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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA



                           FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA



                                   Corso di laurea in




              Scienze della comunicazione pubblica e sociale


                                 TITOLO DELLA TESI




                      Crowdfunding per gli enti locali:
                      un nuovo metodo di fundraising


                                   Tesi di laurea in



               Comunicazione delle istituzioni pubbliche


Relatore Prof.: Roberto Grandi

Correlatore: Michele D'alena

Presentata da: Francesco Pirri



                                  Seconda Sessione



                                  Anno accademico

                                      2010/2011

                                           5
Indice                                                           6

Introduzione                                                     9




Capitolo 1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica
Amministrazione: i principi di trasparenza, partecipazione,
sussidiarietà e comunicazione.


1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle riforme
    degli anni novanta.                                       12
1.2. Trasparenza come principio.                              15
1.3. Il diritto di informazione passiva e riflessiva.         17
1.4. La partecipazione                                        21
1.5. La sussidiarietà orizzontale                             26
1.6. La comunicazione pubblica                                32
1.7. Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA    48




Capitolo 2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra
amministrazione e amministrato e quali sono i
vantaggi/svantaggi connessi.

2.1 Pubblica amministrazione e web 2.0                           53
2.2 Il prosumer                                                  56
2.3 I social media                                               59
2.4 I benefici portati dai social media alle organizzazioni
    complesse                                                    63
2.5 Il futuro del web: il mobile                                 70
2.6 Chi dovrebbe occuparsi della gestione dei social media? 76

                                    6
2.7 Il punto di vista dei cittadini                            78
2.8 Come una maggiore partecipazione dei cittadini potrebbe
    aiutare il fundraising degli enti locali                   80



Capitolo 3 Gli strumenti di fundraising degli enti Locali: perché
è necessario utilizzarli e con quali modalità si usano

3.1 Costi delle politiche sociali                              89
3.2 La decurtazione della spesa pubblica e i “tagli”
      sugli Enti Locali: Le leggi Finanziarie 2010 e 201       92
3.3 Imprese e fundraising                                      98
3.4 La sponsorizzazione                                       100
3.5 Il cause related marketing                                105
3.6 Le donazioni                                              114




Capitolo 4. E-philantropy: il presente della donazione


4.1 Il fundraisng on line                                     127
4.2 Gli strumenti di fundraising usati nel web “statico”      130
4.3 La posta elettronica                                      132
4.4 L’importanza del motore di ricerca                        134
4.5 Gli sms solidali                                          140
4.6 I QR code                                                 142
4.7 Il Paypal mobile                                          144
4.8 Il fundraising fatto con i social media                   145
4.9 I multi-user virtual environment: i mondi virtuali        151
4.10 I social game                                            153
4.11 Analisi e verifica delle campagne di fundraising on line 155
4.12 Scenari futuri                                           159



                                      7
Capitolo 5 Il crowdfunding per la Pubblica Amministrazione

5.1 Cos'è il crowdfunding: casi studio                       161
5.2 Crowdfunding e cultura : un binomio più che possibile 175
5.3 Previsioni future delle donazioni on line                184
5.4 Come potrebbe essere utilizzato il crowdfunding
     dagli Enti Locali                                       186
5.5 Quale ufficio comunale dovrebbe occuparsi delle
     campagne di crowdfunding?                               189
5.6 Crowdfunding, PA e sussidiarietà                         192
5.7 Conclusioni                                              196




Bibliografia                                             200

Webgrafia                                                    202




                                 8
Introduzione

Il motivo che mi ha portato ha scrivere una tesi su un nuovo
strumento di fundraising per la pubblica amministrazione
italiana (PA) è stato il disinteresse mostrato dal governo
italiano nei confronti di ambiti come quello artistico/culturale,
dell’istruzione e dei servizi sociali. Per disinteresse intendo il
taglio dei finanziamenti che gli Enti Locali (ma anche altri enti
pubblici) percepivano per tutelare il proprio patrimonio
culturale e sociale.

Dal momento in cui la mancanza di fondi è il problema
principale, l’unica soluzione per continuare a garantire la
“sopravvivenza” degli ambiti in questione è reperire fondi
extra da canali non pubblici, quindi dai privati. Al momento gli
strumenti di fundraising usati dagli Enti Locali sono la
sponsorizzazione, il cause related marketing e la donazione
pura; ma per vari motivi, solitamente, l’unico strumento usato
dai Comuni per avere un risparmio di spesa è la
sponsorizzazione. A queste metodologie di raccolta fondi io,
nel corso del mio lavoro, ne proporrò una nuova: il
crowdfunding. Si tratta di un nuovo fenomeno nato in seno
alle dinamiche del web 2.0 (in particolare dell’interattività e
dalla partecipazione virtuale), che prevede la raccolta di
micro-donazioni attraverso i social media per finanziare i
progetti proposti dagli utenti delle web community. Questa
nuova metodologia è stata definita da alcuni come una nuova
forma di donazione, e da altri come una nuova forma di


                                9
finanza collettiva, poiché lo scopo non è il solo donare soldi
per una buona causa, ma finanziare un buon progetto in
cambio di qualche “gratificazione”.

La mia tesi sostiene il fatto che il crowdfunding possa essere
usato anche dalle amministrazioni pubbliche per reperire
fondi extra da destinare a quegl’ambiti di interesse che più di
altri soffrono i “tagli” dovuti alla crisi economica. Per motivare
questa tesi ho dovuto iniziare dall’analisi dei cambiamenti
intercorsi all’interno della pubblica amministrazione italiana.
Per intenderci la famosa rivoluzione copernicana basata sui
principi di trasparenza, partecipazione,         sussidiarietà e
comunicazione.

Una volta spiegato come la PA italiana sta cambiando, nel
secondo capitolo proverò a fare una panoramica generale sui
nuovi strumenti di comunicazione e informazione in nostro
possesso: i social media. Affronterò il tema dell’uso dei social
media da parte della PA italiana, evidenziandone le migliorie
e i rischi che questi strumenti possono portare all’interno degli
enti pubblici.

Nel terzo capitolo invece mi occuperò della situazione
economica in cui versano gli Enti Locali dopo le varie
finanziarie “post crisi”. Oltre a fare questa analisi, descriverò i
vari metodi di fundraising usati attualmente dai Comuni,
cercando di capire quali possono essere i relativi limiti.

Dopo di che la mia analisi virerà sul futuro del fundrasing,
cioè la e-filantropy. In sostanza analizzerò le nuove modalità
di raccolta fondi usate soprattutto dalle organizzazioni no
profit statunitensi. In particolare dimostrerò come sia possibile


                                10
usare il web 2.0, le apps degli smartphone e le altre nuove
tecnologie a fine filantropico.

In fine, alla luce di tutta la disamina, concluderò il mio lavoro
proponendo il crowdfunding come metodo ulteriore di
fundraising per gli Enti Locali. Nel mio piccolo, proverò a
immaginare una modalità di uso di questo strumento “cucita”
intorno alle necessità della “nuova” amministrazione italiana.
Quindi pensata come una struttura leggera che possa essere
affidata ad una associazione no profit in modo sussidiario.
Come si capirà leggendo l’elaborato, il crowdfunding non può
essere una soluzione definitiva alla crisi economica degli Enti
Locali, ma di certo potrebbe aiutarli a reperire qualche fondo
in più, e inoltre potrebbe aiutare il Comune a intensificare il
rapporto “da pari” con i propri amministrati.

Detto questo non resta che iniziare ad argomentare la mia
tesi.




                                  11
1.     La    Rivoluzione      copernicana           della    Pubblica
Amministrazione:          i     principi       di       trasparenza,
partecipazione, sussidiarietà e comunicazione.




1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle
riforme degli anni novanta




     In Italia gli anni ’90 sono stati caratterizzati da un momento
di grande crisi politica e istituzionale che ha finito per
coinvolgere anche la pubblica amministrazione (da ora in poi
PA). La grande produzione normativa avvenuta nell’ultimo
decennio del secolo appena trascorso è stata segnata da una
grande coerenza che la lega ad un filo comune, quello di
avvicinare la PA alla società civile attraverso il decentramento
di molte funzioni dallo Stato agli Enti Locali; e riformare tutta
la PA su criteri di: efficienza, cioè competenza e prontezza
nell’assolvere le proprie mansioni; efficacia, cioè la capacità
di produrre l’effetto voluto; economicità e trasparenza.

In sostanza la PA inizia ad aprirsi alla partecipazione e alla
valutazione dei cittadini, i veri depositari del potere. Il diritto di
accesso       diventa    un    principio    generale        dell’attività
amministrativa finalizzato a favorire la partecipazione dei
cittadini, l’imparzialità, la semplificazione e la trasparenza
dell’azione amministrativa. La leale cooperazione fra soggetti
pubblici e privati diventa prioritaria e quindi il rapporto fra
dipendenti della PA e cittadini cambia radicalmente. Con il




                                 12
Decreto legislativo 29/93 formulato da Massimo D'antona 1 il
             ruolo della politica nel procedimento amministrativo viene
             ridimensionato; i politici mantengono i poteri decisionali
             iniziali ma non possono più interferire nell’esecuzione dei
             provvedimenti.         Il    Dirigente       amministrativo        diventa      il
             responsabile ultimo dell’attività amministrativa ed il gestore
             del budget assegnatogli. La trasparenza diventa, quindi, la
             base dei rapporti fra i dipendenti pubblici e gli utenti.

             Volendo fissare un punto d'inizio, la grande riforma della
             Pubblica Amministrazione - da alcuni definita copernicana -
             parte con la L. 8 giugno 1990 n°142 sulle Autonomie Locali 2
             e con la L. 241 dello stesso anno sui procedimenti
             amministrativi e sul diritto di accesso, che pongono l’accento
             sui cittadini e sui loro diritti ad avere servizi trasparenti,
             efficienti e rapidi. In queste disposizioni viene affermato per la
             prima volta il principio fondamentale che la PA si regge sui
             criteri di economicità, efficacia e pubblicità (Art. 1 L. 241/90).
             Un      altro    traguardo       importante       si    è    raggiunto       con
             l’approvazione del D.L. del 3 febbraio 1993 n. 29, che
             prevede l’introduzione dei sistemi informativi nelle PA come
             strumento         essenziale         per      accrescerne          l’efficienza,
             razionalizzare i costi e fornire servizi efficaci. Nel corso dello
             stesso anno, il 12 febbraio 1993, viene approvato anche il
             D.L. 39 che istituisce “l’Autorità per l’Informatica nella
             Pubblica Amministrazione” o A.I.P.A. (art. 4), quale strumento
             tecnico ed operativo per realizzare - nei tempi più rapidi -
             l’introduzione delle nuove tecnologie e la conseguente
             riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Un altro

1
   Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 "Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni
pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23
ottobre 1992, n. 421" (Pubblicato in G. U. 6 febbraio 1993, n. 30, S.O.)
2
  successivamente modificata dalla L. 265 del 3 agosto 1999

                                                     13
passo importante per l’integrazione dei cittadini nella vita
                amministrativa             è        rappresentato             dal        "Codice
                dell’Amministrazione Digitale" 3. Nella Sezione II, titolata
                “Diritti dei cittadini e delle imprese”, il Codice istituisce una
                serie di diritti per i cittadini e il dovere per la PA di erogare
                una serie di servizi amministrativi attraverso la tecnologia
                informatica: in particolare, i cittadini potranno effettuare
                pagamenti online, utilizzare la posta elettronica certificata,
                valutare la qualità dei servizi erogati. Inoltre la PA
                s’impegnerà per l’alfabetizzazione informatica dei cittadini e
                la partecipazione democratica elettronica. In questo scenario
                il web rappresenta dunque uno dei principali strumenti di
                democrazia.

                Comunicare in modo continuativo con i cittadini è quindi il trait
                d'union dei cambiamenti normativi all'interno della PA. Infatti,
                senza comunicazione obiettivi come la trasparenza, l’accesso
                e la partecipazione popolare non possono essere raggiunti.

                Fino alla fine degli anni ottanta la comunicazione non era
                dunque        ritenuta      un      valore      strategico       per     l’azione
                amministrativa. Volendo trovare una causa al ritardo nel
                riconoscere l’importanza della comunicazione pubblica si
                potrebbe indicare la mancanza di un riferimento esplicito al
                diritto dei cittadini di essere informati e di informarsi. Di fatti
                l'articolo 21 della Costituzione tutela esplicitamente solo la
                libertà di manifestazione del pensiero, e secondo alcuni in
                modo troppo approssimato e generale.

                Nelle prossime pagine analizzeremo nel particolare sia i
                principi cardine sui quali si è sviluppato il cambiamento nella

3
    Adottato con d.lgs. 7/3/2005 n. 82 e integrato con modifiche con d.lgs. 4/4/2006 n. 159

                                                         14
PA, sia l'evoluzione della comunicazione pubblica da non
                 necessaria a indispensabile.




                 1.2 Trasparenza come principio




                     Mentre il termine trasparenza è, come noto, del tutto
                 assente dal testo costituzionale, manifestazioni di tale
                 principio sono in esso frequenti, e vive 4.

                 Secondo alcune dottrine giuridiche il diritto all'informazione
                 passiva e riflessiva è da considerarsi all'interno del principio
                 costituzionale implicito della trasparenza amministrativa e
                 politica. Per argomentare questa ipotesi bisogna partire dalla
                 definizione di principio costituzionale implicito e del termine
                 trasparenza.

                 Per quanto riguarda il primo concetto va detto che i principi
                 costituzionali impliciti sono principi rinvenibili in Costituzione
                 attraverso un’opera di astrazione interpretativa di quelle
                 disposizioni, mirate a ricostruire il complesso di valori che ne
                 ha guidato la redazione e le ragioni che le stesse disposizioni
                 non enunciano, pur implicandone l’esistenza e la vigenza. Si
                 noti che questa categoria, in un ordinamento come il nostro a
                 Costituzione aperta sì, ma rigida, ha caratteri e limiti che non
                 possono essere trascurati. 5

                 Per      molto      tempo        sia    la       politica   che   la   pubblica
                 amministrazione hanno usato la mancata esplicitazione di

4
    Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione
5
    Ivi.

                                                           15
questo principio come alibi per non essere trasparenti. Infatti,
              secondo       Donati,      i   principi     si   pongono       quali     norme
              contraddistinte da un grado molto alto di generalità e di
              astrattezza [...] (questo) In primo luogo comporta il fatto che
              questi si traducano in precetti elastici, plasmabili, il cui
              contenuto varia in ragione della prospettiva da cui li si
              osserva o delle finalità per le quali li si evoca. In secondo
              luogo implica il fatto che i principi si pongano come norme
              mai esplicite. Se quanto si è appena detto è vero, allora è
              altrettanto vero che tra i principi espliciti e i principi impliciti
              presenti in un certo ordinamento giuridico non vi può essere
              alcuna differenza logica o di valore. In questo senso, anzi,
              tutti   i   principi     sono      «impliciti».     Quindi      la     mancata
              esplicitazione del principio non può essere un freno all'azione
              amministrativa.

              Per quanto riguarda il principio di trasparenza, possiamo
              affermare – sempre con Donati - che tale principio indica “la
              possibilità di vedere attraverso gli ostacoli”. Si tratta di un
              concetto relazionale, che si concretizza solo nelle interazioni
              che legano due o più soggetti 6, un osservatore e un
              osservato, che assumono come valore positivo condiviso
              l’evidenza e la chiarezza delle azioni.

              In giurisprudenza ancora non si è arrivati ad una conclusione
              univoca nello stabilire se la trasparenza va considerata un
              fine o un mezzo dell'azione amministrativa. Per alcuni è un
              valore strumentale, un mezzo e non un fine, utile al
              perseguimento di valori diversi e ulteriori: in altre parole si
              chiede al soggetto osservato di essere trasparente affinché

6
  Questo argomento è stato ampiamente analizzato da G. Arena, da ultimo nella voce Trasparenza
amministrativa, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5945 ss.

                                                     16
sia possibile assicurare all’osservatore il soddisfacimento di
                 esigenze che possono andare dal controllo democratico, alla
                 formazione di una opinione pubblica o personale, alla tutela
                 di diritti e pretese individuali e ancora (la trasparenza è)
                 essenzialmente un mezzo per la conoscenza, si candida ad
                 essere efficacissimo strumento di garanzia per le legittime
                 pretese delle donne e degli uomini nelle loro diverse vesti di
                 cittadini, di elettori, di lavoratori, di consumatori. 7 La
                 concezione del principio di trasparenza come strumento per
                 la tutela di altri valori può sembrare in contrasto con quella,
                 oggi apprezzata e diffusa in dottrina, che considera la stessa
                 un obiettivo da raggiungere con vari mezzi dalla PA; in
                 questa seconda concezione la trasparenza è vista dunque
                 come un fine. Ma tale contrapposizione è in realtà soltanto
                 apparente. Infatti, effettuando una lettura comparata di
                 ambedue le posizioni, ci rendiamo conto che non solo un
                 integrazione è possibile, ma anzi riesce a dare un’immagine
                 più approfondita, articolata e compiuta del principio stesso.
                 La trasparenza ha infatti in sé la caratteristica di mutevolezza:
                 evolve continuamente in ragione del mutare delle condizioni
                 del contesto in cui si muove.




                 1.3 Il diritto di informazione passiva e riflessiva




                     Per far si che la PA sia trasparente è necessario che
                 quest'ultima         si    faccia       osservare   e   che   comunichi
                 all'osservatore di turno le sue intenzioni presenti e future;


7
    Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione

                                                           17
insomma è necessario che la PA rispetti il diritto implicito dei
             cittadini di essere informati. Ma, come già dimostrato, la
             mancata esplicitazione del diritto d’informazione passiva e
             riflessiva ha rappresentato un alibi per negare l'esistenza di
             un vero e proprio dovere di attivare strutture e processi di
             istituzione delle comunicazioni pubbliche.

             Sembrerebbe che l'assemblea che ha redatto la carta
             costituzionale        italiana    non       abbia     ritenuto     necessaria
             l’esplicitazione di questo diritto/dovere, come è invece
             avvenuto in altri paesi usciti da regimi dittatoriali. Un esempio
             esplicativo è la carta costituzionale tedesca: l’art. 5 Libertà di
             espressione della Legge fondamentale per la Repubblica
             Federale di Germania, entrata in vigore il 23 maggio 1949,
             recita: 1. Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere
             liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di
             informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. Sono
             garantite le libertà di stampa e d'informazione mediante la
             radio e il cinema. Non si può stabilire alcuna censura. 2.
             Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi
             generali, nelle norme legislative concernenti la protezione
             della gioventù e nel diritto al rispetto dell’onore della persona.
             3. L'arte e la scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi.
             La libertà d'insegnamento non dispensa dalla fedeltà alla
             Costituzione. Nella carta costituzionale tedesca si afferma
             quindi la necessità di essere informati su quello che succede
             a livello politico amministrativo propedeutica alla formazione
             di una corretta opinione pubblica 8.




8
 Questo argomento è stato trattato ampiamente da Jürgen Habermas in "Storia e critica dell'opinione
pubblica" pubblicato in Italia nel 1962

                                                    18
Invece,       l’articolo        21    della       Costituzione      italiana     è
                 contraddistinto da una debolezza redazionale, e omette sia le
                 diverse coniugazioni della libertà di informazione in forma
                 attiva, passiva e riflessiva, sia qualsiasi riferimento a mezzi di
                 informazione diversi dalla stampa già ben presenti negli anni
                 in cui operarono i costituenti, come la radio 9. Questa
                 debolezza redazionale forse è stata - ed è ancora - la causa
                 di diverse anomalie che perpetrano nel nostro paese, prima
                 fra tutte il conflitto di interesse del nostro Presidente del
                 Consiglio. Dopo più di trent’anni di discussioni, riforme e
                 pronunce        della      Corte     Costituzionale,       il   problema       del
                 pluralismo informativo ancora non è stato risolto. L’immobilità
                 e la soffocante chiusura che caratterizzano il sistema
                 radiotelevisivo rischiano ora di estendersi anche alle altre
                 forme della comunicazione, rendendo ancor più fragile e
                 complesso il perseguimento del pluralismo informativo, e
                 quindi di fatto inconsistente il nostro diritto ad essere
                 informati. Queste considerazioni trovano riscontro anche
                 nelle     disposizioni          effettuate       dalla   Comunità     Europea.
                 Considerando che l’attuale disciplina italiana è in netto
                 contrasto        con       le     norme          comunitarie     relative      alla
                 radiotelediffusione e alla concorrenza nei mercati delle reti
                 dei servizi di telecomunicazione elettronica, la Commissione
                 europea ha inviato all’Italia il 19 luglio 2006 una lettera di
                 messa in mora. Si è cosi avviata la procedura d'infrazione
                 prevista dall’art. 226 del Trattato CE a carico del nostro
                 paese. Un anno dopo, il 18 luglio 2007, non essendo stato
                 adottato dalle nostre istituzioni alcun provvedimento di
                 modifica, questa procedura è entrata nella seconda fase, che



9
    Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione

                                                           19
porterà al deferimento dell’Italia davanti alla Corte di giustizia
              delle Comunità europee 10.

              Il diritto all'informazione in senso attivo, passivo e riflessivo, in
              una società democratica è da considerarsi fondamentale per
              l’accesso       alla    vita     pubblica;      anzi     dovrebbero         essere
              ricompresi in un nuovo diritto alla democrazia il complesso
              dei diritti di informazione. Cioè il diritto di sapere come
              versione dinamica del diritto ad essere informati; il diritto di
              accedere alle informazioni che individualmente ci riguardano
              […]; il diritto di essere informati in maniera obiettiva, corretta
              e completa; il diritto di cercare, ricevere e trasmettere
              informazioni come distinto da quello di manifestare il
              pensiero. Mentre nei casi in cui si chiede la trasparenza dei
              soggetti privati il diritto all’informazione viene inteso come un
              semplice interesse, nei casi in cui la richiesta di informazione
              ha come destinatario un ente pubblico è possibile individuare
              in    questa        richiesta      dei     principi     costituzionali        come
              trasparenza         e    partecipazione,         che     sono      necessari        e
              strumentali alla realizzazione di altri principi costituzionali,
              come: l'inviolabilità dei diritti; la democrazia; l'uguaglianza
              formale e sostanziale dei cittadini; la partecipazione alla vita
              democratica, sia attraverso l'esercizio del voto sia attraverso
              un concorso effettivo all'organizzazione politica, economica e
              sociale del paese.


10
   Secondo quanto affermato dal Commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, negli stessi giorni, tra l’altro,
l'avvocatura della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha rinviato al Consiglio di Stato la decisione sul
ricorso promosso da Centro Europa 7, la cui emittente Europa 7 da anni contende a Rete 4, il diritto di
trasmettere su scala nazionale. La Corte Europea, secondo l'avvocato generale Poiares Meduro, ha però
stabilito che «L'art. 49 CE richiede che l'assegnazione di un numero limitato di concessioni per la
radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati si svolga in conformità a procedure di
selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione al loro esito. I giudici
nazionali devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l'assegnazione
di frequenze ad un operatore che così ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e, se
necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori

                                                        20
1.4 La partecipazione




                  Come detto la rivoluzione copernicana della PA poggia
              non solo sul valore strategico della comunicazione e
              sull'importanza della trasparenza, ma anche sull'inclusione
              dei cittadini nei processi decisionali pubblici. Di fatti anche la
              “partecipazione” sta diventando sempre più una scelta
              strategica della PA.

              Quando si parla di partecipazione spesso si parla di pratiche
              partecipative 11, cioè di manifestazioni autonome e azioni
              concrete messe in atto in contesti locali da singoli cittadini o
              cittadini associati o dalla PA stessa. La conferma che si tratti
              di pratiche e non di istituti normativi, è data anche dal fatto
              che gli apporti partecipativi dei cittadini nei confronti della PA
              sono stati rilevati prima dalle scienze socio-politiche e solo
              successivamente dalla dottrina giuridica. Lo sforzo della
              dottrina giuridica altro non è stato che lo sforzo di astrarre dei
              principi generali comuni a tutte le pratiche partecipative, in
              modo da poter regolamentare il fenomeno. 12

              Iniziamo col dire che queste pratiche non sono di certo un
              fenomeno recente, ma costituiscono anzi una pietra miliare
              del modello democratico. La redazione dell'articolo 3 della
              Costituzione 13, attraverso la rimozione degli "ostacoli di

11
   L’espressione, volutamente generica è ricorrente in L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le
pratiche di partecipazione in Italia
12
   Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle
nuove forme associative
13
   Art. 3 Cost: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della

                                                        21
ordine economico e sociale" affida alla Repubblica il dovere
              di perseguire una piena libertà ed eguaglianza dei cittadini
              affinché       ci    siano       i   presupposti          per    una      "effettiva
              partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica
              economica e sociale del paese". Nel campo del diritto
              pubblico la partecipazione si delinea quindi come un
              contributo individuale o plurale, associato a un processo
              decisionale rispetto a scelte di pubblico interesse. In senso
              generale, la partecipazione si presenta come una vera e
              propria fase del processo democratico, e si colloca in
              successione            al      momento            della         trasparenza          e
              dell'informazione. Dal punto di vista dei singoli essa consiste
              nel dare, in base alle proprie capacità, un contributo
              responsabile alla formazione e alla guida delle attività
              esercitate dal gruppo d'appartenenza 14. Questo naturalmente
              non significa che la partecipazione deve necessariamente
              manifestarsi in senso adesivo e quindi convogliare le proprie
              aspirazioni         nel     calderone          dell'omologazione;          significa
              piuttosto aggregare e non integrare le individualità, e quindi
              costruire dei luoghi in cui ogni idea trova ascolto. Perché
              sono proprio il dissenso e la diversità la ragion d'essere della
              partecipazione e della democrazia.

              Facendo un’ipotetica classificazione di queste pratiche
              partecipative, possiamo individuare due classi: i fenomeni
              informali e i fenomeni formali.

              Si può parlare di fenomeni informali, quando la pratica
              partecipativa si manifesta come un aiuto a rafforzare il

Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti
i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese
14
    Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle
nuove forme associative

                                                        22
legame fra istituzioni e cittadini, per ricercare nuove forme di
               connessione e di collaborazione. In altre parole si tratta di un
               esercizio costante di avvicinamento e conoscenza, di ascolto
               e di risposte, che spesso si attiva a livello locale.

               Si    può     parlare    di   fenomeni   formali   invece,   quando
               l'ordinamento legislativo si è accorto della presenza di
               connessioni fra i cittadini e gli organi del potere, e regola le
               fasi, le modalità, i tempi del relativo procedimento e ne
               definisce gli effetti.

               E’ allora possibile distinguere le pratiche partecipative dagli
               istituti della partecipazione, notando che le prime spesso si
               evolvono nelle seconde. Più ci si avvicina al livello locale, più
               la partecipazione dei cittadini aumenta, dando l’impressione
               che è proprio a livello locale che la partecipazione viene in
               essere. Per dirla con Rodotà, sono i piccoli gruppi e le
               comunità locali "il luogo ideale per ricostruire o per realizzare
               effettivamente una democrazia fondata su un faccia a faccia
               tra cittadini" 15.

               Quindi i principi di decentramento e sussidiarietà possono
               essere letti – e meglio compresi - nella prospettiva di un
               maggior coinvolgimento dei cittadini alle decisioni della PA. In
               questa       ottica     possiamo   anche    leggere     l'abbandono
               progressivo della concezione di omogeneità del tessuto
               amministrativo nazionale. La partecipazione dei cittadini
               serve dunque anche a far adattare la PA al contesto sociale e
               territoriale in cui opera.




15
     Stefano Rodotà, Tecnopolitica

                                                  23
Chiarita la ragion d’essere della partecipazione, di seguito
              capiamo come i cittadini partecipano realmente all'attività
              amministrativa. Come già detto in precedenza, la PA oggi ha
              perso il suo fare autoritativo e si presenta alle contrattazioni
              come primo tra pari. La PA è un portatore di interessi,
              concepiti come pubblici, che vengono sottoposti a discussioni
              con privati che hanno interessi coinvolti. I soggetti privati
              possono partecipare singolarmente o in forma associata, e
              possono inserirsi nel discorso in momenti diversi e con forme
              e capacità diverse. Nell'ordinamento giuridico c'è un’assoluta
              assenza di indicazioni unitarie in materia di partecipazione,
              causata oltre che dall'inafferrabilità dell'oggetto in questione
              anche dal fatto che siamo di fronte ad un ambito rimesso in
              gran parte all'autonomia dei privati.

              Ma un autorevole giurista 16 ha provato a dividere le pratiche
              partecipative in base alle finalità che si vogliono raggiungere.
              Si distinguono in tal modo: casi in cui la partecipazione dei
              privati mira esclusivamente a migliorare il patrimonio
              informativo della PA; casi in cui la partecipazione dei privati è
              finalizzata alla difesa dei propri interessi nei confronti di altri
              interessi pubblici o di altri privati; casi in cui la partecipazione
              dei privati ambisce a decidere insieme all'amministrazione.
              Donati evidenzia anche una quarta finalità, distinguendo casi
              in cui la partecipazione dei privati funga da controllo e verifica
                                            17
              dell'operato pubblico.

              Quindi il concetto di partecipazione inteso dalla L. 241/1990
              come l'allargamento dell'istruttoria e la trasformazione del
              procedimento in un’arena pubblica di discussione fra portatori
16
   Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo, in Archivio giuridico, n. 1-2, 1970 e ancora, La
partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, Riv. Trim. Dir. Pubb., 2007, p.3-42
17
   D. Donati, Il controllo dei cittadini sull’amministrazione pubblica, tra effettività giuridica e valore etico

                                                      24
di interessi per giungere ad una decisione più giusta e
                 condivisa, sembra essere – di fatto - superato. Oggi si
                 assiste, nella pratica, ad un'estensione del principio di
                 partecipazione verso ambiti prima impensabili e quindi non
                 regolamentati. Un esempio sono le attività di controllo e di
                 customer satisfaction svolte dai cittadini sui servizi erogati da
                 un ente pubblico. Ma, anche se non del tutto regolamentati,
                 tali processi partecipativi vengono in essere, e spesso si
                 traducono in una discussione fra formazioni sociali e PA
                 attorno al tavolo delle trattative.

                 Per dare soluzione ai problemi di una società complessa
                 quale è la nostra, è necessario che i cittadini non siano più
                 destinatari              passivi                dell’intervento             pubblico
                 dell’amministrazione ma, piuttosto, che sia ritenuta una
                 risorsa strategica la loro partecipazione alle scelte pubbliche.
                 Sul terreno dei processi decisionali inclusivi, tuttavia, le
                 amministrazioni vanno spesso incontro a grandi difficoltà
                 poiché si imbattono in ostacoli non previsti, in conflitti inattesi,
                 in incomprensioni ed equivoci 18. Come dice Bobbio, in
                 assenza di un quadro normativo di riferimento, le pratiche
                 partecipative hanno delle controindicazioni. Se è vero che gli
                 attori territoriali non sono posti di fronte ad una scelta, bensì
                 di fronte ad un problema, è vero anche che c'è una difficoltà
                 di controllo del processo di risoluzione da parte della PA, che
                 comporta rischi economici e tempi lunghi per deliberare, oltre
                 alla possibilità che si aprano conflitti e poteri di veto. Per
                 questi motivi spesso l’amministrazione tende a comportarsi
                 come un partner fra gli altri partner, che funge da stimolo, da
                 sollecitazione, da regia, da coordinamento, da mediatore


18
     L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia

                                                            25
degli interessi in campo. Sempre per prevenire tali conflitti, è
solito da parte della PA attivare il processo partecipativo
inclusivo nelle fasi finali del processo decisionale, cioè
quando ai cittadini, in realtà, rimane ben poca discrezionalità
da usare. Inserendo la pratica partecipativa alla fine del
processo si riesce sia a ridurre i costi di transazione, sia a
tenere sotto controllo i tempi della progettazione, sia a
favorire l’uso di razionalità tecnico-scientifiche. Quanto detto
non significa che le pratiche partecipative siano da evitare,
anzi, vuole rimarcare la necessità di intervento del legislatore
a precisare e regolamentare ulteriormente queste pratiche,
dando loro una stabilità normativa e organizzativa su cui
poggiare. Solo cosi sarà possibile inserire i cittadini fin dalle
fasi iniziali del procedimento, a monte e non a valle del
processo decisionale.




1.5 La sussidiarietà orizzontale




  Uno degli istituti della partecipazione è sicuramente la
sussidiarietà orizzontale, cioè la presa in carico da parte dei
cittadini di attività che prima erano svolte unicamente dalla
PA.

Fino agli inizi degli anni novanta, l'agire della PA riguardo alla
presa in carico di attività e di servizi ruotava intorno a tre
assunti di carattere panpubblicistico, smentiti col passare del
tempo:

• Ciò che è di interesse generale è di interesse pubblico.

                               26
• Ciò che è di interesse pubblico è dello Stato;
                • Lo Stato provvede a ciò che è di interesse pubblico con
                apparati pubblici.

                Il terzo assunto prevedeva che ciò che è di pertinenza
                pubblica dovesse essere regolamentato tramite il diritto
                amministrativo. Ma nel corso degli anni c'è stato un
                ripensamento a riguardo; si pensi alla già citata stagione delle
                riforme del 1991, quando attraverso le privatizzazioni formali
                si inizia a favorire il diritto privato rispetto a quello
                amministrativo. Già con la legge 241/1990 19 sul procedimento
                amministrativo si ammetteva una reciproca interferenza del
                diritto amministrativo e del diritto privato. Insomma si
                ripensava al fare autoritativo della PA.

                Il secondo assunto prevedeva che il potere amministrativo
                fosse diretta emanazione dello Stato. Quindi era lo Stato
                centrale che provvedeva ai bisogni locali, tant'è vero che
                l'idea di omogeneità del tessuto locale si rifletteva anche negli
                articoli della Costituzione 114, 118 e 128. Ma anche questa
                idea di omogeneità è poi caduta. Negli anni '70 con le prime
                elezioni dei consigli regionali a statuto ordinario, l'impianto
                amministrativo viene rivisto nell'intento di includere nel
                processo decisionale anche le realtà regionali. Ma il punto di
                rottura con la concezione di stato centrale e di omogeneità
                amministrativa si ha definitivamente con la L. 142/1990. In
                particolare all’art. 3 si dotano le regioni della possibilità di
                intervenire nell'organizzazione delle funzioni locali e di farlo in
                modo selettivo calibrando “gli interessi comunali e provinciali
                in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del


19
     Integrata successivamente dalla Legge 24 febbraio 2005, n. 25

                                                       27
territorio”. All'art. 9 invece si riconoscono al Comune “tutte le
              funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il
              territorio comunale, precipuamente nei servizi sociali e
              nell'asseto del territorio per lo sviluppo economico”. Con
              questa       legge      si    da     quindi      inizio    al    decentramento
              amministrativo che culminerà con l'approvazione della
              Riforma costituzionale del 2001.

              Ma quello che riguarda di più la partecipazione civica intesa
              come istituto della democrazia, è il primo assunto: “ciò che è
              di interesse generale è di interesse pubblico”. Implicitamente
              si afferma che non ci può essere un interesse rilevante per la
              società senza che questo sia occupato dal potere politico-
              amministrativo. Questo assunto trova le sue radici nella teoria
              fascista, incline alla statalizzazione di tutte le attività di
              interesse generale. Tale concezione di Stato è rimasta in
              auge fino all’affermazione del concetto di sussidiarietà
              orizzontale.

              La prima formulazione di sussidiarietà si rintraccia nella L.
              59/1997, nella quale non solo si rivolge una particolare
              attenzione al livello locale, ma vi è anche un’inedita
              considerazione dei cittadini come soggetti che vogliono e
              possono essere parte in attività di interesse generale, finora
              monopolio della PA. In questa legge il principio di
              sussidiarietà è il primo tra i principi fondamentali attraverso i
              quali si dovranno conferire le funzioni e i compiti alle
              amministrazioni 20.



20
   "Legge 15 marzo 1997, n. 59" art 4 comma 3: Il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità
dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le
rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili
con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di

                                                        28
L'idea di restituire ai cittadini la libertà di assumersi la
              responsabilità di tutto ciò che riguarda l'interesse della
              comunità, è un idea antica del pensiero giuridico. Benvenuti
              ipotizza una “demarchia” in cui si passa da libertà garantita a
              libertà attiva. In questo modello, il cittadino non demanda più
              ad altri la soddisfazione dei propri bisogni, ma si impegna
              direttamente, decide e sceglie collaborando con il potere
              pubblico 21.

              Una seconda formulazione di tale principio è data nella L.
              265/1999 22. Al comma 5 dell'articolo 2 si legge che “I comuni
              e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle
              conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il
              principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le
              loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere
              adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei
              cittadini e delle loro formazioni sociali".

              La L. 328/2000 costituisce la terza formulazione del principio
              in oggetto. All'articolo 5 (ruolo del terzo settore) si afferma
              che Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli
              enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse
              disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19,
              promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei
              soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche
              formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito ed ai
              fondi dell'Unione europea.



funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità
territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati
21
   Di fatti nelle leggi prima citate si invoca non solo la maggiore prossimità o vicinanza della PA ai cittadini, ma
anche ove è possibile, l'immedesimarsi della PA nelle formazioni sociali. Quindi la sussidiarietà va intesa come
prossimità, e non c'è ambito più vicino ai cittadini che i cittadini stessi
22
   Questa legge sostituisce integralmente l'art.2 della legge 142/1990, (oggi recepito dalla legge 267/2000

                                                        29
Infine, nel 2001 con la Riforma costituzionale dell'articolo 118,
la sussidiarietà trova la sua formulazione definitiva. I primi
due commi descrivono una relazione (verticale) istituzionale
in cui si definisce la logica fondamentale per la suddivisione
della potestà amministrativa, e uno dei principi di riferimento
per questa suddivisione è quello della sussidiarietà. Ma è il
comma quattro ad essere il più importante ai fini della nostra
analisi: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e
Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli
e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. All'interno
del quarto comma come possiamo notare vi sono tre precise
coordinate strutturali relative al concetto di sussidiarietà.

• I soggetti della relazione: da una parte le istituzioni
territoriali, dall'altra i cittadini singoli e associati.
• L'oggetto della relazione: cioè lo svolgimento di attività di
carattere generale.
• Il principio che regola la relazione: cioè la sussidiarietà.

La norma del quarto comma prescrive quindi sia che
l'amministrazione deve attivarsi affinché il principio si affermi,
sia che l'iniziativa dei cittadini sia autonoma e riferita ad
attività di interesse generale.

Parte della dottrina giuridica interpreta tale norma secondo la
sua accezione negativa, cioè la PA deve astenersi da ogni
intervento sostitutivo nei confronti dei soggetti privati che
dimostrino di avere capacità di svolgere le attività che hanno
preso o possono prendere in carico.




                                    30
Nella norma si legge inoltre che gli enti amministrativi
favoriscono l’autonoma iniziativa; se s’intende il termine
“favoriscono” nel senso di dover favorire, quello di favorire è
dunque un vincolo costituzionale e non un obiettivo possibile.
Ciò implica il dovere per lo Stato e per tutti gli enti pubblici di
adottare tutte le misure sia organizzative che di azione
necessarie a rendere possibile per i cittadini lo svolgimento di
attività di interesse generale.

Per quanto riguarda l'espressione cittadini singoli e associati
pare che la norma voglia mettere in risalto il tratto
dell'appartenenza delle persone a un sistema istituzionale,
sociale ed economico, e quindi il loro dovere di partecipare
alla costruzione della comunità in cui vivono. La sussidiarietà
quindi dà al cittadino la possibilità di costruire e non più
delegare la cura di tutti gli interessi condivisi dalla sua
comunità. Quindi si suppone l’esistenza di una nuova
cittadinanza che collabori e comunichi costantemente con la
PA nell'intento di proseguire l'azione amministrativa in spazi
che altrimenti rimarrebbero deserti. Per cittadini associati
s’intende quindi il terzo settore, che è quel soggetto capace di
aggregare     istanze   rimaste        inespresse   non   altrimenti
rappresentate. Ma il terzo settore non deve sostituire la
capacità di partecipazione del singolo, altrimenti si tratterebbe
comunque di delega.

La locuzione autonoma iniziativa usata nel testo della norma
in primo luogo sollecita l'idea che l'attività di interesse
generale da parte dei cittadini deve avvenire spontaneamente
nello spirito della solidarietà sociale, quindi nega la possibilità
di qualsiasi forma di retribuzione diretta e piena.



                                  31
Infine, la frase attività di interesse generale è quella che rileva
              maggiore        complessità        e    che         ha       prodotto     maggiori
              fraintendimenti. Si ritengono di interesse generale tutte quelle
              prestazioni di beni e di servizi che sono mosse da uno spirito
              solidale da parte del soggetto erogatore, capaci di rispondere
              ai    bisogni     socialmente          ed    economicamente               rilevanti,
              individualmente non raggiungibili. È questo il caso del
              volontariato e di tutta l'attività guidata da spirito di solidarietà.



              1.6 La comunicazione pubblica




                   A detta di molti, sia la qualità della partecipazione civica - e
              quindi della sussidiarietà - sia la qualità della trasparenza
              amministrativa,        sono       proporzionali          alla      qualità       della
              comunicazione          pubblica        che        un’istituzione        riesce     ad
              assicurare. Per partecipare ad un tavolo di contrattazione è
              necessario che l'amministrazione comunichi le proprie
              intenzioni ai cittadini; per essere trasparenti è necessario,
              oltre alla tutela propedeutica del diritto di accesso, che
              l'amministrazione comunichi sia i propri obiettivi, sia le proprie
              decisioni, sia il fallimento o il successo di un'attività.
              Insomma, la comunicazione pubblica assume un ruolo
              strategico nella nuova concezione di PA 23.

              La     comunicazione         pubblica        in     Italia    si    è    sviluppata
              inizialmente a livello locale, tra gli anni ’50 e ‘60, in un’ottica
              propagandistica         dell'amministrazione.                La    comunicazione
              allora si risolveva nell'elogio da parte dell'addetto stampa dei

23
  Si veda, a riguardo, l’opinione di: Grandi, La comunicazione pubblica, 2001; Rovinetti, comunicazione
pubblica sapere e fare, 2006

                                                     32
successi conseguiti dall'ente. Solo all’inizio degli anni '60,
              quando       l'ambito      di    azione      comunale       viene      ampliato
              (istruzione, urbanistica, economia, sicurezza sociale), gli uffici
              stampa hanno iniziato a svolgere una funzione di formazione
              e informazione; l'ufficio stampa è così diventato strumento di
              conoscenza e mezzo capace di migliorare i rapporti fra
              amministratori e amministrati. Negli anni '70 24, con l'avvio del
              processo di decentramento amministrativo e con l'adozione
              del concetto di partecipazione come modus operandi per
              l’azione governativa, la comunicazione - almeno su carta – ha
              acquistato un ruolo centrale nel realizzare concretamente il
              processo partecipativo.

              Ma solo negli anni '80 la comunicazione locale si configura
              all'interno di un processo più grande di comunicazione
              pubblica, intesa come il diritto dei cittadini ad essere informati
              sull'operato dell'amministrazione. Infatti in questi anni i
              professionisti dell'informazione 25, soprattutto a livello locale,
              iniziano a chiedersi quanto siano efficaci i periodici editi dalle
              istituzioni pubbliche, lo strumento principale usato per
              informare e comunicare con l'esterno. Questi periodici si
              ponevano come scopo di riempire uno spazio vuoto lasciato
              colposamente vuoto dagli organi di informazione che operano
              nel cosiddetto mercato e di costruire strumenti di democrazia
              e    partecipazione,            avvicinando       i    cittadini     alla     vita
              amministrativa. Ma tali strumenti si rivelano di fatto incapaci
              di informare e comunicare col cittadino e quindi renderlo
              realmente partecipe della vita amministrativa. Il fallimento dei
              periodici è causato da una totale assenza della cultura

24
  n questo anno vennero istituiti i consigli regionali
25
   Mi riferisco alla ricerca "enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna" commissionata dalla Lega
regionale delle autonomie dell'Emilia-Romagna a un gruppo di lavoro composto da Cesareo, Grandi, Silato,
Wolf

                                                      33
dell'informazione all'interno delle PA locali. Infatti spesso
                questi periodici tendevano a diventare strumenti per fornire
                una tribuna da cui parlare ad amministratori e politici locali.
                Preso atto di questa deriva, i responsabili degli enti locali
                chiamati a esprimersi a riguardo propongono due nuovi modi
                di fare comunicazione: produrre bollettini locali, più agili e
                puntuali rispetto ai periodici; e abolire le pubblicazioni dirette
                degli enti locali per incanalare le informazioni sui mezzi
                stampa già esistenti.

                Nel frattempo in Emilia-Romagna 26 iniziano anche i dibattiti
                riguardo la professionalità degli addetti alla comunicazione e
                l’autonomia redazionale che questi devono avere nei
                confronti        del      potere       politico-amministrativo.          Dalle
                considerazioni fatte e raccolte all'interno della ricerca Enti
                locali e informazione nella regione Emilia-Romagna, si
                definiscono gli obiettivi di quella che venne indicata come la
                politica     e    la    strategia     dell'ente       locale    nel    campo
                dell'informazione: informare, informarsi, favorire la produzione
                e circolazione di informazione sul territorio 27. L'informazione
                dei cittadini deve essere considerata un vero e proprio
                obbligo istituzionale; in nome della trasparenza i cittadini
                devono essere informati puntualmente sulle motivazioni delle
                decisione prese, il parere delle opposizioni. La PA deve
                quindi indicare, descrivere e mettere pubblicamente in
                discussione        i   diversi     elementi       che     concorrono          alla
                formulazione delle decisioni, i problemi e le loro motivazioni.
                Quindi      un    netto    passo      in    avanti      rispetto   all'opacità
                amministrativa,        rispetto     alla    cattiva     circolazione      delle
                informazioni e alla bassa considerazione che la trasparenza

26
     Rappresentava l’eccellenza italiana nel campo dell’informazione comunicazione pubblica
27
     R. Grandi, Comunicazione pubblica. Teorie, casi, profili normativi

                                                       34
aveva fino a questo momento all'interno della PA. Secondo le
              considerazioni raccolte, inoltre, la PA deve prevedere gli
              strumenti deputati all'ascolto dei cittadini per far si che la
              possibilità     che     uno      strumento       destinato       a    diffondere
              l'informazione dell'ente locale ai cittadini, possa anche servire
              a portare informazione all'ente locale e a portare dati e
              conoscenza sulla vita della comunità 28. Dunque, nell’ottica di
              favorire e diffondere la circolazione di informazioni sul
              territorio, si inizia anche a pensare alla tecnologia, alle
              possibilità e alle problematiche che l'adozione di sistemi
              telematici avrebbero portato all'interno dell'ente locale 29.

              Fino a questo momento la comunicazione sembrava non
              essere un problema dello stato centrale, infatti lo scarto che
              vi era fra le modalità con le quali queste problematiche erano
              affrontate a livello locale e a livello nazionale deponeva
              sicuramente a favore del primo livello. Ma grazie alle
              discussioni e alle ricerche sull'informazione istituzionale
              partite a livello amministrativo locale, alcune questioni inerenti
              la comunicazione dopo poco entrano a far parte dell'agenda
              politica nazionale. In particolare, si discute su quali devono
              essere gli “strumenti di esternazione”, quali gli obiettivi da
              conseguire, quali devono essere le professionalità dei
              mediatori informativi.

              Quindi negli anni '80, anche grazie all'interesse generale
              creatosi intorno alla comunicazione e i mass media, iniziano i
              primi dibattiti a livello nazionale su quale fosse il vero
              obiettivo dell'ufficio stampa di un'istituzione pubblica. Si
              distinguono due correnti di pensiero: la prima crede che il
28
   Ibidem.
29
    Mi riferisco al rapporto di Giuseppe Richeri sull’adozione da parte degli enti locali francesi di tecnologie
informatiche; redatto nell'ambito della ricerca "Enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna

                                                      35
compito dell'addetto stampa si esaurisca nel fare comunicati
                e soprattutto farli pubblicare; la seconda invece ritiene che i
                veri destinatari dell'ufficio stampa siano i cittadini. Rovinetti,
                appartenente alla seconda scuola di pensiero, traccia uno
                scenario sociale mutato, caratterizzato dall'emergere di
                nuove necessità e quindi di nuovi compiti all'interno di quella
                che era una funzione di supporto dell'attività degli enti locali,
                da realizzarsi con un'azione interna (agendo come struttura di
                collegamento fra le diverse articolazioni aziendali) ed una
                esterna       (dando        un'immagine         complessiva      dell'ente,
                mantenendo spazi autonomi di conoscenza, aprendo nuovi
                canali informativi con la società civile) 30. In particolare
                Rovinetti sottolinea la necessità di progettare l'informazione,
                per      creare      un      rapporto        equilibrato   fra   cittadini,
                amministrazione e mass media; di creare una nuova cultura
                dell'informazione, per considerare le notizie in maniera più
                critica; di veicolare un immagine coordinata dell'azienda.
                Sostanzialmente ci si rende conto che la sola struttura
                dell'ufficio stampa risulta insufficiente a svolgere una
                comunicazione “totale” nella quale i destinatari non erano più
                solo i giornalisti ma anche e soprattutto i cittadini. Proprio per
                soddisfare questo nuovo bisogno nella quasi totalità degli
                statuti regionali viene riconosciuto il diritto ad essere informati
                e ad informarsi, e quindi gli stessi enti locali iniziano a
                preoccuparsi del come attuare tale disposizione. Come prima
                cosa vengono regolamentati gli uffici stampa, e in molti statuti
                regionali viene previsto un finanziamento del sistema
                radiotelevisivo ed editoriale locale; mentre in casi eccezionali
                come quello di Bologna, si arriva ad aprire un centro di



30
     Rovinetti, Comunicazione pubblica, sapere e fare

                                                        36
informazione        comunale,         in        cui   la    comunicazione         era
                 considerata un vero e proprio servizio.

                 A livello nazionale uno dei primi impulsi legislativi che
                 riguardano - anche se marginalmente - la comunicazione
                 pubblica è l'emanazione della Legge 5 agosto del 1981 n.
                 416 (recante la disciplina per le imprese editrici e provvidenza
                 per l'editoria). Questa legge, approvata per ostacolare la
                 formazione         di    concentrazioni               editoriali      dominanti    e
                 regolamentare           l'aiuto     finanziario            pubblico     all'industria
                 editoriale, prevede all'articolo 13 alcuni obblighi per le
                 amministrazione pubbliche in materia di comunicazione
                 pubblicitaria. Questo articolo decreta un doppio obbligo e un
                 divieto: obbliga le PA a destinare una quota dei fondi inscritti
                 a bilancio per la pubblicità “alla pubblicità sui giornali,
                 quotidiani e periodici” in una percentuale non inferiore al
                 70%, e a comunicare al garante per l'editoria tutte le
                 erogazioni pubblicitarie dei singoli esercizi finanziari anche se
                 negative 31, insieme al divieto di fornire qualsiasi altro
                 contributo ai giornali in forme diverse da quelle previste da
                 questo articolo. Pur avendo nobili obiettivi, la L. 416/81 mette
                 la PA in una condizione di subordinazione rispetto alla carta
                 stampata. Di fatti alla PA rimane poco potere decisionale
                 sulla scelta dei canali di comunicazione per veicolare la
                 propria campagna pubblicitaria, correndo perennemente il
                 rischio che queste                campagne non sortissero l'effetto
                 desiderato. E’ un chiaro segno della mancanza di un vero
                 interesse del legislatore rispetto alla comunicazione pubblica.

                 I limiti della 416/81 e soprattutto la disattesa applicazione
                 dell'obbligo      di    comunicare              al    garante      le    erogazioni
31
     Che è divenuto poi garante per la radiodiffusione ed editoria

                                                            37
pubblicitarie, inducono perciò il legislatore a promulgare
un’altra legge, la L. 67/1987 con funzioni di rinnovo e
precisazione della precedente. I punti su cui questa legge
dimostra continuità con l'altra si riferiscono sia all'obbligo di
pianificare la pubblicità sui quotidiani (però passando dal 70%
al 50%), sia all'obbligo di istituire nei bilanci un capitolo
dedicato alle spese pubblicitarie, sia al divieto di qualsiasi
altra forma di finanziamento. Le novità portate da questa
legge, invece, riguardano alcune iniziative specifiche come: la
costituzione del primo organo misto istituito dal governo per
coordinare gli interventi di comunicazione pubblicitaria
pubblica; l'obbligo per le amministrazioni interessate di
presentare entro sessanta giorni dall'approvazione del
bilancio dello Stato progetti di massima sulle campagne
pubblicitarie da fare; l'istituzione di un fondo costituito dal
20% delle somme stanziate da tutte le amministrazioni statali
nel   capitolo   di   bilancio,    da     assegnare   a   progetti
“motivatamente prescelti”; l'obbligo per una serie ampia di PA
di pubblicare i propri bilanci su almeno due quotidiani locali di
larga diffusione, su un quotidiano nazionale e su un periodico
(in questo modo il finanziamento all'editoria era motivato da
una certa trasparenza contabile). Pur condividendo il
pensiero di Contaldo riguardo al legislatore, che ha iniziato a
guardare in un ottica più adeguata il quadro dei bisogni di
comunicazione delle istituzioni in generale”, rimane qualche
dubbio sul fatto di “evitare che la comunicazione pubblica
diventi un mezzo per garantire provvidenza alle aziende
editoriali. Infatti, anche se è vero che la percentuale di spesa
da destinare alla pubblicità sui quotidiani viene diminuita, tre
anni dopo, con la legge                223/1990 si obbligano le
amministrazioni statali e gli enti non territoriali a riservare il


                                  38
25% della spesa pubblicitaria stanziata a bilancio alla
                 pubblicità sulle reti radiofoniche e televisive private che
                 operano sul territorio 32.

                 Inoltre anche l'obbligo della pubblicazione del bilancio sui
                 periodici, quotidiani locali e nazionali, in realtà non ha portato
                 alla trasparenza desiderata. Infatti, la PA si limita a riportare
                 integralmente il bilancio, senza preoccuparsi della sua
                 accessibilità, cioè della leggibilità e della comprensibilità del
                 testo. I responsabili della pubblicazione non usufruiscono
                 della possibilità di accompagnare il bilancio con delle note
                 esplicative o con una breve sintesi riassuntiva per renderlo
                 più comprensibile, ma si limitano ad una notarile ricezione del
                 provvedimento. Il fallimento della pubblicazione del bilancio
                 come strumento per perseguire la trasparenza si può
                 ascrivere       alla     totale    assenza        di    una      cultura      della
                 comunicazione all'interno della maggioranza delle PA.

                 L'inversione di tendenza si ha negli anni '90, quando la
                 comunicazione pubblica cessa di essere un veicolo di
                 finanziamenti          pubblici    all'editoria     e   inizia     a   diventare
                 strategica per la fase di ammodernamento e apertura della
                 PA nei confronti dei cittadini. Come già accennato nel primo
                 paragrafo, questo decennio è contraddistinto da una
                 produzione normativa tesa a modificare il rapporto di
                 sudditanza dei cittadini nei confronti dell'amministrazione
                 pubblica. La legge 142/1991 (recante l’ordinamento delle
                 autonomie locali) stabilisce l'obbligo per province e comuni di
                 dotarsi di un proprio statuto che contempli anche il diritto
                 all'informazione dei cittadini e disponga le forme di accesso e
                 partecipazione ai procedimenti amministrativi. Questa legge
32
     Con la L. 7 agosto 1990 n. 250, invece, le emittenti televisive vengono equiparate ai quotidiani e ai periodici

                                                         39
legittima i cittadini singoli e associati come interlocutori
paritari dell'amministrazione, degni di partecipare ad ogni
processo decisionale che li riguarda. È nel primo comma
dell'art. 6 che si può leggere il definitivo cambiamento del
rapporto fra cittadini e PA: i comuni valorizzano le libere
forme associative e promuovono organismi di partecipazione
popolare all'amministrazione locale, anche su base di
quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con
il comune sono disciplinati dallo statuto. Ancora nell'art. 6 e
nel successivo art. 7 si precisano le forme di partecipazione
dei cittadini, i quali hanno il diritto di: accedere liberamente
alle   strutture,   ai   servizi    agli   atti   amministrativi   e
all'informazione di cui è in possesso l'amministrazione;
essere consultati dalla PA; promuovere petizioni, istanze,
proposte dirette a promuovere interventi per la migliore tutela
di interessi collettivi; promuovere referendum consultivi;
pubblicità per tutti gli atti dell'amministrazione comunale e
provinciale ad eccezione di alcuni; individuazione dei
responsabili del procedimento; chiedere informazioni sullo
stato dell'arte dei procedimenti e degli atti.

Inoltre, la L. 142/91 è la prima a parlare di separazione fra le
funzioni di indirizzo e controllo e quelle gestionali; si inizia a
parlare così della professionalità degli operatori nella PA a
livello nazionale. Infatti, con la concessione data ai comuni di
dotarsi di un proprio statuto e quindi di auto-organizzarsi, la
legge ha di fatto permesso alle amministrazioni locali di
dotarsi di modalità organizzative proprie delle aziende
private. Ma - come ben sappiamo - non è la sola legge che
realizza il cambiamento; infatti gli statuti verranno promulgati
dagli enti locali con una notevole lentezza, probabilmente


                                   40
causata dall'effettiva mancanza di volontà da parte degli
apparati politici. Anche laddove gli amministratori si dotano di
strumenti che permettano l'accesso agli atti amministrativi e
che rendano più concreta l'istanza di partecipazione,
attraverso l’istituzione di uffici dedicati al cittadino, non si
realizza una reale innovazione; piuttosto questi proto-uffici
per la relazione con il pubblico in realtà sono solo
l'adempimento della legge.

A distanza di quasi due mesi dall'approvazione della L.
142/1991, viene promulgata e adottata un’altra legge, tesa
anch’essa a ristrutturare la PA sulla base dei principi di
efficienza, economicità, pubblicità, partecipazione: si tratta
della L. 241/1990, recante nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi. Questa legge, oltre a regolare
ulteriormente i rapporti fra cittadini e PA, ha dato maggiore
concretezza agli istituti di partecipazione e accesso previsti
dalla precedente L. 142/1990. Si propone infatti di dare
attuazione ai criteri di partecipazione attraverso disposizioni
che   garantiscono:    la   partecipazione       al   procedimento
amministrativo; la trasparenza amministrativa; l'accesso ai
documenti    in possesso dell'amministrazione;           un   limite
temporale massimo per la conclusione di un procedimento
amministrativo; l'obbligo di motivazione di un procedimento
amministrativo; il principio di consensualità.

Questa legge - definita da Gregorio Arena di rango
costituzionale, segna il passaggio da una concezione di PA
chiusa, autoreferenziale, discrezionale e opaca, ad una
concezione di PA che fa della trasparenza e della
partecipazione i suoi punti cardine.

                               41
Per far si che chiunque vi abbia interesse per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti possa prendere visione dei
documenti amministrativi è necessario che ci sia un ufficio
non solo preposto a questa funzione ma anche a tutte le altre
che prevedono la relazione con il cittadino. Vale a dire che
per far accedere ai documenti e far partecipare il cittadino alla
fase istruttoria del procedimento amministrativo è necessaria
la presenza di un organo che informi e guidi “l'interessato”
all'interno della selva burocratica.

Dopo i già citati primi tentativi andati a male, tra la metà del
1992 e la fine del 1994 il legislatore disegna un quadro
normativo atto a rendere effettivo lo sviluppo in materia di
informazione     e   partecipazione     promesso       dalle    legge
142/1990 e 241/1990. Con il D.P.R 352/1992 all'articolo 6,
per la prima volta si sente parlare di “ufficio per le relazioni
con il pubblico”: Le singole amministrazioni valutano altresì
l'opportunità di istituire un ufficio per le relazioni con il
pubblico e comunque individuano un ufficio che fornisca tutte
le informazioni sulle modalità di esercizio del diritto di
accesso e sui relativi costi.

Quindi, si parla di opportunità e non di obbligatorietà di
istituire un Urp; solo dopo sette mesi, con il dlsg 29/1993 si
definisce   in   maniera   ancora      più   precisa    il   riassetto
organizzativo della PA, e si rende obbligatorio l'istituzione di
un Urp. Questo decreto si pone come obiettivo il portare tutte
le amministrazioni ad un livello minimo di attuazione dei nuovi
principi amministrativi; infatti questa disposizione di legge è
destinata a tutte le amministrazioni dello stato: dagli istituti
scolastici, agli istituti autonomi, case popolari, passando per
le comunità montane. Nell’ottica di realizzare gli obiettivi di

                                42
economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse,
è dunque necessario che gli Urp fossero dotati di strumenti
per organizzare e svolgere sia una comunicazione interna
(per collegare e armonizzare l'attività di tutti gli uffici della
PA), sia di una comunicazione esterna per attuare il principio
di trasparenza amministrativa in funzione dell'esigenza
dell'utente. Finalmente si è compreso il valore della
comunicazione pubblica, che non può essere considerata un
mero optional amministrativo, ma deve anzi essere intesa
come l'unico viatico possibile per far affermare come norma
la trasparenza e la partecipazione.

Parallelamente alla scoperta della comunicazione come
elemento strategico, inizia a farsi largo l'idea che le modalità
in cui si effettuano le prestazioni amministrative devono
ispirarsi al principio della soddisfazione dei bisogni del
cittadino. Per soddisfare i bisogni bisogna prima individuarli
concretamente,        quindi    l’ascolto       acquista      un    valore
fondamentale: si palesa per la prima volta la necessità di
ricevere dai cittadini informazioni e valutazioni sui servizi
offerti dalla PA.

All'articolo 12 del D.L 29/1993 si elencano in maniera
dettagliata sia gli obiettivi da raggiungere, sia le modalità con
le quali raggiungere gli obiettivi. Nel secondo comma di
questo articolo infatti si legge che gli URP anche mediante
l'utilizzo di tecnologie informatiche devono provvedere: al
servizio   per      l'utenza   per    i    diritti   di   partecipazione,
all'informazione all'utenza relativa agli atti e allo stato dei
procedimenti,       alla   ricerca    ed     analisi      finalizzate   alla
formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli
aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l'utenza.

                                     43
Inoltre al terzo comma si fa riferimento al tipo di personale da
assegnare a questo ufficio, che sarà qualificato, capace di
relazionarsi con il pubblico; mentre al quarto comma si fa
riferimento alla comunicazione di pubblica utilità" come
attività necessaria da svolgere.

Ma è con la direttiva del 11/10/1994 che tutta l'attività dell'Urp
viene definita e precisata in relazione alle finalità, alle attività
e all'organizzazione. Ciò che appare evidente da subito è il
tentativo di qualificare gli obiettivi dell'urp come una doppia
apertura nei confronti dell'esterno: si veicolano informazioni ai
cittadini/utenti, ma si veicolano anche informazioni dai
cittadini/utenti all'interno della struttura, che si trova quindi
nella necessità di modificare la propria identità fino ad allora
non-comunicante e autoreferenziale". Le finalità individuate
sono:   dare     attuazione   al    principio     della   trasparenza
dell'attività amministrativa; dare attuazione al diritto di
accesso alla documentazione amministrativa e ad una
corretta attuazione"; "rilevare sistematicamente i bisogni ed il
livello di soddisfazione dell'utenza per i servizi erogati;
proporre       adeguamenti      e        correttivi   per     favorire
l'ammodernamento delle strutture, la semplificazione dei
linguaggi, e l'aggiornamento delle modalità con cui le
amministrazioni si propongono all'utenza. Inoltre la stessa
direttiva indica anche come organizzare l'Urp in modo che la
collocazione fosse ubicata in locali individuabili, accessibili,
facili da raggiungere, anche con i trasporti pubblici; le
modalità di accesso (fisico e non) fossero non solo note ma
adottassero un orario di ricevimento che si estendesse alle
ore pomeridiane; il personale fosse altamente competente in
relazione    alla   conoscenza          dell'organizzazione   a   cui


                                   44
apparteneva, all'accoglienza del pubblico e all'utilizzo di tutti i
sistemi tecnologici attraverso i quali vengono veicolate le
informazioni. Poiché si richiede lo svolgimento di nuovi
compiti, sono pure necessarie nuove professionalità, per
questo motivo la circolare del ministro della funzione pubblica
21/04/1995 n.14 include la formazione del personale dell'Urp
tra gli interventi prioritari in materia. In particolare si fa
riferimento alla capacità dei dipendenti di operare in realtà
amministrative informatizzate; alle competenze proprie della
cultura del dato statistico; allo “sviluppo di profili di
managerialità capaci di progettare le attività.

Il capitolo URP si chiude per il momento con l'approvazione
della legge 7 giugno 2000, n. 150 Disciplina delle attività di
informazione     e    di   comunicazione       delle    pubbliche
amministrazioni. L'intento di questa legge è quello di definire
le professionalità della comunicazione e di suddividere e
assegnare compiti e obiettivi ben precisi alle tre strutture della
comunicazione amministrativa. Con questa legge “si indicano
in modo preciso le funzioni fondamentali che vanno
ricondotte all'interno di questa disciplina; inoltre si elencano
una “serie di strumenti attraverso i quali le azioni informative
vanno organizzate e gestite (pubblicità, fiere, reti civiche ecc).
L'articolo 4 invece è riservato al tema della formazione
professionale di chi già opera nelle istituzioni per formare una
leva di comunicatori pubblici.

Ma forse una delle innovazioni più importanti portate da
questa legge è la divisione dei compiti di informazione e
comunicazione: le due attività vengono assegnate a due uffici
con competenze e professionalità diverse, rispettivamente
all’ufficio stampa e all’Urp. All'articolo 7, 8 e 9 della presente

                                 45
legge si definiscono quindi – rispettivamente - il ruolo del
                portavoce, dell'ufficio stampa e del URP. I primi due come
                target hanno il sistema informativo dei media; con la
                differenza che il portavoce ha un approccio politico che tende
                alla parzialità a favore del partito di appartenenza, mentre
                l'ufficio stampa dovrebbe avere un approccio più istituzionale,
                che tende all'imparzialità. L'attività di comunicazione verso i
                cittadini, invece è destinata all'urp, i quali pur mantenendo i
                tradizionali      compiti      loro    assegnati   dalle   precedenti
                disposizioni, vengono posti al centro di un sistema di
                comunicazione più complesso e articolato. Innanzitutto va
                detto che con l'approvazione di questa legge, il responsabile
                dell'urp sarà una nuova figura professionale, il comunicatore
                pubblico, il quale deve avere dei titoli di studio ben precisi. Al
                comunicatore pubblico vengono assegnati perlomeno tre
                obiettivi: promuovere l'adozione di sistemi di interconnessione
                telematica; attivare, anche attraverso la comunicazione
                interna processi di verifica della qualità e del gradimento dei
                servizi da parte dei cittadini; coordinare le reti civiche.

                Insomma la legge 150/2000 si propone di: dare piena e
                definitiva legittimazione della comunicazione in un sistema,
                quello pubblico nato e cresciuto nel silenzio e nel segreto
                d'ufficio 33; e di riconoscere la comunicazione come uno degli
                elementi qualificanti di un nuovo sistema di relazioni paritarie
                tra amministrazioni e cittadini”. Ma allo stesso tempo in molti
                parlano di occasione sprecata in quanto la presente
                disposizione non ha sortito gli effetti sperati. Rovinetti per
                esempio parla di una legge approvata dal parlamento e non
                applicata dalla Pubblica Amministrazione, basandosi su


33
     Rovinetti, comunicazione pubblica sapere e fare

                                                       46
alcune     ricerche    quantitative   -     come      quella    effettuata
all'interno del progetto nazionale “urp degli urp”, o come
quella promossa dall'università Iulm di Milano insieme al
dipartimento della funzione pubblica (2000-2004) – in cui si
dimostra che gli uffici relazione con il pubblico sarebbero stati
adottati approssimativamente solo dalla metà delle PA
interessate. Insomma la legge è stata presa alla stregua di un
mero consiglio amministrativo.

Oltre alla bassa adesione alla legge, c'è da dire anche che
spesso le funzioni dell'Urp sono state attribuite solo
nominalmente, ma di fatto non vengono svolte e garantite ai
cittadini. Nicoletta Levi nota come ogni PA ha provveduto a
plasmare il proprio Urp in base alle caratteristiche del tessuto
socio-economico del territorio di riferimento, quindi non c'è un
URP uguale all'altro. In sostanza, ci sono diversi modelli di
Urp: il più diffuso è il modello sportello informativo che fa
riferimento alle due funzioni classiche di questo ufficio, cioè la
tutela dei diritti (di accesso e partecipazione) e l'informazione
del cittadino.

Altro modello dell'Urp è lo sportello polifunzionale, che nasce
dall'esigenza     di    sviluppare        ulteriormente    la     politica
dell'accesso all'amministrazione. L'Urp si trasforma così in
una vera e propria reception dell'ente all'interno della quale
non solo è possibile ricevere informazioni, ma è possibile
anche accedere e iniziare un procedimento amministrativo,
eliminando quindi uno o più passaggi burocratici. Il core
business     di   questo      modello        è   la     semplificazione
amministrativa. Naturalmente l'evoluzione dell'Urp verso lo
sportello polifunzionale è un processo progressivo che può
avvenire solo poco alla volta, perché implica il riassetto

                                 47
dell'intera organizzazione amministrativa. L'ultimo modello di
Urp rilevato è infine quello che soddisfa quanto disposto
all'art.   8 della legge 150/2000 secondo il            quale   le
amministrazioni affidano all'urp sia le funzioni di supporto alle
relazioni dell'organizzazione con i propri pubblici sia quelle di
supporto ai settori per la gestione delle attività e dei prodotti
di comunicazione. In sostanza l'urp di queste amministrazioni
svolge compiutamente sia il ruolo di line della comunicazione
(relazione interpersonale diretta tra gli operatori di sportello e
i cittadini) sia il ruolo di staff (gestione della comunicazione
interna ed esterna e ascolto degli utenti).




1.7 Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA




   Con il passare del tempo ci si è accorti che l'informatica è
uno strumento efficace ed efficiente per il raggiungimento di
tutti gli obiettivi amministrativi in materia di accesso,
trasparenza e partecipazione. Infatti, solo attraverso un
processo di informatizzazione della PA si può creare una rete
unitaria che metta in contatto le amministrazioni periferiche
con quelle centrali; che permetta lo scambio di dati e
documenti in nome dello snellimento burocratico. Il via al
processo di informatizzazione della PA, viene dato dal D.lgs
n.39 del 1993, nel quale si istituisce “l'autorità per
l'informatica nella pubblica amministrazione” (AIPA).

Il primo progetto coordinato dall’AIPA, inserito nella direttiva
del presidente del consiglio 5/09/1995, è la costituzione della
“rete unitaria per la pubblica amministrazione” (RUPA).

                               48
L'obiettivo di questa direttiva è garantire ad ogni utente che
operava sulla rete la possibilità di accedere [..] ai dati e alla
procedure residenti su tutti gli altri sistemi connessi,
indipendentemente dalle soluzioni tecniche adottate. Per fare
ciò, si rende necessaria un’infrastruttura telematica capace di
veicolare i dati in modo sicuro e creare dei programmi che
permettessero alle amministrazioni di usufruire dei dati e dei
servizi applicativi delle altre amministrazioni. Sempre nel
1995 viene inaugurata a Bologna la prima rete civica italiana,
“Iperbole”. Lo scopo della rete civica era quello di
incrementare la partecipazione dei cittadini alle attività
dell'ente locale attraverso innovazioni nel campo della
comunicazione. In particolare la PA attraverso Iperbole vuole:
aumentare la circolazione di informazioni locali fornite da una
pluralità di soggetti; incrementare la tipologia e la qualità dei
servizi proposti alla cittadinanza; rendere possibile e facilitare
il dialogo fra gli utenti e i fornitori del servizio; cercare di
abbattere le barriere socio-economiche che non permettono
un accesso generalizzato alla rete; promuovere dibattiti e
forum su temi di interesse locale, in modo da rendere effettiva
la partecipazione ai processi decisionali amministrativi.

Il discorso delle reti civiche va inquadrato nel più ampio
dibattito sul ruolo delle città nel processo di globalizzazione.
Si è arrivati alla conclusione che dal quel momento in poi ogni
azione che riguardasse la partecipazione e la comunicazione
fosse imprescindibile dall'uso di internet. La tendenza
pronosticata è quella dell'addensamento delle persone nelle
città più tecnologicamente avanzate, e ci si rende conto che
l'uso delle tecnologie della comunicazione è l'unica possibilità
che le persone hanno per non rimanere estromessi dal nuovo


                               49
ordine mondiale. Si va palesando l’idea che internet è l'unico
                strumento che permette sia di “restringere il mondo”, sia di
                rendere più facile e immediato il dialogo fra i diversi attori
                territoriali. All’interno di questo dibattito Paola Bonora e
                Alessandro Rovinetti credono nelle potenzialità della rete, ma
                allo   stesso      tempo      insistono     sul    fatto    che    senza
                l'alfabetizzazione informatica dei cittadini, internet sarebbe
                rimasto uno strumento dalle grandi potenzialità ma elitario;
                insomma, nell’opinione di Bonora e Rovinetti il cablaggio
                delle città dovrà essere accompagnato da una politica di
                formazione dei cittadini all'uso delle nuove tecnologie.

                Purtroppo la formazione dei cittadini in Italia è stata
                discontinua e troppo spesso lasciata all'improvvisazione. Nel
                2010 è stato presentato dalla “Nokia Siemens Network” il
                rapporto      “connectivity       scorecard” 34,      realizzato    dalla
                “Haskayne School of Business della University of Calgary”.
                Lo studio misura il livello di connettività di un paese in base
                alle infrastrutture e all’utilizzo delle tecnologie da parte dei
                cittadini, delle imprese e dell’apparato statale. L'Italia si è
                posizionata ultima tra i paesi membri del G8 e ventiduesima
                tra i 25 paesi economicamente più avanzati. Dal rapporto
                emerge che il 58% della popolazione italiana non ha mai
                utilizzato Internet, e dunque non ha mai navigato sul web per
                informarsi, fare acquisti tramiti siti di e-commerce, gestire
                conti correnti on line, utilizzare social network e via dicendo. Il
                parere di Giuseppe Donagemma 35 è che il ritardo in classifica
                dell’Italia rispetto alle altre nazioni è dovuto al peggioramento
                di alcuni parametri analitici, quali l’utilizzo delle tecnologie da


34
     Link del documento http://bit.ly/cpILuG
35
     capo della regione WSE (West and South Europe) di "Nokia Siemens Network”

                                                    50
parte del consumatore finale e la carente alfabetizzazione
digitale.

Ma nonostante la mancanza di cultura digitale, anche in Italia
si parla da anni di città digitali e di comunità virtuali, ossia un
insieme di persone interessate ad un determinato argomento,
o con un approccio comune alla vita di relazione, che
corrispondono tra loro attraverso una rete telematica come
internet, costituendo una rete sociale con caratteristiche
peculiari. Infatti tale aggregazione non è necessariamente
vincolata al luogo o paese di provenienza; essendo infatti
questa una comunità online, chiunque può partecipare
ovunque si trovi con un semplice accesso alle reti. In una
comunità reale, nella quale i cittadini presiedono con
competenza lo spazio virtuale del web, è lecito auspicare una
città digitale, cioè la fase successiva alla rete civica “uno
strumento per cambiare la città [..] che non fornisce servizi
quali duplicato elettronico per prodotti esistenti ma servizi
progettati   sulle   caratteristiche    strutturali   del   mezzo
(cangianelli 97 p.120). Vale a dire uno strumento capace di
semplificare ulteriormente la burocrazia amministrativa, di
semplificare il recupero e la circolazione di informazioni, di
ampliare la rete di contatti e di relazioni di ogni persona, ma
soprattutto capace di far conoscere e promuovere le iniziative
dell'amministrazione sia in termini di servizi che in termini di
marketing territoriale.

Ricapitolando, all'interno della PA moderna ci si è resi conto
del ruolo strategico che ha la comunicazione in tutta l'attività
amministrativa; il mondo della comunicazione pubblica a sua
volta si è reso conto della necessità di usare internet e tutte le
tecnologie dell'informazione. È opinione comune che dagli

                                51
inizi   degli   anni   '00   il    web   “classico”,   composto
prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità
di interazione con l'utente, si è evoluto; grazie a nuovi
linguaggi di programmazione, il web 2.0 permette uno
spiccato livello di interazione tra il sito e l'utente e non solo.
Infatti, attraverso social network, blog e forum, si passa
fondamentalmente dalla semplice consultazione (seppure
supportata da efficienti strumenti di ricerca, selezione e
aggregazione) alla possibilità di contribuire popolando e
alimentando il Web con propri contenuti.

Nel prossimo capitolo faremo una panoramica sulle modalità
di azione della PA all'interno del mondo virtuale creato dalle
applicazioni del web 2.0.




                                  52
2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra
                amministrazione            e   amministrato        e   quali    sono   i
                vantaggi/svantaggi connessi




                2.1.        Pubblica amministrazione e web 2.0




                   Nell'era del web 2.0, anche le PA sono allettate dall'utilizzo
                dei social network per costruire insieme ai cittadini nuove
                forme di dialogo 36. Infatti, tramite gli strumenti web based, i
                principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell'azione
                amministrativa si rinvigoriscono e diventano ancora più
                attuabili - grazie alla possibilità di stabilire una comunicazione
                diretta e interattiva con la cittadinanza. Gli strumenti 2.0 sono
                gratuiti,   ma       per   sfruttarli    appieno   occorre     personale
                preparato, e dedicato in modo continuativo e specialistico alle
                attività di social networking. La scelta di "esserci", infatti, deve
                essere ponderata e preceduta da un'analisi che prenda in
                considerazione diversi fattori: come gli obiettivi che si
                vogliono raggiungere (cosa comunicare e a chi), le strategie
                da mettere in atto (come comunicare e con quale grado di
                interazione), gli strumenti da utilizzare (Facebook, Twitter,
                Flickr, Youtube, o altri), quali risorse impiegare. Dunque,
                senza un buon piano di comunicazione - pensato ad hoc per
                questi strumenti - c'è il rischio per la PA che si cimenta nel
                social networking di generare effetti inversi a quelli desiderati.
                Creare un profilo pubblico su un qualsiasi social network e
                poi gestirlo male o abbandonarlo, fa si che l'immagine che si


36
     Stefano Rodotà, Tecnopolitica

                                                        53
comunica è quella di una PA incompetente e non
              professionale, che ha deciso di presenziare gli ambienti web
              2.0 solo per essere al passo coi tempi o per non essere da
              meno rispetto ad altre PA.

              Allora, se si decide di utilizzare gli strumenti 2.0, si decide
              implicitamente anche di riorganizzare la struttura interna della
              PA in questione, in modo da assecondare la nuova domanda
              di comunicazione. Infatti, gli utenti del web 2.0 si aspettano
              risposte immediate, perciò la risposta da parte della PA non
              potrà attendere i tempi burocratici dell'azione amministrativa
              (come delibere e autorizzazioni). Oltre ai cambiamenti che
              intervengono sulla domanda di comunicazione da parte del
              cyber-cittadino, la PA dovrà tenere in considerazione anche
              alcune caratteristiche peculiari dell'ambiente 2.0. Innanzitutto,
              il fatto che “il web non dimentica”: ciò che viene pubblicato è
              fruibile da tutti e per tanto tempo, e soprattutto non è
              controllabile da parte dell'autore. Inoltre ogni social network
              ha una sua peculiarità e quindi uno scopo ben preciso:
              quindi, i social non vanno gestiti tutti nello stesso modo. A
              titolo    d'esempio         passiamo         in    rassegna         le    diverse
              caratteristiche e il diverso utilizzo dei due social network più
              popolari a livello mondiale: Facebook e Twitter.

              Il primo si presta particolarmente bene alla costruzione di un
              rapporto approfondito con i propri interlocutori, basato sul
              dialogo, sulla partecipazione e sul confronto. Anzi, Facebook
              rende        possibile        l'iper-interazione,          consentendo           la
                                               37
              condivisione di “status” , foto, video e commenti. Twitter,
              meno popolare di Facebook in Italia, è un servizio di

37
  Lo "status" è l'aggiornamento, (di solito con frasi che descrivono il proprio umore o con informazioni su un
determinato argomento) del proprio profilo facebook.

                                                      54
Crowdfunding per gli Enti Locali. Un nuovo strumento di fundraising
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Crowdfunding per gli Enti Locali. Un nuovo strumento di fundraising

  • 1. ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in Scienze della comunicazione pubblica e sociale TITOLO DELLA TESI Crowdfunding per gli enti locali: un nuovo metodo di fundraising Tesi di laurea in Comunicazione delle istituzioni pubbliche Relatore Prof.: Roberto Grandi Correlatore: Michele D'alena Presentata da: Francesco Pirri Seconda Sessione Anno accademico 2010/2011 5
  • 2. Indice 6 Introduzione 9 Capitolo 1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica Amministrazione: i principi di trasparenza, partecipazione, sussidiarietà e comunicazione. 1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle riforme degli anni novanta. 12 1.2. Trasparenza come principio. 15 1.3. Il diritto di informazione passiva e riflessiva. 17 1.4. La partecipazione 21 1.5. La sussidiarietà orizzontale 26 1.6. La comunicazione pubblica 32 1.7. Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA 48 Capitolo 2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra amministrazione e amministrato e quali sono i vantaggi/svantaggi connessi. 2.1 Pubblica amministrazione e web 2.0 53 2.2 Il prosumer 56 2.3 I social media 59 2.4 I benefici portati dai social media alle organizzazioni complesse 63 2.5 Il futuro del web: il mobile 70 2.6 Chi dovrebbe occuparsi della gestione dei social media? 76 6
  • 3. 2.7 Il punto di vista dei cittadini 78 2.8 Come una maggiore partecipazione dei cittadini potrebbe aiutare il fundraising degli enti locali 80 Capitolo 3 Gli strumenti di fundraising degli enti Locali: perché è necessario utilizzarli e con quali modalità si usano 3.1 Costi delle politiche sociali 89 3.2 La decurtazione della spesa pubblica e i “tagli” sugli Enti Locali: Le leggi Finanziarie 2010 e 201 92 3.3 Imprese e fundraising 98 3.4 La sponsorizzazione 100 3.5 Il cause related marketing 105 3.6 Le donazioni 114 Capitolo 4. E-philantropy: il presente della donazione 4.1 Il fundraisng on line 127 4.2 Gli strumenti di fundraising usati nel web “statico” 130 4.3 La posta elettronica 132 4.4 L’importanza del motore di ricerca 134 4.5 Gli sms solidali 140 4.6 I QR code 142 4.7 Il Paypal mobile 144 4.8 Il fundraising fatto con i social media 145 4.9 I multi-user virtual environment: i mondi virtuali 151 4.10 I social game 153 4.11 Analisi e verifica delle campagne di fundraising on line 155 4.12 Scenari futuri 159 7
  • 4. Capitolo 5 Il crowdfunding per la Pubblica Amministrazione 5.1 Cos'è il crowdfunding: casi studio 161 5.2 Crowdfunding e cultura : un binomio più che possibile 175 5.3 Previsioni future delle donazioni on line 184 5.4 Come potrebbe essere utilizzato il crowdfunding dagli Enti Locali 186 5.5 Quale ufficio comunale dovrebbe occuparsi delle campagne di crowdfunding? 189 5.6 Crowdfunding, PA e sussidiarietà 192 5.7 Conclusioni 196 Bibliografia 200 Webgrafia 202 8
  • 5. Introduzione Il motivo che mi ha portato ha scrivere una tesi su un nuovo strumento di fundraising per la pubblica amministrazione italiana (PA) è stato il disinteresse mostrato dal governo italiano nei confronti di ambiti come quello artistico/culturale, dell’istruzione e dei servizi sociali. Per disinteresse intendo il taglio dei finanziamenti che gli Enti Locali (ma anche altri enti pubblici) percepivano per tutelare il proprio patrimonio culturale e sociale. Dal momento in cui la mancanza di fondi è il problema principale, l’unica soluzione per continuare a garantire la “sopravvivenza” degli ambiti in questione è reperire fondi extra da canali non pubblici, quindi dai privati. Al momento gli strumenti di fundraising usati dagli Enti Locali sono la sponsorizzazione, il cause related marketing e la donazione pura; ma per vari motivi, solitamente, l’unico strumento usato dai Comuni per avere un risparmio di spesa è la sponsorizzazione. A queste metodologie di raccolta fondi io, nel corso del mio lavoro, ne proporrò una nuova: il crowdfunding. Si tratta di un nuovo fenomeno nato in seno alle dinamiche del web 2.0 (in particolare dell’interattività e dalla partecipazione virtuale), che prevede la raccolta di micro-donazioni attraverso i social media per finanziare i progetti proposti dagli utenti delle web community. Questa nuova metodologia è stata definita da alcuni come una nuova forma di donazione, e da altri come una nuova forma di 9
  • 6. finanza collettiva, poiché lo scopo non è il solo donare soldi per una buona causa, ma finanziare un buon progetto in cambio di qualche “gratificazione”. La mia tesi sostiene il fatto che il crowdfunding possa essere usato anche dalle amministrazioni pubbliche per reperire fondi extra da destinare a quegl’ambiti di interesse che più di altri soffrono i “tagli” dovuti alla crisi economica. Per motivare questa tesi ho dovuto iniziare dall’analisi dei cambiamenti intercorsi all’interno della pubblica amministrazione italiana. Per intenderci la famosa rivoluzione copernicana basata sui principi di trasparenza, partecipazione, sussidiarietà e comunicazione. Una volta spiegato come la PA italiana sta cambiando, nel secondo capitolo proverò a fare una panoramica generale sui nuovi strumenti di comunicazione e informazione in nostro possesso: i social media. Affronterò il tema dell’uso dei social media da parte della PA italiana, evidenziandone le migliorie e i rischi che questi strumenti possono portare all’interno degli enti pubblici. Nel terzo capitolo invece mi occuperò della situazione economica in cui versano gli Enti Locali dopo le varie finanziarie “post crisi”. Oltre a fare questa analisi, descriverò i vari metodi di fundraising usati attualmente dai Comuni, cercando di capire quali possono essere i relativi limiti. Dopo di che la mia analisi virerà sul futuro del fundrasing, cioè la e-filantropy. In sostanza analizzerò le nuove modalità di raccolta fondi usate soprattutto dalle organizzazioni no profit statunitensi. In particolare dimostrerò come sia possibile 10
  • 7. usare il web 2.0, le apps degli smartphone e le altre nuove tecnologie a fine filantropico. In fine, alla luce di tutta la disamina, concluderò il mio lavoro proponendo il crowdfunding come metodo ulteriore di fundraising per gli Enti Locali. Nel mio piccolo, proverò a immaginare una modalità di uso di questo strumento “cucita” intorno alle necessità della “nuova” amministrazione italiana. Quindi pensata come una struttura leggera che possa essere affidata ad una associazione no profit in modo sussidiario. Come si capirà leggendo l’elaborato, il crowdfunding non può essere una soluzione definitiva alla crisi economica degli Enti Locali, ma di certo potrebbe aiutarli a reperire qualche fondo in più, e inoltre potrebbe aiutare il Comune a intensificare il rapporto “da pari” con i propri amministrati. Detto questo non resta che iniziare ad argomentare la mia tesi. 11
  • 8. 1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica Amministrazione: i principi di trasparenza, partecipazione, sussidiarietà e comunicazione. 1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle riforme degli anni novanta In Italia gli anni ’90 sono stati caratterizzati da un momento di grande crisi politica e istituzionale che ha finito per coinvolgere anche la pubblica amministrazione (da ora in poi PA). La grande produzione normativa avvenuta nell’ultimo decennio del secolo appena trascorso è stata segnata da una grande coerenza che la lega ad un filo comune, quello di avvicinare la PA alla società civile attraverso il decentramento di molte funzioni dallo Stato agli Enti Locali; e riformare tutta la PA su criteri di: efficienza, cioè competenza e prontezza nell’assolvere le proprie mansioni; efficacia, cioè la capacità di produrre l’effetto voluto; economicità e trasparenza. In sostanza la PA inizia ad aprirsi alla partecipazione e alla valutazione dei cittadini, i veri depositari del potere. Il diritto di accesso diventa un principio generale dell’attività amministrativa finalizzato a favorire la partecipazione dei cittadini, l’imparzialità, la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa. La leale cooperazione fra soggetti pubblici e privati diventa prioritaria e quindi il rapporto fra dipendenti della PA e cittadini cambia radicalmente. Con il 12
  • 9. Decreto legislativo 29/93 formulato da Massimo D'antona 1 il ruolo della politica nel procedimento amministrativo viene ridimensionato; i politici mantengono i poteri decisionali iniziali ma non possono più interferire nell’esecuzione dei provvedimenti. Il Dirigente amministrativo diventa il responsabile ultimo dell’attività amministrativa ed il gestore del budget assegnatogli. La trasparenza diventa, quindi, la base dei rapporti fra i dipendenti pubblici e gli utenti. Volendo fissare un punto d'inizio, la grande riforma della Pubblica Amministrazione - da alcuni definita copernicana - parte con la L. 8 giugno 1990 n°142 sulle Autonomie Locali 2 e con la L. 241 dello stesso anno sui procedimenti amministrativi e sul diritto di accesso, che pongono l’accento sui cittadini e sui loro diritti ad avere servizi trasparenti, efficienti e rapidi. In queste disposizioni viene affermato per la prima volta il principio fondamentale che la PA si regge sui criteri di economicità, efficacia e pubblicità (Art. 1 L. 241/90). Un altro traguardo importante si è raggiunto con l’approvazione del D.L. del 3 febbraio 1993 n. 29, che prevede l’introduzione dei sistemi informativi nelle PA come strumento essenziale per accrescerne l’efficienza, razionalizzare i costi e fornire servizi efficaci. Nel corso dello stesso anno, il 12 febbraio 1993, viene approvato anche il D.L. 39 che istituisce “l’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione” o A.I.P.A. (art. 4), quale strumento tecnico ed operativo per realizzare - nei tempi più rapidi - l’introduzione delle nuove tecnologie e la conseguente riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Un altro 1 Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 "Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" (Pubblicato in G. U. 6 febbraio 1993, n. 30, S.O.) 2 successivamente modificata dalla L. 265 del 3 agosto 1999 13
  • 10. passo importante per l’integrazione dei cittadini nella vita amministrativa è rappresentato dal "Codice dell’Amministrazione Digitale" 3. Nella Sezione II, titolata “Diritti dei cittadini e delle imprese”, il Codice istituisce una serie di diritti per i cittadini e il dovere per la PA di erogare una serie di servizi amministrativi attraverso la tecnologia informatica: in particolare, i cittadini potranno effettuare pagamenti online, utilizzare la posta elettronica certificata, valutare la qualità dei servizi erogati. Inoltre la PA s’impegnerà per l’alfabetizzazione informatica dei cittadini e la partecipazione democratica elettronica. In questo scenario il web rappresenta dunque uno dei principali strumenti di democrazia. Comunicare in modo continuativo con i cittadini è quindi il trait d'union dei cambiamenti normativi all'interno della PA. Infatti, senza comunicazione obiettivi come la trasparenza, l’accesso e la partecipazione popolare non possono essere raggiunti. Fino alla fine degli anni ottanta la comunicazione non era dunque ritenuta un valore strategico per l’azione amministrativa. Volendo trovare una causa al ritardo nel riconoscere l’importanza della comunicazione pubblica si potrebbe indicare la mancanza di un riferimento esplicito al diritto dei cittadini di essere informati e di informarsi. Di fatti l'articolo 21 della Costituzione tutela esplicitamente solo la libertà di manifestazione del pensiero, e secondo alcuni in modo troppo approssimato e generale. Nelle prossime pagine analizzeremo nel particolare sia i principi cardine sui quali si è sviluppato il cambiamento nella 3 Adottato con d.lgs. 7/3/2005 n. 82 e integrato con modifiche con d.lgs. 4/4/2006 n. 159 14
  • 11. PA, sia l'evoluzione della comunicazione pubblica da non necessaria a indispensabile. 1.2 Trasparenza come principio Mentre il termine trasparenza è, come noto, del tutto assente dal testo costituzionale, manifestazioni di tale principio sono in esso frequenti, e vive 4. Secondo alcune dottrine giuridiche il diritto all'informazione passiva e riflessiva è da considerarsi all'interno del principio costituzionale implicito della trasparenza amministrativa e politica. Per argomentare questa ipotesi bisogna partire dalla definizione di principio costituzionale implicito e del termine trasparenza. Per quanto riguarda il primo concetto va detto che i principi costituzionali impliciti sono principi rinvenibili in Costituzione attraverso un’opera di astrazione interpretativa di quelle disposizioni, mirate a ricostruire il complesso di valori che ne ha guidato la redazione e le ragioni che le stesse disposizioni non enunciano, pur implicandone l’esistenza e la vigenza. Si noti che questa categoria, in un ordinamento come il nostro a Costituzione aperta sì, ma rigida, ha caratteri e limiti che non possono essere trascurati. 5 Per molto tempo sia la politica che la pubblica amministrazione hanno usato la mancata esplicitazione di 4 Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione 5 Ivi. 15
  • 12. questo principio come alibi per non essere trasparenti. Infatti, secondo Donati, i principi si pongono quali norme contraddistinte da un grado molto alto di generalità e di astrattezza [...] (questo) In primo luogo comporta il fatto che questi si traducano in precetti elastici, plasmabili, il cui contenuto varia in ragione della prospettiva da cui li si osserva o delle finalità per le quali li si evoca. In secondo luogo implica il fatto che i principi si pongano come norme mai esplicite. Se quanto si è appena detto è vero, allora è altrettanto vero che tra i principi espliciti e i principi impliciti presenti in un certo ordinamento giuridico non vi può essere alcuna differenza logica o di valore. In questo senso, anzi, tutti i principi sono «impliciti». Quindi la mancata esplicitazione del principio non può essere un freno all'azione amministrativa. Per quanto riguarda il principio di trasparenza, possiamo affermare – sempre con Donati - che tale principio indica “la possibilità di vedere attraverso gli ostacoli”. Si tratta di un concetto relazionale, che si concretizza solo nelle interazioni che legano due o più soggetti 6, un osservatore e un osservato, che assumono come valore positivo condiviso l’evidenza e la chiarezza delle azioni. In giurisprudenza ancora non si è arrivati ad una conclusione univoca nello stabilire se la trasparenza va considerata un fine o un mezzo dell'azione amministrativa. Per alcuni è un valore strumentale, un mezzo e non un fine, utile al perseguimento di valori diversi e ulteriori: in altre parole si chiede al soggetto osservato di essere trasparente affinché 6 Questo argomento è stato ampiamente analizzato da G. Arena, da ultimo nella voce Trasparenza amministrativa, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5945 ss. 16
  • 13. sia possibile assicurare all’osservatore il soddisfacimento di esigenze che possono andare dal controllo democratico, alla formazione di una opinione pubblica o personale, alla tutela di diritti e pretese individuali e ancora (la trasparenza è) essenzialmente un mezzo per la conoscenza, si candida ad essere efficacissimo strumento di garanzia per le legittime pretese delle donne e degli uomini nelle loro diverse vesti di cittadini, di elettori, di lavoratori, di consumatori. 7 La concezione del principio di trasparenza come strumento per la tutela di altri valori può sembrare in contrasto con quella, oggi apprezzata e diffusa in dottrina, che considera la stessa un obiettivo da raggiungere con vari mezzi dalla PA; in questa seconda concezione la trasparenza è vista dunque come un fine. Ma tale contrapposizione è in realtà soltanto apparente. Infatti, effettuando una lettura comparata di ambedue le posizioni, ci rendiamo conto che non solo un integrazione è possibile, ma anzi riesce a dare un’immagine più approfondita, articolata e compiuta del principio stesso. La trasparenza ha infatti in sé la caratteristica di mutevolezza: evolve continuamente in ragione del mutare delle condizioni del contesto in cui si muove. 1.3 Il diritto di informazione passiva e riflessiva Per far si che la PA sia trasparente è necessario che quest'ultima si faccia osservare e che comunichi all'osservatore di turno le sue intenzioni presenti e future; 7 Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione 17
  • 14. insomma è necessario che la PA rispetti il diritto implicito dei cittadini di essere informati. Ma, come già dimostrato, la mancata esplicitazione del diritto d’informazione passiva e riflessiva ha rappresentato un alibi per negare l'esistenza di un vero e proprio dovere di attivare strutture e processi di istituzione delle comunicazioni pubbliche. Sembrerebbe che l'assemblea che ha redatto la carta costituzionale italiana non abbia ritenuto necessaria l’esplicitazione di questo diritto/dovere, come è invece avvenuto in altri paesi usciti da regimi dittatoriali. Un esempio esplicativo è la carta costituzionale tedesca: l’art. 5 Libertà di espressione della Legge fondamentale per la Repubblica Federale di Germania, entrata in vigore il 23 maggio 1949, recita: 1. Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. Sono garantite le libertà di stampa e d'informazione mediante la radio e il cinema. Non si può stabilire alcuna censura. 2. Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi generali, nelle norme legislative concernenti la protezione della gioventù e nel diritto al rispetto dell’onore della persona. 3. L'arte e la scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi. La libertà d'insegnamento non dispensa dalla fedeltà alla Costituzione. Nella carta costituzionale tedesca si afferma quindi la necessità di essere informati su quello che succede a livello politico amministrativo propedeutica alla formazione di una corretta opinione pubblica 8. 8 Questo argomento è stato trattato ampiamente da Jürgen Habermas in "Storia e critica dell'opinione pubblica" pubblicato in Italia nel 1962 18
  • 15. Invece, l’articolo 21 della Costituzione italiana è contraddistinto da una debolezza redazionale, e omette sia le diverse coniugazioni della libertà di informazione in forma attiva, passiva e riflessiva, sia qualsiasi riferimento a mezzi di informazione diversi dalla stampa già ben presenti negli anni in cui operarono i costituenti, come la radio 9. Questa debolezza redazionale forse è stata - ed è ancora - la causa di diverse anomalie che perpetrano nel nostro paese, prima fra tutte il conflitto di interesse del nostro Presidente del Consiglio. Dopo più di trent’anni di discussioni, riforme e pronunce della Corte Costituzionale, il problema del pluralismo informativo ancora non è stato risolto. L’immobilità e la soffocante chiusura che caratterizzano il sistema radiotelevisivo rischiano ora di estendersi anche alle altre forme della comunicazione, rendendo ancor più fragile e complesso il perseguimento del pluralismo informativo, e quindi di fatto inconsistente il nostro diritto ad essere informati. Queste considerazioni trovano riscontro anche nelle disposizioni effettuate dalla Comunità Europea. Considerando che l’attuale disciplina italiana è in netto contrasto con le norme comunitarie relative alla radiotelediffusione e alla concorrenza nei mercati delle reti dei servizi di telecomunicazione elettronica, la Commissione europea ha inviato all’Italia il 19 luglio 2006 una lettera di messa in mora. Si è cosi avviata la procedura d'infrazione prevista dall’art. 226 del Trattato CE a carico del nostro paese. Un anno dopo, il 18 luglio 2007, non essendo stato adottato dalle nostre istituzioni alcun provvedimento di modifica, questa procedura è entrata nella seconda fase, che 9 Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione 19
  • 16. porterà al deferimento dell’Italia davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee 10. Il diritto all'informazione in senso attivo, passivo e riflessivo, in una società democratica è da considerarsi fondamentale per l’accesso alla vita pubblica; anzi dovrebbero essere ricompresi in un nuovo diritto alla democrazia il complesso dei diritti di informazione. Cioè il diritto di sapere come versione dinamica del diritto ad essere informati; il diritto di accedere alle informazioni che individualmente ci riguardano […]; il diritto di essere informati in maniera obiettiva, corretta e completa; il diritto di cercare, ricevere e trasmettere informazioni come distinto da quello di manifestare il pensiero. Mentre nei casi in cui si chiede la trasparenza dei soggetti privati il diritto all’informazione viene inteso come un semplice interesse, nei casi in cui la richiesta di informazione ha come destinatario un ente pubblico è possibile individuare in questa richiesta dei principi costituzionali come trasparenza e partecipazione, che sono necessari e strumentali alla realizzazione di altri principi costituzionali, come: l'inviolabilità dei diritti; la democrazia; l'uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini; la partecipazione alla vita democratica, sia attraverso l'esercizio del voto sia attraverso un concorso effettivo all'organizzazione politica, economica e sociale del paese. 10 Secondo quanto affermato dal Commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, negli stessi giorni, tra l’altro, l'avvocatura della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha rinviato al Consiglio di Stato la decisione sul ricorso promosso da Centro Europa 7, la cui emittente Europa 7 da anni contende a Rete 4, il diritto di trasmettere su scala nazionale. La Corte Europea, secondo l'avvocato generale Poiares Meduro, ha però stabilito che «L'art. 49 CE richiede che l'assegnazione di un numero limitato di concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati si svolga in conformità a procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione al loro esito. I giudici nazionali devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l'assegnazione di frequenze ad un operatore che così ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e, se necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori 20
  • 17. 1.4 La partecipazione Come detto la rivoluzione copernicana della PA poggia non solo sul valore strategico della comunicazione e sull'importanza della trasparenza, ma anche sull'inclusione dei cittadini nei processi decisionali pubblici. Di fatti anche la “partecipazione” sta diventando sempre più una scelta strategica della PA. Quando si parla di partecipazione spesso si parla di pratiche partecipative 11, cioè di manifestazioni autonome e azioni concrete messe in atto in contesti locali da singoli cittadini o cittadini associati o dalla PA stessa. La conferma che si tratti di pratiche e non di istituti normativi, è data anche dal fatto che gli apporti partecipativi dei cittadini nei confronti della PA sono stati rilevati prima dalle scienze socio-politiche e solo successivamente dalla dottrina giuridica. Lo sforzo della dottrina giuridica altro non è stato che lo sforzo di astrarre dei principi generali comuni a tutte le pratiche partecipative, in modo da poter regolamentare il fenomeno. 12 Iniziamo col dire che queste pratiche non sono di certo un fenomeno recente, ma costituiscono anzi una pietra miliare del modello democratico. La redazione dell'articolo 3 della Costituzione 13, attraverso la rimozione degli "ostacoli di 11 L’espressione, volutamente generica è ricorrente in L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia 12 Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle nuove forme associative 13 Art. 3 Cost: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della 21
  • 18. ordine economico e sociale" affida alla Repubblica il dovere di perseguire una piena libertà ed eguaglianza dei cittadini affinché ci siano i presupposti per una "effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del paese". Nel campo del diritto pubblico la partecipazione si delinea quindi come un contributo individuale o plurale, associato a un processo decisionale rispetto a scelte di pubblico interesse. In senso generale, la partecipazione si presenta come una vera e propria fase del processo democratico, e si colloca in successione al momento della trasparenza e dell'informazione. Dal punto di vista dei singoli essa consiste nel dare, in base alle proprie capacità, un contributo responsabile alla formazione e alla guida delle attività esercitate dal gruppo d'appartenenza 14. Questo naturalmente non significa che la partecipazione deve necessariamente manifestarsi in senso adesivo e quindi convogliare le proprie aspirazioni nel calderone dell'omologazione; significa piuttosto aggregare e non integrare le individualità, e quindi costruire dei luoghi in cui ogni idea trova ascolto. Perché sono proprio il dissenso e la diversità la ragion d'essere della partecipazione e della democrazia. Facendo un’ipotetica classificazione di queste pratiche partecipative, possiamo individuare due classi: i fenomeni informali e i fenomeni formali. Si può parlare di fenomeni informali, quando la pratica partecipativa si manifesta come un aiuto a rafforzare il Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese 14 Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle nuove forme associative 22
  • 19. legame fra istituzioni e cittadini, per ricercare nuove forme di connessione e di collaborazione. In altre parole si tratta di un esercizio costante di avvicinamento e conoscenza, di ascolto e di risposte, che spesso si attiva a livello locale. Si può parlare di fenomeni formali invece, quando l'ordinamento legislativo si è accorto della presenza di connessioni fra i cittadini e gli organi del potere, e regola le fasi, le modalità, i tempi del relativo procedimento e ne definisce gli effetti. E’ allora possibile distinguere le pratiche partecipative dagli istituti della partecipazione, notando che le prime spesso si evolvono nelle seconde. Più ci si avvicina al livello locale, più la partecipazione dei cittadini aumenta, dando l’impressione che è proprio a livello locale che la partecipazione viene in essere. Per dirla con Rodotà, sono i piccoli gruppi e le comunità locali "il luogo ideale per ricostruire o per realizzare effettivamente una democrazia fondata su un faccia a faccia tra cittadini" 15. Quindi i principi di decentramento e sussidiarietà possono essere letti – e meglio compresi - nella prospettiva di un maggior coinvolgimento dei cittadini alle decisioni della PA. In questa ottica possiamo anche leggere l'abbandono progressivo della concezione di omogeneità del tessuto amministrativo nazionale. La partecipazione dei cittadini serve dunque anche a far adattare la PA al contesto sociale e territoriale in cui opera. 15 Stefano Rodotà, Tecnopolitica 23
  • 20. Chiarita la ragion d’essere della partecipazione, di seguito capiamo come i cittadini partecipano realmente all'attività amministrativa. Come già detto in precedenza, la PA oggi ha perso il suo fare autoritativo e si presenta alle contrattazioni come primo tra pari. La PA è un portatore di interessi, concepiti come pubblici, che vengono sottoposti a discussioni con privati che hanno interessi coinvolti. I soggetti privati possono partecipare singolarmente o in forma associata, e possono inserirsi nel discorso in momenti diversi e con forme e capacità diverse. Nell'ordinamento giuridico c'è un’assoluta assenza di indicazioni unitarie in materia di partecipazione, causata oltre che dall'inafferrabilità dell'oggetto in questione anche dal fatto che siamo di fronte ad un ambito rimesso in gran parte all'autonomia dei privati. Ma un autorevole giurista 16 ha provato a dividere le pratiche partecipative in base alle finalità che si vogliono raggiungere. Si distinguono in tal modo: casi in cui la partecipazione dei privati mira esclusivamente a migliorare il patrimonio informativo della PA; casi in cui la partecipazione dei privati è finalizzata alla difesa dei propri interessi nei confronti di altri interessi pubblici o di altri privati; casi in cui la partecipazione dei privati ambisce a decidere insieme all'amministrazione. Donati evidenzia anche una quarta finalità, distinguendo casi in cui la partecipazione dei privati funga da controllo e verifica 17 dell'operato pubblico. Quindi il concetto di partecipazione inteso dalla L. 241/1990 come l'allargamento dell'istruttoria e la trasformazione del procedimento in un’arena pubblica di discussione fra portatori 16 Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo, in Archivio giuridico, n. 1-2, 1970 e ancora, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, Riv. Trim. Dir. Pubb., 2007, p.3-42 17 D. Donati, Il controllo dei cittadini sull’amministrazione pubblica, tra effettività giuridica e valore etico 24
  • 21. di interessi per giungere ad una decisione più giusta e condivisa, sembra essere – di fatto - superato. Oggi si assiste, nella pratica, ad un'estensione del principio di partecipazione verso ambiti prima impensabili e quindi non regolamentati. Un esempio sono le attività di controllo e di customer satisfaction svolte dai cittadini sui servizi erogati da un ente pubblico. Ma, anche se non del tutto regolamentati, tali processi partecipativi vengono in essere, e spesso si traducono in una discussione fra formazioni sociali e PA attorno al tavolo delle trattative. Per dare soluzione ai problemi di una società complessa quale è la nostra, è necessario che i cittadini non siano più destinatari passivi dell’intervento pubblico dell’amministrazione ma, piuttosto, che sia ritenuta una risorsa strategica la loro partecipazione alle scelte pubbliche. Sul terreno dei processi decisionali inclusivi, tuttavia, le amministrazioni vanno spesso incontro a grandi difficoltà poiché si imbattono in ostacoli non previsti, in conflitti inattesi, in incomprensioni ed equivoci 18. Come dice Bobbio, in assenza di un quadro normativo di riferimento, le pratiche partecipative hanno delle controindicazioni. Se è vero che gli attori territoriali non sono posti di fronte ad una scelta, bensì di fronte ad un problema, è vero anche che c'è una difficoltà di controllo del processo di risoluzione da parte della PA, che comporta rischi economici e tempi lunghi per deliberare, oltre alla possibilità che si aprano conflitti e poteri di veto. Per questi motivi spesso l’amministrazione tende a comportarsi come un partner fra gli altri partner, che funge da stimolo, da sollecitazione, da regia, da coordinamento, da mediatore 18 L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia 25
  • 22. degli interessi in campo. Sempre per prevenire tali conflitti, è solito da parte della PA attivare il processo partecipativo inclusivo nelle fasi finali del processo decisionale, cioè quando ai cittadini, in realtà, rimane ben poca discrezionalità da usare. Inserendo la pratica partecipativa alla fine del processo si riesce sia a ridurre i costi di transazione, sia a tenere sotto controllo i tempi della progettazione, sia a favorire l’uso di razionalità tecnico-scientifiche. Quanto detto non significa che le pratiche partecipative siano da evitare, anzi, vuole rimarcare la necessità di intervento del legislatore a precisare e regolamentare ulteriormente queste pratiche, dando loro una stabilità normativa e organizzativa su cui poggiare. Solo cosi sarà possibile inserire i cittadini fin dalle fasi iniziali del procedimento, a monte e non a valle del processo decisionale. 1.5 La sussidiarietà orizzontale Uno degli istituti della partecipazione è sicuramente la sussidiarietà orizzontale, cioè la presa in carico da parte dei cittadini di attività che prima erano svolte unicamente dalla PA. Fino agli inizi degli anni novanta, l'agire della PA riguardo alla presa in carico di attività e di servizi ruotava intorno a tre assunti di carattere panpubblicistico, smentiti col passare del tempo: • Ciò che è di interesse generale è di interesse pubblico. 26
  • 23. • Ciò che è di interesse pubblico è dello Stato; • Lo Stato provvede a ciò che è di interesse pubblico con apparati pubblici. Il terzo assunto prevedeva che ciò che è di pertinenza pubblica dovesse essere regolamentato tramite il diritto amministrativo. Ma nel corso degli anni c'è stato un ripensamento a riguardo; si pensi alla già citata stagione delle riforme del 1991, quando attraverso le privatizzazioni formali si inizia a favorire il diritto privato rispetto a quello amministrativo. Già con la legge 241/1990 19 sul procedimento amministrativo si ammetteva una reciproca interferenza del diritto amministrativo e del diritto privato. Insomma si ripensava al fare autoritativo della PA. Il secondo assunto prevedeva che il potere amministrativo fosse diretta emanazione dello Stato. Quindi era lo Stato centrale che provvedeva ai bisogni locali, tant'è vero che l'idea di omogeneità del tessuto locale si rifletteva anche negli articoli della Costituzione 114, 118 e 128. Ma anche questa idea di omogeneità è poi caduta. Negli anni '70 con le prime elezioni dei consigli regionali a statuto ordinario, l'impianto amministrativo viene rivisto nell'intento di includere nel processo decisionale anche le realtà regionali. Ma il punto di rottura con la concezione di stato centrale e di omogeneità amministrativa si ha definitivamente con la L. 142/1990. In particolare all’art. 3 si dotano le regioni della possibilità di intervenire nell'organizzazione delle funzioni locali e di farlo in modo selettivo calibrando “gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del 19 Integrata successivamente dalla Legge 24 febbraio 2005, n. 25 27
  • 24. territorio”. All'art. 9 invece si riconoscono al Comune “tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei servizi sociali e nell'asseto del territorio per lo sviluppo economico”. Con questa legge si da quindi inizio al decentramento amministrativo che culminerà con l'approvazione della Riforma costituzionale del 2001. Ma quello che riguarda di più la partecipazione civica intesa come istituto della democrazia, è il primo assunto: “ciò che è di interesse generale è di interesse pubblico”. Implicitamente si afferma che non ci può essere un interesse rilevante per la società senza che questo sia occupato dal potere politico- amministrativo. Questo assunto trova le sue radici nella teoria fascista, incline alla statalizzazione di tutte le attività di interesse generale. Tale concezione di Stato è rimasta in auge fino all’affermazione del concetto di sussidiarietà orizzontale. La prima formulazione di sussidiarietà si rintraccia nella L. 59/1997, nella quale non solo si rivolge una particolare attenzione al livello locale, ma vi è anche un’inedita considerazione dei cittadini come soggetti che vogliono e possono essere parte in attività di interesse generale, finora monopolio della PA. In questa legge il principio di sussidiarietà è il primo tra i principi fondamentali attraverso i quali si dovranno conferire le funzioni e i compiti alle amministrazioni 20. 20 "Legge 15 marzo 1997, n. 59" art 4 comma 3: Il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di 28
  • 25. L'idea di restituire ai cittadini la libertà di assumersi la responsabilità di tutto ciò che riguarda l'interesse della comunità, è un idea antica del pensiero giuridico. Benvenuti ipotizza una “demarchia” in cui si passa da libertà garantita a libertà attiva. In questo modello, il cittadino non demanda più ad altri la soddisfazione dei propri bisogni, ma si impegna direttamente, decide e sceglie collaborando con il potere pubblico 21. Una seconda formulazione di tale principio è data nella L. 265/1999 22. Al comma 5 dell'articolo 2 si legge che “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali". La L. 328/2000 costituisce la terza formulazione del principio in oggetto. All'articolo 5 (ruolo del terzo settore) si afferma che Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito ed ai fondi dell'Unione europea. funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati 21 Di fatti nelle leggi prima citate si invoca non solo la maggiore prossimità o vicinanza della PA ai cittadini, ma anche ove è possibile, l'immedesimarsi della PA nelle formazioni sociali. Quindi la sussidiarietà va intesa come prossimità, e non c'è ambito più vicino ai cittadini che i cittadini stessi 22 Questa legge sostituisce integralmente l'art.2 della legge 142/1990, (oggi recepito dalla legge 267/2000 29
  • 26. Infine, nel 2001 con la Riforma costituzionale dell'articolo 118, la sussidiarietà trova la sua formulazione definitiva. I primi due commi descrivono una relazione (verticale) istituzionale in cui si definisce la logica fondamentale per la suddivisione della potestà amministrativa, e uno dei principi di riferimento per questa suddivisione è quello della sussidiarietà. Ma è il comma quattro ad essere il più importante ai fini della nostra analisi: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. All'interno del quarto comma come possiamo notare vi sono tre precise coordinate strutturali relative al concetto di sussidiarietà. • I soggetti della relazione: da una parte le istituzioni territoriali, dall'altra i cittadini singoli e associati. • L'oggetto della relazione: cioè lo svolgimento di attività di carattere generale. • Il principio che regola la relazione: cioè la sussidiarietà. La norma del quarto comma prescrive quindi sia che l'amministrazione deve attivarsi affinché il principio si affermi, sia che l'iniziativa dei cittadini sia autonoma e riferita ad attività di interesse generale. Parte della dottrina giuridica interpreta tale norma secondo la sua accezione negativa, cioè la PA deve astenersi da ogni intervento sostitutivo nei confronti dei soggetti privati che dimostrino di avere capacità di svolgere le attività che hanno preso o possono prendere in carico. 30
  • 27. Nella norma si legge inoltre che gli enti amministrativi favoriscono l’autonoma iniziativa; se s’intende il termine “favoriscono” nel senso di dover favorire, quello di favorire è dunque un vincolo costituzionale e non un obiettivo possibile. Ciò implica il dovere per lo Stato e per tutti gli enti pubblici di adottare tutte le misure sia organizzative che di azione necessarie a rendere possibile per i cittadini lo svolgimento di attività di interesse generale. Per quanto riguarda l'espressione cittadini singoli e associati pare che la norma voglia mettere in risalto il tratto dell'appartenenza delle persone a un sistema istituzionale, sociale ed economico, e quindi il loro dovere di partecipare alla costruzione della comunità in cui vivono. La sussidiarietà quindi dà al cittadino la possibilità di costruire e non più delegare la cura di tutti gli interessi condivisi dalla sua comunità. Quindi si suppone l’esistenza di una nuova cittadinanza che collabori e comunichi costantemente con la PA nell'intento di proseguire l'azione amministrativa in spazi che altrimenti rimarrebbero deserti. Per cittadini associati s’intende quindi il terzo settore, che è quel soggetto capace di aggregare istanze rimaste inespresse non altrimenti rappresentate. Ma il terzo settore non deve sostituire la capacità di partecipazione del singolo, altrimenti si tratterebbe comunque di delega. La locuzione autonoma iniziativa usata nel testo della norma in primo luogo sollecita l'idea che l'attività di interesse generale da parte dei cittadini deve avvenire spontaneamente nello spirito della solidarietà sociale, quindi nega la possibilità di qualsiasi forma di retribuzione diretta e piena. 31
  • 28. Infine, la frase attività di interesse generale è quella che rileva maggiore complessità e che ha prodotto maggiori fraintendimenti. Si ritengono di interesse generale tutte quelle prestazioni di beni e di servizi che sono mosse da uno spirito solidale da parte del soggetto erogatore, capaci di rispondere ai bisogni socialmente ed economicamente rilevanti, individualmente non raggiungibili. È questo il caso del volontariato e di tutta l'attività guidata da spirito di solidarietà. 1.6 La comunicazione pubblica A detta di molti, sia la qualità della partecipazione civica - e quindi della sussidiarietà - sia la qualità della trasparenza amministrativa, sono proporzionali alla qualità della comunicazione pubblica che un’istituzione riesce ad assicurare. Per partecipare ad un tavolo di contrattazione è necessario che l'amministrazione comunichi le proprie intenzioni ai cittadini; per essere trasparenti è necessario, oltre alla tutela propedeutica del diritto di accesso, che l'amministrazione comunichi sia i propri obiettivi, sia le proprie decisioni, sia il fallimento o il successo di un'attività. Insomma, la comunicazione pubblica assume un ruolo strategico nella nuova concezione di PA 23. La comunicazione pubblica in Italia si è sviluppata inizialmente a livello locale, tra gli anni ’50 e ‘60, in un’ottica propagandistica dell'amministrazione. La comunicazione allora si risolveva nell'elogio da parte dell'addetto stampa dei 23 Si veda, a riguardo, l’opinione di: Grandi, La comunicazione pubblica, 2001; Rovinetti, comunicazione pubblica sapere e fare, 2006 32
  • 29. successi conseguiti dall'ente. Solo all’inizio degli anni '60, quando l'ambito di azione comunale viene ampliato (istruzione, urbanistica, economia, sicurezza sociale), gli uffici stampa hanno iniziato a svolgere una funzione di formazione e informazione; l'ufficio stampa è così diventato strumento di conoscenza e mezzo capace di migliorare i rapporti fra amministratori e amministrati. Negli anni '70 24, con l'avvio del processo di decentramento amministrativo e con l'adozione del concetto di partecipazione come modus operandi per l’azione governativa, la comunicazione - almeno su carta – ha acquistato un ruolo centrale nel realizzare concretamente il processo partecipativo. Ma solo negli anni '80 la comunicazione locale si configura all'interno di un processo più grande di comunicazione pubblica, intesa come il diritto dei cittadini ad essere informati sull'operato dell'amministrazione. Infatti in questi anni i professionisti dell'informazione 25, soprattutto a livello locale, iniziano a chiedersi quanto siano efficaci i periodici editi dalle istituzioni pubbliche, lo strumento principale usato per informare e comunicare con l'esterno. Questi periodici si ponevano come scopo di riempire uno spazio vuoto lasciato colposamente vuoto dagli organi di informazione che operano nel cosiddetto mercato e di costruire strumenti di democrazia e partecipazione, avvicinando i cittadini alla vita amministrativa. Ma tali strumenti si rivelano di fatto incapaci di informare e comunicare col cittadino e quindi renderlo realmente partecipe della vita amministrativa. Il fallimento dei periodici è causato da una totale assenza della cultura 24 n questo anno vennero istituiti i consigli regionali 25 Mi riferisco alla ricerca "enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna" commissionata dalla Lega regionale delle autonomie dell'Emilia-Romagna a un gruppo di lavoro composto da Cesareo, Grandi, Silato, Wolf 33
  • 30. dell'informazione all'interno delle PA locali. Infatti spesso questi periodici tendevano a diventare strumenti per fornire una tribuna da cui parlare ad amministratori e politici locali. Preso atto di questa deriva, i responsabili degli enti locali chiamati a esprimersi a riguardo propongono due nuovi modi di fare comunicazione: produrre bollettini locali, più agili e puntuali rispetto ai periodici; e abolire le pubblicazioni dirette degli enti locali per incanalare le informazioni sui mezzi stampa già esistenti. Nel frattempo in Emilia-Romagna 26 iniziano anche i dibattiti riguardo la professionalità degli addetti alla comunicazione e l’autonomia redazionale che questi devono avere nei confronti del potere politico-amministrativo. Dalle considerazioni fatte e raccolte all'interno della ricerca Enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna, si definiscono gli obiettivi di quella che venne indicata come la politica e la strategia dell'ente locale nel campo dell'informazione: informare, informarsi, favorire la produzione e circolazione di informazione sul territorio 27. L'informazione dei cittadini deve essere considerata un vero e proprio obbligo istituzionale; in nome della trasparenza i cittadini devono essere informati puntualmente sulle motivazioni delle decisione prese, il parere delle opposizioni. La PA deve quindi indicare, descrivere e mettere pubblicamente in discussione i diversi elementi che concorrono alla formulazione delle decisioni, i problemi e le loro motivazioni. Quindi un netto passo in avanti rispetto all'opacità amministrativa, rispetto alla cattiva circolazione delle informazioni e alla bassa considerazione che la trasparenza 26 Rappresentava l’eccellenza italiana nel campo dell’informazione comunicazione pubblica 27 R. Grandi, Comunicazione pubblica. Teorie, casi, profili normativi 34
  • 31. aveva fino a questo momento all'interno della PA. Secondo le considerazioni raccolte, inoltre, la PA deve prevedere gli strumenti deputati all'ascolto dei cittadini per far si che la possibilità che uno strumento destinato a diffondere l'informazione dell'ente locale ai cittadini, possa anche servire a portare informazione all'ente locale e a portare dati e conoscenza sulla vita della comunità 28. Dunque, nell’ottica di favorire e diffondere la circolazione di informazioni sul territorio, si inizia anche a pensare alla tecnologia, alle possibilità e alle problematiche che l'adozione di sistemi telematici avrebbero portato all'interno dell'ente locale 29. Fino a questo momento la comunicazione sembrava non essere un problema dello stato centrale, infatti lo scarto che vi era fra le modalità con le quali queste problematiche erano affrontate a livello locale e a livello nazionale deponeva sicuramente a favore del primo livello. Ma grazie alle discussioni e alle ricerche sull'informazione istituzionale partite a livello amministrativo locale, alcune questioni inerenti la comunicazione dopo poco entrano a far parte dell'agenda politica nazionale. In particolare, si discute su quali devono essere gli “strumenti di esternazione”, quali gli obiettivi da conseguire, quali devono essere le professionalità dei mediatori informativi. Quindi negli anni '80, anche grazie all'interesse generale creatosi intorno alla comunicazione e i mass media, iniziano i primi dibattiti a livello nazionale su quale fosse il vero obiettivo dell'ufficio stampa di un'istituzione pubblica. Si distinguono due correnti di pensiero: la prima crede che il 28 Ibidem. 29 Mi riferisco al rapporto di Giuseppe Richeri sull’adozione da parte degli enti locali francesi di tecnologie informatiche; redatto nell'ambito della ricerca "Enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna 35
  • 32. compito dell'addetto stampa si esaurisca nel fare comunicati e soprattutto farli pubblicare; la seconda invece ritiene che i veri destinatari dell'ufficio stampa siano i cittadini. Rovinetti, appartenente alla seconda scuola di pensiero, traccia uno scenario sociale mutato, caratterizzato dall'emergere di nuove necessità e quindi di nuovi compiti all'interno di quella che era una funzione di supporto dell'attività degli enti locali, da realizzarsi con un'azione interna (agendo come struttura di collegamento fra le diverse articolazioni aziendali) ed una esterna (dando un'immagine complessiva dell'ente, mantenendo spazi autonomi di conoscenza, aprendo nuovi canali informativi con la società civile) 30. In particolare Rovinetti sottolinea la necessità di progettare l'informazione, per creare un rapporto equilibrato fra cittadini, amministrazione e mass media; di creare una nuova cultura dell'informazione, per considerare le notizie in maniera più critica; di veicolare un immagine coordinata dell'azienda. Sostanzialmente ci si rende conto che la sola struttura dell'ufficio stampa risulta insufficiente a svolgere una comunicazione “totale” nella quale i destinatari non erano più solo i giornalisti ma anche e soprattutto i cittadini. Proprio per soddisfare questo nuovo bisogno nella quasi totalità degli statuti regionali viene riconosciuto il diritto ad essere informati e ad informarsi, e quindi gli stessi enti locali iniziano a preoccuparsi del come attuare tale disposizione. Come prima cosa vengono regolamentati gli uffici stampa, e in molti statuti regionali viene previsto un finanziamento del sistema radiotelevisivo ed editoriale locale; mentre in casi eccezionali come quello di Bologna, si arriva ad aprire un centro di 30 Rovinetti, Comunicazione pubblica, sapere e fare 36
  • 33. informazione comunale, in cui la comunicazione era considerata un vero e proprio servizio. A livello nazionale uno dei primi impulsi legislativi che riguardano - anche se marginalmente - la comunicazione pubblica è l'emanazione della Legge 5 agosto del 1981 n. 416 (recante la disciplina per le imprese editrici e provvidenza per l'editoria). Questa legge, approvata per ostacolare la formazione di concentrazioni editoriali dominanti e regolamentare l'aiuto finanziario pubblico all'industria editoriale, prevede all'articolo 13 alcuni obblighi per le amministrazione pubbliche in materia di comunicazione pubblicitaria. Questo articolo decreta un doppio obbligo e un divieto: obbliga le PA a destinare una quota dei fondi inscritti a bilancio per la pubblicità “alla pubblicità sui giornali, quotidiani e periodici” in una percentuale non inferiore al 70%, e a comunicare al garante per l'editoria tutte le erogazioni pubblicitarie dei singoli esercizi finanziari anche se negative 31, insieme al divieto di fornire qualsiasi altro contributo ai giornali in forme diverse da quelle previste da questo articolo. Pur avendo nobili obiettivi, la L. 416/81 mette la PA in una condizione di subordinazione rispetto alla carta stampata. Di fatti alla PA rimane poco potere decisionale sulla scelta dei canali di comunicazione per veicolare la propria campagna pubblicitaria, correndo perennemente il rischio che queste campagne non sortissero l'effetto desiderato. E’ un chiaro segno della mancanza di un vero interesse del legislatore rispetto alla comunicazione pubblica. I limiti della 416/81 e soprattutto la disattesa applicazione dell'obbligo di comunicare al garante le erogazioni 31 Che è divenuto poi garante per la radiodiffusione ed editoria 37
  • 34. pubblicitarie, inducono perciò il legislatore a promulgare un’altra legge, la L. 67/1987 con funzioni di rinnovo e precisazione della precedente. I punti su cui questa legge dimostra continuità con l'altra si riferiscono sia all'obbligo di pianificare la pubblicità sui quotidiani (però passando dal 70% al 50%), sia all'obbligo di istituire nei bilanci un capitolo dedicato alle spese pubblicitarie, sia al divieto di qualsiasi altra forma di finanziamento. Le novità portate da questa legge, invece, riguardano alcune iniziative specifiche come: la costituzione del primo organo misto istituito dal governo per coordinare gli interventi di comunicazione pubblicitaria pubblica; l'obbligo per le amministrazioni interessate di presentare entro sessanta giorni dall'approvazione del bilancio dello Stato progetti di massima sulle campagne pubblicitarie da fare; l'istituzione di un fondo costituito dal 20% delle somme stanziate da tutte le amministrazioni statali nel capitolo di bilancio, da assegnare a progetti “motivatamente prescelti”; l'obbligo per una serie ampia di PA di pubblicare i propri bilanci su almeno due quotidiani locali di larga diffusione, su un quotidiano nazionale e su un periodico (in questo modo il finanziamento all'editoria era motivato da una certa trasparenza contabile). Pur condividendo il pensiero di Contaldo riguardo al legislatore, che ha iniziato a guardare in un ottica più adeguata il quadro dei bisogni di comunicazione delle istituzioni in generale”, rimane qualche dubbio sul fatto di “evitare che la comunicazione pubblica diventi un mezzo per garantire provvidenza alle aziende editoriali. Infatti, anche se è vero che la percentuale di spesa da destinare alla pubblicità sui quotidiani viene diminuita, tre anni dopo, con la legge 223/1990 si obbligano le amministrazioni statali e gli enti non territoriali a riservare il 38
  • 35. 25% della spesa pubblicitaria stanziata a bilancio alla pubblicità sulle reti radiofoniche e televisive private che operano sul territorio 32. Inoltre anche l'obbligo della pubblicazione del bilancio sui periodici, quotidiani locali e nazionali, in realtà non ha portato alla trasparenza desiderata. Infatti, la PA si limita a riportare integralmente il bilancio, senza preoccuparsi della sua accessibilità, cioè della leggibilità e della comprensibilità del testo. I responsabili della pubblicazione non usufruiscono della possibilità di accompagnare il bilancio con delle note esplicative o con una breve sintesi riassuntiva per renderlo più comprensibile, ma si limitano ad una notarile ricezione del provvedimento. Il fallimento della pubblicazione del bilancio come strumento per perseguire la trasparenza si può ascrivere alla totale assenza di una cultura della comunicazione all'interno della maggioranza delle PA. L'inversione di tendenza si ha negli anni '90, quando la comunicazione pubblica cessa di essere un veicolo di finanziamenti pubblici all'editoria e inizia a diventare strategica per la fase di ammodernamento e apertura della PA nei confronti dei cittadini. Come già accennato nel primo paragrafo, questo decennio è contraddistinto da una produzione normativa tesa a modificare il rapporto di sudditanza dei cittadini nei confronti dell'amministrazione pubblica. La legge 142/1991 (recante l’ordinamento delle autonomie locali) stabilisce l'obbligo per province e comuni di dotarsi di un proprio statuto che contempli anche il diritto all'informazione dei cittadini e disponga le forme di accesso e partecipazione ai procedimenti amministrativi. Questa legge 32 Con la L. 7 agosto 1990 n. 250, invece, le emittenti televisive vengono equiparate ai quotidiani e ai periodici 39
  • 36. legittima i cittadini singoli e associati come interlocutori paritari dell'amministrazione, degni di partecipare ad ogni processo decisionale che li riguarda. È nel primo comma dell'art. 6 che si può leggere il definitivo cambiamento del rapporto fra cittadini e PA: i comuni valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con il comune sono disciplinati dallo statuto. Ancora nell'art. 6 e nel successivo art. 7 si precisano le forme di partecipazione dei cittadini, i quali hanno il diritto di: accedere liberamente alle strutture, ai servizi agli atti amministrativi e all'informazione di cui è in possesso l'amministrazione; essere consultati dalla PA; promuovere petizioni, istanze, proposte dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi; promuovere referendum consultivi; pubblicità per tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale ad eccezione di alcuni; individuazione dei responsabili del procedimento; chiedere informazioni sullo stato dell'arte dei procedimenti e degli atti. Inoltre, la L. 142/91 è la prima a parlare di separazione fra le funzioni di indirizzo e controllo e quelle gestionali; si inizia a parlare così della professionalità degli operatori nella PA a livello nazionale. Infatti, con la concessione data ai comuni di dotarsi di un proprio statuto e quindi di auto-organizzarsi, la legge ha di fatto permesso alle amministrazioni locali di dotarsi di modalità organizzative proprie delle aziende private. Ma - come ben sappiamo - non è la sola legge che realizza il cambiamento; infatti gli statuti verranno promulgati dagli enti locali con una notevole lentezza, probabilmente 40
  • 37. causata dall'effettiva mancanza di volontà da parte degli apparati politici. Anche laddove gli amministratori si dotano di strumenti che permettano l'accesso agli atti amministrativi e che rendano più concreta l'istanza di partecipazione, attraverso l’istituzione di uffici dedicati al cittadino, non si realizza una reale innovazione; piuttosto questi proto-uffici per la relazione con il pubblico in realtà sono solo l'adempimento della legge. A distanza di quasi due mesi dall'approvazione della L. 142/1991, viene promulgata e adottata un’altra legge, tesa anch’essa a ristrutturare la PA sulla base dei principi di efficienza, economicità, pubblicità, partecipazione: si tratta della L. 241/1990, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Questa legge, oltre a regolare ulteriormente i rapporti fra cittadini e PA, ha dato maggiore concretezza agli istituti di partecipazione e accesso previsti dalla precedente L. 142/1990. Si propone infatti di dare attuazione ai criteri di partecipazione attraverso disposizioni che garantiscono: la partecipazione al procedimento amministrativo; la trasparenza amministrativa; l'accesso ai documenti in possesso dell'amministrazione; un limite temporale massimo per la conclusione di un procedimento amministrativo; l'obbligo di motivazione di un procedimento amministrativo; il principio di consensualità. Questa legge - definita da Gregorio Arena di rango costituzionale, segna il passaggio da una concezione di PA chiusa, autoreferenziale, discrezionale e opaca, ad una concezione di PA che fa della trasparenza e della partecipazione i suoi punti cardine. 41
  • 38. Per far si che chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti possa prendere visione dei documenti amministrativi è necessario che ci sia un ufficio non solo preposto a questa funzione ma anche a tutte le altre che prevedono la relazione con il cittadino. Vale a dire che per far accedere ai documenti e far partecipare il cittadino alla fase istruttoria del procedimento amministrativo è necessaria la presenza di un organo che informi e guidi “l'interessato” all'interno della selva burocratica. Dopo i già citati primi tentativi andati a male, tra la metà del 1992 e la fine del 1994 il legislatore disegna un quadro normativo atto a rendere effettivo lo sviluppo in materia di informazione e partecipazione promesso dalle legge 142/1990 e 241/1990. Con il D.P.R 352/1992 all'articolo 6, per la prima volta si sente parlare di “ufficio per le relazioni con il pubblico”: Le singole amministrazioni valutano altresì l'opportunità di istituire un ufficio per le relazioni con il pubblico e comunque individuano un ufficio che fornisca tutte le informazioni sulle modalità di esercizio del diritto di accesso e sui relativi costi. Quindi, si parla di opportunità e non di obbligatorietà di istituire un Urp; solo dopo sette mesi, con il dlsg 29/1993 si definisce in maniera ancora più precisa il riassetto organizzativo della PA, e si rende obbligatorio l'istituzione di un Urp. Questo decreto si pone come obiettivo il portare tutte le amministrazioni ad un livello minimo di attuazione dei nuovi principi amministrativi; infatti questa disposizione di legge è destinata a tutte le amministrazioni dello stato: dagli istituti scolastici, agli istituti autonomi, case popolari, passando per le comunità montane. Nell’ottica di realizzare gli obiettivi di 42
  • 39. economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse, è dunque necessario che gli Urp fossero dotati di strumenti per organizzare e svolgere sia una comunicazione interna (per collegare e armonizzare l'attività di tutti gli uffici della PA), sia di una comunicazione esterna per attuare il principio di trasparenza amministrativa in funzione dell'esigenza dell'utente. Finalmente si è compreso il valore della comunicazione pubblica, che non può essere considerata un mero optional amministrativo, ma deve anzi essere intesa come l'unico viatico possibile per far affermare come norma la trasparenza e la partecipazione. Parallelamente alla scoperta della comunicazione come elemento strategico, inizia a farsi largo l'idea che le modalità in cui si effettuano le prestazioni amministrative devono ispirarsi al principio della soddisfazione dei bisogni del cittadino. Per soddisfare i bisogni bisogna prima individuarli concretamente, quindi l’ascolto acquista un valore fondamentale: si palesa per la prima volta la necessità di ricevere dai cittadini informazioni e valutazioni sui servizi offerti dalla PA. All'articolo 12 del D.L 29/1993 si elencano in maniera dettagliata sia gli obiettivi da raggiungere, sia le modalità con le quali raggiungere gli obiettivi. Nel secondo comma di questo articolo infatti si legge che gli URP anche mediante l'utilizzo di tecnologie informatiche devono provvedere: al servizio per l'utenza per i diritti di partecipazione, all'informazione all'utenza relativa agli atti e allo stato dei procedimenti, alla ricerca ed analisi finalizzate alla formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l'utenza. 43
  • 40. Inoltre al terzo comma si fa riferimento al tipo di personale da assegnare a questo ufficio, che sarà qualificato, capace di relazionarsi con il pubblico; mentre al quarto comma si fa riferimento alla comunicazione di pubblica utilità" come attività necessaria da svolgere. Ma è con la direttiva del 11/10/1994 che tutta l'attività dell'Urp viene definita e precisata in relazione alle finalità, alle attività e all'organizzazione. Ciò che appare evidente da subito è il tentativo di qualificare gli obiettivi dell'urp come una doppia apertura nei confronti dell'esterno: si veicolano informazioni ai cittadini/utenti, ma si veicolano anche informazioni dai cittadini/utenti all'interno della struttura, che si trova quindi nella necessità di modificare la propria identità fino ad allora non-comunicante e autoreferenziale". Le finalità individuate sono: dare attuazione al principio della trasparenza dell'attività amministrativa; dare attuazione al diritto di accesso alla documentazione amministrativa e ad una corretta attuazione"; "rilevare sistematicamente i bisogni ed il livello di soddisfazione dell'utenza per i servizi erogati; proporre adeguamenti e correttivi per favorire l'ammodernamento delle strutture, la semplificazione dei linguaggi, e l'aggiornamento delle modalità con cui le amministrazioni si propongono all'utenza. Inoltre la stessa direttiva indica anche come organizzare l'Urp in modo che la collocazione fosse ubicata in locali individuabili, accessibili, facili da raggiungere, anche con i trasporti pubblici; le modalità di accesso (fisico e non) fossero non solo note ma adottassero un orario di ricevimento che si estendesse alle ore pomeridiane; il personale fosse altamente competente in relazione alla conoscenza dell'organizzazione a cui 44
  • 41. apparteneva, all'accoglienza del pubblico e all'utilizzo di tutti i sistemi tecnologici attraverso i quali vengono veicolate le informazioni. Poiché si richiede lo svolgimento di nuovi compiti, sono pure necessarie nuove professionalità, per questo motivo la circolare del ministro della funzione pubblica 21/04/1995 n.14 include la formazione del personale dell'Urp tra gli interventi prioritari in materia. In particolare si fa riferimento alla capacità dei dipendenti di operare in realtà amministrative informatizzate; alle competenze proprie della cultura del dato statistico; allo “sviluppo di profili di managerialità capaci di progettare le attività. Il capitolo URP si chiude per il momento con l'approvazione della legge 7 giugno 2000, n. 150 Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni. L'intento di questa legge è quello di definire le professionalità della comunicazione e di suddividere e assegnare compiti e obiettivi ben precisi alle tre strutture della comunicazione amministrativa. Con questa legge “si indicano in modo preciso le funzioni fondamentali che vanno ricondotte all'interno di questa disciplina; inoltre si elencano una “serie di strumenti attraverso i quali le azioni informative vanno organizzate e gestite (pubblicità, fiere, reti civiche ecc). L'articolo 4 invece è riservato al tema della formazione professionale di chi già opera nelle istituzioni per formare una leva di comunicatori pubblici. Ma forse una delle innovazioni più importanti portate da questa legge è la divisione dei compiti di informazione e comunicazione: le due attività vengono assegnate a due uffici con competenze e professionalità diverse, rispettivamente all’ufficio stampa e all’Urp. All'articolo 7, 8 e 9 della presente 45
  • 42. legge si definiscono quindi – rispettivamente - il ruolo del portavoce, dell'ufficio stampa e del URP. I primi due come target hanno il sistema informativo dei media; con la differenza che il portavoce ha un approccio politico che tende alla parzialità a favore del partito di appartenenza, mentre l'ufficio stampa dovrebbe avere un approccio più istituzionale, che tende all'imparzialità. L'attività di comunicazione verso i cittadini, invece è destinata all'urp, i quali pur mantenendo i tradizionali compiti loro assegnati dalle precedenti disposizioni, vengono posti al centro di un sistema di comunicazione più complesso e articolato. Innanzitutto va detto che con l'approvazione di questa legge, il responsabile dell'urp sarà una nuova figura professionale, il comunicatore pubblico, il quale deve avere dei titoli di studio ben precisi. Al comunicatore pubblico vengono assegnati perlomeno tre obiettivi: promuovere l'adozione di sistemi di interconnessione telematica; attivare, anche attraverso la comunicazione interna processi di verifica della qualità e del gradimento dei servizi da parte dei cittadini; coordinare le reti civiche. Insomma la legge 150/2000 si propone di: dare piena e definitiva legittimazione della comunicazione in un sistema, quello pubblico nato e cresciuto nel silenzio e nel segreto d'ufficio 33; e di riconoscere la comunicazione come uno degli elementi qualificanti di un nuovo sistema di relazioni paritarie tra amministrazioni e cittadini”. Ma allo stesso tempo in molti parlano di occasione sprecata in quanto la presente disposizione non ha sortito gli effetti sperati. Rovinetti per esempio parla di una legge approvata dal parlamento e non applicata dalla Pubblica Amministrazione, basandosi su 33 Rovinetti, comunicazione pubblica sapere e fare 46
  • 43. alcune ricerche quantitative - come quella effettuata all'interno del progetto nazionale “urp degli urp”, o come quella promossa dall'università Iulm di Milano insieme al dipartimento della funzione pubblica (2000-2004) – in cui si dimostra che gli uffici relazione con il pubblico sarebbero stati adottati approssimativamente solo dalla metà delle PA interessate. Insomma la legge è stata presa alla stregua di un mero consiglio amministrativo. Oltre alla bassa adesione alla legge, c'è da dire anche che spesso le funzioni dell'Urp sono state attribuite solo nominalmente, ma di fatto non vengono svolte e garantite ai cittadini. Nicoletta Levi nota come ogni PA ha provveduto a plasmare il proprio Urp in base alle caratteristiche del tessuto socio-economico del territorio di riferimento, quindi non c'è un URP uguale all'altro. In sostanza, ci sono diversi modelli di Urp: il più diffuso è il modello sportello informativo che fa riferimento alle due funzioni classiche di questo ufficio, cioè la tutela dei diritti (di accesso e partecipazione) e l'informazione del cittadino. Altro modello dell'Urp è lo sportello polifunzionale, che nasce dall'esigenza di sviluppare ulteriormente la politica dell'accesso all'amministrazione. L'Urp si trasforma così in una vera e propria reception dell'ente all'interno della quale non solo è possibile ricevere informazioni, ma è possibile anche accedere e iniziare un procedimento amministrativo, eliminando quindi uno o più passaggi burocratici. Il core business di questo modello è la semplificazione amministrativa. Naturalmente l'evoluzione dell'Urp verso lo sportello polifunzionale è un processo progressivo che può avvenire solo poco alla volta, perché implica il riassetto 47
  • 44. dell'intera organizzazione amministrativa. L'ultimo modello di Urp rilevato è infine quello che soddisfa quanto disposto all'art. 8 della legge 150/2000 secondo il quale le amministrazioni affidano all'urp sia le funzioni di supporto alle relazioni dell'organizzazione con i propri pubblici sia quelle di supporto ai settori per la gestione delle attività e dei prodotti di comunicazione. In sostanza l'urp di queste amministrazioni svolge compiutamente sia il ruolo di line della comunicazione (relazione interpersonale diretta tra gli operatori di sportello e i cittadini) sia il ruolo di staff (gestione della comunicazione interna ed esterna e ascolto degli utenti). 1.7 Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA Con il passare del tempo ci si è accorti che l'informatica è uno strumento efficace ed efficiente per il raggiungimento di tutti gli obiettivi amministrativi in materia di accesso, trasparenza e partecipazione. Infatti, solo attraverso un processo di informatizzazione della PA si può creare una rete unitaria che metta in contatto le amministrazioni periferiche con quelle centrali; che permetta lo scambio di dati e documenti in nome dello snellimento burocratico. Il via al processo di informatizzazione della PA, viene dato dal D.lgs n.39 del 1993, nel quale si istituisce “l'autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione” (AIPA). Il primo progetto coordinato dall’AIPA, inserito nella direttiva del presidente del consiglio 5/09/1995, è la costituzione della “rete unitaria per la pubblica amministrazione” (RUPA). 48
  • 45. L'obiettivo di questa direttiva è garantire ad ogni utente che operava sulla rete la possibilità di accedere [..] ai dati e alla procedure residenti su tutti gli altri sistemi connessi, indipendentemente dalle soluzioni tecniche adottate. Per fare ciò, si rende necessaria un’infrastruttura telematica capace di veicolare i dati in modo sicuro e creare dei programmi che permettessero alle amministrazioni di usufruire dei dati e dei servizi applicativi delle altre amministrazioni. Sempre nel 1995 viene inaugurata a Bologna la prima rete civica italiana, “Iperbole”. Lo scopo della rete civica era quello di incrementare la partecipazione dei cittadini alle attività dell'ente locale attraverso innovazioni nel campo della comunicazione. In particolare la PA attraverso Iperbole vuole: aumentare la circolazione di informazioni locali fornite da una pluralità di soggetti; incrementare la tipologia e la qualità dei servizi proposti alla cittadinanza; rendere possibile e facilitare il dialogo fra gli utenti e i fornitori del servizio; cercare di abbattere le barriere socio-economiche che non permettono un accesso generalizzato alla rete; promuovere dibattiti e forum su temi di interesse locale, in modo da rendere effettiva la partecipazione ai processi decisionali amministrativi. Il discorso delle reti civiche va inquadrato nel più ampio dibattito sul ruolo delle città nel processo di globalizzazione. Si è arrivati alla conclusione che dal quel momento in poi ogni azione che riguardasse la partecipazione e la comunicazione fosse imprescindibile dall'uso di internet. La tendenza pronosticata è quella dell'addensamento delle persone nelle città più tecnologicamente avanzate, e ci si rende conto che l'uso delle tecnologie della comunicazione è l'unica possibilità che le persone hanno per non rimanere estromessi dal nuovo 49
  • 46. ordine mondiale. Si va palesando l’idea che internet è l'unico strumento che permette sia di “restringere il mondo”, sia di rendere più facile e immediato il dialogo fra i diversi attori territoriali. All’interno di questo dibattito Paola Bonora e Alessandro Rovinetti credono nelle potenzialità della rete, ma allo stesso tempo insistono sul fatto che senza l'alfabetizzazione informatica dei cittadini, internet sarebbe rimasto uno strumento dalle grandi potenzialità ma elitario; insomma, nell’opinione di Bonora e Rovinetti il cablaggio delle città dovrà essere accompagnato da una politica di formazione dei cittadini all'uso delle nuove tecnologie. Purtroppo la formazione dei cittadini in Italia è stata discontinua e troppo spesso lasciata all'improvvisazione. Nel 2010 è stato presentato dalla “Nokia Siemens Network” il rapporto “connectivity scorecard” 34, realizzato dalla “Haskayne School of Business della University of Calgary”. Lo studio misura il livello di connettività di un paese in base alle infrastrutture e all’utilizzo delle tecnologie da parte dei cittadini, delle imprese e dell’apparato statale. L'Italia si è posizionata ultima tra i paesi membri del G8 e ventiduesima tra i 25 paesi economicamente più avanzati. Dal rapporto emerge che il 58% della popolazione italiana non ha mai utilizzato Internet, e dunque non ha mai navigato sul web per informarsi, fare acquisti tramiti siti di e-commerce, gestire conti correnti on line, utilizzare social network e via dicendo. Il parere di Giuseppe Donagemma 35 è che il ritardo in classifica dell’Italia rispetto alle altre nazioni è dovuto al peggioramento di alcuni parametri analitici, quali l’utilizzo delle tecnologie da 34 Link del documento http://bit.ly/cpILuG 35 capo della regione WSE (West and South Europe) di "Nokia Siemens Network” 50
  • 47. parte del consumatore finale e la carente alfabetizzazione digitale. Ma nonostante la mancanza di cultura digitale, anche in Italia si parla da anni di città digitali e di comunità virtuali, ossia un insieme di persone interessate ad un determinato argomento, o con un approccio comune alla vita di relazione, che corrispondono tra loro attraverso una rete telematica come internet, costituendo una rete sociale con caratteristiche peculiari. Infatti tale aggregazione non è necessariamente vincolata al luogo o paese di provenienza; essendo infatti questa una comunità online, chiunque può partecipare ovunque si trovi con un semplice accesso alle reti. In una comunità reale, nella quale i cittadini presiedono con competenza lo spazio virtuale del web, è lecito auspicare una città digitale, cioè la fase successiva alla rete civica “uno strumento per cambiare la città [..] che non fornisce servizi quali duplicato elettronico per prodotti esistenti ma servizi progettati sulle caratteristiche strutturali del mezzo (cangianelli 97 p.120). Vale a dire uno strumento capace di semplificare ulteriormente la burocrazia amministrativa, di semplificare il recupero e la circolazione di informazioni, di ampliare la rete di contatti e di relazioni di ogni persona, ma soprattutto capace di far conoscere e promuovere le iniziative dell'amministrazione sia in termini di servizi che in termini di marketing territoriale. Ricapitolando, all'interno della PA moderna ci si è resi conto del ruolo strategico che ha la comunicazione in tutta l'attività amministrativa; il mondo della comunicazione pubblica a sua volta si è reso conto della necessità di usare internet e tutte le tecnologie dell'informazione. È opinione comune che dagli 51
  • 48. inizi degli anni '00 il web “classico”, composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l'utente, si è evoluto; grazie a nuovi linguaggi di programmazione, il web 2.0 permette uno spiccato livello di interazione tra il sito e l'utente e non solo. Infatti, attraverso social network, blog e forum, si passa fondamentalmente dalla semplice consultazione (seppure supportata da efficienti strumenti di ricerca, selezione e aggregazione) alla possibilità di contribuire popolando e alimentando il Web con propri contenuti. Nel prossimo capitolo faremo una panoramica sulle modalità di azione della PA all'interno del mondo virtuale creato dalle applicazioni del web 2.0. 52
  • 49. 2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra amministrazione e amministrato e quali sono i vantaggi/svantaggi connessi 2.1. Pubblica amministrazione e web 2.0 Nell'era del web 2.0, anche le PA sono allettate dall'utilizzo dei social network per costruire insieme ai cittadini nuove forme di dialogo 36. Infatti, tramite gli strumenti web based, i principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa si rinvigoriscono e diventano ancora più attuabili - grazie alla possibilità di stabilire una comunicazione diretta e interattiva con la cittadinanza. Gli strumenti 2.0 sono gratuiti, ma per sfruttarli appieno occorre personale preparato, e dedicato in modo continuativo e specialistico alle attività di social networking. La scelta di "esserci", infatti, deve essere ponderata e preceduta da un'analisi che prenda in considerazione diversi fattori: come gli obiettivi che si vogliono raggiungere (cosa comunicare e a chi), le strategie da mettere in atto (come comunicare e con quale grado di interazione), gli strumenti da utilizzare (Facebook, Twitter, Flickr, Youtube, o altri), quali risorse impiegare. Dunque, senza un buon piano di comunicazione - pensato ad hoc per questi strumenti - c'è il rischio per la PA che si cimenta nel social networking di generare effetti inversi a quelli desiderati. Creare un profilo pubblico su un qualsiasi social network e poi gestirlo male o abbandonarlo, fa si che l'immagine che si 36 Stefano Rodotà, Tecnopolitica 53
  • 50. comunica è quella di una PA incompetente e non professionale, che ha deciso di presenziare gli ambienti web 2.0 solo per essere al passo coi tempi o per non essere da meno rispetto ad altre PA. Allora, se si decide di utilizzare gli strumenti 2.0, si decide implicitamente anche di riorganizzare la struttura interna della PA in questione, in modo da assecondare la nuova domanda di comunicazione. Infatti, gli utenti del web 2.0 si aspettano risposte immediate, perciò la risposta da parte della PA non potrà attendere i tempi burocratici dell'azione amministrativa (come delibere e autorizzazioni). Oltre ai cambiamenti che intervengono sulla domanda di comunicazione da parte del cyber-cittadino, la PA dovrà tenere in considerazione anche alcune caratteristiche peculiari dell'ambiente 2.0. Innanzitutto, il fatto che “il web non dimentica”: ciò che viene pubblicato è fruibile da tutti e per tanto tempo, e soprattutto non è controllabile da parte dell'autore. Inoltre ogni social network ha una sua peculiarità e quindi uno scopo ben preciso: quindi, i social non vanno gestiti tutti nello stesso modo. A titolo d'esempio passiamo in rassegna le diverse caratteristiche e il diverso utilizzo dei due social network più popolari a livello mondiale: Facebook e Twitter. Il primo si presta particolarmente bene alla costruzione di un rapporto approfondito con i propri interlocutori, basato sul dialogo, sulla partecipazione e sul confronto. Anzi, Facebook rende possibile l'iper-interazione, consentendo la 37 condivisione di “status” , foto, video e commenti. Twitter, meno popolare di Facebook in Italia, è un servizio di 37 Lo "status" è l'aggiornamento, (di solito con frasi che descrivono il proprio umore o con informazioni su un determinato argomento) del proprio profilo facebook. 54