fosse possibile ricostruire le traiettorie che
portano il flusso luminoso su uno schermo. Nell’esperimento in
questione è stata usata una nuova fonte di singoli fotoni
sviluppata al National Institute for Standards and Technology in
Colorado, per poi inviarli uno alla volta in un interferometro
costruito a Toronto. Si è inoltre usato un cristallo di calcite, che
sulla luce ha un effetto dipendente dalla direzione in cui essa si
propaga, per misurare la direzione come funzione della
posizione. In base ai risultati di questo esperimento, i ricercatori
hanno potuto appurare che le traiettorie misurate risultavano
coerenti con l’interpretazione realista e non convenzionalista
della meccanica quantistica sostenuta da fisici-pensatori come
David Bohm o Louis De Broglie.
Applicando tecniche di misurazione moderne allo storico
esperimento della doppia fenditura, si è dunque riusciti ad
osservare le traiettorie particellari medie che sottostanno
all'interferenza di tipo ondulatorio; e questa risulta essere la
prima osservazione al mondo di questo tipo. Un tale risultato, a
ben vedere, dovrebbe contribuire a far avanzare il dibattito sulle
diverse interpretazioni della teoria quantistica.
Shahriar Afshar
Shahriar Sadigh Afshar (Iran, 1971), è un fisico iraniano-
americano, conosciuto a livello internazionale non solo per il
suo controverso esperimento di ottica quantistica (che porta il
suo nome e ancora oggi, a distanza di circa dieci anni dalla sua
realizzazione, suscita accese ed interminabili discussioni tra gli
addetti ai lavori), bensì anche per aver vinto diversi premi nel
campo delle invenzioni. La sua invenzione più conosciuta
(ovvero quella che gli ha portato una certa notorietà a livello
mondiale), è indubbiamente il cosiddetto KOR-fx; ossia un
congegno elettronico (per video-giochi) da indossare (e che va a
posizionarsi sul petto), basato sulla tecnologia acustico-aptica2
e
in grado dunque di produrre delle vibrazioni a bassa frequenza,
2
Un'interfaccia aptica è un dispositivo che permette di manovrare un robot,
reale o virtuale, e di riceverne delle sensazioni tattili in risposta (retroazione o
feedback). Un esempio potrebbe essere un joystick con ritorno di forza (force
feedback), un mouse in cui la rotellina si blocca quando il puntatore arriva ai
margini dello schermo, o un display in braille utilizzato dai non vedenti. La
parola aptico deriva dal greco apto, che significa tocco: con questo attributo
si intende quindi qualcosa che ha a che fare con il tatto. Le interfacce aptiche
sono utili e necessarie in quei contesti in cui la sola visione di quanto sta
accadendo non è sufficiente all'operatore per garantire un controllo corretto.
Vengono quindi utilizzate in settori di robotica avanzata, come la robotica
chirurgica e quella spaziale, e in quelli relativi alla realtà virtuale, come la
tele-manipolazione o l'addestramento con operazioni simulate. Oltre che nel
settore della robotica, le interfacce aptiche sono utili dove è necessaria
un'interazione fra computer ed operatore; come ad esempio nel settore della
modellazione solida (dove l'interfaccia aptica permette all'utente di sfruttare
le proprie capacità manuali mantenendo il senso del tatto).
atte a stimolare fisicamente e in parte mentalmente chi lo
indossa e quindi di farlo “sentire” immerso nella realtà virtuale
del video-game utilizzato.
Shahriar Sadigh Afshar
L’esperimento di Afshar
“Se si scoprisse la legge universale di natura,
i principi d’invarianza diventerebbero
semplici trasformazioni matematiche
che lasciano invariata la legge”
Eugene Wigner
Shahriar S. Afshar, iniziò a lavorare al suo (ormai famoso)
esperimento di ottica (alcuni dicono ottica quantistica, altri
semplicemente ottica; poiché ancora oggi non è ben chiara la
vera natura di tale esperimento) all’ “Institute for Radiation-
Induced Mass Studies” (IRIMS) nel 2001, nella città di Boston
(USA, Massachusetts). Due anni dopo, ossia nel 2003, realizzò
lo stesso esperimento all’Università di Harvard (dove era ancora
uno studente-ricercatore). I risultati furono presentati ad un
seminario di Harvard nel marzo del 2004, e pubblicati come atti
del convegno dalla Società Internazionale di Ingegneria Ottica.
L’esperimento (nonché il nome del suo autore), apparve persino
sulla copertina della prestigiosa rivista scientifica New Scientist,
il 24 luglio del 2004. L’articolo sull’esperimento di Afshar,
pubblicato su New Scientist, generò ben presto un’immensa
ondata di risposte, tra cui varie lettere al direttore, che in ben
due uscite della sua rivista (il 7 e il 14 agosto del 2004),
sostenne di essere contro le conclusioni tratte da Afshar, dando
piena fiducia alle critiche mosse dal fisico John G.Cramer.
Afshar comunque, non si fece scoraggiare dalle innumerevoli
critiche mosse nei suoi confronti e verso la fine di marzo del
2005, presentò il suo lavoro al meeting di Los Angeles della
American Physical Society. Il documento scientifico (peer-
reviewed ) relativo al suo lavoro, venne pubblicato su
Foundations of Physics nel gennaio del 2007 (ben sei anni dopo
il suo primo esperimento all’IRIMS di Boston!).
Afshar sostiene che il suo esperimento invalidi il principio di
complementarità ed abbia implicazioni di vasta portata per la
comprensione della meccanica quantistica, sfidando
l'interpretazione di Copenhagen.
Secondo John Cramer, i risultati di Afshar supportano la sua
teoria dell’Interpretazione Transazionale della Meccanica
Quantistica (proposta per la prima volta dallo stesso Cramer nel
1986), e sfidano al contempo l’Interpretazione a Molti Mondi
(proposta per la prima volta da Hugh Everett III nel 1957) della
Meccanica Quantistica (un’affermazione mai resa pubblica in un
documento peer-reviewed ).
Nel modello sperimentale realizzato da Afshar, viene utilizzata
una variante dell’esperimento classico di Thomas Young della
doppia fenditura, per creare degli schemi di interferenza atti ad
indagare sul principio di complementarità. Questo tipo di
esperimenti, implicano (come abbiamo già avuto modo di
vedere nelle prime pagine introduttive del libro) l’utilizzo di
interferometri a due percorsi, dove i fotoni vengono indirizzati e
fatti interagire tra loro e con l’apparato di misurazione (nonché
con l’osservatore stesso che compie l’esperimento). Una delle
affermazioni di Afshar è che, nel suo esperimento, è possibile
verificare la presenza di frange di interferenza di un flusso di
fotoni (una misura della natura ondulatoria dei fotoni),
osservando contemporaneamente il percorso seguito da ogni
fotone (una misura della natura particellare/materiale dei fotoni).
Dall’esperimento, si evince che una griglia di fili metallici può
essere ignorata dai fotoni, quando entrambe le fenditure sono
aperte. Tale risultato è in conformità con le previsioni standard
della Meccanica Quantistica; tuttavia, con argomentazioni assai
controverse, in molti sono giunti all’idea che in tal caso, venga
violato il principio di complementarità ( e in modo specifico la
relazione di dualità di Englert-Greeberger). Molti altri fisici
invece, nonostante i risultati di tale esperimento parlino chiaro,
sono dell’idea che il principio di complementarità non venga in
alcun modo compromesso.
Ma vediamo ora in dettaglio le varie fasi dell’esperimento. Esso
si basa sul principio delle fenditure di Young. Nella variante di
Afshar, vengono utilizzati dei fori e non delle fenditure. Dopo
questi fori, una lente focalizza la luce proveniente da ciascuno di
essi e la proietta su un foto-rilevatore indipendente (confr.
Fig.13). In questo modo, un fotone passante per il buco numero
uno, sarà ricevuto esclusivamente sul foto-rilevatore uno e
viceversa. Così configurata, l’apparecchiatura sarà in grado di
interagire con la natura corpuscolare (particellare) dei fotoni e di
misurarne gli effetti. Parallelamente, le frange d’interferenza
continuano ad essere materializzate tra i fori e la lente. Il fatto
che le si osservi direttamente, fa sì che nessun fotone possa più
raggiungere i foto-rilevatori.
Fig.13
Esperimento senza griglia metallica
L’idea di Afshar, per porre rimedio a questo “inconveniente”, è
stata quella di collocare una griglia di fili metallici, proprio nel
punto in cui si formano le frange di interferenza (confr. Fig.14).
Questa griglia, costituita da fili metallici molto fini, viene
disposta in modo tale che ciascun filo si trovi nel punto in cui
emerga una banda oscura della figura d’interferenza. Per
ottenere questo, la figura d’interferenza viene dapprima
misurata, al fine di determinare la posizione di ciascun filo.
Fig.14
Esperimento con griglia metallica e un solo foro aperto.
Se un solo foro è aperto (fig.14), la figura d’interferenza non
può più formarsi, poiché viene rimpiazzata da un punto di luce.
Una parte dei fotoni, viene dunque fermata dai fili metallici, che
a loro volta producono un effetto di degradazione della qualità
dell’immagine. Questi effetti sono stati realmente osservati
durante l’esperimento.
Nella terza parte dell’esperimento, si lascia passare la luce da
entrambi i fori (fig.15). In questo caso, la degradazione
dell’immagine a causa della griglia metallica, viene fortemente
attenuata (il risultato è simile a quello che si otterrebbe qualora
la griglia metallica non venisse utilizzata). Di conseguenza, è
possibile supporre che i fotoni evitino i fili metallici. Ciò
significherebbe che essi passino in modo preferenziale, laddove
la figura d’interferenza presenti dei massimi livelli d’intensità.
Fig.15
Esperimento con griglia metallica ed entrambi i fori aperti.
Infine, è interessante osservare che questo esperimento fornisce
gli stessi risultati, utilizzando una sorgente a singoli fotoni (laser
pulsato) o a flusso continuo (laser convenzionale).
Nella sua interpretazione, Afshar ritiene che la luce presenti un
carattere ondulatorio nel momento in cui passa tra i fili metallici,
poiché la probabilità di presenza dei fotoni sembra essere
correlata con la figura d’interferenza; ma al contempo, ritiene
anche che presenti un carattere corpuscolare (particellare), dopo
che viene focalizzata e proiettata da una lente, su uno solo dei
due foto-rilevatori. In conclusione, secondo Afshar, questo
comportamento contraddice il principio di complementarità,
poiché le caratteristiche ondulatorie e corpuscolari della luce,
vengono simultaneamente messe in evidenza.
A conclusione del suo primo documento scientifico (“Violation
of the Principle of Complementarity, and its implications”)
relativo al suo esperimento, Afshar scrive: “Vale la pena
ricordare che, poiché la cosiddetta classe di esperimenti a
scelta ritardata, si affida principalmente alla validità del
principio di complementarità, i risultati di questo esperimento
dimostrano che non vi è alcuna scelta da fare, dal momento che
lo stato di superposizione coerente rimane intatto anche se
l’informazione di tipo “which-way” viene ottenuta. Visto che gli
argomenti presentati in questo documento sono validi per tutte
le particelle quantistiche, è plausibile che esperimenti
equivalenti possano essere eseguiti utilizzando anche elettroni o
neutroni, con risultati identici a quelli del mio esperimento”.
Conclusioni simili, si possono leggere anche nel suo secondo
documento scientifico (“Violation of Bohr’s Complementarity:
one slit or both?”): “Abbiamo dimostrato che possiamo
stabilire la presenza di un’interferenza perfetta, senza
notevolmente disturbare o attenuare le funzioni d’onda
d’interferenza. La misurazione nulla, raggiunta dalla presenza
passiva dei fili metallici, dimostra per la prima volta, che si
possono effettuare misurazioni significative, senza
un’interazione o un entanglement quantistico con il dispositivo
(apparecchio) di misurazione. Questa osservazione richiede una
revisione dell’attuale teoria per la quale una misurazione porta
sempre ad un cambiamento dello stato quantistico del rilevatore
(…).Questi risultati evidenziano anche l'inadeguatezza del
linguaggio classico di onde e particelle nella descrizione di
esperimenti apparentemente semplici; perché se insistiamo ad
utilizzare il modello ondulatorio per descrivere l’assenza di
riduzione del flusso luminoso e la risoluzione del profilo del
fascio luminoso dai fili metallici, allora siamo costretti a
descrivere il modello osservato al piano ߪଶ , come un modello di
interferenza senza alcuna frangia come prova di interferenza).
Mentre è da considerarsi vero che il principio di
complementarità continua ad essere valido per metodi
perturbativi di misurazione (che includono marcatori di tipo
which-way , entanglement, e misurazioni dirette), misurazioni
indirette delle proprietà d’insieme (tali come l’interferenza,
come dimostrato nel mio esperimento), forniscono la prova per
la coesistenza di onde complementari e comportamento
corpuscolare (particellare), nella stessa configurazione
sperimentale. Se noi (erroneamente) insistiamo ad utilizzare il
linguaggio usato da Bohr ed Einstein nelle loro discussioni,
allora dovremmo concludere che i fotoni nel nostro ultimo
esperimento, in realtà hanno attraversato entrambi i fori,
simultaneamente, attraverso l’uno o l’altro foro. Una logica
impossibilità! Detto questo, è difficile immaginare un modo
comune di linguaggio, che meglio descriva i risultati di questo
esperimento, senza un appello al formalismo matematico. I
risultati di questo esperimento, possono essere migliorati,
introducendo delle griglie multiple di fili metallici. Possiamo
anche prevedere risultati simili, per singoli fotoni ed altri quanti
in esperimenti analoghi”.
Molti scienziati (fisici soprattutto) hanno pubblicato delle forti
critiche nei confronti dell’interpretazione che Afshar ha dato dei
suoi risultati. Uniti, respingono con fermezza le rivendicazioni
di Afshar riguardo ad una possibile violazione del principio di
complementarità (pur differenziandosi nel modo di spiegare
come la complementarità sia correlata all’esperimento realizzato
da Afshar).
Il lavoro più recente, sostiene che la principale osservazione-
conclusione di Afshar (ossia che nel suo esperimento, la
relazione di dualità di Englert-Greeberger risulta violata), non è
vera. Questi ricercatori, hanno riprodotto l’esperimento, usando
un metodo differente per la misurazione della visibilità della
figura d’interferenza, da quello utilizzato da Afshar. Nel loro
esperimento, essi non hanno trovato alcuna violazione del
principio di complementarità; concludendo così che il loro
risultato, dimostra inequivocabilmente che l’esperimento di
Afshar può essere perfettamente spiegato con l’Interpretazione
di Copenhagen della Meccanica Quantistica.
Visto che è stata citata, vorrei a questo punto aprire una piccola
parentesi sulla relazione di dualità di Englert-Greeberger.
Questo principio (o relazione di dualità), riguarda la visibilità
(V) delle frange d’interferenza con la determinatezza o
distinguibilità (K), del percorso dei fotoni nel campo dell’ottica
quantistica. Tale relazione, viene espressa con la seguente
disuguaglianza:
‫ܭ‬ଶ
	+		ܸଶ
	≤ 	1
Questa relazione venne dimostrata sperimentalmente per la
prima volta da Greenberger e Yassin nel 1988. In seguito fu
derivata a livello teorico da Jaeger, Abner Shimony e Lev
Vaidman nel 1995 (un anno dopo, nel 1996, fu menzionata da
Englert).
Esaminiamo per prima cosa la formulazione matematica
dell’esperimento con doppia fenditura (la formulazione è in
termini di diffrazione e interferenza di onde). Il culmine dello
sviluppo è una presentazione di due numeri che caratterizzano la
visibilità delle frange d’interferenza nell’esperimento, correlati
tra loro come prevede la relazione di dualità di Englert-
Greenberger. In seguito discuteremo l’interpretazione ortodossa
della meccanica quantistica della relazione di dualità in termini
di dualità onda-particella. Di questo esperimento, Richard
Feynman una volta disse:
“Esso ha in sé il cuore della Meccanica Quantistica. In realtà
esso contiene l’unico mistero”.
Nell’esperimento classico di Young della doppia fenditura, la
funzione d’onda può essere scritta come:
Ψ௧௢௧௔௟௘	(‫)ݔ‬	=	Ψ஺(‫)ݔ‬	+	Ψ஻(‫)ݔ‬
La funzione: Ψ஺(‫)ݔ‬ =	‫ܥ‬஺Ψ଴	(	‫ݔ‬ −	‫ݔ‬஺	) , è la funzione d’onda
associata con il foro in A , centrato su ‫ݔ‬஺ (una simile relazione
vale anche per il foro B). La variabile x , è una posizione a valle
dello spazio delle fenditure. Le costanti ‫ܥ‬஺	݁	‫ܥ‬஻		sono fattori di
proporzionalità per le ampiezze d’onda corrispondenti; e Ψ଴(‫)ݔ‬
è la funzione d’onda (per singolo foro) per un’apertura centrata
sull’origine. La funzione d’onda relativa al singolo foro, è
rapportabile a quella della diffrazione di Fraunhofer3
. La
forma dei fori è irrilevante. L’onda, avrà dunque la seguente
quantità di moto (fissa ed incidente): 	‫݌‬଴ =		
௛
ఒ
Dove inoltre:
Ψ଴(‫	ߙ	)ݔ‬
݁௜	௣బ		.⎹		௫	⎹		.		
ଶగ
௛
⎹		‫	⎹	ݔ‬
Dove ⎹		‫⎹	ݔ‬ rappresenta la distanza radiale dal foro.
Per distinguere in quale foro un fotone vi passa attraverso,
occorre qualche misura di “distinguibilità” tra i fori. Una tale
misura è data da:
‫	ܭ‬ = ⎹		ܲ஺ −	ܲ஻⎹		
Dove ܲ஺		݁		ܲ஻ sono le probabilità di trovare che la particella sia
passata dall’apertura A e dall’apertura B, rispettivamente.
3
La diffrazione di Fraunhofer corrisponde al caso in cui la luce diffratta da
uno schermo sul quale incide un fascio di raggi luminosi paralleli, è osservata
a grande distanza dallo schermo stesso.
Dal momento che la misura della probabilità di Born 4
è data
da:
	ܲ஺ =		
⎹	‫ܥ‬஺⎹ଶ
⎹	‫ܥ‬஺⎹ଶ 		+ 		⎹	‫ܥ‬஻⎹ଶ
					݁				ܲ஻ =		
⎹	‫ܥ‬஻⎹ଶ
⎹	‫ܥ‬஺⎹ଶ 		+ 		⎹	‫ܥ‬஻⎹ଶ
Mentre: 	‫ܭ‬ = 	│
⎹	஼ಲ⎹మ	ି		⎹	஼ಳ⎹మ
⎹	஼ಲ⎹మ		ା		⎹	஼ಳ⎹మ │	
In particolare abbiamo K = 0 per due fori simmetrici e K = 1
per una singola apertura (perfettamente distinguibile). Nel
campo lontano dai due fori, le due onde interferisco e producono
delle frange. L’intensità del modello d’interferenza in un punto
y del piano focale è data da:
4
Max Born mise in correlazione il concetto di funzione d'onda con la
probabilità di rinvenire una particella in un punto qualsiasi dello spazio,
basandosi sull'analogia con la teoria ondulatoria della luce per la quale il
quadrato dell'ampiezza dell'onda elettromagnetica in una regione è l'intensità.
Secondo Born risulta possibile determinare la probabilità con la quale un
elettrone possa essere rinvenuto all'interno di un volume elementare dτ in un
determinato punto, effettuando il prodotto ψ2
dτ. Nel caso di funzione d'onda
complessa la probabilità è proporzionale al prodotto (ψ*)(ψ), dove ψ* è la
funzione coniugata complessa. Affinché ciò sia possibile è necessario che la
funzione d'onda sia normalizzata, cioè deve essere verificata la condizione
che afferma che l'elettrone è presente da qualche parte nell'universo. In
termini matematici, deve verificarsi: 		∫ ѱ∗
	ѱdτ = 1 ; che esprime anche che
la probabilità di trovare un elettrone corrisponde al 100% solamente
all'interno del volume che rappresenta il dominio su cui l'elettrone può
muoversi, che in principio può anche non essere necessariamente infinito.
‫1	ߙ	)ݕ(ܫ‬ + ܸ	cos	(‫݌‬௬݀	.		
2ߨ
ℎ
	+ 	߶	)	
Dove ‫݌‬௬ =	
௛
ఒ
	. ‫)ߙ(݊݁ݏ‬ è la quantità di moto della particella
lungo la direzione y. Mentre 	߶ = ‫ܥ(݃ݎܣ‬஺)	− 	‫ܥ(݃ݎܣ‬஻) è uno
spostamento di fase (fisso) , e “d” è la separazione tra i due
fori. L’angolo α (dall’orizzontale) è dato da:
‫)ߙ(	݊݁ݏ‬	≅ 	‫(݊ܽݐ‬α) =		
௬
௅
; dove L è la distanza tra l’apertura
dello schermo e il piano d’analisi del campo lontano. Se una
lente viene usata per osservare le frange sul piano focale
posteriore, l’angolo è dato: ‫)ߙ(	݊݁ݏ‬	≅ 	‫(݊ܽݐ‬α) =		
௬
௙
; dove f è
la lunghezza focale della lente. La visibilità delle frange è
definita da:
	ܸ =	
‫ܫ‬௠௔௫ −		‫ܫ‬௠௜௡
‫ܫ‬௠௔௫ +		‫ܫ‬௠௜௡
		
Dove ‫ܫ‬௠௔௫		݁				‫ܫ‬௠௜௡ definiscono la massima e la minima
intensità delle frange, rispettivamente.
Applicando le regole di interferenza costruttiva e distruttiva
abbiamo:
	‫ܫ‬௠௔௫	ߙ			⃦		‫ܥ‬஺	⎹		 + ⎹	‫ܥ‬஻				⃦ଶ
‫ܫ‬௠௜௡	ߙ			⃦		‫ܥ‬஺	⎹		 − ⎹	‫ܥ‬஻				⃦ଶ
In modo equivalente, la stessa cosa può essere scritta come:
	ܸ = 2.
⎹			‫ܥ‬஺			.			‫ܥ‬஻
∗
⎹		
⎹	‫ܥ‬஺⎹ଶ 		+ 	⎹	‫ܥ‬஻⎹ଶ
E dunque si ottiene, per un singolo fotone in uno stato
quantistico puro, la relazione di dualità: V2
+ K2
= 1.
Esistono due casi limite, che emergono con una semplice
interpretazione intuitiva: In un esperimento con foro singolo, la
visibilità della frangia sarà uguale a zero (come se non vi fosse
alcuna frangia). Il che corrisponde a V = 0 ; ma K = 1, dal
momento che conosciamo (per definizione) in quale foro passerà
il fotone. D’altro canto, per una configurazione a due fenditure,
dove le due fenditure sono indistinguibili con K = 0 , si ha
perfetta visibilità con Imin = 0 e dunque V = 1. Quindi, in
entrambi i casi limite, avremo che: V2
+ K2
= 1.
Ciò che è stato esposto finora, si limita al contesto di uno stato
quantistico puro. Da un punto di vista più generale, per un
miscuglio di stati quantistici, si avrà la relazione:
‫ܭ‬ଶ
	+		ܸଶ
	≤ 	1
La discussione matematica presentata sin qui, da un punto di
vista intrinseco e dunque relativo al nocciolo fondamentale
dell’intera questione, non richiede necessariamente l’utilizzo
della Meccanica Quantistica. Affinché la relazione rappresenti
una formulazione precisa del principio di complementarità di
Bohr, si deve introdurre nella discussione la dualità onda-
particella.
Ciò significa che occorre considerare il comportamento di onde
e particelle di luce, su uno stesso piano concettuale. La dualità
onda-particella implica che si deve:
a) Utilizzare l’evoluzione unitaria dell’onda prima della
osservazione.
b) Considerare l’aspetto corpuscolare (particellare) dopo il
rilevamento (ciò è chiamato: postulato del collasso di
Heisenberg-Von Neumann).
Infatti, dal momento che è possibile solo osservare il fotone in
un punto dello spazio (un fotone non può essere assorbito due
volte), ciò implica che il significato della funzione d’onda è
essenzialmente statistica e non è rapportabile con quella di
un’onda classica (come quelle che si verificano in aria o in
acqua). In tale contesto, la diretta osservazione di un fotone sul
piano di apertura, preclude il rilevamento seguente del fotone
stesso (F). In modo reciproco, l’osservazione in (F) significa che
il fotone non è stato precedentemente assorbito. Se entrambi i
fori sono aperti, ciò implica che non sappiamo dove avremmo
individuato il fotone nel piano di apertura. K definisce così la
distinguibilità dei due fori A e B.
Un valore massimo di distinguibilità K = 1, significa che solo un
foro (A) è aperto. Se il fotone viene rilevato in (F), sappiamo
immediatamente che quel fotone sarebbe stato rilevato
necessariamente in (A). Viceversa, K = 0 significa che entrambi
i fori sono aperti e giocano un ruolo simmetrico. Se noi
rileviamo il fotone in (F), non possiamo sapere dove il fotone
sarebbe stato rilevato sul piano di apertura ( K = 0, caratterizza
dunque il nostro stato di “ignoranza”). In modo simile, se K = 0
(e dunque V = 1), ciò significa che un accumulo statistico di
fotoni in (F), formerà una figura di interferenza con la massima
visibilità. Viceversa, K = 1 implica che V sia uguale a zero, e
quindi, nessuna frangia apparirà dopo il rilevamento statistico di
molti fotoni.
E dopo questa lunga ma essenziale digressione sulla relazione di
dualità di Englert-Greeberger, torniamo nuovamente sui nostri
passi ed andiamo a scoprire in che modo, e con quali armi
logico-matematiche, gli avversari di Afshar si sono lanciati in
quella che potremmo definire una sfida senza precedenti verso la
dimostrazione ultima della fondatezza del principio di
complementarità (per ciò che riguarda i suoi sostenitori invece,
l’obiettivo, è rivolto alla dimostrazione ultima dell’infondatezza
del principio di Bohr). Se il lettore, strada facendo farà fatica a
capire quali siano i sostenitori di Afshar e quali invece i suoi
avversari…non deve preoccuparsene affatto, è successo anche a
me!
Molte menti, molte tesi
“La fisica è matematica non perché noi
conosciamo così bene il mondo fisico,
ma perché lo conosciamo molto poco:
sono solo le sue proprietà matematiche
quelle che noi possiamo scoprire”.
Bertrand Russell
Ruth Kastner
Nel mese di febbraio 2005, nella Cornell University Library (il
cui sito: arXiv.org è ormai universalmente conosciuto),
comparve uno dei primi ed importanti documenti scientifici
relativi all’esperimento di Afshar, ad opera di Ruth Kastner
(docente presso il dipartimento di filosofia dell’Università del
Maryland, USA) ed intitolato: “Why the Afshar Experiment
Does Not Refute Complementarity”.
La critica al lavoro di Afshar, mossa dalla dottoressa Kastner, si
fonda sulla creazione di un esperimento mentale e sulla
applicazione della logica di Afshar ad esso, per evidenziarne
l’incoerenza di base. Ella sostiene che l’esperimento di Afshar,
equivale a preparare un elettrone in uno stato di spin-up, per poi
misurarne il suo spin laterale. Ciò non significa che si è scoperto
lo stato di spin up-down e lo spin laterale di un elettrone,
simultaneamente.
Applicando tali considerazioni all’esperimento di Afshar, la
Kastner fa dunque notare che: “Tuttavia, anche rimuovendo la
griglia di fili metallici, dal momento che il fotone è preparato in
uno stato di superposizione S, la misurazione sullo schermo
finale al tempo t2 , non potrà mai essere del tipo which-way;
questo perché non può in alcun modo rivelarci, quale fenditura
ha realmente attraversato il fotone”. Inoltre, ella sottolinea la
sua conclusione con un’analisi della configurazione di Afshar
nell'ambito dell’ interpretazione transazionale della meccanica
quantistica. In un altro suo documento intitolato: "On Visibility
in the Afshar Experiment", ella sostiene che il rapporto inverso
comunemente indicato tra il parametro di visibilità V e il
parametro K (di tipo which-way), non è applicabile alla
configurazione di Afshar.
La Kastner, a conclusione del suo primo documento scientifico
in relazione all’esperimento di Afshar, sottolinea il fatto che tale
esperimento (per certi aspetti chiave) risulta analogo a un
presunto paradosso descritto nel 1985 da Albert, Aharonov e
D’Amato, nel contesto di un esperimento di pre e post-selezione.
Aggiungendo inoltre che: “Dal momento che Bohr, molto
probabilmente, non avrebbe avuto alcun problema con l’idea
che possiamo preparare una particella in uno stato di spin-up
(“lungo x”), confermando così la possibilità di una tale
realizzazione (con una misurazione finale di spin “lungo z”),
semplicemente da ciò, possiamo concludere che l’esperimento
di Afshar non costituisce alcuna minaccia per il principio di
complementarità”. E prosegue: “È stato inoltre sostenuto che il
termine di misurazione “wich-way” sia fuorviante, in quanto
suscita la tentazione di retrocedere da una legittima
misurazione della base osservabile di una fenditura, per
stabilire se una particella vi è passata realmente attraverso
oppure no. (…) D’altro canto, se si vuole continuare a
mantenere l’idea di una misurazione di tipo “which-way”
oppure di retrodizione (ossia una predizione relativa al passato)
anche in casi come questo, poi però per coerenza, occorrerebbe
accettare il principio di retrodizione anche in casi analoghi
relativi al solo spin di una particella. Questo, tuttavia, pone dei
seri dubbi sul fatto che un semplice e comune esperimento di
spin, sia in grado di violare il principio di complementarità”.
A conclusione del suo secondo documento scientifico ("On
Visibility in the Afshar Experiment"), la Kastner sostiene inoltre
che:”La relazione inversa tra V e K derivata indipendentemente
da Feynman ed Englert, si basa su un contesto sperimentale in
cui una superposizione pre-esistente degli stati (delle fenditure)
è “collassata” verso qualche altra condizione, a causa di una
misurazione di un’osservabile i cui autostati sono componenti
della sovrapposizione, prima che l’interferenza dovuta alla
sovrapposizione possa essere rilevata. Questo collasso,
caratterizzato da un aumento in K, è ciò che provoca la
corrispondente diminuzione in V. Nell’esperimento mentale di
Srikanth, il collasso avviene solo dopo che l’interferenza
indicante V = 1, è già stata registrata. Nell’esperimento di
Afshar, il collasso avviene dopo che l’interferenza (pienamente
articolata) è stata indirettamente indicata (mostrando così la
sua reale esistenza) dal fatto che la griglia (di fili metallici) non
diminuisce in modo significativo l’intensità del rilevamento
finale. In casi come questi, il rapporto inverso tra V e K non si
applica (…). Ma l’ultima misurazione, non fornisce alcuna
importante informazione fisica di tipo “which-slit” (quale
fenditura), dal momento che la particella è già passata
attraverso entrambe le fenditure. Quindi, pensare a K come un
vero parametro di tipo “which-way”, in questo tipo di post-
selezione è fuorviante; inoltre, è inadeguato a sostenere che:
a) Le affermazioni di Afshar a proposito del principio di
complementarità sono sbagliate perché il suo valore di V è
diverso da 1; b) Afshar ha ragione perché V = 1 e K = 1”
A questo punto, visto che è già stata menzionata diverse volte,
forse è opportuno spendere qualche parola anche sulla
cosiddetta: “Interpretazione transazionale della Meccanica
Quantistica (TIQM)”. Questa teoria, come già accennato, fu
proposta per la prima volta da John Cramer nel 1986. Si tratta
essenzialmente di un'interpretazione piuttosto originale della
meccanica quantistica che descrive le interazioni quantistiche in
termini di onde stazionarie prodotte da onde ritardate e
anticipate. L’esistenza di entrambe le onde anticipate e ritardate
come soluzioni ammissibili alle equazioni di Maxwell, fu
esplorata in origine nella Teoria di Assorbimento di Wheeler–
Feynman5
. Cramer ha risvegliato l’idea dei due fisici (delle due
onde), per poi applicarla alla sua Interpretazione Transazionale
della MQ. Mentre l’equazione ordinaria di Schrödinger non
ammette soluzioni anticipate (avanzate), la sua versione
relativistica invece sì, le ammette; e queste soluzioni sono le
uniche usate nella TIQM.
Nella TIQM, la sorgente emette un’ abituale (ritardata) onda in
avanti nel tempo, ma emette anche un’onda in anticipo, che
fluisce indietro nel tempo. Inoltre, anche il ricevitore emette
5
Nella loro Teoria dell’Assorbimento (chiamata anche Teoria del Tempo
Simmetrico), Wheeler e Feynman considerano come sorgente della
radiazione una carica accelerata collocata in un sistema assorbitore. Il
meccanismo da essi descritto è il seguente: un segnale viene emesso dalla
sorgente; questo mette in moto le singole particelle dell'assorbitore e causa la
generazione del campo "metà anticipato" e "metà ritardato". La somma degli
effetti anticipati di tutte le particelle, valutata nell'intorno della sorgente, è
uguale ad un campo che ha le seguenti proprietà: 1) è indipendente dalle
proprietà del mezzo assorbitore; 2) è completamente determinato dal moto
della sorgente; 3) esercita sulla sorgente una forza finita, simultanea al
momento dell'accelerazione, e con modulo e direzione tali da estrarre dalla
sorgente l'energia che in seguito si manifesta nelle particelle circostanti; 4)
l'assorbitore è l'origine fisica del campo di radiazione di Dirac; 5) questo
campo combinato con il campo "metà anticipato" e "metà ritardato" della
sorgente permette di ricavare che il segnale emesso risulta complessivamente
dato dall'intero campo ritardato, in accordo con l'esperienza. Quindi,
concludono, la radiazione è un fenomeno che appartiene tanto al campo della
meccanica statistica quanto a quello dell'elettrodinamica. La loro trattazione
permette di stabilire una corrispondenza completa tra azione a distanza e
azione mediata dal campo nel caso di un universo assorbitore completo. In un
tale sistema, il fenomeno della pre-accelerazione, messo in evidenza da
Dirac, appare come l'unica evidenza degli effetti anticipati della teoria
dell'azione a distanza. Fanno inoltre vedere che altri effetti anticipati
apparirebbero invece nel caso di un sistema (universo) assorbitore
incompleto. I maggiori problemi che rimanevano aperti nella teoria di
Wheeler e Feynman erano relativi alla sua quantizzazione. Questi motivarono
i successivi studi di Feynman che avrebbero portato alla formulazione
dell'elettrodinamica quantistica tramite l'"integrale sui cammini".
questi due tipi di onde (anticipate e ritardate nel tempo). Le fasi
di queste onde sono tali, che l’onda ritardata emessa dal
ricevitore, annulla l’onda ritardata emessa dalla sorgente, con il
risultato che non vi è più alcuna onda “netta” dopo il punto di
assorbimento. L’onda anticipata emessa dal ricevitore, anch’essa
annulla l’onda anticipata emessa dalla sorgente; in modo che
non vi è alcuna onda netta prima del punto di emissione. In
questa interpretazione, il collasso della funzione d’onda non
avviene in alcun punto specifico nel tempo, ma è atemporale e si
verifica lungo l’intera transazione; e il processo di emissione-
assorbimento, risulta simmetrico rispetto al tempo. Le onde sono
viste come se fossero “fisicamente reali”, e non come un
semplice “dispositivo” logico-matematico atto a rilevare la
conoscenza dell’osservatore, come avviene in qualche altra
interpretazione della Meccanica Quantistica. Cramer sostiene
che la sua TIQM eviti i problemi filosofici , nonché quelli
relativi al ruolo dell'osservatore posti dall'interpretazione di
Copenaghen. Inoltre, la TIQM, sembrerebbe risolvere vari
paradossi quantistici.
Torniamo a questo punto ancora una volta sui nostri passi, e
dopo aver sentito le campane della Kastner, cerchiamo di
…ascoltarne delle altre.
Ruth Kastner
Eduardo Flores ed Ernst Knoesel
Il 22 febbraio del 2007, viene pubblicato il documento (ad opera
di E.Flores e E.Knoesel) dal titolo: “Why Kastner analysis does
not apply to a modified Afshar experiment”; ovvero, tradotto:
“Perché l’analisi della Kastner non è applicabile ad un
esperimento di Afshar, modificato”.
Nelle prime righe introduttive (abstract) di tale documento, i due
autori affermano che: “In un'analisi dell'esperimento di Afshar,
la Kastner sottolinea che il sistema di selezione utilizzato in
questo esperimento, separa in modo casuale i fotoni che vanno
verso i rilevatori; e quindi nessuna informazione di tipo whic-
way viene ottenuta. In questo articolo presentiamo una versione
modificata ma equivalente dell'esperimento di Afshar, che non
contiene un dispositivo di selezione. La doppia fenditura è
sostituita da due fasci separati di laser coerente, che si
sovrappongono sotto un piccolo angolo. All’intersezione dei
fasci un modello d’interferenza può essere dedotto in modo non
perturbativo; un fatto, questo, che conferma l'esistenza di uno
stato di sovrapposizione. Nel campo lontano, i fasci si ritrovano
separati senza l’utilizzo di un sistema di lenti. La conservazione
della quantità di moto, garantisce che l’informazione di tipo
which-way venga preservata. Proponiamo anche una sequenza
alternativa di dispositivi di Stern-Gerlach, che in ultima analisi,
rappresentano una configurazione analoga a quella utilizzata
da Afshar nel suo esperimento.
Altre considerazioni degne di nota, vengono inoltre riportate
nell’introduzione: “(…) Un importante documento contro le
dichiarazioni di Afshar, è stato scritto dalla R.E. Kastner. Nella
sua analisi dell’esperimento di Afshar, la Kastner traccia
un’analogia con una tipica misurazione di spin, di una
particella con spin uguale a -1/2 ; e basandosi su tale confronto
(o elemento di paragone) ella conclude che le rivendicazioni di
Afshar di una piena informazione di tipo which-way, sia
ingiustificata.(…) In questo documento, proponiamo una
configurazione alternativa dell’esperimento, costituita da
L'esperimento di Afshar. Verso un nuovo approccio al principio di complementarità.
L'esperimento di Afshar. Verso un nuovo approccio al principio di complementarità.
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L'esperimento di Afshar. Verso un nuovo approccio al principio di complementarità.

  • 1. Fausto Intilla L’Esperimento di Afshar Verso un nuovo approccio al principio di complementarità Immagine di copertina tratta dal web (http://holographicarchetypes.weebly.com) L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze, per gli stralci di alcuni articoli (ed immagini) riportati in questo volume, qualora questi ultimi fossero coperti da copyright.
  • 2. Indice Prefazione…………………………………………………4 Il mondo dei quanti……………………………………….7 - L’interferometro di Mach-Zehnder..……………..….12 - Il principio di Indiscernibilità……………………….18 - Principi di fisica quantistica……………….……………..19 - Which-way detector………………………………………..25 - Which-way entangler………………………………………26 - Which-way entangler con atomi………………………….30 - Entanglement…………………………………….…………32 - Quantum eraser……………………………..……………..32 - Una curiosità………………………………………...……..44 - Shahriar Afshar………………………………….…………45 L’Esperimento di Afshar…………………………...……47 Molte menti, molte tesi…………………………..………60 - Ruth Kastner………………………....………….…..….60 - Eduardo Flores ed Ernst Knoesel……………...……65 - Daniel Reitzner………………………………………..……71 - William George Unruh…………………………………….78 - Luboš Motl…………………………………….……….85 - Aurelien Drezet………………………………………..……94 - John G. Cramer………………………………..…………102 - Ole Steuernagel………………………………...…………106 APPENDICE………………………………………..….109 - La polarizzazione……………………....………..……109 - L’esperimento a scelta ritardata……………...……111 Bibliografia / Sitografia……………………………...…121
  • 3. “Si può trovare la verità con la logica, soltanto se la si è già trovata senza di essa” G.K.Chesterton “Per poter tracciare un limite al pensiero, dovremmo trovare concepibili entrambi i versanti di quel limite…dovremmo essere in grado di pensare quel che non è pensabile” Ludwig Wittgenstein
  • 4. Prefazione Affidandoci a quanto sostenuto da Abraham Pais ne “Il danese tranquillo” (una biografia del celebre fisico danese, Niels Bohr), il termine “complementarità” compare per la prima volta in un appunto del 10 luglio 1927 (nella corrispondenza di Bohr, tale termine lo si ritrova in un lettera indirizzata a Wolfgang Pauli, scritta il mese successivo, ossia nell’agosto del 1927). Sempre secondo Pais, può darsi che Bohr abbia deciso di utilizzarlo nel corso di una gita in barca con amici. Il fatto è che da allora, dopo quasi un secolo di storia (buio e breve nella visione di E.J. Hobsbawm, a causa delle due grandi guerre mondiali, ma parallelamente luminoso e ben promettente, a parere di molti altri storici e scienziati, in relazione all’incessante evoluzione nel campo della scienza e della tecnologia), quel termine tanto amato da Bohr (Contraria sunt complementa, riporta lo stemma araldico della sua famiglia, da egli stesso disegnato), non ha mai smesso di stimolare la curiosità e l’ingegno di migliaia di filosofi e scienziati, in ogni parte del mondo. Tutti forsennatamente alla ricerca di una prova decisiva, ultima, fondamentale, ma soprattutto rigorosamente sperimentale, di quel principio definito da un termine che sembrerebbe legato ad ogni aspetto della realtà fisica: il principio di complementarità.
  • 5. “Non cercate di capire ciò che sta nel cuore della luce (ossia i suoi aspetti più profondi ed intrinsechi), ciò non ha alcun senso; poiché da una parte sembra impossibile conciliare le due immagini di onda e particella, e dall’altra (e questo è il punto chiave), non abbiamo alcun mezzo per poter decidere, a livello sperimentale, se orientarci a favore di una o dell’altra ipotesi”; tali considerazioni, esposte in più occasioni da Bohr verso la fine degli anni venti (agli albori dell’Interpretazione di Copenhagen), quasi a titolo di monito per tutti coloro che avessero voluto intraprendere un cammino lungo e irto di ostacoli fisici, logici e matematici (che alla fine si sarebbe rivelato del tutto infruttuoso) verso una verità estremamente lontana ed indimostrabile (Gödel docet), evidentemente non furono mai prese seriamente in considerazione da molti fisici di allora, come del resto neppure da molti fra quelli di oggi. Infatti, per ciò che riguarda la ricerca sperimentale, gli esperimenti che si sono susseguiti nel corso degli anni ( o meglio dei decenni, visto che cominciarono già verso l’inizio degli anni trenta), soprattutto nel campo dell’ottica quantistica, oltre che ad aprire nuove strade e prospettive in seno alle attuali e future applicazioni tecnologiche, hanno anche gettato le basi per una nuova visione ed interpretazione del principio di complementarità. Uno di questi esperimenti (nel campo dell’ottica quantistica), considerato da molti teorici e ricercatori, il più controverso (ma al contempo anche geniale ed “intrigante”) degli ultimi venti- trent’anni, è l’ormai noto: Esperimento di Afshar (proposto al grande pubblico dalla rivista New Scientist, in forma divulgativa, durante l’estate del 2004). Quello del fisico iraniano-americano Shahriar Sadigh Afshar , è un esperimento che negli ultimi dieci anni (il primo esperimento di Afshar, risale infatti al 2001), ha suscitato infinite critiche e dibattiti vari nella comunità dei fisici, poiché sembrerebbe inficiare le basi stesse del principio di complementarità di Bohr; facendo così tremare la terra sotto ai piedi (come accadde nel 1927, quando si gettarono le basi per una nuova fisica, con
  • 6. l’Interpretazione di Copenhagen) all’intera comunità scientifica di fisici teorici e ricercatori. L’importanza di tale esperimento, dovuta ai suoi profondi risvolti, sia in ambito scientifico che filosofico, non è mai stata però pienamente riconosciuta dall’intera comunità scientifica; per certi aspetti quindi, una parte di tale comunità, ha largamente sottovalutato le implicazioni dell’esperimento di Afshar (o in ogni caso le ha “ liquidate” , appellandosi alle leggi della buona, vecchia e cara meccanica quantistica che quando occorre, con le sue ferree leggi del tutto contro-intuitive per la mente umana, ma inoppugnabili da un punto di vista prettamente matematico, mette sempre tutto a tacere nel modo più elegante possibile). Con questo breve saggio sull’esperimento di Afshar, ho cercato semplicemente di raccogliere una serie di critiche nei confronti dell’esperimento in questione, elaborate (spesso con grande rigore matematico) da diversi fisici (alcuni famosi, altri un po’ meno), con l’unico scopo di dare al lettore interessato all’argomento in questione, un quadro un po’ più nitido e completo di come attualmente fisici e filosofi, tendano a volgere il loro sguardo verso l’intramontabile principio di complementarità. Fausto Intilla, Cadenazzo, 3 agosto 2012
  • 7. Il mondo dei quanti “Essendo fondate su concetti, ipotesi ed esperimenti, le leggi non hanno accuratezza e attendibilità maggiori della formulazione delle definizioni o dell’accuratezza ed estensione degli esperimenti che ne sono il supporto” Gerald Holton Il titolo di questo libro non lascia spazio ad alcun dubbio; il tema trattato tra le pagine che vi appresterete a leggere, è quello relativo ad un famoso esperimento di ottica quantistica1 , realizzato per la prima volta all’ “Institute for Radiation-Induced Mass Studies - (IRIMS)” di Boston nel 2001 (ed in seguito riprodotto presso l’università di Harvard nel 2003), per mano di un fisico iraniano-americano di nome: Shahriar Sadigh Afshar (di cui darò qualche cenno biografico più avanti nel libro). Tuttavia, per ovvi motivi, prima di iniziare ad addentrarmi nel nocciolo di tale contesto-argomento scientifico, occorre che dia al lettore, in procinto di inoltrarsi in questo campo della fisica estremamente arduo e complesso, perlomeno alcune nozioni relative ai principi di base (che regolano il mondo dell’ottica quantistica), sui quali si fonda l’esperimento e la logica fisico- matematica sostenuti da Shahriar Afshar. La teoria dei quanti ha preso vita quando Max Planck, nel 1900, durante le sue ricerche sulla radiazione del corpo nero, avanzò l’ipotesi che la radiazione non venga emessa sotto forma di onda 1 L'ottica quantistica è una branca della fisica che studia l'interazione della luce con la materia dal punto di vista della meccanica quantistica.
  • 8. continua, ma di pacchetti discreti detti quanta, o quanti. Questi ultimi, nella loro “quantità”, sono discreti; ossia rappresentano una quantità di energia finita. Da un punto di vista sperimentale, non è però possibile localizzarli in un punto ben preciso. Essi infatti tendono ad occupare tutto lo spazio e ciò indica che la loro spazialità, è dunque continua. I quanti, mostrano quindi una certa analogia con le particelle, per ciò che concerne il concetto di quantità; ma risultano inoltre paragonabili a dei campi, se definiti in seno alla loro spazialità. Ci si è dunque accorti che le onde elettromagnetiche non sono veramente delle onde, perché non posseggono una continuità sul piano della quantità. Inoltre, questi minuscoli “puntini di luce”, chiamati in seguito fotoni, non sono nemmeno definibili come particelle classiche, visto che la loro spazialità è continua. La tabella riportata qui di seguito, mostra le differenze tra quanti, campi e particelle: Elemento Quantità Spazialità Quanto discreta continua Campo continua continua Particella discreta discreta Nel momento in cui si scopre che anche l’elettrone (che si riteneva fosse una particella classica), presenta una certa continuità spaziale, si assume l’idea che anch’esso, come il fotone, sia da considerarsi un quanto. Dalla struttura dualista delle onde (o dei campi) e delle particelle, ben presto prende forma un modello, composto dal solo concetto di quanto (che getta le basi della moderna meccanica quantistica). Nei primi anni in cui venne proposta la teoria quantistica, nella descrizione dei quanti, si parlava di dualità onda-particella. Si pensava infatti che i quanti fossero contemporaneamente, sia particelle che onde; ma ciò ovviamente non poteva rientrare in
  • 9. un contesto descrittivo della realtà, del tutto coerente e razionale. Dopo qualche anno, i fisici arrivarono dunque alla conclusione che i quanti non sono né onde e né particelle, anche se in alcune condizioni possono comportarsi in modo simile alle onde oppure alle particelle. Nel 1920 si compiono esperimenti di interferenza con dei quanti (elettroni), e si scopre che il loro comportamento è simile a quello dei raggi X. Per i fisici di allora, fu un fatto davvero sorprendente, visto che fino a poco tempo prima, le interferenze e la diffrazione venivano considerati come dei fenomeni puramente ondulatori. A quel punto, diventa quindi importante, per i fisici impegnati in tale ambito di ricerche, realizzare ulteriori esperimenti (con apparati di misurazione operanti con un solo quanto alla volta), affinché i risultati sperimentali potessero essere confrontati con quelli teorici. Molti anni dopo, quando ormai gli sviluppi della tecnologia lo permettevano, si iniziò dunque con i primi esperimenti di interferenza quantistica, in cui i “reagenti” fondamentali fossero le particelle di materia. L'esperimento della doppia fenditura fu eseguito per la prima volta utilizzando elettroni da Claus Jönsson dell'Università di Tubinga nel 1961. Fu quindi ripetuto nel 1974 a Bologna da Pier Giorgio Merli, Gianfranco Missiroli e Giulio Pozzi, che però inviarono un elettrone alla volta sulla lastra fotografica. L'idea di Merli e dei suoi collaboratori fu quella di utilizzare un microscopio elettronico sia come interferometro che come sorgente di elettroni, facendo passare gli stessi attraverso un biprisma elettronico, come originariamente concepito da Gottfried Möllenstedt. I risultati dell'esperimento del 1974, nonostante fossero stati pubblicati e nonostante fosse anche stato realizzato un documentario in proposito, andarono pressoché ignorati, tant'è che, quando nel 1989 Akira Tonomura e collaboratori ripeterono l'esperimento, lo si considerò erroneamente il primo ad aver verificato questo risultato previsto dalla meccanica quantistica.
  • 10. I primi esperimenti in cui si utilizzano neutroni, dovuti ad Helmut Rauch, risalgono al 1974. In questo caso si utilizzò un cristallo di silicio per sfruttare la diffrazione di Bragg ed avere due fasci neutronici coerenti da inviare all'interferometro. Molti anni dopo, Rauch costruì un interferometro per neutroni ultra- freddi, eseguendo così un esperimento che spianò la strada a molti altri esperimenti simili, eseguiti con gli atomi. Con tali esperimenti, si arrivò ad una più precisa verifica della linearità della meccanica quantistica, oltre che ad un bellissimo esperimento di diffrazione con doppia fenditura, eseguito con un solo neutrone alla volta nell’apparato. In tale esperimento, mentre un neutrone veniva registrato, il successivo risiedeva ancora nel suo nucleo di Uranio in attesa di fissione. Tra l’esperimento di interferenza di Rauch (con neutroni) e quelli invece ti tipo classico (con fotoni), emerge quindi una differenza molto importante: negli esperimenti classici, la figura di interferenza si ottiene facendo passare molti fotoni alla volta nell’apparato di misurazione; in tal caso l’interferenza, che risulta essere istantanea, si spiega grazie al principio di sovrapposizione delle onde. Nell’esperimento con neutroni di Rauch, invece, la figura d’interferenza risulta evidente solo alla fine di tutto il processo, sovrapponendo i punti d’impatto di ciascun neutrone. Questo fenomeno si chiama interferenza a una particella e contrariamente al caso classico, non è istantaneo (basti pensare che per ottenere i risultati dell’esperimento di interferenza con neutroni, ci sono volute ben 210 ore!). L'interferometria con la tecnica delle due fenditure per le particelle ha raggiunto oggi livelli di eccezionalità. Nel 1999 Anton Zeilinger e i suoi collaboratori all'università di Vienna riuscirono ad effettuare l'esperimento di Young utilizzando molecole di fullerene (che è circa 720 volte più pesante del neutrone), composte da 60 atomi di carbonio. L'eccezionalità dell'esperimento è dovuta al fatto che mai si era osservato il dualismo onda-corpuscolo con particelle di queste dimensioni.
  • 11. Composizione del fullerene (C60) Per l’esperimento venne utilizzato un interferometro formato da un reticolo con fenditure larghe 50 nm e distanziate di 100 nm, con una lunghezza d’onda di De Broglie del fullerene di 2.5 pm. I risultati ottenuti sperimentalmente, coincidevano perfettamente con i calcoli teorici. Nel 2003 gli stessi autori hanno esteso l'esperimento di interferenza a molecole più pesanti, le tetrafenilporfirine o fluorofullereni con 60 atomi di carbonio e 48 di fluoro, confermando ancora una volta l'evidenza del dualismo. Gli esperimenti proseguono attualmente, sempre all'università di Vienna, sotto la direzione di Markus Arndt. La tecnica sperimentale sviluppata da questi autori fa uso di un interferometro di Talbot-Lau e costituisce una profonda innovazione nel campo dell'interferometria, oltre ad aver dimostrato il dualismo onda-corpuscolo con oggetti molto vicini al mondo macroscopico. La particolarità degli esperimenti di interferenza come quelli sin qui esposti ha motivato diverse interpretazioni dei risultati. Si tratta di risultati contro-intuitivi, in cui i concetti classici di onda
  • 12. e particella sembrano in qualche modo combinarsi per fornire qualcosa che sfugge al senso comune. La conseguenza di ciò è che si sono sviluppate interpretazioni della meccanica quantistica diverse dalla classica interpretazione di Copenaghen, che cercano di dare un'interpretazione dei fenomeni osservati che si adatti anche agli schemi di comprensione più usuali. Da un punto di vista strettamente sperimentale non è possibile decidere quale sia l'interpretazione corretta, ma coesistono tutte, ognuna con i suoi pro e contro. L’interferometro di Mach-Zehnder: Un apparato semplice di misurazione per comprendere meglio le interferenze quantistiche, è l’interferometro di Mach-Zehnder. Si tratta di un interferometro a divisione di ampiezza, costituito da due specchi e da due beam splitter. Le onde all'interno del sistema percorrono due strade differenti; la differenza di cammino ottico può essere introdotta da una piccola asimmetria in uno dei beam splitter. Visto che i due percorsi sono separati, tale interferometro è difficile da allineare. Le sue applicazioni sono molto numerose: generalmente lungo uno dei due percorsi viene inserito un oggetto, ad esempio un vetro, che produce una differenza di cammino ottico. Conoscendo tale differenza, è ad esempio possibile calcolare l'indice di rifrazione del mezzo interposto. Prima di arrivare all’interferenza quantistica vera e propria, cerchiamo innanzitutto di capire il funzionamento di questo interferometro, attraverso la spiegazione di quattro semplici esperimenti. Il primo esperimento consiste nell’inviare, una alla volta, una grande quantità di particelle su uno specchio semitrasparente (che rifletta o lasci passare le particelle in modo aleatorio). Nel nostro caso, la particella che lo raggiunge viene trasmessa o riflessa con una probabilità di ଵ ଶ . Due rilevatori posti dopo il separatore indicano quale delle due vie è stata presa (Fig.1: S=
  • 13. particelle inviate; BS= specchio semitrasparente; T= particelle trasmesse e R= particelle riflesse). Fig.1 Nello schema (fig.1), lo specchio utilizzato, è di tipo semitrasparente. In questo semplicissimo esperimento, emergono due fatti assai interessanti: il primo è che i due rilevatori collocati ai due lati dello specchio semitrasparente non si attivano mai contemporaneamente; ciò significa che ogni particella viene o riflessa o trasmessa, e che dunque non è possibile assistere ad entrambi gli eventi (riflessione e trasmissione) nello stesso identico momento. Il secondo, è che ciascuno dei due rilevatori riceve esattamente la metà delle particelle inviate inizialmente. Nel secondo esperimento, a ciascuna uscita del primo specchio semitrasparente viene posto un altro specchio separatore. In questo caso sarà quindi necessario mettere quattro rilevatori, al posto dei due utilizzati nel caso precedente. Ogni rilevatore, ci indicherà dunque quale percorso è stato preso da ogni particella. I possibili tragitti delle particelle sono quattro: TT: particelle trasmesse da entrambi gli specchi.
  • 14. TR: particelle trasmesse dal primo specchio e riflesse dal secondo. RT: particelle riflesse dal primo specchio e trasmesse dal secondo. RR: particelle riflesse da entrambi gli specchi. La figura 2 riportata qui di seguito, illustra chiaramente come viene disposto l’interferometro per questo secondo esperimento. Fig.2 Nello schema (fig.2), tutti e tre gli specchi utilizzati, sono di tipo semitrasparente. La domanda che a questo punto risulta lecito porsi è la seguente: “In quali rilevatori verranno rilevate le particelle?”. Risulta assai difficile rispondere a questa domanda senza effettuare l’esperimento; però esisterebbero due possibilità: a) Le particelle potrebbero contenere delle informazioni che le obbligano a comportarsi in un determinato modo quando incontrano uno specchio semitrasparente. In questo caso metà delle particelle verrebbe rilevata in TT e l’altra metà in RR; ma nessuna in RT e TR.
  • 15. b) Le particelle si comportano in modo casuale quando si trovano di fronte ad uno specchio semitrasparente. La probabilità di essere riflessa o trasmessa, per una particella, risulta quindi essere uguale, a prescindere dallo specchio separatore. In ciascuno dei rilevatori, verrà rilevato un quarto delle particelle. Una volta formulate queste due ipotesi, possiamo in seguito verificare quale delle due corrisponderà alla realtà, semplicemente eseguendo l’esperimento. Dopo aver inviato una grande quantità di particelle, si osserva il risultato dell’esperimento e si scopre che in tutti e quattro i rilevatori è arrivato esattamente un quarto del totale delle particelle. Da ciò si evince che le particelle non contengono informazioni atte a far sì che vengano riflesse o trasmesse, secondo delle regole ben precise. Il loro comportamento, risulta dunque essere aleatorio. Vediamo ora il terzo caso, in cui l’interferometro di Mach- Zehnder viene disposto in modo classico (equilibrato). L’apparecchio è composto da due specchi semitrasparenti (uguali a quelli dei due precedenti esperimenti) e da due specchi perfetti (uno specchio perfetto è uno specchio che riflette tutte le particelle che lo colpiscono, senza lasciarne passare alcuna), che permettono di reindirizzare le particelle uscite dal primo specchio semitrasparente verso il secondo. In questo modo, una delle due uscite del secondo separatore corrisponde ai percorsi RT o TR, mentre l’altro corrisponde ai percorsi RR o TT. Conoscendo i risultati del secondo esperimento, la disposizione di specchi e rilevatori in questo caso, non sembrerebbe porre dei problemi particolari. Visto che nel percorso RT era stato rilevato il 25% delle particelle, così come nel percorso TR, in questo esperimento, all’uscita RT o TR, ci aspetteremo la seguente ripartizione percentuale; ossia: 25% + 25% = 50% di particelle (ovviamente, l’altro 50% dovrà trovarsi all’uscita TT o RR).
  • 16. Riassumendo, in base alle nostre previsioni teoriche, il 50% delle particelle verrà captato all’uscita RT o TR, mentre l’altro 50% prenderà l’uscita TT o RR. Fig.3 Nello schema (fig.3), i due specchi perfetti sono posti uno nell’angolo in alto a destra, e l’altro nell’angolo in basso a sinistra; gli altri due (ossia il primo e l’ultimo) sono specchi semitrasparenti. Curiosamente però, se eseguiamo l’esperimento così come indicato nella figura 3, notiamo che questa previsione non si avvera. Ciò che si osserva invece, ad esperimento avvenuto, è che tutte le particelle vengono rilevate all’uscita RT o TR. Esisterà una spiegazione logica e razionale, in grado di far luce su questo strano comportamento delle particelle? Siccome le particelle vengono inviate una dopo l’altra (e non tutte assieme), risulta impossibile che il risultato sia determinato da scontri fra particelle (e neppure da scontri tra frammenti di particelle, visto che queste ultime non sono divisibili; come abbiamo già potuto appurare sin dal primo esperimento). Non è
  • 17. dunque possibile trovare una risposta oggettiva a questa domanda. Tuttavia, per poterci avvicinare alla comprensione di questo strano fenomeno fisico, e dunque cercare di dare una risposta accettabile alla succitata domanda, possiamo eseguire un altro esperimento. Nel prossimo (ed ultimo) esperimento che sto per esporvi, i percorsi che possono prendere le particelle, sono di uguale lunghezza. A questo punto però, modifichiamo uno dei percorsi, come indicato nella figura 4: Fig.4 Nello schema (fig.4), gli unici specchi semitrasparenti sono: il primo (ossia quello nell’angolo in alto a sinistra), e l’ultimo (ossia quello nell’angolo in basso a destra, vicino ai rilevatori). Tutti gli altri sono degli specchi perfetti.
  • 18. Appena la lunghezza dei due percorsi differisce di poco, qualche particella (pochissime se la differenza di percorso è molto piccola) comincia a prendere il percorso TT o RR. Quando i due percorsi differiscono di una certa lunghezza L, tutte le particelle prenderanno l’uscita TT o RR. Se dovessimo continuare ad aumentare questa lunghezza, si avrebbe l’effetto inverso. Una volta raggiunta una differenza di percorso di 2L, tutte le particelle si troverebbero in RT o TR, e così via se si allunga ancora il percorso. Si tratta ovviamente di un risultato a dir poco sconvolgente, che porta inevitabilmente alla seguenti domande: “Ma come è possibile che modificando uno solo dei due percorsi, si riesca a modificare il comportamento di tutte le particelle?”; “Come hanno fatto le particelle che sono passate dal percorso non modificato, ad accorgersi del cambiamento?”. Eppure è proprio ciò che si osserva in quest’ultimo esperimento. A questo punto dobbiamo concludere che ogni particella è informata, non si sa come, su tutti i possibili percorsi che potrebbe prendere (come se li percorresse entrambi). Nel primo esperimento comunque, ciò non accade. Ma un fatto ancora più inquietante di questo è che, se cerchiamo di scoprire quale percorso è stato preso da una particella, allora lo strano effetto che abbiamo appena visto scompare e si ottiene ancora come risultato, un 50% di particelle in TR o RT e un 50% in TT o RR (a prescindere dalla differenza di percorso). Questo bizzarro comportamento delle particelle ha un nome: si parla di interferenza a una particella o del fatto che la particella interferisce con se stessa. Il principio d’indiscernibilità: Molti studiosi e ricercatori sembrerebbe che abbiano rinunciato a cercare di trovare una spiegazione al genere di fenomeni che abbiamo appena visto; tutti però concordano su un principio che si limita a descrivere ciò che si osserva, comunemente noto come: principio di indiscernibilità. Secondo questo principio: Le
  • 19. interferenze appaiono quando una particella può seguire più percorsi per arrivare allo stesso rilevatore e quando il suo tragitto risulta essere indiscernibile dopo il rilevamento. Cerchiamo di capire questo principio sulla base di ciò che abbiamo visto finora. Nei primi due esperimenti, c’è solo un percorso che porta a ciascun rilevatore; quindi, una volta rilevata una particella, sappiamo esattamente quale percorso ha seguito. In questo caso quindi il percorso è discernibile, e non si verifica nessun fenomeno d’interferenza. Negli ultimi due esperimenti invece (utilizzando le classiche disposizioni di un interferometro di Mach-Zehnder), una volta che la particella è stata rilevata dopo il secondo specchio semitrasparente, non possiamo in alcun modo sapere quale percorso ha seguito (dato che per ogni rilevatore, sono possibili due percorsi).In questo caso i due percorsi sono indiscernibili, e si osservano dei fenomeni d’interferenza. Inoltre, se negli esperimenti 3 e 4, rileviamo la presenza di una particella in uno dei due percorsi, l’interferenza scompare. Questo accade perché i percorsi non sono più indiscernibili. Principi di fisica quantistica: Per descrivere i fenomeni che si verificano all’interno dell’interferometro di Mach-Zehnder (esperimenti 3 e 4), necessitiamo dei seguenti elementi (propri del formalismo logico-matematico): a) Una notazione per descrivere “la particella si propaga lungo l’asse x” e “la particella si propaga lungo l’asse y”; questo corrisponde a descrivere lo stato della particella, in relazione alla proprietà: direzione di propagazione. b) Una descrizione degli specchi separatori (o beam- splitters) e degli specchi perfetti; questo corrisponde a
  • 20. descrivere l’evoluzione dello stato delle particelle in presenza degli specchi. c) Un modo per descrivere la differenza di percorso; questo corrisponde a descrivere l’evoluzione dello stato delle particelle in presenza di una modifica di percorso (tale modifica, o differenza di percorso, è detta anche fase). d) Una regola che ci permetta di calcolare le probabilità che hanno le particelle di essere rilevate in un rilevatore o nell’altro (ossia nel rilevatore associato alla propagazione nella direzione x, oppure in quello associato alla propagazione nella direzione y). Iniziamo dunque a considerare lo stato di propagazione, notando con⎹ ‫ۧݔ‬ la particella che si propaga lungo l’asse x, e con⎹ ‫ۧݕ‬ la particella che si propaga lungo l’asse y. Questi due stati, ortogonali tra loro per costruzione, costituiscono una base di Hprop = C2 , relativa allo spazio degli stati di propagazione. Nel seguente modo invece, descriviamo l’evoluzione con gli specchi (ossia l’azione che ogni specchio compie): ⎹ ‫ۧݔ‬ → ඥ‫ۧݔ ⎹ݐ‬ + ݅ ඥ‫ۧݕ ⎹ݎ‬ ⎹ ‫ۧݕ‬ → ඥ‫ۧݕ ⎹ݐ‬ + ݅ ඥ‫ ۧݔ ⎹ݎ‬ I valori t e r sono rispettivamente le probabilità che la particella ha di essere trasmessa o riflessa quando raggiunge uno specchio separatore. Queste probabilità devono rispettare la seguente condizione, definita dall’equazione: t + r = 1. Uno specchio perfetto si descrive quindi nel seguente modo (dato che t = 0 e r =1):
  • 21. ⎹ ‫ۧݔ‬ → ݅⎹ ‫ۧݕ‬ ⎹ ‫ۧݕ‬ → ݅⎹ ‫ۧݔ‬ Se consideriamo lo specchio semitrasparente utilizzato nel terzo esperimento (fig.3), ovvero uno specchio semitrasparente equilibrato (ovvero uno specchio in grado di trasmettere esattamente la metà delle particelle e di riflettere tutte le altre), avremo che t = r = ଵ ଶ ; dunque possiamo scrivere: ⎹ ‫ۧݔ‬ → ଵ √ଶ (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ⎹ ‫ۧݕ‬ → ଵ √ଶ (⎹ ‫ۧݕ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݔ‬ Una differenza di percorso all’interno dell’interferometro, si traduce in un fattore di fase ݁௜థ , inserito nell’espressione matematica rappresentante il percorso modificato. Se è il percorso x si ottiene: ⎹ ‫ۧݔ‬ → ݁௜థ ⎹ ‫ۧݔ‬ ⎹ ‫ۧݕ‬ → ⎹ ‫ۧݕ‬ Il valore della fase ϕ è proporzionale alla lunghezza L della differenza di percorso. La probabilità che la particella venga rilevata nel rilevatore orientato lungo l’asse x, rispettivamente y, corrisponde al modulo al quadrato del numero complesso che moltiplica⎹ ‫ۧݔ‬ , rispettivamente⎹ ‫.ۧݕ‬ Se è dato lo stato: ⎹ ߰ۧ = ߙ⎹ ‫ۧݔ‬ + ߚ⎹ ‫ۧݕ‬ allora si ottiene:
  • 22. Prob.(x) è uguale a: ⃦ ܲ⎹ ௫ۧ ⎹ ߰ۧ ⃦ଶ = ⃦⎹ ‫⃦ ݔ ۦ ۧݔ‬ ߰ۧ ⃦ଶ = ⃦⎹ ‫⃦ ۧݔ‬ଶ ⃦ ‫⃦ ۧ߰ ⎹ݔ ۦ‬ଶ = |ߙ|ଶ Prob. (y) è uguale a: ⃦ ܲ⎹ ௬ۧ ⎹ ߰ۧ ⃦ଶ = ⃦⎹ ‫⃦ ݕ ۦ ۧݕ‬ ߰ۧ ⃦ଶ = ⃦⎹ ‫⃦ ۧݕ‬ଶ ⃦ ‫⃦ ۧ߰ ⎹ݕ ۦ‬ଶ = |ߚ|ଶ Fig.5 Nello schema (fig.5), gli specchi semitrasparenti sono indicati con BS1 e BS2, mentre i due specchi perfetti sono indicati con M.
  • 23. Il percorso seguito dalla particella partita dal cammino x, ossia nello stato⎹ ‫ۧݔ‬ , si può descrivere nel seguente modo: ⎹ ‫ۧݔ‬ ஻ௌଵ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ௙௔௦௘ ሱۛሮ 1 √2 (݁௜థ ⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ெ → 1 √2 (݁௜థ ݅⎹ ‫ۧݕ‬ − ⎹ ‫) ۧݔ‬ ஻ௌଶ ሱۛሮ 1 √2 ൫݁௜థ ݅⎹ ‫ۧݕ‬ − ݁௜థ ⎹ ‫ ۧݔ‬൯ − 1 2 (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ = 1 2 ൫−1 − ݁௜థ ൯⎹ ‫ۧݔ‬ + 1 2 (−1 + ݁௜థ ) ݅⎹ ‫ۧݕ‬ =(∗) − ݁ ௜థ ଶ ܿ‫ ݏ݋‬ ߶ 2 ⎹ ‫ۧݔ‬ + ݁ ௜థ ଶ ‫ ݊݁ݏ‬ ߶ 2 ⎹ ‫ ۧݕ‬ Dove per (*) è stato utilizzato: cos ߙ = ଵ ଶ (݁௜ఈ + ݁ି௜ఈ ) e sin ߙ = ଵ ଶ ݅(݁ି௜ఈ − ݁௜ఈ ) Si può riassumere ciò che abbiamo appena visto dicendo che lo stato della particella si modifica nell’interferometro di Mach- Zehnder nel seguente modo: ⎹ ‫ۧݔ‬ ெି௓ ሱۛሮ −݁ ௜థ ଶ ܿ‫ ݏ݋‬ ߶ 2 ⎹ ‫ۧݔ‬ + ݁ ௜థ ଶ ‫ ݊݁ݏ‬ ߶ 2 ⎹ ‫ ۧݕ‬ Infine, le probabilità di osservare la particella nei rilevatori Dx e Dy sono: Prob. (x) = cos2 థ ଶ = ଵ ା ୡ୭ୱథ ଶ
  • 24. Prob. (y) = sen2 థ ଶ = ଵ ିୡ୭ୱ థ ଶ A questo punto possiamo notare che: 1) Con ϕ = 0 , come nel risultato sperimentale, tutte le particelle prendono l’uscita x. 2) Variando ϕ, la probabilità di una particella di trovarsi in y aumenta gradualmente finché si ottiene Prob.(y) = 1 e poi diminuisce ancora. Fig.6 Grafico della variazione della probabilità di rilevazione in funzione di ϕ. La sinusoide partente da 1, rappresenta la Prob.(x); mentre la sinusoide partente da 0, rappresenta la Prob.(y). Ed ecco descritto , secondo il formalismo di Dirac, l’esperimento eseguito con l’interferometro di Mach-Zehnder concernente l’interferenza a una particella. Si osserva che l’effetto d’interferenza è dovuto al fatto che dopo il primo specchio semitrasparente (BS1), la particella si trova nello stato di sovrapposizione: ଵ √ଶ (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ; ciò coincide all’esplorazione dei due percorsi e produce in seguito, dopo il ricongiungimento dei percorsi in BS2 (secondo specchio semitrasparente), lo stato finale di sovrapposizione.
  • 25. Which-way detector: Per poter conoscere il percorso che è stato preso dalla particella, si possono porre dei sensori DA e DB (come indicato in fig.7) Fig.7 In questo caso, anche se i rilevatori non modificano in alcun modo lo stato della particella, l’effetto di interferenza quantistica scompare. Infatti la conoscenza del percorso coincide con la certezza che la particella si trova ad esempio in DA ; in tal caso il suo stato non è più lo stato di sovrapposizione: 1 √2 (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ Esso infatti diventa⎹ ‫ۧݔ‬ , e quindi dopo il secondo specchio semitrasparente abbiamo: ⎹ ‫ۧݔ‬ ஻ௌଶ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬
  • 26. Da cui troviamo le probabilità Prob.(x) = Prob.(y) = ଵ √ଶ . In modo analogo, la stessa relazione vale anche se la particella è rilevata in DB. La conoscenza del percorso e l’interferenza quantistica, sono due aspetti che non possono essere osservati nello stesso momento. Which-way entangler: Come abbiamo visto, nel caso in cui poniamo dei sensori che rilevano direttamente la presenza di una particella in un dato percorso, l’interferenza quantistica scompare. Per conoscere il percorso preso da una particella, senza compiere direttamente delle misure sulla stessa, possiamo misurarlo indirettamente, usando un modello chiamato which-way entangler; nel quale la misura effettiva (nel senso di conoscerne il risultato) non è necessaria. Sarà la semplice possibilità di ottenere questa informazione, all’origine della perdita delle interferenze. Queste misure si possono effettuare in diversi modi; vedremo di seguito come compierle nel caso di un fotone prima (sfruttando la sua polarizzazione) e in quello di un atomo dopo (sfruttando il suo livello di energia). Cercheremo dunque di scoprire se il fatto che la conoscenza del percorso e relativa interferenza quantistica, da cui è possibile stabilire la natura complementare di detti eventi, sia dovuto al modo di misurare il passaggio di una particella in un dato punto, o se si tratta di qualcosa che avviene indipendentemente dal metodo di misura. Per prima cosa, analizziamo un which-way entangler usato per conoscere il percorso di un fotone, e dunque utilizzato per fare esperimenti con la luce. Per cercare di scoprire il percorso imboccato da ciascun fotone, effettuiamo il seguente esperimento con l’interferometro di Mach-Zehnder (come indicato in fig.8). Nello schema, possiamo notare che su uno dei percorsi, è stato aggiunto un rotatore di polarizzazione. In tal modo si potranno distinguere i vari percorsi seguiti dai fotoni. Infatti, se un fotone percorre il tragitto sul quale è stato
  • 27. posizionato il rotatore di polarizzazione, alla fine avrà una polarizzazione diversa da quella iniziale. Fig.8 Nello schema (fig.8) abbiamo un interferometro di Mach-Zehnder, in cui è stato aggiunto un rotatore di polarizzazione. Usando il formalismo matematico, descriviamo il percorso di un fotone tenendo conto anche della polarizzazione dello stesso. Possiamo scrivere lo stato iniziale del fotone con polarizzazione orizzontale come: ⎹ ߰௜௡ۧ = ⎹ ‫ۧݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ Dove ⎹ ‫ۧݔ‬ rappresenta la direzione di propagazione (asse x) e ⎹ ‫ۧ ܪ‬ la polarizzazione (orizzontale). Vediamo ora l’evoluzione dello stato del fotone nell’apparecchio: ⎹ ‫ۧݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ஻ௌଵ ሱۛሮ ଵ √ଶ (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬
  • 28. ெ → 1 √2 (݅⎹ ‫ۧݕ‬ − ⎹ ‫) ۧݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ఈ → 1 √2 (݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ ߙ ۧ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫) ۧ ܪ‬ ஻ௌଶ ሱۛሮ 1 2 [(݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ (⎹ ߙ ۧ − ⎹ ‫) ۧ ܪ‬ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ (⎹ ߙ ۧ + ⎹ ‫]) ۧ ܪ‬ = ଵ ଶ [−⎹ ‫⎹( ۧ ݔ‬ ⊗ ۧ ߙ + ⎹ ‫) ۧ ܪ‬ + ݅⎹ ‫ۧݕ‬ ⊗ (⎹ ߙ ۧ − ⎹ ‫]) ۧ ܪ‬ E otteniamo quindi che Prob.(x) è uguale a: ⃦ ܲ⎹ ௫ۧ ⎹ ߰௢௨௧ۧ ⃦ଶ = ⃦⎹ ‫⎹ݔ ۦ ۧ ݔ‬ ⊗ ‫߰⎹ܫ‬௢௨௧ۧ ⃦ଶ = 1 4 ⃦⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ (⎹ ߙ ۧ + ⎹ ‫⃦ ) ۧ ܪ‬ଶ = 1 4 ⃦⎹ ߙ ۧ + ⎹ ‫⃦ ۧ ܪ‬ଶ = 1 4 (2 + 2 cos ߙ ) = 1 2 (1 + cos ߙ ) Mentre Prob.(y) sarà uguale a: ⃦ ܲ⎹ ௬ۧ ⎹ ߰௢௨௧ۧ ⃦ଶ = ⃦⎹ ‫⎹ݕ ۦ ۧ ݕ‬ ⊗ ‫߰⎹ܫ‬௢௨௧ۧ ⃦ଶ = 1 4 ⃦⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ (⎹ ߙ ۧ − ⎹ ‫⃦ ) ۧ ܪ‬ଶ = 1 4 ⃦⎹ ߙ ۧ − ⎹ ‫⃦ ۧ ܪ‬ଶ = 1 4 (2 − 2 cos ߙ ) = 1 2 (1 − cos ߙ )
  • 29. La visibilità delle frange d’interferenza si definisce come: V= ௉௥௢௕ (௫)ି௉௥௢௕ (௬) ௉௥௢௕ (௫)ା௉௥௢௕ (௬) = cos ߙ Notiamo dunque che V = 1 quando α = 0 (ossia quando ⎹ ߙ ۧ = ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ; e V = 0 quando α = గ ଶ ( ossia quando ⎹ ߙ ۧ = ⎹ ܸ ۧ ). Da tutto ciò che è stato esposto finora, è possibile notare che gli stati ⎹ ‫ۧ ܪ‬ e ⎹ ܸ ۧ risultano perfettamente distinguibili e la misurazione della polarizzazione permette di risalire alla traiettoria del fotone. Si osserva che, se α = గ ଶ = ⎹ ܸ ۧ = ⎹ గ ଶ ඀ , dunque: Prob.(x) = Prob.(y) = ଵ ଶ Inoltre la visibilità è nulla; e ciò significa che le interferenze quantistiche sono del tutto scomparse. Se invece α = 0 , ⎹ ߙ ۧ = ⎹ ‫ۧ ܪ‬ = ⎹ 0 ۧ , allora avremo: Prob.(x) = 1 e Prob.(y) = 0 In questo caso la visibilità non è più nulla, ed il suo valore è 1. Notiamo che non è possibile conoscere con certezza il percorso intrapreso dal fotone e contemporaneamente la sua destinazione. Infatti, se conosciamo con certezza la sua polarizzazione⎹ ܸ ۧ oppure⎹ ‫,ۧܪ‬ l’interferenza quantistica scompare completamente. Se invece sappiamo con certezza che il fotone arriva all’uscita TR o RT (interferenza), non potremo conoscere il percorso che esso ha seguito. Nel caso in cui α ≠ గ ଶ , l’interferenza sarà solo parziale e la visibilità compresa tra 0 e 1. Anche in questo caso possiamo affermare che i concetti di interferenza quantistica e conoscenza del percorso sono complementari (ciò non dipende quindi dal metodo di misurazione del percorso intrapreso dal fotone). Si può dunque enunciare il principio di complementarietà come segue:
  • 30. In determinate situazioni, due o più informazioni non possono in alcun modo essere conosciute contemporaneamente; o se ne conosce una, o si conosce l’altra. Queste informazioni sono dette complementari. Which-way entangler con atomi: Siccome la polarizzazione è una caratteristica specifica della luce, il modello di which-way entangler con polarizzazione visto precedentemente, non funziona con tutte le particelle. Vediamo ora un modello di interferometro adatto al caso in cui vengano utilizzati degli atomi, al posto dei fotoni. Si consideri ancora la stessa disposizione dell’interferometro usato nell’esperimento con i due sensori (rilevatori) DA e DB (fig.7), ma con una piccola modifica: i rilevatori DA e DB non rilevano direttamente il passaggio di una particella, ma fanno sì che quest’ultima emetta un fotone quando li attraversa, e rilevano il fotone emesso. Per fare ciò, la particella viene emessa dalla sorgente in uno stato eccitato; quando questa attraversa uno dei due sensori DA o DB , torna nuovamente al suo stato fondamentale , tramite l’emissione di un fotone (confr. Fig.9): Fig.9
  • 31. Notiamo lo stato del fotone emesso come ⎹ ‫ۧ ܣ‬ o ⎹ ‫,ۧ ܤ‬ a dipendenza del sensore che l’ha rilevato (⎹ 0 ۧ significa che il fotone non è ancora stato emesso). Lo stato ⎹ ݁ ۧ sta ad indicare che la particella si trova nel suo stato eccitato, mentre ⎹ ݃ ۧ significa che è nel suo stato fondamentale. Descriviamo ora l’evoluzione dello stato della particella. Lo stato iniziale sarà: ⎹ ߰௜௡ۧ = ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ஻ௌଵ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ஻ௌଵ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܣ‬ + ݅⎹ ‫ۧݕ‬ ⊗ ⎹ ‫)ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ ெ → 1 √2 (݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܣ‬ − ⎹ ‫ۧݔ‬ ⊗ ⎹ ‫)ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ ஻ௌଶ ሱۛሮ 1 2 [(݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ − ⎹ ‫)ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܣ‬ − (⎹ ‫ۧ ݔ‬ + ݅⎹ ‫)ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ ‫]ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ = 1 2 [݅⎹ ‫ۧݕ‬ ⊗ (⎹ ‫ۧ ܣ‬ − ⎹ ‫)ۧ ܤ‬ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ (⎹ ‫ۧ ܣ‬ + ⎹ ‫])ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ Le probabilità, saranno quindi così definite: Prob.(x) = ଵ ସ ⃦⎹ ‫ۧ ܣ‬ + ⎹ ‫ ܤ‬ۧ ⃦ଶ = ଵ ସ (1 + 1) = ଵ ଶ Prob.(y) = ଵ ସ ⃦⎹ ‫ۧ ܣ‬ − ⎹ ‫ ܤ‬ۧ ⃦ଶ = ଵ ସ (1 + 1) = ଵ ଶ Come nel caso del wich-way entangler con la polarizzazione, anche qui il percorso è perfettamente conosciuto, e la figura di interferenza scompare completamente. Anche in questo caso si può parlare di complementarietà. Dal momento che conosciamo esattamente il percorso preso dalla particella, l’interferenza scompare; ma se vogliamo che essa riappaia, è sufficiente rinunciare a conoscere il percorso seguito dalla particella.
  • 32. Entanglement: Negli esperimenti eseguiti con il wich-way entangler, abbiamo visto che l’interferenza viene distrutta ogniqualvolta sia possibile differenziare i percorsi presi dalle particelle. Nel caso del fotone, ad esempio, ciò avviene quando la sua polarizzazione viene diversificata nei due differenti percorsi; mentre nel caso dell’atomo, come abbiamo potuto osservare nell’esperimento mostrato in fig.9, ciò avviene nel momento in cui il fotone emesso viene rilevato (permettendo così di risalire al punto in cui l’atomo è rientrato nel suo stato fondamentale). La caratteristica dello stato del fotone concernente la sua polarizzazione, ci fornisce informazioni anche sul percorso preso dallo stesso (e viceversa); mentre il fotone liberato dall’atomo contiene informazioni riguardanti il percorso intrapreso dall’atomo (e viceversa). In entrambi i casi si parla si stato intrecciato (entangled): nel primo fra polarizzazione e direzione di propagazione; nel secondo tra atomo e fotone. Questo fenomeno prende il nome di entanglement quantistico. Quantum eraser: Abbiamo visto che la conoscenza del percorso preso dalla particella e l’effetto d’interferenza quantistica sono due fenomeni complementari, e dunque la conoscenza totale del percorso ottenuta mediante l’uso del which-way entangler fa sì che l’interferenza non si manifesti. Vediamo ora come cancellare le informazioni concernenti il percorso intrapreso dalla particella con un’ulteriore estensione dell’interferometro di Mach-Zehnder, chiamata quantum eraser (o gomma quantistica). Anche qui vedremo l’esperimento con il cancellatore quantistico, in modo analogo ai due casi precedenti, ovvero con i fotoni e con gli atomi. Partiamo dunque con il primo esperimento, dove verranno utilizzati dei fotoni. L’interferometro di Mach-Zehnder, dovrà essere posizionato in modo uguale a quello utilizzato per conoscere il percorso di ogni
  • 33. singolo fotone, con l’unica differenza che occorrerà aggiungere dei polarizzatori dopo ciascuna uscita del secondo beam-splitter, con un angolo di polarizzazione β uguale per entrambe le uscite. In questo modo è possibile cancellare le informazioni sul percorso seguito da ogni fotone (infatti tutti i fotoni che attraversano il polarizzatore avranno una polarizzazione ⎹ ߚ ۧ , uguale all’asse preferenziale di quest’ultimo; mentre tutti i fotoni con polarizzazione ⎹ ߚ⏊ ൿ saranno assorbiti o riflessi dal polarizzatore). Fig.10 Descriviamo a questo punto il percorso del fotone e l’evoluzione del suo stato. Lo stato iniziale del fotone è: ⎹ ߰௜௡ۧ = ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ ۧ ܪ‬
  • 34. Visto che α = గ ଶ , l’interferenza scompare completamente. Fissando l’angolo del rotatore di polarizzazione ad α = గ ଶ , la sua azione sarà dunque: ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ఈ → ⎹ ܸ ۧ . ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ஻ௌଵ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ெ → 1 √2 (݅⎹ ‫ۧݕ‬ − ⎹ ‫) ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ఈ → ଵ √ଶ (݅⎹ ‫ۧݕ‬ ⊗ ⎹ ܸ ۧ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܪ‬ ) ஻ௌଶ ሱۛሮ ଵ ଶ [(݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ − ⎹ ‫) ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ܸ ۧ − (⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ⊗ ⎹ ‫] ۧ ܪ‬ A questo punto occorre descrivere l’azione del polarizzatore, il quale agisce come una sorta di filtro; ovvero: più l’angolo di polarizzazione α del fotone risulterà diverso dall’angolo β del polarizzatore, e assai minore sarà la probabilità che il fotone riesca a passare (con Prob(α ⏊ β ) = 0 e Prob( α ‖ β )= 1). Visto che nel nostro caso le due polarizzazioni sono ⎹ ܸ ۧ e ⎹ ‫ ۧ ܪ‬ , le probabilità che i fotoni passino dal filtro polarizzatore e che quindi cambino la loro polarizzazione in β , saranno: Prob ( V ) = sen2 (β ) Prob (H ) = cos2 (β ) E l’azione del polarizzatore sarà: ⎹ ܸ ۧ ఉ → ‫ ۧ ߚ ⎹) ߚ( ݊݁ݏ‬ ⎹ ‫ ۧ ܪ‬ ఉ → ܿ‫ ۧ ߚ ⎹) ߚ( ݏ݋‬ Otteniamo quindi: ఉ → 1 2 [(݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ − ⎹ ‫) ۧ ݔ‬ ⊗ (‫ )ۧ ߚ ⎹) ߚ(݊݁ݏ‬ −(⎹ ‫ۧݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧݕ‬ ⊗ (ܿ‫ = ])ۧ ߚ ⎹) ߚ( ݏ݋‬
  • 35. 1 2 [−(‫ߚ݊݁ݏ‬ + ܿ‫) ߚݏ݋‬ ⊗ ⎹ ‫ ݔ‬ۧ + ݅ (‫ߚ݊݁ݏ‬ − ܿ‫ )ߚݏ݋‬⎹ ‫ ݕ‬ۧ] ⊗ ⎹ ߚ ۧ E troviamo le probabilità: Prob.(x) = ⎹ ଵ ଶ (‫ߚ݊݁ݏ‬ + ܿ‫⎹) ߚݏ݋‬ଶ ⃦ ⎹ ‫ݔ‬ۧ ⃦2 ⃦⎹ ߚ ۧ ⃦2 = 1 4 (1 + 2 ܿ‫ ) ߚ݊݁ݏ ߚݏ݋‬ Prob.(y) = ⎹ ଵ ଶ (‫ߚ݊݁ݏ‬ − ܿ‫⎹) ߚݏ݋‬ଶ ⃦ ⎹ ‫ݕ‬ۧ ⃦2 ⃦⎹ ߚ ۧ ⃦2 = 1 4 (1 − 2 ܿ‫ ) ߚ݊݁ݏ ߚݏ݋‬ Osserviamo che le probabilità calcolate sono condizionate dal fatto che i fotoni oltrepassano il polarizzatore ߚ . Poiché in ogni caso la metà di essi viene assorbita, la somma delle probabilità sarà ଵ ଶ ; e solo condizionandola al passaggio si otterrà 1. Se il polarizzatore è in posizione orizzontale (β = 0) , oppure verticale (β = గ ଶ ), allora avremo che: Prob.(x) = Prob.(y) = ଵ ସ e quindi non abbiamo l’interferenza. Questo accade perché è ancora possibile conoscere quale percorso è stato preso da ogni fotone giunto sino al rilevatore (la metà di essi viene assorbita o riflessa dal polarizzatore; infatti se β = 0 , passano solo i fotoni polarizzati ⎹ ‫ ,ۧ ܪ‬e viceversa se β = గ ଶ ). Se invece ci avviciniamo al valore definito dal passaggio dello stesso numero di fotoni con polarizzazioni ⎹ ‫ ۧ ܪ‬ e ⎹ ܸ ۧ (dove β = గ ସ ), vediamo che il fenomeno di interferenza aumenta, fino ad essere completa quando l’informazione sul percorso intrapreso viene cancellata completamente.
  • 36. Prob.(x) = ଵ ସ ൬ 1 + 2 cos ቀ గ ସ ቁ ‫݊݁ݏ‬ ቀ గ ସ ቁ൰ = ଵ ଶ Prob.(y) = ଵ ସ ൬ 1 − 2 cos ቀ గ ସ ቁ ‫݊݁ݏ‬ ቀ గ ସ ቁ൰ = 0 Si ricordi che la probabilità è Prob.(x) = ଵ ଶ , perché l’altra metà dei fotoni viene assorbita o riflessa dal polarizzatore e quindi non raggiunge alcuna uscita. Se calcoliamo Prob.(x) in relazione esclusivamente ai fotoni che oltrepassano il polarizzatore, otteniamo: Prob. (x⎹ passato) = 1 Prob. (y⎹ passato) = 0 Si noti che lo stesso esperimento può essere realizzato, posizionando i rilevatori prima del cancellatore quantistico (quantum eraser), in modo tale che essi (rilevatori) lascino passare i fotoni dopo aver rilevato il loro passaggio e che la polarizzazione venga cambiata dopo il rilevamento. Fig.11
  • 37. Anche in questo caso il fenomeno dell’interferenza ricompare, come se i fotoni “sapessero” che vi è il cancellatore quantistico sul loro percorso, già prima di passare dal rilevatore. Questo tipo di esperimento viene solitamente denominato: “Cancellatore quantistico a scelta ritardata” ( delayed choice quantum eraser). Anche nel caso in cui eseguiamo l’esperimento del which-way entangler usando delle particelle diverse dai fotoni (anche degli atomi, ad esempio), possiamo cancellare semplicemente le informazioni sul percorso seguito da tali particelle (dotate di massa). Come per il caso della polarizzazione, anche in questo caso l’esperimento del quantum eraser è una semplice estensione dell’interferometro di Mach-Zehnder (già utilizzato per l’esperimento del which-way entangler ). Abbiamo dunque bisogno di un quantum eraser che ci consenta di cancellare le informazioni sul percorso intrapreso da ogni atomo. Per fare ciò, occorre fare in modo che il fotone emesso dall’atomo quando passa dallo stato eccitato ⎹ ݁ ۧ a quello fondamentale ⎹ ݃ ۧ , venga assorbito in modo tale che non sia più possibile rilevare il percorso dal quale è partito. L’esperimento prevede di collocare un’ulteriore particella ε in un punto fra i rilevatori, come in fig.12 (ε sarà dunque il nostro quantum eraser): Fig.12
  • 38. Nel caso in cui il fotone emesso venga assorbito dal quantum eraser, l’informazione sul percorso viene completamente persa; e secondo le previsioni dovrebbe verificarsi un’interferenza quantistica. La descrizione del prossimo esperimento è molto simile al caso del which-way entangler; ci serve però una notazione per descrivere lo stato del quantum eraser ε. Noteremo dunque con ⎹ ߝ ۧ il quantum eraser nel suo stato eccitato (ossia quando viene assorbito il fotone) e con ⎹ ߛ ۧ il quantum eraser nel suo stato fondamentale. Consideriamo ora l’evoluzione del sistema il cui stato iniziale è: ⎹ ߰௜௡ۧ = ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ Se facciamo in modo che il fotone emesso, bloccando il percorso C (confr. Fig.12), non raggiunga il quantum eraser, otteniamo lo stesso risultato dell’esperimento con il which-way entangler. Dunque avremo: ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ ஻ௌଵ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧ ݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ ஽ಲ,ಳ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܣ‬ + ݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ ‫)ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ ெ → 1 √2 ( ݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ ‫ۧ ܣ‬ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ ‫)ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ ஻ௌଶ ሱۛሮ 1 2 [݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ ⊗ (⎹ ‫ۧ ܣ‬ − ⎹ ‫ ) ۧ ܤ‬ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ (⎹ ‫ۧ ܣ‬ + ⎹ ‫]) ۧ ܤ‬ ⊗ ⎹ ݃ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ E quindi: Prob.(x) = Prob.(y) = ଵ ଶ
  • 39. Se invece lasciamo aperto il percorso C, il fotone viene assorbito dalla particella soltanto in alcuni casi. Se non viene assorbito, otteniamo ancora: Prob.(x) = Prob.(y) = ଵ ଶ Nel caso in cui il fotone venga assorbito, sappiamo che il primo tratto del percorso risulterà uguale a quello di prima; per cui avremo ancora: ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ ஻ௌଵ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ۧ ݔ‬ + ݅⎹ ‫) ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݁ ۧ ⊗ ⎹ ߛ ۧ In ஽ಲ,ಳ ሱۛሮ il fotone viene assorbito dal quantum eraser, quindi sappiamo che: ஽ಲ,ಳ ሱۛሮ 1 √2 (⎹ ‫ ݔ‬ۧ + ݅⎹ ‫ ݕ‬ۧ ) ⊗ ⎹ 0 ൿ ⊗ ⎹ ݃ ൿ ⊗ ⎹ ߝ ൿ ெ → 1 √2 (݅⎹ ‫ ݕ‬ۧ − ⎹ ‫ ݔ‬ۧ ) ⊗ ⎹ 0 ൿ ⊗ ⎹ ݃ ൿ ⊗ ⎹ ߝ ൿ ஻ௌଶ ሱۛሮ 1 2 [ ݅⎹ ‫ۧ ݕ‬ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ − ݅⎹ ‫]ۧ ݕ‬ ⊗ ⎹ 0 ۧ ⊗ ⎹ ݃ ۧ ⊗ ⎹ ߝ ۧ = − ⎹ ‫ۧ ݔ‬ ⊗ ⎹ 0 ൿ ⊗ ⎹ ݃ ൿ ⊗ ⎹ ߝ ൿ In ultima analisi, possiamo trovare la probabilità che la particella esca in x e y, nel caso in cui il fotone venga assorbito dal quantum eraser. Le probabilità Prob.(x) e Prob.(y), sono quindi sostituite dalle probabilità condizionali Prob.(x⎹ abs) e Prob.(y⎹ abs). Dunque otteniamo: Prob.(x⎹ abs): ⎹ − 1 ⎹ଶ ⃦⎹ ‫⃦ ۧ ݔ‬ଶ ⃦ ⎹ 0 ۧ ⃦ଶ ⃦ ⎹ ݃ ۧ ⃦ଶ ⃦⎹ ߝ ۧ ⃦ଶ = 1
  • 40. Mentre Prob.(y⎹ abs) = 0 Per concludere, possiamo affermare che la cancellazione delle informazioni riguardanti il percorso della particella, riesce a ripristinare completamente il fenomeno dell’interferenza quantistica nell’interferometro di Mach-Zehnder. Possiamo dunque affermare che le informazioni riguardanti il percorso e quelle relative all’interferenza, sono complementari. Notiamo però che le interferenze si possono osservare solo nel sottoinsieme delle particelle per le quali il fotone è stato assorbito dal quantum eraser (un fatto questo, che è emerso calcolando le probabilità condizionate). Abbiamo visto che un’interferenza quantistica, appare solo quando una particella giunge ad un certo punto, in cui può scegliere due percorsi differenti per arrivare ad un rilevatore. Percorsi , questi, che devono essere indiscernibili dopo la rilevazione (principio di indiscernibilità). Inoltre abbiamo visto che l’informazione sul percorso intrapreso dalla particella quantistica, è ottenuta sfruttando l’entanglement esistente tra la stessa e un rilevatore presente sul percorso. La conoscenza del percorso fa scomparire l’interferenza quantistica; quindi l’entanglement fra questi due elementi modifica lo stato della particella, che infine risulta correlato con quello del rilevatore (si parla infatti di stato intrecciato, o entangled). Infine, siamo inoltre riusciti a stabilire che l’interferenza quantistica, può essere ripristinata mediante l’utilizzo di un quantum eraser (o cancellatore quantistico; ovvero uno strumento che disintreccia gli stati della particella e del rilevatore). In questo modo si ottiene quindi la cancellazione di ogni informazione sul percorso seguito dalla particella quantistica (ossia vengono perse le informazioni di tipo which- way; dall’inglese: which-way informations), e l’interferenza riappare, ma solo in modo condizionato ad alcune caratteristiche dell’esperimento (trasmissione di fotoni nel primo caso o assorbimento di fotoni nel secondo).
  • 41. Possiamo dunque affermare ancora una volta che, le informazioni relative al percorso della particella e quelle relative all’uscita presa dalla particella (ovvero gli effetti di interferenza), sono due proprietà complementari. Il principio di complementarità, enunciato da Niels Bohr nel 1927 per fondare su una valida base logica la teoria atomica, è un'enunciazione del fatto che tutti i fenomeni fisici presentano, a livello atomico o subatomico, un duplice aspetto, corpuscolare e ondulatorio, e che una qualsiasi esperienza immaginata per evidenziare uno dei due aspetti non può evidenziare l'altro. L'applicazione della teoria dei quanti alla fisica atomica costringe alla rinuncia dell'idea classica di causalità e al ricorso a questo principio. L'osservazione di un fenomeno atomico modifica in modo imprevedibile quest'ultimo in modo tale che risulta impossibile parlare di un comportamento dell'oggetto fisico indipendente dall'apparecchio di misura, che opera sull'oggetto stesso in modo casuale. I dati sperimentali relativi a fenomeni atomici non si riferiscono quindi all'oggetto di per sé, bensì all'oggetto in condizioni determinate, fissate da apparecchi di tipo diverso. Esso consente dunque di eliminare ogni contraddizione logica tra la descrizione corpuscolare e quella ondulatoria dei fenomeni atomici e implica l'impossibilità di dimostrare la verità dell'una o la falsità dell'altra. In base al principio di complementarietà, la dualità dell'interpretazione corpuscolare e di quella ondulatoria viene considerata una diretta conseguenza dell'impossibilità di tracciare una netta linea di demarcazione tra l'oggetto conosciuto e il soggetto percipiente. Il manifestarsi del fenomeno sotto una forma piuttosto che sotto un l'altra, dipende appunto dal tipo di apparecchiatura con cui si cerca di osservarlo. L'esattezza di un simile punto di vista è dimostrata dal fatto che il medesimo fenomeno non può mai apparire nello stesso tempo come particella e come onda; poiché, analizzando gli apparecchi usati nei due casi si conclude che essi si escludono a vicenda. Tali apparecchi sono definiti da Bohr: tra loro complementari;
  • 42. complementari o duali vengono chiamate le grandezze che mediante essi possono essere misurate; complementari o duali vengono anche chiamati i corrispondenti quadri descrittivi, ondulatorio e corpuscolare, che ne risultano. Il principio di complementarità ebbe così vasti consensi da assumere presto il ruolo di principio filosofico generale, con il quale si cercarono di risolvere, in modo peraltro molto discutibile, questioni nel campo della biologia, della sociologia e della psicologia; nonché problemi concernenti l'interrelazione tra scienza e arte e tra scienza e religione. Alcuni pensatori tentarono addirittura, in base ad esso, di arrivare alla risoluzione di un problema filosofico così arduo e complesso come quello del libero arbitrio. Bohr amava molto questo concetto di complementarietà della realtà, tanto da estenderlo a una lezione di vita. Diceva per esempio che: "The opposite of a true statement is a false statement, but the opposite of a profound truth is usually another profound truth". Ovvero: "L'opposto di una affermazione vera è una affermazione falsa, ma l'opposto di una profonda/fondamentale verità è un'altra verità profonda". Oppure potremmo dire che: più grande è una verità, più grande sarà il suo opposto. Nel 1947, Bohr fu insignito dell' "Ordine dell'elefante", un grande onore in Danimarca. Parte di questo fu la possibilità di scolpire su un muro apposito il proprio simbolo araldico di famiglia. Bohr era un borghese e in quanto tale non ne aveva uno. Decise dunque di disegnarselo. Nello stemma araldico della famiglia Bohr (riportato poco più avanti), è possibile notare il simbolo Tao di “Ying & Yang” (ovvero gli opposti che si completano a vicenda: uomo-donna; bianco-nero; attivo-passivo; e via dicendo); mentre la frase in latino recita: “Contraria sunt complementa” (ovvero: “Gli opposti sono complementari”).
  • 43. Stemma araldico della famiglia Bohr
  • 44. Una curiosità… Durante l’estate del 2011, un gruppo di ricercatori dell'Università di Toronto ha sviluppato un metodo per applicare sofisticate tecniche di misurazione allo storico esperimento delle due fenditure (in cui un fascio di luce che passa attraverso due strette fenditure fra loro vicine forma figure d'interferenza su uno schermo posto dietro di esse). In questo esperimento, i ricercatori sono riusciti per la prima volta a ricostruire sperimentalmente le traiettorie complete, che forniscono una descrizione del modo in cui le particelle di luce si muovono attraverso due fenditure e formano le figure d'interferenza. La tecnica utilizzata si basa sulla teoria della misurazione debole sviluppata da Yakir Aharonov della Tel Aviv University; dove una misura è considerata "debole" se ha una grossa indeterminazione ( tale cioè da lasciare lo stato del sistema quasi imperturbato). Sulla base di questa teoria, Howard Wiseman della Griffith University , aveva ipotizzato che combinando l'informazione sulla direzione del fotone in vari punti attraverso misure deboli, fosse possibile ricostruire le traiettorie che portano il flusso luminoso su uno schermo. Nell’esperimento in questione è stata usata una nuova fonte di singoli fotoni sviluppata al National Institute for Standards and Technology in Colorado, per poi inviarli uno alla volta in un interferometro costruito a Toronto. Si è inoltre usato un cristallo di calcite, che sulla luce ha un effetto dipendente dalla direzione in cui essa si propaga, per misurare la direzione come funzione della posizione. In base ai risultati di questo esperimento, i ricercatori hanno potuto appurare che le traiettorie misurate risultavano coerenti con l’interpretazione realista e non convenzionalista della meccanica quantistica sostenuta da fisici-pensatori come David Bohm o Louis De Broglie. Applicando tecniche di misurazione moderne allo storico esperimento della doppia fenditura, si è dunque riusciti ad osservare le traiettorie particellari medie che sottostanno all'interferenza di tipo ondulatorio; e questa risulta essere la
  • 45. prima osservazione al mondo di questo tipo. Un tale risultato, a ben vedere, dovrebbe contribuire a far avanzare il dibattito sulle diverse interpretazioni della teoria quantistica. Shahriar Afshar Shahriar Sadigh Afshar (Iran, 1971), è un fisico iraniano- americano, conosciuto a livello internazionale non solo per il suo controverso esperimento di ottica quantistica (che porta il suo nome e ancora oggi, a distanza di circa dieci anni dalla sua realizzazione, suscita accese ed interminabili discussioni tra gli addetti ai lavori), bensì anche per aver vinto diversi premi nel campo delle invenzioni. La sua invenzione più conosciuta (ovvero quella che gli ha portato una certa notorietà a livello mondiale), è indubbiamente il cosiddetto KOR-fx; ossia un congegno elettronico (per video-giochi) da indossare (e che va a posizionarsi sul petto), basato sulla tecnologia acustico-aptica2 e in grado dunque di produrre delle vibrazioni a bassa frequenza, 2 Un'interfaccia aptica è un dispositivo che permette di manovrare un robot, reale o virtuale, e di riceverne delle sensazioni tattili in risposta (retroazione o feedback). Un esempio potrebbe essere un joystick con ritorno di forza (force feedback), un mouse in cui la rotellina si blocca quando il puntatore arriva ai margini dello schermo, o un display in braille utilizzato dai non vedenti. La parola aptico deriva dal greco apto, che significa tocco: con questo attributo si intende quindi qualcosa che ha a che fare con il tatto. Le interfacce aptiche sono utili e necessarie in quei contesti in cui la sola visione di quanto sta accadendo non è sufficiente all'operatore per garantire un controllo corretto. Vengono quindi utilizzate in settori di robotica avanzata, come la robotica chirurgica e quella spaziale, e in quelli relativi alla realtà virtuale, come la tele-manipolazione o l'addestramento con operazioni simulate. Oltre che nel settore della robotica, le interfacce aptiche sono utili dove è necessaria un'interazione fra computer ed operatore; come ad esempio nel settore della modellazione solida (dove l'interfaccia aptica permette all'utente di sfruttare le proprie capacità manuali mantenendo il senso del tatto).
  • 46. atte a stimolare fisicamente e in parte mentalmente chi lo indossa e quindi di farlo “sentire” immerso nella realtà virtuale del video-game utilizzato. Shahriar Sadigh Afshar
  • 47. L’esperimento di Afshar “Se si scoprisse la legge universale di natura, i principi d’invarianza diventerebbero semplici trasformazioni matematiche che lasciano invariata la legge” Eugene Wigner Shahriar S. Afshar, iniziò a lavorare al suo (ormai famoso) esperimento di ottica (alcuni dicono ottica quantistica, altri semplicemente ottica; poiché ancora oggi non è ben chiara la vera natura di tale esperimento) all’ “Institute for Radiation- Induced Mass Studies” (IRIMS) nel 2001, nella città di Boston (USA, Massachusetts). Due anni dopo, ossia nel 2003, realizzò lo stesso esperimento all’Università di Harvard (dove era ancora uno studente-ricercatore). I risultati furono presentati ad un seminario di Harvard nel marzo del 2004, e pubblicati come atti del convegno dalla Società Internazionale di Ingegneria Ottica. L’esperimento (nonché il nome del suo autore), apparve persino sulla copertina della prestigiosa rivista scientifica New Scientist, il 24 luglio del 2004. L’articolo sull’esperimento di Afshar, pubblicato su New Scientist, generò ben presto un’immensa ondata di risposte, tra cui varie lettere al direttore, che in ben due uscite della sua rivista (il 7 e il 14 agosto del 2004), sostenne di essere contro le conclusioni tratte da Afshar, dando piena fiducia alle critiche mosse dal fisico John G.Cramer. Afshar comunque, non si fece scoraggiare dalle innumerevoli critiche mosse nei suoi confronti e verso la fine di marzo del 2005, presentò il suo lavoro al meeting di Los Angeles della American Physical Society. Il documento scientifico (peer- reviewed ) relativo al suo lavoro, venne pubblicato su Foundations of Physics nel gennaio del 2007 (ben sei anni dopo il suo primo esperimento all’IRIMS di Boston!).
  • 48. Afshar sostiene che il suo esperimento invalidi il principio di complementarità ed abbia implicazioni di vasta portata per la comprensione della meccanica quantistica, sfidando l'interpretazione di Copenhagen. Secondo John Cramer, i risultati di Afshar supportano la sua teoria dell’Interpretazione Transazionale della Meccanica Quantistica (proposta per la prima volta dallo stesso Cramer nel 1986), e sfidano al contempo l’Interpretazione a Molti Mondi (proposta per la prima volta da Hugh Everett III nel 1957) della Meccanica Quantistica (un’affermazione mai resa pubblica in un documento peer-reviewed ). Nel modello sperimentale realizzato da Afshar, viene utilizzata una variante dell’esperimento classico di Thomas Young della doppia fenditura, per creare degli schemi di interferenza atti ad indagare sul principio di complementarità. Questo tipo di esperimenti, implicano (come abbiamo già avuto modo di vedere nelle prime pagine introduttive del libro) l’utilizzo di interferometri a due percorsi, dove i fotoni vengono indirizzati e fatti interagire tra loro e con l’apparato di misurazione (nonché con l’osservatore stesso che compie l’esperimento). Una delle affermazioni di Afshar è che, nel suo esperimento, è possibile verificare la presenza di frange di interferenza di un flusso di fotoni (una misura della natura ondulatoria dei fotoni), osservando contemporaneamente il percorso seguito da ogni fotone (una misura della natura particellare/materiale dei fotoni). Dall’esperimento, si evince che una griglia di fili metallici può essere ignorata dai fotoni, quando entrambe le fenditure sono aperte. Tale risultato è in conformità con le previsioni standard della Meccanica Quantistica; tuttavia, con argomentazioni assai controverse, in molti sono giunti all’idea che in tal caso, venga violato il principio di complementarità ( e in modo specifico la relazione di dualità di Englert-Greeberger). Molti altri fisici invece, nonostante i risultati di tale esperimento parlino chiaro, sono dell’idea che il principio di complementarità non venga in alcun modo compromesso.
  • 49. Ma vediamo ora in dettaglio le varie fasi dell’esperimento. Esso si basa sul principio delle fenditure di Young. Nella variante di Afshar, vengono utilizzati dei fori e non delle fenditure. Dopo questi fori, una lente focalizza la luce proveniente da ciascuno di essi e la proietta su un foto-rilevatore indipendente (confr. Fig.13). In questo modo, un fotone passante per il buco numero uno, sarà ricevuto esclusivamente sul foto-rilevatore uno e viceversa. Così configurata, l’apparecchiatura sarà in grado di interagire con la natura corpuscolare (particellare) dei fotoni e di misurarne gli effetti. Parallelamente, le frange d’interferenza continuano ad essere materializzate tra i fori e la lente. Il fatto che le si osservi direttamente, fa sì che nessun fotone possa più raggiungere i foto-rilevatori. Fig.13 Esperimento senza griglia metallica
  • 50. L’idea di Afshar, per porre rimedio a questo “inconveniente”, è stata quella di collocare una griglia di fili metallici, proprio nel punto in cui si formano le frange di interferenza (confr. Fig.14). Questa griglia, costituita da fili metallici molto fini, viene disposta in modo tale che ciascun filo si trovi nel punto in cui emerga una banda oscura della figura d’interferenza. Per ottenere questo, la figura d’interferenza viene dapprima misurata, al fine di determinare la posizione di ciascun filo. Fig.14 Esperimento con griglia metallica e un solo foro aperto. Se un solo foro è aperto (fig.14), la figura d’interferenza non può più formarsi, poiché viene rimpiazzata da un punto di luce. Una parte dei fotoni, viene dunque fermata dai fili metallici, che a loro volta producono un effetto di degradazione della qualità dell’immagine. Questi effetti sono stati realmente osservati durante l’esperimento. Nella terza parte dell’esperimento, si lascia passare la luce da entrambi i fori (fig.15). In questo caso, la degradazione
  • 51. dell’immagine a causa della griglia metallica, viene fortemente attenuata (il risultato è simile a quello che si otterrebbe qualora la griglia metallica non venisse utilizzata). Di conseguenza, è possibile supporre che i fotoni evitino i fili metallici. Ciò significherebbe che essi passino in modo preferenziale, laddove la figura d’interferenza presenti dei massimi livelli d’intensità. Fig.15 Esperimento con griglia metallica ed entrambi i fori aperti. Infine, è interessante osservare che questo esperimento fornisce gli stessi risultati, utilizzando una sorgente a singoli fotoni (laser pulsato) o a flusso continuo (laser convenzionale). Nella sua interpretazione, Afshar ritiene che la luce presenti un carattere ondulatorio nel momento in cui passa tra i fili metallici, poiché la probabilità di presenza dei fotoni sembra essere correlata con la figura d’interferenza; ma al contempo, ritiene anche che presenti un carattere corpuscolare (particellare), dopo che viene focalizzata e proiettata da una lente, su uno solo dei
  • 52. due foto-rilevatori. In conclusione, secondo Afshar, questo comportamento contraddice il principio di complementarità, poiché le caratteristiche ondulatorie e corpuscolari della luce, vengono simultaneamente messe in evidenza. A conclusione del suo primo documento scientifico (“Violation of the Principle of Complementarity, and its implications”) relativo al suo esperimento, Afshar scrive: “Vale la pena ricordare che, poiché la cosiddetta classe di esperimenti a scelta ritardata, si affida principalmente alla validità del principio di complementarità, i risultati di questo esperimento dimostrano che non vi è alcuna scelta da fare, dal momento che lo stato di superposizione coerente rimane intatto anche se l’informazione di tipo “which-way” viene ottenuta. Visto che gli argomenti presentati in questo documento sono validi per tutte le particelle quantistiche, è plausibile che esperimenti equivalenti possano essere eseguiti utilizzando anche elettroni o neutroni, con risultati identici a quelli del mio esperimento”. Conclusioni simili, si possono leggere anche nel suo secondo documento scientifico (“Violation of Bohr’s Complementarity: one slit or both?”): “Abbiamo dimostrato che possiamo stabilire la presenza di un’interferenza perfetta, senza notevolmente disturbare o attenuare le funzioni d’onda d’interferenza. La misurazione nulla, raggiunta dalla presenza passiva dei fili metallici, dimostra per la prima volta, che si possono effettuare misurazioni significative, senza un’interazione o un entanglement quantistico con il dispositivo (apparecchio) di misurazione. Questa osservazione richiede una revisione dell’attuale teoria per la quale una misurazione porta sempre ad un cambiamento dello stato quantistico del rilevatore (…).Questi risultati evidenziano anche l'inadeguatezza del linguaggio classico di onde e particelle nella descrizione di esperimenti apparentemente semplici; perché se insistiamo ad utilizzare il modello ondulatorio per descrivere l’assenza di riduzione del flusso luminoso e la risoluzione del profilo del
  • 53. fascio luminoso dai fili metallici, allora siamo costretti a descrivere il modello osservato al piano ߪଶ , come un modello di interferenza senza alcuna frangia come prova di interferenza). Mentre è da considerarsi vero che il principio di complementarità continua ad essere valido per metodi perturbativi di misurazione (che includono marcatori di tipo which-way , entanglement, e misurazioni dirette), misurazioni indirette delle proprietà d’insieme (tali come l’interferenza, come dimostrato nel mio esperimento), forniscono la prova per la coesistenza di onde complementari e comportamento corpuscolare (particellare), nella stessa configurazione sperimentale. Se noi (erroneamente) insistiamo ad utilizzare il linguaggio usato da Bohr ed Einstein nelle loro discussioni, allora dovremmo concludere che i fotoni nel nostro ultimo esperimento, in realtà hanno attraversato entrambi i fori, simultaneamente, attraverso l’uno o l’altro foro. Una logica impossibilità! Detto questo, è difficile immaginare un modo comune di linguaggio, che meglio descriva i risultati di questo esperimento, senza un appello al formalismo matematico. I risultati di questo esperimento, possono essere migliorati, introducendo delle griglie multiple di fili metallici. Possiamo anche prevedere risultati simili, per singoli fotoni ed altri quanti in esperimenti analoghi”. Molti scienziati (fisici soprattutto) hanno pubblicato delle forti critiche nei confronti dell’interpretazione che Afshar ha dato dei suoi risultati. Uniti, respingono con fermezza le rivendicazioni di Afshar riguardo ad una possibile violazione del principio di complementarità (pur differenziandosi nel modo di spiegare come la complementarità sia correlata all’esperimento realizzato da Afshar). Il lavoro più recente, sostiene che la principale osservazione- conclusione di Afshar (ossia che nel suo esperimento, la relazione di dualità di Englert-Greeberger risulta violata), non è vera. Questi ricercatori, hanno riprodotto l’esperimento, usando un metodo differente per la misurazione della visibilità della
  • 54. figura d’interferenza, da quello utilizzato da Afshar. Nel loro esperimento, essi non hanno trovato alcuna violazione del principio di complementarità; concludendo così che il loro risultato, dimostra inequivocabilmente che l’esperimento di Afshar può essere perfettamente spiegato con l’Interpretazione di Copenhagen della Meccanica Quantistica. Visto che è stata citata, vorrei a questo punto aprire una piccola parentesi sulla relazione di dualità di Englert-Greeberger. Questo principio (o relazione di dualità), riguarda la visibilità (V) delle frange d’interferenza con la determinatezza o distinguibilità (K), del percorso dei fotoni nel campo dell’ottica quantistica. Tale relazione, viene espressa con la seguente disuguaglianza: ‫ܭ‬ଶ + ܸଶ ≤ 1 Questa relazione venne dimostrata sperimentalmente per la prima volta da Greenberger e Yassin nel 1988. In seguito fu derivata a livello teorico da Jaeger, Abner Shimony e Lev Vaidman nel 1995 (un anno dopo, nel 1996, fu menzionata da Englert). Esaminiamo per prima cosa la formulazione matematica dell’esperimento con doppia fenditura (la formulazione è in termini di diffrazione e interferenza di onde). Il culmine dello sviluppo è una presentazione di due numeri che caratterizzano la visibilità delle frange d’interferenza nell’esperimento, correlati tra loro come prevede la relazione di dualità di Englert- Greenberger. In seguito discuteremo l’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica della relazione di dualità in termini di dualità onda-particella. Di questo esperimento, Richard Feynman una volta disse: “Esso ha in sé il cuore della Meccanica Quantistica. In realtà esso contiene l’unico mistero”. Nell’esperimento classico di Young della doppia fenditura, la funzione d’onda può essere scritta come:
  • 55. Ψ௧௢௧௔௟௘ (‫)ݔ‬ = Ψ஺(‫)ݔ‬ + Ψ஻(‫)ݔ‬ La funzione: Ψ஺(‫)ݔ‬ = ‫ܥ‬஺Ψ଴ ( ‫ݔ‬ − ‫ݔ‬஺ ) , è la funzione d’onda associata con il foro in A , centrato su ‫ݔ‬஺ (una simile relazione vale anche per il foro B). La variabile x , è una posizione a valle dello spazio delle fenditure. Le costanti ‫ܥ‬஺ ݁ ‫ܥ‬஻ sono fattori di proporzionalità per le ampiezze d’onda corrispondenti; e Ψ଴(‫)ݔ‬ è la funzione d’onda (per singolo foro) per un’apertura centrata sull’origine. La funzione d’onda relativa al singolo foro, è rapportabile a quella della diffrazione di Fraunhofer3 . La forma dei fori è irrilevante. L’onda, avrà dunque la seguente quantità di moto (fissa ed incidente): ‫݌‬଴ = ௛ ఒ Dove inoltre: Ψ଴(‫ ߙ )ݔ‬ ݁௜ ௣బ .⎹ ௫ ⎹ . ଶగ ௛ ⎹ ‫ ⎹ ݔ‬ Dove ⎹ ‫⎹ ݔ‬ rappresenta la distanza radiale dal foro. Per distinguere in quale foro un fotone vi passa attraverso, occorre qualche misura di “distinguibilità” tra i fori. Una tale misura è data da: ‫ ܭ‬ = ⎹ ܲ஺ − ܲ஻⎹ Dove ܲ஺ ݁ ܲ஻ sono le probabilità di trovare che la particella sia passata dall’apertura A e dall’apertura B, rispettivamente. 3 La diffrazione di Fraunhofer corrisponde al caso in cui la luce diffratta da uno schermo sul quale incide un fascio di raggi luminosi paralleli, è osservata a grande distanza dallo schermo stesso.
  • 56. Dal momento che la misura della probabilità di Born 4 è data da: ܲ஺ = ⎹ ‫ܥ‬஺⎹ଶ ⎹ ‫ܥ‬஺⎹ଶ + ⎹ ‫ܥ‬஻⎹ଶ ݁ ܲ஻ = ⎹ ‫ܥ‬஻⎹ଶ ⎹ ‫ܥ‬஺⎹ଶ + ⎹ ‫ܥ‬஻⎹ଶ Mentre: ‫ܭ‬ = │ ⎹ ஼ಲ⎹మ ି ⎹ ஼ಳ⎹మ ⎹ ஼ಲ⎹మ ା ⎹ ஼ಳ⎹మ │ In particolare abbiamo K = 0 per due fori simmetrici e K = 1 per una singola apertura (perfettamente distinguibile). Nel campo lontano dai due fori, le due onde interferisco e producono delle frange. L’intensità del modello d’interferenza in un punto y del piano focale è data da: 4 Max Born mise in correlazione il concetto di funzione d'onda con la probabilità di rinvenire una particella in un punto qualsiasi dello spazio, basandosi sull'analogia con la teoria ondulatoria della luce per la quale il quadrato dell'ampiezza dell'onda elettromagnetica in una regione è l'intensità. Secondo Born risulta possibile determinare la probabilità con la quale un elettrone possa essere rinvenuto all'interno di un volume elementare dτ in un determinato punto, effettuando il prodotto ψ2 dτ. Nel caso di funzione d'onda complessa la probabilità è proporzionale al prodotto (ψ*)(ψ), dove ψ* è la funzione coniugata complessa. Affinché ciò sia possibile è necessario che la funzione d'onda sia normalizzata, cioè deve essere verificata la condizione che afferma che l'elettrone è presente da qualche parte nell'universo. In termini matematici, deve verificarsi: ∫ ѱ∗ ѱdτ = 1 ; che esprime anche che la probabilità di trovare un elettrone corrisponde al 100% solamente all'interno del volume che rappresenta il dominio su cui l'elettrone può muoversi, che in principio può anche non essere necessariamente infinito.
  • 57. ‫1 ߙ )ݕ(ܫ‬ + ܸ cos (‫݌‬௬݀ . 2ߨ ℎ + ߶ ) Dove ‫݌‬௬ = ௛ ఒ . ‫)ߙ(݊݁ݏ‬ è la quantità di moto della particella lungo la direzione y. Mentre ߶ = ‫ܥ(݃ݎܣ‬஺) − ‫ܥ(݃ݎܣ‬஻) è uno spostamento di fase (fisso) , e “d” è la separazione tra i due fori. L’angolo α (dall’orizzontale) è dato da: ‫)ߙ( ݊݁ݏ‬ ≅ ‫(݊ܽݐ‬α) = ௬ ௅ ; dove L è la distanza tra l’apertura dello schermo e il piano d’analisi del campo lontano. Se una lente viene usata per osservare le frange sul piano focale posteriore, l’angolo è dato: ‫)ߙ( ݊݁ݏ‬ ≅ ‫(݊ܽݐ‬α) = ௬ ௙ ; dove f è la lunghezza focale della lente. La visibilità delle frange è definita da: ܸ = ‫ܫ‬௠௔௫ − ‫ܫ‬௠௜௡ ‫ܫ‬௠௔௫ + ‫ܫ‬௠௜௡ Dove ‫ܫ‬௠௔௫ ݁ ‫ܫ‬௠௜௡ definiscono la massima e la minima intensità delle frange, rispettivamente. Applicando le regole di interferenza costruttiva e distruttiva abbiamo: ‫ܫ‬௠௔௫ ߙ ⃦ ‫ܥ‬஺ ⎹ + ⎹ ‫ܥ‬஻ ⃦ଶ ‫ܫ‬௠௜௡ ߙ ⃦ ‫ܥ‬஺ ⎹ − ⎹ ‫ܥ‬஻ ⃦ଶ In modo equivalente, la stessa cosa può essere scritta come: ܸ = 2. ⎹ ‫ܥ‬஺ . ‫ܥ‬஻ ∗ ⎹ ⎹ ‫ܥ‬஺⎹ଶ + ⎹ ‫ܥ‬஻⎹ଶ E dunque si ottiene, per un singolo fotone in uno stato quantistico puro, la relazione di dualità: V2 + K2 = 1. Esistono due casi limite, che emergono con una semplice interpretazione intuitiva: In un esperimento con foro singolo, la visibilità della frangia sarà uguale a zero (come se non vi fosse
  • 58. alcuna frangia). Il che corrisponde a V = 0 ; ma K = 1, dal momento che conosciamo (per definizione) in quale foro passerà il fotone. D’altro canto, per una configurazione a due fenditure, dove le due fenditure sono indistinguibili con K = 0 , si ha perfetta visibilità con Imin = 0 e dunque V = 1. Quindi, in entrambi i casi limite, avremo che: V2 + K2 = 1. Ciò che è stato esposto finora, si limita al contesto di uno stato quantistico puro. Da un punto di vista più generale, per un miscuglio di stati quantistici, si avrà la relazione: ‫ܭ‬ଶ + ܸଶ ≤ 1 La discussione matematica presentata sin qui, da un punto di vista intrinseco e dunque relativo al nocciolo fondamentale dell’intera questione, non richiede necessariamente l’utilizzo della Meccanica Quantistica. Affinché la relazione rappresenti una formulazione precisa del principio di complementarità di Bohr, si deve introdurre nella discussione la dualità onda- particella. Ciò significa che occorre considerare il comportamento di onde e particelle di luce, su uno stesso piano concettuale. La dualità onda-particella implica che si deve: a) Utilizzare l’evoluzione unitaria dell’onda prima della osservazione. b) Considerare l’aspetto corpuscolare (particellare) dopo il rilevamento (ciò è chiamato: postulato del collasso di Heisenberg-Von Neumann). Infatti, dal momento che è possibile solo osservare il fotone in un punto dello spazio (un fotone non può essere assorbito due volte), ciò implica che il significato della funzione d’onda è essenzialmente statistica e non è rapportabile con quella di un’onda classica (come quelle che si verificano in aria o in acqua). In tale contesto, la diretta osservazione di un fotone sul piano di apertura, preclude il rilevamento seguente del fotone
  • 59. stesso (F). In modo reciproco, l’osservazione in (F) significa che il fotone non è stato precedentemente assorbito. Se entrambi i fori sono aperti, ciò implica che non sappiamo dove avremmo individuato il fotone nel piano di apertura. K definisce così la distinguibilità dei due fori A e B. Un valore massimo di distinguibilità K = 1, significa che solo un foro (A) è aperto. Se il fotone viene rilevato in (F), sappiamo immediatamente che quel fotone sarebbe stato rilevato necessariamente in (A). Viceversa, K = 0 significa che entrambi i fori sono aperti e giocano un ruolo simmetrico. Se noi rileviamo il fotone in (F), non possiamo sapere dove il fotone sarebbe stato rilevato sul piano di apertura ( K = 0, caratterizza dunque il nostro stato di “ignoranza”). In modo simile, se K = 0 (e dunque V = 1), ciò significa che un accumulo statistico di fotoni in (F), formerà una figura di interferenza con la massima visibilità. Viceversa, K = 1 implica che V sia uguale a zero, e quindi, nessuna frangia apparirà dopo il rilevamento statistico di molti fotoni. E dopo questa lunga ma essenziale digressione sulla relazione di dualità di Englert-Greeberger, torniamo nuovamente sui nostri passi ed andiamo a scoprire in che modo, e con quali armi logico-matematiche, gli avversari di Afshar si sono lanciati in quella che potremmo definire una sfida senza precedenti verso la dimostrazione ultima della fondatezza del principio di complementarità (per ciò che riguarda i suoi sostenitori invece, l’obiettivo, è rivolto alla dimostrazione ultima dell’infondatezza del principio di Bohr). Se il lettore, strada facendo farà fatica a capire quali siano i sostenitori di Afshar e quali invece i suoi avversari…non deve preoccuparsene affatto, è successo anche a me!
  • 60. Molte menti, molte tesi “La fisica è matematica non perché noi conosciamo così bene il mondo fisico, ma perché lo conosciamo molto poco: sono solo le sue proprietà matematiche quelle che noi possiamo scoprire”. Bertrand Russell Ruth Kastner Nel mese di febbraio 2005, nella Cornell University Library (il cui sito: arXiv.org è ormai universalmente conosciuto), comparve uno dei primi ed importanti documenti scientifici relativi all’esperimento di Afshar, ad opera di Ruth Kastner (docente presso il dipartimento di filosofia dell’Università del Maryland, USA) ed intitolato: “Why the Afshar Experiment Does Not Refute Complementarity”. La critica al lavoro di Afshar, mossa dalla dottoressa Kastner, si fonda sulla creazione di un esperimento mentale e sulla applicazione della logica di Afshar ad esso, per evidenziarne l’incoerenza di base. Ella sostiene che l’esperimento di Afshar, equivale a preparare un elettrone in uno stato di spin-up, per poi misurarne il suo spin laterale. Ciò non significa che si è scoperto lo stato di spin up-down e lo spin laterale di un elettrone, simultaneamente. Applicando tali considerazioni all’esperimento di Afshar, la Kastner fa dunque notare che: “Tuttavia, anche rimuovendo la griglia di fili metallici, dal momento che il fotone è preparato in uno stato di superposizione S, la misurazione sullo schermo finale al tempo t2 , non potrà mai essere del tipo which-way; questo perché non può in alcun modo rivelarci, quale fenditura
  • 61. ha realmente attraversato il fotone”. Inoltre, ella sottolinea la sua conclusione con un’analisi della configurazione di Afshar nell'ambito dell’ interpretazione transazionale della meccanica quantistica. In un altro suo documento intitolato: "On Visibility in the Afshar Experiment", ella sostiene che il rapporto inverso comunemente indicato tra il parametro di visibilità V e il parametro K (di tipo which-way), non è applicabile alla configurazione di Afshar. La Kastner, a conclusione del suo primo documento scientifico in relazione all’esperimento di Afshar, sottolinea il fatto che tale esperimento (per certi aspetti chiave) risulta analogo a un presunto paradosso descritto nel 1985 da Albert, Aharonov e D’Amato, nel contesto di un esperimento di pre e post-selezione. Aggiungendo inoltre che: “Dal momento che Bohr, molto probabilmente, non avrebbe avuto alcun problema con l’idea che possiamo preparare una particella in uno stato di spin-up (“lungo x”), confermando così la possibilità di una tale realizzazione (con una misurazione finale di spin “lungo z”), semplicemente da ciò, possiamo concludere che l’esperimento di Afshar non costituisce alcuna minaccia per il principio di complementarità”. E prosegue: “È stato inoltre sostenuto che il termine di misurazione “wich-way” sia fuorviante, in quanto suscita la tentazione di retrocedere da una legittima misurazione della base osservabile di una fenditura, per stabilire se una particella vi è passata realmente attraverso oppure no. (…) D’altro canto, se si vuole continuare a mantenere l’idea di una misurazione di tipo “which-way” oppure di retrodizione (ossia una predizione relativa al passato) anche in casi come questo, poi però per coerenza, occorrerebbe accettare il principio di retrodizione anche in casi analoghi relativi al solo spin di una particella. Questo, tuttavia, pone dei seri dubbi sul fatto che un semplice e comune esperimento di spin, sia in grado di violare il principio di complementarità”. A conclusione del suo secondo documento scientifico ("On Visibility in the Afshar Experiment"), la Kastner sostiene inoltre
  • 62. che:”La relazione inversa tra V e K derivata indipendentemente da Feynman ed Englert, si basa su un contesto sperimentale in cui una superposizione pre-esistente degli stati (delle fenditure) è “collassata” verso qualche altra condizione, a causa di una misurazione di un’osservabile i cui autostati sono componenti della sovrapposizione, prima che l’interferenza dovuta alla sovrapposizione possa essere rilevata. Questo collasso, caratterizzato da un aumento in K, è ciò che provoca la corrispondente diminuzione in V. Nell’esperimento mentale di Srikanth, il collasso avviene solo dopo che l’interferenza indicante V = 1, è già stata registrata. Nell’esperimento di Afshar, il collasso avviene dopo che l’interferenza (pienamente articolata) è stata indirettamente indicata (mostrando così la sua reale esistenza) dal fatto che la griglia (di fili metallici) non diminuisce in modo significativo l’intensità del rilevamento finale. In casi come questi, il rapporto inverso tra V e K non si applica (…). Ma l’ultima misurazione, non fornisce alcuna importante informazione fisica di tipo “which-slit” (quale fenditura), dal momento che la particella è già passata attraverso entrambe le fenditure. Quindi, pensare a K come un vero parametro di tipo “which-way”, in questo tipo di post- selezione è fuorviante; inoltre, è inadeguato a sostenere che: a) Le affermazioni di Afshar a proposito del principio di complementarità sono sbagliate perché il suo valore di V è diverso da 1; b) Afshar ha ragione perché V = 1 e K = 1” A questo punto, visto che è già stata menzionata diverse volte, forse è opportuno spendere qualche parola anche sulla cosiddetta: “Interpretazione transazionale della Meccanica Quantistica (TIQM)”. Questa teoria, come già accennato, fu proposta per la prima volta da John Cramer nel 1986. Si tratta essenzialmente di un'interpretazione piuttosto originale della meccanica quantistica che descrive le interazioni quantistiche in termini di onde stazionarie prodotte da onde ritardate e anticipate. L’esistenza di entrambe le onde anticipate e ritardate come soluzioni ammissibili alle equazioni di Maxwell, fu
  • 63. esplorata in origine nella Teoria di Assorbimento di Wheeler– Feynman5 . Cramer ha risvegliato l’idea dei due fisici (delle due onde), per poi applicarla alla sua Interpretazione Transazionale della MQ. Mentre l’equazione ordinaria di Schrödinger non ammette soluzioni anticipate (avanzate), la sua versione relativistica invece sì, le ammette; e queste soluzioni sono le uniche usate nella TIQM. Nella TIQM, la sorgente emette un’ abituale (ritardata) onda in avanti nel tempo, ma emette anche un’onda in anticipo, che fluisce indietro nel tempo. Inoltre, anche il ricevitore emette 5 Nella loro Teoria dell’Assorbimento (chiamata anche Teoria del Tempo Simmetrico), Wheeler e Feynman considerano come sorgente della radiazione una carica accelerata collocata in un sistema assorbitore. Il meccanismo da essi descritto è il seguente: un segnale viene emesso dalla sorgente; questo mette in moto le singole particelle dell'assorbitore e causa la generazione del campo "metà anticipato" e "metà ritardato". La somma degli effetti anticipati di tutte le particelle, valutata nell'intorno della sorgente, è uguale ad un campo che ha le seguenti proprietà: 1) è indipendente dalle proprietà del mezzo assorbitore; 2) è completamente determinato dal moto della sorgente; 3) esercita sulla sorgente una forza finita, simultanea al momento dell'accelerazione, e con modulo e direzione tali da estrarre dalla sorgente l'energia che in seguito si manifesta nelle particelle circostanti; 4) l'assorbitore è l'origine fisica del campo di radiazione di Dirac; 5) questo campo combinato con il campo "metà anticipato" e "metà ritardato" della sorgente permette di ricavare che il segnale emesso risulta complessivamente dato dall'intero campo ritardato, in accordo con l'esperienza. Quindi, concludono, la radiazione è un fenomeno che appartiene tanto al campo della meccanica statistica quanto a quello dell'elettrodinamica. La loro trattazione permette di stabilire una corrispondenza completa tra azione a distanza e azione mediata dal campo nel caso di un universo assorbitore completo. In un tale sistema, il fenomeno della pre-accelerazione, messo in evidenza da Dirac, appare come l'unica evidenza degli effetti anticipati della teoria dell'azione a distanza. Fanno inoltre vedere che altri effetti anticipati apparirebbero invece nel caso di un sistema (universo) assorbitore incompleto. I maggiori problemi che rimanevano aperti nella teoria di Wheeler e Feynman erano relativi alla sua quantizzazione. Questi motivarono i successivi studi di Feynman che avrebbero portato alla formulazione dell'elettrodinamica quantistica tramite l'"integrale sui cammini".
  • 64. questi due tipi di onde (anticipate e ritardate nel tempo). Le fasi di queste onde sono tali, che l’onda ritardata emessa dal ricevitore, annulla l’onda ritardata emessa dalla sorgente, con il risultato che non vi è più alcuna onda “netta” dopo il punto di assorbimento. L’onda anticipata emessa dal ricevitore, anch’essa annulla l’onda anticipata emessa dalla sorgente; in modo che non vi è alcuna onda netta prima del punto di emissione. In questa interpretazione, il collasso della funzione d’onda non avviene in alcun punto specifico nel tempo, ma è atemporale e si verifica lungo l’intera transazione; e il processo di emissione- assorbimento, risulta simmetrico rispetto al tempo. Le onde sono viste come se fossero “fisicamente reali”, e non come un semplice “dispositivo” logico-matematico atto a rilevare la conoscenza dell’osservatore, come avviene in qualche altra interpretazione della Meccanica Quantistica. Cramer sostiene che la sua TIQM eviti i problemi filosofici , nonché quelli relativi al ruolo dell'osservatore posti dall'interpretazione di Copenaghen. Inoltre, la TIQM, sembrerebbe risolvere vari paradossi quantistici. Torniamo a questo punto ancora una volta sui nostri passi, e dopo aver sentito le campane della Kastner, cerchiamo di …ascoltarne delle altre. Ruth Kastner
  • 65. Eduardo Flores ed Ernst Knoesel Il 22 febbraio del 2007, viene pubblicato il documento (ad opera di E.Flores e E.Knoesel) dal titolo: “Why Kastner analysis does not apply to a modified Afshar experiment”; ovvero, tradotto: “Perché l’analisi della Kastner non è applicabile ad un esperimento di Afshar, modificato”. Nelle prime righe introduttive (abstract) di tale documento, i due autori affermano che: “In un'analisi dell'esperimento di Afshar, la Kastner sottolinea che il sistema di selezione utilizzato in questo esperimento, separa in modo casuale i fotoni che vanno verso i rilevatori; e quindi nessuna informazione di tipo whic- way viene ottenuta. In questo articolo presentiamo una versione modificata ma equivalente dell'esperimento di Afshar, che non contiene un dispositivo di selezione. La doppia fenditura è sostituita da due fasci separati di laser coerente, che si sovrappongono sotto un piccolo angolo. All’intersezione dei fasci un modello d’interferenza può essere dedotto in modo non perturbativo; un fatto, questo, che conferma l'esistenza di uno stato di sovrapposizione. Nel campo lontano, i fasci si ritrovano separati senza l’utilizzo di un sistema di lenti. La conservazione della quantità di moto, garantisce che l’informazione di tipo which-way venga preservata. Proponiamo anche una sequenza alternativa di dispositivi di Stern-Gerlach, che in ultima analisi, rappresentano una configurazione analoga a quella utilizzata da Afshar nel suo esperimento. Altre considerazioni degne di nota, vengono inoltre riportate nell’introduzione: “(…) Un importante documento contro le dichiarazioni di Afshar, è stato scritto dalla R.E. Kastner. Nella sua analisi dell’esperimento di Afshar, la Kastner traccia un’analogia con una tipica misurazione di spin, di una particella con spin uguale a -1/2 ; e basandosi su tale confronto (o elemento di paragone) ella conclude che le rivendicazioni di Afshar di una piena informazione di tipo which-way, sia ingiustificata.(…) In questo documento, proponiamo una configurazione alternativa dell’esperimento, costituita da