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Aspetti delle caratteristiche prestazionali di barriere 
stradali tipo New Jersey 
Parte 1 – Descrizione generale 
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INTRODUZIONE 
In questo articolo sono considerati i sistemi di ritenuta stradale costituiti da elementi prefabbricati in 
calcestruzzo armato, indicati comunemente come New Jersey. 
Al contrario di quanto possa essere semplicisticamente supposto, questi sistemi di ritenuta, in 
funzione delle loro connessioni in direzione longitudinale fra i diversi moduli e in verticale fra i 
singoli moduli e il piano di appoggio, possono sviluppare comportamenti prestazionali altamente 
differenziati, in particolare per quanto riguarda la capacità di dissipare l’energia dovuta all’urto di 
veicoli. Il loro progetto e verifica prestazionale, oltre a necessarie prove sperimentali, può utilmente 
sfruttare le capacità di simulazione numerica proprie della meccanica computazionale. 
Nello specifico, attraverso questo ed un secondo articolo questo contributosi vuole evidenziare: 
a) l’importanza della concezione strutturale di questi sistemi di ritenuta sottolineandone i 
meccanismi elementari e il loro accoppiamento; 
b) confrontare due diverse tipologie di connessioni, una sviluppata agli inizi degli Anni ’90 
(TIPOLOGIA B), una successiva di uso corrente (TIPOLOGIA A); 
c) valutare l’importanza del degrado per corrosione delle connessioni fra moduli sulle capacità 
prestazionali dell’intero sistema di ritenuta; 
d) sottolineare l’utilità e l’importanza di simulazioni numeriche che permettano di prevedere il 
comportamento complessivo del sistema di ritenuta, ovvero di risalire alle cause di 
malfunzionamento dello stesso in un evento incidentale nei procedimenti di ingegneria forense 
Proprio quest’ultima considerazione risulta, purtroppo, di attualità a seguito di recenti eventi che 
hanno funestato il traffico, primo fra tutti quello del luglio del 2013 sull’autostrada A16 Napoli- 
Canosa che ha visto un pullman precipitare dal viadotto di Acqualonga all’altezza di Monteforte 
Irpinio (AV), causando la morte di 40 persone. 
GENERALITÀ SUI DISPOSITIVI DI RITENUTA STRADALE 
I dispositivi di ritenuta stradale sono elementi strutturali aventi lo scopo di realizzare il 
contenimento di quei veicoli che durante la marcia dovessero tendere, per un qualsiasi motivo, ad 
uscire dalla sede stradale, contendendo al minimo i danni per gli occupanti del veicolo [1, 2, 3, 4 ,5 
6]. 
Per ottenere queste finalità è necessario che l'urto non provochi il rovesciamento del veicolo e che 
non imprima una decelerazione tale da provocare danni agli occupanti. Il cervello umano, infatti, 
rimane lesionato permanentemente se si superano valori di decelerazione di 80 g (dove g è
l'accelerazione di gravità pari a 9,81 m/s2) per una durata di 3 millisecondi, così come cuore e 
polmoni non possono sopportare valori superiori ai 60 g per più di 3 millisecondi. Il veicolo, inoltre, 
dovrà essere riportato su una traiettoria tale da non essere esso stesso un pericolo per gli altri 
veicoli sopraggiungenti sulla stessa carreggiata. Ciò significa che dopo la fase d'urto dovrà 
allontanarsi rimanendo in prossimità del dispositivo e riguadagnando la traiettoria originaria. 
Pertanto le principali funzioni che devono assolvere i dispositivi di ritenuta sono riassumibili come 
segue: 
2 
• non essere superato o sfondato dal veicolo urtante; 
• evitare che il veicolo si ribalti a causa dell'urto; 
• determinare delle decelerazioni nei passeggeri che non superino i valori limite ammissibili 
dal corpo umano; 
• reindirizzare il veicolo all'interno della carreggiata senza che esso collida con i veicoli 
sopraggiungenti. 
Deve inoltre essere sottolineato il fatto che l'urto di un veicolo può avvenire in un qualsiasi punto 
del dispositivo di ritenuta e pertanto si deve essere certi che in ogni punto questo abbia i requisiti 
richiesti: ciò implica che la posa in opera deve essere fatta a regola d'arte e particolare attenzione 
si deve prestare alla sistemazione delle parti terminali. 
Considerando la varietà dei veicoli in circolazione e le diversità dei luoghi e delle posizioni in cui i 
dispositivi di ritenuta si collocano all'interno dello spazio stradale, vi è il dubbio che vi possa essere 
un unico tipo di barriera ideale e polivalente. E' evidente che la progettazione di una barriera di 
sicurezza presenta una notevole complessità dettata dall'aleatorietà dei parametri che 
intervengono nell'urto di un veicolo contro di essa, quali comportamenti degli utenti, condizioni 
ambientali, caratteristiche e comportamento del veicolo, caratteristiche e stato di usura della 
pavimentazione stradale. 
In generale si può affermare che un dispositivo di ritenuta a comportamento ideale deve potersi 
deformare molto, ove le condizioni al contorno lo concedano, cosi da assorbire grandi quantitativi 
di energia e da rendere possibile il rientro in carreggiata del veicolo. 
In passato i dispositivi di ritenuta venivano utilizzati in maniera abbastanza sistematica come 
protezione dei margini stradali soltanto in casi particolari, quali ponti, rilevati alti o altri punti ritenuti 
pericolosi in caso di svio dei veicoli. Quasi sempre tali dispositivi erano rappresentati da muri di 
sostegno a tutta altezza (all'incirca 60-65 cm) e solo a partire dagli Anni '50 si è riconosciuta la 
necessità di adottare protezioni meno rigide, in modo da limitare, per quanto possibile, i danni agli 
occupanti del veicolo/i incidentato/i. 
Per la prima volta, quindi, si è introdotto il concetto di duttilità all'interno del tema dispositivi di 
ritenuta. Infatti, a partire da quegli anni ad oggi, si sono compiuti numerosi studi teorici e 
sperimentali per definire materiali, forme, resistenza, deformabilità, luoghi e modalità di 
installazione. 
Tuttavia, ancora oggi la problematica non è un capitolo chiuso e sono tanti i gruppi di ricerca che 
negli Stati Uniti d'America e in Europa cercano di trovare soluzioni migliori, a dimostrazione della 
complessità dell'argomento. Di pari passo con gli studi pervenuti nell'arco degli anni dal mondo 
scientifico, si è inevitabilmente avuta una evoluzione notevole delle normative, sia italiane che 
internazionali, atte a dare le giuste indicazioni in merito a progettazione, realizzazione, 
omologazione e installazione dei dispositivi di ritenuta.
BARRIERE PREFABBRICATE IN CALCESTRUZZO ARMATO NEW JERSEY 
Le barriere di sicurezza stradale in calcestruzzo sono denominate barriere New Jersey, dallo stato 
degli Stati Uniti d'America in cui sono nate nel 1955. Tali barriere sono anche dette safety shape 
(profilo di sicurezza) per il particolare profilo che le contraddistingue dalle altre tipologie di barriere. 
La superficie laterale del profilo infatti è sagomata a gradini ed è volta a minimizzare i danni al 
veicolo (e di conseguenza ai conducenti dello stesso) in caso di impatto accidentale, mantenendo 
al contempo la capacità di prevenzione dei salti nella corsia opposta e favorendo il rendirizzamento 
in carreggiata. Il risultato è ottenuto permettendo alle ruote del veicolo di salire sul piede a base 
inclinata, la cui pendenza obbliga la ruota e quindi il veicolo ad allontanarsi dalla barriera. Inoltre 
tali barriere (composte da più moduli connessi con speciali elementi) si sviluppano nella direzione 
parallela all'asse della strada in maniera costante, sia per le caratteristiche geometriche, sia per le 
caratteristiche di rigidezza, rugosità e natura del materiale, per cui viene meno il pericolo esistente 
per le altre tipologie di barriere dell'urto dei veicoli contro elementi più rigidi e robusti (ad esempio i 
paletti dei guardrail). 
Se l'energia d'urto è più elevata, la barriera subisce anche uno spostamento che dissipa energia 
per attrito con il supporto su cui è appoggiata. Tale spostamento dà luogo ad un'ansa nella linea di 
protezione (più o meno accentuata a seconda dell'entità dell'urto) inducendo l'affiancamento del 
veicolo alla barriera ed evitando che rimbalzi verso il centro della carreggiata come accade negli 
urti elastici privi di spostamento. 
COLLEGAMENTI FRA MODULI 
Come considerato brevemente, un sistema di ritenuta stradale composta da elementi prefabbricati 
New Jersey, si compone di singoli moduli in calcestruzzo armato, da ritenersi essenzialmente 
come corpi monolitici rigidi, collegati tra loro longitudinalmente con connessioni orizzontali e 
collegati verticalmente in maniera più o meno flessibile al piano di appoggio. 
Le connessioni orizzontali tra i moduli della barriera possono essere di tre tipi: 
• barre rullate passanti nel New Jersey: si tratta di barre in acciaio (in genere acciaio C45 
profilato e rullato) passanti in ogni singolo modulo e collegate tra loro da speciali manicotti 
a doppia filettatura; 
• piastre al piede: sono piastre bullonate al piede (in genere in acciaio S235) che collegano 
3 
due moduli contigui; 
• mancorrente antiribaltamento: ove previsto, in genere per collocazione a bordo ponte, il 
mancorrente antiribaltamento è realizzato con un tubolare in acciaio (S355, ex Fe510) 
composto da più moduli connessi tra loro da speciali giunzioni bullonate e connesso alla 
barriera mediante appositi montanti in acciaio bullonati in testa al profilo del New Jersey. 
Inoltre, le testate dei New Jersey sono sagomate in maniera tale da poter essere accoppiate tra 
loro mediante connessione del tipo maschio-femmina che funge quindi da ulteriore collegamento 
oltre a facilitare il posizionamento in fase di messa in opera. 
In relazione al collegamento verticale con il supporto si distinguono due tipologie di barriere New 
Jersey:
• barriere semplicemente appoggiate al supporto: la dissipazione di energia avviene per 
attrito con il supporto (asfalto o calcestruzzo) e sono previsti solo i collegamenti orizzontali 
tra moduli; 
• barriere ancorate al supporto: nel caso di installazione a bordo ponte è previsto 
l'ancoraggio dei New Jersey al cordolo del ponte attraverso tasselli in acciaio; tali tasselli, 
assieme ai collegamenti orizzontali tra i moduli di New Jersey e all'attrito tra quest'ultimo e 
il supporto contribuiscono a dissipare l'energia d'urto e a contenere lo spostamento che per 
collocazione a bordo ponte non può essere elevato. 
Un aspetto delicato delle connessioni longitudinali e verticali realizzate in metallo, riguarda la 
durabilità. Tali collegamenti metallici si trovano infatti esposti sia agli agenti atmosferici naturali sia 
a possibili presenze di sostanze aggressive come i sali utilizzati per azione antigelo. Una non 
adeguata o addirittura assente manutenzione può risultare deleteria, anche a causa dei limitati 
spessori di tali inserti. 
LA BARRIERA IN ESAME 
Per ovvi motivi, le barriere disposte ai bordi di un ponte o di un viadotto risultano le più delicate. 
Infatti, in tali casi, i margini di deformabilità risultano limitati e le conseguenze di un fallimento della 
ritenuta del veicolo risultano fatali. 
La barriera in esame è composta da più elementi modulari prefabbricati di lunghezza 6 m, in 
calcestruzzo alleggerito tramite l’adozione di speciali inerti in argilla strutturale espansa o pomice 
naturale che devono comunque assicurare una resistenza caratteristica Rck 
4 
 
40 N/mm2, ma 
permettono di ottenere un calcestruzzo con peso specifico di circa 1800 kg/m3 e una barriera con 
peso a metro lineare di circa 620 kg. 
Gli elementi sono sagomati a forma di New Jersey sul lato strada come mostrato in Fig. 1. 
L’altezza massima della barriera (bordo superiore del muretto) è di 1000 mm, mentre l’ingombro 
trasversale al piede della barriera di 500 mm. Sopra la barriera è installato un tubo mancorrente 
trasversale 

 
157.3x8 mm in acciaio S355 ex Fe 510 supportato da un idoneo montante dello 
stesso acciaio, che porta l’altezza della barriera a 1520 mm (asse tubo) e circa 1604 mm in 
sommità. Tale montante è ancorato in testa al muretto mediante 4 barre rullate (cioè prodotte da 
barre lisce e sagomate a pressione da rulli direttori) in acciaio C45 bullonate mediante dadi 50x36 
mm. La barriera è installata sul cordolo di un viadotto di larghezza pari a quella dell’ingombro al 
piede della barriera stessa, ovvero 500 mm, ed è ancorata ad esse mediante speciali tasselli in 
acciaio.
Figura 1 – Sezione della barriera New jersey considerata. 
I vari elementi modulari prefabbricati sono collegati tra loro in modo da realizzare una “catena” che 
chiami a collaborare una serie di elementi contigui da ambo i lati (Figg.2 e 3). Per questo la 
barriera ha nella parte superiore una barra rullata 
5 
$ 
28 mm passo 10 in acciaio C45 che viene 
collegata a quelle contigue tramite un manicotto a doppia filettatura. Un ulteriore collegamento si 
ha al piede della barriera, dove è presente una rastremazione (lato strada) ove presente una 
piastra asolata (300x80x10 mm) in acciaio Fe360 bullonata a due moduli contigui tramite bulloni 
M24 di lunghezza 50 mm (uno per modulo) in acciaio Grade 10.9. Inoltre, le estremità dei New 
Jersey sono sagomate in maniera tale da poter essere assemblate tra loro secondo un 
accoppiamento del tipo “maschio-femmina”, che costituisce un’ulteriore collegamento tra moduli 
oltre a facilitare il corretto posizionamento in fase di messa in opera (ancora Fig.3). 
A livello del mancorrente il collegamento tra moduli contigui è assicurato da uno speciale 
manicotto, cioè da uno spezzone di tubo 
$ 
168.3x11 mm in acciaio Fe510 tramite due bulloni M24 
di lunghezza 200 mm in acciaio grade 10.9 (Figg.4, 5 e 6). 
Le barriere vengono ancorate al cordolo del ponte in calcestruzzo mediante dei tasselli M16x400 
tipo Liebig Ultraplus, alloggiati in appositi “vani” predisposti all’interno del profilo New Jersey 
(provvisto di appositi “scassi” dotati di asola in acciaio alla base) con interasse di 1500 mm.
6 
Detti tasselli prevedono l’esecuzione di fori 

 
32 mm nel cordolo del ponte il cui fondo viene 
alesato per preparare la camera tronco-conica che consente l’espansione delle alette del tassello. 
Un altro foro 

 
100x70 mm, detto “camera di espansione”, viene fatto in superficie al cordolo per 
consentire al tassello deformazioni maggiori prima della prevista rottura. Tali tasselli sono garantiti 
al piede mediante un dado che viene serrato con coppia di serraggio pari a 250 Nm tramite una 
piastrina 60x80x8 mm in acciaio in dotazione con i tasselli stessi. Rispetto al baricentro della 
camera di espansione presente nel cordolo del viadotto, il tassello viene installato in posizione 
decentrata verso destra, in maniera tale da avere maggiore spazio per deformarsi a seguito 
dell’urto. Al piede del New Jersey, invece, il tassello viene installato in posizione decentrata verso 
sinistra rispetto al vano che lo ospita, ovvero viene collocato in modo tale che la sua parete 
esterna sia a contatto con la parete del lato interno del vano. Tale accorgimento, permette di 
ottenere un comportamento del New Jersey meno rigido rispetto ai primi modelli introdotti sul 
mercato, quali ad esempio quello a bordo del viadotto di Acqualonga, e consente, a seguito 
dell'urto di veicoli leggeri, uno spostamento della barriera tale da non far entrare in tensione i 
tasselli. 
Figura 2 – Collegamenti longitudinali: piastre al piede e barre rullate passanti, vista laterale.
7 
Figura 3 – Collegamenti longitudinali: piastre al piede e barre rullate passanti, vista dall’alto. 
Figura 4 – Vista complessiva del mancorrente.
8 
Figura 5 – Manicotto fra i tratti di mancorrente. 
Figura 6 – Dettagli del supporto del mancorrente.
Figura 7 – Connessioni verticali: in alto, vano tasselli e scassi al piede del New Jersey; In basso, 
camere di espansione nel cordolo. 
9 
Figura 8 - Dettagli del vano tasselli al piede del New Jersey e dell’asola al piede dello scasso.

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  • 1. Aspetti delle caratteristiche prestazionali di barriere stradali tipo New Jersey Parte 1 – Descrizione generale 1
  • 2. !!
  • 3. # INTRODUZIONE In questo articolo sono considerati i sistemi di ritenuta stradale costituiti da elementi prefabbricati in calcestruzzo armato, indicati comunemente come New Jersey. Al contrario di quanto possa essere semplicisticamente supposto, questi sistemi di ritenuta, in funzione delle loro connessioni in direzione longitudinale fra i diversi moduli e in verticale fra i singoli moduli e il piano di appoggio, possono sviluppare comportamenti prestazionali altamente differenziati, in particolare per quanto riguarda la capacità di dissipare l’energia dovuta all’urto di veicoli. Il loro progetto e verifica prestazionale, oltre a necessarie prove sperimentali, può utilmente sfruttare le capacità di simulazione numerica proprie della meccanica computazionale. Nello specifico, attraverso questo ed un secondo articolo questo contributosi vuole evidenziare: a) l’importanza della concezione strutturale di questi sistemi di ritenuta sottolineandone i meccanismi elementari e il loro accoppiamento; b) confrontare due diverse tipologie di connessioni, una sviluppata agli inizi degli Anni ’90 (TIPOLOGIA B), una successiva di uso corrente (TIPOLOGIA A); c) valutare l’importanza del degrado per corrosione delle connessioni fra moduli sulle capacità prestazionali dell’intero sistema di ritenuta; d) sottolineare l’utilità e l’importanza di simulazioni numeriche che permettano di prevedere il comportamento complessivo del sistema di ritenuta, ovvero di risalire alle cause di malfunzionamento dello stesso in un evento incidentale nei procedimenti di ingegneria forense Proprio quest’ultima considerazione risulta, purtroppo, di attualità a seguito di recenti eventi che hanno funestato il traffico, primo fra tutti quello del luglio del 2013 sull’autostrada A16 Napoli- Canosa che ha visto un pullman precipitare dal viadotto di Acqualonga all’altezza di Monteforte Irpinio (AV), causando la morte di 40 persone. GENERALITÀ SUI DISPOSITIVI DI RITENUTA STRADALE I dispositivi di ritenuta stradale sono elementi strutturali aventi lo scopo di realizzare il contenimento di quei veicoli che durante la marcia dovessero tendere, per un qualsiasi motivo, ad uscire dalla sede stradale, contendendo al minimo i danni per gli occupanti del veicolo [1, 2, 3, 4 ,5 6]. Per ottenere queste finalità è necessario che l'urto non provochi il rovesciamento del veicolo e che non imprima una decelerazione tale da provocare danni agli occupanti. Il cervello umano, infatti, rimane lesionato permanentemente se si superano valori di decelerazione di 80 g (dove g è
  • 4. l'accelerazione di gravità pari a 9,81 m/s2) per una durata di 3 millisecondi, così come cuore e polmoni non possono sopportare valori superiori ai 60 g per più di 3 millisecondi. Il veicolo, inoltre, dovrà essere riportato su una traiettoria tale da non essere esso stesso un pericolo per gli altri veicoli sopraggiungenti sulla stessa carreggiata. Ciò significa che dopo la fase d'urto dovrà allontanarsi rimanendo in prossimità del dispositivo e riguadagnando la traiettoria originaria. Pertanto le principali funzioni che devono assolvere i dispositivi di ritenuta sono riassumibili come segue: 2 • non essere superato o sfondato dal veicolo urtante; • evitare che il veicolo si ribalti a causa dell'urto; • determinare delle decelerazioni nei passeggeri che non superino i valori limite ammissibili dal corpo umano; • reindirizzare il veicolo all'interno della carreggiata senza che esso collida con i veicoli sopraggiungenti. Deve inoltre essere sottolineato il fatto che l'urto di un veicolo può avvenire in un qualsiasi punto del dispositivo di ritenuta e pertanto si deve essere certi che in ogni punto questo abbia i requisiti richiesti: ciò implica che la posa in opera deve essere fatta a regola d'arte e particolare attenzione si deve prestare alla sistemazione delle parti terminali. Considerando la varietà dei veicoli in circolazione e le diversità dei luoghi e delle posizioni in cui i dispositivi di ritenuta si collocano all'interno dello spazio stradale, vi è il dubbio che vi possa essere un unico tipo di barriera ideale e polivalente. E' evidente che la progettazione di una barriera di sicurezza presenta una notevole complessità dettata dall'aleatorietà dei parametri che intervengono nell'urto di un veicolo contro di essa, quali comportamenti degli utenti, condizioni ambientali, caratteristiche e comportamento del veicolo, caratteristiche e stato di usura della pavimentazione stradale. In generale si può affermare che un dispositivo di ritenuta a comportamento ideale deve potersi deformare molto, ove le condizioni al contorno lo concedano, cosi da assorbire grandi quantitativi di energia e da rendere possibile il rientro in carreggiata del veicolo. In passato i dispositivi di ritenuta venivano utilizzati in maniera abbastanza sistematica come protezione dei margini stradali soltanto in casi particolari, quali ponti, rilevati alti o altri punti ritenuti pericolosi in caso di svio dei veicoli. Quasi sempre tali dispositivi erano rappresentati da muri di sostegno a tutta altezza (all'incirca 60-65 cm) e solo a partire dagli Anni '50 si è riconosciuta la necessità di adottare protezioni meno rigide, in modo da limitare, per quanto possibile, i danni agli occupanti del veicolo/i incidentato/i. Per la prima volta, quindi, si è introdotto il concetto di duttilità all'interno del tema dispositivi di ritenuta. Infatti, a partire da quegli anni ad oggi, si sono compiuti numerosi studi teorici e sperimentali per definire materiali, forme, resistenza, deformabilità, luoghi e modalità di installazione. Tuttavia, ancora oggi la problematica non è un capitolo chiuso e sono tanti i gruppi di ricerca che negli Stati Uniti d'America e in Europa cercano di trovare soluzioni migliori, a dimostrazione della complessità dell'argomento. Di pari passo con gli studi pervenuti nell'arco degli anni dal mondo scientifico, si è inevitabilmente avuta una evoluzione notevole delle normative, sia italiane che internazionali, atte a dare le giuste indicazioni in merito a progettazione, realizzazione, omologazione e installazione dei dispositivi di ritenuta.
  • 5. BARRIERE PREFABBRICATE IN CALCESTRUZZO ARMATO NEW JERSEY Le barriere di sicurezza stradale in calcestruzzo sono denominate barriere New Jersey, dallo stato degli Stati Uniti d'America in cui sono nate nel 1955. Tali barriere sono anche dette safety shape (profilo di sicurezza) per il particolare profilo che le contraddistingue dalle altre tipologie di barriere. La superficie laterale del profilo infatti è sagomata a gradini ed è volta a minimizzare i danni al veicolo (e di conseguenza ai conducenti dello stesso) in caso di impatto accidentale, mantenendo al contempo la capacità di prevenzione dei salti nella corsia opposta e favorendo il rendirizzamento in carreggiata. Il risultato è ottenuto permettendo alle ruote del veicolo di salire sul piede a base inclinata, la cui pendenza obbliga la ruota e quindi il veicolo ad allontanarsi dalla barriera. Inoltre tali barriere (composte da più moduli connessi con speciali elementi) si sviluppano nella direzione parallela all'asse della strada in maniera costante, sia per le caratteristiche geometriche, sia per le caratteristiche di rigidezza, rugosità e natura del materiale, per cui viene meno il pericolo esistente per le altre tipologie di barriere dell'urto dei veicoli contro elementi più rigidi e robusti (ad esempio i paletti dei guardrail). Se l'energia d'urto è più elevata, la barriera subisce anche uno spostamento che dissipa energia per attrito con il supporto su cui è appoggiata. Tale spostamento dà luogo ad un'ansa nella linea di protezione (più o meno accentuata a seconda dell'entità dell'urto) inducendo l'affiancamento del veicolo alla barriera ed evitando che rimbalzi verso il centro della carreggiata come accade negli urti elastici privi di spostamento. COLLEGAMENTI FRA MODULI Come considerato brevemente, un sistema di ritenuta stradale composta da elementi prefabbricati New Jersey, si compone di singoli moduli in calcestruzzo armato, da ritenersi essenzialmente come corpi monolitici rigidi, collegati tra loro longitudinalmente con connessioni orizzontali e collegati verticalmente in maniera più o meno flessibile al piano di appoggio. Le connessioni orizzontali tra i moduli della barriera possono essere di tre tipi: • barre rullate passanti nel New Jersey: si tratta di barre in acciaio (in genere acciaio C45 profilato e rullato) passanti in ogni singolo modulo e collegate tra loro da speciali manicotti a doppia filettatura; • piastre al piede: sono piastre bullonate al piede (in genere in acciaio S235) che collegano 3 due moduli contigui; • mancorrente antiribaltamento: ove previsto, in genere per collocazione a bordo ponte, il mancorrente antiribaltamento è realizzato con un tubolare in acciaio (S355, ex Fe510) composto da più moduli connessi tra loro da speciali giunzioni bullonate e connesso alla barriera mediante appositi montanti in acciaio bullonati in testa al profilo del New Jersey. Inoltre, le testate dei New Jersey sono sagomate in maniera tale da poter essere accoppiate tra loro mediante connessione del tipo maschio-femmina che funge quindi da ulteriore collegamento oltre a facilitare il posizionamento in fase di messa in opera. In relazione al collegamento verticale con il supporto si distinguono due tipologie di barriere New Jersey:
  • 6. • barriere semplicemente appoggiate al supporto: la dissipazione di energia avviene per attrito con il supporto (asfalto o calcestruzzo) e sono previsti solo i collegamenti orizzontali tra moduli; • barriere ancorate al supporto: nel caso di installazione a bordo ponte è previsto l'ancoraggio dei New Jersey al cordolo del ponte attraverso tasselli in acciaio; tali tasselli, assieme ai collegamenti orizzontali tra i moduli di New Jersey e all'attrito tra quest'ultimo e il supporto contribuiscono a dissipare l'energia d'urto e a contenere lo spostamento che per collocazione a bordo ponte non può essere elevato. Un aspetto delicato delle connessioni longitudinali e verticali realizzate in metallo, riguarda la durabilità. Tali collegamenti metallici si trovano infatti esposti sia agli agenti atmosferici naturali sia a possibili presenze di sostanze aggressive come i sali utilizzati per azione antigelo. Una non adeguata o addirittura assente manutenzione può risultare deleteria, anche a causa dei limitati spessori di tali inserti. LA BARRIERA IN ESAME Per ovvi motivi, le barriere disposte ai bordi di un ponte o di un viadotto risultano le più delicate. Infatti, in tali casi, i margini di deformabilità risultano limitati e le conseguenze di un fallimento della ritenuta del veicolo risultano fatali. La barriera in esame è composta da più elementi modulari prefabbricati di lunghezza 6 m, in calcestruzzo alleggerito tramite l’adozione di speciali inerti in argilla strutturale espansa o pomice naturale che devono comunque assicurare una resistenza caratteristica Rck 4 40 N/mm2, ma permettono di ottenere un calcestruzzo con peso specifico di circa 1800 kg/m3 e una barriera con peso a metro lineare di circa 620 kg. Gli elementi sono sagomati a forma di New Jersey sul lato strada come mostrato in Fig. 1. L’altezza massima della barriera (bordo superiore del muretto) è di 1000 mm, mentre l’ingombro trasversale al piede della barriera di 500 mm. Sopra la barriera è installato un tubo mancorrente trasversale 157.3x8 mm in acciaio S355 ex Fe 510 supportato da un idoneo montante dello stesso acciaio, che porta l’altezza della barriera a 1520 mm (asse tubo) e circa 1604 mm in sommità. Tale montante è ancorato in testa al muretto mediante 4 barre rullate (cioè prodotte da barre lisce e sagomate a pressione da rulli direttori) in acciaio C45 bullonate mediante dadi 50x36 mm. La barriera è installata sul cordolo di un viadotto di larghezza pari a quella dell’ingombro al piede della barriera stessa, ovvero 500 mm, ed è ancorata ad esse mediante speciali tasselli in acciaio.
  • 7. Figura 1 – Sezione della barriera New jersey considerata. I vari elementi modulari prefabbricati sono collegati tra loro in modo da realizzare una “catena” che chiami a collaborare una serie di elementi contigui da ambo i lati (Figg.2 e 3). Per questo la barriera ha nella parte superiore una barra rullata 5 $ 28 mm passo 10 in acciaio C45 che viene collegata a quelle contigue tramite un manicotto a doppia filettatura. Un ulteriore collegamento si ha al piede della barriera, dove è presente una rastremazione (lato strada) ove presente una piastra asolata (300x80x10 mm) in acciaio Fe360 bullonata a due moduli contigui tramite bulloni M24 di lunghezza 50 mm (uno per modulo) in acciaio Grade 10.9. Inoltre, le estremità dei New Jersey sono sagomate in maniera tale da poter essere assemblate tra loro secondo un accoppiamento del tipo “maschio-femmina”, che costituisce un’ulteriore collegamento tra moduli oltre a facilitare il corretto posizionamento in fase di messa in opera (ancora Fig.3). A livello del mancorrente il collegamento tra moduli contigui è assicurato da uno speciale manicotto, cioè da uno spezzone di tubo $ 168.3x11 mm in acciaio Fe510 tramite due bulloni M24 di lunghezza 200 mm in acciaio grade 10.9 (Figg.4, 5 e 6). Le barriere vengono ancorate al cordolo del ponte in calcestruzzo mediante dei tasselli M16x400 tipo Liebig Ultraplus, alloggiati in appositi “vani” predisposti all’interno del profilo New Jersey (provvisto di appositi “scassi” dotati di asola in acciaio alla base) con interasse di 1500 mm.
  • 8. 6 Detti tasselli prevedono l’esecuzione di fori 32 mm nel cordolo del ponte il cui fondo viene alesato per preparare la camera tronco-conica che consente l’espansione delle alette del tassello. Un altro foro 100x70 mm, detto “camera di espansione”, viene fatto in superficie al cordolo per consentire al tassello deformazioni maggiori prima della prevista rottura. Tali tasselli sono garantiti al piede mediante un dado che viene serrato con coppia di serraggio pari a 250 Nm tramite una piastrina 60x80x8 mm in acciaio in dotazione con i tasselli stessi. Rispetto al baricentro della camera di espansione presente nel cordolo del viadotto, il tassello viene installato in posizione decentrata verso destra, in maniera tale da avere maggiore spazio per deformarsi a seguito dell’urto. Al piede del New Jersey, invece, il tassello viene installato in posizione decentrata verso sinistra rispetto al vano che lo ospita, ovvero viene collocato in modo tale che la sua parete esterna sia a contatto con la parete del lato interno del vano. Tale accorgimento, permette di ottenere un comportamento del New Jersey meno rigido rispetto ai primi modelli introdotti sul mercato, quali ad esempio quello a bordo del viadotto di Acqualonga, e consente, a seguito dell'urto di veicoli leggeri, uno spostamento della barriera tale da non far entrare in tensione i tasselli. Figura 2 – Collegamenti longitudinali: piastre al piede e barre rullate passanti, vista laterale.
  • 9. 7 Figura 3 – Collegamenti longitudinali: piastre al piede e barre rullate passanti, vista dall’alto. Figura 4 – Vista complessiva del mancorrente.
  • 10. 8 Figura 5 – Manicotto fra i tratti di mancorrente. Figura 6 – Dettagli del supporto del mancorrente.
  • 11. Figura 7 – Connessioni verticali: in alto, vano tasselli e scassi al piede del New Jersey; In basso, camere di espansione nel cordolo. 9 Figura 8 - Dettagli del vano tasselli al piede del New Jersey e dell’asola al piede dello scasso.
  • 12. 10 Figura 9 - Dettagli della camera di espansione nel cordolo del viadotto. Figura 10 - Dettagli dell’ancoraggio del New jersey al cordolo del viadotto: tassello decentrato rispetto al vano al piede del New Jersey e rispetto alla camera di espansione del cordolo. CONCLUSIONI. In questo primo articolo, si sono considerati aspetti elementari ma fondamentali dei sistemi di ritenuta composti da barriere prefabbricate tipo New Jersey. Se ne sono evidenziate le
  • 13. essenziali caratteristiche geometriche e meccaniche e attraverso una modellazione numerica ad elementi finiti si sono sviluppate delle simulazioni dinamiche che hanno permesso di evidenziarne le caratteristiche prestazionali. Nel secondo saranno considerate due diverse tipologie di barriere, una tipologia più recente denominata TIPOLOGIA A confrontata con una sviluppata all’inizio degli Anni ‘90, denominata TIPOLOGIA B. Per quest’ultima, sara' considerata accanto alla configurazione nominale una configurazione degradata come presumibilmente si ha dopo circa vent’anni di assenza di manutenzione. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia l’Ing. Pietro Pavesi di ABESCA per le informazioni fornite e l’Ing. Alessandra Lo Cane del MIT costante ispiratrice anche del presente lavoro, parzialmente supportato dal fondo “FILAS - POR FESR LAZIO 2007/2013 - Support for the research spin off” fornito a StroNGER s.r.l.. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI. [1] F. Annunziata, M. Coni, F. Maltinti, F. Pinna, S. Portas. “Progettazione stradale integrata”. Zanichelli Editore, 2004. [2] A. Mammarella. “I sistemi stradali di sicurezza specializzati. Le barriere New Jersey”. Le Strade, 10/1993. [3] C. Ardemagni. “Barriere di sicurezza”. Le Strade, 03/1996. [4] S. Leonardi, G. Pappalardo. “Analisi critica delle caratteristiche prestazionali delle barriere di sicurezza”. Quaderno n.110. Istituto di Strade Ferrovie Aeroporti - Università degli Studi di Catania. 07/2000. [5] S. Leonardi, G. Pappalardo “Modelli di simulazione a supporto della tecnologia delle barriere stradali”. INPUT 2001 Informatica e Pianificazione Urbana e Territoriale, Democrazia e Tecnologie. [6] http://www.abesca.com/ [7] O. Kleppe. “Developing safety barriers as a mean to reduce traffic accidents.”, Norwegian Public Roads Administration. 2003. [8] F. Placidi, F. Fattorini, S. Fraschetti. “Gli strumenti di simulazione come ausilio alla progettazione delle barriere di sicurezza stradali - Workshop - La ricerca e lo sviluppo per una migliore sicurezza stradale”. Centro Sviluppo Materiali S.P.A., Roma. 06/2001. [9] K. J. Bathe. “Finite element procedures”. Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey. 1996. [10] LSTC – Livermore Software Technology Corporation. http://www.lstc.com/ [11] A. Abu-Odeh. “Modeling and Simulation of Bridge Impacts on Concrete Bridge Rails using LS-DYNA”. 11 10th International LS-DYNA User Conference – Simulation Technology. [12] R. D. Julin, J. D. Reid, R. K. Faller, M. Mongiardini. “Determination of the maximum MGS mounting height – Phase II - Detailed analysis with LS-DYNA”. Nebraska Transportation Center, University of Nebraska-Linconln - Midwest Roadside Safety Facility - Midwest States Regional Pooled Fund Research Program. 2009 - 2010 (Year 20).