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Anna Maria Vissani
Emilia Salvi
Mariano Piccotti


DONNE
DELLA
PASQUA
IL GENIO FEMMINILE
NELLA STORIA
DEL POPOLO DI DIO
© 2011 Editrice Velar
24020 Gorle, Bg
www.velar.it
ISBN 978-88-7135-???-?

Esclusiva per la distribuzione in libreria
Elledici
10098 Cascine Vica, To
www.elledici.org
ISBN 978-88-01-?????-?

Tutti i diritti di traduzione e riproduzione
del testo e delle immagini,
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sono riservati in tutti i Paesi.

I.V.A. assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, 1° comma,
lettera C, D.P.R. 633/72 e D.M. 09/04/93.

Progetto grafico, realizzazione e stampa
a cura di Editrice Velar, Gorle (BG)

Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
PRESENTAZIONE




    20 anni fa il domenicano padre Dalmazio Mongil-
lo, nostro carissimo amico, introduceva un piccolo li-
bretto su figure di donne vissute alla luce del Mistero
Pasquale, edito dal Centro di Spiritualità “Sul Monte”.
Riteniamo utilissimo riportare una parte delle sue ri-
flessioni, in omaggio all’uomo di scienza e di dolcissi-
ma parola, all’uomo dalla parola suadente e umanissi-
ma. Scriveva: “Per secoli, nella mentalità corrente, ‘sto-
rie di donne’ ha fatto pensare a realtà non degne di at-
tenzione, non rilevanti, di cui non è il caso di interes-
sarsi: ‘le donne fanno storie’, non scalfiscono la real-
tà, non fanno storia. Questa mentalità, indubbiamente
di stampo maschile, oggi rende rischioso per un uo-
mo parlare delle donne. Non è astratto il timore di es-
sere frainteso e sospettato, e per quello che dice e per
i motivi che lo inducono a parlare. Eppure non ci si
può sottrarre al dovere di farlo, di imparare a comuni-
care in verità e dignità, di promuovere un nuovo stile
di relazione, di assecondare gli indispensabili processi
di purificazione della memoria, condizione prelimina-
re per ogni intesa costruttiva.
    Quando si percorrono le pagine di questa storia al
femminile, quando ci si lascia coinvolgere dall’eloquen-
za di tanti eventi, molti di essi autentici ‘fatti di vangelo’,
vissuti da donne che hanno aperto nuove vie al cammi-
no dell’umanità in tutti i campi della realtà, ci si rende
conto di quanto ingiusti siamo stati noi uomini, di Chie-
sa e di mondo, quanto lenti ad arrenderci all’evidenza,
quanto incapaci di cogliere le dimensioni della femmi-
nilità della realtà e, conseguentemente, quanta gioia di
vivere abbiamo disatteso e compromesso.

                              3
Sarebbe stato sufficiente pensare che ognuno di noi
esiste perché una donna per nove mesi ci ha cresciu-
ti nel ventre e per un numero indefinito di giorni e di
mesi ha trepidato e vegliato per noi, per vedere la re-
altà in altra luce.
    È vero che, in genere, alla propria mamma ognuno
ha riservato un trattamento speciale: ‘esclusa mia ma-
dre’! Non si è pensato che questa valutazione la attua-
no quasi tutti e, perciò, tutte le donne, madri per la ge-
nerazione o per la rigenerazione, avrebbero meritato a
livello di linguaggio, di pensiero, di atteggiamento, una
considerazione meno ingiusta e discriminatoria.
    Anche se oggi parlare di donne, abbondare in elogi,
va diventando di moda, almeno quando ci si esprime
in forma ufficiale, non lo è ancora il riconoscimento, ef-
fettivo ed affettivo, universale e pacifico, che il maschi-
le e il femminile strutturano l’unica e indivisa umanità,
sono le due orbite dell’ellisse umana, le realtà che, solo
insieme, rendono feconda e amica la convivenza, gio-
iosa e degna di essere vissuta la vita. Perdurano molte
e profonde situazioni di discriminazione, di autentica
emarginazione ed esse resistono a cedere”.

    Che cosa è cambiato da allora circa la condizione
della donna? Che ne è del “genio femminile” di cui l’u-
manità non può fare mai a meno? Cosa è avvenuto di
quel “segno dei tempi”, il primo indicato dalla Pacem
in Terris, di Papa Giovanni XXIII, nel 1963. Quale cul-
tura della donna sta entrando nella mente e nel cuore
di tutti noi attraverso i mass-media?
    Non possiamo far finta di non vedere e non sapere.
Occorre solo indignarci. E veramente!
    Le storie descritte in questo volume, si leggono in un
crescendo di interesse, sono tutte belle. Nel loro insieme
così ben articolato, alimentano la gioia dell’appartenenza
alla famiglia umana costruita da persone docili al Miste-
ro Divino, trasparenti alla Sua Luce e per questo cariche
di attrazione. Esse fanno nascere la nostalgia per una vi-

                            4
ta meno solitaria, meno opaca e alimentano la speran-
za in un presente che non è solo del tipo di quello che i
media ancora divulgano. Le esperienze di queste donne
disincantano le illusioni delle persone che credono che
le svolte culturali si attuano in modo automatico e sono
frutto di soli cambiamenti esterni.
    Un filo sottile sottende queste diverse narrazioni che
in gran parte riguardano persone vissute in condizioni
di esistenza che sono quelle di tutti noi: la spontaneità
con cui ognuna di esse ha realizzato la sua relazione,
più o meno esplicita ed intensa, con Dio e con il pros-
simo. È questa la sorgente nascosta che alimenta la fe-
deltà, la vivacità, la creatività, di queste esistenze non
più rare e isolate, e che contestualizza quello sguardo
contemplativo che le ha portate a rendere celebrazione
l’esistenza quotidiana, a viverla come espressione del-
la regalità e della profezia di cui sono dotate per il lo-
ro Battesimo. La loro caratteristica comune è essere im-
merse nel grande mare dell’amore di Dio e piene di mi-
sericordia per la sofferenza umana, fino al dono totale
di se stesse, senza calcolo. Capaci di morire ogni gior-
no a se stesse per donare vita e luce all’umanità tutta.
Proprio come Gesù nella Sua Pasqua!
    Questo libro sulle donne, quindi, ci mette in ascol-
to di figure femminili belle, forti, coraggiose, ricche di
umanità e soprattutto innamorate di Dio. Ci auguriamo
che sia letto da un gran numero di persone e susciti in
tante donne e in tanti uomini la volontà di operare con
fiducia e perseveranza per l’avvento di un mondo ami-
co, trasparente e solidale nella giustizia e nella pace.
    Vuole essere anche un grazie a tutte le donne che
conosciamo e con le quali collaboriamo. Ognuno cer-
tamente ne ha attorno diverse che lo hanno fatto vive-
re e crescere. Il grazie per loro è lo stesso che ha det-
to Giovanni Paolo II nella lettera alle donne che scris-
se nel 1995:
    “Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell’es-
sere umano nella gioia e nel travaglio di un’esperienza

                            5
unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che vie-
ne alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno
della sua crescita, punto di riferimento nel successivo
cammino della vita.
    Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabil-
mente il tuo destino a quello di un uomo, in un rap-
porto di reciproco dono, a servizio della comunione e
della vita.
    Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti
nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita so-
ciale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intui-
zione, della tua generosità e della tua costanza.
    Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tut-
ti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale,
artistica, politica, per l’indispensabile contributo che
dai all’elaborazione di una cultura capace di coniu-
gare ragione e sentimento, ad una concezione della
vita sempre aperta al senso del ‘mistero’, alla edifica-
zione di strutture economiche e politiche più ricche di
umanità.
    Grazie a te, donna-consacrata, che sull’esempio del-
la più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo in-
carnato, ti apri con docilità e fedeltà all’amore di Dio,
aiutando la Chiesa e l’intera umanità a vivere nei con-
fronti di Dio una risposta ‘sponsale’, che esprime me-
ravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire
con la sua creatura.
    Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!
Con la percezione che è propria della tua femminilità
tu arricchisci la comprensione del mondo e contribui-
sci alla piena verità dei rapporti umani”.
    (Giovanni Paolo II)

    La comunità del Centro di Spiritualità “Sul Monte”
                         Castelplanio, dicembre 2011




                            6
I PARTE
             STORIE DALLA BIBBIA




    Da Eva a Maria, dalla donna “tratta” dal fianco
dell’uomo alla donna che dona i natali al Figlio
dell’uomo. Da quella situata fin dall’inizio in stato
d’inferiorità, di dipendenza e di sottomissione rispet-
to al maschio, e quindi votata all’insoddisfazione,
all’invidia, al ricorso all’astuzia – l’arma dei deboli –,
alla donna magnifica, allo stesso tempo vergine e ma-
dre, intoccabile e prodiga, votata all’estrema discre-
zione, alla pazienza, alla dignità di un profondo do-
lore. Eva e Maria, le due facce dell’eterno Giano fem-
minile: la malvagia e la buona, la subdola e la can-
dida, la fallibile e la forte, la funesta e la santa. Ma tra
Eva e Maria molti altri volti di donna emergono nel
corso dei secoli sfogliando le pagine della Bibbia. E
ciascuna è unica, singolare e tuttavia plurale, alme-
no complessa, poiché mescola in se stessa più o meno
ombra e più o meno luce, astuzia e rettitudine, orgo-
glio e coraggio. Ciascuna è unica, nella sua carne e
nel suo destino, ma non da sola: la vita di ciascuna
di queste donne si svolge, infatti, sempre nel cuore di
una comunità dove devono trovare il loro posto, con-
solidarlo e assicurarselo, spesso al prezzo di prove e
conflitti, come Rachele e Lia; di raggiri a seconda del-
la necessità, come Tamar o Betsabea; a volte con du-
rezza, come Sara che scaccia Agar. Queste linee oriz-
zontali, che strutturano e circoscrivono il palcosceni-
co della loro esistenza, vengono tessute sempre attor-

                             7
no a un asse verticale, di una verticalità infinita, al-
lo stesso tempo stranissima e intima: Dio. Dio si erge
al cuore delle loro esistenze. Sebbene “assente”, non
nominato, come nel libro di Ester, egli è là (Est 4,14).
Dio rimane in un Altrove immenso, non situabile, e
tuttavia prossimo; quando, davanti alla minaccia di
sterminio che il ministro Aman fa pesare sul popolo
ebraico, Mardocheo si appella alla giovane regina
Ester affinché tenti di salvare i suoi, egli evoca questo
altro luogo che sottintende Dio. Allora Ester, con il di-
giuno e la veglia, scende nel più profondo di se stessa
– fino a quell’intimo Altrove dove si trova Dio, e tace –
e in quel silenzioso Altrove, che è Dio stesso, attinge la
forza per affrontare il re, a rischio della propria vita,
al fine di ottenere la grazia per il suo popolo. “Entre-
rò dal re malgrado la legge e, se si deve morire, mori-
rò!”: così dice sobriamente, poi, forte del pellegrinag-
gio che ha appena compiuto nel segreto verso quell’Al-
trove sacro, si riveste degli abiti regali per presentarsi
al sovrano che ha su di lei e su tutti i suoi, potere di
morte o di salvezza. Per le donne della Bibbia, Dio è
anzitutto il Dio della Vita, piuttosto che quello della
potenza e della vittoria, così come lo concepiscono
molto spesso gli uomini, la cui fede resta condiziona-
ta dalle loro funzioni di guerrieri. La fede delle don-
ne, invece, è irrigata da ciò che costituisce la loro for-
za, l’unico potere che gli uomini non possiedono e del
quale essi possono spossessarle: la maternità. Quando
però gli uomini tentano di privarle di questo potere,
per indifferenza o per sfiducia nei loro confronti, esse
non disarmano, ma ricorrono a stratagemmi, anche
i più pericolosi, come quello messo in atto da Tamar
che, dopo due precoci vedovanze, non si rassegna a
rimanere infeconda. Vuole a tutti i costi, anche ri-
schiando la propria vita, dare alla luce un figlio del
sangue di Giuda, affinché il filo delle generazioni non
venga interrotto e la posterità sia assicurata. Come
Ester, che depone i suoi vestiti di donna che implora e

                            8
supplica e si riveste di magnificenza per scongiurare
la minaccia di morte che pesa su di lei e sul suo popo-
lo, Tamar cambia i suoi abiti di vedova con quelli di
una prostituta, per sedurre il suocero che esercita
anch’egli un diritto di vita e di morte sulla sua perso-
na. Queste donne non retrocedono davanti ad alcun
ostacolo: né la paura, né lo scandalo, né la vergogna
le fanno deviare dal cammino che si sono tracciato;
“nonostante la legge”, che alle volte può mostrarsi co-
sì iniqua, violenta, mortale, vanno dritte a fondo nel-
le loro decisioni. La Vita viene prima di tutto. Quan-
do invece è il loro stesso corpo che le priva della gioia
della maternità, nemmeno allora le donne della Bib-
bia vi rinunciano. In questo caso non possono far ri-
corso all’astuzia – non si possono manipolare le cose
con Dio perciò ricorrono alla preghiera, alla supplica,
alla pazienza. Una pazienza ostinata, come quella di
Anna, sposa sterile di Elkana, che darà alla luce il
profeta Samuele. La loro pazienza, accompagnata da
un’ammirabile fiducia, può anche diventare pugna-
ce, quando il figlio tanto aspettato e finalmente venu-
to al mondo, è precocemente colpito dalla morte. Allo-
ra esse ripartono per la guerra contro la notte, il fred-
do che attanaglia il cuore e le viscere, contro le oscu-
re forze della morte, come la donna di Sunen, che
parte per reclamare il “dovuto” presso il profeta Eliseo.
Il dovuto della vita rubata a suo figlio, quello stesso
che aveva tanto tardato a partorire. Ella esige che Dio,
attraverso il suo profeta, mantenga in pieno la sua
promessa e le restituisca il dono che le aveva conces-
so: che risusciti suo figlio, che le venga concesso di
condurlo fino all’età matura di uomo e che la filiazio-
ne continui il suo corso attraverso il tempo. Allor-
quando, infine, in nome della sopravvivenza del po-
polo in pericolo, bisogna che esse passino per l’assas-
sinio, non esitano né tremano davanti all’obbligo di
uccidere il nemico: così fecero Giuditta e Giaele. Sal-
vare la vita, instancabilmente; salvare la tribù, la cit-

                           9
tà, il popolo; proclamare la gloria del Dio d’Israele,
Dio dei viventi. Le donne, sempre, elevano il loro
sguardo ad altezza di vita e, dunque, con lo stesso
slancio, all’altezza di Dio e dell’umanità piena: molto
in alto, molto lontano e molto vicino (Sylvie Germain).




                         10
Raab
      IL FILO ROSSO DELLA LIBERTÀ




   Dopo la liberazione dalla schiavitù egiziana e la
permanenza di 40 anni nel deserto, Israele, sotto la
guida di Giosuè, si appresta a conquistare la terra pro-
messa (Palestina). Una tappa importante di questa con-
quista è la presa di Gerico, nella cui cornice si collo-
ca la storia di Raab (Giosuè 2), qui raccontata in una
libera traduzione.

    A Gerico, piccolo centro della Palestina, non lontano
dal fiume straniero, attraverso varie scorribande mes-
se a segno con destrezza, si erano impadroniti di buo-
na parte dei territori controllati dai re cananei e proce-
devano inesorabilmente verso la città. Li chiamavano
Israeliti e non erano neanche molti; ma da quando era-
no spuntati dal deserto, la fama della loro invincibilità
era rimbalzata con terrore in tutta la valle del Giorda-
no. Tanta forza in così poca gente non si era mai vista
eppure, stando al racconto di alcuni scampati, usava-
no armi talmente rudimentali da sembrare un miracolo
che fossero ancora vivi. “Quale sarà il loro segreto?” si
chiedeva sbigottita la popolazione di Gerico mentre a
piccoli crocchi, commentava la notizia, giunta di recen-
te, della disfatta subita da Og e Sicon, due re amorrei

                           11
oltre il fiume. Era ormai risaputo però, che il loro asso
nella manica era un dio chiamato JHWH con cui ave-
vano stipulato un patto di alleanza e che aveva giura-
to di dar loro, per abitarvi, il possesso di tutta la terra
di Canaan. Questo Dio, ora, stava realizzando la pro-
messa mettendo nelle loro mani, senza quasi combat-
tere, l’intera regione. Gerico viveva ormai sotto l’incu-
bo di un attacco, imminente. Venti di guerra e di ro-
vina si addensavano già nell’aria della sera, portando
con sé un leggero senso di vertigine nel tranquillo ca-
lare del sole.

LA LUCE DELLA SPERANZA
    Dalla terrazza della sua minuscola casa, addossata
alle mura di cinta, bianca come la caligine che si re-
spirava all’intorno, Raab, forse la più nota tra le prosti-
tute della città, scrutava l’orizzonte con la mano tesa a
tettoia per fare ombra agli occhi (davanti la campagna,
ampia e deserta, era avvolta da un silenzio quasi irre-
ale, attraversata solo dallo stridio di corvi affamati in
cerca di preda). Raab si sentiva inquieta e sospesa nel
vuoto come quella cordicella di filo rosso, penzolante
e scossa dal vento, che aveva legato alla finestra sotto
di lei. A quel filo rosso era appesa la sua vita e tutte le
sue speranze. A guardarla, poggiata alla parete nei mo-
menti di quiete, assomigliava ad un rigagnolo di san-
gue appena uscito da una ferita. Sangue di chi e ver-
sato per che cosa?
    Raab aveva sentito dire che il Dio JHWH aveva sal-
vato gli Israeliti dalla schiavitù in Egitto grazie al san-
gue di un giovane agnello, sparso sulle porte delle lo-
ro case. Era stato il segno potente di un Dio che ama
e libera; che è presente tra la sua gente ed è pronto a
donare la vita. Chissà se era vero che avrebbe libera-
to anche lei? Quella cordicella rossa al posto del san-
gue avrebbe forse allontanato la morte del corpo, ma
avrebbe potuto sconfiggere quella che Raab si porta-
va nel cuore? Guardava se stessa e non vedeva nien-

                           12
te di buono. Eppure quei desideri profondi di liber-
tà e infinito che si portava dentro, dovevano pur va-
lere qualcosa agli occhi di Dio. Chi se non Lui avreb-
be potuto togliere dalla sua spalla quella cesta stracol-
ma di lacrime per un passato doloroso e carico di fe-
rite e per la solitudine senza uscita in cui le paure l’a-
vevano imprigionata? Chi se non lui, avrebbe potuto
riconciliarla con se stessa e la vita, dando almeno un
senso a quella squallida emarginazione che il mondo
le aveva riservato?
     Qualunque cosa fosse accaduta, la sua salvezza, or-
mai, dipendeva dal colore sanguigno di quei pochi fili
intrecciati e dall’amore di un Dio misericordioso che l’a-
veva raggiunta e le era penetrato nel fondo dell’anima.
     Da dietro le spalle le giungevano intanto gli echi di
un febbrile affannarsi di gente intorno a carri e caval-
li. I suoi concittadini si apprestavano, in totale autosuf-
ficienza, ad affrontare la lotta per un esodo impossi-
bile. Mentre si dirigeva verso la scalinata per scendere
in casa, Raab lanciò un’occhiata alla catasta degli ste-
li di lino addossata alla parete. Era ancora dissestata
ma non aveva voglia di metterla in ordine. A due gior-
ni dal fatto, ancora, a guardare quel mucchio scom-
posto le tremavano le gambe al ricordo di quanto era
successo. Al calar della sera, un paio di uomini, si era-
no intrufolati non si sa come, dentro la città, eludendo
i controlli che le autorità avevano da tempo intensifi-
cato. Era sola quando le piombarono in casa. Perché
avessero scelto proprio lei lo capiva bene: unico luo-
go che li avrebbe accolti senza troppi pregiudizi. Le lo-
ro facce abbronzate, i lineamenti marcati e un po’ du-
ri, ne tradivano la provenienza. Capì subito che si trat-
tava di esploratori Israeliti mandati a perlustrare la zo-
na. Per un attimo si sentì come paralizzata ma si rieb-
be subito. Un sottile senso di mistero avvolgeva quegli
uomini, come se il loro Dio, dopo averli redenti, aves-
se potenziato a tal punto la loro natura, da farli sem-
brare simili a Lui. Avevano la baldanza di chi lotta per

                           13
grandi ideali, la pacata sicurezza di quelli che si sen-
tono amati e appartenenti a Qualcuno insieme ad uno
sguardo limpido e fiero nella carica di vita che sprigio-
navano. Raab ne rimase colpita. Non ebbe neanche il
tempo di chiedere spiegazioni perché le guardie li sta-
vano già cercando passando casa per casa, e presto
sarebbero venuti da lei. Quasi obbedendo ad un istin-
to, spinse i due uomini verso le scale fin sulla terraz-
za, dove li nascose sotto la catasta di lino raccolto da
poco. Poi ridiscese. Ed ecco poco dopo sopraggiunge-
re alcuni soldati. Inventare storie non era mai stato il
suo forte ma stavolta le venne spontaneo come l’avesse
fatto da sempre. Ammise di averli ospitati ma di aver-
li visti partire, poi, prime che le porte della città fos-
sero chiuse per la notte. Ai soldati il racconto di Raab
sembrò verosimile e partirono all’inseguimento. Allora
Raab, chiusa la porta di casa, salì di nuovo in terrazza.
    Adesso aveva di fronte i due uomini sconosciuti. Si
accoccolò a terra, accanto a loro e cominciò a parlare
lentamente con voce calma e sicura, con gli occhi fissi
sui loro volti debolmente illuminati dalla luna:
    “Ai vostri occhi sono solo una straniera, lo so – dis-
se piano – una donna, e persino degna di disprezzo
per il mestiere che faccio ma anche voi, come me, ave-
te conosciuto l’amara sofferenza di chi si sente rifiuta-
to e sfruttato; anche voi siete passati attraverso il buio
di notti insonni, quando l’angoscia si fa preghiera e
sale verso Dio in una disperata richiesta di aiuto. Il Si-
gnore ha ascoltato la voce del vostro lamento quando
eravate oppressi dalla schiavitù in Egitto, ed è venuto
a ridarvi coraggio. Voi lo avete incontrato quasi senza
cercarlo; io invece, l’ho cercato da sempre senza mai
trovarlo. Ho conosciuto solo idoli muti a cui mi ero le-
gata per riempire il vuoto di una giovinezza brucia-
ta prima ancora di cominciare. Da loro mi aspettavo
la pace, la pienezza e l’amore che non ho mai avuto,
ma mi hanno dato solo un vuoto più grande. Quando
ho sentito parlare del Dio vivo e di quello che ha fatto

                           14
per voi, il mio cuore è tornato a sperare. Lui vi ha fatti
uscire dall’Egitto prosciugando davanti a voi le acque
del Mar Rosso; nei quarant'anni in cui siete stati nel
deserto vi ha soccorso in ogni vostra necessità e ora
vi sta donando questa terra. Da che mondo è mondo
non si è mai visto un Dio che abbia amato così tanto il
suo popolo! Sono sicura che per voi darebbe persino
il suo sangue e la sua stessa vita. Il mio intimo freme e
gioisce di fronte a questi fatti perché qualcosa, dentro,
mi dice che questo amore è anche per me. L’ho già
sentito scendere, come preannuncio di perdono, sulle
mie ferite doloranti, Lasciate, vi prego, che anch’io en-
tri dentro questo fiume di misericordia e arrivi fino a
Lui che ne è la sorgente. Lasciate che io partecipi alla
stupenda avventura che Dio sta facendo vivere al vo-
stro popolo, quando conquisterete Gerico, risparmia-
te me e la mia famiglia dalla morte”.

UNA NOTTE INDIMENTICABILE
    Animato dal coraggio e dall’audacia di questo di-
scorso, uno di loro rispose: “Dalle tue parole, o don-
na, sappiamo per certo che Dio non fa preferenze di
persone, ma dona la sua grazia a chi lo cerca con cuo-
re sincero. Egli ha scavato una breccia dentro di te e vi
è entrato. Ora Egli stesso, attraverso le nostre mani ti
manda un segno di salvezza: prendi questa cordicella
di filo rosso e legala alla finestra. Segnerà per te l’espe-
rienza della Pasqua. Tu chiuditi in casa con la tua fami-
glia finché Gerico non venga presa. In quella notte Dio
stesso combatterà contro la morte e la vincerà; al mat-
tino vedrai la luce di un giorno che non avrà mai fine”.
    Animata da questa promessa, Raab fece calare con
una corda i due uomini dal muro di cinta, poi legò il
filo rosso alla finestra.
    E ora a due giorni di distanza era ancora lì, presagio
di un avvenimento che avrebbe sconvolto la sua storia.
    Chiusa in casa, assorta in questi e altri pensieri,
Raab aspettava. Fuori intanto le tenebre avanzavano

                            15
finché scese il buio. Quella notte gli Israeliti attacca-
rono Gerico. Fu una notte indimenticabile! Sembrò a
Raab che non solo le sue ossa ma tutta la terra fosse
attraversata da un brivido di terrore; come se la vita e
la morte si confrontassero in un terribile duello. Ran-
nicchiata in un angolo della stanza, con gli occhi chiu-
si e il cuore febbricitante Raab pregò a lungo. E men-
tre pregava, quasi all’improvviso, al chiarore delle pri-
me luci dell’alba, ormai stanca, cadde a terra.
    Non seppe mai cosa fosse successo veramente!
    Raccontò solo, più tardi, di aver visto come in un
sogno, un uomo venirgli incontro da lontano. Avvolto
di luce splendente, aveva l’aspetto di un Dio guerriero
che torna vittorioso dalla battaglia. Era ferito!
    Da uno squarcio ampio e profondo aperto nel co-
stato fuoriusciva un lungo filo di sangue che spiccava,
rosso, sul bianco della pelle. Quel sangue assomiglia-
va stranamente alla cordicella rossa che Dio le aveva
mandato come segno di salvezza. Fu allora che Raab
capì. Era libera!
    Quell’uomo chiunque egli fosse, aveva combattu-
to per lei e aveva vinto. Una gioia indescrivibile si im-
padronì di tutto il suo essere e le rimase dentro anche
quando il sogno svanì e poté far festa, completamen-
te sveglia, insieme agli Israeliti, ringraziando Dio per
quanto aveva operato.




                          16
� �ter
    IL RISCHIO DI METTERSI IN MEZZO




    Ester era una donna che aveva buoni motivi per
potersi ritenere favorita dalla vita. Bella e dal caratte-
re aperto e cordiale, aveva conquistato l’ammirazione
e la simpatia di tutti. Il re di Persia l’aveva scelta co-
me moglie.
    Nata da una famiglia ebrea deportata a Babilonia
al tempo di Nabucodonosor, era rimasta presto orfana
di entrambi i genitori, ma un suo parente, Mardocheo,
l’aveva presa con sé amandola come una figlia. Dive-
nuta ragazza, quando Assuero si trovò a dover sceglie-
re la sua regina, ella suscitò grande ammirazione nel
re che la preferì a tutte le altre. E lei, ebrea, andò spo-
sa ad un persiano.
    Per questo Ester portava un grande peso nel cuo-
re: il fasto di cui era circondata non la rendeva felice.
Non le piaceva essere moglie di un uomo che la vo-
leva al suo fianco solo nelle celebrazioni ufficiali. Una
legge vietava alla regina, come a chiunque, pena la
morte, di presentarsi al cospetto del re senza esser-
vi stata chiamata; ed era già trascorso più di un mese
da quando Ester era stata convocata l’ultima volta! L’a-
mava Assuero?

                           17
FIDUCIA PIENA NEL DIO DELLA VITA
    Viveva sempre nella stessa sala ornata di preziose
decorazioni, di arazzi bellissimi, di cuscini pregiati e
di suppellettili intarsiate; tutto esprimeva grande ric-
chezza e potere.
    “Ma a cosa vale tutto ciò” – pensava là in quella
solitudine – “se ho dovuto anche tacere le mie origi-
ni, e la mia appartenenza al popolo che Dio ha scel-
to? Nessuno a corte conosce la mia fede, nessuno sa
che io non ho mai servito gli dei pagani che questo
palazzo adora. Il mio Dio è il Dio del mio popolo, ed
è l’Unico”.
    Cosa poteva significare agli occhi del Dio della sto-
ria quella sua attuale condizione, quell’alternarsi di do-
lori e gioia, di solitudine e di favore di cui erano dis-
seminati i passaggi della sua vita? Che senso aveva per
una serva del Dio di Israele sedere alla destra del re
del grande impero di Persia di cui il popolo eletto era
divenuto schiavo?
    Un giorno mentre stava pensando queste cose una
serva le annunciò la visita dell’inviato di Mardocheo.
Le fu descritto un uomo affannato il cui volto rivela-
va una profonda preoccupazione. Ester lo fece entrare.
    Davvero aveva lo sguardo sconvolto: gli occhi spa-
lancati a prolungare una sensazione di stupore di fron-
te ad un fatto difficile da credere.
    “Mia regina, tuo zio e padre Mardocheo mi ha man-
dato perché ti informassi delle ultime malvagità del
primo ministro Aman” le disse concitato.
    Ester si pose una mano sulla fronte e chinò il capo:
conosceva bene l’odio che Aman nutriva per suo zio
poiché non aveva mai accettato di inchinarsi ai suoi
piedi per adularlo.
    “Parla! È in pericolo la vita di Mardocheo?”.
    “Non solo! – rispose – Aman è riuscito a convince-
re il re Assuero della colpevolezza di tutti i deportati e
li ha accusati di venir meno all’obbedienza delle leg-
gi dell’impero”.

                           18
Assuero infatti era implacabile di fronte ai suoi ne-
mici, ed Ester lo sapeva bene. Sedette. Il cuore sembra-
va essersi fermato ed il respiro le moriva in gola. L’in-
viato un po’ titubante continuò: “Regina, proprio oggi,
Aman ha fatto scrivere un decreto che sancisce lo ster-
minio di tutto il tuo popolo”.
    Ester scolorì, e dopo un lungo silenzio sussurrò tra
sé: “Oggi! Il 13 di Nisan!”. “Mardocheo – disse l’inviato
– mi manda a dirti che tu faccia qualcosa interceden-
do presso il re”.
    Ella tacque. E l’inviato non avendo risposta, conti-
nuò: “Domani è pasqua ma questa volta non sarà un
agnello ad essere immolato. Non ci sarà liberazione
per noi: il sangue che si verserà sarà il nostro! Regi-
na, dov’è il nostro Dio? Ci ha dimenticati per sempre?
Lontani dalla nostra terra, lontani dalle sue promesse.
Dov’è la fedeltà di Dio?”.
    Ester ascoltava quelle parole di disperazione senza
condanna: venivano dal cuore di un uomo che vede-
va una realtà terribile, il trionfo dell’ingiustizia e della
superbia. Congedò l’inviato raccomandandogli di ave-
re fede. Dio avrebbe ancora steso il braccio in favore
dei suoi figli.
    Appena quell’uomo se ne fu andato, lo sguardo di
Ester fissò il cielo che appariva a sprazzi, dalle colon-
ne dell’atrio. Era grigio e nuvoloso. Ogni tanto un lam-
po ed il suo tuono squarciavano le nubi ed il silenzio
della pianura sottostante. Le venne in mente il sogno
di cui Mardocheo le aveva parlato: “Un giorno di tene-
bre e di caligine si abbatte sul popolo dei giusti”. Quel
sogno era stato un presagio.
    Copiose lacrime cominciavano a scorrere lungo le
sue guance. Mentre le sentiva percorrere il viso fino
a bagnarle le labbra, si ricordò anche del resto del so-
gno: “Una piccola sorgente che sgorgava al grido di
dolore del popolo e che diventava un fiume grande,
capace di inondare i nemici”.
    “Non può essere tutto finito” pensava e, mentre cer-

                            19
cava di allontanare le domande che le si affacciavano al-
la mente, parlava con il suo Dio in un dialogo colmo di
fiducia: “Io non ho cercato Assuero… Non ho desidera-
to diventare moglie di un pagano… Non mi sono senti-
ta una privilegiata a motivo degli onori del mio rango…
Anzi, ho sofferto per l’impossibilità di manifestare a cor-
te le mie origini. Sono stata presa contro la mia volontà
e portata qui… ma il mio popolo non è rimasto fuori,
l’ho portato con me e dentro di me… Quale vantaggio
ho ottenuto per lui fino ad oggi? Domani si celebrerà la
pasqua. Forse l’ultima… Ci sarà ancora un agnello che
verserà il suo sangue al posto di quello del popolo?”.
    Ester avanzò lentamente lungo l’atrio e raggiunse il
cortile da cui poteva vedere meglio il cielo. Nel silen-
zio della sera, ormai tarda e cupa, il vento le portava
l’eco dei lamenti del popolo. Sentiva le grida che si le-
vavano a Dio con tutta forza e che invocavano salvez-
za e giustizia. Quei lamenti le ricordavano il belare de-
gli agnelli condotti al macello.
    Rientrata che fu, Ester percorse il corridoio che la
conduceva alla sua stanza e vi entrò. Si tolse gli abiti
regali e, indossata una tunica, si accasciò a terra, pro-
strata davanti a Dio. Nell’angoscia di una profonda so-
litudine aprì il suo cuore all’incontro con l’unico Re e
Signore di Israele. Nell’intimo scopriva di non poter
leggere quanto stava avvenendo con gli occhi dei pa-
gani, e neanche con quelli dell’inviato di Mardocheo.
Ciò che stava accadendo non poteva esser paragonato
al susseguirsi degli atti di una tragedia: quella, proprio
quella che viveva, era la storia d’amore e di misericor-
dia che Dio intesseva con il suo popolo.
    Respirò profondamente; poi allargò le braccia in at-
teggiamento di colei che voleva assumere tutto, sen-
tirsi dentro quella vicenda da cui personalmente po-
ter trovare scampo. No, non avrebbe taciuto più a suo
marito Assuero le sue origini; Ester era stata orfana ma
aveva trovato un padre in Mardocheo; era stata povera
ed ora conosceva la ricchezza… La memoria di ciò la

                           20
stava conducendo ad una saggezza ispirata. Cominciò
a guardare nel suo dolore con gli occhi di Dio.
    “Signore Dio, tu da sempre sei salvezza per i po-
veri che ricorrono a te quando arriva l’angoscia. Tu ci
hai fatto conoscere le tue opere in nostro favore per-
ché sempre le ricordassimo e perché imparassimo che
Tu sempre intervieni nella storia. In ogni sventura Tu
ci hai portato salvezza. La nostra vita con Te è segna-
ta da un susseguirsi di pasque, di passaggi: come alla
notte succede il giorno, come al cadere del chicco nel-
la terra succede la spiga di grano, così fai tu. Tu ci fai
passare dalla morte alla vita, come nell’esodo quando,
per il sangue dell’agnello, hai salvato i nostri primoge-
niti dalla morte e ci hai permesso di attraversare il ma-
re. Oggi è un’altra pasqua. E proprio in questi giorni
tu passerai ancora per liberarci”.

IL PREZZO DELLA LIBERTÀ
    L’esperienza della vita le aveva insegnato che Dio
non agisce senza la collaborazione di ognuno: aveva
scelto Abramo, poi Giuseppe, Mosè… e anche Mardo-
cheo.
    Chi poteva mettersi adesso tra l’invidia del perfido
Aman ed i deportati di Israele se non lei?
    Mentre un fiume di dolore e di speranza invadeva
il suo cuore, ella con affetto e coinvolgimento totale
presentò il popolo a Dio, con una profonda preghiera:
“Mio Signore e mio Re: per la tua misericordia io tua
serva che non sono ancora divenuta madre, possa ge-
nerare a nuova vita il tuo popolo. Nella mia impotenza
agisca la tua forza. Io sono sola, ma tu porti con me il
peso di questo male. Sono certa che passata la notte,
tutto il popolo vedrà sorgere il tuo giorno”.
    Passarono alcune ore di angoscia e di fede: lonta-
no, alcuni raggi di luce, si facevano spazio nella cappa
di nubi. Era ormai mattino.
    Ester si fece consegnare le vesti regali e i profumi.
Dio avrebbe agito attraverso di lei.

                           21
Accompagnata da due ancelle, rosea e fresca in vol-
to, ma colma d’angoscia e con la paura nel cuore, at-
traversò l’atrio antistante la sala del trono. Quello spa-
zio le sembrò lunghissimo. Compiuto l’ultimo passo si
sentiva venir meno e perciò cercò appoggio nel drap-
po roseo che adornava gli stipiti della porta. Riprese
coraggio e varcò la soglia con passo sicuro. Il suo vi-
so era gioioso, come pervaso d’amore.
    Vistala avvicinarsi, Assuero si accese di collera e si
alzò dal trono con aspetto terribile. Ester ebbe un fre-
mito. Ma Dio volse in dolcezza lo spirito del re che sol-
levò il suo scettro in segno di benevolenza, pieno d’in-
canto: “Che cosa c’è Ester, avvicinati! Tu non devi mo-
rire. Qual è la tua richiesta? Fosse anche metà del mio
regno, l’avrai”.
    La regina, ancora pallida in volto e tremante, non
approfittò subito dell’amore che Assuero le aveva di-
mostrato. Differì il momento della richiesta ed invi-
tò il re ed Aman ad un banchetto che aveva fatto pre-
parare. Il re fu felice dell’amore della sposa che aveva
affrontato il rischio di morte pur di vederlo. Da par-
te sua, Aman si senti ancora più orgoglioso e superbo
di partecipare da solo, alla tavola del re e della regina.
    Passò il tempo del primo banchetto ed Ester ne
bandì un altro senza ancora aver detto nulla. Ricca
della sapienza dello Spirito di Dio, Ester aveva intui-
to che il male si vince permettendo al bene di passar-
ci dentro: perciò ella lasciò a Dio il tempo di passare
nel cuore dei suoi due ospiti. Non era per la bellezza
di una donna che Assuero avrebbe revocato il decre-
to, ma per la conversione del proprio cuore.
    L’intuito femminile aveva permesso a questa figlia di
Israele di penetrare il segreto del Dio di misericordia:
egli opera in favore della giustizia toccando la coscien-
za dei singoli e promuovendo la loro conversione. Sta
alla libertà di ciascuno compiere poi la propria scelta.
    Così Assuero ed Aman passarono un’altra notte
nella solitudine della loro coscienza. Crebbe l’odio di

                           22
Aman che pensò come far morire il suo rivale. Ed As-
suero riconobbe l’innocenza ed il merito di Mardocheo
e del suo popolo.
    Quando giunse il giorno del nuovo banchetto,
Aman mangiava e beveva compiacendosi della sua
gloria. Fu allora che Ester di nuovo espose le sua vita
davanti al re e dichiarò: “Io appartengo a quel popolo
che Aman vuole sterminare!”.
    Anche se Dio aveva già fatto tutto non operò sen-
za di lei. Così Ester smascherò le brame di Aman e di-
scolpò Mardocheo e i deportati.
    Assuero nominò Mardocheo primo ministro al po-
sto del suo nemico ed anche il popolo ne ebbe mol-
ti vantaggi.
    Si era compiuta una nuova pasqua. I giorni che se-
guirono furono colmi di letizia: alla rovina ai sostituì l’o-
nore, alla disperazione la speranza, alla morte la vita!
    Le feste pasquali vedevano rinnovati per tutto Israe-
le quei prodigi con cui Dio si era rivelato durante l’eso-
do. Un altro passaggio aveva segnato la storia del po-
polo e, dentro di esso, quella di una donna.
    Ester aveva saputo leggere gli eventi con gli occhi
di Dio per scoprirvi la meraviglia sempre nuova che
egli vi opera, e mai senza l’aiuto dei suoi fedeli.
    Fu così che divenne veramente regina e madre per
il suo popolo.




                            23
�ut
      UN’ALLEANZA OLTRE I CONFINI




   Rut vive da straniera in Israele, perché moabita, ap-
partenente cioè a quel popolo che, secondo la tradizio-
ne biblica, aveva avuto origine dall’unione incestuosa
della figlia maggiore di Lot con suo padre.
   Aveva dunque un’origine impura e vergognosa, se-
gno della tradizionale inimicizia di questo popolo ver-
so i figli di Israele. Inoltre, erano state proprio le don-
ne moabite, secondo il racconto del libro dei Numeri,
a trascinare gli Israeliti nelle pratiche idolatriche; per
questo in Israele era assolutamente vietato il matrimo-
nio con donne di questo paese.
   Rut, dunque, è questa donna segnata, già alla sua
nascita, dalla vergogna, dall’infamia dell’origine del
suo popolo e dal marchio dell’idolatria, tutti elementi
che la ponevano in una posizione di radicale scomu-
nica agli occhi dell’israelita fedele.
   Noemi era una donna ebrea, emigrata con il mari-
to da Betlemme di Giuda in terra di Moab a motivo di
una carestia. Aveva avuto due figli.
   Quando le morì il marito, Noemi si sentì ancor più
sola perché non solo rimase vedova ma era straniera
in un paese idolatra e ostile.

                           24
Anche i due figli sposarono in seguito due donne
del luogo, Orpa e Rut.
    Queste due donne, pur vivendo nel loro paese, se-
condo la fede di Israele vengono a trovarsi in una si-
tuazione di “impurità”, di fronte ai propri mariti e a No-
emi, loro suocera. La mescolanza delle razze e delle fe-
di non era assolutamente ammessa.
    Dopo qualche tempo i due uomini muoiono e ri-
mangono insieme e sole le tre donne: Noemi, ormai
anziana, Orpa e Rut, giovani e abitanti del luogo, ma
ormai segnate da una condizione di impurità rispet-
to a Noemi.
    “Se il Signore ha visitato di nuovo il mio popolo, per-
ché non tornare nella mia terra d’origine?” – pensava
tra sé Noemi – Là tutti hanno pane e frutti della terra”.
    Così decide di ripartire. Si alza, prende con sé le
due nuore e si incammina di nuovo verso il territorio
di Giuda, per raggiungere Betlemme.
    “Là troverò accoglienza e libertà. A Betlemme, ca-
sa del pane, avrò da mangiare!”, continua a ripetere in
cuor suo Noemi.
    Noemi non si vergogna di chiamare “sorelle” Rut e
Orpa. Non teme l’infamia davanti al suo popolo ed è
disposta ad accoglierle con sé di fronte alla sua gente
in terra d’Israele.
    “Quanto amore invade il cuore della nostra suocera
e quale fortezza d’animo, per intraprendere un cammi-
no verso un orizzonte nuovo! Ma andiamo anche noi
volentieri con lei. Non possiamo lasciarla andare sola,
perché è parte ormai della nostra vita”, si dicono l’u-
na all’altra le due donne. Ma Noemi, arrivata alle por-
te della sua terra, rispettosa delle diversità dei popoli e
amante della vera libertà, offre loro la possibilità di tor-
nare al proprio paese. “Se volete – disse loro – potete
tornare tra la vostra gente, nella vostra terra”.
    Orpa, dopo un primo rifiuto, decide di tornare,
mentre Rut resta e professa la propria adesione perso-
nale a Noemi, in un’alleanza fino alla morte davanti al

                            25
Signore, Dio d’Israele. “Non ho dubbi, mia signora. Re-
sterò con te e condividerò quanto tu stessa ami. Anche
la fede nel tuo Dio!”.
    Rut voleva bene a Noemi e l’amava di un affetto as-
solutamente libero e gratuito, non richiesto, anzi, di per
sé assurdo, inconcepibile, segnato da una certa “follia”.
    Per restare con quest’anziana donna in terra stra-
niera, essa rinuncia volontariamente alla propria legit-
tima vita di donna in seno al suo popolo. Scelta inve-
rosimile, follia di un amore che è ricompensa e sco-
perta di novità, un amore che basta a se stesso. “Se
tu mi accogli in seno alla tua gente, io resterò in ter-
ra straniera e camminerò fiduciosa verso quella novi-
tà che il tuo Dio mi vorrà presentare”. Così Rut par-
lò a Noemi.
    Noemi insieme a Rut, la Moabita, sua nuora, venu-
ta dalle campagne di Moab, arrivò a Betlemme. La lo-
ro entrata in città coincideva con l’inizio della mietitu-
ra dell’orzo.

UNA DONNA RICONOSCIUTA
    Fin dalla sua adesione a Noemi, Rut appare come
una donna che sa amare ciò che la vita le presenta e
le dona. Proprio attraverso la piena assunzione della
sua realtà incontra la benedizione che attraverso di es-
sa le è data. Donna umile e decisa; non tenta mai di
travalicare la soglia della propria condizione, ma la as-
sume pienamente in libertà e ne rivela la ricchezza. El-
la fa della propria alterità una premessa di incontro e
di comunione.
    “Mandami a spigolare il grano, dietro ai mietitori, co-
sì conoscerò meglio la tua gente” chiese un giorno Rut a
Noemi. Ella sperava di essere ben accolta dagli Israeliti.
    Si presenta così, come una donna bisognosa di tro-
var grazia. Questo suo bisogno, sa bene che non è un
diritto, una pretesa, ma soltanto la speranza di esse-
re accolta e riconosciuta come donna aperta al futuro,
perché tutto è solo dono.

                           26
Arrivata al campo, udì i canti dei mietitori che rin-
graziavano Dio per il dono dei frutti della terra, e fu
salutata da tutti come la “ben venuta”. Il campo era di
Booz, che appena seppe del suo arrivo le andò incon-
tro per accoglierla fra la sua gente.
    Con profonda umiltà e tanta gratitudine Rut si pro-
strò con la faccia a terra davanti a Booz: “Per qual mo-
tivo ho trovato grazia ai tuoi occhi?! Tu ti interessi di
me e mi accogli fra la tua gente, senza farmi notare
che c’è differenza tra me e te, io che sono una stra-
niera e quindi una che non dovrebbe contare nulla ai
tuoi occhi?”.
    Il cuore di Booz si aprì alla generosità e delicatez-
za d’animo di questa donna, disposta a rinunciare a se
stessa pur di essere accolta in terra straniera. E lui, uo-
mo potente e facoltoso, si commosse per la grazia fem-
minile di quella moabita e rispose: “Mi è stato riferito
quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo
marito e come hai abbandonato tuo padre, tua madre
e la tua patria per venire presso un popolo che prima
non conoscevi”.
    Booz scopre in lei quel “genio femminile” della
donna che non conosce se stessa se non come colei
che non si possiede appieno! Nella fedeltà di una rela-
zione concreta e quotidiana, infatti, Rut impara a rice-
versi e a diventare se stessa. E ciò è possibile perché
assume come proprie le condizioni del rapporto che
l’altro, con la sua storia, con il suo ambiente culturale
e religioso, le offre.
    Per questa sua capacità di relazione e di apertura al-
la vita, il suo sì iniziale e fiducioso diventa cammino di
libertà e di fecondità, per una comunione oltre i confi-
ni della propria patria e dei propri desideri.

DONNA DELL’ALLEANZA
   Rut lavora tutto il giorno nel campo in cui è stata ac-
colta a spigolare, senza cercare riposo se non proprio
quando è tanto stanca. Davanti al cibo che le viene of-

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ferto essa naturalmente ne mangia a sazietà e ne mette
da parte gli avanzi. Ogni giorno poi torna a spigolare.
    La sua audacia sa accogliere Booz in sé come do-
no; e l’apertura all’amore diventa libertà interiore! “Ti
ringrazio Dio d’Israele, perché hai guardato quest’umi-
le serva e le hai preparato una patria accogliente”. È la
preghiera che inizia a fare nel segreto del suo animo.
    Noemi, sua suocera, le disse: “Figlia mia, non de-
vo io cercarti una sistemazione, così che tu sia felice?”.
Rut le rispose: “Farò quanto dici”.
    Ancora una volta Rut rivela la sua apertura ad assu-
mere tutto ciò che un’alleanza con l’altro richiede. E si
affida. Conoscerà Booz, come le aveva suggerito No-
emi, e si unirà a lui in matrimonio, accettando di ap-
partenere al suo Dio, il Dio d’Israele.
    Così metteva in atto la ricchezza della rivelazione del
Signore Dio d’Israele, quando disse “se vorrete ascol-
tare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sa-
rete per me la proprietà tra tutti i popoli” (Esodo 19,5).
    Come il popolo d’Israele si era legato al suo Dio, fi-
no ad essere “sua proprietà”, così Rut si era legata in
alleanza con Noemi, fino ad appartenere allo stesso
Dio. Non è sottomissione passiva la sua, ma capacità
di relazione oltre le proprie vedute, le proprie tradizio-
ni e certezze.
    In quel suo sì ad un’appartenenza nuova scopre l’in-
finito valore e l’alto prezzo dell’alleanza del Dio d’Isra-
ele con il suo popolo. Ella entra in questa nuova ap-
partenenza senza esitazione. Sigilla così il suo cammi-
no dentro l’esperienza di fede, con un’obbedienza atti-
va che le fa vincere ogni vergogna e ogni tipo di esclu-
sione dalla comunione con il popolo d’Israele. “Sono
pronta ad ogni impegno che la nuova appartenenza mi
chiede!”, afferma Rut davanti a Noemi.
    La fedeltà a un amore è riconoscibile dalla fedel-
tà ad un sì pronunciato all’inizio del cammino, insie-
me alla custodia in sé della parola ascoltata e accolta.
Rut risponde a Noemi esattamente come il popolo di

                           28
Israele aveva risposto a Mosè quando questi gli aveva
proposto l’alleanza con il Signore sulla base delle paro-
le della Legge: “Quindi Mosè prese il libro dell’allean-
za e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: ‘Quan-
to il Signore ha ordinato noi lo faremo e lo eseguire-
mo!’” (Esodo 24,7).
     L’apertura di questa donna, la sua capacità ad affi-
darsi per una fecondità inedita e un impegno coinvol-
gente di vita, preannuncia l’estrema fedeltà di Dio per
tutta l’umanità.
     In una Cena, come segno di banchetto sponsale si
realizzerà la piena e nuova fecondità. “Per la vita di tut-
ti, io verso e dono il mio sangue – dirà Gesù –. Perché
tutti entrino nell’unico rapporto d’amore e di fedeltà
con Dio, io accetto la morte in Croce”.
     E quella Parola accolta come dono e rivelazione,
diventa feconda nel cuore del mondo. Da quell’offer-
ta totale di Dio agli uomini nasce la Chiesa, sposa di
sangue.
     È questa la capacità di alleanza, di chi sa ascolta-
re e custodire nel cuore il segreto dell’Altro, il grido
del povero che sale a Dio, la proposta misteriosa dello
Spirito che opera dal di dentro e chiede totale dispo-
nibilità all’amore.
     La donna, ogni donna, come Rut, aperta all’amore
e alla novità del Regno è capace di entrare nel circui-
to vivo di un rapporto di alleanza nuova e totalizzan-
te, così da essere feconda di vita. Da questa nuova ap-
partenenza nascerà Obed, “il servo”. Obed a sua vol-
ta genererà Iesse e Iesse genererà Davide, dalla cui di-
scendenza, proprio a Betlemme, sorgerà il Messia, il
Servo del Signore.
     Il frutto della sua alleanza senza confini fu Obed,
che significa “servo”, per significare quel servizio del
Signore per il quale il Signore aveva stretto alleanza
con il suo popolo quando lo fece uscire dall’Egitto!
     E sarà segno che ogni alleanza per essere fecon-
da di futuro ha bisogno della profezia e dell’intuizio-

                           29
ne della donna, che sa guardare in avanti e oltrepas-
sare i propri confini.
   Infatti Rut, la moabita, si inserisce nella discenden-
za dei figli di Abramo, nella comunità dell’Alleanza,
come erede della benedizione e donna che prepara la
via al Messia.




                          30
�aria di �etania
          L’INTUIZIONE DEL FUTURO




    Betania! Casa dei poveri o casa dell’amicizia. Un vil-
laggio situato vicino Gerusalemme, a est del monte de-
gli Ulivi, a 3 chilometri circa dalla capitale.
    Lì Simone il lebbroso possedeva una casa, dove po-
teva ospitare gli amici e fare festa. Questa volta l’amico
è Lui: Gesù di Nazaret (Marco 14). Prima di raggiunge-
re Gerusalemme, la città del grande sacrificio e della
speranza infinita di Dio per l’umanità, il Maestro e Si-
gnore accetta l’invito a pranzo. È il suo stile: condivi-
dere gioie e dolori, festa e tristezze con quell’umani-
tà per la quale sta per donare la vita. È infatti la vigilia
della sua passione. Nessuno conosce il segreto evento
che Gesù porta in cuore, neppure Simone che lo ave-
va invitato con gioia e amicizia, ancor meno gli apo-
stoli che stanno a tavola con lui.

IL CORAGGIO DI CHI AMA
   In quella grande sala adornata a festa, piena di uo-
mini che consumano il pasto, entra una donna, come
un raggio di luce. Senz’altro una che cercava la vita:
forse una messaggera della salvezza, colei che portava
in cuore un segreto. Stringeva tra le mani un vasetto
prezioso, contenente un profumo molto costoso. Pro-

                            31
fumo d’un odore particolarmente piacevole, che per
conservarsi doveva essere sigillato in vasi preziosi, co-
me l’alabastro. Profumo di donna quindi! Subito i di-
scepoli puntano gli occhi, come sbalorditi, su quell’og-
getto. Conoscevano l’alto valore di quel profumo. Il lo-
ro pensiero corre ai poveri da sfamare: “Si potrebbe
venderlo e il ricavato darlo a chi non ha da vivere”.
    Quel profumo non è una frode, ma garantito-auten-
tico nardo, importato senza dubbio da lontani paesi (si
ricava infatti dalle radici e dalle foglie radicali d’una
pianta che cresce sui fianchi dell’Himalaya).
    “Come può una donna entrare nella stanza del ban-
chetto?! Chi è costei? Perché disturba il maestro?” si dico-
no l’un l’altro gli intimi di Gesù. Ma lei che ascolta il lin-
guaggio dell’amore e non presta orecchio ai calcoli trop-
po freddi degli uomini, si avvicina senza timore al Ma-
estro, come sposa che riconosce la voce del suo sposo.
    Rompe il vasetto e versa sulla testa di Gesù il nardo
profumato. Tutta la stanza acquista una fragranza nuova.
    C’è chi ha visto questo gesto come la sposa che con-
sacra il suo sposo Messia e Profeta. Ora la regina e il suo
re diventano sposi nel gesto dell’unzione sacerdotale.
    Chissà cosa pensa Simone, l’amico che si era degnato
di offrire ospitalità e un pranzo così ricco!? Non avrebbe
mai pensato in cuor suo di compiere un gesto di spreco.
Forse quel banchetto era ben calcolato nella sua mente.
Gli apostoli non erano pronti a salutare il loro signore
come Messia, neppure allora che stavano salendo insie-
me a Gerusalemme. Eppure lo avevano professato con
le labbra, pochi giorni prima. I loro cuori sono ancora
presi dalla bramosia della gloria, i loro occhi vedono so-
lo l’apparenza, incapaci di entrare nel cuore della storia.
Occorre l’intuito della donna per conoscere i segreti dei
cuori e precedere gli eventi.

L’AMORE NON HA PREZZO
    Che fare di quello spreco di nardo purissimo? Per
lei è un gesto di offerta e un annuncio di morte glo-

                             32
riosa. “Perché non vendere e distribuire, piuttosto che
ungere e profumare un uomo?” si dicono l’un l’altro i
commensali. Ciò che per lei è dono e profezia, per gli
altri è spreco e follia. L’amore rischia di apparire steri-
le agli occhi di chi calcola con l’intelligenza e giudica
la vita a partire dal profitto. Anzi quella perdita supe-
ra trecento denari!
    Il malcontento divide la fraternità del banchetto. Gli
uomini puntano il dito sulla donna, perché non han-
no il coraggio di giudicare la disponibilità del Maestro.
    Infatti parlano in cuor loro. Non osando essere
volgari si rinchiudono sui loro sentimenti e diventa-
no segreti.
    Chi ama non ha paura di fare gesti incomprensibili,
ma dettati dal cuore: si apre a un futuro ricco di novi-
tà: “Ha compiuto un’opera buona, perché infastidirla?”.
Questa donna annuncia la morte e la resurrezione del
Messia, e accede alla profezia.
    “I poveri li avrete sempre con voi, la mia presen-
za scomparirà”. Gesù sta andando alla morte: fra due
giorni verrà consegnato e poi crocifisso. Nessuno riu-
scirà a partecipare a quell’evento sconcertante se non
chi ha già sperimentato l’amore e ha accolto la salvez-
za. Sarà la donna, colei che “vede” e annuncia con la
sua stessa vita, come fece la Madre sotto la Croce del
Figlio, ad entrare e dare l’annuncio che quella morte è
gloriosa. Proprio in vista della sepoltura essa ha com-
piuto quel gesto e nel cuore di un banchetto. Proprio
lì attorno alla tavola di Simone svela il grande mistero:
Gesù è sacrificato simbolicamente nel pane e nel vi-
no di quel pranzo. Egli è già morto, perché l’umanità
ha maturato la sua consegna. La donna precede quel-
la morte, giunge in tempo, intuisce, compie l’unzione.
Non attende, come d’uso, di farlo sul suo corpo mor-
to, ma ora che è vivo, per dichiarare che egli risorge-
rà. È la Pasqua. La rivincita della vita che passa attra-
verso il “genio femminile” della donna, anche dentro
le sfide di morte.

                           33
I discepoli non partecipano a questo annuncio pro-
fetico, non si elevano al di sopra degli smorti calco-
li della vita ordinaria. È la Chiesa di sempre: santa e
peccatrice.

UN INVITO ALLA RADICALITÀ
    Al compiersi della sua Pasqua, il Signore risorto
chiede ad ognuno di noi di deciderci per il dono del-
la vita fino allo “spreco” per Lui o per la conservazio-
ne di essa fino alla sterilità della morte. Come la pri-
ma Chiesa, così ogni comunità cristiana, è chiamata a
scegliere la logica dell’amore, superare i calcoli sterili
della vita troppo ordinaria e affidare la vita solo a Dio.
    Comprendere oggi quanto ha fatto quella donna,
significa imparare a perdere la vita per Lui, nel cuore
delle grandi o piccole sfide di una società che calcola
e confida solo nel guadagno umano.
    Le generazioni parleranno di lei e del suo gesto (e
noi lo stiamo facendo) perché alla donna Dio da sem-
pre affida “l’uomo” per generarlo a una speranza nuo-
va: la salvezza nella morte gloriosa del Crocifisso.
    Ancora oggi donne coraggiose e pienamente inse-
rite nella storia sono chiamate a farsi voce profetica di
un futuro di pace e di riconciliazione, mediante l’intu-
ito e l’amore senza calcoli. Esse sono presenze profeti-
che di un mondo nuovo: quel mondo che l’uomo e la
donna insieme sono chiamati a sognare per ricondur-
re l’umanità ai piedi del Crocifisso glorioso. Ma ciò è
possibile nella misura in cui tutti siamo disposti a do-
nare la vita e a lasciarci trasformare dal Sangue di Cri-
sto, fiume di misericordia e di salvezza, in creature
nuove e coraggiose.




                           34
�aria di �a �dala
        APERTA ALLA NOVITÀ DI DIO




    In un giardino, all’alba di una giornata di primave-
ra, giunge all’epilogo l’itinerario di Gesù tra gli uomi-
ni. Là dove la terra produce frutti e fiori colorati, la lu-
ce della conoscenza incomincia lentamente a penetra-
re. E una donna è il faro nel passaggio dall’oscurità al
progressivo chiarore. Ella, abituata a lavorare di not-
te, questa volta si sveglia di buon mattino, attraversa la
città per recarsi al sepolcro ed esprimere le sue premu-
re per Colui che ha amato in modo originale.
    E lei è la prima creatura ad aver visto il Risorto. A
lei è stato affidato di accogliere e di riferire il mistero:
Cristo ha sconfitto la morte.
    Come mai a una donna? Il mistero della rinascita è
troppo difficile da contenere e quindi da esprimere. Se
l’uomo non si affida all’Anima, alla forza intuitiva del-
la femminilità, non entra nel mistero della vita nuova.
Maria di Magdala è un tipo d’Anima particolarmente
sensibile e attenta. Da lei erano usciti sette demoni, os-
sia la pienezza del male.

LA RICERCA APPASSIONATA
  Corre al sepolcro il desiderio della felicità, il biso-
gno di essere amata. Ella che rifugge le delusioni nelle

                            35
feste effimere, cerca Colui che può dare una risposta
certa e duratura al suo animo assetato di vita.
    Si china, vede due angeli, ma continua a piangere:
    “Ma chi ha tirato via quella enorme pietra? Dove
hanno posto l’amato del mio cuore? Dove cercare la
vita che non è più visibile ai miei occhi?”.
    Si sente dire nel cuore: perché cerchi fuori di te Colui
che ti abita e ti cerca? Non è qui! È difficile riconosce-
re la voce dell’interiorità. Forse qualcuno da fuori ten-
ta di distoglierla dalla ricerca ansiosa del suo Signore?
“Se l’hai portato via tu, fratello o sorella che rimprove-
ri la mia sensibilità, dimmi almeno dove lo hai posto!”.
    “Maria”! Il Risorto chiama per nome colei che ap-
passionatamente lo cerca, per restituirla a se stessa,
nella sua identità di figlia e di donna.
    La sensibilità femminile si risveglia e abbraccia la
vita. Vuole toccare il frutto dell’amore per amare più
intensamente e personalmente… Ma questa volta de-
ve mantenere la distanza: “Non toccarmi!”. Ormai el-
la dovrà toccare la vita nel cuore dei fratelli. È la nuo-
va maternità che è chiamata ad esercitare nel mondo.
    “Va’ Maria! Vai da coloro che ancora sono duri di
cuore e non hanno compreso il segreto dell’amore vi-
vo. Va’ e di’ loro che mi troveranno dove vivono, sof-
frono e amano”.
    Trasformata e invasa dalla vita risorta si reca dai di-
scepoli. “Ho visto il Signore!”. La donna non insegna,
non spiega con mille ragionamenti il mistero: comu-
nica un’esperienza unica, irrepetibile, ineffabile. È l’in-
contro personale. In ogni uomo è posta questa capaci-
tà di incontro e di trasformazione! Ognuno di noi vie-
ne rigenerato mediante l’accettazione del farsi figlio
della madre, recando nel cuore quel principio femmi-
nile che solo fa riconoscere la vita dalla morte, la lu-
ce dalle tenebre.
    Da questa storia nasce un appello all’uomo.
    Uomo di questo tempo, di ogni tempo decidi tu se
farti figlio della madre e muovere i tuoi passi attraver-

                            36
so le strade del mondo, recando nel cuore la vita nuo-
va perché risorta!
   Tocca a te dire a tutti che terra e cielo sono di nuo-
vo ricongiunti, che Dio ci aspetta là dove un’anima ap-
passionata lo cerca, là dove l’amore deve nascere, là
dove la vita soffre e muore portando con sé la speran-
za del futuro.
   Tocca a te annunciare che ormai è Pasqua sempre!
   A te che hai sperimentato la Vita che vince.




                          37
38
II PARTE
            DONNE NELLA STORIA
              1.IL MEDIOEVO




    Nel 1988, in occasione dell’Anno Mariano, il Beato
Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera Apostolica in-
titolata Mulieris dignitatem, trattando del ruolo prezio-
so che le donne hanno svolto e svolgono nella vita del-
la Chiesa. “La Chiesa – vi si legge – ringrazia per tutte
le manifestazioni del genio femminile apparse nel cor-
so della storia, in mezzo a tutti i popoli e a tutte le na-
zioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito San-
to elargisce alle donne nella storia del popolo di Dio,
per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speran-
za e carità; ringrazia per tutti i frutti di santità fem-
minile” (n. 31).
    Anche in quei secoli della storia che noi abitual-
mente chiamiamo Medioevo, diverse figure femminili
spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell’in-
segnamento.
    “Anche oggi – afferma Papa Benedetto XVI – la
Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della
maternità spirituale di tante donne, consacrate e lai-
che, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio,
rafforzano la fede della gente e orientano la vita cri-
stiana verso vette sempre più elevate” (Udienza Gene-
rale, 24 novembre 2010).
    La storia della Chiesa nel Medioevo è caratterizzata
dalla presenza di molte donne cristiane che partendo
dalla dimensione spirituale della loro vita hanno mol-

                           39
to lavorato per il bene della Chiesa ed hanno recato un
influsso benefico anche alla società, inserendosi con
coraggio anche nelle vicende della politica. In questo
modo anche se il fine primo ed ultimo della loro vita è
stato quello dell'unione intima con Cristo, con un for-
te accento della mistica sponsale, attraverso la via del
Vangelo e della sequela di Cristo, tuttavia si sono pro-
digate ampiamente nell’esercizio della carità ed hanno
avuto un ruolo importante nella cosa pubblica.
    Obbligate dalle circostanze, fedeli al loro genio fem-
minile, concreto e pacifico, ma spesso investite da una
grande missione ecclesiale, sono diventate protagoni-
ste della vita della Chiesa, profetesse ed ammonitrici
del clero e dei Papi, come è il caso di Brigida di Sve-
zia e di Caterina di Siena; esse non hanno indietreg-
giato davanti ai potenti di questo mondo, diventan-
do così a partire dalla loro comunione con Dio, perso-
ne che hanno invocato la riforma e l’unità nella Chie-
sa ed hanno pacificamente lottato per evitare le guer-
re e costruire la pace.
    Sarebbe lunga la lista delle Sante medievali che
hanno influenzato la storia della Chiesa e la costru-
zione dell’Europa. Giovanni Paolo II nella sua Lettera
Mulieris dignitatem (n. 27) ricorda fra le donne orien-
tali Olga di Kiev, e fra le occidentali Matilde di Tosca-
na, Edwige di Slesia e Edwige di Cracovia, Elisabetta
di Turingia, Brigida di Svezia, Giovanna D’Arco; oltre
a Caterina da Siena che ha meritato il riconoscimento
di Dottore della Chiesa. Ma la lista potrebbe essere mol-
to più lunga e dovrebbe comprendere Agnese di Pra-
ga, Ildegarda di Bingen, Gertrude di Helfta, Matilde di
Magdeburg e Matilde di Hackenborn, alle quali biso-
gna aggiungere le grandi sante della tradizione fran-
cescana, quali Chiara di Assisi e Angela da Foligno.
Il coraggio di queste donne è tanto più da ammirare se
pensiamo alla mentalità antifemminista dell’epoca, alla
diffidenza viscerale degli uomini contro le donne, alla
quale non sfugge neppure il grande Tommaso d’Aquino

                           40
che oltre alle teorie della donna come “uomo mancato”
aggiunge anche l’osservazione che essendo la donna
solo ausiliaria dell’uomo per la procreazione, “per ogni
altra opera egli trova un migliore aiuto in un altro uo-
mo che nella donna” (Summa Theologiae, I, q. 42, a.1).
Spesso sarà a questi pregiudizi che si ispireranno an-
che i dotti della Chiesa e i potenti di questo mondo
per non ascoltare la voce di Dio che si faceva sen-
tire potente attraverso la parola di queste donne.
Donne coraggiose di riconciliazione e di unità per la
costruzione dell’Europa, molte sante medievali, ponen-
dosi come riformatrici, predicatrici e destinatarie di
divine visioni, incontrarono tante gravi difficoltà nel
farsi accettare dalla comunità ecclesiale, ma andaro-
no avanti fino all’umiliazione, all’ironia, come nel ca-
so di Ildegarda, di Caterina e di tante altre. Tutte testi-
moni del Mistero Pasquale di Cristo vissuto e incarna-
to nella loro storia personale e comunitaria.




                           41
Ilde�arda di Bin�en
            AUDACE IN BATTAGLIA




    Ildegarda di Vendersheim, nata nel 1098, a Bermer-
sheim vor der Höhe (Germania), da una famiglia del-
la piccola nobiltà locale, a otto anni viene mandata nel
monastero benedettino di Disibodenberg, perché rice-
va da Jutta, figlia del conte di Spanheim, monaca e ba-
dessa, una formazione all’altezza della sua posizione
sociale. L’intelligenza acuta e vivace, abbinata ad un’ac-
centuata capacità di osservazione, e un profondo ap-
prezzamento per la cultura in generale, permettono al-
la bambina di acquisire, nel tempo, una discreta com-
petenza in vari campi del sapere: dalla teologia alla fi-
losofia, dalle scienze naturali alla linguistica, alla mu-
sica, alla poesia…
    La sua fede, già vivida nell’infanzia e rafforzata
dall’esperienza monastica, la spinge appena adolescen-
te, a scegliere di consacrarsi totalmente a Dio e diven-
ta monaca.
    Alla morte di Jutta, nel 1136, è nominata “abbatis-
sa”. In questo ruolo imprime un forte impulso spiritua-
le e culturale alla vita della comunità, continuando a
vivere, con la semplicità di sempre, la vita quieta e vi-
vace del monastero.


                           42
“UNA PIUMA ABBANDONATA
AL VENTO DELLA FIDUCIA DI DIO”!
    La storia cambia quando inizia a scrivere e rendere
pubbliche le “visioni” che l’accompagnano fin dall’in-
fanzia e che lei racconta nella prima opera intitola-
ta Scivias, “conosci le vie”. Nell’introduzione a questo
scritto, Ildegarda spiega come è stata spinta a questo
passo, da una misteriosa voce, proveniente da una lu-
ce bellissima, che durante una visione le diceva: “O
fragile creatura umana… racconta e scrivi ciò che vedi
e ascolti”. Ci tiene però a precisare che le visioni non
sono dovute ad alterati stati di coscienza, ma come lei
stessa dice, “le ho ricevute mentre ero sveglia, con la
mente attenta e limpida, attraverso i sensi interiori, in
luoghi aperti, secondo la volontà di Dio”.
    Che si tratti di una particolare illuminazione dello
Spirito, lo capiamo dal testo seguente:
    “Avvenne nell’anno 1141 dall’incarnazione di Cristo,
quando avevo quarantadue anni e sette mesi, che una
luce infuocata, fortissima e abbagliante, scendendo dal
cielo che si era aperto, infiammò tutto il mio cervello
e mi riempì di calore il cuore e il petto: era simile ad
una fiamma che non brucia ma scalda, come fa il so-
le quando colpisce qualcosa con i suoi raggi. E, subi-
to, fui in grado di interpretare i libri, il Salterio, il Van-
gelo, e gli altri libri cattolici, l’Antico e il Nuovo Testa-
mento…”.
    Lo Spirito le permette di penetrare a fondo il sen-
so delle Scritture e di condensarne il nucleo in poten-
ti immagini simboliche, secondo l’uso del tempo, mu-
tuate dagli stessi testi biblici e dalla natura. È perfetta-
mente consapevole che la rivelazione delle “visoni”, la
espone ad una platea che esprimerà un giudizio e per
questo vorrebbe sottrarsi. Ma non può farlo: Dio stes-
so lo chiede e a Lui si abbandona.
    Da questo momento, Ildegarda sarà “una piuma ab-
bandonata al vento della fiducia di Dio”, come essa
stessa si definirà.

                             43
LA TRINITÀ DA CUI TUTTO NASCE
    Le sue visioni contengono una sorta di reinterpre-
tazione in chiave trinitaria di tutta la storia della sal-
vezza, espressa sotto forma di simboli ed immagini.
Le virtù sono personificate e come tali si esprimono.
    Nella meditatio di Ildegarda, il Padre è il Dio creato-
re che dà vita a tutte le cose e le dispone in armonia. Il
Figlio parla attraverso Caritas, personificata in sembian-
ze femminili mentre si presenta come “Sposa e amante
del Signore, innamorata e raccolta nell’amplesso divino”.
Dio dona a Caritas molti gioielli “perché l’ama grande-
mente ed ella vuole un bacio da Lui e a Lui obbedisce”.
    Lo Spirito si presenta come “Tuono della Voce at-
traverso la quale nascono tutte le creature” e dice: “Do
impulso alle cose con il mio alito… come ragione so-
no alla radice di tutto”.
    Dalla Trinità nasce la creazione e, in essa, l’essere
umano “è l’opera compiuta di Dio perché Dio si cono-
sce attraverso di Lui, per lui ha creato le altre creature e
a lui ha concesso per amore la ragione”. In questa ope-
ra compiuta di Dio, la donna appare come “forma spe-
culativa” dell’uomo e in quanto tale, sua pari.
    La potenza divina, “rotonda perfezione della mi-
sura”, come fuoco illumina il cosmo circondandolo a
mo’ di ruota.

LA CENTRALITÀ DELL’ATTO REDENTIVO
DI CRISTO
    Se la visione che Ildegarda ha del cosmo sottolinea
la sua bellezza, quella del peccato si manifesta con ter-
mini che ne indicano il sovvertimento: nuvole nere che
si addensano, i venti diventano puzzolenti, il verde del-
la vitalità sbiadisce… gli umori di cui sono fatte le cre-
ature si scombinano e l’armonia viene deturpata. Ma
Dio non rimane a guardare.
    La carità, attraverso il Figlio, opera la redenzione a fa-
vore della creatura umana, descritta come, “pecora del
Signore” caduta nel fango del peccato. Interessante in

                             44
questo contesto, la reinterpretazione ildegardiana dell’at-
to redentivo: “Quando l’Agnello di Dio fu appeso sulla
croce, gli elementi tremarono, perché il nobilissimo Fi-
glio della Vergine era stato ucciso nel corpo dalle mani
degli uomini, e nella sua morte felice, la pecora è stata
riportata ai pascoli della vita. Infatti, l’antico persecutore,
dopo aver visto che dovette lasciare libera quella pecora
a causa del sangue dell’Agnello innocente, che lo stesso
Agnello aveva versato nella remissione dei peccati, allo-
ra riconobbe per la prima volta chi fosse quell’Agnello…
Mentre l’uomo venne sollevato dalla morte, l’inferno aprì
le sue porte e satana gridava: ‘Ahimè! ahimè! Chi mi aiu-
terà?’. Ma anche la schiera dei diavoli fu colta da grande
turbamento: infatti, quando videro che le anime a loro
fedeli venivano trascinate via, si resero conto di quanto
fosse grande quella potenza, a cui non avrebbero potuto
resistere insieme al loro principe. Così l’uomo fu portato
al di là dei cieli, perché Dio apparve nell’uomo e l’uomo
in Dio, grazie all’opera di Gesù Cristo”.
    La salvezza continua nel tempo quando l’essere
umano modella la sua vita sulle virtù, in modo parti-
colare sulla carità e l’umiltà.
    “Perciò chi voglia avere la meglio sul diavolo, si
munisca dell’arma dell’umiltà. Lucifero, infatti, la teme
molto e davanti ad essa si nasconde come un serpente
in una caverna, perché se essa lo prende, lo fa a pez-
zi molto facilmente, come se fosse una cordicella pri-
va di ogni valore”.

LA VIRIDITAS
   Ildegarda è anche un medico poiché studia le pro-
prietà delle erbe e le seleziona. Ma in lei, spiritualità e
medicina sono strettamente connesse dal concetto di
viriditas. Per viriditas Ildegarda intende l’effetto dell’e-
nergia vitale che il Soffio divino ha impresso nella cre-
azione e che si manifesta, oltre che nel verde della ve-
getazione, nel creato e nell’essere umano, a livello fi-
sico e spirituale. Il peccato rovina la viriditas; la prati-

                             45
ca delle virtù, ricompone l’unità tra microcosmo e ma-
crocosmo. L’arte medica, quella del tempo, utilizza le
proprietà delle piante per rianimare la viriditas, e ri-
dare salute, prosperità e bellezza alla creazione intera.

LA BELLEZZA FEMMINILE
    Il monachesimo femminile ha sempre mortificato la
bellezza femminile, considerata ostacolo nel cammi-
no verso la santità. Ildegarda, invece è di diverso pare-
re. La badessa di Andernach le scrive sconcertata: “Ci
è giunto all’orecchio qualcosa a proposito di un’usan-
za del vostro monastero certamente non comune: che
cioè nei giorni festivi, durante il salterio, le sorelle sie-
dono nel coro con i capelli sciolti e si ornano di un ve-
lo di seta bianca, il cui orlo arriva fino a terra. Porta-
no sul capo corone dorate e lavorate, nelle quali sono
armonicamente intrecciate su entrambi i lati e sul re-
tro delle croci e sulla fronte un’immagine dell’Agnel-
lo. Sembra inoltre che le sorelle si ornino anche le di-
ta con anelli d’oro. Tutto questo nonostante il primo
pastore della Chiesa lo abbia proibito con esortazioni,
dicendo che le donne devono comportarsi costuma-
tamente, senza capelli intrecciati, oro e perle, né pre-
ziose vesti”. Ildegarda, senza scomporsi, le risponde:
“Nello Spirito Santo le vergini sono spose della santità
e dell’aurora della verginità. Perciò devono avvicinarsi
al sommo sacerdote come olocausto gradito a Dio. Per
questo motivo spetta alla vergine indossare una veste
luminosamente bianca”. Non è forse questa veste bian-
ca l’abito della schiera dei beati dell’Apocalisse? Non
rappresenta il segno luminoso del mistero della vergi-
nità che vigila nell’attesa della redenzione finale?”.

IL RUOLO DELLA MUSICA NELLA LODE A DIO
   La musica e il canto hanno una grande importanza
nella spiritualità di Ildegarda di Bingen; lei stessa ha
scritto molte composizioni musicali per la preghiera.
   Il significato che ella attribuisce al canto e alla mu-

                            46
sica, si evince da una lettera che scrive ai prelati di Ma-
gonza, per protestare contro la proibizione, inflitta da
questi, a lei e alle sue monache, di accostarsi ai sacra-
menti e di salmodiare cantando, a causa del rifiuto del-
la badessa di dissotterrare e di buttare fuori dal cimite-
ro del monastero un defunto, ivi sepolto, che pure es-
sendo stato scomunicato, prima di morire si era penti-
to e aveva ricevuto i sacramenti.
    Ildegarda ricorda ai suoi interlocutori che i salmi e i
canti, composti dai profeti sotto l’ispirazione dello Spi-
rito Santo, sono “da cantarsi per accendere la devozio-
ne dei fedeli” e gli strumenti musicali arricchiscono i
canti con vari suoni “affinché gli uomini si rammentas-
sero della dolce lode della quale Adamo prima della
caduta gioiva in Dio insieme agli angeli… e anche per
invitare l’umanità a questa dolce lode. Questo lo fece-
ro in modo che gli stessi ascoltatori sollecitati e allena-
ti… da aspetti esteriori… fossero istruiti su realtà inte-
riori”. Ma il diavolo, avendo capito che l’essere umano,
“attraverso quest’arte si sarebbe trasformato sino a re-
cuperare la dolcezza dei canti della patria celeste”, non
ha mai smesso di ostacolare quest’opera.
    Il monito conclusivo rivela bene il carattere ildegar-
diano: “Per questo, voi e tutti i prelati, dovete sempre
stare bene attenti prima di chiudere con un decreto la
bocca ai cori che cantano le lodi a Dio”.

PROFETESSA DELLA GERMANIA
    Ildegarda, ormai all’apice della fama, forte dell’ap-
provazione di Bernardo di Clairvaux e del Papa, sen-
te fortemente la responsabilità di occuparsi della rivi-
talizzazione della fede della Chiesa.
    Con la semplice scorta di due monache e uno stal-
liere attraversa a periodi alterni l’intera regione del Me-
no. Le tappe di questo percorso sono i monasteri fem-
minili e maschili, che Ildegarda si impegna a riforma-
re. Ella stessa ne fonda due: quello di Bingen (dove lei
si trasferisce nel 1147) e quello di Eibingen, nel 1165.

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Ma non si limita solo a questo. La sua predicazione
investe la società civile, le piazze, i mercati, le chiese
ed è rivolta ai nobili, agli alti prelati e a tutto il popolo.
La sua fama cresce e molte persone le scrivono, com-
preso l’imperatore Federico Barbarossa. Lei risponde in
modo schietto e deciso, proponendo a tutti il modello
di vita appreso dal Vangelo.
   Giovanni Paolo II, nelle lettera che scrisse in occa-
sione dell’ottocentesimo anniversario della morte di Il-
degarda, la definisce, a ragione: “Profetessa della Ger-
mania”.

CORAGGIOSA NELLE BATTAGLIE
   Ildegarda, “Colei che è audace in battaglia”, secon-
do il significato etimologico del termine, si dimostra in
molte situazioni all’altezza del nome che porta.
   Che fosse battagliera, lo dimostra la sua capacità di
tenere testa allo strapotere di chierici e regnanti, con il
solo coraggio di una fede chiara e luminosa.
   E forse non è un caso che la sua vita, segnata da
una salute costantemente malferma, che ne mette spes-
so a rischio la sopravvivenza, abbia raggiunto, cosa ab-
bastanza insolita a quel tempo, la veneranda età di 81
anni. Muore infatti il 17 settembre 1179 e viene sepol-
ta nel monastero di Rupertsberg in un ricco mausoleo.
Durante la Guerra dei Trent’anni, per salvarlo dalla di-
struzione, i monaci benedettini portarono con se le re-
liquie nella cappella del priorato di Bingen dove ripo-
sano ancora oggi.

UNA SANTA MAI CANONIZZATA
    Ildegarda fu acclamata santa a furor di popolo. Ma
il processo di canonizzazione avviato da Papa Grego-
rio IX, una cinquantina di anni dopo la sua morte, non
è stato mai completato.




                             48
�n�ela da �oli�no
    SPOSA DI DIO-UOMO PASSIONATO




    La biografia della beata Angela da Foligno gravita in-
torno a tre date approssimative, quella della nascita, del-
la “conversione mistica” e della morte. Nacque nella cit-
tadina umbra, intorno all’anno 1248. Della sua giovinez-
za non si conosce praticamente nulla se non il fatto che
si sposò e visse una vita, a suo dire, “selvaggia, adultera
e sacrilega”. Sicuramente di famiglia agiata, ebbe più figli
e una vita morale molto spigliata. Non mancarono gravi
colpe culminate in una serie di confessioni e di comu-
nioni sacrileghe. Intorno all’’anno 1285 il suo cammino
di fede iniziò di nuovo, attraverso il sacramento della Pe-
nitenza celebrato nella chiesa cattedrale di S. Feliciano a
Foligno, quando si confessò dal cappellano del vescovo.
    Dopo la morte del marito, dei figli e della madre,
provata dal dolore, che affrontò con grande forza d’a-
nimo, ridiede vigore alle radici della sua fede quando
scoprì il senso di quello che stava vivendo, nella pas-
sione che Cristo aveva vissuto per amore. La svolta mi-
stica, favorita da un pellegrinaggio ad Assisi nel 1291,
segnò una svolta decisiva nella sua vita. Nello stesso
anno entrò a far parte del Terz’ordine francescano in
cui emise i voti religiosi.
    Fu durante questo viaggio ad Assisi che Angela fece

                            49
sconcertanti ed esaltanti esperienze mistiche, di cui fu
stupito testimone anche il suo parente e confessore, il
B. Arnaldo da Foligno: questi, temendo si trattasse di
fenomeni dovuti a suggestioni demoniache, le impo-
se di dettargli le sue esperienze interiori. Il bisogno di
far luce sulle profondità di quest’anima squassata dal-
la grazia, diede così origine al Liber, uno dei più pre-
ziosi libri sull’ esperienza mistica di un’anima partico-
larmente favorita da Dio.
    Il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica,
da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avvenne
attraverso la contemplazione del Crocifisso: il “Dio-uo-
mo passionato” divenne il suo “maestro di perfezione”.
Da quel momento il suo obiettivo sarà, tendere ad una
perfetta “somiglianza” con Lui, mediante purificazioni
e trasformazioni sempre più profonde e radicali. In ta-
le stupenda impresa Angela mise tutta se stessa, anima
e corpo, senza risparmiarsi in penitenze e tribolazioni,
desiderando di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio-
uomo crocifisso pur di essere trasformata totalmente in
Lui: “O figli di Dio, – raccomandava – trasformatevi to-
talmente nel Dio-uomo passionato, che tanto vi amò da
degnarsi di morire per voi di morte ignominiosissima e
del tutto ineffabilmente dolorosa e in modo penosissi-
mo e amarissimo. Questo solo per amor tuo, o uomo!”.
Questa identificazione comportava anche vivere ciò che
Gesù aveva vissuto: povertà, disprezzo, dolore, perché
“attraverso la povertà temporale l’anima troverà ricchez-
ze eterne; attraverso il disprezzo e la vergogna otterrà
sommo onore e grandissima gloria; attraverso poca pe-
nitenza, fatta con pena e dolore, possederà con infinita
dolcezza e consolazione il Bene Sommo, Dio eterno” .

DALLA CONVERSIONE ALL’UNIONE MISTICA
CON IL CRISTO CROCIFISSO,
ALL’INESPRIMIBILE!
   Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera
costante: “Quanto più pregherai tanto maggiormente

                           50
sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più
profondamente e intensamente vedrai il Sommo Be-
ne, l’Essere sommamente buono; quanto più profon-
damente e intensamente lo vedrai, tanto più lo ame-
rai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quan-
to più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprende-
rai e diventerai capace di capirlo. Successivamente ar-
riverai alla pienezza della luce, perché capirai di non
poter comprendere” .
    Scrive il suo confessore: “La fedele allora mi disse:
Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che
avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conserva-
re la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla
Croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli conce-
do o permetto»”. Ma in questa fase Angela ancora “non
sente amore”; ella afferma: “L’anima prova vergogna e
amarezza e non sperimenta ancora l’amore, ma il do-
lore” , ed è insoddisfatta.
    Angela sentiva di dover dare qualcosa a Dio per ri-
parare i suoi peccati, ma lentamente comprendeva di
non aver nulla da darGli, anzi di “essere nulla” davanti
a Lui; capiva che non sarebbe stata la sua propria vo-
lontà a darle l’amore di Dio, perché questa può solo
darle il suo “nulla”, il “non amore”. Come ella dirà: so-
lo “l’amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’ani-
ma e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà di-
vina […] Tale amore porta l’anima in Cristo e lei com-
prende con sicurezza che non si può verificare o esser-
ci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può
mischiare qualcosa di quello del mondo”.
    Non rimane che aprirsi solamente e totalmente all’a-
more di Dio, che ha la massima espressione in Cristo e
per questo pregava così: “O mio Dio fammi degna di
conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e
ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità,
cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazio-
ne per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra
di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto

                           51
uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande”. Tut-
tavia, Angela avvertiva nel cuore le ferite del peccato;
anche dopo una Confessione ben fatta, si sentiva per-
donata ma ancora affranta dal peccato, libera e con-
dizionata dal passato, assolta ma bisognosa di peni-
tenza. E anche il pensiero dell’inferno l’accompagnava
perché quanto più l’anima progredisce sulla via della
perfezione cristiana, tanto più si convince non solo di
essere “indegna”, ma di essere meritevole dell’inferno.
    Ed ecco che, nel suo cammino mistico, Angela af-
ferrò la realtà centrale, quella più profonda: ciò che la
salverà dalla sua “indegnità” e dal “meritare l’inferno”
non sarà la sua “unione con Dio” e il suo possedere la
“verità”, ma Gesù crocifisso, “la sua crocifissione per
me”, il suo amore.
    Nell’ottavo passo, dei trenta descritti nella sua “au-
tobiografia spirituale”, ella dice: “Ancora però non ca-
pivo se era bene maggiore la mia liberazione dai pec-
cati e dall’inferno e la conversione a penitenza, oppure
la sua crocifissione per me”. E’ l’instabile equilibrio fra
amore e dolore, avvertito in tutto il suo difficile cam-
mino verso la perfezione. Proprio per questo contem-
plava di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale
visione vedeva realizzato il perfetto equilibrio: in croce
c’è l’uomo-Dio, in un supremo atto di sofferenza che è
un supremo atto di amore.
    In questi “trenta passi” Angela dettò in dialet-
to umbro, poi messo in un limpido latino scolastico
dal suo amanuense, quanto avveniva nella sua ani-
ma, dal momento della conversione al 1296, quando
tali manifestazioni mistiche si fecero più frammenta-
rie e lasciarono campo a nuove manifestazioni spiri-
tuali, in particolare quella della “ maternità spiritua-
le “ che raccolse intorno alla “Lella da Foligno” un
vero cenacolo di anime desiderose di perfezione.
 A loro la beata inviava numerose lettere e per loro re-
digeva anche le Istruzioni salutifere. La povertà, l’u-
miltà, la carità, la pace erano i suoi grandi temi: “Lo

                           52
sommo bene dell’anima è pace verace e perfetta... Chi
vuole dunque perfetto riposo, istudisi d’amare Idio con
tutto cuore, perciò che in tale cuore abita Idio, il qua-
le solo dà e può la pace dare”.
    Angela da Foligno morì il 4 gennaio 1309, come è
scritto in uno dei diversi codici manoscritti del “Liber”
e venne da sempre venerata con il titolo di Beata e
Magistra Theologorum, ossia Maestra dei Teologi, per-
ché in vita attorno a lei si era raccolto un Cenacolo di
figli spirituali, tra i quali si annovera Ubertino da Ca-
sale. Il suo corpo riposa nella Chiesa di San Francesco
e Santuario della Beata Angela a Foligno.




                          53
�ertrude di �el �ta
                FERITA D’AMORE




    Santa Gertrude, grande mistica tedesca del XIII se-
colo, con la sua vita e il suo pensiero ha inciso in mo-
do straordinario sulla spiritualità cristiana. Di grande
statura culturale e profondità evangelica, questa donna
si distingue per eccezionale talento naturale e straordi-
nari doni di grazia; la sua profonda umiltà alimenta in
lei lo zelo per la salvezza del prossimo, così come la
sua intima comunione con Dio nella contemplazione,
si esplicita nella prontezza nel soccorrere i bisognosi.
    Nasce il 6 gennaio del 1256, festa dell’Epifania. Pur
non essendo figlia di nobili, proviene da una famiglia
benestante. All’età di cinque anni, nel 1261, entra nel
monastero cistercense di Helfta, in Sassonia, dove ri-
ceve una accurata educazione dalla grande Matilde di
Magdeburgo, maestra di spiritualità e di bello scrivere.
A giudicare dall’eleganza del testo poetico della Lux
divinitatis, opera in cui Gertrude narra le sue espe-
rienze mistiche, si può ben dire che sia stata una allie-
va attenta e profittevole. Alla scuola di Matilde, perso-
naggio capace di incidere profondamente sulla vita di
molte giovani, attratte dalla sua spiritualità fortemente
mistica, la ragazza, almeno fino ad un certo punto del-
la sua vita, non sembra particolarmente interessata a

                          54
curare la propria interiorità. Alcune fonti biografiche,
le attribuiscono addirittura momenti di vita “dissipata”.

LA CONVERSIONE INTERIORE
    A 26 anni, lo scenario interiore di Gertrude cam-
bia radicalmente perché il Signore, “più lucente di tut-
ta la luce, più profondo di ogni segreto, cominciò dol-
cemente a placare quei turbamenti che aveva acceso
nel mio cuore”. Si sente chiamata a passare “dalle co-
se esterne alla vita interiore e dalle occupazioni terre-
ne all’amore delle cose spirituali”. Comprende di esse-
re stata lontana da Lui, chiusa nei suoi interessi intel-
lettuali, di essersi dedicata con troppa avidità agli stu-
di liberali, alla sapienza umana, trascurando la scienza
spirituale e privandosi del gusto della vera sapienza. Il
Signore la conduce ora al monte della contemplazio-
ne, dove lei stessa lascia il vecchi stile di vita per assu-
merne uno nuovo.
    Una mutazione che sorprende molti, e che lei stessa
attribuisce a una visione, seguita poi da altri fenome-
ni eccezionali come estasi, stigmate, e misteriose ma-
lattie che anziché fiaccola la stimolano, spingendola a
momenti di stupefacente attivismo. Gertrude vorrebbe
vivere in solitudine questa avventura dello spirito, ma
non sempre può: le voci corrono, arriva molta gente
al monastero, per confidarsi, interrogarla, o semplice-
mente per vederla.
    Lei accoglie tutti e specialmente chi è più disorien-
tato. Gli sta a cuore soprattutto la divulgazione del cul-
to per l’umanità di Gesù Cristo, tradotta nell’immagi-
ne popolarissima del Sacro Cuore. Per raggiungere le
persone che non possono recarsi al monastero, si affi-
da alla scrittura e lo fa con l’eleganza che è frutto dei
suoi studi.

DA LETTERATA A TEOLOGA
   Tramite una assidua e attenta lettura dei libri sacri
che riesce a procurarsi, riempie il suo cuore di utili e

                            55
dolci espressioni della Sacra Scrittura. Questa ricchez-
za spirituale unita alle competenze acquisite nelle di-
scipline scolastiche la preparano a diventare “apostola”,
nel modo richiesto dai tempi. A chi viene a consultar-
la riserva una parola ispirata ed edificante mentre con
i testi scritturistici più adatti chiude la bocca agli op-
positori e confuta opinioni errate.
    Geltrude si dedica anima e corpo al servizio del-
la chiesa diffondendo le verità di fede anche tramite
la scrittura, e lo fa con chiarezza e semplicità, grazia
e persuasività, tanto da guadagnarsi la stima e l’am-
mirazione di teologi e persone religiose. Con l’esem-
pio e la parola è capace di suscitare un grande fervore
tra la gente. Alla regola monastica, già esigente in fat-
to di ascesi, aggiunge penitenze personali che lei pra-
tica con tale devozione e abbandono in Dio da susci-
tare in chi la incontra la consapevolezza di essere alla
presenza del Signore.
    Dio le dona la doppia consapevolezza di essere sta-
ta chiamata e di essere strumento della sua grazia. I
doni che ha ricevuto sono molti, ma due le sono par-
ticolarmente cari:
    “Le stimmate delle tue salutifere piaghe che mi im-
primesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la pro-
fonda e salutare ferita d’amore con cui lo segnasti. Tu
mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudi-
ne che, anche dovessi vivere mille anni senza nessu-
na consolazione né interna né esterna, il loro ricor-
do basterebbe a confortarmi, illuminarmi, colmarmi
di gratitudine. Volesti ancora introdurmi nell’inestima-
bile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi
modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che
è il tuo Cuore divino […]. A questo cumulo di bene-
fici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la san-
tissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spes-
so raccomandata al suo affetto come il più fedele de-
gli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre
la sposa sua diletta”.

                           56
UNA TEOLOGIA AFFETTIVA
    Gli scritti di Gertrude attingono molte immagini dai
testi biblici. La sua opera rivela una esperienza teolo-
gica che mette al centro il rapporto personale col mi-
stero di Dio attraverso l’opera di Cristo presente e vis-
suta nella celebrazione liturgica quotidiana. Gertrude
scrive quello che vive e quello che “vede” nella litur-
gia, nella Scrittura e nella preghiera. La teologia che
ci trasmette in forma di preghiere è la sua interioriz-
zazione personale dei misteri della fede e l’espressio-
ne simbolica della bellezza ineffabile di Dio. In lei il
concetto di Dio come amore è strettamente legato alla
sua esperienza interiore di affettività e quello che ne
scaturisce è una vera e propria teologia “affettiva”, in
cui il Dio Trinità è bellezza, luce e soprattutto amo-
re. Lo Spirito conduce l’uomo verso la contemplazione
del mistero della salvezza rivelato in Gesù come gra-
zia. Tutto questo si ritrova nella sua prima opera dal
titolo Il Messaggero della divina misericordia. Una se-
conda opera, Gli Esercizi Spirituali, contiene sette me-
ditazioni ispirate alla vita liturgica e monastica che,
iniziando dalla memoria del Battesimo e della con-
versione, terminano con il tema dell’unione di amore
sponsale con Dio nella professione. Gertrude esorta
il lettore ad utilizzarle per iniziare un itinerario di fe-
de che conduca all’unione con Dio. Il carattere poeti-
co-affettivo, fortemente emotivo di queste meditazio-
ni, che rispecchiano la personalità di chi scrive, han-
no come effetto quello di commuovere l’anima uma-
na e predisporla ad una risposta amorosa al Dio amo-
re. Simboli, immagini bibliche e metafore, largamen-
te utilizzati, esprimono meglio di qualsiasi linguaggio
razionale, la grandezza del mistero di Dio che la santa
presenta in modo del tutto personale in linea con la
sua esperienza umana.I simboli della luce e del fuo-
co, del canto e della danza, le esperienze sensoriali
del vedere, ascoltare, sentire, toccare, gustare, il lin-
guaggio affettivo dell’abbraccio e del bacio, compon-

                           57
gono una sorta di vocabolario dell’interiorità attraver-
so cui questa mistica comunica l’anelito dell’anima a
congiungersi con Dio.
    Così si esprime nelle Rivelazioni: “Nella notte san-
tissima, in cui, con la discesa della dolce rugiada della
divinità, per tutto il mondo i cieli hanno stillato mie-
le, l’anima mia, come vello irrorato sull’aia della co-
munità, si dedicò, attraverso la meditazione, ad esse-
re presente e, applicandosi alla devozione, ad offrire
il proprio servizio a quel parto eccelso in cui la Ver-
gine generò, come un raggio, il Figlio vero Dio e ve-
ro uomo. Come nel guizzo di una subitanea illumina-
zione, essa comprese che le veniva offerto ed era da
lei ricevuto un tenero bimbo appena nato, in cui sen-
za dubbio si celava il dono sommo e perfetto, quello
vero e migliore in assoluto. Mentre l’anima mia lo te-
neva in sé, di colpo sembrò trasformarsi tutta nel suo
stesso colore, se tuttavia può dirsi ‘colore’ ciò che non
si è in grado di paragonare a nessun aspetto visibile.
Allora la mia anima percepì in modo ineffabile il sen-
so di quelle soavi parole: Dio sarà tutto in tutti (1Cor
15,28), mentre sentiva di tenere in sé il Diletto disce-
so in lei e si rallegrava che non le mancasse la gradi-
ta presenza dello Sposo dalle piacevolissime carezze.
Per questo essa sorseggiava con insaziabile avidità ta-
li parole a lei offerte da Dio come una coppa di mie-
le: “Come io sono la figura della sostanza di Dio Pa-
dre nella divinità, così tu sarai la figura della mia so-
stanza nella natura umana, accogliendo nella tua ani-
ma divinizzata quanto proviene dalla mia divinità, al-
lo stesso modo in cui l’aria riceve i raggi del sole; pe-
netrata fino al midollo dalla forza di questo legame,
tu divieni capace di un’unione più familiare con me”.
    E ancora negli Esercizi Spirituali: “O luce serenis-
sima della mia anima, e mattino luminosissimo, sorgi
ormai in me, e comincia a risplendere a me in modo
tale che nella tua luce io veda la luce(Sal 35,10) e gra-
zie a te la mia notte si converta in giorno! O mio ca-

                          58
rissimo Mattino, tutto ciò che tu non sei, per amore
dell’amore tuo possa io stimarlo come niente e vani-
tà.. Vieni a visitarmi fin dal primo albore del mattino
(Is 40,17), perché io mi trasformi tutta quanta imme-
diatamente in te… Saluta il Dio che ti ama con que-
ste parole, leggendo il salmo celeste: “Ti esalterò, Dio,
mio re…”( Sal 144,1). Mio re e mio Dio, amore che sei
Dio e gioia, a te canta con esultanza la mia anima e
il mio cuore. Tu sei la vita della mia anima, mio Dio,
Dio vivo e vero, fonte di luci eterne, e la luce del tuo
dolce volto è stata impressa su di me, benché inde-
gna; il mio cuore desidera salutarti, lodarti, magnifi-
carti e benedirti! A te offro il fior fiore delle mie for-
ze e dei miei sensi come olocausto di una nuova lode
e di un intimo rendimento di grazie… Tu sei, mio Si-
gnore, la mia speranza, tu la mia gloria, tu la mia gio-
ia, tu la mia beatitudine. Tu sei la sete del mio spirito.
Tu la vita della mia anima. Tu il giubilo del mio cuore.
Dove mai potrebbe condurmi il mio stupore, al di so-
pra di te, Dio mio? Tu sei il principio e il compimento
di ogni bene e in te è la dimora di tutti coloro che in-
sieme si rallegrano. Tu sei la lode del mio cuore e del-
la mia bocca. Tu scintilli tutto nella primaverile piace-
volezza del tuo gaio amore. La tua eminentissima di-
vinità ti magnifichi e ti glorifichi, poiché tu sei la fonte
della luce perpetua e la sorgente della vita... A te can-
tino con gioia tutte le stelle del cielo, che per te brilla-
no con gioia e, chiamate ad un tuo cenno di coman-
do, sono sempre pronte al tuo servizio. A te cantino
con gioia tutte le mirabili opere tue, tutte quelle che
abbraccia l’immenso cerchio del cielo, della terra e de-
gli abissi, e ti dicano quella perpetua lode che, sgor-
gando da te, rifluisce in te, sua origine. A te canti con
gioia il mio cuore e la mia anima, con tutta la sostan-
za della mia carne e del mio spirito, sprizzando dall’e-
nergia di tutto l’universo. A te, dunque, dal quale, per
il quale e nel quale sono tutte le cose, a te solo onore
e gloria nei secoli. Amen.”

                            59
DESIDERIO DI AMORE
    Nel settimo Esercizio del suo libro, quello della pre-
parazione alla morte, santa Gertrude scrive: “O Ge-
sù, tu che mi sei immensamente caro, sii sempre con
me, perché il mio cuore rimanga con te e il tuo amo-
re perseveri con me senza possibilità di divisione e il
mio transito sia benedetto da te, così che il mio spiri-
to, sciolto dai lacci della carne, possa immediatamen-
te trovare riposo in te. Amen.”
    Conclude la sua vicenda terrena il 17 novembre del
1301 o 1302, all’età di circa 46 anni.
    Questa grande mistica ci fa comprendere, ancora
oggi, che il centro di una vita felice, di una vita ve-
ra, è l’amicizia con Gesù. E questa amicizia si impara
nell’amore per la Parola di Dio, nella generosità verso
gli altri, nell’amore per la preghiera liturgica, in par-
ticolare nella Celebrazione Eucaristica, nella fede pro-
fonda, nell’amore per Maria…
    In modo da conoscere sempre più realmente Dio
stesso, la vera felicità e la meta della nostra vita.




                           60
Donne della pasqua, di Anna Maria Vissani
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Donne della pasqua, di Anna Maria Vissani

  • 1.
  • 2. Anna Maria Vissani Emilia Salvi Mariano Piccotti DONNE DELLA PASQUA IL GENIO FEMMINILE NELLA STORIA DEL POPOLO DI DIO
  • 3. © 2011 Editrice Velar 24020 Gorle, Bg www.velar.it ISBN 978-88-7135-???-? Esclusiva per la distribuzione in libreria Elledici 10098 Cascine Vica, To www.elledici.org ISBN 978-88-01-?????-? Tutti i diritti di traduzione e riproduzione del testo e delle immagini, eseguiti con qualsiasi mezzo, sono riservati in tutti i Paesi. I.V.A. assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, 1° comma, lettera C, D.P.R. 633/72 e D.M. 09/04/93. Progetto grafico, realizzazione e stampa a cura di Editrice Velar, Gorle (BG) Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
  • 4. PRESENTAZIONE 20 anni fa il domenicano padre Dalmazio Mongil- lo, nostro carissimo amico, introduceva un piccolo li- bretto su figure di donne vissute alla luce del Mistero Pasquale, edito dal Centro di Spiritualità “Sul Monte”. Riteniamo utilissimo riportare una parte delle sue ri- flessioni, in omaggio all’uomo di scienza e di dolcissi- ma parola, all’uomo dalla parola suadente e umanissi- ma. Scriveva: “Per secoli, nella mentalità corrente, ‘sto- rie di donne’ ha fatto pensare a realtà non degne di at- tenzione, non rilevanti, di cui non è il caso di interes- sarsi: ‘le donne fanno storie’, non scalfiscono la real- tà, non fanno storia. Questa mentalità, indubbiamente di stampo maschile, oggi rende rischioso per un uo- mo parlare delle donne. Non è astratto il timore di es- sere frainteso e sospettato, e per quello che dice e per i motivi che lo inducono a parlare. Eppure non ci si può sottrarre al dovere di farlo, di imparare a comuni- care in verità e dignità, di promuovere un nuovo stile di relazione, di assecondare gli indispensabili processi di purificazione della memoria, condizione prelimina- re per ogni intesa costruttiva. Quando si percorrono le pagine di questa storia al femminile, quando ci si lascia coinvolgere dall’eloquen- za di tanti eventi, molti di essi autentici ‘fatti di vangelo’, vissuti da donne che hanno aperto nuove vie al cammi- no dell’umanità in tutti i campi della realtà, ci si rende conto di quanto ingiusti siamo stati noi uomini, di Chie- sa e di mondo, quanto lenti ad arrenderci all’evidenza, quanto incapaci di cogliere le dimensioni della femmi- nilità della realtà e, conseguentemente, quanta gioia di vivere abbiamo disatteso e compromesso. 3
  • 5. Sarebbe stato sufficiente pensare che ognuno di noi esiste perché una donna per nove mesi ci ha cresciu- ti nel ventre e per un numero indefinito di giorni e di mesi ha trepidato e vegliato per noi, per vedere la re- altà in altra luce. È vero che, in genere, alla propria mamma ognuno ha riservato un trattamento speciale: ‘esclusa mia ma- dre’! Non si è pensato che questa valutazione la attua- no quasi tutti e, perciò, tutte le donne, madri per la ge- nerazione o per la rigenerazione, avrebbero meritato a livello di linguaggio, di pensiero, di atteggiamento, una considerazione meno ingiusta e discriminatoria. Anche se oggi parlare di donne, abbondare in elogi, va diventando di moda, almeno quando ci si esprime in forma ufficiale, non lo è ancora il riconoscimento, ef- fettivo ed affettivo, universale e pacifico, che il maschi- le e il femminile strutturano l’unica e indivisa umanità, sono le due orbite dell’ellisse umana, le realtà che, solo insieme, rendono feconda e amica la convivenza, gio- iosa e degna di essere vissuta la vita. Perdurano molte e profonde situazioni di discriminazione, di autentica emarginazione ed esse resistono a cedere”. Che cosa è cambiato da allora circa la condizione della donna? Che ne è del “genio femminile” di cui l’u- manità non può fare mai a meno? Cosa è avvenuto di quel “segno dei tempi”, il primo indicato dalla Pacem in Terris, di Papa Giovanni XXIII, nel 1963. Quale cul- tura della donna sta entrando nella mente e nel cuore di tutti noi attraverso i mass-media? Non possiamo far finta di non vedere e non sapere. Occorre solo indignarci. E veramente! Le storie descritte in questo volume, si leggono in un crescendo di interesse, sono tutte belle. Nel loro insieme così ben articolato, alimentano la gioia dell’appartenenza alla famiglia umana costruita da persone docili al Miste- ro Divino, trasparenti alla Sua Luce e per questo cariche di attrazione. Esse fanno nascere la nostalgia per una vi- 4
  • 6. ta meno solitaria, meno opaca e alimentano la speran- za in un presente che non è solo del tipo di quello che i media ancora divulgano. Le esperienze di queste donne disincantano le illusioni delle persone che credono che le svolte culturali si attuano in modo automatico e sono frutto di soli cambiamenti esterni. Un filo sottile sottende queste diverse narrazioni che in gran parte riguardano persone vissute in condizioni di esistenza che sono quelle di tutti noi: la spontaneità con cui ognuna di esse ha realizzato la sua relazione, più o meno esplicita ed intensa, con Dio e con il pros- simo. È questa la sorgente nascosta che alimenta la fe- deltà, la vivacità, la creatività, di queste esistenze non più rare e isolate, e che contestualizza quello sguardo contemplativo che le ha portate a rendere celebrazione l’esistenza quotidiana, a viverla come espressione del- la regalità e della profezia di cui sono dotate per il lo- ro Battesimo. La loro caratteristica comune è essere im- merse nel grande mare dell’amore di Dio e piene di mi- sericordia per la sofferenza umana, fino al dono totale di se stesse, senza calcolo. Capaci di morire ogni gior- no a se stesse per donare vita e luce all’umanità tutta. Proprio come Gesù nella Sua Pasqua! Questo libro sulle donne, quindi, ci mette in ascol- to di figure femminili belle, forti, coraggiose, ricche di umanità e soprattutto innamorate di Dio. Ci auguriamo che sia letto da un gran numero di persone e susciti in tante donne e in tanti uomini la volontà di operare con fiducia e perseveranza per l’avvento di un mondo ami- co, trasparente e solidale nella giustizia e nella pace. Vuole essere anche un grazie a tutte le donne che conosciamo e con le quali collaboriamo. Ognuno cer- tamente ne ha attorno diverse che lo hanno fatto vive- re e crescere. Il grazie per loro è lo stesso che ha det- to Giovanni Paolo II nella lettera alle donne che scris- se nel 1995: “Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell’es- sere umano nella gioia e nel travaglio di un’esperienza 5
  • 7. unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che vie- ne alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita. Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabil- mente il tuo destino a quello di un uomo, in un rap- porto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita. Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita so- ciale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intui- zione, della tua generosità e della tua costanza. Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tut- ti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai all’elaborazione di una cultura capace di coniu- gare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del ‘mistero’, alla edifica- zione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità. Grazie a te, donna-consacrata, che sull’esempio del- la più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo in- carnato, ti apri con docilità e fedeltà all’amore di Dio, aiutando la Chiesa e l’intera umanità a vivere nei con- fronti di Dio una risposta ‘sponsale’, che esprime me- ravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura. Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribui- sci alla piena verità dei rapporti umani”. (Giovanni Paolo II) La comunità del Centro di Spiritualità “Sul Monte” Castelplanio, dicembre 2011 6
  • 8. I PARTE STORIE DALLA BIBBIA Da Eva a Maria, dalla donna “tratta” dal fianco dell’uomo alla donna che dona i natali al Figlio dell’uomo. Da quella situata fin dall’inizio in stato d’inferiorità, di dipendenza e di sottomissione rispet- to al maschio, e quindi votata all’insoddisfazione, all’invidia, al ricorso all’astuzia – l’arma dei deboli –, alla donna magnifica, allo stesso tempo vergine e ma- dre, intoccabile e prodiga, votata all’estrema discre- zione, alla pazienza, alla dignità di un profondo do- lore. Eva e Maria, le due facce dell’eterno Giano fem- minile: la malvagia e la buona, la subdola e la can- dida, la fallibile e la forte, la funesta e la santa. Ma tra Eva e Maria molti altri volti di donna emergono nel corso dei secoli sfogliando le pagine della Bibbia. E ciascuna è unica, singolare e tuttavia plurale, alme- no complessa, poiché mescola in se stessa più o meno ombra e più o meno luce, astuzia e rettitudine, orgo- glio e coraggio. Ciascuna è unica, nella sua carne e nel suo destino, ma non da sola: la vita di ciascuna di queste donne si svolge, infatti, sempre nel cuore di una comunità dove devono trovare il loro posto, con- solidarlo e assicurarselo, spesso al prezzo di prove e conflitti, come Rachele e Lia; di raggiri a seconda del- la necessità, come Tamar o Betsabea; a volte con du- rezza, come Sara che scaccia Agar. Queste linee oriz- zontali, che strutturano e circoscrivono il palcosceni- co della loro esistenza, vengono tessute sempre attor- 7
  • 9. no a un asse verticale, di una verticalità infinita, al- lo stesso tempo stranissima e intima: Dio. Dio si erge al cuore delle loro esistenze. Sebbene “assente”, non nominato, come nel libro di Ester, egli è là (Est 4,14). Dio rimane in un Altrove immenso, non situabile, e tuttavia prossimo; quando, davanti alla minaccia di sterminio che il ministro Aman fa pesare sul popolo ebraico, Mardocheo si appella alla giovane regina Ester affinché tenti di salvare i suoi, egli evoca questo altro luogo che sottintende Dio. Allora Ester, con il di- giuno e la veglia, scende nel più profondo di se stessa – fino a quell’intimo Altrove dove si trova Dio, e tace – e in quel silenzioso Altrove, che è Dio stesso, attinge la forza per affrontare il re, a rischio della propria vita, al fine di ottenere la grazia per il suo popolo. “Entre- rò dal re malgrado la legge e, se si deve morire, mori- rò!”: così dice sobriamente, poi, forte del pellegrinag- gio che ha appena compiuto nel segreto verso quell’Al- trove sacro, si riveste degli abiti regali per presentarsi al sovrano che ha su di lei e su tutti i suoi, potere di morte o di salvezza. Per le donne della Bibbia, Dio è anzitutto il Dio della Vita, piuttosto che quello della potenza e della vittoria, così come lo concepiscono molto spesso gli uomini, la cui fede resta condiziona- ta dalle loro funzioni di guerrieri. La fede delle don- ne, invece, è irrigata da ciò che costituisce la loro for- za, l’unico potere che gli uomini non possiedono e del quale essi possono spossessarle: la maternità. Quando però gli uomini tentano di privarle di questo potere, per indifferenza o per sfiducia nei loro confronti, esse non disarmano, ma ricorrono a stratagemmi, anche i più pericolosi, come quello messo in atto da Tamar che, dopo due precoci vedovanze, non si rassegna a rimanere infeconda. Vuole a tutti i costi, anche ri- schiando la propria vita, dare alla luce un figlio del sangue di Giuda, affinché il filo delle generazioni non venga interrotto e la posterità sia assicurata. Come Ester, che depone i suoi vestiti di donna che implora e 8
  • 10. supplica e si riveste di magnificenza per scongiurare la minaccia di morte che pesa su di lei e sul suo popo- lo, Tamar cambia i suoi abiti di vedova con quelli di una prostituta, per sedurre il suocero che esercita anch’egli un diritto di vita e di morte sulla sua perso- na. Queste donne non retrocedono davanti ad alcun ostacolo: né la paura, né lo scandalo, né la vergogna le fanno deviare dal cammino che si sono tracciato; “nonostante la legge”, che alle volte può mostrarsi co- sì iniqua, violenta, mortale, vanno dritte a fondo nel- le loro decisioni. La Vita viene prima di tutto. Quan- do invece è il loro stesso corpo che le priva della gioia della maternità, nemmeno allora le donne della Bib- bia vi rinunciano. In questo caso non possono far ri- corso all’astuzia – non si possono manipolare le cose con Dio perciò ricorrono alla preghiera, alla supplica, alla pazienza. Una pazienza ostinata, come quella di Anna, sposa sterile di Elkana, che darà alla luce il profeta Samuele. La loro pazienza, accompagnata da un’ammirabile fiducia, può anche diventare pugna- ce, quando il figlio tanto aspettato e finalmente venu- to al mondo, è precocemente colpito dalla morte. Allo- ra esse ripartono per la guerra contro la notte, il fred- do che attanaglia il cuore e le viscere, contro le oscu- re forze della morte, come la donna di Sunen, che parte per reclamare il “dovuto” presso il profeta Eliseo. Il dovuto della vita rubata a suo figlio, quello stesso che aveva tanto tardato a partorire. Ella esige che Dio, attraverso il suo profeta, mantenga in pieno la sua promessa e le restituisca il dono che le aveva conces- so: che risusciti suo figlio, che le venga concesso di condurlo fino all’età matura di uomo e che la filiazio- ne continui il suo corso attraverso il tempo. Allor- quando, infine, in nome della sopravvivenza del po- polo in pericolo, bisogna che esse passino per l’assas- sinio, non esitano né tremano davanti all’obbligo di uccidere il nemico: così fecero Giuditta e Giaele. Sal- vare la vita, instancabilmente; salvare la tribù, la cit- 9
  • 11. tà, il popolo; proclamare la gloria del Dio d’Israele, Dio dei viventi. Le donne, sempre, elevano il loro sguardo ad altezza di vita e, dunque, con lo stesso slancio, all’altezza di Dio e dell’umanità piena: molto in alto, molto lontano e molto vicino (Sylvie Germain). 10
  • 12. Raab IL FILO ROSSO DELLA LIBERTÀ Dopo la liberazione dalla schiavitù egiziana e la permanenza di 40 anni nel deserto, Israele, sotto la guida di Giosuè, si appresta a conquistare la terra pro- messa (Palestina). Una tappa importante di questa con- quista è la presa di Gerico, nella cui cornice si collo- ca la storia di Raab (Giosuè 2), qui raccontata in una libera traduzione. A Gerico, piccolo centro della Palestina, non lontano dal fiume straniero, attraverso varie scorribande mes- se a segno con destrezza, si erano impadroniti di buo- na parte dei territori controllati dai re cananei e proce- devano inesorabilmente verso la città. Li chiamavano Israeliti e non erano neanche molti; ma da quando era- no spuntati dal deserto, la fama della loro invincibilità era rimbalzata con terrore in tutta la valle del Giorda- no. Tanta forza in così poca gente non si era mai vista eppure, stando al racconto di alcuni scampati, usava- no armi talmente rudimentali da sembrare un miracolo che fossero ancora vivi. “Quale sarà il loro segreto?” si chiedeva sbigottita la popolazione di Gerico mentre a piccoli crocchi, commentava la notizia, giunta di recen- te, della disfatta subita da Og e Sicon, due re amorrei 11
  • 13. oltre il fiume. Era ormai risaputo però, che il loro asso nella manica era un dio chiamato JHWH con cui ave- vano stipulato un patto di alleanza e che aveva giura- to di dar loro, per abitarvi, il possesso di tutta la terra di Canaan. Questo Dio, ora, stava realizzando la pro- messa mettendo nelle loro mani, senza quasi combat- tere, l’intera regione. Gerico viveva ormai sotto l’incu- bo di un attacco, imminente. Venti di guerra e di ro- vina si addensavano già nell’aria della sera, portando con sé un leggero senso di vertigine nel tranquillo ca- lare del sole. LA LUCE DELLA SPERANZA Dalla terrazza della sua minuscola casa, addossata alle mura di cinta, bianca come la caligine che si re- spirava all’intorno, Raab, forse la più nota tra le prosti- tute della città, scrutava l’orizzonte con la mano tesa a tettoia per fare ombra agli occhi (davanti la campagna, ampia e deserta, era avvolta da un silenzio quasi irre- ale, attraversata solo dallo stridio di corvi affamati in cerca di preda). Raab si sentiva inquieta e sospesa nel vuoto come quella cordicella di filo rosso, penzolante e scossa dal vento, che aveva legato alla finestra sotto di lei. A quel filo rosso era appesa la sua vita e tutte le sue speranze. A guardarla, poggiata alla parete nei mo- menti di quiete, assomigliava ad un rigagnolo di san- gue appena uscito da una ferita. Sangue di chi e ver- sato per che cosa? Raab aveva sentito dire che il Dio JHWH aveva sal- vato gli Israeliti dalla schiavitù in Egitto grazie al san- gue di un giovane agnello, sparso sulle porte delle lo- ro case. Era stato il segno potente di un Dio che ama e libera; che è presente tra la sua gente ed è pronto a donare la vita. Chissà se era vero che avrebbe libera- to anche lei? Quella cordicella rossa al posto del san- gue avrebbe forse allontanato la morte del corpo, ma avrebbe potuto sconfiggere quella che Raab si porta- va nel cuore? Guardava se stessa e non vedeva nien- 12
  • 14. te di buono. Eppure quei desideri profondi di liber- tà e infinito che si portava dentro, dovevano pur va- lere qualcosa agli occhi di Dio. Chi se non Lui avreb- be potuto togliere dalla sua spalla quella cesta stracol- ma di lacrime per un passato doloroso e carico di fe- rite e per la solitudine senza uscita in cui le paure l’a- vevano imprigionata? Chi se non lui, avrebbe potuto riconciliarla con se stessa e la vita, dando almeno un senso a quella squallida emarginazione che il mondo le aveva riservato? Qualunque cosa fosse accaduta, la sua salvezza, or- mai, dipendeva dal colore sanguigno di quei pochi fili intrecciati e dall’amore di un Dio misericordioso che l’a- veva raggiunta e le era penetrato nel fondo dell’anima. Da dietro le spalle le giungevano intanto gli echi di un febbrile affannarsi di gente intorno a carri e caval- li. I suoi concittadini si apprestavano, in totale autosuf- ficienza, ad affrontare la lotta per un esodo impossi- bile. Mentre si dirigeva verso la scalinata per scendere in casa, Raab lanciò un’occhiata alla catasta degli ste- li di lino addossata alla parete. Era ancora dissestata ma non aveva voglia di metterla in ordine. A due gior- ni dal fatto, ancora, a guardare quel mucchio scom- posto le tremavano le gambe al ricordo di quanto era successo. Al calar della sera, un paio di uomini, si era- no intrufolati non si sa come, dentro la città, eludendo i controlli che le autorità avevano da tempo intensifi- cato. Era sola quando le piombarono in casa. Perché avessero scelto proprio lei lo capiva bene: unico luo- go che li avrebbe accolti senza troppi pregiudizi. Le lo- ro facce abbronzate, i lineamenti marcati e un po’ du- ri, ne tradivano la provenienza. Capì subito che si trat- tava di esploratori Israeliti mandati a perlustrare la zo- na. Per un attimo si sentì come paralizzata ma si rieb- be subito. Un sottile senso di mistero avvolgeva quegli uomini, come se il loro Dio, dopo averli redenti, aves- se potenziato a tal punto la loro natura, da farli sem- brare simili a Lui. Avevano la baldanza di chi lotta per 13
  • 15. grandi ideali, la pacata sicurezza di quelli che si sen- tono amati e appartenenti a Qualcuno insieme ad uno sguardo limpido e fiero nella carica di vita che sprigio- navano. Raab ne rimase colpita. Non ebbe neanche il tempo di chiedere spiegazioni perché le guardie li sta- vano già cercando passando casa per casa, e presto sarebbero venuti da lei. Quasi obbedendo ad un istin- to, spinse i due uomini verso le scale fin sulla terraz- za, dove li nascose sotto la catasta di lino raccolto da poco. Poi ridiscese. Ed ecco poco dopo sopraggiunge- re alcuni soldati. Inventare storie non era mai stato il suo forte ma stavolta le venne spontaneo come l’avesse fatto da sempre. Ammise di averli ospitati ma di aver- li visti partire, poi, prime che le porte della città fos- sero chiuse per la notte. Ai soldati il racconto di Raab sembrò verosimile e partirono all’inseguimento. Allora Raab, chiusa la porta di casa, salì di nuovo in terrazza. Adesso aveva di fronte i due uomini sconosciuti. Si accoccolò a terra, accanto a loro e cominciò a parlare lentamente con voce calma e sicura, con gli occhi fissi sui loro volti debolmente illuminati dalla luna: “Ai vostri occhi sono solo una straniera, lo so – dis- se piano – una donna, e persino degna di disprezzo per il mestiere che faccio ma anche voi, come me, ave- te conosciuto l’amara sofferenza di chi si sente rifiuta- to e sfruttato; anche voi siete passati attraverso il buio di notti insonni, quando l’angoscia si fa preghiera e sale verso Dio in una disperata richiesta di aiuto. Il Si- gnore ha ascoltato la voce del vostro lamento quando eravate oppressi dalla schiavitù in Egitto, ed è venuto a ridarvi coraggio. Voi lo avete incontrato quasi senza cercarlo; io invece, l’ho cercato da sempre senza mai trovarlo. Ho conosciuto solo idoli muti a cui mi ero le- gata per riempire il vuoto di una giovinezza brucia- ta prima ancora di cominciare. Da loro mi aspettavo la pace, la pienezza e l’amore che non ho mai avuto, ma mi hanno dato solo un vuoto più grande. Quando ho sentito parlare del Dio vivo e di quello che ha fatto 14
  • 16. per voi, il mio cuore è tornato a sperare. Lui vi ha fatti uscire dall’Egitto prosciugando davanti a voi le acque del Mar Rosso; nei quarant'anni in cui siete stati nel deserto vi ha soccorso in ogni vostra necessità e ora vi sta donando questa terra. Da che mondo è mondo non si è mai visto un Dio che abbia amato così tanto il suo popolo! Sono sicura che per voi darebbe persino il suo sangue e la sua stessa vita. Il mio intimo freme e gioisce di fronte a questi fatti perché qualcosa, dentro, mi dice che questo amore è anche per me. L’ho già sentito scendere, come preannuncio di perdono, sulle mie ferite doloranti, Lasciate, vi prego, che anch’io en- tri dentro questo fiume di misericordia e arrivi fino a Lui che ne è la sorgente. Lasciate che io partecipi alla stupenda avventura che Dio sta facendo vivere al vo- stro popolo, quando conquisterete Gerico, risparmia- te me e la mia famiglia dalla morte”. UNA NOTTE INDIMENTICABILE Animato dal coraggio e dall’audacia di questo di- scorso, uno di loro rispose: “Dalle tue parole, o don- na, sappiamo per certo che Dio non fa preferenze di persone, ma dona la sua grazia a chi lo cerca con cuo- re sincero. Egli ha scavato una breccia dentro di te e vi è entrato. Ora Egli stesso, attraverso le nostre mani ti manda un segno di salvezza: prendi questa cordicella di filo rosso e legala alla finestra. Segnerà per te l’espe- rienza della Pasqua. Tu chiuditi in casa con la tua fami- glia finché Gerico non venga presa. In quella notte Dio stesso combatterà contro la morte e la vincerà; al mat- tino vedrai la luce di un giorno che non avrà mai fine”. Animata da questa promessa, Raab fece calare con una corda i due uomini dal muro di cinta, poi legò il filo rosso alla finestra. E ora a due giorni di distanza era ancora lì, presagio di un avvenimento che avrebbe sconvolto la sua storia. Chiusa in casa, assorta in questi e altri pensieri, Raab aspettava. Fuori intanto le tenebre avanzavano 15
  • 17. finché scese il buio. Quella notte gli Israeliti attacca- rono Gerico. Fu una notte indimenticabile! Sembrò a Raab che non solo le sue ossa ma tutta la terra fosse attraversata da un brivido di terrore; come se la vita e la morte si confrontassero in un terribile duello. Ran- nicchiata in un angolo della stanza, con gli occhi chiu- si e il cuore febbricitante Raab pregò a lungo. E men- tre pregava, quasi all’improvviso, al chiarore delle pri- me luci dell’alba, ormai stanca, cadde a terra. Non seppe mai cosa fosse successo veramente! Raccontò solo, più tardi, di aver visto come in un sogno, un uomo venirgli incontro da lontano. Avvolto di luce splendente, aveva l’aspetto di un Dio guerriero che torna vittorioso dalla battaglia. Era ferito! Da uno squarcio ampio e profondo aperto nel co- stato fuoriusciva un lungo filo di sangue che spiccava, rosso, sul bianco della pelle. Quel sangue assomiglia- va stranamente alla cordicella rossa che Dio le aveva mandato come segno di salvezza. Fu allora che Raab capì. Era libera! Quell’uomo chiunque egli fosse, aveva combattu- to per lei e aveva vinto. Una gioia indescrivibile si im- padronì di tutto il suo essere e le rimase dentro anche quando il sogno svanì e poté far festa, completamen- te sveglia, insieme agli Israeliti, ringraziando Dio per quanto aveva operato. 16
  • 18. � �ter IL RISCHIO DI METTERSI IN MEZZO Ester era una donna che aveva buoni motivi per potersi ritenere favorita dalla vita. Bella e dal caratte- re aperto e cordiale, aveva conquistato l’ammirazione e la simpatia di tutti. Il re di Persia l’aveva scelta co- me moglie. Nata da una famiglia ebrea deportata a Babilonia al tempo di Nabucodonosor, era rimasta presto orfana di entrambi i genitori, ma un suo parente, Mardocheo, l’aveva presa con sé amandola come una figlia. Dive- nuta ragazza, quando Assuero si trovò a dover sceglie- re la sua regina, ella suscitò grande ammirazione nel re che la preferì a tutte le altre. E lei, ebrea, andò spo- sa ad un persiano. Per questo Ester portava un grande peso nel cuo- re: il fasto di cui era circondata non la rendeva felice. Non le piaceva essere moglie di un uomo che la vo- leva al suo fianco solo nelle celebrazioni ufficiali. Una legge vietava alla regina, come a chiunque, pena la morte, di presentarsi al cospetto del re senza esser- vi stata chiamata; ed era già trascorso più di un mese da quando Ester era stata convocata l’ultima volta! L’a- mava Assuero? 17
  • 19. FIDUCIA PIENA NEL DIO DELLA VITA Viveva sempre nella stessa sala ornata di preziose decorazioni, di arazzi bellissimi, di cuscini pregiati e di suppellettili intarsiate; tutto esprimeva grande ric- chezza e potere. “Ma a cosa vale tutto ciò” – pensava là in quella solitudine – “se ho dovuto anche tacere le mie origi- ni, e la mia appartenenza al popolo che Dio ha scel- to? Nessuno a corte conosce la mia fede, nessuno sa che io non ho mai servito gli dei pagani che questo palazzo adora. Il mio Dio è il Dio del mio popolo, ed è l’Unico”. Cosa poteva significare agli occhi del Dio della sto- ria quella sua attuale condizione, quell’alternarsi di do- lori e gioia, di solitudine e di favore di cui erano dis- seminati i passaggi della sua vita? Che senso aveva per una serva del Dio di Israele sedere alla destra del re del grande impero di Persia di cui il popolo eletto era divenuto schiavo? Un giorno mentre stava pensando queste cose una serva le annunciò la visita dell’inviato di Mardocheo. Le fu descritto un uomo affannato il cui volto rivela- va una profonda preoccupazione. Ester lo fece entrare. Davvero aveva lo sguardo sconvolto: gli occhi spa- lancati a prolungare una sensazione di stupore di fron- te ad un fatto difficile da credere. “Mia regina, tuo zio e padre Mardocheo mi ha man- dato perché ti informassi delle ultime malvagità del primo ministro Aman” le disse concitato. Ester si pose una mano sulla fronte e chinò il capo: conosceva bene l’odio che Aman nutriva per suo zio poiché non aveva mai accettato di inchinarsi ai suoi piedi per adularlo. “Parla! È in pericolo la vita di Mardocheo?”. “Non solo! – rispose – Aman è riuscito a convince- re il re Assuero della colpevolezza di tutti i deportati e li ha accusati di venir meno all’obbedienza delle leg- gi dell’impero”. 18
  • 20. Assuero infatti era implacabile di fronte ai suoi ne- mici, ed Ester lo sapeva bene. Sedette. Il cuore sembra- va essersi fermato ed il respiro le moriva in gola. L’in- viato un po’ titubante continuò: “Regina, proprio oggi, Aman ha fatto scrivere un decreto che sancisce lo ster- minio di tutto il tuo popolo”. Ester scolorì, e dopo un lungo silenzio sussurrò tra sé: “Oggi! Il 13 di Nisan!”. “Mardocheo – disse l’inviato – mi manda a dirti che tu faccia qualcosa interceden- do presso il re”. Ella tacque. E l’inviato non avendo risposta, conti- nuò: “Domani è pasqua ma questa volta non sarà un agnello ad essere immolato. Non ci sarà liberazione per noi: il sangue che si verserà sarà il nostro! Regi- na, dov’è il nostro Dio? Ci ha dimenticati per sempre? Lontani dalla nostra terra, lontani dalle sue promesse. Dov’è la fedeltà di Dio?”. Ester ascoltava quelle parole di disperazione senza condanna: venivano dal cuore di un uomo che vede- va una realtà terribile, il trionfo dell’ingiustizia e della superbia. Congedò l’inviato raccomandandogli di ave- re fede. Dio avrebbe ancora steso il braccio in favore dei suoi figli. Appena quell’uomo se ne fu andato, lo sguardo di Ester fissò il cielo che appariva a sprazzi, dalle colon- ne dell’atrio. Era grigio e nuvoloso. Ogni tanto un lam- po ed il suo tuono squarciavano le nubi ed il silenzio della pianura sottostante. Le venne in mente il sogno di cui Mardocheo le aveva parlato: “Un giorno di tene- bre e di caligine si abbatte sul popolo dei giusti”. Quel sogno era stato un presagio. Copiose lacrime cominciavano a scorrere lungo le sue guance. Mentre le sentiva percorrere il viso fino a bagnarle le labbra, si ricordò anche del resto del so- gno: “Una piccola sorgente che sgorgava al grido di dolore del popolo e che diventava un fiume grande, capace di inondare i nemici”. “Non può essere tutto finito” pensava e, mentre cer- 19
  • 21. cava di allontanare le domande che le si affacciavano al- la mente, parlava con il suo Dio in un dialogo colmo di fiducia: “Io non ho cercato Assuero… Non ho desidera- to diventare moglie di un pagano… Non mi sono senti- ta una privilegiata a motivo degli onori del mio rango… Anzi, ho sofferto per l’impossibilità di manifestare a cor- te le mie origini. Sono stata presa contro la mia volontà e portata qui… ma il mio popolo non è rimasto fuori, l’ho portato con me e dentro di me… Quale vantaggio ho ottenuto per lui fino ad oggi? Domani si celebrerà la pasqua. Forse l’ultima… Ci sarà ancora un agnello che verserà il suo sangue al posto di quello del popolo?”. Ester avanzò lentamente lungo l’atrio e raggiunse il cortile da cui poteva vedere meglio il cielo. Nel silen- zio della sera, ormai tarda e cupa, il vento le portava l’eco dei lamenti del popolo. Sentiva le grida che si le- vavano a Dio con tutta forza e che invocavano salvez- za e giustizia. Quei lamenti le ricordavano il belare de- gli agnelli condotti al macello. Rientrata che fu, Ester percorse il corridoio che la conduceva alla sua stanza e vi entrò. Si tolse gli abiti regali e, indossata una tunica, si accasciò a terra, pro- strata davanti a Dio. Nell’angoscia di una profonda so- litudine aprì il suo cuore all’incontro con l’unico Re e Signore di Israele. Nell’intimo scopriva di non poter leggere quanto stava avvenendo con gli occhi dei pa- gani, e neanche con quelli dell’inviato di Mardocheo. Ciò che stava accadendo non poteva esser paragonato al susseguirsi degli atti di una tragedia: quella, proprio quella che viveva, era la storia d’amore e di misericor- dia che Dio intesseva con il suo popolo. Respirò profondamente; poi allargò le braccia in at- teggiamento di colei che voleva assumere tutto, sen- tirsi dentro quella vicenda da cui personalmente po- ter trovare scampo. No, non avrebbe taciuto più a suo marito Assuero le sue origini; Ester era stata orfana ma aveva trovato un padre in Mardocheo; era stata povera ed ora conosceva la ricchezza… La memoria di ciò la 20
  • 22. stava conducendo ad una saggezza ispirata. Cominciò a guardare nel suo dolore con gli occhi di Dio. “Signore Dio, tu da sempre sei salvezza per i po- veri che ricorrono a te quando arriva l’angoscia. Tu ci hai fatto conoscere le tue opere in nostro favore per- ché sempre le ricordassimo e perché imparassimo che Tu sempre intervieni nella storia. In ogni sventura Tu ci hai portato salvezza. La nostra vita con Te è segna- ta da un susseguirsi di pasque, di passaggi: come alla notte succede il giorno, come al cadere del chicco nel- la terra succede la spiga di grano, così fai tu. Tu ci fai passare dalla morte alla vita, come nell’esodo quando, per il sangue dell’agnello, hai salvato i nostri primoge- niti dalla morte e ci hai permesso di attraversare il ma- re. Oggi è un’altra pasqua. E proprio in questi giorni tu passerai ancora per liberarci”. IL PREZZO DELLA LIBERTÀ L’esperienza della vita le aveva insegnato che Dio non agisce senza la collaborazione di ognuno: aveva scelto Abramo, poi Giuseppe, Mosè… e anche Mardo- cheo. Chi poteva mettersi adesso tra l’invidia del perfido Aman ed i deportati di Israele se non lei? Mentre un fiume di dolore e di speranza invadeva il suo cuore, ella con affetto e coinvolgimento totale presentò il popolo a Dio, con una profonda preghiera: “Mio Signore e mio Re: per la tua misericordia io tua serva che non sono ancora divenuta madre, possa ge- nerare a nuova vita il tuo popolo. Nella mia impotenza agisca la tua forza. Io sono sola, ma tu porti con me il peso di questo male. Sono certa che passata la notte, tutto il popolo vedrà sorgere il tuo giorno”. Passarono alcune ore di angoscia e di fede: lonta- no, alcuni raggi di luce, si facevano spazio nella cappa di nubi. Era ormai mattino. Ester si fece consegnare le vesti regali e i profumi. Dio avrebbe agito attraverso di lei. 21
  • 23. Accompagnata da due ancelle, rosea e fresca in vol- to, ma colma d’angoscia e con la paura nel cuore, at- traversò l’atrio antistante la sala del trono. Quello spa- zio le sembrò lunghissimo. Compiuto l’ultimo passo si sentiva venir meno e perciò cercò appoggio nel drap- po roseo che adornava gli stipiti della porta. Riprese coraggio e varcò la soglia con passo sicuro. Il suo vi- so era gioioso, come pervaso d’amore. Vistala avvicinarsi, Assuero si accese di collera e si alzò dal trono con aspetto terribile. Ester ebbe un fre- mito. Ma Dio volse in dolcezza lo spirito del re che sol- levò il suo scettro in segno di benevolenza, pieno d’in- canto: “Che cosa c’è Ester, avvicinati! Tu non devi mo- rire. Qual è la tua richiesta? Fosse anche metà del mio regno, l’avrai”. La regina, ancora pallida in volto e tremante, non approfittò subito dell’amore che Assuero le aveva di- mostrato. Differì il momento della richiesta ed invi- tò il re ed Aman ad un banchetto che aveva fatto pre- parare. Il re fu felice dell’amore della sposa che aveva affrontato il rischio di morte pur di vederlo. Da par- te sua, Aman si senti ancora più orgoglioso e superbo di partecipare da solo, alla tavola del re e della regina. Passò il tempo del primo banchetto ed Ester ne bandì un altro senza ancora aver detto nulla. Ricca della sapienza dello Spirito di Dio, Ester aveva intui- to che il male si vince permettendo al bene di passar- ci dentro: perciò ella lasciò a Dio il tempo di passare nel cuore dei suoi due ospiti. Non era per la bellezza di una donna che Assuero avrebbe revocato il decre- to, ma per la conversione del proprio cuore. L’intuito femminile aveva permesso a questa figlia di Israele di penetrare il segreto del Dio di misericordia: egli opera in favore della giustizia toccando la coscien- za dei singoli e promuovendo la loro conversione. Sta alla libertà di ciascuno compiere poi la propria scelta. Così Assuero ed Aman passarono un’altra notte nella solitudine della loro coscienza. Crebbe l’odio di 22
  • 24. Aman che pensò come far morire il suo rivale. Ed As- suero riconobbe l’innocenza ed il merito di Mardocheo e del suo popolo. Quando giunse il giorno del nuovo banchetto, Aman mangiava e beveva compiacendosi della sua gloria. Fu allora che Ester di nuovo espose le sua vita davanti al re e dichiarò: “Io appartengo a quel popolo che Aman vuole sterminare!”. Anche se Dio aveva già fatto tutto non operò sen- za di lei. Così Ester smascherò le brame di Aman e di- scolpò Mardocheo e i deportati. Assuero nominò Mardocheo primo ministro al po- sto del suo nemico ed anche il popolo ne ebbe mol- ti vantaggi. Si era compiuta una nuova pasqua. I giorni che se- guirono furono colmi di letizia: alla rovina ai sostituì l’o- nore, alla disperazione la speranza, alla morte la vita! Le feste pasquali vedevano rinnovati per tutto Israe- le quei prodigi con cui Dio si era rivelato durante l’eso- do. Un altro passaggio aveva segnato la storia del po- polo e, dentro di esso, quella di una donna. Ester aveva saputo leggere gli eventi con gli occhi di Dio per scoprirvi la meraviglia sempre nuova che egli vi opera, e mai senza l’aiuto dei suoi fedeli. Fu così che divenne veramente regina e madre per il suo popolo. 23
  • 25. �ut UN’ALLEANZA OLTRE I CONFINI Rut vive da straniera in Israele, perché moabita, ap- partenente cioè a quel popolo che, secondo la tradizio- ne biblica, aveva avuto origine dall’unione incestuosa della figlia maggiore di Lot con suo padre. Aveva dunque un’origine impura e vergognosa, se- gno della tradizionale inimicizia di questo popolo ver- so i figli di Israele. Inoltre, erano state proprio le don- ne moabite, secondo il racconto del libro dei Numeri, a trascinare gli Israeliti nelle pratiche idolatriche; per questo in Israele era assolutamente vietato il matrimo- nio con donne di questo paese. Rut, dunque, è questa donna segnata, già alla sua nascita, dalla vergogna, dall’infamia dell’origine del suo popolo e dal marchio dell’idolatria, tutti elementi che la ponevano in una posizione di radicale scomu- nica agli occhi dell’israelita fedele. Noemi era una donna ebrea, emigrata con il mari- to da Betlemme di Giuda in terra di Moab a motivo di una carestia. Aveva avuto due figli. Quando le morì il marito, Noemi si sentì ancor più sola perché non solo rimase vedova ma era straniera in un paese idolatra e ostile. 24
  • 26. Anche i due figli sposarono in seguito due donne del luogo, Orpa e Rut. Queste due donne, pur vivendo nel loro paese, se- condo la fede di Israele vengono a trovarsi in una si- tuazione di “impurità”, di fronte ai propri mariti e a No- emi, loro suocera. La mescolanza delle razze e delle fe- di non era assolutamente ammessa. Dopo qualche tempo i due uomini muoiono e ri- mangono insieme e sole le tre donne: Noemi, ormai anziana, Orpa e Rut, giovani e abitanti del luogo, ma ormai segnate da una condizione di impurità rispet- to a Noemi. “Se il Signore ha visitato di nuovo il mio popolo, per- ché non tornare nella mia terra d’origine?” – pensava tra sé Noemi – Là tutti hanno pane e frutti della terra”. Così decide di ripartire. Si alza, prende con sé le due nuore e si incammina di nuovo verso il territorio di Giuda, per raggiungere Betlemme. “Là troverò accoglienza e libertà. A Betlemme, ca- sa del pane, avrò da mangiare!”, continua a ripetere in cuor suo Noemi. Noemi non si vergogna di chiamare “sorelle” Rut e Orpa. Non teme l’infamia davanti al suo popolo ed è disposta ad accoglierle con sé di fronte alla sua gente in terra d’Israele. “Quanto amore invade il cuore della nostra suocera e quale fortezza d’animo, per intraprendere un cammi- no verso un orizzonte nuovo! Ma andiamo anche noi volentieri con lei. Non possiamo lasciarla andare sola, perché è parte ormai della nostra vita”, si dicono l’u- na all’altra le due donne. Ma Noemi, arrivata alle por- te della sua terra, rispettosa delle diversità dei popoli e amante della vera libertà, offre loro la possibilità di tor- nare al proprio paese. “Se volete – disse loro – potete tornare tra la vostra gente, nella vostra terra”. Orpa, dopo un primo rifiuto, decide di tornare, mentre Rut resta e professa la propria adesione perso- nale a Noemi, in un’alleanza fino alla morte davanti al 25
  • 27. Signore, Dio d’Israele. “Non ho dubbi, mia signora. Re- sterò con te e condividerò quanto tu stessa ami. Anche la fede nel tuo Dio!”. Rut voleva bene a Noemi e l’amava di un affetto as- solutamente libero e gratuito, non richiesto, anzi, di per sé assurdo, inconcepibile, segnato da una certa “follia”. Per restare con quest’anziana donna in terra stra- niera, essa rinuncia volontariamente alla propria legit- tima vita di donna in seno al suo popolo. Scelta inve- rosimile, follia di un amore che è ricompensa e sco- perta di novità, un amore che basta a se stesso. “Se tu mi accogli in seno alla tua gente, io resterò in ter- ra straniera e camminerò fiduciosa verso quella novi- tà che il tuo Dio mi vorrà presentare”. Così Rut par- lò a Noemi. Noemi insieme a Rut, la Moabita, sua nuora, venu- ta dalle campagne di Moab, arrivò a Betlemme. La lo- ro entrata in città coincideva con l’inizio della mietitu- ra dell’orzo. UNA DONNA RICONOSCIUTA Fin dalla sua adesione a Noemi, Rut appare come una donna che sa amare ciò che la vita le presenta e le dona. Proprio attraverso la piena assunzione della sua realtà incontra la benedizione che attraverso di es- sa le è data. Donna umile e decisa; non tenta mai di travalicare la soglia della propria condizione, ma la as- sume pienamente in libertà e ne rivela la ricchezza. El- la fa della propria alterità una premessa di incontro e di comunione. “Mandami a spigolare il grano, dietro ai mietitori, co- sì conoscerò meglio la tua gente” chiese un giorno Rut a Noemi. Ella sperava di essere ben accolta dagli Israeliti. Si presenta così, come una donna bisognosa di tro- var grazia. Questo suo bisogno, sa bene che non è un diritto, una pretesa, ma soltanto la speranza di esse- re accolta e riconosciuta come donna aperta al futuro, perché tutto è solo dono. 26
  • 28. Arrivata al campo, udì i canti dei mietitori che rin- graziavano Dio per il dono dei frutti della terra, e fu salutata da tutti come la “ben venuta”. Il campo era di Booz, che appena seppe del suo arrivo le andò incon- tro per accoglierla fra la sua gente. Con profonda umiltà e tanta gratitudine Rut si pro- strò con la faccia a terra davanti a Booz: “Per qual mo- tivo ho trovato grazia ai tuoi occhi?! Tu ti interessi di me e mi accogli fra la tua gente, senza farmi notare che c’è differenza tra me e te, io che sono una stra- niera e quindi una che non dovrebbe contare nulla ai tuoi occhi?”. Il cuore di Booz si aprì alla generosità e delicatez- za d’animo di questa donna, disposta a rinunciare a se stessa pur di essere accolta in terra straniera. E lui, uo- mo potente e facoltoso, si commosse per la grazia fem- minile di quella moabita e rispose: “Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso un popolo che prima non conoscevi”. Booz scopre in lei quel “genio femminile” della donna che non conosce se stessa se non come colei che non si possiede appieno! Nella fedeltà di una rela- zione concreta e quotidiana, infatti, Rut impara a rice- versi e a diventare se stessa. E ciò è possibile perché assume come proprie le condizioni del rapporto che l’altro, con la sua storia, con il suo ambiente culturale e religioso, le offre. Per questa sua capacità di relazione e di apertura al- la vita, il suo sì iniziale e fiducioso diventa cammino di libertà e di fecondità, per una comunione oltre i confi- ni della propria patria e dei propri desideri. DONNA DELL’ALLEANZA Rut lavora tutto il giorno nel campo in cui è stata ac- colta a spigolare, senza cercare riposo se non proprio quando è tanto stanca. Davanti al cibo che le viene of- 27
  • 29. ferto essa naturalmente ne mangia a sazietà e ne mette da parte gli avanzi. Ogni giorno poi torna a spigolare. La sua audacia sa accogliere Booz in sé come do- no; e l’apertura all’amore diventa libertà interiore! “Ti ringrazio Dio d’Israele, perché hai guardato quest’umi- le serva e le hai preparato una patria accogliente”. È la preghiera che inizia a fare nel segreto del suo animo. Noemi, sua suocera, le disse: “Figlia mia, non de- vo io cercarti una sistemazione, così che tu sia felice?”. Rut le rispose: “Farò quanto dici”. Ancora una volta Rut rivela la sua apertura ad assu- mere tutto ciò che un’alleanza con l’altro richiede. E si affida. Conoscerà Booz, come le aveva suggerito No- emi, e si unirà a lui in matrimonio, accettando di ap- partenere al suo Dio, il Dio d’Israele. Così metteva in atto la ricchezza della rivelazione del Signore Dio d’Israele, quando disse “se vorrete ascol- tare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sa- rete per me la proprietà tra tutti i popoli” (Esodo 19,5). Come il popolo d’Israele si era legato al suo Dio, fi- no ad essere “sua proprietà”, così Rut si era legata in alleanza con Noemi, fino ad appartenere allo stesso Dio. Non è sottomissione passiva la sua, ma capacità di relazione oltre le proprie vedute, le proprie tradizio- ni e certezze. In quel suo sì ad un’appartenenza nuova scopre l’in- finito valore e l’alto prezzo dell’alleanza del Dio d’Isra- ele con il suo popolo. Ella entra in questa nuova ap- partenenza senza esitazione. Sigilla così il suo cammi- no dentro l’esperienza di fede, con un’obbedienza atti- va che le fa vincere ogni vergogna e ogni tipo di esclu- sione dalla comunione con il popolo d’Israele. “Sono pronta ad ogni impegno che la nuova appartenenza mi chiede!”, afferma Rut davanti a Noemi. La fedeltà a un amore è riconoscibile dalla fedel- tà ad un sì pronunciato all’inizio del cammino, insie- me alla custodia in sé della parola ascoltata e accolta. Rut risponde a Noemi esattamente come il popolo di 28
  • 30. Israele aveva risposto a Mosè quando questi gli aveva proposto l’alleanza con il Signore sulla base delle paro- le della Legge: “Quindi Mosè prese il libro dell’allean- za e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: ‘Quan- to il Signore ha ordinato noi lo faremo e lo eseguire- mo!’” (Esodo 24,7). L’apertura di questa donna, la sua capacità ad affi- darsi per una fecondità inedita e un impegno coinvol- gente di vita, preannuncia l’estrema fedeltà di Dio per tutta l’umanità. In una Cena, come segno di banchetto sponsale si realizzerà la piena e nuova fecondità. “Per la vita di tut- ti, io verso e dono il mio sangue – dirà Gesù –. Perché tutti entrino nell’unico rapporto d’amore e di fedeltà con Dio, io accetto la morte in Croce”. E quella Parola accolta come dono e rivelazione, diventa feconda nel cuore del mondo. Da quell’offer- ta totale di Dio agli uomini nasce la Chiesa, sposa di sangue. È questa la capacità di alleanza, di chi sa ascolta- re e custodire nel cuore il segreto dell’Altro, il grido del povero che sale a Dio, la proposta misteriosa dello Spirito che opera dal di dentro e chiede totale dispo- nibilità all’amore. La donna, ogni donna, come Rut, aperta all’amore e alla novità del Regno è capace di entrare nel circui- to vivo di un rapporto di alleanza nuova e totalizzan- te, così da essere feconda di vita. Da questa nuova ap- partenenza nascerà Obed, “il servo”. Obed a sua vol- ta genererà Iesse e Iesse genererà Davide, dalla cui di- scendenza, proprio a Betlemme, sorgerà il Messia, il Servo del Signore. Il frutto della sua alleanza senza confini fu Obed, che significa “servo”, per significare quel servizio del Signore per il quale il Signore aveva stretto alleanza con il suo popolo quando lo fece uscire dall’Egitto! E sarà segno che ogni alleanza per essere fecon- da di futuro ha bisogno della profezia e dell’intuizio- 29
  • 31. ne della donna, che sa guardare in avanti e oltrepas- sare i propri confini. Infatti Rut, la moabita, si inserisce nella discenden- za dei figli di Abramo, nella comunità dell’Alleanza, come erede della benedizione e donna che prepara la via al Messia. 30
  • 32. �aria di �etania L’INTUIZIONE DEL FUTURO Betania! Casa dei poveri o casa dell’amicizia. Un vil- laggio situato vicino Gerusalemme, a est del monte de- gli Ulivi, a 3 chilometri circa dalla capitale. Lì Simone il lebbroso possedeva una casa, dove po- teva ospitare gli amici e fare festa. Questa volta l’amico è Lui: Gesù di Nazaret (Marco 14). Prima di raggiunge- re Gerusalemme, la città del grande sacrificio e della speranza infinita di Dio per l’umanità, il Maestro e Si- gnore accetta l’invito a pranzo. È il suo stile: condivi- dere gioie e dolori, festa e tristezze con quell’umani- tà per la quale sta per donare la vita. È infatti la vigilia della sua passione. Nessuno conosce il segreto evento che Gesù porta in cuore, neppure Simone che lo ave- va invitato con gioia e amicizia, ancor meno gli apo- stoli che stanno a tavola con lui. IL CORAGGIO DI CHI AMA In quella grande sala adornata a festa, piena di uo- mini che consumano il pasto, entra una donna, come un raggio di luce. Senz’altro una che cercava la vita: forse una messaggera della salvezza, colei che portava in cuore un segreto. Stringeva tra le mani un vasetto prezioso, contenente un profumo molto costoso. Pro- 31
  • 33. fumo d’un odore particolarmente piacevole, che per conservarsi doveva essere sigillato in vasi preziosi, co- me l’alabastro. Profumo di donna quindi! Subito i di- scepoli puntano gli occhi, come sbalorditi, su quell’og- getto. Conoscevano l’alto valore di quel profumo. Il lo- ro pensiero corre ai poveri da sfamare: “Si potrebbe venderlo e il ricavato darlo a chi non ha da vivere”. Quel profumo non è una frode, ma garantito-auten- tico nardo, importato senza dubbio da lontani paesi (si ricava infatti dalle radici e dalle foglie radicali d’una pianta che cresce sui fianchi dell’Himalaya). “Come può una donna entrare nella stanza del ban- chetto?! Chi è costei? Perché disturba il maestro?” si dico- no l’un l’altro gli intimi di Gesù. Ma lei che ascolta il lin- guaggio dell’amore e non presta orecchio ai calcoli trop- po freddi degli uomini, si avvicina senza timore al Ma- estro, come sposa che riconosce la voce del suo sposo. Rompe il vasetto e versa sulla testa di Gesù il nardo profumato. Tutta la stanza acquista una fragranza nuova. C’è chi ha visto questo gesto come la sposa che con- sacra il suo sposo Messia e Profeta. Ora la regina e il suo re diventano sposi nel gesto dell’unzione sacerdotale. Chissà cosa pensa Simone, l’amico che si era degnato di offrire ospitalità e un pranzo così ricco!? Non avrebbe mai pensato in cuor suo di compiere un gesto di spreco. Forse quel banchetto era ben calcolato nella sua mente. Gli apostoli non erano pronti a salutare il loro signore come Messia, neppure allora che stavano salendo insie- me a Gerusalemme. Eppure lo avevano professato con le labbra, pochi giorni prima. I loro cuori sono ancora presi dalla bramosia della gloria, i loro occhi vedono so- lo l’apparenza, incapaci di entrare nel cuore della storia. Occorre l’intuito della donna per conoscere i segreti dei cuori e precedere gli eventi. L’AMORE NON HA PREZZO Che fare di quello spreco di nardo purissimo? Per lei è un gesto di offerta e un annuncio di morte glo- 32
  • 34. riosa. “Perché non vendere e distribuire, piuttosto che ungere e profumare un uomo?” si dicono l’un l’altro i commensali. Ciò che per lei è dono e profezia, per gli altri è spreco e follia. L’amore rischia di apparire steri- le agli occhi di chi calcola con l’intelligenza e giudica la vita a partire dal profitto. Anzi quella perdita supe- ra trecento denari! Il malcontento divide la fraternità del banchetto. Gli uomini puntano il dito sulla donna, perché non han- no il coraggio di giudicare la disponibilità del Maestro. Infatti parlano in cuor loro. Non osando essere volgari si rinchiudono sui loro sentimenti e diventa- no segreti. Chi ama non ha paura di fare gesti incomprensibili, ma dettati dal cuore: si apre a un futuro ricco di novi- tà: “Ha compiuto un’opera buona, perché infastidirla?”. Questa donna annuncia la morte e la resurrezione del Messia, e accede alla profezia. “I poveri li avrete sempre con voi, la mia presen- za scomparirà”. Gesù sta andando alla morte: fra due giorni verrà consegnato e poi crocifisso. Nessuno riu- scirà a partecipare a quell’evento sconcertante se non chi ha già sperimentato l’amore e ha accolto la salvez- za. Sarà la donna, colei che “vede” e annuncia con la sua stessa vita, come fece la Madre sotto la Croce del Figlio, ad entrare e dare l’annuncio che quella morte è gloriosa. Proprio in vista della sepoltura essa ha com- piuto quel gesto e nel cuore di un banchetto. Proprio lì attorno alla tavola di Simone svela il grande mistero: Gesù è sacrificato simbolicamente nel pane e nel vi- no di quel pranzo. Egli è già morto, perché l’umanità ha maturato la sua consegna. La donna precede quel- la morte, giunge in tempo, intuisce, compie l’unzione. Non attende, come d’uso, di farlo sul suo corpo mor- to, ma ora che è vivo, per dichiarare che egli risorge- rà. È la Pasqua. La rivincita della vita che passa attra- verso il “genio femminile” della donna, anche dentro le sfide di morte. 33
  • 35. I discepoli non partecipano a questo annuncio pro- fetico, non si elevano al di sopra degli smorti calco- li della vita ordinaria. È la Chiesa di sempre: santa e peccatrice. UN INVITO ALLA RADICALITÀ Al compiersi della sua Pasqua, il Signore risorto chiede ad ognuno di noi di deciderci per il dono del- la vita fino allo “spreco” per Lui o per la conservazio- ne di essa fino alla sterilità della morte. Come la pri- ma Chiesa, così ogni comunità cristiana, è chiamata a scegliere la logica dell’amore, superare i calcoli sterili della vita troppo ordinaria e affidare la vita solo a Dio. Comprendere oggi quanto ha fatto quella donna, significa imparare a perdere la vita per Lui, nel cuore delle grandi o piccole sfide di una società che calcola e confida solo nel guadagno umano. Le generazioni parleranno di lei e del suo gesto (e noi lo stiamo facendo) perché alla donna Dio da sem- pre affida “l’uomo” per generarlo a una speranza nuo- va: la salvezza nella morte gloriosa del Crocifisso. Ancora oggi donne coraggiose e pienamente inse- rite nella storia sono chiamate a farsi voce profetica di un futuro di pace e di riconciliazione, mediante l’intu- ito e l’amore senza calcoli. Esse sono presenze profeti- che di un mondo nuovo: quel mondo che l’uomo e la donna insieme sono chiamati a sognare per ricondur- re l’umanità ai piedi del Crocifisso glorioso. Ma ciò è possibile nella misura in cui tutti siamo disposti a do- nare la vita e a lasciarci trasformare dal Sangue di Cri- sto, fiume di misericordia e di salvezza, in creature nuove e coraggiose. 34
  • 36. �aria di �a �dala APERTA ALLA NOVITÀ DI DIO In un giardino, all’alba di una giornata di primave- ra, giunge all’epilogo l’itinerario di Gesù tra gli uomi- ni. Là dove la terra produce frutti e fiori colorati, la lu- ce della conoscenza incomincia lentamente a penetra- re. E una donna è il faro nel passaggio dall’oscurità al progressivo chiarore. Ella, abituata a lavorare di not- te, questa volta si sveglia di buon mattino, attraversa la città per recarsi al sepolcro ed esprimere le sue premu- re per Colui che ha amato in modo originale. E lei è la prima creatura ad aver visto il Risorto. A lei è stato affidato di accogliere e di riferire il mistero: Cristo ha sconfitto la morte. Come mai a una donna? Il mistero della rinascita è troppo difficile da contenere e quindi da esprimere. Se l’uomo non si affida all’Anima, alla forza intuitiva del- la femminilità, non entra nel mistero della vita nuova. Maria di Magdala è un tipo d’Anima particolarmente sensibile e attenta. Da lei erano usciti sette demoni, os- sia la pienezza del male. LA RICERCA APPASSIONATA Corre al sepolcro il desiderio della felicità, il biso- gno di essere amata. Ella che rifugge le delusioni nelle 35
  • 37. feste effimere, cerca Colui che può dare una risposta certa e duratura al suo animo assetato di vita. Si china, vede due angeli, ma continua a piangere: “Ma chi ha tirato via quella enorme pietra? Dove hanno posto l’amato del mio cuore? Dove cercare la vita che non è più visibile ai miei occhi?”. Si sente dire nel cuore: perché cerchi fuori di te Colui che ti abita e ti cerca? Non è qui! È difficile riconosce- re la voce dell’interiorità. Forse qualcuno da fuori ten- ta di distoglierla dalla ricerca ansiosa del suo Signore? “Se l’hai portato via tu, fratello o sorella che rimprove- ri la mia sensibilità, dimmi almeno dove lo hai posto!”. “Maria”! Il Risorto chiama per nome colei che ap- passionatamente lo cerca, per restituirla a se stessa, nella sua identità di figlia e di donna. La sensibilità femminile si risveglia e abbraccia la vita. Vuole toccare il frutto dell’amore per amare più intensamente e personalmente… Ma questa volta de- ve mantenere la distanza: “Non toccarmi!”. Ormai el- la dovrà toccare la vita nel cuore dei fratelli. È la nuo- va maternità che è chiamata ad esercitare nel mondo. “Va’ Maria! Vai da coloro che ancora sono duri di cuore e non hanno compreso il segreto dell’amore vi- vo. Va’ e di’ loro che mi troveranno dove vivono, sof- frono e amano”. Trasformata e invasa dalla vita risorta si reca dai di- scepoli. “Ho visto il Signore!”. La donna non insegna, non spiega con mille ragionamenti il mistero: comu- nica un’esperienza unica, irrepetibile, ineffabile. È l’in- contro personale. In ogni uomo è posta questa capaci- tà di incontro e di trasformazione! Ognuno di noi vie- ne rigenerato mediante l’accettazione del farsi figlio della madre, recando nel cuore quel principio femmi- nile che solo fa riconoscere la vita dalla morte, la lu- ce dalle tenebre. Da questa storia nasce un appello all’uomo. Uomo di questo tempo, di ogni tempo decidi tu se farti figlio della madre e muovere i tuoi passi attraver- 36
  • 38. so le strade del mondo, recando nel cuore la vita nuo- va perché risorta! Tocca a te dire a tutti che terra e cielo sono di nuo- vo ricongiunti, che Dio ci aspetta là dove un’anima ap- passionata lo cerca, là dove l’amore deve nascere, là dove la vita soffre e muore portando con sé la speran- za del futuro. Tocca a te annunciare che ormai è Pasqua sempre! A te che hai sperimentato la Vita che vince. 37
  • 39. 38
  • 40. II PARTE DONNE NELLA STORIA 1.IL MEDIOEVO Nel 1988, in occasione dell’Anno Mariano, il Beato Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera Apostolica in- titolata Mulieris dignitatem, trattando del ruolo prezio- so che le donne hanno svolto e svolgono nella vita del- la Chiesa. “La Chiesa – vi si legge – ringrazia per tutte le manifestazioni del genio femminile apparse nel cor- so della storia, in mezzo a tutti i popoli e a tutte le na- zioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito San- to elargisce alle donne nella storia del popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speran- za e carità; ringrazia per tutti i frutti di santità fem- minile” (n. 31). Anche in quei secoli della storia che noi abitual- mente chiamiamo Medioevo, diverse figure femminili spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell’in- segnamento. “Anche oggi – afferma Papa Benedetto XVI – la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e lai- che, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cri- stiana verso vette sempre più elevate” (Udienza Gene- rale, 24 novembre 2010). La storia della Chiesa nel Medioevo è caratterizzata dalla presenza di molte donne cristiane che partendo dalla dimensione spirituale della loro vita hanno mol- 39
  • 41. to lavorato per il bene della Chiesa ed hanno recato un influsso benefico anche alla società, inserendosi con coraggio anche nelle vicende della politica. In questo modo anche se il fine primo ed ultimo della loro vita è stato quello dell'unione intima con Cristo, con un for- te accento della mistica sponsale, attraverso la via del Vangelo e della sequela di Cristo, tuttavia si sono pro- digate ampiamente nell’esercizio della carità ed hanno avuto un ruolo importante nella cosa pubblica. Obbligate dalle circostanze, fedeli al loro genio fem- minile, concreto e pacifico, ma spesso investite da una grande missione ecclesiale, sono diventate protagoni- ste della vita della Chiesa, profetesse ed ammonitrici del clero e dei Papi, come è il caso di Brigida di Sve- zia e di Caterina di Siena; esse non hanno indietreg- giato davanti ai potenti di questo mondo, diventan- do così a partire dalla loro comunione con Dio, perso- ne che hanno invocato la riforma e l’unità nella Chie- sa ed hanno pacificamente lottato per evitare le guer- re e costruire la pace. Sarebbe lunga la lista delle Sante medievali che hanno influenzato la storia della Chiesa e la costru- zione dell’Europa. Giovanni Paolo II nella sua Lettera Mulieris dignitatem (n. 27) ricorda fra le donne orien- tali Olga di Kiev, e fra le occidentali Matilde di Tosca- na, Edwige di Slesia e Edwige di Cracovia, Elisabetta di Turingia, Brigida di Svezia, Giovanna D’Arco; oltre a Caterina da Siena che ha meritato il riconoscimento di Dottore della Chiesa. Ma la lista potrebbe essere mol- to più lunga e dovrebbe comprendere Agnese di Pra- ga, Ildegarda di Bingen, Gertrude di Helfta, Matilde di Magdeburg e Matilde di Hackenborn, alle quali biso- gna aggiungere le grandi sante della tradizione fran- cescana, quali Chiara di Assisi e Angela da Foligno. Il coraggio di queste donne è tanto più da ammirare se pensiamo alla mentalità antifemminista dell’epoca, alla diffidenza viscerale degli uomini contro le donne, alla quale non sfugge neppure il grande Tommaso d’Aquino 40
  • 42. che oltre alle teorie della donna come “uomo mancato” aggiunge anche l’osservazione che essendo la donna solo ausiliaria dell’uomo per la procreazione, “per ogni altra opera egli trova un migliore aiuto in un altro uo- mo che nella donna” (Summa Theologiae, I, q. 42, a.1). Spesso sarà a questi pregiudizi che si ispireranno an- che i dotti della Chiesa e i potenti di questo mondo per non ascoltare la voce di Dio che si faceva sen- tire potente attraverso la parola di queste donne. Donne coraggiose di riconciliazione e di unità per la costruzione dell’Europa, molte sante medievali, ponen- dosi come riformatrici, predicatrici e destinatarie di divine visioni, incontrarono tante gravi difficoltà nel farsi accettare dalla comunità ecclesiale, ma andaro- no avanti fino all’umiliazione, all’ironia, come nel ca- so di Ildegarda, di Caterina e di tante altre. Tutte testi- moni del Mistero Pasquale di Cristo vissuto e incarna- to nella loro storia personale e comunitaria. 41
  • 43. Ilde�arda di Bin�en AUDACE IN BATTAGLIA Ildegarda di Vendersheim, nata nel 1098, a Bermer- sheim vor der Höhe (Germania), da una famiglia del- la piccola nobiltà locale, a otto anni viene mandata nel monastero benedettino di Disibodenberg, perché rice- va da Jutta, figlia del conte di Spanheim, monaca e ba- dessa, una formazione all’altezza della sua posizione sociale. L’intelligenza acuta e vivace, abbinata ad un’ac- centuata capacità di osservazione, e un profondo ap- prezzamento per la cultura in generale, permettono al- la bambina di acquisire, nel tempo, una discreta com- petenza in vari campi del sapere: dalla teologia alla fi- losofia, dalle scienze naturali alla linguistica, alla mu- sica, alla poesia… La sua fede, già vivida nell’infanzia e rafforzata dall’esperienza monastica, la spinge appena adolescen- te, a scegliere di consacrarsi totalmente a Dio e diven- ta monaca. Alla morte di Jutta, nel 1136, è nominata “abbatis- sa”. In questo ruolo imprime un forte impulso spiritua- le e culturale alla vita della comunità, continuando a vivere, con la semplicità di sempre, la vita quieta e vi- vace del monastero. 42
  • 44. “UNA PIUMA ABBANDONATA AL VENTO DELLA FIDUCIA DI DIO”! La storia cambia quando inizia a scrivere e rendere pubbliche le “visioni” che l’accompagnano fin dall’in- fanzia e che lei racconta nella prima opera intitola- ta Scivias, “conosci le vie”. Nell’introduzione a questo scritto, Ildegarda spiega come è stata spinta a questo passo, da una misteriosa voce, proveniente da una lu- ce bellissima, che durante una visione le diceva: “O fragile creatura umana… racconta e scrivi ciò che vedi e ascolti”. Ci tiene però a precisare che le visioni non sono dovute ad alterati stati di coscienza, ma come lei stessa dice, “le ho ricevute mentre ero sveglia, con la mente attenta e limpida, attraverso i sensi interiori, in luoghi aperti, secondo la volontà di Dio”. Che si tratti di una particolare illuminazione dello Spirito, lo capiamo dal testo seguente: “Avvenne nell’anno 1141 dall’incarnazione di Cristo, quando avevo quarantadue anni e sette mesi, che una luce infuocata, fortissima e abbagliante, scendendo dal cielo che si era aperto, infiammò tutto il mio cervello e mi riempì di calore il cuore e il petto: era simile ad una fiamma che non brucia ma scalda, come fa il so- le quando colpisce qualcosa con i suoi raggi. E, subi- to, fui in grado di interpretare i libri, il Salterio, il Van- gelo, e gli altri libri cattolici, l’Antico e il Nuovo Testa- mento…”. Lo Spirito le permette di penetrare a fondo il sen- so delle Scritture e di condensarne il nucleo in poten- ti immagini simboliche, secondo l’uso del tempo, mu- tuate dagli stessi testi biblici e dalla natura. È perfetta- mente consapevole che la rivelazione delle “visoni”, la espone ad una platea che esprimerà un giudizio e per questo vorrebbe sottrarsi. Ma non può farlo: Dio stes- so lo chiede e a Lui si abbandona. Da questo momento, Ildegarda sarà “una piuma ab- bandonata al vento della fiducia di Dio”, come essa stessa si definirà. 43
  • 45. LA TRINITÀ DA CUI TUTTO NASCE Le sue visioni contengono una sorta di reinterpre- tazione in chiave trinitaria di tutta la storia della sal- vezza, espressa sotto forma di simboli ed immagini. Le virtù sono personificate e come tali si esprimono. Nella meditatio di Ildegarda, il Padre è il Dio creato- re che dà vita a tutte le cose e le dispone in armonia. Il Figlio parla attraverso Caritas, personificata in sembian- ze femminili mentre si presenta come “Sposa e amante del Signore, innamorata e raccolta nell’amplesso divino”. Dio dona a Caritas molti gioielli “perché l’ama grande- mente ed ella vuole un bacio da Lui e a Lui obbedisce”. Lo Spirito si presenta come “Tuono della Voce at- traverso la quale nascono tutte le creature” e dice: “Do impulso alle cose con il mio alito… come ragione so- no alla radice di tutto”. Dalla Trinità nasce la creazione e, in essa, l’essere umano “è l’opera compiuta di Dio perché Dio si cono- sce attraverso di Lui, per lui ha creato le altre creature e a lui ha concesso per amore la ragione”. In questa ope- ra compiuta di Dio, la donna appare come “forma spe- culativa” dell’uomo e in quanto tale, sua pari. La potenza divina, “rotonda perfezione della mi- sura”, come fuoco illumina il cosmo circondandolo a mo’ di ruota. LA CENTRALITÀ DELL’ATTO REDENTIVO DI CRISTO Se la visione che Ildegarda ha del cosmo sottolinea la sua bellezza, quella del peccato si manifesta con ter- mini che ne indicano il sovvertimento: nuvole nere che si addensano, i venti diventano puzzolenti, il verde del- la vitalità sbiadisce… gli umori di cui sono fatte le cre- ature si scombinano e l’armonia viene deturpata. Ma Dio non rimane a guardare. La carità, attraverso il Figlio, opera la redenzione a fa- vore della creatura umana, descritta come, “pecora del Signore” caduta nel fango del peccato. Interessante in 44
  • 46. questo contesto, la reinterpretazione ildegardiana dell’at- to redentivo: “Quando l’Agnello di Dio fu appeso sulla croce, gli elementi tremarono, perché il nobilissimo Fi- glio della Vergine era stato ucciso nel corpo dalle mani degli uomini, e nella sua morte felice, la pecora è stata riportata ai pascoli della vita. Infatti, l’antico persecutore, dopo aver visto che dovette lasciare libera quella pecora a causa del sangue dell’Agnello innocente, che lo stesso Agnello aveva versato nella remissione dei peccati, allo- ra riconobbe per la prima volta chi fosse quell’Agnello… Mentre l’uomo venne sollevato dalla morte, l’inferno aprì le sue porte e satana gridava: ‘Ahimè! ahimè! Chi mi aiu- terà?’. Ma anche la schiera dei diavoli fu colta da grande turbamento: infatti, quando videro che le anime a loro fedeli venivano trascinate via, si resero conto di quanto fosse grande quella potenza, a cui non avrebbero potuto resistere insieme al loro principe. Così l’uomo fu portato al di là dei cieli, perché Dio apparve nell’uomo e l’uomo in Dio, grazie all’opera di Gesù Cristo”. La salvezza continua nel tempo quando l’essere umano modella la sua vita sulle virtù, in modo parti- colare sulla carità e l’umiltà. “Perciò chi voglia avere la meglio sul diavolo, si munisca dell’arma dell’umiltà. Lucifero, infatti, la teme molto e davanti ad essa si nasconde come un serpente in una caverna, perché se essa lo prende, lo fa a pez- zi molto facilmente, come se fosse una cordicella pri- va di ogni valore”. LA VIRIDITAS Ildegarda è anche un medico poiché studia le pro- prietà delle erbe e le seleziona. Ma in lei, spiritualità e medicina sono strettamente connesse dal concetto di viriditas. Per viriditas Ildegarda intende l’effetto dell’e- nergia vitale che il Soffio divino ha impresso nella cre- azione e che si manifesta, oltre che nel verde della ve- getazione, nel creato e nell’essere umano, a livello fi- sico e spirituale. Il peccato rovina la viriditas; la prati- 45
  • 47. ca delle virtù, ricompone l’unità tra microcosmo e ma- crocosmo. L’arte medica, quella del tempo, utilizza le proprietà delle piante per rianimare la viriditas, e ri- dare salute, prosperità e bellezza alla creazione intera. LA BELLEZZA FEMMINILE Il monachesimo femminile ha sempre mortificato la bellezza femminile, considerata ostacolo nel cammi- no verso la santità. Ildegarda, invece è di diverso pare- re. La badessa di Andernach le scrive sconcertata: “Ci è giunto all’orecchio qualcosa a proposito di un’usan- za del vostro monastero certamente non comune: che cioè nei giorni festivi, durante il salterio, le sorelle sie- dono nel coro con i capelli sciolti e si ornano di un ve- lo di seta bianca, il cui orlo arriva fino a terra. Porta- no sul capo corone dorate e lavorate, nelle quali sono armonicamente intrecciate su entrambi i lati e sul re- tro delle croci e sulla fronte un’immagine dell’Agnel- lo. Sembra inoltre che le sorelle si ornino anche le di- ta con anelli d’oro. Tutto questo nonostante il primo pastore della Chiesa lo abbia proibito con esortazioni, dicendo che le donne devono comportarsi costuma- tamente, senza capelli intrecciati, oro e perle, né pre- ziose vesti”. Ildegarda, senza scomporsi, le risponde: “Nello Spirito Santo le vergini sono spose della santità e dell’aurora della verginità. Perciò devono avvicinarsi al sommo sacerdote come olocausto gradito a Dio. Per questo motivo spetta alla vergine indossare una veste luminosamente bianca”. Non è forse questa veste bian- ca l’abito della schiera dei beati dell’Apocalisse? Non rappresenta il segno luminoso del mistero della vergi- nità che vigila nell’attesa della redenzione finale?”. IL RUOLO DELLA MUSICA NELLA LODE A DIO La musica e il canto hanno una grande importanza nella spiritualità di Ildegarda di Bingen; lei stessa ha scritto molte composizioni musicali per la preghiera. Il significato che ella attribuisce al canto e alla mu- 46
  • 48. sica, si evince da una lettera che scrive ai prelati di Ma- gonza, per protestare contro la proibizione, inflitta da questi, a lei e alle sue monache, di accostarsi ai sacra- menti e di salmodiare cantando, a causa del rifiuto del- la badessa di dissotterrare e di buttare fuori dal cimite- ro del monastero un defunto, ivi sepolto, che pure es- sendo stato scomunicato, prima di morire si era penti- to e aveva ricevuto i sacramenti. Ildegarda ricorda ai suoi interlocutori che i salmi e i canti, composti dai profeti sotto l’ispirazione dello Spi- rito Santo, sono “da cantarsi per accendere la devozio- ne dei fedeli” e gli strumenti musicali arricchiscono i canti con vari suoni “affinché gli uomini si rammentas- sero della dolce lode della quale Adamo prima della caduta gioiva in Dio insieme agli angeli… e anche per invitare l’umanità a questa dolce lode. Questo lo fece- ro in modo che gli stessi ascoltatori sollecitati e allena- ti… da aspetti esteriori… fossero istruiti su realtà inte- riori”. Ma il diavolo, avendo capito che l’essere umano, “attraverso quest’arte si sarebbe trasformato sino a re- cuperare la dolcezza dei canti della patria celeste”, non ha mai smesso di ostacolare quest’opera. Il monito conclusivo rivela bene il carattere ildegar- diano: “Per questo, voi e tutti i prelati, dovete sempre stare bene attenti prima di chiudere con un decreto la bocca ai cori che cantano le lodi a Dio”. PROFETESSA DELLA GERMANIA Ildegarda, ormai all’apice della fama, forte dell’ap- provazione di Bernardo di Clairvaux e del Papa, sen- te fortemente la responsabilità di occuparsi della rivi- talizzazione della fede della Chiesa. Con la semplice scorta di due monache e uno stal- liere attraversa a periodi alterni l’intera regione del Me- no. Le tappe di questo percorso sono i monasteri fem- minili e maschili, che Ildegarda si impegna a riforma- re. Ella stessa ne fonda due: quello di Bingen (dove lei si trasferisce nel 1147) e quello di Eibingen, nel 1165. 47
  • 49. Ma non si limita solo a questo. La sua predicazione investe la società civile, le piazze, i mercati, le chiese ed è rivolta ai nobili, agli alti prelati e a tutto il popolo. La sua fama cresce e molte persone le scrivono, com- preso l’imperatore Federico Barbarossa. Lei risponde in modo schietto e deciso, proponendo a tutti il modello di vita appreso dal Vangelo. Giovanni Paolo II, nelle lettera che scrisse in occa- sione dell’ottocentesimo anniversario della morte di Il- degarda, la definisce, a ragione: “Profetessa della Ger- mania”. CORAGGIOSA NELLE BATTAGLIE Ildegarda, “Colei che è audace in battaglia”, secon- do il significato etimologico del termine, si dimostra in molte situazioni all’altezza del nome che porta. Che fosse battagliera, lo dimostra la sua capacità di tenere testa allo strapotere di chierici e regnanti, con il solo coraggio di una fede chiara e luminosa. E forse non è un caso che la sua vita, segnata da una salute costantemente malferma, che ne mette spes- so a rischio la sopravvivenza, abbia raggiunto, cosa ab- bastanza insolita a quel tempo, la veneranda età di 81 anni. Muore infatti il 17 settembre 1179 e viene sepol- ta nel monastero di Rupertsberg in un ricco mausoleo. Durante la Guerra dei Trent’anni, per salvarlo dalla di- struzione, i monaci benedettini portarono con se le re- liquie nella cappella del priorato di Bingen dove ripo- sano ancora oggi. UNA SANTA MAI CANONIZZATA Ildegarda fu acclamata santa a furor di popolo. Ma il processo di canonizzazione avviato da Papa Grego- rio IX, una cinquantina di anni dopo la sua morte, non è stato mai completato. 48
  • 50. �n�ela da �oli�no SPOSA DI DIO-UOMO PASSIONATO La biografia della beata Angela da Foligno gravita in- torno a tre date approssimative, quella della nascita, del- la “conversione mistica” e della morte. Nacque nella cit- tadina umbra, intorno all’anno 1248. Della sua giovinez- za non si conosce praticamente nulla se non il fatto che si sposò e visse una vita, a suo dire, “selvaggia, adultera e sacrilega”. Sicuramente di famiglia agiata, ebbe più figli e una vita morale molto spigliata. Non mancarono gravi colpe culminate in una serie di confessioni e di comu- nioni sacrileghe. Intorno all’’anno 1285 il suo cammino di fede iniziò di nuovo, attraverso il sacramento della Pe- nitenza celebrato nella chiesa cattedrale di S. Feliciano a Foligno, quando si confessò dal cappellano del vescovo. Dopo la morte del marito, dei figli e della madre, provata dal dolore, che affrontò con grande forza d’a- nimo, ridiede vigore alle radici della sua fede quando scoprì il senso di quello che stava vivendo, nella pas- sione che Cristo aveva vissuto per amore. La svolta mi- stica, favorita da un pellegrinaggio ad Assisi nel 1291, segnò una svolta decisiva nella sua vita. Nello stesso anno entrò a far parte del Terz’ordine francescano in cui emise i voti religiosi. Fu durante questo viaggio ad Assisi che Angela fece 49
  • 51. sconcertanti ed esaltanti esperienze mistiche, di cui fu stupito testimone anche il suo parente e confessore, il B. Arnaldo da Foligno: questi, temendo si trattasse di fenomeni dovuti a suggestioni demoniache, le impo- se di dettargli le sue esperienze interiori. Il bisogno di far luce sulle profondità di quest’anima squassata dal- la grazia, diede così origine al Liber, uno dei più pre- ziosi libri sull’ esperienza mistica di un’anima partico- larmente favorita da Dio. Il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avvenne attraverso la contemplazione del Crocifisso: il “Dio-uo- mo passionato” divenne il suo “maestro di perfezione”. Da quel momento il suo obiettivo sarà, tendere ad una perfetta “somiglianza” con Lui, mediante purificazioni e trasformazioni sempre più profonde e radicali. In ta- le stupenda impresa Angela mise tutta se stessa, anima e corpo, senza risparmiarsi in penitenze e tribolazioni, desiderando di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio- uomo crocifisso pur di essere trasformata totalmente in Lui: “O figli di Dio, – raccomandava – trasformatevi to- talmente nel Dio-uomo passionato, che tanto vi amò da degnarsi di morire per voi di morte ignominiosissima e del tutto ineffabilmente dolorosa e in modo penosissi- mo e amarissimo. Questo solo per amor tuo, o uomo!”. Questa identificazione comportava anche vivere ciò che Gesù aveva vissuto: povertà, disprezzo, dolore, perché “attraverso la povertà temporale l’anima troverà ricchez- ze eterne; attraverso il disprezzo e la vergogna otterrà sommo onore e grandissima gloria; attraverso poca pe- nitenza, fatta con pena e dolore, possederà con infinita dolcezza e consolazione il Bene Sommo, Dio eterno” . DALLA CONVERSIONE ALL’UNIONE MISTICA CON IL CRISTO CROCIFISSO, ALL’INESPRIMIBILE! Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante: “Quanto più pregherai tanto maggiormente 50
  • 52. sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il Sommo Be- ne, l’Essere sommamente buono; quanto più profon- damente e intensamente lo vedrai, tanto più lo ame- rai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quan- to più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprende- rai e diventerai capace di capirlo. Successivamente ar- riverai alla pienezza della luce, perché capirai di non poter comprendere” . Scrive il suo confessore: “La fedele allora mi disse: Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conserva- re la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla Croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli conce- do o permetto»”. Ma in questa fase Angela ancora “non sente amore”; ella afferma: “L’anima prova vergogna e amarezza e non sperimenta ancora l’amore, ma il do- lore” , ed è insoddisfatta. Angela sentiva di dover dare qualcosa a Dio per ri- parare i suoi peccati, ma lentamente comprendeva di non aver nulla da darGli, anzi di “essere nulla” davanti a Lui; capiva che non sarebbe stata la sua propria vo- lontà a darle l’amore di Dio, perché questa può solo darle il suo “nulla”, il “non amore”. Come ella dirà: so- lo “l’amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’ani- ma e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà di- vina […] Tale amore porta l’anima in Cristo e lei com- prende con sicurezza che non si può verificare o esser- ci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può mischiare qualcosa di quello del mondo”. Non rimane che aprirsi solamente e totalmente all’a- more di Dio, che ha la massima espressione in Cristo e per questo pregava così: “O mio Dio fammi degna di conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità, cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazio- ne per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto 51
  • 53. uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande”. Tut- tavia, Angela avvertiva nel cuore le ferite del peccato; anche dopo una Confessione ben fatta, si sentiva per- donata ma ancora affranta dal peccato, libera e con- dizionata dal passato, assolta ma bisognosa di peni- tenza. E anche il pensiero dell’inferno l’accompagnava perché quanto più l’anima progredisce sulla via della perfezione cristiana, tanto più si convince non solo di essere “indegna”, ma di essere meritevole dell’inferno. Ed ecco che, nel suo cammino mistico, Angela af- ferrò la realtà centrale, quella più profonda: ciò che la salverà dalla sua “indegnità” e dal “meritare l’inferno” non sarà la sua “unione con Dio” e il suo possedere la “verità”, ma Gesù crocifisso, “la sua crocifissione per me”, il suo amore. Nell’ottavo passo, dei trenta descritti nella sua “au- tobiografia spirituale”, ella dice: “Ancora però non ca- pivo se era bene maggiore la mia liberazione dai pec- cati e dall’inferno e la conversione a penitenza, oppure la sua crocifissione per me”. E’ l’instabile equilibrio fra amore e dolore, avvertito in tutto il suo difficile cam- mino verso la perfezione. Proprio per questo contem- plava di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vedeva realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio, in un supremo atto di sofferenza che è un supremo atto di amore. In questi “trenta passi” Angela dettò in dialet- to umbro, poi messo in un limpido latino scolastico dal suo amanuense, quanto avveniva nella sua ani- ma, dal momento della conversione al 1296, quando tali manifestazioni mistiche si fecero più frammenta- rie e lasciarono campo a nuove manifestazioni spiri- tuali, in particolare quella della “ maternità spiritua- le “ che raccolse intorno alla “Lella da Foligno” un vero cenacolo di anime desiderose di perfezione. A loro la beata inviava numerose lettere e per loro re- digeva anche le Istruzioni salutifere. La povertà, l’u- miltà, la carità, la pace erano i suoi grandi temi: “Lo 52
  • 54. sommo bene dell’anima è pace verace e perfetta... Chi vuole dunque perfetto riposo, istudisi d’amare Idio con tutto cuore, perciò che in tale cuore abita Idio, il qua- le solo dà e può la pace dare”. Angela da Foligno morì il 4 gennaio 1309, come è scritto in uno dei diversi codici manoscritti del “Liber” e venne da sempre venerata con il titolo di Beata e Magistra Theologorum, ossia Maestra dei Teologi, per- ché in vita attorno a lei si era raccolto un Cenacolo di figli spirituali, tra i quali si annovera Ubertino da Ca- sale. Il suo corpo riposa nella Chiesa di San Francesco e Santuario della Beata Angela a Foligno. 53
  • 55. �ertrude di �el �ta FERITA D’AMORE Santa Gertrude, grande mistica tedesca del XIII se- colo, con la sua vita e il suo pensiero ha inciso in mo- do straordinario sulla spiritualità cristiana. Di grande statura culturale e profondità evangelica, questa donna si distingue per eccezionale talento naturale e straordi- nari doni di grazia; la sua profonda umiltà alimenta in lei lo zelo per la salvezza del prossimo, così come la sua intima comunione con Dio nella contemplazione, si esplicita nella prontezza nel soccorrere i bisognosi. Nasce il 6 gennaio del 1256, festa dell’Epifania. Pur non essendo figlia di nobili, proviene da una famiglia benestante. All’età di cinque anni, nel 1261, entra nel monastero cistercense di Helfta, in Sassonia, dove ri- ceve una accurata educazione dalla grande Matilde di Magdeburgo, maestra di spiritualità e di bello scrivere. A giudicare dall’eleganza del testo poetico della Lux divinitatis, opera in cui Gertrude narra le sue espe- rienze mistiche, si può ben dire che sia stata una allie- va attenta e profittevole. Alla scuola di Matilde, perso- naggio capace di incidere profondamente sulla vita di molte giovani, attratte dalla sua spiritualità fortemente mistica, la ragazza, almeno fino ad un certo punto del- la sua vita, non sembra particolarmente interessata a 54
  • 56. curare la propria interiorità. Alcune fonti biografiche, le attribuiscono addirittura momenti di vita “dissipata”. LA CONVERSIONE INTERIORE A 26 anni, lo scenario interiore di Gertrude cam- bia radicalmente perché il Signore, “più lucente di tut- ta la luce, più profondo di ogni segreto, cominciò dol- cemente a placare quei turbamenti che aveva acceso nel mio cuore”. Si sente chiamata a passare “dalle co- se esterne alla vita interiore e dalle occupazioni terre- ne all’amore delle cose spirituali”. Comprende di esse- re stata lontana da Lui, chiusa nei suoi interessi intel- lettuali, di essersi dedicata con troppa avidità agli stu- di liberali, alla sapienza umana, trascurando la scienza spirituale e privandosi del gusto della vera sapienza. Il Signore la conduce ora al monte della contemplazio- ne, dove lei stessa lascia il vecchi stile di vita per assu- merne uno nuovo. Una mutazione che sorprende molti, e che lei stessa attribuisce a una visione, seguita poi da altri fenome- ni eccezionali come estasi, stigmate, e misteriose ma- lattie che anziché fiaccola la stimolano, spingendola a momenti di stupefacente attivismo. Gertrude vorrebbe vivere in solitudine questa avventura dello spirito, ma non sempre può: le voci corrono, arriva molta gente al monastero, per confidarsi, interrogarla, o semplice- mente per vederla. Lei accoglie tutti e specialmente chi è più disorien- tato. Gli sta a cuore soprattutto la divulgazione del cul- to per l’umanità di Gesù Cristo, tradotta nell’immagi- ne popolarissima del Sacro Cuore. Per raggiungere le persone che non possono recarsi al monastero, si affi- da alla scrittura e lo fa con l’eleganza che è frutto dei suoi studi. DA LETTERATA A TEOLOGA Tramite una assidua e attenta lettura dei libri sacri che riesce a procurarsi, riempie il suo cuore di utili e 55
  • 57. dolci espressioni della Sacra Scrittura. Questa ricchez- za spirituale unita alle competenze acquisite nelle di- scipline scolastiche la preparano a diventare “apostola”, nel modo richiesto dai tempi. A chi viene a consultar- la riserva una parola ispirata ed edificante mentre con i testi scritturistici più adatti chiude la bocca agli op- positori e confuta opinioni errate. Geltrude si dedica anima e corpo al servizio del- la chiesa diffondendo le verità di fede anche tramite la scrittura, e lo fa con chiarezza e semplicità, grazia e persuasività, tanto da guadagnarsi la stima e l’am- mirazione di teologi e persone religiose. Con l’esem- pio e la parola è capace di suscitare un grande fervore tra la gente. Alla regola monastica, già esigente in fat- to di ascesi, aggiunge penitenze personali che lei pra- tica con tale devozione e abbandono in Dio da susci- tare in chi la incontra la consapevolezza di essere alla presenza del Signore. Dio le dona la doppia consapevolezza di essere sta- ta chiamata e di essere strumento della sua grazia. I doni che ha ricevuto sono molti, ma due le sono par- ticolarmente cari: “Le stimmate delle tue salutifere piaghe che mi im- primesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la pro- fonda e salutare ferita d’amore con cui lo segnasti. Tu mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudi- ne che, anche dovessi vivere mille anni senza nessu- na consolazione né interna né esterna, il loro ricor- do basterebbe a confortarmi, illuminarmi, colmarmi di gratitudine. Volesti ancora introdurmi nell’inestima- bile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che è il tuo Cuore divino […]. A questo cumulo di bene- fici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la san- tissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spes- so raccomandata al suo affetto come il più fedele de- gli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre la sposa sua diletta”. 56
  • 58. UNA TEOLOGIA AFFETTIVA Gli scritti di Gertrude attingono molte immagini dai testi biblici. La sua opera rivela una esperienza teolo- gica che mette al centro il rapporto personale col mi- stero di Dio attraverso l’opera di Cristo presente e vis- suta nella celebrazione liturgica quotidiana. Gertrude scrive quello che vive e quello che “vede” nella litur- gia, nella Scrittura e nella preghiera. La teologia che ci trasmette in forma di preghiere è la sua interioriz- zazione personale dei misteri della fede e l’espressio- ne simbolica della bellezza ineffabile di Dio. In lei il concetto di Dio come amore è strettamente legato alla sua esperienza interiore di affettività e quello che ne scaturisce è una vera e propria teologia “affettiva”, in cui il Dio Trinità è bellezza, luce e soprattutto amo- re. Lo Spirito conduce l’uomo verso la contemplazione del mistero della salvezza rivelato in Gesù come gra- zia. Tutto questo si ritrova nella sua prima opera dal titolo Il Messaggero della divina misericordia. Una se- conda opera, Gli Esercizi Spirituali, contiene sette me- ditazioni ispirate alla vita liturgica e monastica che, iniziando dalla memoria del Battesimo e della con- versione, terminano con il tema dell’unione di amore sponsale con Dio nella professione. Gertrude esorta il lettore ad utilizzarle per iniziare un itinerario di fe- de che conduca all’unione con Dio. Il carattere poeti- co-affettivo, fortemente emotivo di queste meditazio- ni, che rispecchiano la personalità di chi scrive, han- no come effetto quello di commuovere l’anima uma- na e predisporla ad una risposta amorosa al Dio amo- re. Simboli, immagini bibliche e metafore, largamen- te utilizzati, esprimono meglio di qualsiasi linguaggio razionale, la grandezza del mistero di Dio che la santa presenta in modo del tutto personale in linea con la sua esperienza umana.I simboli della luce e del fuo- co, del canto e della danza, le esperienze sensoriali del vedere, ascoltare, sentire, toccare, gustare, il lin- guaggio affettivo dell’abbraccio e del bacio, compon- 57
  • 59. gono una sorta di vocabolario dell’interiorità attraver- so cui questa mistica comunica l’anelito dell’anima a congiungersi con Dio. Così si esprime nelle Rivelazioni: “Nella notte san- tissima, in cui, con la discesa della dolce rugiada della divinità, per tutto il mondo i cieli hanno stillato mie- le, l’anima mia, come vello irrorato sull’aia della co- munità, si dedicò, attraverso la meditazione, ad esse- re presente e, applicandosi alla devozione, ad offrire il proprio servizio a quel parto eccelso in cui la Ver- gine generò, come un raggio, il Figlio vero Dio e ve- ro uomo. Come nel guizzo di una subitanea illumina- zione, essa comprese che le veniva offerto ed era da lei ricevuto un tenero bimbo appena nato, in cui sen- za dubbio si celava il dono sommo e perfetto, quello vero e migliore in assoluto. Mentre l’anima mia lo te- neva in sé, di colpo sembrò trasformarsi tutta nel suo stesso colore, se tuttavia può dirsi ‘colore’ ciò che non si è in grado di paragonare a nessun aspetto visibile. Allora la mia anima percepì in modo ineffabile il sen- so di quelle soavi parole: Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28), mentre sentiva di tenere in sé il Diletto disce- so in lei e si rallegrava che non le mancasse la gradi- ta presenza dello Sposo dalle piacevolissime carezze. Per questo essa sorseggiava con insaziabile avidità ta- li parole a lei offerte da Dio come una coppa di mie- le: “Come io sono la figura della sostanza di Dio Pa- dre nella divinità, così tu sarai la figura della mia so- stanza nella natura umana, accogliendo nella tua ani- ma divinizzata quanto proviene dalla mia divinità, al- lo stesso modo in cui l’aria riceve i raggi del sole; pe- netrata fino al midollo dalla forza di questo legame, tu divieni capace di un’unione più familiare con me”. E ancora negli Esercizi Spirituali: “O luce serenis- sima della mia anima, e mattino luminosissimo, sorgi ormai in me, e comincia a risplendere a me in modo tale che nella tua luce io veda la luce(Sal 35,10) e gra- zie a te la mia notte si converta in giorno! O mio ca- 58
  • 60. rissimo Mattino, tutto ciò che tu non sei, per amore dell’amore tuo possa io stimarlo come niente e vani- tà.. Vieni a visitarmi fin dal primo albore del mattino (Is 40,17), perché io mi trasformi tutta quanta imme- diatamente in te… Saluta il Dio che ti ama con que- ste parole, leggendo il salmo celeste: “Ti esalterò, Dio, mio re…”( Sal 144,1). Mio re e mio Dio, amore che sei Dio e gioia, a te canta con esultanza la mia anima e il mio cuore. Tu sei la vita della mia anima, mio Dio, Dio vivo e vero, fonte di luci eterne, e la luce del tuo dolce volto è stata impressa su di me, benché inde- gna; il mio cuore desidera salutarti, lodarti, magnifi- carti e benedirti! A te offro il fior fiore delle mie for- ze e dei miei sensi come olocausto di una nuova lode e di un intimo rendimento di grazie… Tu sei, mio Si- gnore, la mia speranza, tu la mia gloria, tu la mia gio- ia, tu la mia beatitudine. Tu sei la sete del mio spirito. Tu la vita della mia anima. Tu il giubilo del mio cuore. Dove mai potrebbe condurmi il mio stupore, al di so- pra di te, Dio mio? Tu sei il principio e il compimento di ogni bene e in te è la dimora di tutti coloro che in- sieme si rallegrano. Tu sei la lode del mio cuore e del- la mia bocca. Tu scintilli tutto nella primaverile piace- volezza del tuo gaio amore. La tua eminentissima di- vinità ti magnifichi e ti glorifichi, poiché tu sei la fonte della luce perpetua e la sorgente della vita... A te can- tino con gioia tutte le stelle del cielo, che per te brilla- no con gioia e, chiamate ad un tuo cenno di coman- do, sono sempre pronte al tuo servizio. A te cantino con gioia tutte le mirabili opere tue, tutte quelle che abbraccia l’immenso cerchio del cielo, della terra e de- gli abissi, e ti dicano quella perpetua lode che, sgor- gando da te, rifluisce in te, sua origine. A te canti con gioia il mio cuore e la mia anima, con tutta la sostan- za della mia carne e del mio spirito, sprizzando dall’e- nergia di tutto l’universo. A te, dunque, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose, a te solo onore e gloria nei secoli. Amen.” 59
  • 61. DESIDERIO DI AMORE Nel settimo Esercizio del suo libro, quello della pre- parazione alla morte, santa Gertrude scrive: “O Ge- sù, tu che mi sei immensamente caro, sii sempre con me, perché il mio cuore rimanga con te e il tuo amo- re perseveri con me senza possibilità di divisione e il mio transito sia benedetto da te, così che il mio spiri- to, sciolto dai lacci della carne, possa immediatamen- te trovare riposo in te. Amen.” Conclude la sua vicenda terrena il 17 novembre del 1301 o 1302, all’età di circa 46 anni. Questa grande mistica ci fa comprendere, ancora oggi, che il centro di una vita felice, di una vita ve- ra, è l’amicizia con Gesù. E questa amicizia si impara nell’amore per la Parola di Dio, nella generosità verso gli altri, nell’amore per la preghiera liturgica, in par- ticolare nella Celebrazione Eucaristica, nella fede pro- fonda, nell’amore per Maria… In modo da conoscere sempre più realmente Dio stesso, la vera felicità e la meta della nostra vita. 60