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I 4 monti del
vangelo di Matteo
brani analizzati
• Mt 4, 1-11 (tentazioni)
• Mt 17, 1-8 (trasfigurazione)
• Mt 5, 1-10 (beatitudini)
• Mt 28, 16-20 (missione)
Mt 4,8 il diavolo lo portò sopra un monte altissimo
“Di nuovo il diavolo lo portò
sopra un monte altissimo e gli
mostrò tutti i regni del mondo e
la loro gloria e gli disse: «Tutte
queste cose io ti darò se,
gettando te ai miei piedi, mi
adorerai». Allora Gesù gli
rispose: «Vàttene, satana! Sta
scritto infatti: Il Signore, Dio tuo,
adorerai: a lui solo renderai culto».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco
degli angeli gli si avvicinarono e
lo servivano”.
Il monte delle tentazioni
“Πάλιν παραλαμβάνει αὐτὸν ὁ
διάβολος εἰς ὄρος ὑψηλὸν λίαν, καὶ
δείκνυσιν αὐτῷ πάσας τὰς
βασιλείας τοῦ κόσμου καὶ τὴν δόξαν
αὐτῶν καὶ ⸀εἶπεν αὐτῷ· Ταῦτά ⸂σοι
πάντα⸃ δώσω, ἐὰν πεσὼν
προσκυνήσῃς μοι. τότε λέγει αὐτῷ ὁ
Ἰησοῦς· ⸀Ὕπαγε, Σατανᾶ· γέγραπται
γάρ· Κύριον τὸν θεόν σου
προσκυνήσεις καὶ αὐτῷ μόνῳ
λατρεύσεις. 11
τότε ἀφίησιν αὐτὸν ὁ
διάβολος, καὶ ἰδοὺ ἄγγελοι
προσῆλθον καὶ διηκόνουν αὐτῷ.”
“di nuovo il diavolo”
Gli evangelisti usano attentamente i termini. Per noi
"diavolo" (diàbolos) e "demonio" (daimonion) sono
sinonimi, ma non è così nei vangeli, dove un conto è il
"diavolo" e un conto sono i "demoni", sempre al plurale.
Le due realtà non vanno mai confuse.
Chi è il diavolo? Il termine ebraico "satàn" significa
"avversario, nemico": è l'avversario di Dio. Quando la
Bibbia dall'ebraico è stata tradotta in greco, venne fuori
"diavolo", che significa "colui che divide" (da diaballo).
Satana, quindi, e il diavolo indicano la stessa realtà.
Quando gli evangelisti vogliono indicare che
tale realtà riguarda il popolo di Israele,
adoperano il termine "satana", mentre
quando vogliono indicare che riguarda tutti
quanti, adoperano il termine "diavolo". Nei
vangeli nessuno è posseduto dal diavolo, al
contrario in molti passi si parla di persone
possedute da demoni. In realtà molte
malattie in quel tempo erano imputate alla
presenza di qualche demone. (Lc 8,2 ; Mt
12,22)
Il Satana aveva un ruolo particolare.
Era “l’accusatore” (Ap12,10). Non
era un nemico di Dio, ma era un
funzionario della corte divina che
stava in cielo. Scendeva poi sulla
terra, osservava il comportamento
delle persone, e seduto alla sinistra
di Dio le accusava. (cfr Giobbe 1)
Con Gesù il povero diavolo si è
trovato in cassa integrazione, perché
il Dio di Gesù ama tutti quanti. Ecco
perché nel Vangelo di Luca c'è
quell'immagine stupenda di Gesù
che vede il diavolo precipitare come
folgore sulla terra (Lc 10,18)! Con
Gesù il diavolo non ha più accesso al
cielo!
“I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo
nome". 18
Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19
Ecco, io vi ho dato il potere di
camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20
Non
rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono
scritti nei cieli". (luca 10,17-20)
Quindi Matteo presenta Gesù che va nel deserto (eremos) per essere tentato (peirazo) dal
diavolo. L’ azione tentatrice del diavolo, verrà riproposta in seguito dalle persone pie e religiose
(farisei, sacerdoti e l’apostolo Simone detto Pietro) che tenteranno Gesù fin sulla croce (Mt
27,40).
La terza tentazione ha come “location” un monte altissimo ed è quella che vedremo nel
dettaglio.
“Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un
monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo
con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti
darò, se, prostrandoti, mi adorerai»”.
il monte altissimo: la tentazione del potere
E’ la tentazione suprema. Il monte non è indicato, non è un
monte geografico, un monte topografico. É un monte molto
alto. L’indicazione è importante. A quell’epoca il monte,
essendo il luogo della terra più alto e più vicino al cielo, era
considerato la dimora degli dei. Questo brano va interpretato
all’interno di un contesto culturale dove tutti coloro che
detenevano un potere avevano la condizione divina.
Il diavolo, portando Gesù sul monte alto, gli offre la condizione divina attraverso il potere.
Infatti l’evangelista scrive
“gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse
“queste cose io ti darò”.
La denuncia dell’evangelista è grave! “Io ti darò” significa che il potere e la gloria del mondo
sono del diavolo, del tentatore, e quindi sono diabolici, e lui li dà a chiunque lavora per lui.
Coloro che detengono il potere (Mt
2,1-5 Lc 23,8-9
Mt26,56-67 Mt27,11) , tutti
coloro che ambiscono al potere
(Mt20,20-27) vedranno
l’annuncio di Gesù come un qualcosa
che scombina i loro piani.
“vattene satana”
“Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana!»”. Il termine
“satana” riguarda Israele, perché è il termine ebraico.
“Vattene, satana!” (Upaghe, satana) si riferisce quindi al
popolo ebraico. Per il popolo ebraico infatti l’immagine del
Messia era quella di un Messia potente, dominatore, un
Messia che era il figlio di Davide, cioè che si sarebbe
comportato come il re Davide. Gesù rifiuta questa
immagine del Messia del popolo ebraico e lo chiama satana.
L’unica altra volta che Gesù si rivolgerà a qualcuno con
queste espressioni sarà a un suo discepolo, a Simone (Mt
16,23a).
Perché? Gesù chiede ai suoi discepoli se hanno capito chi egli sia.
Finalmente Simone dice “Tu sei il Figlio del Dio vivente”, non più il
figlio di Davide, ma il Figlio di Dio. Gesù, adesso che finalmente
hanno capito chi è il Messia, annuncia il suo programma e dice loro
che andrà a Gerusalemme, ma non ad essere incoronato re, ma ad
essere assassinato dal Sinedrio. Allora Pietro afferrò Gesù, lo attirò a
sé e cominciò a sgridarlo. L’evangelista usa il verbo (Epitimao) che
si adoperava per gli esorcismi, perché per Simone detto Pietro
quello che Gesù sta dicendo è demoniaco! Pietro usa un’espressione
(Ileos soi) che poi è stata tradotta “Dio abbia misericordia di te!”,
che si usava per gli idolatri. Gesù allora si rivolge a Pietro e gli dice
“Vattene, Satana!”, le stesse parole rivolte al diavolo nel deserto.
Gesù e Barabba (Mt 27,15-26)
Al culmine del processo Pilato fa scegliere tra Gesù e Barabba.
Uno dei due verrà liberato. Ma chi era Barabba? Nel Vangelo di
Giovanni: «Barabba era un brigante» (18,40). Ma la parola
greca poteva assumere il significato di «combattente della
resistenza». Barabba aveva partecipato a una sommossa (Mc
15,7) ed era accusato di omicidio (Lc 23, 19.25). Matteo dice
che Barabba era un «prigioniero famoso», probabilmente il
vero capo di quella rivolta ( Mt 27,16). La scelta tra Gesù e
Barabba non è casuale: due figure messianiche, due forme di
messianismo si confrontano.
Questo diventa ancor più evidente se consideriamo che Bar-Abbas
significa «figlio del padre». È una tipica denominazione messianica,
il nome religioso di uno dei capi eminenti del movimento
messianico. Da Origene apprendiamo un dettaglio interessante: in
molti manoscritti dei Vangeli fino al III secolo l’uomo in questione si
chiamava «Gesù Barabbas» – Gesù figlio del padre. Si pone come
una sorta di alter ego di Gesù, che rivendica la stessa pretesa, in
modo però completamente diverso. La scelta è quindi tra un Messia
che capeggia una lotta, che promette libertà e il suo proprio regno,
e questo misterioso Gesù, che annuncia come via alla vita il perdere
se stessi. La terza tentazione di Gesù si rivela così come quella
fondamentale: cosa debba fare un salvatore del mondo, come deve
agire? Essa pervade tutta la vita di Gesù.
Mt 17…Li condusse sopra un alto monte
il monte della trasfigurazione
Sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in
disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia
risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi
come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano
conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore,
è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende: una per te,
una per Mosè e una per Elia». Mentre egli parlava ancora,
una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una
voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto,
nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo». I discepoli,
udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran
timore. Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi,
non temete». Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno,
se non Gesù stesso, solo.
Καὶ μεθ’ ἡμέρας ἓξ παραλαμβάνει ὁ Ἰησοῦς τὸν
Πέτρον καὶ Ἰάκωβον καὶ Ἰωάννην τὸν ἀδελφὸν
αὐτοῦ, καὶ ἀναφέρει αὐτοὺς εἰς ὄρος ὑψηλὸν κατ’
ἰδίαν. καὶ μετεμορφώθη ἔμπροσθεν αὐτῶν, καὶ
ἔλαμψεν τὸ πρόσωπον αὐτοῦ ὡς ὁ ἥλιος, τὰ δὲ
ἱμάτια αὐτοῦ ⸀ἐγένετο λευκὰ ὡς τὸ φῶς. καὶ ἰδοὺ
⸀ὤφθη αὐτοῖς Μωϋσῆς καὶ Ἠλίας ⸂συλλαλοῦντες
μετ’ αὐτοῦ⸃. ἀποκριθεὶς δὲ ὁ Πέτρος εἶπεν τῷ
Ἰησοῦ· Κύριε, καλόν ἐστιν ἡμᾶς ὧδε εἶναι· εἰ θέλεις,
⸀ποιήσω ὧδε τρεῖς σκηνάς, σοὶ μίαν καὶ Μωϋσεῖ
μίαν καὶ ⸂Ἠλίᾳ μίαν⸃. ἔτι αὐτοῦ λαλοῦντος ἰδοὺ
νεφέλη φωτεινὴ ἐπεσκίασεν αὐτούς, καὶ ἰδοὺ
φωνὴ ἐκ τῆς νεφέλης λέγουσα· Οὗτός ἐστιν ὁ υἱός
μου ὁ ἀγαπητός, ἐν ᾧ εὐδόκησα· ⸂ἀκούετε αὐτοῦ⸃.
6
καὶ ἀκούσαντες οἱ μαθηταὶ ἔπεσαν ἐπὶ
πρόσωπον αὐτῶν καὶ ἐφοβήθησαν σφόδρα. καὶ
⸂προσῆλθεν ὁ Ἰησοῦς καὶ ἁψάμενος αὐτῶν⸃ εἶπεν·
Ἐγέρθητε καὶ μὴ φοβεῖσθε. ἐπάραντες δὲ τοὺς
ὀφθαλμοὺς αὐτῶν οὐδένα εἶδον εἰ μὴ ⸀αὐτὸν
Ἰησοῦν μόνον.
“sei giorni dopo”
Il numero “sei” nel simbolismo biblico ricorda due
importanti avvenimenti.
Il primo è quello nel quale Dio convoca Mosè sul
monte Sinai e gli manifesta la sua gloria. Quindi - è
una prima indicazione – l’ evangelista ci invita a fare
attenzione, perché qui Gesù manifesterà la sua gloria
in Dio. Il secondo avvenimento che ha a che fare col
numero “sei”, è la creazione dell’uomo. Dio creò
l’uomo il sesto giorno.
I vangeli sono un capolavoro letterario e teologico, un
concentrato di ricchezze e di significati scritto dal teologo
di una comunità. Quando questi lo inviava ad un’altra
comunità, non veniva letto dalla gente, che non sapeva
leggere. C’era un incaricato, che si chiamava “il lettore”, la
persona colta della comunità, che lo rendeva accessibile a
tutti (Mc13,14). Per far si che questa interpretazione fosse
esatta, l’evangelista inseriva nel testo delle particolari
chiavi di lettura, in modo che chi leggeva le comprendesse
bene. Il numero “sei” è una chiave di lettura. L’evangelista
vuol dire al lettore di porre attenzione perché qui si
manifesta la gloria di Dio e vi è una relazione con la
creazione dell’uomo, che avvenne il sesto giorno.
“Gesù prese con sé Pietro”
C’è un discepolo di Gesù, che di nome fa
Simone, al quale Gesù mette un soprannome
negativo che indica la sua testardaggine,
Pietro (Petros-Kefa). Pietro difatti significa
“testa dura”. Mai Gesù si rivolgerà a lui
chiamandolo Pietro, lo chiamerà sempre
Simone, mentre gli evangelisti alterneranno i
nomi: Simone, Simon Pietro e Pietro come
chiavi di lettura.
Quando nel vangelo troviamo Simone, rarissime
volte, ciò significa che il discepolo era in linea con
l’insegnamento di Gesù.
Quando troviamo Simon Pietro, nome e soprannome
negativo, significa che il discepolo è partito bene ma
che è finito male.
Quando troviamo solamente, come in questo caso, il
soprannome negativo, Pietro, è perché farà
esattamente il contrario di quello che Gesù gli ha
detto di fare.
“Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello”
Giacomo e Giovanni sono i due fratelli fanatici,
ambiziosi, violenti (Lc 9,54), che a causa della loro
ambizione hanno spaccato il gruppo. Sapete che
Gesù, prossimo alla sua morte, per la terza volta dice
che va a Gerusalemme ad essere ammazzato.
Arrivano Giacomo e Giovanni con la madre e
chiedono di ottenere i posti più importanti. Non
hanno capito assolutamente niente. Sono convinti di
seguire un Messia trionfante.
“in disparte, su un alto monte”
Anche Pietro ha attirato a sé Gesù per gridargli che l’idea di
un Messia ammazzato era inaccettabile. Pietro non accetta la
morte di Gesù, perché per lui la morte è la fine di tutto. Allora
Gesù chiama questi discepoli, i suoi tentatori, “e li condusse
in disparte su un alto monte”. Come satana ha portato Gesù
su un monte molto alto, così Gesù conduce i suoi tentatori su
un monte alto, e qui c’è un’altra di quelle chiavi di lettura: “in
disparte” (kat' idiàn). Ogni volta che nei vangeli troviamo “in
disparte”, c’è qualcosa di negativo. Normalmente indica una
resistenza da parte dei discepoli di comprendere, di accettare
il programma di Gesù. (Mt16,22-23 Mt 19,17-21)
“E fu trasfigurato davanti a loro”
Quindi Gesù li porta su un monte alto, il luogo della
condizione divina, e lì “fu trasfigurato” (v. 2). Gesù non si
trasfigurò, “fu trasfigurato” (metemòrfote), l’autore della
metamorfosi è Dio, il Padre. Ai discepoli, per i quali la
morte è la fine di tutto e che non accettano la sua morte,
Gesù mostra qual è la condizione dell’uomo che passa
attraverso la morte. La morte non distrugge la persona, ma
la potenzia. La morte è una nuova creazione dell’individuo
da parte di Dio, è una trasformazione, è una
trasfigurazione.
Trasfigurazione di Gesù, Raffaello
“il suo volto brillò come il sole”
Splendere come il sole indica la pienezza della
condizione divina. In quel Gesù che i tre pensano
finito, distrutto dalla morte, splende invece la
condizione divina. Chi vive mettendo la propria
esistenza al servizio degli altri, trasfigura sé
stesso. Questa trasfigurazione non comincia al
momento della morte, ma inizia in vita. Più noi
amiamo e serviamo gli altri, più risplendiamo di
luce.
Quindi in Gesù si manifesta la pienezza della condizione divina. La
morte non distrugge le persone, ma le potenzia. Non c’è paragone tra la
vita che abbiamo nella carne e quella del corpo spirituale che ci sarà
data dopo che avremo attraversato la soglia della morte. Gesù ai
discepoli per i quali la morte è la fine di tutto, mostra invece che la
morte non è la fine, ma il passaggio ad una realtà talmente bella che
per descriverla non ci sono parole. Vedete, anche l’evangelista deve
immaginare il sole, deve immaginare la luce, perché non ci sono parole
per indicare la bellissima realtà dell’uomo che passa attraverso la
morte.
“Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui”.
Compaiono i due personaggi che
racchiudono nella loro figura quello
che noi chiamiamo l’Antico
Testamento. Mosè era l’autore dei
primi cinque libri, Elia era il
massimo dei profeti. Sono due
uomini che anche attraverso la
violenza hanno imposto la legge del
loro Dio.
• Mosè dopo i quaranta giorni scende dal
monte e trova il suo popolo che fa festa. Si
arrabbia talmente tanto che in un giorno
ammazza tremila persone! (Es32,27)
• Elia è il profeta fanatico, violento, come
sono fanatiche e violente tutte le persone
che mettono Dio al primo posto nella loro
esistenza. Elia per onorare il suo Dio ha
disonorato gli uomini. Ha sfidato i sacerdoti
di un’altra civiltà, ha vinto. Gli poteva
bastare la soddisfazione morale, invece ne
sgozzò quattrocentocinquanta! (1Re18,40)
Ecco perché Gesù ha cambiato
l’orientamento: non Dio al primo posto, ma
l’uomo. Facendo il bene all’uomo fai pure il
bene a Dio, mentre facendo il bene a Dio
rischi di non fare il bene all’uomo
(Lc10,25-37). Quante volte per onorare Dio
si disonorano gli uomini!
Mosè ed Elia non parlano con i discepoli, non
hanno più nulla da dire, rappresentano il
passato. Gesù occupa il posto in mezzo a
loro (indica il più grande, il più importante).
Il buon samaritano, Van Gogh
“tre capanne”
Pietro vuole costruire tre capanne (skènai).
Perché tre capanne? Ricordate la tentazione del
diavolo che porta Gesù sul pinnacolo del tempio
e gli suggerisce di fare quello che la gente si
aspetta (Mt4,5)? La gente credeva che il Messia
si sarebbe manifestato nella festa più
importante di Israele, che era la festa delle
capanne. Allora si diceva che il Messia, dovendo
essere come Mosè, doveva liberare il suo popolo
dalla schiavitù, dalla prigionia, dalla
dominazione romana, durante la festa delle
capanne.
“una per te, una per Mosè ed una per Elia”
Quindi Pietro vuole che Gesù si manifesti
come Messia! Vuole fare tre capanne, una per
Gesù, una per Mosè e una per Elia. Attenzione
alla sequenza dei nomi! Al centro non c’è Gesù,
c’è Mosè. Ecco la tentazione di Pietro, Mosè. É
questo il Messia che lui vuole, un Messia che
osservi la legge di Mosè e che abbia lo stesso
zelo violento di Elia. É questo il Messia di
Pietro, che continua a tentare Gesù.
«Questi è il Figlio nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo.»
Dio stesso interviene, blocca Pietro, e dice che Gesù
è suo Figlio, è colui che gli assomiglia (gen 1,26), il
suo erede, colui che ha tutto quello che ha lui. Vi è
un ordine imperativo, “ascoltatelo” (akoùete autoù),
cioè ascoltate lui, non Mosè o Elia. Mosè (la legge)
ed Elia (i profeti) non hanno nulla da dire ai discepoli
di Gesù. Tutto quello che nell’AT non coincide, non
combacia, non è in sintonia con l’insegnamento di
Gesù, non sarà più norma di comportamento
all’interno della comunità cristiana. Gesù è l’amato in
cui si svela il volto dell’amore.
"E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno
di questa visione"
L'evangelista tende a sottolineare che quello che è successo non è
un'esperienza storica, reale, ma una visione, cioè un qualcosa che
appartiene al livello della fede, non dell'esperienza storica. A questi
discepoli, che sono ancora incapaci di seguirlo sulla croce, Gesù
proibisce di parlare della loro esperienza, perché non comprendono
ancora che la condizione divina passa attraverso la morte; pensano
che la condizione divina venga data dall'alto come una concessione da
parte di Dio, mentre Gesù insegna che passa dal basso, attraverso il
dono di sé. Solo quando Gesù sarà morto e quindi resuscitato, tutto
questo sarà chiaro e allora potranno parlare di questa condizione di
una vita indistruttibile.
MT 5,1-10 “vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna”
il monte delle beatitudini
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si
avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava
loro dicendo: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno
dei cieli.
Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché
saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei
cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa
mia.
Ἰδὼν δὲ τοὺς ὄχλους ἀνέβη εἰς τὸ ὄρος· καὶ
καθίσαντος αὐτοῦ προσῆλθαν αὐτῷ οἱ μαθηταὶ
αὐτοῦ· καὶ ἀνοίξας τὸ στόμα αὐτοῦ ἐδίδασκεν
αὐτοὺς λέγων· Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ
πνεύματι, ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν
οὐρανῶν. μακάριοι οἱ πενθοῦντες, ὅτι αὐτοὶ
παρακληθήσονται. μακάριοι οἱ πραεῖς, ὅτι
αὐτοὶ κληρονομήσουσι τὴν γῆν. μακάριοι οἱ
πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην, ὅτι
αὐτοὶ χορτασθήσονται. μακάριοι οἱ ἐλεήμονες,
ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, ὅτι αὐτοὶ τὸν
θεὸν ὄψονται. μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί, ὅτι
αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται. μακάριοι οἱ
δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης, ὅτι αὐτῶν
ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν. μακάριοί ἐστε
ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ
εἴπωσιν πᾶν ⸀πονηρὸν καθ’ ὑμῶν ψευδόμενοι
ἕνεκεν ἐμοῦ.
“Gesù salì sulla montagna”
Attenzione, qui c’è l’articolo determinativo! Un conto è dire
“un” monte, un conto è dire “il” monte. Ciò significa che è
un monte conosciuto. Matteo scrive per dei giudei che
conoscono benissimo la loro storia. Il monte per eccellenza
era quindi il monte Sinai, dove Dio si era manifestato e
aveva dato le tavole dell’alleanza tra lui ed il suo popolo.
Questo monte, quindi, rappresenta il monte Sinai, cioè il
luogo della presenza divina.
“e messosi a sedere”,
Ogni particolare è importante. Perché si mise a sedere? Perché il
Messia lo immaginavano seduto alla destra di Dio. Gesù, che
l’evangelista ha presentato come il Dio con noi, manifesta così la
pienezza della condizione divina.
“gli si avvicinarono i suoi discepoli”
Nell’AT soltanto Mosè poteva avvicinarsi al monte. Chi si
avvicinava al monte moriva fulminato. Con Gesù avvicinarsi alla
condizione divina è possibile a tutte le persone.
“Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo”
É un’ espressione solenne che introduce questo
testo meraviglioso delle beatitudini. Ma, prima
di procedere, perché l’evangelista ci presenta le
beatitudini?
Mosè sul monte proclamò “il decalogo”, cioè i
dieci comandamenti, l’alleanza tra Dio e il suo
popolo. Dopo pronunciò quello che è il credo di
Israele, esordendo con una parola ebraica,
“shemà”, che significa “ascolta”.
Ebbene, Gesù proclama ora le beatitudini, e dopo
insegnerà il “Padre Nostro”, che è la formula di
accettazione delle beatitudini.
Quindi le beatitudini e il “Padre Nostro” sono in
parallelo ai dieci comandamenti e al credo di
Israele. Le beatitudini sono l’impegno, e il “Padre
Nostro” la formula dell’impegno.
il significato dei numeri 8 e 72
Le beatitudini in Matteo sono otto. Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la
settimana, cioè l’ottavo giorno, e nel simbolismo cristiano primitivo il numero otto
indicava la resurrezione, la vita eterna. Quindi il numero otto significa che la pratica
delle beatitudini garantisce una vita capace di superare la morte.
L’evangelista compone il brano usando 72 parole. Gesù nel Vangelo di Luca invia 72
discepoli perché a quell’epoca, (cfr Genesi 10), le nazioni pagane erano 72.
L’evangelista vuol dire che, se i dieci comandamenti sono per il popolo di Israele, le
beatitudini sono per tutta l’umanità.
“Beati i poveri per lo spirito perché di questi è il regno dei cieli”
Gesù dice “beati” (makarioi). La beatitudine è una
condizione divina, significa il massimo della felicità che
può desiderare un uomo. Mentre i comandamenti sono
impositivi e obbligano a fare le cose, Gesù invita alla
pienezza di vita e di felicità. Matteo ricalca i
comandamenti. Il primo comandamento è quello
dell’accettazione di Dio Padre, unica divinità, e poi
vengono i doveri nei confronti di Dio. Ebbene, anche
qui la prima beatitudine è l’accettazione del Padre
come unico Dio.
“poveri per lo spirito”.
Gesù non dice “beati quelli che sono poveri”, ma dice che quelli
che volontariamente, per la forza dello spirito, scelgono di
entrare nella categoria dei poveri, per toglierli da questa
condizione, questi sono beati. É il principio della condivisione
(Mt 14,15-21). San Paolo si rivolge a noi con l’espressione
“Gesù da ricco che era si è fatto povero perché noi poveri
fossimo ricchi” (2Cor 8,9). Gesù sta facendo una proposta a tutti
quanti: scegliete di abbassare la vostra condizione di vita, il
vostro tenore di vita, per permettere a quelli che l’hanno troppo
basso di alzarlo un po’. Gesù ci invita con questa beatitudine a
prenderci cura delle persone che non hanno niente.
“di questi è il regno dei cieli”.
Il verbo è al presente. Gesù non dice “sarà”, ma “è”. Se
avesse detto “sarà”, si poteva intendere l’aldilà. Invece è
l’unica beatitudine che ha un verbo al presente, il che
significa qualcosa che è possibile ottenere subito, che è
immediata. Il regno dei cieli è il mondo dove la volontà di
Dio è realizzata (Gv 6,40), cioè dove ogni uomo ha
dignità e vita in pienezza, senza mancare di nulla. Chi
mosso dalla Spirito contribuisce alla realizzazione del
regno è già nel regno.
La beatitudine dei poveri per lo spirito non è stata
messa a caso al primo posto. É la condizione
perché esistano tutte le altre, è la più importante.
Per questa ragione è l’unica, insieme all’ultima, che
ha il verbo al presente. Gesù promulga la nuova
alleanza con un invito alla piena felicità, che non
consiste in ciò che gli altri faranno per te, ma in ciò
che tu farai per gli altri. Ecco perché Gesù dice che
“c’è più gioia nel dare che nel ricevere”!
Negli Atti (4, 34) si legge che nelle prime comunità
cristiane nessuno era bisognoso. Quando c’è la
condivisione dei beni, non c’è uno che ha troppo e uno
che manca di tutto. La condivisione crea l’uguaglianza e
l’abbondanza. Per questo Gesù nell’unica preghiera che ha
insegnato, il “Padre Nostro”, che è la formula di
accettazione delle beatitudini, dice “e rimetti” (afès), cioè
cancella, “i nostri debiti, come noi li cancelliamo, “ai
nostri debitori”.
“Beati gli afflitti perché saranno consolati”.
Se c’è un gruppo che prende sul serio la prima beatitudine,
il primo effetto è che le persone che sono state schiacciate
dalla società, gli oppressi, gli afflitti, questi vedranno la fine
della loro oppressione, perché c’è una comunità che si
prende cura di loro.
E attenzione al verbo che l’evangelista adopera. Egli non
dice “confortati”(eniskuo), ma “consolati”(parakaleo) (Is
61,2-3) .
Il conforto ti lascia come ti trova; la consolazione elimina
alla radice la causa della sofferenza. (Ap 21,4)
“Beati i miti, perché erediteranno la terra”
Qui i miti ai quali Gesù si riferisce sono i miti del salmo 37,11
mitezza che non indica una qualità della persona, ma una
condizione sociale. É la stessa differenza che c’è tra “umile” e
“umiliato”. Qui si parla di persone che sono state umiliate.
Ebbene, Gesù parla dei diseredati - e questo è il significato di
miti - , cioè di quelli che hanno perso tutto, che non hanno più
nulla, e dice loro: “beati” perché se c’è una comunità che
accoglie la prima beatitudine, quella di farsi carico dei problemi
degli ultimi della terra, questi erediteranno non “una” terra, ma
“la” terra, con l’articolo determinativo che indica la totalità. In
altri termini, riceveranno una dignità che non hanno mai
conosciuto.
“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”
La giustizia è una cifra caratteristica di Matteo, non ha a
che fare con la giustizia sociale ma esprime un agire
umano conforme alla volontà e alla Legge di Dio. Aver
«fame e sete di giustizia» significa desiderare di mettere in
pratica la volontà di Dio: è l'atteggiamento nel quale i
credenti in Gesù devono superare addirittura lo zelo dei
farisei (cfr. Mt 5,20; 6,1). Di conseguenza, i perseguitati a
causa della giustizia sono coloro che subiscono la
persecuzione a causa del loro impegno di vita nel compiere
la volontà di Dio
“perché saranno saziati”
Gesù presenta due situazioni di ingiustizia. Costoro
saranno saziati. L’evangelista, anziché adoperare il
verbo “nutrire”, adopera il verbo “saziare” (cortazo),
che si adoperava quasi sempre per gli animali, nel
senso di mangiare fino a scoppiare. Matteo lo adopera
soltanto due volte, qui e nei due episodi della
condivisione dei pani e dei pesci, quando la gente
mangerà fino ad essere satolla (Mt 15,37).
La misericordia come la giustizia è un attributo di Dio. Come Dio è
misericordioso, anche i discepoli di Gesù sono invitati ad essere
compassionevoli, e perdonare i peccati, tematica sulla quale
Matteo insiste molto, e che spiega il nome stesso di Gesù (Mt
1,21), il dono della sua vita nell'ultima cena (Mt 26,28), e tutti gli
insegnamenti del Maestro sul perdonarsi a vicenda. Gesù dice che
quelli che abitualmente aiutano gli altri, sono beati, perché ogni
volta che avranno bisogno riceveranno anch’essi aiuto da parte di
Dio.
“beati i misericordiosi”
“Beati i puri di cuore”
La purità è un tema sensibile in tutto il giudaismo e quindi
nel vangelo di Matteo. La beatitudine che la descrive, come
la prima sulla povertà, è costruita con un dativo di
relazione che la applica al «cuore», intendendo con esso
tutto l'uomo.
Il puro di cuore è l’uomo trasparente, che non ha bisogno
di nascondersi dietro le maschere o i ruoli, che non
nasconde le sue ferite e le riconosce nelle ferite degli altri.
“perché vedranno Dio”
Quanto al verbo “vedere”, in greco ci sono in realtà due verbi:
1. uno indica la capacità di comprensione interiore (orao da cui la
parola oracolo), 2. e l’altro per la percezione fisica (blepo).
Il verbo che l’evangelista adopera per i puri di cuore “che vedranno
Dio”, non indica la vista fisica. Costoro non vedranno Dio con la
vista fisica, ma lo percepiranno come una profonda, abituale
esperienza nella loro esistenza (Gv 20,8). Non avranno visioni, ma
percepiranno la sua presenza. Gesù ci garantisce che chi accoglie la
prima beatitudine, quella della povertà, chi vive per gli altri ed è una
persona trasparente si rende conto della presenza di Dio nella sua
esistenza.
“Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”
Sono tutti quelli che cercano quel bene che è non solo l'assenza di guerra,
ma la concordia, la comunione con Dio e con gli altri.
In un testo mishnaico si dice che tre cose portano profitto per questo
mondo e per quello futuro, «Onorare il padre e la madre, praticare la
misericordia e riportare la pace tra un uomo e il suo prossimo». I
costruttori di pace ·devono anzitutto cercarla riconciliandosi coi loro
avversari, come Gesù dirà più avanti (Mt 5,21-26), e così saranno chiamati
«figli di Dio» assomigliando al Padre, che è egli stesso la pace (Is 9 ,5).
Il termine “pace” nella lingua ebraica (shalom) indica tutto quello che
concorre alla felicità degli uomini. Gesù ci sta dando un’immagine di chi è
Dio. Se quelli che lavorano per la pace degli uomini, Dio li chiama figli suoi,
cioè li riconosce come persone che gli assomigliano, Dio è colui che lavora
per la pace e la serenità degli uomini.
“Beati i perseguitati per la giustizia, perché di questi è il regno dei cieli”.
Al presente, esattamente come la prima beatitudine.
Cosa vuol dire Gesù? Se siete fedeli alle beatitudini,
non aspettatevi l’applauso della società. Al contrario,
vi perseguiteranno, perché il vostro modo di operare
denuncerà le loro ingiustizie. Il verbo “perseguitare”
(diòko) indica la persecuzione in nome di Dio, la
persecuzione religiosa. Gesù dice che coloro che vi
ostacoleranno e vi perseguiteranno sono all’interno
della comunità.
Mt 28,16 “Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato
“il monte del risorto”.
Allora Gesù disse loro: "Non temete; andate ad
annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là
mi vedranno".[...]
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea,
sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo
videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si
avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere
in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli
tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a
osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
τότε λέγει αὐταῖς ὁ Ἰησοῦς· Μὴ φοβεῖσθε·
ὑπάγετε ἀπαγγείλατε τοῖς ἀδελφοῖς μου ἵνα
ἀπέλθωσιν εἰς τὴν Γ
αλιλαίαν, κἀκεῖ με ὄψονται. [...]
Οἱ δὲ ἕνδεκα μαθηταὶ ἐπορεύθησαν εἰς τὴν
Γ
αλιλαίαν εἰς τὸ ὄρος οὗ ἐτάξατο αὐτοῖς ὁ
Ἰησοῦς, καὶ ἰδόντες αὐτὸν ⸀προσεκύνησαν, οἱ δὲ
ἐδίστασαν. καὶ προσελθὼν ὁ Ἰησοῦς ἐλάλησεν
αὐτοῖς λέγων· Ἐδόθη μοι πᾶσα ἐξουσία ἐν
οὐρανῷ καὶ ἐπὶ ⸀τῆς γῆς· πορευθέντες ⸀οὖν
μαθητεύσατε πάντα τὰ ἔθνη, ⸀βαπτίζοντες
αὐτοὺς εἰς τὸ ὄνομα τοῦ πατρὸς καὶ τοῦ υἱοῦ καὶ
τοῦ ἁγίου πνεύματος, διδάσκοντες αὐτοὺς
τηρεῖν πάντα ὅσα ἐνετειλάμην ὑμῖν· καὶ ἰδοὺ ἐγὼ
μεθ’ ὑμῶν εἰμι πάσας τὰς ἡμέρας ἕως τῆς
συντελείας τοῦ ⸀αἰῶνος.
GERUSALEMME
Nel Vangelo di Matteo Gesù risorto non
appare mai a Gerusalemme, città tanto santa
quanto assassina.
Fin dall'inizio del Vangelo viene messa
nell'ombra sinistra della morte. Quando a
Gerusalemme viene annunciata la nascita di
Gesù, Erode e tutta Gerusalemme tremarono e
la stella cometa, questo segno divino che
guida i magi, non splenderà mai su
Gerusalemme. Secondo Matteo Gerusalemme
è luogo di morte, è luogo di una istituzione
religiosa che assassina in nome di Dio. Allora
bisogna lasciare Gerusalemme per andare in
Galilea: chi vi rimane dentro, dentro il tempio,
dentro l'istituzione religiosa, non potrà fare
mai l'esperienza di Gesù risorto.
“È risuscitato dai morti, vi precede in Galilea”.
Nel Vangelo di Matteo c'è un'affermazione strana, che
poi verrà confermata da Gesù; l'angelo dice: "Gesù è
stato risuscitato, vi precede in Galilea; là lo vedrete".
E perché? Se andiamo a leggere il Vangelo di
Giovanni o il Vangelo di Luca il discorso sembra più
coerente: Gesù si presenta ai suoi lo stesso giorno
che è risuscitato. Mentre nel Vangelo di Matteo si
legge: "Volete vederlo resuscitato? Andate in Galilea".
I Vangeli non vogliono trasmetterci delle descrizioni storiche, ma delle verità teologiche valide per i
lettori di tutti i tempi. La resurrezione di Gesù, il fatto di averlo visto risorto non è un privilegio che
è stato concesso duemila anni fà a qualche decina di privilegiati, ma un'esperienza possibile per i
credenti di tutti i tempi.
Ma ora come allora per VEDERE (orao) il risorto dobbiamo salire sul monte che Lui ha indicato: il
monte delle beatitudini.
“la’ lo vedrete”
VEDERE (orao) è lo stesso verbo usato da Matteo nei "beati i puri di
cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Comprendete come questi
monti sono collegati l'uno con l'altro e, in fondo sono lo stesso
monte, il monte della sfera divina. Chi vuol vedere Dio, chi vuol fare
l'esperienza del risuscitato, deve essere "puro di cuore" (Salmo
24,4). Le persone limpide, le persone trasparenti avranno
un'esperienza profonda di Dio nella loro vita. La visione di Dio non è
un premio riservato al futuro, ma una costante e quotidiana
esperienza nel presente alla quale siamo tutti quanti invitati.
“in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato"
Si parla di Galilea, di una regione. Perché l'evangelista scrive che gli
undici andarono in Galilea su di un monte che Gesù aveva loro fissato,
quando Gesù non ha fissato alcun monte? Qual è questo monte?
Questo monte non indica un luogo, ma una verità. Il monte è
quell'unico monte della Galilea che viene citato nel Vangelo di Matteo,
cioè il monte delle beatitudini. La resurrezione di Gesù non è stato un
privilegio per poche persone duemila anni fa, ma una possibilità per
tutti i tempi. L'evangelista in pratica sta dicendo questo: "Volete
sperimentare che Gesù è resuscitato? Andate in Galilea sul monte delle
beatitudini". nella pratica e nella fedeltà del messaggio di Gesù, che è
concentrato nelle beatitudini, si fa l'esperienza di Gesù resuscitato.
"Quando lo videro, si prostrarono alcuni però dubitavano"
Perché dubitano? Questo verbo (distàzo) si trova, sempre in Matteo,
nell'episodio di Gesù che cammina sulle acque (Mt 14,22-33).
Gesù ha mostrato la sua condizione divina e Pietro dice: "Voglio anch'io
camminare sulle acque" e ci prova; ma, scrive l'evangelista, vedendo il
vento comincia ad affondare. E Gesù gli si rivolge con le parole: "Uomo
di poca fede, perché hai dubitato?". Pietro pensava che la condizione
divina si ottenesse mediante un intervento dall'alto; Gesù dice di no, la
condizione divina si ottiene attraverso il dono della propria esistenza.
Gli undici vedono che Gesù è resuscitato, che è passato attraverso la
persecuzione e la morte, ma dubitano, cioè si chiedono: siamo noi
capaci di passare attraverso il dono di noi stessi per giungere a questa
condizione?
"Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra"
Quello che Satana aveva promesso a Gesù - ti darò tutti i regni del
mondo e il pieno potere -, Gesù dice che già lo possiede, ma non l’ha
ottenuto attraverso il potere, ma attraverso il dono di sé.
Gesù, quando aveva chiamato i discepoli, aveva detto: "Seguitemi, vi
farò pescatori di uomini" (Mt 4,19): cosa significa essere "pescatori di
uomini"? Il mare è il luogo dove i pesci hanno la vita. Pescare un pesce
significa tirarlo fuori dal suo ambito vitale e trasferirlo in quello della
morte. Invece, pescare un uomo dal mare, che a lui darebbe la morte,
significa tirarlo fuori dall'ambito della morte e trasferirlo in quello della
vita. Come si fa questo?
"Andate dunque e fate miei discepoli tra tutte le nazioni"
.
"battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo"
Non è solo una formula liturgica per amministrare il
battesimo: il verbo "battezzare" (baptizo) significa
"immergere", ed è un invito valido per noi tutti.
Dobbiamo andare e immergere ogni persona nella
realtà d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo.
"Insegnando loro a praticare tutto ciò che vi ho comandato"
Il verbo "comandare" (entello), Gesù lo usa soltanto per le
beatitudini. Compito dei credenti è andare a praticare le
beatitudini. Gesù non li invia a trasmettere una dottrina,
ma ad insegnare una pratica, “tutto ciò che io vi ho
comandato” e cosa ha comandato Gesù? “Questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho
amato voi” (Gv15,9-17). Gesù chiede alla sua comunità di
andare a praticare le beatitudini. Questa è la maniera per
immergere ogni persona nella pienezza dell’amore di Dio.
Se c'è questa pratica…
Gesù, nel Vangelo di Matteo, non parte per un cielo lontano, ma
rimane con i suoi ad una condizione: chi pratica le beatitudini fa
l'esperienza di una presenza continua, profonda, interiore di
Gesù nella propria esistenza. Il paradiso è dove c'è Dio e Dio è là
dove si praticano le beatitudini. Il bellissimo invito, con il quale si
conclude il Vangelo di Matteo e questa nostra riflessione sui
monti del suo Vangelo, è rivolto ad ognuno di noi: chi vuol
sperimentare una vita di una qualità nuova, indistruttibile, chi
vuol sperimentare l'incontro con Gesù vivo e vivificante, basta
che si collochi sul monte delle beatitudini.
"io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo".
I 4 monti del vangelo di Matteo.pdf

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I 4 monti del vangelo di Matteo.pdf

  • 1. I 4 monti del vangelo di Matteo
  • 2. brani analizzati • Mt 4, 1-11 (tentazioni) • Mt 17, 1-8 (trasfigurazione) • Mt 5, 1-10 (beatitudini) • Mt 28, 16-20 (missione)
  • 3. Mt 4,8 il diavolo lo portò sopra un monte altissimo
  • 4. “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettando te ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano”. Il monte delle tentazioni
  • 5. “Πάλιν παραλαμβάνει αὐτὸν ὁ διάβολος εἰς ὄρος ὑψηλὸν λίαν, καὶ δείκνυσιν αὐτῷ πάσας τὰς βασιλείας τοῦ κόσμου καὶ τὴν δόξαν αὐτῶν καὶ ⸀εἶπεν αὐτῷ· Ταῦτά ⸂σοι πάντα⸃ δώσω, ἐὰν πεσὼν προσκυνήσῃς μοι. τότε λέγει αὐτῷ ὁ Ἰησοῦς· ⸀Ὕπαγε, Σατανᾶ· γέγραπται γάρ· Κύριον τὸν θεόν σου προσκυνήσεις καὶ αὐτῷ μόνῳ λατρεύσεις. 11 τότε ἀφίησιν αὐτὸν ὁ διάβολος, καὶ ἰδοὺ ἄγγελοι προσῆλθον καὶ διηκόνουν αὐτῷ.”
  • 6. “di nuovo il diavolo” Gli evangelisti usano attentamente i termini. Per noi "diavolo" (diàbolos) e "demonio" (daimonion) sono sinonimi, ma non è così nei vangeli, dove un conto è il "diavolo" e un conto sono i "demoni", sempre al plurale. Le due realtà non vanno mai confuse. Chi è il diavolo? Il termine ebraico "satàn" significa "avversario, nemico": è l'avversario di Dio. Quando la Bibbia dall'ebraico è stata tradotta in greco, venne fuori "diavolo", che significa "colui che divide" (da diaballo). Satana, quindi, e il diavolo indicano la stessa realtà.
  • 7. Quando gli evangelisti vogliono indicare che tale realtà riguarda il popolo di Israele, adoperano il termine "satana", mentre quando vogliono indicare che riguarda tutti quanti, adoperano il termine "diavolo". Nei vangeli nessuno è posseduto dal diavolo, al contrario in molti passi si parla di persone possedute da demoni. In realtà molte malattie in quel tempo erano imputate alla presenza di qualche demone. (Lc 8,2 ; Mt 12,22)
  • 8. Il Satana aveva un ruolo particolare. Era “l’accusatore” (Ap12,10). Non era un nemico di Dio, ma era un funzionario della corte divina che stava in cielo. Scendeva poi sulla terra, osservava il comportamento delle persone, e seduto alla sinistra di Dio le accusava. (cfr Giobbe 1)
  • 9. Con Gesù il povero diavolo si è trovato in cassa integrazione, perché il Dio di Gesù ama tutti quanti. Ecco perché nel Vangelo di Luca c'è quell'immagine stupenda di Gesù che vede il diavolo precipitare come folgore sulla terra (Lc 10,18)! Con Gesù il diavolo non ha più accesso al cielo! “I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18 Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19 Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20 Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli". (luca 10,17-20)
  • 10. Quindi Matteo presenta Gesù che va nel deserto (eremos) per essere tentato (peirazo) dal diavolo. L’ azione tentatrice del diavolo, verrà riproposta in seguito dalle persone pie e religiose (farisei, sacerdoti e l’apostolo Simone detto Pietro) che tenteranno Gesù fin sulla croce (Mt 27,40). La terza tentazione ha come “location” un monte altissimo ed è quella che vedremo nel dettaglio. “Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai»”.
  • 11. il monte altissimo: la tentazione del potere E’ la tentazione suprema. Il monte non è indicato, non è un monte geografico, un monte topografico. É un monte molto alto. L’indicazione è importante. A quell’epoca il monte, essendo il luogo della terra più alto e più vicino al cielo, era considerato la dimora degli dei. Questo brano va interpretato all’interno di un contesto culturale dove tutti coloro che detenevano un potere avevano la condizione divina.
  • 12. Il diavolo, portando Gesù sul monte alto, gli offre la condizione divina attraverso il potere. Infatti l’evangelista scrive “gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse “queste cose io ti darò”. La denuncia dell’evangelista è grave! “Io ti darò” significa che il potere e la gloria del mondo sono del diavolo, del tentatore, e quindi sono diabolici, e lui li dà a chiunque lavora per lui.
  • 13. Coloro che detengono il potere (Mt 2,1-5 Lc 23,8-9 Mt26,56-67 Mt27,11) , tutti coloro che ambiscono al potere (Mt20,20-27) vedranno l’annuncio di Gesù come un qualcosa che scombina i loro piani.
  • 14. “vattene satana” “Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana!»”. Il termine “satana” riguarda Israele, perché è il termine ebraico. “Vattene, satana!” (Upaghe, satana) si riferisce quindi al popolo ebraico. Per il popolo ebraico infatti l’immagine del Messia era quella di un Messia potente, dominatore, un Messia che era il figlio di Davide, cioè che si sarebbe comportato come il re Davide. Gesù rifiuta questa immagine del Messia del popolo ebraico e lo chiama satana. L’unica altra volta che Gesù si rivolgerà a qualcuno con queste espressioni sarà a un suo discepolo, a Simone (Mt 16,23a).
  • 15. Perché? Gesù chiede ai suoi discepoli se hanno capito chi egli sia. Finalmente Simone dice “Tu sei il Figlio del Dio vivente”, non più il figlio di Davide, ma il Figlio di Dio. Gesù, adesso che finalmente hanno capito chi è il Messia, annuncia il suo programma e dice loro che andrà a Gerusalemme, ma non ad essere incoronato re, ma ad essere assassinato dal Sinedrio. Allora Pietro afferrò Gesù, lo attirò a sé e cominciò a sgridarlo. L’evangelista usa il verbo (Epitimao) che si adoperava per gli esorcismi, perché per Simone detto Pietro quello che Gesù sta dicendo è demoniaco! Pietro usa un’espressione (Ileos soi) che poi è stata tradotta “Dio abbia misericordia di te!”, che si usava per gli idolatri. Gesù allora si rivolge a Pietro e gli dice “Vattene, Satana!”, le stesse parole rivolte al diavolo nel deserto.
  • 16. Gesù e Barabba (Mt 27,15-26) Al culmine del processo Pilato fa scegliere tra Gesù e Barabba. Uno dei due verrà liberato. Ma chi era Barabba? Nel Vangelo di Giovanni: «Barabba era un brigante» (18,40). Ma la parola greca poteva assumere il significato di «combattente della resistenza». Barabba aveva partecipato a una sommossa (Mc 15,7) ed era accusato di omicidio (Lc 23, 19.25). Matteo dice che Barabba era un «prigioniero famoso», probabilmente il vero capo di quella rivolta ( Mt 27,16). La scelta tra Gesù e Barabba non è casuale: due figure messianiche, due forme di messianismo si confrontano.
  • 17. Questo diventa ancor più evidente se consideriamo che Bar-Abbas significa «figlio del padre». È una tipica denominazione messianica, il nome religioso di uno dei capi eminenti del movimento messianico. Da Origene apprendiamo un dettaglio interessante: in molti manoscritti dei Vangeli fino al III secolo l’uomo in questione si chiamava «Gesù Barabbas» – Gesù figlio del padre. Si pone come una sorta di alter ego di Gesù, che rivendica la stessa pretesa, in modo però completamente diverso. La scelta è quindi tra un Messia che capeggia una lotta, che promette libertà e il suo proprio regno, e questo misterioso Gesù, che annuncia come via alla vita il perdere se stessi. La terza tentazione di Gesù si rivela così come quella fondamentale: cosa debba fare un salvatore del mondo, come deve agire? Essa pervade tutta la vita di Gesù.
  • 18. Mt 17…Li condusse sopra un alto monte
  • 19. il monte della trasfigurazione Sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo». I discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi, non temete». Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù stesso, solo.
  • 20. Καὶ μεθ’ ἡμέρας ἓξ παραλαμβάνει ὁ Ἰησοῦς τὸν Πέτρον καὶ Ἰάκωβον καὶ Ἰωάννην τὸν ἀδελφὸν αὐτοῦ, καὶ ἀναφέρει αὐτοὺς εἰς ὄρος ὑψηλὸν κατ’ ἰδίαν. καὶ μετεμορφώθη ἔμπροσθεν αὐτῶν, καὶ ἔλαμψεν τὸ πρόσωπον αὐτοῦ ὡς ὁ ἥλιος, τὰ δὲ ἱμάτια αὐτοῦ ⸀ἐγένετο λευκὰ ὡς τὸ φῶς. καὶ ἰδοὺ ⸀ὤφθη αὐτοῖς Μωϋσῆς καὶ Ἠλίας ⸂συλλαλοῦντες μετ’ αὐτοῦ⸃. ἀποκριθεὶς δὲ ὁ Πέτρος εἶπεν τῷ Ἰησοῦ· Κύριε, καλόν ἐστιν ἡμᾶς ὧδε εἶναι· εἰ θέλεις, ⸀ποιήσω ὧδε τρεῖς σκηνάς, σοὶ μίαν καὶ Μωϋσεῖ μίαν καὶ ⸂Ἠλίᾳ μίαν⸃. ἔτι αὐτοῦ λαλοῦντος ἰδοὺ νεφέλη φωτεινὴ ἐπεσκίασεν αὐτούς, καὶ ἰδοὺ φωνὴ ἐκ τῆς νεφέλης λέγουσα· Οὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν ᾧ εὐδόκησα· ⸂ἀκούετε αὐτοῦ⸃. 6 καὶ ἀκούσαντες οἱ μαθηταὶ ἔπεσαν ἐπὶ πρόσωπον αὐτῶν καὶ ἐφοβήθησαν σφόδρα. καὶ ⸂προσῆλθεν ὁ Ἰησοῦς καὶ ἁψάμενος αὐτῶν⸃ εἶπεν· Ἐγέρθητε καὶ μὴ φοβεῖσθε. ἐπάραντες δὲ τοὺς ὀφθαλμοὺς αὐτῶν οὐδένα εἶδον εἰ μὴ ⸀αὐτὸν Ἰησοῦν μόνον.
  • 21. “sei giorni dopo” Il numero “sei” nel simbolismo biblico ricorda due importanti avvenimenti. Il primo è quello nel quale Dio convoca Mosè sul monte Sinai e gli manifesta la sua gloria. Quindi - è una prima indicazione – l’ evangelista ci invita a fare attenzione, perché qui Gesù manifesterà la sua gloria in Dio. Il secondo avvenimento che ha a che fare col numero “sei”, è la creazione dell’uomo. Dio creò l’uomo il sesto giorno.
  • 22. I vangeli sono un capolavoro letterario e teologico, un concentrato di ricchezze e di significati scritto dal teologo di una comunità. Quando questi lo inviava ad un’altra comunità, non veniva letto dalla gente, che non sapeva leggere. C’era un incaricato, che si chiamava “il lettore”, la persona colta della comunità, che lo rendeva accessibile a tutti (Mc13,14). Per far si che questa interpretazione fosse esatta, l’evangelista inseriva nel testo delle particolari chiavi di lettura, in modo che chi leggeva le comprendesse bene. Il numero “sei” è una chiave di lettura. L’evangelista vuol dire al lettore di porre attenzione perché qui si manifesta la gloria di Dio e vi è una relazione con la creazione dell’uomo, che avvenne il sesto giorno.
  • 23. “Gesù prese con sé Pietro” C’è un discepolo di Gesù, che di nome fa Simone, al quale Gesù mette un soprannome negativo che indica la sua testardaggine, Pietro (Petros-Kefa). Pietro difatti significa “testa dura”. Mai Gesù si rivolgerà a lui chiamandolo Pietro, lo chiamerà sempre Simone, mentre gli evangelisti alterneranno i nomi: Simone, Simon Pietro e Pietro come chiavi di lettura.
  • 24. Quando nel vangelo troviamo Simone, rarissime volte, ciò significa che il discepolo era in linea con l’insegnamento di Gesù. Quando troviamo Simon Pietro, nome e soprannome negativo, significa che il discepolo è partito bene ma che è finito male. Quando troviamo solamente, come in questo caso, il soprannome negativo, Pietro, è perché farà esattamente il contrario di quello che Gesù gli ha detto di fare.
  • 25. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello” Giacomo e Giovanni sono i due fratelli fanatici, ambiziosi, violenti (Lc 9,54), che a causa della loro ambizione hanno spaccato il gruppo. Sapete che Gesù, prossimo alla sua morte, per la terza volta dice che va a Gerusalemme ad essere ammazzato. Arrivano Giacomo e Giovanni con la madre e chiedono di ottenere i posti più importanti. Non hanno capito assolutamente niente. Sono convinti di seguire un Messia trionfante.
  • 26. “in disparte, su un alto monte” Anche Pietro ha attirato a sé Gesù per gridargli che l’idea di un Messia ammazzato era inaccettabile. Pietro non accetta la morte di Gesù, perché per lui la morte è la fine di tutto. Allora Gesù chiama questi discepoli, i suoi tentatori, “e li condusse in disparte su un alto monte”. Come satana ha portato Gesù su un monte molto alto, così Gesù conduce i suoi tentatori su un monte alto, e qui c’è un’altra di quelle chiavi di lettura: “in disparte” (kat' idiàn). Ogni volta che nei vangeli troviamo “in disparte”, c’è qualcosa di negativo. Normalmente indica una resistenza da parte dei discepoli di comprendere, di accettare il programma di Gesù. (Mt16,22-23 Mt 19,17-21)
  • 27. “E fu trasfigurato davanti a loro” Quindi Gesù li porta su un monte alto, il luogo della condizione divina, e lì “fu trasfigurato” (v. 2). Gesù non si trasfigurò, “fu trasfigurato” (metemòrfote), l’autore della metamorfosi è Dio, il Padre. Ai discepoli, per i quali la morte è la fine di tutto e che non accettano la sua morte, Gesù mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. La morte non distrugge la persona, ma la potenzia. La morte è una nuova creazione dell’individuo da parte di Dio, è una trasformazione, è una trasfigurazione. Trasfigurazione di Gesù, Raffaello
  • 28. “il suo volto brillò come il sole” Splendere come il sole indica la pienezza della condizione divina. In quel Gesù che i tre pensano finito, distrutto dalla morte, splende invece la condizione divina. Chi vive mettendo la propria esistenza al servizio degli altri, trasfigura sé stesso. Questa trasfigurazione non comincia al momento della morte, ma inizia in vita. Più noi amiamo e serviamo gli altri, più risplendiamo di luce.
  • 29. Quindi in Gesù si manifesta la pienezza della condizione divina. La morte non distrugge le persone, ma le potenzia. Non c’è paragone tra la vita che abbiamo nella carne e quella del corpo spirituale che ci sarà data dopo che avremo attraversato la soglia della morte. Gesù ai discepoli per i quali la morte è la fine di tutto, mostra invece che la morte non è la fine, ma il passaggio ad una realtà talmente bella che per descriverla non ci sono parole. Vedete, anche l’evangelista deve immaginare il sole, deve immaginare la luce, perché non ci sono parole per indicare la bellissima realtà dell’uomo che passa attraverso la morte.
  • 30. “Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui”. Compaiono i due personaggi che racchiudono nella loro figura quello che noi chiamiamo l’Antico Testamento. Mosè era l’autore dei primi cinque libri, Elia era il massimo dei profeti. Sono due uomini che anche attraverso la violenza hanno imposto la legge del loro Dio.
  • 31. • Mosè dopo i quaranta giorni scende dal monte e trova il suo popolo che fa festa. Si arrabbia talmente tanto che in un giorno ammazza tremila persone! (Es32,27) • Elia è il profeta fanatico, violento, come sono fanatiche e violente tutte le persone che mettono Dio al primo posto nella loro esistenza. Elia per onorare il suo Dio ha disonorato gli uomini. Ha sfidato i sacerdoti di un’altra civiltà, ha vinto. Gli poteva bastare la soddisfazione morale, invece ne sgozzò quattrocentocinquanta! (1Re18,40)
  • 32. Ecco perché Gesù ha cambiato l’orientamento: non Dio al primo posto, ma l’uomo. Facendo il bene all’uomo fai pure il bene a Dio, mentre facendo il bene a Dio rischi di non fare il bene all’uomo (Lc10,25-37). Quante volte per onorare Dio si disonorano gli uomini! Mosè ed Elia non parlano con i discepoli, non hanno più nulla da dire, rappresentano il passato. Gesù occupa il posto in mezzo a loro (indica il più grande, il più importante). Il buon samaritano, Van Gogh
  • 33. “tre capanne” Pietro vuole costruire tre capanne (skènai). Perché tre capanne? Ricordate la tentazione del diavolo che porta Gesù sul pinnacolo del tempio e gli suggerisce di fare quello che la gente si aspetta (Mt4,5)? La gente credeva che il Messia si sarebbe manifestato nella festa più importante di Israele, che era la festa delle capanne. Allora si diceva che il Messia, dovendo essere come Mosè, doveva liberare il suo popolo dalla schiavitù, dalla prigionia, dalla dominazione romana, durante la festa delle capanne.
  • 34. “una per te, una per Mosè ed una per Elia” Quindi Pietro vuole che Gesù si manifesti come Messia! Vuole fare tre capanne, una per Gesù, una per Mosè e una per Elia. Attenzione alla sequenza dei nomi! Al centro non c’è Gesù, c’è Mosè. Ecco la tentazione di Pietro, Mosè. É questo il Messia che lui vuole, un Messia che osservi la legge di Mosè e che abbia lo stesso zelo violento di Elia. É questo il Messia di Pietro, che continua a tentare Gesù.
  • 35. «Questi è il Figlio nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo.» Dio stesso interviene, blocca Pietro, e dice che Gesù è suo Figlio, è colui che gli assomiglia (gen 1,26), il suo erede, colui che ha tutto quello che ha lui. Vi è un ordine imperativo, “ascoltatelo” (akoùete autoù), cioè ascoltate lui, non Mosè o Elia. Mosè (la legge) ed Elia (i profeti) non hanno nulla da dire ai discepoli di Gesù. Tutto quello che nell’AT non coincide, non combacia, non è in sintonia con l’insegnamento di Gesù, non sarà più norma di comportamento all’interno della comunità cristiana. Gesù è l’amato in cui si svela il volto dell’amore.
  • 36. "E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione" L'evangelista tende a sottolineare che quello che è successo non è un'esperienza storica, reale, ma una visione, cioè un qualcosa che appartiene al livello della fede, non dell'esperienza storica. A questi discepoli, che sono ancora incapaci di seguirlo sulla croce, Gesù proibisce di parlare della loro esperienza, perché non comprendono ancora che la condizione divina passa attraverso la morte; pensano che la condizione divina venga data dall'alto come una concessione da parte di Dio, mentre Gesù insegna che passa dal basso, attraverso il dono di sé. Solo quando Gesù sarà morto e quindi resuscitato, tutto questo sarà chiaro e allora potranno parlare di questa condizione di una vita indistruttibile.
  • 37. MT 5,1-10 “vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna”
  • 38. il monte delle beatitudini Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
  • 39. Ἰδὼν δὲ τοὺς ὄχλους ἀνέβη εἰς τὸ ὄρος· καὶ καθίσαντος αὐτοῦ προσῆλθαν αὐτῷ οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ· καὶ ἀνοίξας τὸ στόμα αὐτοῦ ἐδίδασκεν αὐτοὺς λέγων· Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι, ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν. μακάριοι οἱ πενθοῦντες, ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται. μακάριοι οἱ πραεῖς, ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσι τὴν γῆν. μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην, ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται. μακάριοι οἱ ἐλεήμονες, ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται. μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται. μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί, ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται. μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης, ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν. μακάριοί ἐστε ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ εἴπωσιν πᾶν ⸀πονηρὸν καθ’ ὑμῶν ψευδόμενοι ἕνεκεν ἐμοῦ.
  • 40. “Gesù salì sulla montagna” Attenzione, qui c’è l’articolo determinativo! Un conto è dire “un” monte, un conto è dire “il” monte. Ciò significa che è un monte conosciuto. Matteo scrive per dei giudei che conoscono benissimo la loro storia. Il monte per eccellenza era quindi il monte Sinai, dove Dio si era manifestato e aveva dato le tavole dell’alleanza tra lui ed il suo popolo. Questo monte, quindi, rappresenta il monte Sinai, cioè il luogo della presenza divina.
  • 41. “e messosi a sedere”, Ogni particolare è importante. Perché si mise a sedere? Perché il Messia lo immaginavano seduto alla destra di Dio. Gesù, che l’evangelista ha presentato come il Dio con noi, manifesta così la pienezza della condizione divina. “gli si avvicinarono i suoi discepoli” Nell’AT soltanto Mosè poteva avvicinarsi al monte. Chi si avvicinava al monte moriva fulminato. Con Gesù avvicinarsi alla condizione divina è possibile a tutte le persone.
  • 42. “Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo” É un’ espressione solenne che introduce questo testo meraviglioso delle beatitudini. Ma, prima di procedere, perché l’evangelista ci presenta le beatitudini? Mosè sul monte proclamò “il decalogo”, cioè i dieci comandamenti, l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Dopo pronunciò quello che è il credo di Israele, esordendo con una parola ebraica, “shemà”, che significa “ascolta”.
  • 43. Ebbene, Gesù proclama ora le beatitudini, e dopo insegnerà il “Padre Nostro”, che è la formula di accettazione delle beatitudini. Quindi le beatitudini e il “Padre Nostro” sono in parallelo ai dieci comandamenti e al credo di Israele. Le beatitudini sono l’impegno, e il “Padre Nostro” la formula dell’impegno.
  • 44. il significato dei numeri 8 e 72 Le beatitudini in Matteo sono otto. Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana, cioè l’ottavo giorno, e nel simbolismo cristiano primitivo il numero otto indicava la resurrezione, la vita eterna. Quindi il numero otto significa che la pratica delle beatitudini garantisce una vita capace di superare la morte. L’evangelista compone il brano usando 72 parole. Gesù nel Vangelo di Luca invia 72 discepoli perché a quell’epoca, (cfr Genesi 10), le nazioni pagane erano 72. L’evangelista vuol dire che, se i dieci comandamenti sono per il popolo di Israele, le beatitudini sono per tutta l’umanità.
  • 45. “Beati i poveri per lo spirito perché di questi è il regno dei cieli” Gesù dice “beati” (makarioi). La beatitudine è una condizione divina, significa il massimo della felicità che può desiderare un uomo. Mentre i comandamenti sono impositivi e obbligano a fare le cose, Gesù invita alla pienezza di vita e di felicità. Matteo ricalca i comandamenti. Il primo comandamento è quello dell’accettazione di Dio Padre, unica divinità, e poi vengono i doveri nei confronti di Dio. Ebbene, anche qui la prima beatitudine è l’accettazione del Padre come unico Dio.
  • 46. “poveri per lo spirito”. Gesù non dice “beati quelli che sono poveri”, ma dice che quelli che volontariamente, per la forza dello spirito, scelgono di entrare nella categoria dei poveri, per toglierli da questa condizione, questi sono beati. É il principio della condivisione (Mt 14,15-21). San Paolo si rivolge a noi con l’espressione “Gesù da ricco che era si è fatto povero perché noi poveri fossimo ricchi” (2Cor 8,9). Gesù sta facendo una proposta a tutti quanti: scegliete di abbassare la vostra condizione di vita, il vostro tenore di vita, per permettere a quelli che l’hanno troppo basso di alzarlo un po’. Gesù ci invita con questa beatitudine a prenderci cura delle persone che non hanno niente.
  • 47. “di questi è il regno dei cieli”. Il verbo è al presente. Gesù non dice “sarà”, ma “è”. Se avesse detto “sarà”, si poteva intendere l’aldilà. Invece è l’unica beatitudine che ha un verbo al presente, il che significa qualcosa che è possibile ottenere subito, che è immediata. Il regno dei cieli è il mondo dove la volontà di Dio è realizzata (Gv 6,40), cioè dove ogni uomo ha dignità e vita in pienezza, senza mancare di nulla. Chi mosso dalla Spirito contribuisce alla realizzazione del regno è già nel regno.
  • 48. La beatitudine dei poveri per lo spirito non è stata messa a caso al primo posto. É la condizione perché esistano tutte le altre, è la più importante. Per questa ragione è l’unica, insieme all’ultima, che ha il verbo al presente. Gesù promulga la nuova alleanza con un invito alla piena felicità, che non consiste in ciò che gli altri faranno per te, ma in ciò che tu farai per gli altri. Ecco perché Gesù dice che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”!
  • 49. Negli Atti (4, 34) si legge che nelle prime comunità cristiane nessuno era bisognoso. Quando c’è la condivisione dei beni, non c’è uno che ha troppo e uno che manca di tutto. La condivisione crea l’uguaglianza e l’abbondanza. Per questo Gesù nell’unica preghiera che ha insegnato, il “Padre Nostro”, che è la formula di accettazione delle beatitudini, dice “e rimetti” (afès), cioè cancella, “i nostri debiti, come noi li cancelliamo, “ai nostri debitori”.
  • 50. “Beati gli afflitti perché saranno consolati”. Se c’è un gruppo che prende sul serio la prima beatitudine, il primo effetto è che le persone che sono state schiacciate dalla società, gli oppressi, gli afflitti, questi vedranno la fine della loro oppressione, perché c’è una comunità che si prende cura di loro. E attenzione al verbo che l’evangelista adopera. Egli non dice “confortati”(eniskuo), ma “consolati”(parakaleo) (Is 61,2-3) . Il conforto ti lascia come ti trova; la consolazione elimina alla radice la causa della sofferenza. (Ap 21,4)
  • 51. “Beati i miti, perché erediteranno la terra” Qui i miti ai quali Gesù si riferisce sono i miti del salmo 37,11 mitezza che non indica una qualità della persona, ma una condizione sociale. É la stessa differenza che c’è tra “umile” e “umiliato”. Qui si parla di persone che sono state umiliate. Ebbene, Gesù parla dei diseredati - e questo è il significato di miti - , cioè di quelli che hanno perso tutto, che non hanno più nulla, e dice loro: “beati” perché se c’è una comunità che accoglie la prima beatitudine, quella di farsi carico dei problemi degli ultimi della terra, questi erediteranno non “una” terra, ma “la” terra, con l’articolo determinativo che indica la totalità. In altri termini, riceveranno una dignità che non hanno mai conosciuto.
  • 52. “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia” La giustizia è una cifra caratteristica di Matteo, non ha a che fare con la giustizia sociale ma esprime un agire umano conforme alla volontà e alla Legge di Dio. Aver «fame e sete di giustizia» significa desiderare di mettere in pratica la volontà di Dio: è l'atteggiamento nel quale i credenti in Gesù devono superare addirittura lo zelo dei farisei (cfr. Mt 5,20; 6,1). Di conseguenza, i perseguitati a causa della giustizia sono coloro che subiscono la persecuzione a causa del loro impegno di vita nel compiere la volontà di Dio
  • 53. “perché saranno saziati” Gesù presenta due situazioni di ingiustizia. Costoro saranno saziati. L’evangelista, anziché adoperare il verbo “nutrire”, adopera il verbo “saziare” (cortazo), che si adoperava quasi sempre per gli animali, nel senso di mangiare fino a scoppiare. Matteo lo adopera soltanto due volte, qui e nei due episodi della condivisione dei pani e dei pesci, quando la gente mangerà fino ad essere satolla (Mt 15,37).
  • 54. La misericordia come la giustizia è un attributo di Dio. Come Dio è misericordioso, anche i discepoli di Gesù sono invitati ad essere compassionevoli, e perdonare i peccati, tematica sulla quale Matteo insiste molto, e che spiega il nome stesso di Gesù (Mt 1,21), il dono della sua vita nell'ultima cena (Mt 26,28), e tutti gli insegnamenti del Maestro sul perdonarsi a vicenda. Gesù dice che quelli che abitualmente aiutano gli altri, sono beati, perché ogni volta che avranno bisogno riceveranno anch’essi aiuto da parte di Dio. “beati i misericordiosi”
  • 55. “Beati i puri di cuore” La purità è un tema sensibile in tutto il giudaismo e quindi nel vangelo di Matteo. La beatitudine che la descrive, come la prima sulla povertà, è costruita con un dativo di relazione che la applica al «cuore», intendendo con esso tutto l'uomo. Il puro di cuore è l’uomo trasparente, che non ha bisogno di nascondersi dietro le maschere o i ruoli, che non nasconde le sue ferite e le riconosce nelle ferite degli altri.
  • 56. “perché vedranno Dio” Quanto al verbo “vedere”, in greco ci sono in realtà due verbi: 1. uno indica la capacità di comprensione interiore (orao da cui la parola oracolo), 2. e l’altro per la percezione fisica (blepo). Il verbo che l’evangelista adopera per i puri di cuore “che vedranno Dio”, non indica la vista fisica. Costoro non vedranno Dio con la vista fisica, ma lo percepiranno come una profonda, abituale esperienza nella loro esistenza (Gv 20,8). Non avranno visioni, ma percepiranno la sua presenza. Gesù ci garantisce che chi accoglie la prima beatitudine, quella della povertà, chi vive per gli altri ed è una persona trasparente si rende conto della presenza di Dio nella sua esistenza.
  • 57. “Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” Sono tutti quelli che cercano quel bene che è non solo l'assenza di guerra, ma la concordia, la comunione con Dio e con gli altri. In un testo mishnaico si dice che tre cose portano profitto per questo mondo e per quello futuro, «Onorare il padre e la madre, praticare la misericordia e riportare la pace tra un uomo e il suo prossimo». I costruttori di pace ·devono anzitutto cercarla riconciliandosi coi loro avversari, come Gesù dirà più avanti (Mt 5,21-26), e così saranno chiamati «figli di Dio» assomigliando al Padre, che è egli stesso la pace (Is 9 ,5). Il termine “pace” nella lingua ebraica (shalom) indica tutto quello che concorre alla felicità degli uomini. Gesù ci sta dando un’immagine di chi è Dio. Se quelli che lavorano per la pace degli uomini, Dio li chiama figli suoi, cioè li riconosce come persone che gli assomigliano, Dio è colui che lavora per la pace e la serenità degli uomini.
  • 58. “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di questi è il regno dei cieli”. Al presente, esattamente come la prima beatitudine. Cosa vuol dire Gesù? Se siete fedeli alle beatitudini, non aspettatevi l’applauso della società. Al contrario, vi perseguiteranno, perché il vostro modo di operare denuncerà le loro ingiustizie. Il verbo “perseguitare” (diòko) indica la persecuzione in nome di Dio, la persecuzione religiosa. Gesù dice che coloro che vi ostacoleranno e vi perseguiteranno sono all’interno della comunità.
  • 59. Mt 28,16 “Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato
  • 60. “il monte del risorto”. Allora Gesù disse loro: "Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno".[...] Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
  • 61. τότε λέγει αὐταῖς ὁ Ἰησοῦς· Μὴ φοβεῖσθε· ὑπάγετε ἀπαγγείλατε τοῖς ἀδελφοῖς μου ἵνα ἀπέλθωσιν εἰς τὴν Γ αλιλαίαν, κἀκεῖ με ὄψονται. [...] Οἱ δὲ ἕνδεκα μαθηταὶ ἐπορεύθησαν εἰς τὴν Γ αλιλαίαν εἰς τὸ ὄρος οὗ ἐτάξατο αὐτοῖς ὁ Ἰησοῦς, καὶ ἰδόντες αὐτὸν ⸀προσεκύνησαν, οἱ δὲ ἐδίστασαν. καὶ προσελθὼν ὁ Ἰησοῦς ἐλάλησεν αὐτοῖς λέγων· Ἐδόθη μοι πᾶσα ἐξουσία ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ ⸀τῆς γῆς· πορευθέντες ⸀οὖν μαθητεύσατε πάντα τὰ ἔθνη, ⸀βαπτίζοντες αὐτοὺς εἰς τὸ ὄνομα τοῦ πατρὸς καὶ τοῦ υἱοῦ καὶ τοῦ ἁγίου πνεύματος, διδάσκοντες αὐτοὺς τηρεῖν πάντα ὅσα ἐνετειλάμην ὑμῖν· καὶ ἰδοὺ ἐγὼ μεθ’ ὑμῶν εἰμι πάσας τὰς ἡμέρας ἕως τῆς συντελείας τοῦ ⸀αἰῶνος.
  • 62. GERUSALEMME Nel Vangelo di Matteo Gesù risorto non appare mai a Gerusalemme, città tanto santa quanto assassina. Fin dall'inizio del Vangelo viene messa nell'ombra sinistra della morte. Quando a Gerusalemme viene annunciata la nascita di Gesù, Erode e tutta Gerusalemme tremarono e la stella cometa, questo segno divino che guida i magi, non splenderà mai su Gerusalemme. Secondo Matteo Gerusalemme è luogo di morte, è luogo di una istituzione religiosa che assassina in nome di Dio. Allora bisogna lasciare Gerusalemme per andare in Galilea: chi vi rimane dentro, dentro il tempio, dentro l'istituzione religiosa, non potrà fare mai l'esperienza di Gesù risorto.
  • 63. “È risuscitato dai morti, vi precede in Galilea”. Nel Vangelo di Matteo c'è un'affermazione strana, che poi verrà confermata da Gesù; l'angelo dice: "Gesù è stato risuscitato, vi precede in Galilea; là lo vedrete". E perché? Se andiamo a leggere il Vangelo di Giovanni o il Vangelo di Luca il discorso sembra più coerente: Gesù si presenta ai suoi lo stesso giorno che è risuscitato. Mentre nel Vangelo di Matteo si legge: "Volete vederlo resuscitato? Andate in Galilea".
  • 64. I Vangeli non vogliono trasmetterci delle descrizioni storiche, ma delle verità teologiche valide per i lettori di tutti i tempi. La resurrezione di Gesù, il fatto di averlo visto risorto non è un privilegio che è stato concesso duemila anni fà a qualche decina di privilegiati, ma un'esperienza possibile per i credenti di tutti i tempi. Ma ora come allora per VEDERE (orao) il risorto dobbiamo salire sul monte che Lui ha indicato: il monte delle beatitudini.
  • 65. “la’ lo vedrete” VEDERE (orao) è lo stesso verbo usato da Matteo nei "beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Comprendete come questi monti sono collegati l'uno con l'altro e, in fondo sono lo stesso monte, il monte della sfera divina. Chi vuol vedere Dio, chi vuol fare l'esperienza del risuscitato, deve essere "puro di cuore" (Salmo 24,4). Le persone limpide, le persone trasparenti avranno un'esperienza profonda di Dio nella loro vita. La visione di Dio non è un premio riservato al futuro, ma una costante e quotidiana esperienza nel presente alla quale siamo tutti quanti invitati.
  • 66. “in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato" Si parla di Galilea, di una regione. Perché l'evangelista scrive che gli undici andarono in Galilea su di un monte che Gesù aveva loro fissato, quando Gesù non ha fissato alcun monte? Qual è questo monte? Questo monte non indica un luogo, ma una verità. Il monte è quell'unico monte della Galilea che viene citato nel Vangelo di Matteo, cioè il monte delle beatitudini. La resurrezione di Gesù non è stato un privilegio per poche persone duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i tempi. L'evangelista in pratica sta dicendo questo: "Volete sperimentare che Gesù è resuscitato? Andate in Galilea sul monte delle beatitudini". nella pratica e nella fedeltà del messaggio di Gesù, che è concentrato nelle beatitudini, si fa l'esperienza di Gesù resuscitato.
  • 67. "Quando lo videro, si prostrarono alcuni però dubitavano" Perché dubitano? Questo verbo (distàzo) si trova, sempre in Matteo, nell'episodio di Gesù che cammina sulle acque (Mt 14,22-33). Gesù ha mostrato la sua condizione divina e Pietro dice: "Voglio anch'io camminare sulle acque" e ci prova; ma, scrive l'evangelista, vedendo il vento comincia ad affondare. E Gesù gli si rivolge con le parole: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". Pietro pensava che la condizione divina si ottenesse mediante un intervento dall'alto; Gesù dice di no, la condizione divina si ottiene attraverso il dono della propria esistenza. Gli undici vedono che Gesù è resuscitato, che è passato attraverso la persecuzione e la morte, ma dubitano, cioè si chiedono: siamo noi capaci di passare attraverso il dono di noi stessi per giungere a questa condizione?
  • 68. "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" Quello che Satana aveva promesso a Gesù - ti darò tutti i regni del mondo e il pieno potere -, Gesù dice che già lo possiede, ma non l’ha ottenuto attraverso il potere, ma attraverso il dono di sé. Gesù, quando aveva chiamato i discepoli, aveva detto: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19): cosa significa essere "pescatori di uomini"? Il mare è il luogo dove i pesci hanno la vita. Pescare un pesce significa tirarlo fuori dal suo ambito vitale e trasferirlo in quello della morte. Invece, pescare un uomo dal mare, che a lui darebbe la morte, significa tirarlo fuori dall'ambito della morte e trasferirlo in quello della vita. Come si fa questo? "Andate dunque e fate miei discepoli tra tutte le nazioni"
  • 69. . "battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" Non è solo una formula liturgica per amministrare il battesimo: il verbo "battezzare" (baptizo) significa "immergere", ed è un invito valido per noi tutti. Dobbiamo andare e immergere ogni persona nella realtà d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
  • 70. "Insegnando loro a praticare tutto ciò che vi ho comandato" Il verbo "comandare" (entello), Gesù lo usa soltanto per le beatitudini. Compito dei credenti è andare a praticare le beatitudini. Gesù non li invia a trasmettere una dottrina, ma ad insegnare una pratica, “tutto ciò che io vi ho comandato” e cosa ha comandato Gesù? “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv15,9-17). Gesù chiede alla sua comunità di andare a praticare le beatitudini. Questa è la maniera per immergere ogni persona nella pienezza dell’amore di Dio. Se c'è questa pratica…
  • 71. Gesù, nel Vangelo di Matteo, non parte per un cielo lontano, ma rimane con i suoi ad una condizione: chi pratica le beatitudini fa l'esperienza di una presenza continua, profonda, interiore di Gesù nella propria esistenza. Il paradiso è dove c'è Dio e Dio è là dove si praticano le beatitudini. Il bellissimo invito, con il quale si conclude il Vangelo di Matteo e questa nostra riflessione sui monti del suo Vangelo, è rivolto ad ognuno di noi: chi vuol sperimentare una vita di una qualità nuova, indistruttibile, chi vuol sperimentare l'incontro con Gesù vivo e vivificante, basta che si collochi sul monte delle beatitudini. "io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo".