L’outsourcing delle risorse umane in particolar modo l’esternalizzazione del Talent Management è il tema del lavoro di Marta Banchini, Lorenzo Di Meo, Edoardo Finizio, Chiara Pugliese e Giovanna Russo, partecipanti al #MasterISTUD in Risorse Umane
L’Outsourcing delle risorse umane: il talent management
1. KIA TREND
Project work “KiA – Knowledge in Action”
L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
A cura di:
Marta Banchini
Lorenzo Di Meo
Edoardo Finizio
Chiara Pugliese
Giovanna Russo
2. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
ABSTRACT
Il nostro progetto si propone di esaminare il tema dell’outsourcing delle risorse umane.
Partendo dalla considerazione che l’ousourcing sia, in generale, un processo di esternalizzazione
di tutte quelle attività non strettamente inerenti al core business aziendale, si intende analizzare la
tematica dell’outsourcing delle risorse umane, in particolar modo l’esternalizzazione del Talent
Management. Difatti riteniamo che l’esternalizzazione di tale processo può contribuire
all’innovazione e dare un valore aggiunto alle organizzazioni.
Nel primo capitolo abbiamo analizzato l’evoluzione dei modelli organizzativi, partendo dal
Taylorismo fino ad arrivare all’odierna industria 4.0 e, di conseguenza, abbiamo visto la
trasformazione dei ruoli ricoperti dal Responsabile delle Risorse Umane che, da sempre, è nelle
organizzazioni attore e garante del cambiamento.
Nel secondo capitolo ci siamo occupati di analizzare le fasi del processo di Talent Mangement,
ossia Talent Acquisition, Talent Development e Talent Retention, in quanto la gestione dei talenti è
oggi nelle organizzazioni una leva strategica per il successo.
La prima fase si riferisce all’individuazione dei talenti e quindi alla scelta del candidato ideale, la
seconda alla formazione e allo sviluppo delle risorse, mentre l’ultima all’insieme di tutte le politiche
volte a trattenerle.
Nel terzo capitolo, infine, siamo partiti dando una definizione generale di outsourcing anche
attraverso l’analisi di casi aziendali, per poi approfondire l’outsourcing delle funzione HR e del
Talent Management. Abbiamo riscontrato che attraverso l’outsourcing le aziende riescono sia a
contere i costi, che da fissi diventano variabili sia a raggiungere flessibilità organizzativa e
tempestività nel rispondere alle esigenze del cliente.
Concludendo, dunque, possiamo dire che nell’era della digitalizzazione si è riscontrato un
consolidamento nell’esternalizzazione di attività prettamente amministrative e un aumento in quelle
attività di maggiore peso strategico come la ricerca e la selezione, ossia la fase di Talent
Acquisition.
Abbiamo inoltre ritenuto opportuno proporre una nostra riflessione critica sul tema, in quanto
seppur condividiamo la preoccupazione delle aziende riguardo il reclutamento dei giusti talenti,
consideriamo ancor più fondamentale la fase di Talent Retention. Oggigiorno, infatti, mantenere i
talenti il più a lungo possibile in azienda è il vero fattore strategico che permette alle stesse di
ottenere e mantenere il vantaggio competitivo nei confronti dei competitors.
3. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
INTRODUZIONE
Nel presente elaborato viene analizzato il fenomeno dell’outsourcing delle funzioni HR, ossia
dell’esternalizzazione di attività e di processi di gestione del capitale umano.
Prima di procedere con lo studio e l’approfondimento del tema in questione, si ripercorreranno le
trasformazioni dei modelli organizzativi e si analizzeranno le conseguenze che esse hanno
comportato per la figura del Responsabile delle Risorse Umane. Se il primo modello di impresa era
quello piramidale e rigido, conseguentemente al cambiamento del contesto socioeconomico e
culturale si passerà ad un modello per progetti più flessibile e dinamico.
Ebbene: in un contesto aziendale in continua evoluzione, dove gran parte dei parametri che una
volta erano saldi e consolidati – ruoli, orari, modalità lavorative, carriere, relazioni industriali,
location, mobilità, comunicazione – sono stati modificati, la professione del Responsabile delle
Risorse Umane è quella che si è più radicalmente trasformata all’interno delle organizzazioni, a
partire dal nome fino ad arrivare a una complessità di ruoli e competenze che identificano l’HR
Director come cruciale agente del cambiamento.
Nell’era dell’industria 4.0 la sfida per l’HR sarà garantire il cambiamento, generare innovazione e
governare le diversità e gli stimoli che questi comportano. Per fare ciò quindi, il direttore HR deve
avere sempre ben chiaro come attrarre e gestire i talenti all’interno della propria organizzazione.
La domanda che ci siamo posti è: quale potrebbe essere, per le aziende, il modo più efficace per
competere in questo mercato in continua evoluzione, e quindi attrarre e trattenere talenti?
La risposta va ricercata nel processo di outsourcing: esso consente alle aziende di concentrarsi
sulle attività core e decentralizzare le attività di routine, anche se nell’era digitale questo non basta
più. Difatti l’outsourcing può dare un contributo decisivo all’innovazione, fornendo alle
organizzazioni quel valore aggiunto che permette alle stesse di essere competitive.
Abbiamo condotto la stesura del report grazie alla guida del nostro tutor Guido Buffo, Senior
Consultant Area Corporate di Way Out Consulting, e al supporto di figure manageriali: Paola
Caccia Dominioni, Head HR in OneWorks, e Edoardo Pozzoli, Corporate Director della Centrale
del latte di Torino, che abbiamo avuto l’onore di intervistare. Inoltre ci siamo avvalsi di casi studio,
bibliografia e sitografia correlata.
4. L’Outsourcing delle risorse umane
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CAPITOLO I – Evoluzione dei modelli organizzativi: dal Taylorismo all’industria 4.0
Nel corso del tempo parallelamente all’evoluzione industriale, istituzionale e culturale, il modello
organizzativo delle imprese è cambiato e ciò ha trasformato radicalmente la figura del responsabile
delle risorse umane.
Negli anni ’50 il modello organizzativo per eccellenza era quello taylorista e fordista, ossia
gerarchico-funzionale. La fabbrica era retta da un potere centralizzato operante attraverso i gradi
di gerarchia rigida, la quale assicurava unidirezionalmente gli obiettivi produttivi fissati dall’impresa.
Essa dunque, non pensava all’integrazione attiva del lavoratore, considerato come semplice
ingranaggio di una macchina, ma era concentrata a determinare su basi scientifiche ed empiriche i
metodi e i tempi di lavoro finalizzati al miglioramento dell’efficienza e della produttività.
La Direzione del personale in questa realtà doveva assicurare la disciplina, il rispetto delle regole e
doveva in ogni modo consolidare il potere assoluto della gerarchia e dell’organizzazione
sull’individuo. Si trattava di un approccio normativo-contrattuale, perciò essa era orientata alla
gestione dei contratti e degli aspetti legali dei rapporti di lavoro e del tutto disinteressata ai bisogni
dei lavoratori.
Successivamente, negli anni ’60 seppure lo scenario d’impresa continuasse ad essere quello della
“macchina perfetta”, iniziò a crescere l’interesse per il fattore umano. Nacque la consapevolezza
che le persone non fossero puri erogatori di forza lavoro, ancillari rispetto alla macchina, piuttosto
soggetti attivi, mossi da fattori psicologici e motivazionali. Si diede importanza alle relazioni sociali
che nascevano spontaneamente e si favorì l’integrazione sociale andando a migliorare la
produttività. In questo senso si orientò la Direzione del personale, interessata a creare un clima
favorevole per la nascita delle relazioni.
Tra i decenni ’70 e ’80 si concluse un trentennio che può essere considerato fordista. “La direzione
del personale sviluppò e iniziò ad utilizzare ampiamente gli strumenti di valutazione delle
prestazioni, gestione retributiva meritocratica, formazione tecnica e direzionale, mobilità, medicina
del lavoro. Si iniziò a ricercare la motivazione anche nella partecipazione dei lavoratori. Le
direzioni aziendali accettarono un allentamento del sistema taylorista della catena di montaggio
promuovendo la creazione di ‘isole produttive’ che permettevano la rotazione delle mansioni di
lavoratori, pur fra notevoli difficoltà”.1
Alla metafora dominante della macchina, quindi, si affiancò
quella dell’organismo.
A metà anni ’80 e ’90 invece, si ebbe un profondo processo di riorganizzazione aziendale, per cui
“l’idea di superiorità deterministica dell’organizzazione integrata e verticalizzata propria della
grande impresa fu sostituita dalla presa di coscienza diffusa dell’accentuata polimorfia delle
organizzazioni”.2
Si segnò dunque, la fine della presunzione universalistica che postulava la
1
Bernardi A., Lauria F., Relazioni di lavoro e teorie dell’organizzazione, in
<https://www.researchgate.net/publication/260190219_Relazioni_di_lavoro_e_teorie_dell'organizzazione>, sito
consultato il 29/12/2018.
2
Bernardi A., Lauria F., ibidem.
5. L’Outsourcing delle risorse umane
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superiorità economica di una sola forma di organizzazione e si iniziò a pensare all’esistenza di una
molteplicità di forme organizzative efficienti. La Direzione del personale, in questo contesto di forte
cambiamento, si orientò verso lo sviluppo delle risorse umane: era perciò necessario integrare
l’aspetto organizzativo e quello umano.
Negli ultimi decenni del XX secolo la Direzione del personale fu incaricata di verificare la coerenza
tra strategia, struttura, risorse umane e business e di formulare piani di sviluppo organizzativo.
Alla fine degli anni ’90 e agli inizi del XXI secolo, per la prima volta in azienda si comincia ad
affrontare il tema della diversità finalizzata al coinvolgimento di ogni singolo lavoratore. Si profila
così un’organizzazione del lavoro incentrata sulle risorse umane, che ha bisogno di una
manodopera istruita, dotata di specifiche conoscenze e competenze oltre che in grado di spendere
la propria “occupabilità” in un mercato del lavoro flessibile. Le nuove sfide per la direzione del
personale divennero la coerenza tra cultura ed etica, strategia, struttura, risorse umane e
business.
Se negli ultimi sessant’anni i modelli organizzativi e le strategie d’impresa hanno oscillato tra la
centralizzazione e il decentramento, tra la diversificazione e la concentrazione sul business, tra
integrazione verticale e l’esternalizzazione, tra la tendenza alle alleanze o alla crescita orizzontale,
tra l’impresa a rete e la rete di imprese, oggi le industrie si stanno spostando verso lean production
e reti, talvolta internazionali. Il paradigma della rigidità è infatti sostituito dalle parole chiave:
flessibilità, occupabilità, adattabilità.
Gli orientamenti e gli strumenti di direzione del personale hanno accompagnato questa
trasformazione insieme al sistema di relazioni industriali3
e hanno visto la figura dell’HR come uno
dei protagonisti di questo cambiamento. Un cambiamento che si presenta anche sotto forma di
tecnologia e digitalizzazione4
. Difatti, oggi, la cosiddetta Rivoluzione 4.0 con le sue innovazioni – si
pensi ai vari cloud, social, analytics, big data, IoT, blockchain – hanno avuto e continuano ad avere
un forte impatto sulle organizzazioni e di conseguenza sul mondo del lavoro. È per questa ragione
che oltre al paradigma Industria 4.0 si è coniato il termine Lavoro 4.0, intendendo con questo la
necessità di adeguare le modalità di lavoro alle modifiche organizzative insite nei processi
produttivi.5
Ad essere sostituite dalle nuove tecnologie digitali saranno le attività più standardizzate e
codificate. È altresì chiaro che nei prossimi anni tenderanno a scomparire alcune tipologie di lavoro
(quelle ripetitive e pesanti), mentre ne nasceranno di nuove.
A conferma di quanto appena detto, Edoardo Pozzoli6
Corporate Director della Centrale del Latte
Italia S.p.a. afferma che l’innovazione non solo sta influendo sulla produzione, ma anche sul
personale. Essa, però, non comporta una riduzione dello stesso, bensì un cambiamento delle
3
Bernardi A., Lauria F., op. cit.
4
Harvard Business Review Italia, 2018, Il ruolo in evoluzione del direttore del personale, in
<https://www.hbritalia.it/gennaio-febbraio-2018/2018/01/10/news>, sito consultato il 29/12/2018.
5
Tannoia G., Monga R., ndustria 4.0, la nuova rivoluzione industriale, in
<https://www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_doc/ecoscienza/ecoscienza2017_6/servizio_industria4punto0_ES2017_6.
pdf >,sito consultato il 29/12/2018.
6
Vd. Appendice A.
6. L’Outsourcing delle risorse umane
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competenze richieste. Si passa, infatti, dalle sole hard skill ad una combinazione delle stesse con
quelle che richiedono flessibilità e apertura mentale: le c.d. soft skill.
In termini generali, la priorità per le imprese sarà la formazione dei dipendenti. Formazione che,
non sarà solo tecnica (hard skill) ma anche e soprattutto umanistica (soft skill). Essa dovrà sia
educare la personalità dell’individuo ad essere flessibile, sia incrementare la professionalità degli
stessi.
L’innovazione digitale dell’industria e dell’economia sfida anche i sindacati. Nella contrattazione
collettiva si dovrà riaffermare la centralità della persona nel lavoro, consapevoli che i lavoratori non
sono una risorsa da sfruttare ma un bene da valorizzare7
. Anche il sindacato dovrà pertanto
essere pronto ad accogliere la sfida dell’innovazione digitale e dei cambiamenti nel lavoro.
Oltre ad un ampliamento di competenze tecniche per la gestione degli impianti, si accrescono
soprattutto le competenze per il miglioramento, il problem solving e la diagnostica in team. Queste
ultime, nuove o aggiornate, sono spesso inserite in una nuova organizzazione del lavoro che
andrebbe anche legislativamente rivista, dando nuovi spunti ai sindacati: nuovo lavoro, nuovi ruoli,
nuovi mix di competenze, l’innovazione dell’inquadramento professionale, la formazione di base,
continua e specialistica, salario di merito e di prestazione individuale o di team, la partecipazione e
il coinvolgimento dei lavoratori nelle nuove forme di organizzazione del lavoro8
.
Un’altra sfida, ormai inevitabile per le imprese, riguarda il rinnovamento del proprio capitale
umano. L’azienda di oggi deve ragionare sempre di più in termini di attrattività per i Millennial.
Difatti come ribadisce Ian Williamson, autorevole studioso di Organizational Behavior e People
Management e professore di Leadership alla Melbourne Business School, le aspettative delle
nuove generazioni sono cambiate: queste sono interessate al modo in cui un determinato
business/impresa, contribuisce alla propria formazione e alla crescita della società.
I giovani chiedono alle aziende di avere maggiore impegno sociale, etico e ambientale e di saper
essere innovative e in sintonia con la loro visione del mondo. I giovani stanno mandando un forte
messaggio: bisogna lavorare con scopi di maggiore sostenibilità. Questa concezione del lavoro
richiede una ridefinizione del concetto di leadership e di cultura organizzativa9
.
Per tale ragione, essi sono intolleranti ai modelli gerarchici del passato e propensi a modelli più
flessibili e dinamici, che consentono loro di poter crescere, collaborare e condividere idee ed
informazioni.
Dunque per attrarre e trattenere talenti, le imprese hanno bisogno di mostrare ai Millennial politiche
di sviluppo personale. Molte aziende si stanno strutturando per produrre servizi e soluzioni ad hoc,
per il personale giovane e non, in linea con il work-life balance, servizi per la famiglia, orario
flessibile, smart-working ecc.
Si può dire, quindi, che la prerogativa necessaria per le imprese che guardano al futuro sarà:
investire sulla formazione dei propri talenti e sull’attrazione di nuovi capaci di portare innovazione.
7
Tannoia G., Monga R., ndustria 4.0, la nuova rivoluzione industriale, in
<https://www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_doc/ecoscienza/ecoscienza2017_6/servizio_industria4punto0_ES2017_6.
pdf >,sito consultato il 29/12/2018.
8
Ibidem.
9
I Millennials all’interno delle organizzazioni: una nuova sfida per i formatori, in
<http://associazioneitalianaformatori.it/download/articoliln/2016/LN0316Cacciani.pdf> , sito consultato il 22/01/19.
7. L’Outsourcing delle risorse umane
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CAPITOLO II – Il Talent Management
Nel precedente capitolo abbiamo osservato come la direzione delle risorse umane è stata per anni
considerata una divisione prettamente amministrativa e come questa ha assunto un ruolo sempre
più ampio e centrale all’interno delle aziende, andando a ricoprire una posizione strategica ben
definita, provando a coadiuvare l’attività interna all’azienda, che prevede programmi di formazione,
sviluppo, retention, performance management, itinerari di carriera, soddisfazione del personale,
con quella esterna, che riguarda tutte le politiche di recruitment, head hunting ed employer
branding. Ed è proprio tramite questa maggiore competenza che l’HR ha assunto un ruolo
fondamentale, con la possibilità di concorrere alla creazione del vantaggio competitivo e della
cultura aziendale.
Perciò tutti quei servizi tendenti alla costituzione di un ambiente di lavoro dinamico, stimolante e
proficuo, sono diventati più integrati ed in linea con la visione strategica dell’azienda. Ed è qui che
entra in gioco il talent management, letteralmente “gestione dei talenti”, che “è all’interno delle
aziende quell’attività rivolta ad acquisire, sviluppare e trattenere i talenti, cioè personale qualificato
e con un profilo di alto valore in relazione al business dell’azienda, al suo sviluppo, al suo
vantaggio competitivo10
”.
Possiamo guardare al talent management da due prospettive. La prima è inerente
all’implementazione di tutte le strategie progettate per aumentare la produttività sul posto di lavoro,
pensando processi migliori al fine di attrarre, sviluppare, trattenere ed impiegare le persone con le
competenze e le attitudini necessarie per soddisfare le esigenze aziendali attuali e future. L’altra è
relativa ad una visione olistica dell’intero ciclo di vita delle risorse umane, compresi reclutamento,
assunzione, formazione e sviluppo, gestione delle prestazioni ed infine pianificazione delle
successioni.
Se prima venivano considerati rilevanti per la gestione dei talenti aspetti come lo sviluppo della
leadership, la pianificazione della forza lavoro, l’identificazione dei gap del talento o il recruiting11
,
oggi, a seguito di ricerche svolte nel campo HR inerenti all’aspetto umano, relazionale e
psicologico, e grazie all’innovazione digitale, il focus si è spostato sempre di più verso il processo
di talent management accrescendone la sua funzione strategica.
10
Zanotti L., 2018, Talent Management: cos’è e come farlo bene nell’era digitale, in
<https://www.digital4.biz/hr/talentmanagement/talent-management-processo-gestione/>, sito consultato il 20/12/2018.
11
Reho C., Vettori A., 2010 Talent management e successione dei leader. Attirare, gestire, valorizzare i talenti e
pianificare la successione manageriale, Franco Angeli, Milano, p. 34.
8. L’Outsourcing delle risorse umane
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2.1 – Le fasi del processo di Talent Management
La gestione del talento si suddivide in tre fasi: il talent acquisition, il talent development e il talent
retention, che verranno di seguito analizzati.
Talent acquisition
Il Talent acqusition, spesso erroneamente confuso con il recruiting, si riferisce all’attrazione e
selezione dei giusti candidati.
Genericamente infatti, il primo può essere visto come un’azione a breve termine con l’obiettivo di
trovare i giusti candidati per ricoprire le posizioni scoperte in azienda; il secondo, invece, prevede
una pianificazione riflessiva e a lungo termine finalizzata alla ricerca di posizioni ben definite e
dunque la scelta del candidato ideale. Il recruiting, quindi, risulta essere una componente del
Talent acquisition.
Tale strategia non può che iniziare con l’individuazione dei talenti e proseguire con la loro
successiva valutazione. Ciò si inserisce in un contesto digitale che facilita tali pratiche con moderni
tool come community e test online, business game o piattaforme specifiche.
Oggigiorno, inoltre, saper individuare i talenti non basta più: le aziende devono saperli anche
attrarre, ragionando in un’ottica diversa rispetto a quella del passato che vedeva i datori di lavoro
richiamare a sé le risorse fornendo loro forme diverse di tutela o stabilità. Infatti, i c.d. Millennial12
,
aspettandosi meno stabilità rispetto a prima, sono attratti più dalla vision dell’organizzazione e le
domande che pongono riguardano l’opportunità di lavorare a progetti fortemente innovativi o che
trasformano l’ambiente in cui lavorano13
. E per i datori di lavoro comprendere i bisogni di questa
generazione e sapere cosa loro considerino rilevante, è di cruciale importanza: a cambiare sono
anche i clienti e per le organizzazioni avere al proprio interno risorse capaci di comprenderli, può
fare davvero la differenza ai fini del business.
Talent Development
Il Talent Development è la seconda macro-fase della gestione del talento inerente alla formazione
e allo sviluppo della risorsa interna che, una volta inserita, dovrà essere integrata, formata e
gestita.
La formazione consta di tre fasi essenziali: il coaching, il training e lo sviluppo. Il coaching, che può
essere condotto da un superiore o da un pari grado con l’esperienza necessaria, è teso ad aiutare
il dipendente in tutti quegli aspetti per lo più attitudinali e percettivi – pensiamo ad esempio
all’orientamento al risultato, alle abilità comunicative e orientate al giudizio critico o alla piena
12
Per Millennial, o generazione Y, si indicano tutti coloro che sono nati tra i primi anni ’80 e la fine degli anni ’90.
13
Gianni M., 2018, People management, i valori che attirano i talenti nell’era della disruption, in
<https://www.digital4.biz/hr/talent-management/people-management-valori-che-attirano-talenti-disruption/>, sito
consultato il 21/12/2018.
9. L’Outsourcing delle risorse umane
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consapevolezza del business aziendale – mentre il training, non è nient’altro che la formazione
aziendale vera e propria, volta a maturare le adeguate competenze e abilità necessarie allo
svolgimento della propria funzione. Quest’ultimo, inoltre, può essere di due tipi: tecnico o
comportamentale. Il primo è incentrato sulle competenze peculiari della funzione aziendale che si
andrà a ricoprire, il secondo prescinde dalla specifica posizione aziendale e si concentra su altri
aspetti quali la leadership, il public speaking, il people management e le abitudini sociali.
Lo sviluppo, infine, riguarda tutti quei programmi che le aziende individuano e realizzano per
migliorare e far crescere la risorsa. Tra questi incentivi rientrano le pratiche come la job rotation,
l’assignment temporaneo o internazionale e la task force.
Talent Retention
Il Talent Retention è l’insieme di tutte le politiche attuate all’interno delle organizzazioni al fine di
trattenere i talenti.
Infatti se le aziende devono modificare le proprie strategie per richiamare a sé l’attenzione di
nuove risorse, trattenerle risulta forse uno degli aspetti più complessi visto che in Italia si sta
diffondendo sempre più il fenomeno del job hopping, ovvero la tendenza nata in America di
cambiare lavoro molto spesso – all’incirca ogni due anni – per avere stipendi più alti, ma
soprattutto per ridurre lo stress e ritrovare entusiasmo nel quotidiano14
.
Ai fini del Talent Retention, le organizzazioni non possono trascurare quelli che sono i driver dei
Millennial. Per loro è importante agire in maniera più corale e meno solitaria, scambiarsi
continuamente idee e feedback, trovare un bilanciamento tra la vita lavorativa ed il tempo speso al
di fuori di essa, avere un datore di lavoro socialmente responsabile, che rispecchi le loro ambizioni
e che abbia a cuore il livello di engagement all’interno della propria organizzazione.
Difatti come afferma Paola Caccia Dominioni15
, Head HR in OneWorks, è fondamentale investire
nell’engagement dei talenti. Tanto è vero che uno dei suoi obiettivi futuri, è quello di fare in modo
che le persone possano scegliere di candidarsi ai progetti che preferiscono attraverso
un’applicazione nella quale sono riportate esperienze precedenti e relative competenze. Ciò
permette di allocare le risorse ai progetti ad esse più affini, garantendo maggiore produttività,
efficienza, controllo e motivazione.
Ed è verso questa direzione che le aziende devono muoversi per creare un ambiente capace di
trattenere i propri dipendenti.
A tal proposito l’Osservatorio Employee Relations and Communication dell’Università IULM ha
svolto una ricerca fra il 2016 e il 2018, al fine di comprendere quali sono le fonti di disengagement
e quelle di engagement.
Innanzitutto, è necessario che le organizzazioni stimolino un clima di voce, perché sono molteplici i
benefici ad esso legati. Difatti sia i manager delle grandi aziende italiane sia i dipendenti hanno
14
Redazione, 2018, Job hopping: cambiare spesso lavoro rende più felici. Anche in Italia, in
<https://www.digital4.biz/hr/talent-management/job-hopping-cambiare-lavoro-rende-felici/> , sito consultato il 23/12/2018.
15
Vd. Appendice B.
10. L’Outsourcing delle risorse umane
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sottolineato che un clima di voce facilita non solo l’emergere di suggerimenti e nuove idee, ma
anche la segnalazione di problemi che possono così essere corretti per tempo, e la soddisfazione
dei clienti, in quanto essi vengono a contatto con collaboratori più attenti ed empatici.
I dipendenti coinvolti nella ricerca hanno dato anche molta importanza alle ricadute in termini di
decisioni più fondate, ritenendo che se potessero esprimere di più la propria voce, l’azienda
agirebbe meglio. Tuttavia, a tal proposito, dalla survey risulta che:
• solo il 13% delle aziende campionate adotta un approccio alla relazione con i collaboratori
di tipo inclusivo, una giustizia organizzativa equa e un approccio valorizzante alla gestione
delle risorse umane, configurando un contesto organizzativo pienamente engaging;
• ben il 43% delle aziende ha relazioni coi collaboratori di tipo gerarchico, una giustizia
organizzativa non equa e una gestione delle risorse umane di tipo amministrativo, creando
dei contesti organizzativi che fanno proliferare il disengagement;
• il rimanente 44% delle aziende ha situazioni miste dove fattori di engagement e di
disengagement si mescolano dando luogo a dinamiche imprevedibili sullo stato di effettivo
engagement dei collaboratori.
Un altro aspetto fondamentale in chiave motivazionale è la comunicazione. Rafforzando il senso di
appartenenza dei collaboratori all’organizzazione, creando una cultura della trasparenza tra i
manager e le risorse, consentendo ai dipendenti di condividere informazioni e di instaurare
relazioni e favorendo l’identificazione dei valori e degli obiettivi dei collaboratori con quelli
dell’organizzazione, numerosi studi hanno rilevato che la comunicazione interna ha un impatto
significativo sull’employee engagement. A conferma di quanto detto, dalla sopracitata survey sulle
grandi aziende italiane, è emerso che le imprese con una funzione formale di comunicazione
interna costruiscono contesti organizzativi che favoriscono l’engagement molto più di quanto
facciano le aziende che non la possiedono.
Anche una gestione del personale, improntata su una maggiore flessibilità, aumenta la
soddisfazione dei collaboratori traducendosi in una maggiore produttività. Se all’estero è diventata
pratica quasi consolidata16
, anche nel panorama italiano vi sono esperienze di successo che
dimostrano come la flessibilità rappresenti un’opportunità win-win per collaboratori e azienda. È
questo ad esempio il caso di Ferrero che nel 2017 ha lanciato un progetto di smart working, partito
in forma pilota su circa 100 white collar di alcune funzioni aziendali di tre società italiane del
Gruppo, poi esteso ulteriormente a seguito del riscontro positivo dello stesso. Le persone hanno
dichiarato infatti che la giornata di smart working è risultata essere quella più produttiva della
settimana, che hanno percepito un senso di maggiore responsabilità e che il progetto rappresenta
una dimostrazione di fiducia da parte dell’azienda17
.
Inoltre, ad incidere sulla motivazione e sulla soddisfazione delle risorse, non sono unicamente i
fattori che attengono alla policy interna delle organizzazioni, ma anche la qualità della vita e
16
Pensiamo ad esempio ai dipendenti del Gruppo Virgin che, in base alle proprie esigenze, hanno la possibilità di
prendersi un mese di libertà, di lavorare part-time per trascorrere dei periodi a casa con la propria famiglia o di decidere
se lavorare da casa o in ufficio, senza l’obbligo, tra l’altro, di completi o cravatte. – Capoferro P., 2018, Investire sul
capitale umano è sinonimo di successo, parola di Richard Branson, in
<https://www.digital4.biz/hr/talentmanagement/virgin-quando-investire-sul-capitale-umano-e-sinonimo-di-successo-per-il-
business/>, sito consultato il 20/12/2018.
17
Minghetti M., 2018, 10 insights che ogni AD deve conoscere sull’engagement dei collaboratori, più 1, in
<https://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2018/06/28/10-insights-he-ogni-ad-deve-conoscere-
sullengagementdei- collaboratori-piu-1/>, sito consultato il 20/12/2018.
11. L’Outsourcing delle risorse umane
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dell’ambiente che le circonda. Per tale motivo le aziende dovranno prestare sempre maggiore
attenzione al livello di welfare offerto, perché – come sostiene sempre Ian Williamson – la loro
value proposition potrà crescere solo se crescerà quella della comunità in cui si trovano ad
operare, sforzandosi di capire come le loro business practice possano essere utilizzate al fine di
risolvere le questioni sociali più critiche per il loro ambiente di riferimento18
.
In questo momento di grande cambiamento, altra sfida che devono sostenere le aziende è la
gestione della diversità non più esclusivamente generazionale ma anche multiculturale. E se in
Italia può spaventare, le imprese globali, soprattutto quelle più innovative, stanno dimostrando – in
alcuni casi – di essere un passo avanti rispetto alla società e alla politica, interrogandosi su come
trarre vantaggio dalla crescente diversità della forza lavoro e del mercato. La dimensione cross-
cultural delle aziende multinazionali, infatti, rappresenta un grande laboratorio dove sperimentare
gli effetti positivi dell’incrocio di culture diverse: per avere successo a livello internazionale non è
più sufficiente adattarsi a contesti differenti, ma bisogna essere disposti anche ad imparare dalle
altre culture e ad acquisire nuovi modi di operare. Saper dialogare con la diversità, quindi, è una
prerogativa indispensabile per le imprese capaci di investire sul futuro e che vogliono farlo
puntando sul talento e sulla buona competitività19
.
Le attività finora descritte e connesse al processo di Talent Management, possono essere svolte
dalle aziende sia internamente che esternamente. Compito nostro sarà ora verificare quali
organizzazioni – sia esse piccole, medie o grandi imprese – lo affidano in outsourcing e quali sono
i benefici che ne traggono.
18
Gianni M., op. cit..
19
Mariggiò G., 2015, Diversity + Inclusion = Success, in < http://www.datamanager.it/2015/03/lenergia-delle-persone-fa-
crescere-la-tua-azienda/>, sito consultato il 21/12/2018.
12. L’Outsourcing delle risorse umane
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CAPITOLO III – L’outsourcing: definizione, processo e Talent Management
Come già introdotto nel Capitolo I, il continuo cambiamento del mercato del lavoro, le nuove
esigenze economico-sociali e l’innovazione digitale hanno portato alcune aziende ad adottare una
“strategia di ridimensionamento e di forte consolidamento di tutti i processi al proprio interno”. Altre
organizzazioni hanno invece deciso di affidarsi all’outsourcing, una pratica sempre più frequente
all’interno dei contesti aziendali, soprattutto nelle PMI.
Il termine inglese outsourcing deriva dalla contrazione di due parole: outside e resourcing e viene
normalmente tradotto nel linguaggio aziendale con l’espressione “reperire risorse o attività
all’esterno”. Treccani definisce l’outsourcing come un:
“Sistema organizzativo di un’azienda che, nel definire le caratteristiche del proprio processo
produttivo, decide di affidare all’esterno, in maniera non episodica, lo svolgimento di un’intera
funzione o di singole fasi di essa.”20
Il fenomeno nasce già negli anni Sessanta con quei centri di servizi che offrivano, soprattutto alle
PMI, l’elaborazione dei dati relativi alle paghe e alla contabilità. Nel Regno Unito, si è poi
sviluppato anche in quelle aree ritenute non prettamente strategiche e nelle sue forme più
semplici: pulizie, facchinaggio, mensa, trasporti, magazzino. È solo alla fine degli anni Novanta che
l’outsourcing, spinto dalla pressione competitiva e dagli sviluppi delle nuove tecnologie, inizia ad
essere concepito in maniera più sofisticata.
Una delle prime aziende ad affidarsi all’outsourcing strategico è stata la multinazionale
statunitense Kodak, nel 1989. Essa decise di esternalizzare la gestione dei PC e delle attività
operative dei quattro centri di elaborazione dei dati, affidandole alla Digital Equipment Corporation
unitamente a 250 dipendenti, alla Businessland con 25 dipendenti e all’IBM che assorbì 350
impiegati dei centri elettronici della Kodak.
Negli anni, anche Fiat ha affidato la gestione della divisione logistica alla TNT Automotive
Logistics, società multinazionale con 1200 dipendenti; GemeazCusin ha esternalizzato i servizi di
ristorazione aziendale, Piaggio l’attività di stampaggio delle lamiere e IBM l’attività produttiva di
schede elettroniche e di server.
Affidando all’esterno le attività “per le quali l’organizzazione non ha una vocazione imprenditoriale
o specifiche esigenze strategiche” – come, talvolta, il marketing, la logistica, il customer service, i
call center o la gestione delle risorse umane21
– l’azienda può così concentrare le proprie risorse
su quelle “competenze di base” che le consentono di ottenere una posizione di preminenza.22
Insomma, le aziende decidono di seguire un processo di outsourcing perché cercano al proprio
esterno “quel valore aggiunto e quelle competenze e professionalità specifiche, tali da permettere
[…] di svilupparsi al meglio”. Tramite l’outsourcing, esse possono tentare di raggiungere “standard
qualitativi elevati, estrema flessibilità organizzativa, tempestività nel rispondere alle esigenze del
cliente e contenimento dei costi”.23
20
Treccani, Outsourcing, in <http://www.treccani.it/enciclopedia/outsourcing/>, sito consultato il 18/12/2018.
21
Provasi R., 2002, Lo sviluppo dell’outsourcing strategico, versione PDF in
<riviste.paviauniversitypress.it/index.php/ea/article/download/1252/1360>, sito consultato il 31/12/2018.
22
Treccani, op. cit.
23
Provasi R., op. cit.
13. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
3.1 Il processo di outsourcing
Il processo di outsourcing può variare sia in base al legame instauratosi fra l’impresa che
esternalizza (outsourcee) e il partner/fornitore del servizio (outsourcer), sia in base all’attività che
viene esternalizzata e alla sua complessità gestionale.
È necessario che fra i due soggetti, outsourcee e outsourcer, venga a crearsi un rapporto duraturo
e sincero, costituito da obiettivi condivisi, chiari e vantaggiosi per entrambi. La società di
outsourcing dovrebbe offrire un mix di servizi accessibili e facili da usare e dimostrarsi affidabile,
empatica ed attenta alle dinamiche aziendali e alla cultura organizzativa al fine di non generare un
senso di distanza, frustrazione ed impotenza tra i dipendenti.24
Solitamente la relazione è regolata da contratti pluriennali, che richiedono sforzi da entrambe le
parti, in quanto il grado di complessità gestionale è assai elevato. Talvolta si preferisce stipulare
accordi di durata breve per risolvere esigenze contingenti riferite a processi semplici.
A seconda della complessità gestionale e dalla tipologia dell’attività da esternalizzare, è possibile
individuare tre distinte categorie di outsourcing:
• Outsourcing tradizionale o di I livello, che prevede l’esternalizzazione di attività di supporto,
normalmente inerenti alla gestione dei servizi (per esempio, mensa, paghe, elaborazione
dati), caratterizzate da un basso grado di complessità gestionale;
• Outsourcing operativo o di II livello, con cui vengono esternalizzate attività più sofisticate
(per esempio, contabilità, logistica, gestione del magazzino, sistemi informativi)
contraddistinte da una più complessa gestione;
• Outsourcing strategico o di III livello, contrassegnato dall’esternalizzazione di attività
critiche, considerate distintive per l’azienda stessa (per esempio, gestione delle risorse
umane, marketing, finanza), e da un elevato contenuto gestionale.25
Il processo di outsourcing segue un lungo percorso metodologico, qui rappresentato:
PRIMA FASE Analisi di fattibilità
• Analisi mercati/ambiente
• Reengineering e mappatura attività
• Individuazione competenze distintive
e non
• Scelta attività da esternalizzare
• Scelta del fornitore
• Progettazione del piano (service level
agreement, due diligence e
negozazione, formalizzazione
obiettivi)
SECONDA
FASE
Implementazione e gestione
• Gestione del cambiamento
(ristrutturazione interna, definizione
teorie e process owner, riallocazione
24
Roberts C., The disadvantages of outsourcing HR functions, in <https://smallbusiness.chron.com/disadvantages-
outsourcing-hr-functions-56209.html>, sito consultato il 22/01/2019.
25
Provasi R., op. cit.
14. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
risorse liberate)
• Formalizzazione del contratto
• Start-up
TERZA FASE
Valutazione performance
insourcing
• Controllo performance
• Valutazione vantaggi e svantaggi
• Insourcing
Figura 1 – Il percorso metodologico dell'outsourcing (fonte: R. Provasi, op. cit.)
Oltre alla scelta dell’attività da esternalizzare, l’outsourcer deve individuare il possibile outsourcee.
Il processo di selezione di quest’ultimo è assai delicato e per questo deve avvalersi di una precisa
ed attenta valutazione che tenga conto di alcuni indicator fra cui:
• l’assetto societario e la struttura organizzativa, quindi la flessibilità organizzativa, la
disponibilità ad assorbire nuove risorse e una cultura aziendale propensa alla
collaborazione e al confronto;
• le competenze specifiche per fornire il servizio richiesto;
• la solidità finanziar ia, al fine di non dover sostenere switching cost, ossia i costi per la
sostituzione del partner.
Affrontate le fasi iniziali, l’outsourcee dovrà occuparsi poi della riorganizzazione interna,
apportando modifiche alle strutture organizzative esistenti. È importante sottolineare che, per
affrontare l’esternalizzazione, è conveniente che la struttura organizzativa sia suddivisa per
progetti, anziché per funzioni.
15. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
3.2 L’outsourcing delle risorse umane
Oltre alle responsabilità amministrative, anche la gestione delle risorse umane può costituire un
onere pesante per le PMI, le quali hanno tempi e risorse limitate e non vogliono distogliere
l’attenzione dal core business. Difatti molte piccole imprese non possono neanche permettersi un
HR Director interno26
: esternalizzare la sua funzione può essere la soluzione per ridurre il carico di
lavoro amministrativo e far risparmiare tempo per potersi così concentrare sui goal aziendali. Allo
stesso tempo, invece, le multinazionali sono ancor più propense ad esternalizzare le attività HR in
quanto “dispongono di un sistema di misurazione delle performance più strutturato” rispetto alle
PMI.27
Inoltre i vantaggi per le aziende che decidono di affidarsi parzialmente o completamente ad un
outsourcer per la gestione del personale sono diversi: dalla riduzione dei costi28
, all’aumento della
capacità di innovazione, alla flessibilità nella reazione a situazioni di cambiamento (per esempio,
acquisizioni, fusioni, dismissioni)29
, al focus sulla qualità, efficienza ed efficacia del capitale umano.
In questo mercato flessibile le aziende trovano dunque nell’outsourcing non solo più un modo per
risparmiare sui costi e garantire maggiore elasticità, ma soprattutto una via per accedere a
competenze, know-how e strumenti specialistici, come i sistemi informativi di ultima generazione,
in grado di migliorare l’efficacia e la qualità dei servizi di gestione e sviluppo del capitale umano.30
Al tempo stesso permette di incrementare il commitment, il coinvolgimento psicologico, e più in
concreto anche il budget economico a disposizione per la creazione del valore, attività ormai
essenziale per il business aziendale.
Come dimostrato dallo studio effettuato da Cranfield Network on Comparative Human Resource
Management (in sigla, CRANET) nel 2015, inerente i cambiamenti e i trend all’interno del settore
HR, le aziende in crescita e le aziende private cercano di snellire la funzione di risorse umane in
un’ottica di efficienza e per questo decidono di esternalizzarle.
Nella figura seguente si può riscontrare che l’area delle pratiche HR (34%) è maggiormente
esternalizzata rispetto all’area amministrativo-retributiva (31%) e a quella dei sistemi informativi
(27%).31
26
Bruschi C., Le PMI verso l’outsourcing della gestione delle risorse umane?, in <https://www.giornaledellepmi.it/le-pmi-
verso-loutsourcing-della-gestione-risorse-umane/>, sito consultato 24/01/2019.
27
Divisione HR outsourcing, Esternalizzazione dei processi, in
<https://www.iltasto.it/HR-Outsourcing/86/Esternalizzazione-dei-Processi.aspx>, sito consultato il 21/01/2019.
28
L’outsourcing risulta estremamente strategico per il contenimento dei costi poiché trasforma gli stessi da fissi a
variabili e garantisce efficienze di scala dato che vengono esternalizzate principalmente attività non core-business. –
Bevilacqua E., Rusconi G., 200,5 La nuova frontiera dell’HR outsourcing, in <https://www.zerounoweb.it/cio-
innovation/competenze/la-nuova-frontiera-dellhr-outsourcing/>, sito consultato il 23/01/2019.
29
Cervelli R., 2011, HR outsourcing: quando e perché conviene, in
<https://www.zerounoweb.it/techtarget/searchdatacenter/it-governance/hr-outsourcing-quando-e-perche-conviene/>, sito
consultato il 22/01/2019.
30
2015, L’outsourcing dei processi HR, in <https://www.risorseumane-hr.it/outsourcing_dei_processi_hr/>, sito
consultato il 22/12/2018.
31
Fiertler G., 2016, Human Resource oggi, versione PDF in
<https://www.mastermeeting.it/Upload/magazine/database/riviste_pdf>, sito consultato il 03/02/2019.
16. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
Figura 4 – Outsourcing dei processi HR (fonte: Fiertler G., op. cit.)
In particolare, le attività e i servizi riguardanti le risorse umane coordinati da un Project Manager
sono:
• Recruitment Process Outsourcing o RPO, ossia il processo di ricerca e selezione del
personale;
• Training Process Outsourcing o TPO, ossia il processo di formazione delle risorse, svolto
attraverso attività di tutoraggio o corsi ad hoc;
• Administration Process Outsourcing o APO, ossia il processo di gestione e
amministrazione del personale, come, per esempio, la gestione delle presenze dei
lavoratori.32
L’amministrazione del personale si concentra soprattutto sulla figura del pay
roll, che “gestisce e controlla le assunzioni, permessi di lavoro, ferie, malattie, maternità e
prepara i cedolini e le buste paga.
• Business process outsourcing o BPO, che riguarda l’esternalizzazione di tutte le dimensioni
della funzione HR come business strategico.
32
Casoni P., 2015, Note spese, i vantaggi dell’outsourcing, in
<http://www.costozero.it/note-spese-i-vantaggi-dell-outsourcing/>, sito consultato il 18/12/2018.
17. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
3.3 L’outsourcing del Talent Management
Si è visto come il Talent Management abbia assunto un ruolo rilevante all’interno delle
organizzazioni. Esse si sono rese conto che non è più possibile distinguere strategia di business e
Talent Management, in quanto le persone costituiscono con i propri talenti il valore aggiunto che
permette alle stesse di essere competitive e flessibili.
Oggigiorno, le aziende leader nella trasformazione ricorrono a partner esterni soprattutto per le
attività di supporto ai manager (ricerca e selezione) e sviluppo delle persone (formazione e
valutazione delle performance).33
Infatti, una moderna gestione delle risorse umane non può
riguardare solamente gli obblighi retributivi e contributivi34
, le compliance e il reporting, ma deve
“saper recepire, analizzare, valutare, controllare, formare ed incentivare le risorse, adattandole e
rendendole flessibili alle strategie di business.”35
In particolare, la sfida per l’HR sarà quella di
essere più proattivo, collaborando insieme al resto dell’azienda, comprendendone la strategia e
sviluppando una people strategy a supporto.
Numerose società di consulenza offrono servizi di supporto per le organizzazioni inerenti alla
gestione e allo sviluppo dei talenti. Tra queste vi è WayOut Consulting36
che collabora con i leader
aziendali “per aiutarli a trasferire le loro prospettive e a concentrarsi su come impiegare i punti di
forza per creare squadre ad alte prestazioni, caratterizzate da passione e impegno”.37
Nell’ambito della formazione, WayOut organizza anche incontri per affrontare, insieme alle
aziende, la convivenza tra vecchia e nuova generazione, conservando le tradizioni, innovando e
collaborando.38
Anche Synergy, azienda di consulenza, è consapevole che l'HR è la funzione più essenziale e la
più dispendiosa in termini di tempo rispetto a qualsiasi altra attività commerciale. Questo è il
motivo per cui ha creato un approccio pratico, offrendo ai leader aziendali sia una soluzione per
coordinare ogni elemento della gestione del capitale umano, sia il supporto durante e oltre il
processo di implementazione.
Ma qual è la fase del Talent Management che dalle nostre ricerche risulta essere più
esternalizzata, in quanto più complessa da affrontare nell’odierno contesto organizzativo?
È emerso che a livello globale le organizzazioni riscontrano maggiore difficoltà nella fase di
recruiting, anche a seguito della rivoluzione digitale.
Secondo uno studio del 2017 citato nell’articolo di Sarah Fister Gale39
risulta che l’80% delle
organizzazioni ha difficoltà a reclutare talenti ad alto potenziale, mentre il 79% dei responsabili HR
33
Difatti si riscontra un aumento nella ricerca di partner esterni per la gestione delle attività di formazione e sviluppo
(55%) e dei sistemi informativi del personale (46%). – Fiertler G., op. cit.
34
Le aziende private o in crescita “esternalizzano ogni fase, dal reclutamento all’uscita, per il 42% (rispetto al 31% di
quelle non in crescita) e soprattutto nel manifatturiero (51%). Anche l’outsourcing delle pratiche amministrativo-retributive
prevale nelle aziende che crescono (45%), mentre le aziende in ristrutturazione tendono a gestirle all’interno”. – Fiertler
G., op. cit.
35
Risorse umane – HR, 2015, L’outsourcing dei processi HR, in
<https://www.risorseumane-hr.it/outsourcing_dei_processi_hr/>, sito consultato il 18/12/2018.
36
Di cui fa parte il nostro tutor Guido Buffo come Senior Consultant Area Corporate.
37
WayOut, Executive coaching, in
<http://www.wayoutconsulting.it/servizi/consulenza/executive-coaching/>, sito consultato il 18/12/2018.
38
WayOut, Di padre in meglio, in
<http://www.wayoutconsulting.it/servizi/formazione/management-e-leadership/di-padre-in-meglio/>, sito consultato il
23/01/2019.
18. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
che si occupano del processo di selezione non sa proprio come risolvere il problema del talent
acquisition40
. È per tale ragione che le aziende si affidano a provider esterni fornitori di RPO
(Recruitment Process Outsourcing), in grado di offrire loro una risposta concreta. Quest’ultima
arriva per lo più sottoforma di dati, in grado di aiutare l’HR interno a scovare i migliori talenti e a
capire cosa li attira in azienda e come coinvolgerli.
Ciò ha portato molte aziende di outsourcing a collaborare con società di analitycs che raccolgono,
quantificano, descrivono e condividono le informazioni sui candidati con le stesse, per aiutare i
clienti ad essere più efficaci nella scelta e nel mantenimento dei giusti talenti. Le aziende infatti
sperano che l’esternalizzazione del processo di reclutamento le possa aiutare a colmare il gap di
competenze interno, fornendo loro al tempo stesso analisi avanzate che descrivono le
caratteristiche dei candidati, le loro competenze ed attitudini, per garantire che si adattino al meglio
alla loro organizzazione.
Le aziende però continuano a percepire i provider di RPO come un mero servizio di outsourcing,
anche se essi offrono molto di più: creano community di talenti e gestiscono meglio i costi di
reclutamento dell’azienda cliente. Essi sono quindi una leva strategica per il Talent Acquisition.
39
Giornalista e ghostwriter freelance che copre una vasta gamma di argomenti, tra cui Blockchain, AI, gestione dei
progetti, design thinking ed analisi della forza lavoro.
40
Fister Gale S., 2019, Sector Report: RPOs Do More Than You Think, in
<https://www.workforce.com/2019/01/24/recruitment-process-outsourcing-providers-think/>, sito consultato il 23/01/2019.
19. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
CONCLUSIONI
Con il nostro lavoro abbiamo cercato di individuare quelle che potrebbero essere le motivazioni
che stanno spingendo le aziende a ricorrere all’outsourcing di attività e servizi, svolti dalle HR,
riguardanti la gestione dei talenti.
L’esternalizzazione risulta ormai consolidata nelle attività legate alla funzione amministrativa, pur
riscontrandosi un aumento in quelle attività di maggiore peso strategico, come la ricerca, la
selezione, la formazione e lo sviluppo del personale.
Essa dunque si pone come soluzione ai cambiamenti organizzativi dovuti anche e soprattutto
all’Industria 4.0, che sta modificando i processi produttivi e quindi le modalità di lavoro insite in
essi.
La digitalizzazione non comporta una riduzione del personale, bensì un cambiamento delle
competenze richieste. Si passa, infatti, dalle sole hard skill ad una combinazione delle stesse con
le soft, richiedenti una maggiore flessibilità.
Per gestire questa complessità, il focus dell’outsourcing si sta spostando verso nuovi servizi
attinenti alla gestione dei talenti. Gli outsourcer, infatti, sono in grado sia di fornire una visione
distaccata che competenze aggiornate all’HR interno, il quale contribuisce in questo modo alla
valorizzazione e all’aumento della motivazione delle risorse interne. Queste, sentendo soddisfatte
le proprie esigenze, sempre meno saranno propense ad abbandonare l’azienda perché attratti da
un contesto engaged, appetibile anche per i Millennial che cercano di assicurarsi l’ingresso nel
mondo del lavoro.
È di queste sfide che si occupano i provider esterni che offrono aiuto per l’implementazione del
processo strategico di Talent Management nelle sue diverse fasi: Talent Acqusition, Talent
Development e Talent Retention.
Purtuttavia abbiamo riscontrato, in base a quanto emerso dalla ricerca citata nel precedente
capitolo, che la fase di Talent Acquisition risulta oggi essere maggiormente esternalizzata. Ciò è
dovuto alla complessità riscontrata dagli HR interni riguardo la ricerca dei giusti candidati in grado
di ricoprire le posizioni scoperte e quindi accrescere la value proposition aziendale.
Concludendo, si può dire che se le imprese vorranno continuare a competere nel mercato globale,
dovranno tenere in considerazione i benefici legati al Talent Management e quindi valutare se
esternalizzare tale processo sia la soluzione strategica migliore.
Inoltre riteniamo opportuno proporre una nostra riflessione critica: condividiamo la preoccupazione
delle aziende nel reclutare i giusti talenti ma consideriamo ancor più fondamentale la fase di Talent
Retention. Infatti, mantenere i talenti il più a lungo possibile in azienda è il vero fattore strategico
che permette alle stesse di ottenere e mantenere il vantaggio competitivo nei confronti dei
competitors.
20. L’Outsourcing delle risorse umane
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
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