Una serie di articoli sulle politiche di gestione e controllo dei bilanci nazionali nell'ambito dell'Unione Europea, partendo dal Trattato di Maastricht fino ad arrivare al Meccanismo europeo di Stabilità (MES), approfondendo di volta in volta i temi più rilevanti.
In questo primo numero si affronta il Trattato di Maastricht e la sua implementazione attraverso il Patto di Stabilità e Crescita, con approfondimenti sui limiti del 3% di deficit e del 60% debito/PIL
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Il Fiscal Compact - Parte 1
1. Il Fiscal Compact
La storia delle misure di austerity
Parte 1: dalTrattato di Maastricht alla crisi economica del 2008
2. Un punto fondamentale: cos’è il Fiscal Compact?
Negli ultimi due anni – e soprattutto negli ultimi mesi – si sente parlare
sempre più spesso del Fiscal Compact. Ma cos’è esattamente questo Fiscal
Compact? Apparentemente nessuno ne ha un’idea precisa, nemmeno molti
dei nostri politici.
Volendolo spiegare in modo semplice, è un accordo intergovernativo
esterno alle dinamiche istituzionali dell’Unione Europea in senso stretto,
ma non ne è totalmente avulso – anzi, in vari punti si richiama al rispetto ed
alla applicazione delle norme comunitarie.
La sua sottoscrizione è stata funzionale alla creazione del Meccanismo
Europeo di Stabilità (MES), un ente finanziario di diritto internazionale
sullo stile del Fondo Monetario Internazionale, il cui scopo sia quello di
sostenere gli Stati sottoscrittori in caso di crisi economica – imponendo
però condizioni stringenti sui bilanci nazionali, che sono state accorpate
sotto la comune denominazione di misure di austerity.
Prima di giungere alla firma di questo trattato si sono attraversati vari
passaggi istituzionali e accordi, con una forte accelerazione nel periodo
successivo al diffondersi della crisi economica del 2008.
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3. La sequenza delle misure intraprese
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Patto stabilità e
crescita (PSC)
1997
Fondo europeo di
stabilità finanziaria
(EFSF) – o Fondo
Salvastati
2010
Meccanismo Europeo
di Stabilizzazione
Finanziaria (EFSM)
2010
Patto Euro Plus
2011
Six Pack
2011
Riforma articolo 136
TFUE
2011
Trattato di stabilità,
coordinamento e
governance
(Fiscal Compact)
2013
Meccanismo Europeo
di Stabilità (MES)
4. Le origini: da Maastricht al Patto di Stabilità e Crescita
La creazione di un sistema economico e, soprattutto, monetario come quello europeo è
un’operazione mastodontica sotto molti punti di vista.
La sola operazione di armonizzazione dei sistemi economici e monetari – tra loro più o
meno profondamente diversi – rappresenta il problema che in modo più evidente
emerge nel considerare la storia dell’integrazione europea recente; al fine di risolvere
le innumerevoli problematiche che di volta in volta si sono poste è stato necessario
sviluppare un ampio corpus di regolamentazioni e politiche comunitarie il cui scopo era
il conseguimento dell’equilibrio macroeconomico, in particolare nei settori finanziario e
monetario, fondamentali per la creazione di un sistema monetario unico – l’Eurozona.
In origine questi criteri sono stati stabiliti con il Trattato di Maastricht (1992), che impose la
«famigerata» soglia del deficit al 3% annuo, da affiancare al rientro del debito pubblico
entro il tetto massimo del 60% del PIL.
Il perché questa così stringente disciplina di bilancio per gli Stati membri è da ricercarsi
nelle politiche economiche praticate in quegli anni dai principali Paesi Europei:
nonostante ci si avvicinasse alla creazione della Moneta Unica, molti Paesi europei
continuavano ad espandere il proprio debito pubblico, pensando di poter continuare a
ricorrere a politiche monetarie «flessibili» - come la possibilità di stampare moneta (e
creare quindi inflazione) per ripagare il debito pubblico.
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5. Il Patto di Stabilità e Crescita
Il rischio – concreto – che simili politiche nazionali potessero aumentare l’instabilità del
sistema economico europeo, soprattutto in previsione dell’adozione della Moneta Unica,
hanno spinto i Paesi membri dell’allora Comunità Europea a sottoscrivere un accordo con
cui si impegnavano a migliorare la loro stabilità finanziaria ed economica attraverso il
raggiungimento dei livelli definiti nel Trattato di Maastricht: fu così sottoscritto nel giugno
del 1997 il Patto di Stabilità e Crescita, con cui gli Stati membri si impegnavano in modo
vincolante al rispetto dei parametri di Maastricht in previsione dell’introduzione
dell’Euro.
Il Patto non ebbe però un seguito molto concreto nell’ambito delle politiche nazionali,
ed anzi vi furono anche varie critiche durante le crisi economiche asiatica e durante lo
scoppio della bolla della new-economy.
A causa della rigidità dei parametri, soprattutto durante i periodi di congiuntura
negativa, molti Paesi iniziarono a contestarne l’effettiva funzionalità e a lamentare
l’effetto compressivo di un simile sistema. Tra quelli che maggiormente si sono battuti
per la riforma del Patto di Stabilità e Crescita, ottenuta nel 2005 con una serie di
modifiche che lo hanno reso di fatto inutile se non come sistema di controllo sulla
disciplina fiscale furono la Francia e – soprattutto – la Germania, che lamentava
l’eccessivo rigore del sistema.
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6. Deficit pubblico e debito pubblico
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Al fine di comprendere in modo corretto i parametri imposti dal Trattato di
Maastricht, rafforzati poi dai successivi accordi a livello comunitario e
internazionale, è necessario in primo luogo definire l’esatta differenza che
intercorre tra deficit e debito.
Deficit
Il deficit (di bilancio)
consiste nella differenza
tra entrate ed uscite alla
chiusura del bilancio
annuale. Se le uscite
superano le entrate, si
parla di deficit.
Debito
Il debito consiste
nell’insieme dei prestiti
e dei finanziamenti che
un ente sottoscrive per
coprire la propria attività
in caso di entrate
insufficienti.
7. Il bilancio di uno Stato conta su un numero relativamente ristretto di fonti
d’entrate, divisibili principalmente in entrate tributarie (la tassazione) ed extra-
tributarie (le spese sostenute dai cittadini per l’acquisto di beni e servizi offerti
dallo Stato attraverso la Pubblica Amministrazione), a cui si sommano eventuali
entrate occasionali, derivanti da operazioni «uniche» come una privatizzazione.
Assai più complesso è il quadro delle uscite, che include molteplici voci di spesa,
tra cui si annoverano anche le spese di copertura del debito. La riduzione del
rapporto debito/PIL al 60% mira proprio al contenimento di quest’ultimo: se infatti
il debito supera determinate soglie c’è il rischio che il costo degli interessi – che lo
Stato è tenuto a pagare per la sua copertura – sia tale da creare ulteriore debito,
innescando una spirale viziosa di indebitamento e ingessando in modo irreversibile
il bilancio statale.
A questo proposito è importante considerare anche un altro elemento, ossia il
differenziale tra i tassi di interesse che uno Stato deve offrire per «piazzare» il
proprio debito – lo spread. Per quanto riguarda i mercati europei, questo si calcola
in riferimento ai rendimenti (tassi di interesse annuali) dei buoni del Tesoro
tedeschi, che vengono generalmente presi come riferimento (benchmark).
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