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Introduzione.
Un ritorno al futuro
«Il federalismo è la teorica della libertà,
l’unica possibil teorica della libertà».
Carlo Cattaneo (1851)
Questo è un libro controcorrente, che si distacca dal coro.
Anzi, costituisce senz’ombra di dubbio una nota stonata.
È dedicato infatti alle matrici ideologiche del progetto
politico della Lega Nord. In sostanza, ai padri nobili, ai
maestri del pensiero, ai punti di riferimento del progetto
politico leghista, là dove affondano le radici teoriche della
Lega. Per coglierne lo spirito di fondo, il lettore dovrebbe
provare a rimuovere il pregiudizio – operazione per la verità
sempre assai difficile – e cancellare la galleria di personaggi,
soprattutto minori, che gli vengono in mente pensando alla
Lega. Sì, perché questo libro si colloca su un altro piano; su
un piano politico, eminentemente teorico e dottrinario. E
scardina un consolidato cliché, un paradigma interpretativo
di comodo – con il quale è sin troppo facile leggere le vicende
del Carroccio, relegando le sue pulsioni nei bassifondi delle
bettole della Padania – e anche molto ideologico, quello
che vedrebbe nella Lega il movimento costruito all’insegna
dell’incultura o, peggio, dell’anticultura, segnato in profon-
dità da forti venature anti-intellettualistiche.
Il fenomeno Lega è forse – nel quadro della storia dei
partiti politici in Italia – quello più indagato e raccontato,
pressoché sin da subito, vale a dire sin dai primi passi del
movimento e dalle conseguenti prime affermazioni elettorali
8	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
sul finire degli anni ottanta. Ci hanno pensato sociologi,
politologi e giornalisti. A seguito delle vicende giudiziarie
della scorsa primavera, che hanno visto coinvolti i vertici
del partito, le pubblicazioni dedicate alla Lega hanno subìto
un’accelerazione repentina. E hanno tutte severamente
censurato la deriva – per la verità molto italiana – di clien-
telismo, corruzione, familismo amorale, uso distorto di
fondi pubblici, che ha portato alle indagini. una deriva
che contraddiceva nella sua essenza il volto severo, austero
e rigoroso, dei modelli comportamentali leghisti orientati
alla correttezza, al rigore e alla lealtà; orientati a marcare la
differenza dagli altri partiti, quelli «romani».
La reazione – questa sì assai poco italiana – alla crisi
giudiziaria di primavera è stata forte e subitanea. Nel bre-
ve volgere di quarantott’ore, l’allora segretario federale e
fondatore del movimento, umberto Bossi, ha rassegnato
infatti le proprie dimissioni. Cosa davvero rara in un paese
dove le dimissioni si minacciano spesso, ma non si danno
mai. E non sarà certo l’azione maldestra di qualche suo
esponente a cancellare la funzione storica del partito. Che
è quella di aver introdotto nel dibattito pubblico, sin dalla
fine degli anni ottanta, il tema del federalismo – prima
relegato in ponderosi studi scientifici di carattere giuridi-
co e istituzionale, politologico e dottrinario – e di averlo
messo al centro dell’agenda politica, per una migliore or-
ganizzazione funzionale dell’amministrazione dello Stato e
una maggiore compattezza sociale, insieme alla Questione
settentrionale di cui quella stessa istanza di federalizzazione
era espressione diretta.
Questo è un libro controcorrente proprio perché non si
concentra su quelle cronache giudiziarie e sui loro risvolti
politici interni, sulle responsabilità dei singoli o sulle spe-
culazioni giornalistiche. Si occupa di indagare altro. Cerca
piuttosto di esplorarne le radici ideologiche per tentare di
INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 9
fornire delle ragionevoli risposte alla longevità del fenomeno
politico e tentare di capirlo sino in fondo.
Dopo appena un paio di mesi, la Lega ha cambiato il se-
gretario federale, affidandosi alla figura, alla credibilità e alla
capacità politica di roberto Maroni. E ha cambiato marcia,
rilanciando il progetto verso la completa rappresentanza – e
tutela – degli interessi del grande Nord, espressione concreta
della Questione settentrionale, nel quadro di una nuova
Europa da costruire, l’Europa federale dei popoli. Questo
libro dimostra – tra l’altro – che tale è il vero progetto della
Lega delle origini, frutto dell’intreccio e dell’articolazione
del pensiero politico di alcuni significativi autori, da Sal-
vadori a Chanoux, da rougemont a Miglio. un progetto
aggiornato, riveduto e corretto all’insegna di una sorta di
partita doppia, da un lato contro il rinnovato centralismo
romano, dall’altro contro le eurocrazie di Bruxelles, con i
loro poteri burocratici, tecnocratici, finanziari e lobbistici.
ritorno al futuro.
Al di là dei cavalieri che ne incarnano l’ideale, la Lega
supererà anche questa crisi perché i partiti – secondo il
paradigma di Stein rokkan1
– nascono e sono prodotti
dalle fratture. Sul cleavage tra Stato e Chiesa è nata la De-
mocrazia cristiana e su quello fra capitale e lavoro è nato
il Partito comunista. La Lega nasce sulla frattura dello
sviluppo strutturale duale fra Nord e Sud, che è il cleava-
ge più profondo e più duraturo nella storia del Paese. Si
tratta di una frattura che – a livello politico e istituzionale
– nessuna iniziativa, e se ne potrebbero elencare tante, è
mai riuscita a ridurre.
Questa persistenza ha una sua precisa spiegazione: la
struttura duale è stata sempre vista da Sud, dalla Questione
meridionale. Mai da Nord. E tuttavia chi vuole governare
questo paese deve fare i conti con il Nord, che significa: deve
confrontarsi con la Questione settentrionale. una questione
10	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
che rappresenta una costante nella storia della repubblica
dall’immediato secondo dopoguerra – quando già si parlava,
sulle pagine del settimanale Il Cisalpino, del Nord come
di una «vacca da mungere» – sino ai nostri giorni. una
questione che è oggi più viva che mai, in considerazione
del fatto che vi sono tre regioni – Piemonte, Lombardia e
Veneto – che coprono circa due terzi del prodotto interno
lordo e che ogni anno staccano un assegno di circa sessanta
miliardi di euro di trasferimenti a beneficio del resto del
paese, come ha dimostrato Luca ricolfi nel suo Sacco del
Nord2
.
L’ha sostenuto di recente – sul Corriere della Sera – anche
Angelo Panebianco:
Dopo centocinquanta anni di unità, il fallimento è evidente:
la grande questione italiana, la Questione meridionale, non
ha mai trovato soluzione. La frattura Nord/Sud è più viva e
forte che mai e, con essa, la distanza che separa certe regioni
del Sud dal Nord Italia. Con la differenza che, un tempo, la
speranza di venirne a capo mobilitava intelligenze, cervelli.
oggi non più.
Questa riflessione – tra l’altro – rivela un’amara verità: le
celebrazioni del 150° della nascita dello Stato unitario, che
hanno animato il dibattito lo scorso anno, nella sostanza
sono state una grande occasione perduta. Si sarebbero in-
fatti potute configurare e imporre come una responsabile
polifonia critica sulle grandi aporie della storia nazionale;
al contrario, per via dei timori che venissero strumentaliz-
zate ad arte, si sono sviluppate in un’atmosfera ovattata,
coperta dal candido mantello del politicamente corretto.
Immaturità democratica: solo una democrazia matura ha
il coraggio di guardare criticamente dentro se stessa. Ma
ciò non è avvenuto.
INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 11
Lo spazio politico, dunque, per l’affermazione di un par-
tito territoriale qual è la Lega c’è. E di fronte alla persistenza
della frattura tra Nord e Sud è facile prevedere un futuro per
la Lega, ben al di là dei conflitti interni, dei personalismi e
dei fluttuanti consensi elettorali.
La crisi economica internazionale, con i suoi risvolti
politici e istituzionali anche sul piano interno, dimostra
che sin dagli anni Novanta la Lega ha avuto un approccio
corretto – per quanto poco ascoltato, quando non sbef-
feggiato nel dibattito pubblico – ai problemi del nostro
tempo. Le analisi di allora sulla crisi e sulla fine dello
Stato, sulla debolezza dell’Europa comunitaria, sui rischi
connessi ai processi di globalizzazione in atto, sui problemi
derivanti dall’adozione di una moneta unica senza una
banca di emissione, si stanno progressivamente rivelando
nei fatti corrette.
Nell’età della globalizzazione lo Stato vede radicalmente
erosi i suoi elementi costitutivi di fondo, esclusa la dimen-
sione territoriale. Il cittadino è divenuto un semplice con-
sumatore; la sovranità – intesa quale prerogativa esclusiva
degli Stati – viene erosa dalle organizzazioni sovranazionali
come l’unione Europea, dai movimenti di opinione, dal
terrorismo e dalla finanza internazionale. L’attuale crisi
economica lo dimostra. Il territorio – unica dimensione
dell’ordine politico sopravvissuta alla crisi della globaliz-
zazione – si sta oggi imponendo come il nuovo soggetto
della politica.
Gianfranco Miglio aveva intuito che l’organizzazione
delle società, dopo il crollo delle ideologie e delle agenzie
di socializzazione primaria e secondaria, si stava avviando
verso il primato delle funzioni (dal punto di vista economi-
co-produttivo e neocorporativo: vale a dire degli interessi
aggregati). Proprio tali funzioni esigono un’organizzazione
territoriale diversa da quella sinora concepita; un’organiz-
12	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
zazione che vada oltre la dimensione regionale e si collochi
in una dimensione macroregionale.
Il cupio dissolvi dello Stato nazionale – con la sua identità
politica e la sua classe politica, le sue norme fondamentali,
la sua architettura istituzionale consolidata – viene supera-
to in forza del paradigma glocal imposto dal presente. La
tutela delle diversità territoriali è necessaria per garantire
alle comunità volontarie un’azione autonoma nel contesto
internazionale. Non bisogna insomma difendersi dalla glo-
balizzazione e chiudersi a riccio per sopravvivere. Bisogna
piuttosto aggredirla con determinazione, liberandosi dai
vincoli oppressivi dello Stato nazionale.
Come sostiene il segretario federale del Carroccio, ro-
berto Maroni, il simbolo della Lega, oggi, è il più vecchio
tra quelli che appaiono sulle schede elettorali. Questo libro
si distacca dal coro perché rende merito di quelle analisi.
E, soprattutto, mette a fuoco un paesaggio di padri nobili
del leghismo che gli conferiscono radici assai robuste, ben
oltre la contingenza storica della persistenza della struttura
duale del paese o dei risvolti dei processi di globalizzazione
che enfatizzano la dimensione locale della politica.
Il fenomeno Lega è stato sinora studiato e raccontato da
giornalisti o da sociologi, per loro impostazione insensibili
alle elaborazioni teoriche e dottrinarie. Giornalisti e socio-
logi che non sono tra le fonti del presente lavoro di ricerca
perché non hanno mai indagato – neppure rapidamente
e di passaggio – attorno a questi padri nobili. E tuttavia
proprio la longevità del fenomeno Lega si spiega anche con
un paesaggio di padri nobili – ai quali è dedicato questo
libro – che in pochi conoscono.
L’inizio dell’avventura politica della Lega si svolge nei
corridoi dell’università di Pavia, quando l’allora giovane
– e, per la verità, un po’ svogliato – studente in medicina
umberto Bossi s’imbatte occasionalmente nella figura di
INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 13
Bruno Salvadori, esponente dell’union Valdôtaine. Proprio
Salvadori convincerà Bossi che il federalismo è la strada
migliore, da seguire.
Come si vedrà, la sua figura si staglia autorevole: egli non
fu il semplice militante autonomista intento a fare proseliti
alla vigilia delle prime elezioni per l’europarlamento. Salva-
dori – tutt’altro che sprovveduto dal punto di vista teorico
e dottrinario – fu, piuttosto, un politico molto consapevole
del fatto suo, autore di un percorso del tutto originale, ma
logico e coerente, nelle pieghe del federalismo integrale
e personalista. Dietro Bruno Salvadori c’è un pensatore
di assoluto rilievo quale Emile Chanoux, l’ineguagliato
autore, nel 1944, di Federalismo e autonomie, uscito pochi
mesi prima della sua tragica scomparsa. E dietro Chanoux
c’è tutto l’ambiente del federalismo personalista e integrale
raccolto attorno alla rivista L’Ordre Nouveau nel corso degli
anni Trenta in Francia: Denis de rougemont e Alexandre
Marc primi tra tutti. Ma anche, più defilato perché più
giovane e più «giurista», attento ai diritti delle minoranze,
Guy héraud. Ambiente che la Lega – movimento allo stato
nascente – intercetta, attraverso i legami e le relazioni con
l’autonomismo valdostano.
Dopo la frequentazione di Bruno Salvadori, i contatti dei
fondatori del movimento con rougemont e héraud sono
tutt’altro che episodici e sporadici. rougemont orienta i
leghisti delle origini nella lettura e nell’approfondimento di
alcuni temi del federalismo personalista e integrale. héraud,
che aveva contatti organici con gli ambienti dell’union
Valdôtaine, osserva con estrema attenzione la genesi e l’af-
fermazione del movimento, intuendone la grande novità.
Questi contatti conferiscono indubbia sostanza al leghismo,
che in quegli anni intercetta anche la figura di Gianfran-
co Miglio, preside della facoltà di Scienze politiche della
Cattolica di Milano, scienziato della politica, storico del
14	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
pensiero e delle istituzioni appena messo a riposo. Nascente
leghismo che pure comincia a costruire il mito – siamo nei
primi anni Novanta – di Carlo Cattaneo, per abbracciare
una ricostruzione alternativa del processo di nation build-
ing nell’età del risorgimento. Nella sostanza per porsi
come movimento orgogliosamente «diverso» anche rispetto
all’autorappresentazione nazionale – qual è la storia patria –
recuperando il grande vinto del risorgimento: per ricordare
politicamente verso dove si sarebbe potuto orientare e come
sarebbe potuto andare il processo di unificazione nazionale,
ma come – nei fatti – non andò.
Proprio questa posizione e l’idea stessa di un federalismo
articolato sulle comunità volontarie territoriali comportano
una rilettura attenta della vicenda risorgimentale; attenta,
soprattutto, ai risvolti perdenti (oltre a Cattaneo, anche
Ferrari e Minghetti, per esempio). Si tratta di una rilettura
che si contrappone alla versione oleografica ufficiale per la
semplice ragione che l’idea stessa della comunità nazionale
posta alla base della costruzione dello Stato è profondamente
diversa. Perché diversa è la percezione della socialità. Se da
un lato infatti vi è una comunità nazionale che si vuole – o,
meglio, si vorrebbe – compatta e coesa dalle Alpi alla Sicilia,
per effetto dell’azione coercitiva, violenta e omologante,
negatrice delle differenze, dello Stato, dall’altro vi sono le
comunità volontarie territoriali, con i loro modelli di cul-
tura e di comportamento, le loro aggregazioni di interessi
economici e produttivi, le loro storie e le loro tradizioni
civiche fortemente differenziate.
Per tale ragione, un approccio federalista alla «questio-
ne» italiana implica necessariamente una rivisitazione del
processo risorgimentale e delle sue correnti ideologiche. La
percezione e l’idea dell’identità politica nazionale caratte-
rizzata da un aggregato di comunità volontarie territoriali
autonome di uomini liberi si collocano su un altro piano
INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 15
rispetto alla costruzione artificiale e forzata – attraverso i
processi di nation building – di un’identità politica nazio-
nale fortemente ideologica e ideologizzata perché fondata
sull’unità e indivisibilità della repubblica e dunque unitaria
e omogenea, demagogicamente contrapposta al pluralismo
e alla diversità. Che rappresentano, al contrario, una grande
ricchezza e una straordinaria risorsa. Il federalismo è infatti,
anzitutto, un costume interiore, cioè una passione umana
che si traduce in modelli di cultura e di comportamento
derivanti dalle tradizioni civiche – che sono atteggiamenti
virtuosi dal punto di vista etico e civile – e basati sulla
libertà individuale.
È lo stesso Miglio – nelle pagine di un polemico pamphlet,
pubblicato all’indomani della rottura con il leader del Car-
roccio – a ricostruire la dinamica del suo incontro con Bossi.
Nel suo saggio «Vocazione e destino dei Lombardi», apparso
sul finire del 1989 quale introduzione a un volume dedicato
alla Lombardia moderna, Miglio aveva infatti sostenuto e
argomentato il deficit cronico di leadership politica della
terra lombarda, che non ha mai fornito al paese uomini di
Stato. La curiosità di vedere se Bossi – intento a costruire la
sua leadership carismatica – fosse l’eccezione che conferma
la regola lo indusse a organizzare l’incontro. Fu abbastanza
facile e si adoperò in prima persona la moglie del professore.
L’incontro fatale avvenne il 17 maggio 1990. Scrive Miglio:
Il colloquio durò circa due ore e mezzo e fu molto cordiale.
In seguito a un giro di orizzonte assai particolareggiato, sco-
primmo di avere vedute abbastanza coincidenti sui principali
temi della politica italiana: soprattutto feci notare al mio ospite
le due convinzioni fondamentali sulle quali convergevamo:
che il regime partitocratico doveva essere rovesciato e che
alle istituzioni della Prima repubblica doveva essere sostituita
un’autentica costituzione federale3
.
16	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
Il perché è presto detto, e qui Miglio si lascia andare a
un’intima confessione:
Gli confidai che quando ero molto giovane (e militavo nel
movimento clandestino dei federalisti cattolici) sognavo di
diventare cittadino di una «repubblica cisalpina». Aggiunsi
che però consideravo storicamente improponibile la creazione
di un piccolo Stato sovrano: all’antico ideale dell’«indipen-
denza» bisognava sostituire il modello più moderno di una
integrazione «federale», basata tuttavia sulla libera determi-
nazione delle popolazioni e su un consenso continuamente
ricostituito4
.
Salvadori e Chanoux, rougemont e héraud, Miglio e Cat-
taneo: gli autori sono proposti in questa sequenza – non
meramente cronologica – perché essa è storicamente fedele
alla strutturazione e alla crescita del movimento leghista, tra
la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Nessun
partito presente in Parlamento può vantare un paesaggio di
padri nobili così ricco e articolato: c’è chi se n’è dovuto sba-
razzare, dei padri nobili, per avviare profonde metamorfosi
ideologiche; c’è chi ha provato a individuarne qualcuno ma
non è mai riuscito a tenere insieme la «pancia» del partito
coagulandola su quegli ideali. Anzi, ha suscitato la perplessità
e l’ironia di analisti e commentatori.
L’attuale rigonfiamento a dismisura della crisi della po-
litica – per effetto di una mancanza di idee e di principi
vasta e capillare, che abbraccia tutti i partiti – determina un
preoccupante vuoto rappresentativo e ricade, pertanto, sulle
istituzioni, determinando la disintegrazione del contesto
nell’ambito del quale la classe politica agisce.
È il collasso della classe politica. A tal proposito,
Ernesto Galli della Loggia ha osservato sul Corriere del-
la Sera:
INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 17
Chi oggi inizia a far politica in Italia non ha più alcun ri-
ferimento storico-ideologico forte, non può ricollegarsi ad
alcun valore; in senso proprio non sa più a nome di quale
Paese parla, anche perché ben raramente ne conosce la storia
e perfino la lingua; l’Italia che gli viene in mente può essere
al massimo quella del Made in Italy. Per una ragione o per
l’altra, poi, tutto l’orizzonte simbolico ma anche pratico sul cui
sfondo è nata e vissuta la repubblica gli si presenta in pezzi.
La politica, i partiti, l’antifascismo, l’intervento pubblico, il
Welfare, la mobilità sociale, il lavoro hanno perduto qualunque
capacità mobilitante, non rappresentano più quelle rassicuranti
(e plausibili) linee d’azione che rappresentavano un tempo:
andrebbero ripensate da cima a fondo ma nessuno lo fa5
.
Gli scandali regionali più recenti e gli ingenti sprechi di
risorse dimostrati hanno indotto più di un commentatore
ad auspicare una repentina marcia indietro dei processi di
decentramento, quando forse tutto ciò è potuto avvenire
solo per le stravaganti e contraddittorie modalità di appli-
cazione della regionalizzazione, soprattutto a partire dalla
fine degli anni Novanta. Anche perché i processi di decen-
tramento – se attuati con razionalità e serietà – implicano
una dimensione di «prossimità» politica e amministrativa che
favorisce e promuove il senso di responsabilità della classe
politica e le prerogative di controllo da parte dei cittadini.
Due principi – responsabilità e controllo – ormai non più
eludibili nella gestione della cosa pubblica.
Malgrado gli scandali nazionali e anche quelli interni al
movimento, malgrado i vent’anni di storia della Seconda
repubblica sulla quale si chiuderà presto – quando non
fosse già avvenuto – il sipario ne abbiano eroso la forza
intrinseca, il termine-concetto federalismo non è inflazio-
nato più di tanto. Nei fatti, anche per come vanno le cose
con un assetto burocratico e accentratore, conserva ancora
18	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
una sua significativa capacità di sollecitare lo slancio ideale
e di accendere la passione civile; conserva ancora una sua
efficacia di mobilitazione politica, soprattutto – ma non
solo – nell’ambito dei militanti e dei simpatizzanti, degli
elettori della Lega, per un domani migliore. un domani in
cui le differenze tra chi gestisce virtuosamente le risorse e
chi le spreca vengano infine stabilite con precisione in una
scala di valori di merito.
Il federalismo conserva ancora tutta la sua forza evocativa
anche per la presenza dei padri nobili ai quali è dedicato
questo libro. Padri nobili che possono essere suddivisi – co-
me forse già s’è intuito e come sicuramente emergerà nella
lettura delle pagine che seguono – in due grandi filoni, che
sono anche le due parti ideali da cui è composto questo
libro: da un lato vi sono gli esponenti del federalismo in-
tegrale, come Chanoux e rougemont, e dall’altro vi sono
gli esponenti di un modello di federalismo eminentemente
nordista, strutturato sulle tradizioni civiche – à la Putnam6
,
per intenderci – come Miglio e Cattaneo.
Indubbiamente non basta dire che i contatti con Salva-
dori, rougemont e héraud vi furono quando il movimento
si trovava allo stato nascente.Tracce della presenza di questo
doppio filone di federalismo sono riscontrabili ed emergono
con chiarezza nei primi libri scritti da umberto Bossi in
collaborazione con il giornalista Daniele Vimercati all’inizio
degli anni Novanta. In effetti, il progetto scientifico di questo
libro è nato proprio rileggendo quei testi. Per esempio, nel
volume forse più teorico scritto a quattro mani, La rivoluzio-
ne7
, ma anche in Vento dal Nord8
, è evidente l’impostazione
personalista della parte firmata da Bossi e quella nordista,
fondata sulle tradizioni civiche, della parte firmata da Vi-
mercati. Lo stesso Vimercati, nel suo libro I lombardi alla
nuova crociata9
, si sofferma – ancorché rapidamente – sulle
suggestioni e sui risvolti teorici del federalismo integrale nel
INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 19
capitolo dedicato al sogno autonomista delle origini. Così
come un fugace cenno – che non viene poi approfondito –
alle radici teorico-politiche della Lega, in chiave nordista,
c’è nelle prime pagine del Vento della Padania10
di Guido
Passalacqua. Vimercati e Passalacqua parlano di Bossi come
di colui che ha avuto l’intuizione e si è impadronito di un
ampio «materiale» storico e culturale, linguistico e istituzio-
nale, traducendolo in un progetto politico del tutto nuovo.
Forse è più appropriato sostenere – in sede scientifica
– che il progetto politico della Lega è in qualche modo
espressione diretta di due tradizioni di pensiero che si in-
trecciano, si contaminano e si alimentano a vicenda: il
federalismo personalista e integrale con il federalismo delle
tradizioni civiche del Nord. E il certificato dello «stato di
famiglia», vale a dire il passaggio dai padri nobili ai figli
operanti nell’arena della politica, trova il suo riscontro nelle
metamorfosi del progetto politico della Lega. I cambi di
rotta, cioè i mutamenti del percorso che va dall’indipendenza
alla secessione, dalla devolution al federalismo fiscale, dalla
macroregione del Nord all’euroregione, dall’autonomia
all’autogoverno, dalla responsabilità alle tradizioni civiche,
rispondono alle sollecitazioni del pensiero politico dei padri
nobili e al fecondo intreccio tra quelle due tradizioni dottri-
nali. E se la modernità – nel dispiegarsi del suo ciclo storico
dal Cinquecento sino al Novecento – ha esibito una legge
fondamentale è quella che richiede il continuo e tempestivo
adattamento al mutamento, pena l’esclusione dalla storia.
In questo lavoro non si fa riferimento, se non occasional-
mente e di passaggio, ai risvolti dei rapporti di questi scrittori
politici – molti ancora in vita quando il leghismo mosse i
primi passi – con la politica praticata e con il movimento
padanista. Qui si offre semplicemente una ricostruzione
del pensiero politico di questi autori, che hanno inciso
così in profondità nel fenomeno del leghismo; autori con
20	 LE rADICI DEL FEDErALISMo
i quali i fondatori hanno avuto rapporti diretti o indiretti.
E con i quali gli studiosi non hanno mai fatto i conti.
Perciò le varie storie o analisi politologiche del fenomeno
Lega – anche le più pregevoli – risultano in qualche modo
monche e lacunose.
Dei capitoli che seguono, solo quelli dedicati a Cattaneo
e a Miglio sono stati già parzialmente pubblicati11
, ma qui
sono presentati in una versione riveduta, corretta e arricchita.
ovviamente, in questo percorso, alcuni amici – lettori
attenti dell’esito delle mie ricerche e dei miei interventi – mi
hanno sostenuto, incoraggiato e criticamente commentato.
La responsabilità, come sempre in questi casi, è solo di chi
scrive. Ma ringrazio sinceramente, e in rigoroso ordine
alfabetico, questi miei interlocutori privilegiati: Sabino
Acquaviva, Etienne Andrione, Alessandro Campi, Federica
Epis, Luciano Fasano, Claudio Kaufmann, Nicola Maranesi,
roberto Marraccini, Alberto Martinelli, Leo Miglio, Nicola
Pasini, Luigi robuschi, Francesco Tuccari.
Questo libro è dedicato a Elisabetta, sublime nella sua
dolcezza.
Note
1
S. rokkan, Cittadini, elezioni, partiti, Il Mulino, Bologna,
1984; S. rokkan, Stato, nazione e democrazia in Europa, Il Mu-
lino, Bologna, 2002.
2
L. ricolfi, Il sacco del Nord. Saggio sulla giustizia territoriale,
Guerini e Associati, Milano, 2010.
3
G. Miglio, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei quattro
anni sul Carroccio, Mondadori, Milano, 1994, p. 15.
4
Ivi, p. 16.
5
E. Galli della Loggia, «Molte spese, pochi valori», Il Corriere
della Sera, 25 settembre 2012.

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  • 1. Introduzione. Un ritorno al futuro «Il federalismo è la teorica della libertà, l’unica possibil teorica della libertà». Carlo Cattaneo (1851) Questo è un libro controcorrente, che si distacca dal coro. Anzi, costituisce senz’ombra di dubbio una nota stonata. È dedicato infatti alle matrici ideologiche del progetto politico della Lega Nord. In sostanza, ai padri nobili, ai maestri del pensiero, ai punti di riferimento del progetto politico leghista, là dove affondano le radici teoriche della Lega. Per coglierne lo spirito di fondo, il lettore dovrebbe provare a rimuovere il pregiudizio – operazione per la verità sempre assai difficile – e cancellare la galleria di personaggi, soprattutto minori, che gli vengono in mente pensando alla Lega. Sì, perché questo libro si colloca su un altro piano; su un piano politico, eminentemente teorico e dottrinario. E scardina un consolidato cliché, un paradigma interpretativo di comodo – con il quale è sin troppo facile leggere le vicende del Carroccio, relegando le sue pulsioni nei bassifondi delle bettole della Padania – e anche molto ideologico, quello che vedrebbe nella Lega il movimento costruito all’insegna dell’incultura o, peggio, dell’anticultura, segnato in profon- dità da forti venature anti-intellettualistiche. Il fenomeno Lega è forse – nel quadro della storia dei partiti politici in Italia – quello più indagato e raccontato, pressoché sin da subito, vale a dire sin dai primi passi del movimento e dalle conseguenti prime affermazioni elettorali
  • 2. 8 LE rADICI DEL FEDErALISMo sul finire degli anni ottanta. Ci hanno pensato sociologi, politologi e giornalisti. A seguito delle vicende giudiziarie della scorsa primavera, che hanno visto coinvolti i vertici del partito, le pubblicazioni dedicate alla Lega hanno subìto un’accelerazione repentina. E hanno tutte severamente censurato la deriva – per la verità molto italiana – di clien- telismo, corruzione, familismo amorale, uso distorto di fondi pubblici, che ha portato alle indagini. una deriva che contraddiceva nella sua essenza il volto severo, austero e rigoroso, dei modelli comportamentali leghisti orientati alla correttezza, al rigore e alla lealtà; orientati a marcare la differenza dagli altri partiti, quelli «romani». La reazione – questa sì assai poco italiana – alla crisi giudiziaria di primavera è stata forte e subitanea. Nel bre- ve volgere di quarantott’ore, l’allora segretario federale e fondatore del movimento, umberto Bossi, ha rassegnato infatti le proprie dimissioni. Cosa davvero rara in un paese dove le dimissioni si minacciano spesso, ma non si danno mai. E non sarà certo l’azione maldestra di qualche suo esponente a cancellare la funzione storica del partito. Che è quella di aver introdotto nel dibattito pubblico, sin dalla fine degli anni ottanta, il tema del federalismo – prima relegato in ponderosi studi scientifici di carattere giuridi- co e istituzionale, politologico e dottrinario – e di averlo messo al centro dell’agenda politica, per una migliore or- ganizzazione funzionale dell’amministrazione dello Stato e una maggiore compattezza sociale, insieme alla Questione settentrionale di cui quella stessa istanza di federalizzazione era espressione diretta. Questo è un libro controcorrente proprio perché non si concentra su quelle cronache giudiziarie e sui loro risvolti politici interni, sulle responsabilità dei singoli o sulle spe- culazioni giornalistiche. Si occupa di indagare altro. Cerca piuttosto di esplorarne le radici ideologiche per tentare di
  • 3. INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 9 fornire delle ragionevoli risposte alla longevità del fenomeno politico e tentare di capirlo sino in fondo. Dopo appena un paio di mesi, la Lega ha cambiato il se- gretario federale, affidandosi alla figura, alla credibilità e alla capacità politica di roberto Maroni. E ha cambiato marcia, rilanciando il progetto verso la completa rappresentanza – e tutela – degli interessi del grande Nord, espressione concreta della Questione settentrionale, nel quadro di una nuova Europa da costruire, l’Europa federale dei popoli. Questo libro dimostra – tra l’altro – che tale è il vero progetto della Lega delle origini, frutto dell’intreccio e dell’articolazione del pensiero politico di alcuni significativi autori, da Sal- vadori a Chanoux, da rougemont a Miglio. un progetto aggiornato, riveduto e corretto all’insegna di una sorta di partita doppia, da un lato contro il rinnovato centralismo romano, dall’altro contro le eurocrazie di Bruxelles, con i loro poteri burocratici, tecnocratici, finanziari e lobbistici. ritorno al futuro. Al di là dei cavalieri che ne incarnano l’ideale, la Lega supererà anche questa crisi perché i partiti – secondo il paradigma di Stein rokkan1 – nascono e sono prodotti dalle fratture. Sul cleavage tra Stato e Chiesa è nata la De- mocrazia cristiana e su quello fra capitale e lavoro è nato il Partito comunista. La Lega nasce sulla frattura dello sviluppo strutturale duale fra Nord e Sud, che è il cleava- ge più profondo e più duraturo nella storia del Paese. Si tratta di una frattura che – a livello politico e istituzionale – nessuna iniziativa, e se ne potrebbero elencare tante, è mai riuscita a ridurre. Questa persistenza ha una sua precisa spiegazione: la struttura duale è stata sempre vista da Sud, dalla Questione meridionale. Mai da Nord. E tuttavia chi vuole governare questo paese deve fare i conti con il Nord, che significa: deve confrontarsi con la Questione settentrionale. una questione
  • 4. 10 LE rADICI DEL FEDErALISMo che rappresenta una costante nella storia della repubblica dall’immediato secondo dopoguerra – quando già si parlava, sulle pagine del settimanale Il Cisalpino, del Nord come di una «vacca da mungere» – sino ai nostri giorni. una questione che è oggi più viva che mai, in considerazione del fatto che vi sono tre regioni – Piemonte, Lombardia e Veneto – che coprono circa due terzi del prodotto interno lordo e che ogni anno staccano un assegno di circa sessanta miliardi di euro di trasferimenti a beneficio del resto del paese, come ha dimostrato Luca ricolfi nel suo Sacco del Nord2 . L’ha sostenuto di recente – sul Corriere della Sera – anche Angelo Panebianco: Dopo centocinquanta anni di unità, il fallimento è evidente: la grande questione italiana, la Questione meridionale, non ha mai trovato soluzione. La frattura Nord/Sud è più viva e forte che mai e, con essa, la distanza che separa certe regioni del Sud dal Nord Italia. Con la differenza che, un tempo, la speranza di venirne a capo mobilitava intelligenze, cervelli. oggi non più. Questa riflessione – tra l’altro – rivela un’amara verità: le celebrazioni del 150° della nascita dello Stato unitario, che hanno animato il dibattito lo scorso anno, nella sostanza sono state una grande occasione perduta. Si sarebbero in- fatti potute configurare e imporre come una responsabile polifonia critica sulle grandi aporie della storia nazionale; al contrario, per via dei timori che venissero strumentaliz- zate ad arte, si sono sviluppate in un’atmosfera ovattata, coperta dal candido mantello del politicamente corretto. Immaturità democratica: solo una democrazia matura ha il coraggio di guardare criticamente dentro se stessa. Ma ciò non è avvenuto.
  • 5. INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 11 Lo spazio politico, dunque, per l’affermazione di un par- tito territoriale qual è la Lega c’è. E di fronte alla persistenza della frattura tra Nord e Sud è facile prevedere un futuro per la Lega, ben al di là dei conflitti interni, dei personalismi e dei fluttuanti consensi elettorali. La crisi economica internazionale, con i suoi risvolti politici e istituzionali anche sul piano interno, dimostra che sin dagli anni Novanta la Lega ha avuto un approccio corretto – per quanto poco ascoltato, quando non sbef- feggiato nel dibattito pubblico – ai problemi del nostro tempo. Le analisi di allora sulla crisi e sulla fine dello Stato, sulla debolezza dell’Europa comunitaria, sui rischi connessi ai processi di globalizzazione in atto, sui problemi derivanti dall’adozione di una moneta unica senza una banca di emissione, si stanno progressivamente rivelando nei fatti corrette. Nell’età della globalizzazione lo Stato vede radicalmente erosi i suoi elementi costitutivi di fondo, esclusa la dimen- sione territoriale. Il cittadino è divenuto un semplice con- sumatore; la sovranità – intesa quale prerogativa esclusiva degli Stati – viene erosa dalle organizzazioni sovranazionali come l’unione Europea, dai movimenti di opinione, dal terrorismo e dalla finanza internazionale. L’attuale crisi economica lo dimostra. Il territorio – unica dimensione dell’ordine politico sopravvissuta alla crisi della globaliz- zazione – si sta oggi imponendo come il nuovo soggetto della politica. Gianfranco Miglio aveva intuito che l’organizzazione delle società, dopo il crollo delle ideologie e delle agenzie di socializzazione primaria e secondaria, si stava avviando verso il primato delle funzioni (dal punto di vista economi- co-produttivo e neocorporativo: vale a dire degli interessi aggregati). Proprio tali funzioni esigono un’organizzazione territoriale diversa da quella sinora concepita; un’organiz-
  • 6. 12 LE rADICI DEL FEDErALISMo zazione che vada oltre la dimensione regionale e si collochi in una dimensione macroregionale. Il cupio dissolvi dello Stato nazionale – con la sua identità politica e la sua classe politica, le sue norme fondamentali, la sua architettura istituzionale consolidata – viene supera- to in forza del paradigma glocal imposto dal presente. La tutela delle diversità territoriali è necessaria per garantire alle comunità volontarie un’azione autonoma nel contesto internazionale. Non bisogna insomma difendersi dalla glo- balizzazione e chiudersi a riccio per sopravvivere. Bisogna piuttosto aggredirla con determinazione, liberandosi dai vincoli oppressivi dello Stato nazionale. Come sostiene il segretario federale del Carroccio, ro- berto Maroni, il simbolo della Lega, oggi, è il più vecchio tra quelli che appaiono sulle schede elettorali. Questo libro si distacca dal coro perché rende merito di quelle analisi. E, soprattutto, mette a fuoco un paesaggio di padri nobili del leghismo che gli conferiscono radici assai robuste, ben oltre la contingenza storica della persistenza della struttura duale del paese o dei risvolti dei processi di globalizzazione che enfatizzano la dimensione locale della politica. Il fenomeno Lega è stato sinora studiato e raccontato da giornalisti o da sociologi, per loro impostazione insensibili alle elaborazioni teoriche e dottrinarie. Giornalisti e socio- logi che non sono tra le fonti del presente lavoro di ricerca perché non hanno mai indagato – neppure rapidamente e di passaggio – attorno a questi padri nobili. E tuttavia proprio la longevità del fenomeno Lega si spiega anche con un paesaggio di padri nobili – ai quali è dedicato questo libro – che in pochi conoscono. L’inizio dell’avventura politica della Lega si svolge nei corridoi dell’università di Pavia, quando l’allora giovane – e, per la verità, un po’ svogliato – studente in medicina umberto Bossi s’imbatte occasionalmente nella figura di
  • 7. INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 13 Bruno Salvadori, esponente dell’union Valdôtaine. Proprio Salvadori convincerà Bossi che il federalismo è la strada migliore, da seguire. Come si vedrà, la sua figura si staglia autorevole: egli non fu il semplice militante autonomista intento a fare proseliti alla vigilia delle prime elezioni per l’europarlamento. Salva- dori – tutt’altro che sprovveduto dal punto di vista teorico e dottrinario – fu, piuttosto, un politico molto consapevole del fatto suo, autore di un percorso del tutto originale, ma logico e coerente, nelle pieghe del federalismo integrale e personalista. Dietro Bruno Salvadori c’è un pensatore di assoluto rilievo quale Emile Chanoux, l’ineguagliato autore, nel 1944, di Federalismo e autonomie, uscito pochi mesi prima della sua tragica scomparsa. E dietro Chanoux c’è tutto l’ambiente del federalismo personalista e integrale raccolto attorno alla rivista L’Ordre Nouveau nel corso degli anni Trenta in Francia: Denis de rougemont e Alexandre Marc primi tra tutti. Ma anche, più defilato perché più giovane e più «giurista», attento ai diritti delle minoranze, Guy héraud. Ambiente che la Lega – movimento allo stato nascente – intercetta, attraverso i legami e le relazioni con l’autonomismo valdostano. Dopo la frequentazione di Bruno Salvadori, i contatti dei fondatori del movimento con rougemont e héraud sono tutt’altro che episodici e sporadici. rougemont orienta i leghisti delle origini nella lettura e nell’approfondimento di alcuni temi del federalismo personalista e integrale. héraud, che aveva contatti organici con gli ambienti dell’union Valdôtaine, osserva con estrema attenzione la genesi e l’af- fermazione del movimento, intuendone la grande novità. Questi contatti conferiscono indubbia sostanza al leghismo, che in quegli anni intercetta anche la figura di Gianfran- co Miglio, preside della facoltà di Scienze politiche della Cattolica di Milano, scienziato della politica, storico del
  • 8. 14 LE rADICI DEL FEDErALISMo pensiero e delle istituzioni appena messo a riposo. Nascente leghismo che pure comincia a costruire il mito – siamo nei primi anni Novanta – di Carlo Cattaneo, per abbracciare una ricostruzione alternativa del processo di nation build- ing nell’età del risorgimento. Nella sostanza per porsi come movimento orgogliosamente «diverso» anche rispetto all’autorappresentazione nazionale – qual è la storia patria – recuperando il grande vinto del risorgimento: per ricordare politicamente verso dove si sarebbe potuto orientare e come sarebbe potuto andare il processo di unificazione nazionale, ma come – nei fatti – non andò. Proprio questa posizione e l’idea stessa di un federalismo articolato sulle comunità volontarie territoriali comportano una rilettura attenta della vicenda risorgimentale; attenta, soprattutto, ai risvolti perdenti (oltre a Cattaneo, anche Ferrari e Minghetti, per esempio). Si tratta di una rilettura che si contrappone alla versione oleografica ufficiale per la semplice ragione che l’idea stessa della comunità nazionale posta alla base della costruzione dello Stato è profondamente diversa. Perché diversa è la percezione della socialità. Se da un lato infatti vi è una comunità nazionale che si vuole – o, meglio, si vorrebbe – compatta e coesa dalle Alpi alla Sicilia, per effetto dell’azione coercitiva, violenta e omologante, negatrice delle differenze, dello Stato, dall’altro vi sono le comunità volontarie territoriali, con i loro modelli di cul- tura e di comportamento, le loro aggregazioni di interessi economici e produttivi, le loro storie e le loro tradizioni civiche fortemente differenziate. Per tale ragione, un approccio federalista alla «questio- ne» italiana implica necessariamente una rivisitazione del processo risorgimentale e delle sue correnti ideologiche. La percezione e l’idea dell’identità politica nazionale caratte- rizzata da un aggregato di comunità volontarie territoriali autonome di uomini liberi si collocano su un altro piano
  • 9. INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 15 rispetto alla costruzione artificiale e forzata – attraverso i processi di nation building – di un’identità politica nazio- nale fortemente ideologica e ideologizzata perché fondata sull’unità e indivisibilità della repubblica e dunque unitaria e omogenea, demagogicamente contrapposta al pluralismo e alla diversità. Che rappresentano, al contrario, una grande ricchezza e una straordinaria risorsa. Il federalismo è infatti, anzitutto, un costume interiore, cioè una passione umana che si traduce in modelli di cultura e di comportamento derivanti dalle tradizioni civiche – che sono atteggiamenti virtuosi dal punto di vista etico e civile – e basati sulla libertà individuale. È lo stesso Miglio – nelle pagine di un polemico pamphlet, pubblicato all’indomani della rottura con il leader del Car- roccio – a ricostruire la dinamica del suo incontro con Bossi. Nel suo saggio «Vocazione e destino dei Lombardi», apparso sul finire del 1989 quale introduzione a un volume dedicato alla Lombardia moderna, Miglio aveva infatti sostenuto e argomentato il deficit cronico di leadership politica della terra lombarda, che non ha mai fornito al paese uomini di Stato. La curiosità di vedere se Bossi – intento a costruire la sua leadership carismatica – fosse l’eccezione che conferma la regola lo indusse a organizzare l’incontro. Fu abbastanza facile e si adoperò in prima persona la moglie del professore. L’incontro fatale avvenne il 17 maggio 1990. Scrive Miglio: Il colloquio durò circa due ore e mezzo e fu molto cordiale. In seguito a un giro di orizzonte assai particolareggiato, sco- primmo di avere vedute abbastanza coincidenti sui principali temi della politica italiana: soprattutto feci notare al mio ospite le due convinzioni fondamentali sulle quali convergevamo: che il regime partitocratico doveva essere rovesciato e che alle istituzioni della Prima repubblica doveva essere sostituita un’autentica costituzione federale3 .
  • 10. 16 LE rADICI DEL FEDErALISMo Il perché è presto detto, e qui Miglio si lascia andare a un’intima confessione: Gli confidai che quando ero molto giovane (e militavo nel movimento clandestino dei federalisti cattolici) sognavo di diventare cittadino di una «repubblica cisalpina». Aggiunsi che però consideravo storicamente improponibile la creazione di un piccolo Stato sovrano: all’antico ideale dell’«indipen- denza» bisognava sostituire il modello più moderno di una integrazione «federale», basata tuttavia sulla libera determi- nazione delle popolazioni e su un consenso continuamente ricostituito4 . Salvadori e Chanoux, rougemont e héraud, Miglio e Cat- taneo: gli autori sono proposti in questa sequenza – non meramente cronologica – perché essa è storicamente fedele alla strutturazione e alla crescita del movimento leghista, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Nessun partito presente in Parlamento può vantare un paesaggio di padri nobili così ricco e articolato: c’è chi se n’è dovuto sba- razzare, dei padri nobili, per avviare profonde metamorfosi ideologiche; c’è chi ha provato a individuarne qualcuno ma non è mai riuscito a tenere insieme la «pancia» del partito coagulandola su quegli ideali. Anzi, ha suscitato la perplessità e l’ironia di analisti e commentatori. L’attuale rigonfiamento a dismisura della crisi della po- litica – per effetto di una mancanza di idee e di principi vasta e capillare, che abbraccia tutti i partiti – determina un preoccupante vuoto rappresentativo e ricade, pertanto, sulle istituzioni, determinando la disintegrazione del contesto nell’ambito del quale la classe politica agisce. È il collasso della classe politica. A tal proposito, Ernesto Galli della Loggia ha osservato sul Corriere del- la Sera:
  • 11. INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 17 Chi oggi inizia a far politica in Italia non ha più alcun ri- ferimento storico-ideologico forte, non può ricollegarsi ad alcun valore; in senso proprio non sa più a nome di quale Paese parla, anche perché ben raramente ne conosce la storia e perfino la lingua; l’Italia che gli viene in mente può essere al massimo quella del Made in Italy. Per una ragione o per l’altra, poi, tutto l’orizzonte simbolico ma anche pratico sul cui sfondo è nata e vissuta la repubblica gli si presenta in pezzi. La politica, i partiti, l’antifascismo, l’intervento pubblico, il Welfare, la mobilità sociale, il lavoro hanno perduto qualunque capacità mobilitante, non rappresentano più quelle rassicuranti (e plausibili) linee d’azione che rappresentavano un tempo: andrebbero ripensate da cima a fondo ma nessuno lo fa5 . Gli scandali regionali più recenti e gli ingenti sprechi di risorse dimostrati hanno indotto più di un commentatore ad auspicare una repentina marcia indietro dei processi di decentramento, quando forse tutto ciò è potuto avvenire solo per le stravaganti e contraddittorie modalità di appli- cazione della regionalizzazione, soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta. Anche perché i processi di decen- tramento – se attuati con razionalità e serietà – implicano una dimensione di «prossimità» politica e amministrativa che favorisce e promuove il senso di responsabilità della classe politica e le prerogative di controllo da parte dei cittadini. Due principi – responsabilità e controllo – ormai non più eludibili nella gestione della cosa pubblica. Malgrado gli scandali nazionali e anche quelli interni al movimento, malgrado i vent’anni di storia della Seconda repubblica sulla quale si chiuderà presto – quando non fosse già avvenuto – il sipario ne abbiano eroso la forza intrinseca, il termine-concetto federalismo non è inflazio- nato più di tanto. Nei fatti, anche per come vanno le cose con un assetto burocratico e accentratore, conserva ancora
  • 12. 18 LE rADICI DEL FEDErALISMo una sua significativa capacità di sollecitare lo slancio ideale e di accendere la passione civile; conserva ancora una sua efficacia di mobilitazione politica, soprattutto – ma non solo – nell’ambito dei militanti e dei simpatizzanti, degli elettori della Lega, per un domani migliore. un domani in cui le differenze tra chi gestisce virtuosamente le risorse e chi le spreca vengano infine stabilite con precisione in una scala di valori di merito. Il federalismo conserva ancora tutta la sua forza evocativa anche per la presenza dei padri nobili ai quali è dedicato questo libro. Padri nobili che possono essere suddivisi – co- me forse già s’è intuito e come sicuramente emergerà nella lettura delle pagine che seguono – in due grandi filoni, che sono anche le due parti ideali da cui è composto questo libro: da un lato vi sono gli esponenti del federalismo in- tegrale, come Chanoux e rougemont, e dall’altro vi sono gli esponenti di un modello di federalismo eminentemente nordista, strutturato sulle tradizioni civiche – à la Putnam6 , per intenderci – come Miglio e Cattaneo. Indubbiamente non basta dire che i contatti con Salva- dori, rougemont e héraud vi furono quando il movimento si trovava allo stato nascente.Tracce della presenza di questo doppio filone di federalismo sono riscontrabili ed emergono con chiarezza nei primi libri scritti da umberto Bossi in collaborazione con il giornalista Daniele Vimercati all’inizio degli anni Novanta. In effetti, il progetto scientifico di questo libro è nato proprio rileggendo quei testi. Per esempio, nel volume forse più teorico scritto a quattro mani, La rivoluzio- ne7 , ma anche in Vento dal Nord8 , è evidente l’impostazione personalista della parte firmata da Bossi e quella nordista, fondata sulle tradizioni civiche, della parte firmata da Vi- mercati. Lo stesso Vimercati, nel suo libro I lombardi alla nuova crociata9 , si sofferma – ancorché rapidamente – sulle suggestioni e sui risvolti teorici del federalismo integrale nel
  • 13. INTroDuzIoNE. uN rITorNo AL FuTuro 19 capitolo dedicato al sogno autonomista delle origini. Così come un fugace cenno – che non viene poi approfondito – alle radici teorico-politiche della Lega, in chiave nordista, c’è nelle prime pagine del Vento della Padania10 di Guido Passalacqua. Vimercati e Passalacqua parlano di Bossi come di colui che ha avuto l’intuizione e si è impadronito di un ampio «materiale» storico e culturale, linguistico e istituzio- nale, traducendolo in un progetto politico del tutto nuovo. Forse è più appropriato sostenere – in sede scientifica – che il progetto politico della Lega è in qualche modo espressione diretta di due tradizioni di pensiero che si in- trecciano, si contaminano e si alimentano a vicenda: il federalismo personalista e integrale con il federalismo delle tradizioni civiche del Nord. E il certificato dello «stato di famiglia», vale a dire il passaggio dai padri nobili ai figli operanti nell’arena della politica, trova il suo riscontro nelle metamorfosi del progetto politico della Lega. I cambi di rotta, cioè i mutamenti del percorso che va dall’indipendenza alla secessione, dalla devolution al federalismo fiscale, dalla macroregione del Nord all’euroregione, dall’autonomia all’autogoverno, dalla responsabilità alle tradizioni civiche, rispondono alle sollecitazioni del pensiero politico dei padri nobili e al fecondo intreccio tra quelle due tradizioni dottri- nali. E se la modernità – nel dispiegarsi del suo ciclo storico dal Cinquecento sino al Novecento – ha esibito una legge fondamentale è quella che richiede il continuo e tempestivo adattamento al mutamento, pena l’esclusione dalla storia. In questo lavoro non si fa riferimento, se non occasional- mente e di passaggio, ai risvolti dei rapporti di questi scrittori politici – molti ancora in vita quando il leghismo mosse i primi passi – con la politica praticata e con il movimento padanista. Qui si offre semplicemente una ricostruzione del pensiero politico di questi autori, che hanno inciso così in profondità nel fenomeno del leghismo; autori con
  • 14. 20 LE rADICI DEL FEDErALISMo i quali i fondatori hanno avuto rapporti diretti o indiretti. E con i quali gli studiosi non hanno mai fatto i conti. Perciò le varie storie o analisi politologiche del fenomeno Lega – anche le più pregevoli – risultano in qualche modo monche e lacunose. Dei capitoli che seguono, solo quelli dedicati a Cattaneo e a Miglio sono stati già parzialmente pubblicati11 , ma qui sono presentati in una versione riveduta, corretta e arricchita. ovviamente, in questo percorso, alcuni amici – lettori attenti dell’esito delle mie ricerche e dei miei interventi – mi hanno sostenuto, incoraggiato e criticamente commentato. La responsabilità, come sempre in questi casi, è solo di chi scrive. Ma ringrazio sinceramente, e in rigoroso ordine alfabetico, questi miei interlocutori privilegiati: Sabino Acquaviva, Etienne Andrione, Alessandro Campi, Federica Epis, Luciano Fasano, Claudio Kaufmann, Nicola Maranesi, roberto Marraccini, Alberto Martinelli, Leo Miglio, Nicola Pasini, Luigi robuschi, Francesco Tuccari. Questo libro è dedicato a Elisabetta, sublime nella sua dolcezza. Note 1 S. rokkan, Cittadini, elezioni, partiti, Il Mulino, Bologna, 1984; S. rokkan, Stato, nazione e democrazia in Europa, Il Mu- lino, Bologna, 2002. 2 L. ricolfi, Il sacco del Nord. Saggio sulla giustizia territoriale, Guerini e Associati, Milano, 2010. 3 G. Miglio, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei quattro anni sul Carroccio, Mondadori, Milano, 1994, p. 15. 4 Ivi, p. 16. 5 E. Galli della Loggia, «Molte spese, pochi valori», Il Corriere della Sera, 25 settembre 2012.