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Nuovi indicatori di benessere

Linda Laura Sabbadini      Direttore Centrale Istat

Comincio con un certo disagio terminologico, wellbeing in inglese ha un significato più ampio
di benessere in italiano, in italiano assume una connotazione fortemente economica. In questa
sede lo intenderò in un senso ampio che comprende la qualità della vita, ne parlerò come di
benessere globale. Ebbene possiamo affermarlo il Pil non è sufficiente a misurare il benessere
globale di una popolazione.
 Ormai sono d’accordo tutti. Lo hanno detto gli studiosi di area sociale e di qualità della vita ormai
da anni, lo dicono oggi a gran voce gli economisti, lo ha detto con forza l’OCSE, e anche la
Commissione Europea. Lo ha sostenuto l’associazionismo e anche la politica. Non è un caso che il
Presidente Sarkozy abbia costituito la Commissione Stiglitz, guidata da due premi nobel e di cui ha
fatto parte anche il nostro presidente che ha prodotto raccomandazioni, dopo che già l’OCSE aveva
identificato un nuovo quadro concettuale sul benessere. Ma tutto ciò non significa che vogliamo per
così dire ‘rottamare’ il pil. Vogliamo affiancare al pil misure del benessere globale.
La sfida è grande e mette in gioco la nostra capacità di tener conto nel processo di
misurazione, del complesso della qualità della vita delle persone, della situazione
dell’ecosistema, di come stanno le generazioni di oggi e di come potranno stare le successive,
alla luce del capitale che noi stessi saremo stati in grado di trasmettere.
Ma siamo pronti come Paese? Siamo in condizione di lanciare questa nuova sfida? Io penso proprio
di si, perché già una grande rivoluzione copernicana l’abbiamo fatta. Per molto tempo sono esistiti
"squilibri" nell'attenzione alle differenti aree tematiche da parte degli Istituti Nazionali di Statistica,
compreso il nostro. Gli Istituti di Statistica sono stati caratterizzati da una visione
"economicocentrica" per decenni. Gli elementi per la conoscenza e la lettura della società nel suo
complesso non sempre sono stati presenti e ciò ha inciso sulla completezza della produzione
statistica. Non è un caso che la produzione di statistiche sociali e ambientali ne sia risultata
penalizzata. Non è un caso che la produzione di queste statistiche sia stata per molti anni
l’ultima ad essere considerata nelle priorità, la prima ad essere tagliata . D’altro canto se
prioritaria viene considerata l'azione economica dai governi e poco spazio viene dato alle
politiche sociali e ambientali, prioritarie diventano le statistiche economiche e i "soggetti
produttivi". E' così che in primo piano venivano posti i soggetti appartenenti alle forze di
lavoro, in genere i maschi adulti e, solo con ritardo, si coglie la necessità di allargare il campo di
interesse agli altri. Ne hanno fatto le spese le donne in primo luogo, (il loro lavoro in gran parte
non retribuito non viene preso in considerazione dal PIL), ma anche i bambini, gli anziani e i
disabili per decenni invisibili nelle statistiche ufficiali o utilizzati solo come appendice (i bambini
in quanto figli perché le nascite calavano, gli anziani in quanto ‘peso’ per la crescita
dell’invecchiamento della popolazione): ne hanno fatto le spese in generale i cittadini non
considerati come soggetti sociali portatori di bisogni da misurare. Un’OTTICA GENDER
BLIND diremmo in inglese, cieca dal punto di vista del genere, ma anche age blind e citizen blind è
stata egemone nel nostro Paese e in tutti i Paesi del mondo per decenni. Ma questo ormai,
possiamo dirlo con forza, è il nostro passato. L’Istituto Nazionale di Statistica italiano non si
trova più in questa situazione, ha iniziato a rompere questa logica a partire dagli anni’90, quando
ha avviato una vera e propria rivoluzione copernicana, e si è imposto un reale approccio di genere
nelle statistiche ufficiali. Noi abbiamo iniziato prima della conferenza mondiale delle donne di
Pechino. Dagli anni ‘90 i cittadini sono stati posti al centro della statistica ufficiale con i loro
bisogni e le loro esigenze. La misurazione della qualità della vita è entrata prepotentemente nella
nostra produzione quotidiana. E’ cresciuta l’attenzione alle tematiche ambientali e allo sviluppo
sostenibile. Tutte le aree del sociale sono state indagate, sia rilevando quesiti soggettivi, di
opinione, soddisfazione o valutazione della propria situazione, sia quelli oggettivi. I bambini , i
giovani, le donne, gli anziani, i disabili e ora anche i migranti, e gli homeless, non sono più
invisibili nelle statistiche ufficiali, sono a tutti gli effetti soggetti delle nostre rilevazioni
statistiche con i loro bisogni . E questo è stato un salto di qualità fondamentale non solo per
l’Istat, non solo per la ricerca ma per i cittadini, per il Paese, per la nostra democrazia.
L’Istat è già molto avanti nella rilevazione di informazioni utili a misurare il benessere della
popolazione, rileva fenomeni considerati fino a poco tempo fa tabù nell’ambito delle
statistiche ufficiali come la violenza contro le donne, per secoli invisibile perché non
denunciata e neanche raccontata da chi l’aveva subita. Siamo ormai considerati
all’avanguardia su questo terreno a livello internazionale. Ci siamo aperti alla misurazione di
nuove complesse tematiche come le discriminazioni per origine etnica, e per orientamento
sessuale, vere e proprie sfide che necessitano di strategie di misurazione nuove, di creatività
accanto a rigore metodologico. Tutti hanno ormai ‘diritto di cittadinanza’ all’interno delle
statistiche ufficiali e ciò sarà fondamentale per garantirci la fiducia dei cittadini. Non si
governa senza informazione statistica affidabile, ma l’informazione statistica oltre ad essere
affidabile deve essere democratica, non deve escludere nessuno, nessun soggetto sociale, nessuna
area tematica, nessun tipo di quesito utile socialmente, neanche quelli soggettivi , di soddisfazione e
percezione che alcuni istituti di Statistica si ostinano ancora a non considerare adatti alle rilevazioni
ufficiali. Non si fa un servizio alla nostra democrazia se oltre al tasso di inflazione e di
disoccupazione, oltre al PIL non si produce informazione statistica ufficiale su quanto per
esempio, i cittadini e in particolare le donne si sentano liberi di uscire la sera quando è buio, o
quanto siano soddisfatti del funzionamento dei servizi di pubblica utilità, o quanto ampi siano
i pregiudizi nei confronti dei migranti, o l’omofobia nel nostro Paese o quanto le persone
l.g.b.t. hanno subito discriminazioni nel nostro Paese. Si tratta di informazioni fondamentali per
le politiche di prevenzione e contrasto che l’Istat rileva ormai in modo crescente, ma che sempre più
dovrebbero arricchire la produzione statistica ufficiale, perché sono elementi essenziali per il
miglioramento della nostra democrazia. Quanto più riusciremo a rappresentare la realtà del
nostro Paese ad ampio spettro, anche tenendo conto della situazione delle minoranze e dei segmenti
più piccoli, quanto più riusciremo a dare una immagine di quanto i diritti delle persone siano
rispettati, tanto meglio riusciremo a svolgere le nostre rilevazioni, perché le persone si accorgeranno
che le nostre rilevazioni servono, sono utili socialmente e forniscono un’ immagine reale della
situazione che vive il Paese, perché diamo voce ai cittadini. Per questo oggi io non ho esitazioni a
dire che siamo pronti a lanciare questa nuova sfida sul benessere: perché abbiamo alle spalle
un percorso lungo di innovazione che è stato un percorso di ampliamento di informazione in
un’ottica di qualità della vita, esattamente quello raccomandato da Stieglitz per la
misurazione del benessere. Noi in gran parte l’abbiamo già fatto. In sostanza abbiamo le carte in
regola per partire, abbiamo gli ingredienti di base.
Ma quali sono i passi nel concreto che dovremo fare per arrivare a costruire i nuovi indicatori del
benessere. La commissione Stiglitz ha sottolineato tre filoni fondamentali su cui è necessario
impegnarsi. Partiamo da questi. Primo. E’ necessario trovare un modo migliore di elaborare il
Pil e di presentarne i risultati (per esempio, ciò significa dare una maggiore attenzione al reddito
effettivo delle famiglie e alla distribuzione della ricchezza, tener conto anche del lavoro non
retribuito attraverso la misurazione di un conto satellite); secondo, è necessario mettere a punto
adeguati indici di benessere non economico, che tengano conto, sia di elementi soggettivi che
oggettivi; terzo è necessario misurare l’impatto della crescita della ricchezza e del benessere di
oggi sul capitale economico, ma anche ambientale, umano, sociale, tramandato alle nuove
generazioni. Insomma ciò che è ormai chiaro è che servono strumenti di misura nuovi e che
dovremo avere la capacità di tener conto del benessere umano ma anche di quello dell’ecosistema.
Il compito che abbiamo di fronte non è semplice, perché non potremo costruire un unico
indicatore, ma non potremo neanche costruirne troppi . Non possiamo costruirne uno solo
perché più sintetizziamo in un unico indicatore tante informazioni, più perderemmo informazione
sulle reali dinamiche delle diverse componenti. E per le stesse politiche è fondamentale capire come
variano nel tempo le diverse dimensioni del benessere. Ma per costruire pochi indicatori
significativi, magari uno per dimensione ritenuta strategica, dovremo avere la capacità di
valorizzare la ricchezza di indicatori che abbiamo a disposizione per ciascuna dimensione. Come
abbiamo visto l’Italia rileva ormai un’ampia gamma di indicatori rilevanti, il problema non sarà
tanto rilevarne altri, quanto individuarne un set significativo. Ma quali passi dovremo fare per
raggiungere questo obiettivo? Il primo passo sarà individuare quali sono le dimensioni
strategiche da considerare. La salute? L’ecosistema? Il lavoro? Le relazioni sociali? La cultura?
La sicurezza? Solo per fare alcuni esempi. Questa è la prima scelta da fare. Per ognuna di queste
dovremo cominciare ad analizzare gli indicatori esistenti, soggettivi e oggettivi, quelli che
abbiamo già disponibili e verificare se è necessario misurarne di nuovi, e procedere verso la
costruzione di indicatori compositi che ci permettano di delineare che cosa sta succedendo
rispetto a ciascuna dimensione. Tra questi probabilmente dovremo inserire una dimensione sul
subjective wellbeing, la soddisfazione sulla propria vita, che sarà importante capire come si
connetterà con gli indicatori compositi relativi alle altre dimensioni.
Metodologie adeguate dovranno essere trovate per sintetizzare gli indicatori che avremo scelto
come più rilevanti. Cercherò di fare qualche esempio per mettere in luce il forte intreccio tra
merito e metodo che dovremo sempre tenere presente. Parto dalla salute, noi sappiamo che senza
la salute non può esserci benessere umano. Penso che tutti saremo d’accordo nel considerarla una
dimensione essenziale che entrerà nella misurazione del benessere. Ma che cosa sta succedendo nel
nostro Paese? Le prospettive di sopravvivenza della popolazione italiana non sono mai state
così favorevoli; la vita media continua a far registrare importanti incrementi a causa della sensibile
riduzione di mortalità nelle età adulte e anziane. I risultati sono importanti anche in termini di
qualità della sopravvivenza. Nell’arco di 10 anni, infatti, si sono registrati guadagni significativi
nella speranza di vita libera da disabilità, con alcuni non banali cambiamenti, perchè il vantaggio
femminile esiste ancora, ma si va progressivamente riducendo. E’ successo che la maggiore
longevità delle donne non è stata accompagnata da un miglioramento di pari entità della qualità
della sopravvivenza. Le donne sono infatti afflitte, più frequentemente e più precocemente rispetto
agli uomini, da malattie meno letali, ma con un decorso che degenera in situazioni invalidanti.
Comunque, la promozione di corretti stili di vita è stato un fattore fondamentale, che ha
contribuito a determinare i risultati ottenuti sul piano della sopravvivenza. Basta pensare al
calo del fumo e al calo dei tumori correlati all’abitudine al fumo. Va però detto che il cambiamento
di stili di vita potrebbe non portare in futuro notizie positive per lo meno per alcuni soggetti. Basta
pensare alle nuove generazioni di donne che fumano di più delle precedenti e bevono più alcool, per
le quali quindi i fattori di rischio saranno diversi da quelli delle generazioni precedenti se si
prolungheranno i nuovi stili di vita nel corso della vita. Oppure alle popolazioni del sud, che in
seguito al cambiamento delle abitudini alimentari, a causa dell’introduzione e della diffusione di
cibi industriali ricchi di zuccheri e grassi, stanno perdendo quel vantaggio che gli derivava dalla
“dieta mediterranea”, considerata preventiva per diversi tipi di tumore.
Bene…. come riusciremo a sintetizzare tutto questo in un indicatore? Non sarà semplice
soprattutto perché disponiamo ormai sulla salute di un ampio ventaglio di indicatori, dalla
mortalità, alla salute, agli stili di vita, sia di natura oggettiva che soggettiva e anzi su quest’ultimo
fronte abbiamo messo a regime un indicatore di benessere fisico e uno mentale, utilizzando la scala
SF12, ai servizi. Ma poniamo di essere arrivati a definire questo complicato indicatore composito. I
problemi non finiscono qui. Sarà sufficiente sapere che l’indicatore di salute è migliorato?
Assolutamente no. Dai dati sulle condizioni di salute e sulla mortalità emerge la presenza di
disuguaglianze nelle condizioni di salute. Le persone che godono di una posizione sociale più alta,
che hanno un titolo di studio elevato, un lavoro di prestigio e ben remunerato godono di migliori
condizioni di salute, si ammalano di meno, sono meno colpiti da disabilità, sanno proteggere meglio
la propria salute anche con la prevenzione, rispetto a coloro che occupano nella società una
posizione più bassa. Se l’indicatore di salute dovesse migliorare, ma le disuguaglianze aumentare
non potremmo dare da un punto di vista del benessere la stessa valutazione positiva di un
miglioramento delle condizioni di salute affiancato da una diminuzione delle disuguaglianze.
Questo eleva il livello di complessità della misurazione e non riguarda solo la salute. Facciamo un
altro esempio. Consideriamo la formazione. Anche questa è una dimensione fondamentale per il
benessere. Bene, l’Italia è un paese in fondo alle classifiche dei paesi avanzati per numero di
laureati, competenze dei giovani, degli adulti, abbandoni scolastici, una situazione critica. Ma a ciò
si aggiunge che emerge una forte disuguaglianza nell’acquisizione del titolo di studio superiore o
della laurea da parte dei figli delle famiglie operaie rispetto a quelle di status sociale più alto. E’ un
problema storico del nostro Paese. Questa situazione si è tramandata di generazione in
generazione e ha evidenziato una mobilità sociale bloccata, le differenze sociali nell’accesso
all’istruzione superiore e alla laurea non si sono particolarmente ridotte. Abbiamo una
percentuale di laureati più bassa che in Europa anche per questo motivo, perché pochi figli delle
classi popolari arrivano all’università, oppure in molti casi se ci arrivano la interrompono prima di
laurearsi. Ebbene, avremo la necessità nell’ottica del benessere di valutare il miglioramento dell’
indicatore che misurerà la dimensione istruzione. Ma una volta costruito l’indice composito, questo
non basterà, dovremo avere gli strumenti per capire quanto il miglioramento riguarda anche le
differenze sociali, perché solo ciò può darci una visione di ciò che ci aspetta nel futuro. Un figlio
con genitori con basso titolo di studio ha maggiori probabilità di avere a sua volta un basso titolo di
studio e di tramandarlo ai suoi figli. Avrà una maggiore probabilità di non utilizzare nuove
tecnologie, di non leggere, di non fruire di spettacoli culturali e di tramandare la sua deprivazione ai
suoi figli. Rompere la trasmissione intergenerazionale del’esclusione sociale è fondamentale
nell’ottica del benessere globale, che per questo deve essere misurato come benessere equo. Non
basta, dunque, costruire un indicatore composito per ogni dimensione fondamentale del benessere e
valutare il suo andamento. E’ necessario valutare anche se le disuguaglianze rispetto a quella
dimensione si sono modificate. E ciò rende più complesso il tutto, ma anche molto affascinante.
Ma non dovremo soltanto misurare il benessere equo ma anche il benessere sostenibile. Essere
su un sentiero di sviluppo sostenibile implica che la generazione corrente soddisfi i propri
bisogni senza intaccare la possibilità che anche la generazione futura possa fare altrettanto. In
termini più rigorosi, ciò deve implicare che la generazione futura abbia una dotazione sufficiente di
capitale per realizzare i propri obiettivi. Poiché è il "capitale" che ogni generazione lascia alla
successiva che determina le condizioni di partenza di quest'ultima, la sostenibilità implica un non
depauperamento di tale dotazione complessiva. E’ancora attuale la definizione data nel Rapporto
ONU del 1987, per cui un processo di sviluppo è sostenibile se “soddisfa i bisogni del presente
senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. La
misurazione non è semplice. La sostenibilità si riferisce certamente all’ecosistema, ma comprende
elementi di carattere economico e sociale e può essere misurata solamente guardando agli stock di
capitale che la generazione attuale lascia in dote a quelle successive (stock di capitale prodotto, di
capitale naturale, di capitale sociale e di capitale umano). Misurare la sostenibilità delle condizioni
ambientali, sociali ed economiche di un paese è estremamente complesso, dovremo costruire anche
queste misure.
Come si vede è una grande sfida quella che stiamo lanciando. E proprio per questo la vogliamo
lanciare con un approccio condiviso. Se faremo lo sforzo di produrre le nuove misure e
queste non saranno condivise nel nostro Paese, difficilmente potranno essere utilizzate per le
politiche. Siamo, dunque, di fronte non solo ad una sfida scientifica ma anche politica.
Dobbiamo essere coscienti che il successo di qualsiasi indice dipende anche dalla volontà dei
decisori di servirsene per le future scelte strategiche e dalla volontà delle parti sociali di
riconoscerli. Si tratta, quindi per noi sì di costruire i nuovi indicatori compositi, ma anche di farlo
attraverso un processo condiviso, i cittadini devono essere coinvolti e così anche le associazioni,
i sindacati, la politica. Perché saranno loro poi ad utilizzarli. Per questo, come primo passo,
lanceremo una grande consultazione con i cittadini per verificare quali sono le dimensioni
fondamentali da considerare per la misurazione del benessere e della qualità della vita delle
persone; vogliamo che i cittadini e le cittadine diventino protagonisti di questo processo.
Metteremo un quesito a questo scopo nella prossima Indagine multiscopo. Chiederemo loro
l’importanza (da 0 a10) di certi aspetti sulla qualità della vita delle persone, ad esempio, il presente
e il futuro dell’ambiente, il sentirsi sicuri nei confronti della criminalità; l’ avere un reddito
adeguato, l’avere un lavoro dignitoso e che ti soddisfa, l’essere felice in amore, l’avere buone
relazioni con parenti e amici, lo stare in buona salute, solo per fare alcuni esempi.
I cittadini diranno la loro. Saranno in 50000 a farlo a marzo nell’ambito dell’indagine multiscopo
aspetti della vita quotidiana. Ma ciò non basta. Come raccomandato dalla Commissione Stieglitz
sarà fondamentale la costituzione di tavoli di confronto tra tutti gli stakeholders a livello
nazionale. Il Cnel si è candidato a farlo e sarà cruciale in questo senso. L’associazionismo sarà
coinvolto. La consultazione sarà ampia anche nella comunità scientifica. Stiamo per costituire
una commissione tecnica che ci affiancherà nella scelta e sintesi degli indicatori per ogni
dimensione. Continuerà il nostro lavoro anche a livello internazionale, siamo già molto attivi in
questo senso. Ma questa sfida si può però vincere se non è solo nostra, se è accolta dalla
comunità scientifica, dalla politica e dalle parti sociali, dall’associazionismo, dai cittadini;
deve essere una sfida per tutti che dovremo vincere insieme. Insomma, questi indicatori
metteranno al centro le esigenze e la qualità della vita dei cittadini e delle cittadine del nostro Paese,
nonché la situazione dell’ecosistema, tenendo conto di tutte le dimensioni fondamentali del vivere e
di tutti i soggetti sociali. Il percorso darà voce ai cittadini e ai loro rappresentanti, sarà per
definizione un percorso democratico, e ciò si evidenzierà anche nel modo in cui
comunicheremo i dati, il più semplice possibile, accessibile a tutti.
Questo per noi è costruire l’informazione statistica bene pubblico, utile alla collettività e volta a
soddisfare gli interessi dei cittadini. Mettere al centro i bisogni dei cittadini, misurare il
benessere globale e la qualità della vita, ma fare tutto ciò con un processo condiviso.

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L.L. Sabbadini: Nuovi indicatori di benessere

  • 1. X Conferenza Nazionale di Statistica bozza Nuovi indicatori di benessere Linda Laura Sabbadini Direttore Centrale Istat Comincio con un certo disagio terminologico, wellbeing in inglese ha un significato più ampio di benessere in italiano, in italiano assume una connotazione fortemente economica. In questa sede lo intenderò in un senso ampio che comprende la qualità della vita, ne parlerò come di benessere globale. Ebbene possiamo affermarlo il Pil non è sufficiente a misurare il benessere globale di una popolazione. Ormai sono d’accordo tutti. Lo hanno detto gli studiosi di area sociale e di qualità della vita ormai da anni, lo dicono oggi a gran voce gli economisti, lo ha detto con forza l’OCSE, e anche la Commissione Europea. Lo ha sostenuto l’associazionismo e anche la politica. Non è un caso che il Presidente Sarkozy abbia costituito la Commissione Stiglitz, guidata da due premi nobel e di cui ha fatto parte anche il nostro presidente che ha prodotto raccomandazioni, dopo che già l’OCSE aveva identificato un nuovo quadro concettuale sul benessere. Ma tutto ciò non significa che vogliamo per così dire ‘rottamare’ il pil. Vogliamo affiancare al pil misure del benessere globale. La sfida è grande e mette in gioco la nostra capacità di tener conto nel processo di misurazione, del complesso della qualità della vita delle persone, della situazione dell’ecosistema, di come stanno le generazioni di oggi e di come potranno stare le successive, alla luce del capitale che noi stessi saremo stati in grado di trasmettere. Ma siamo pronti come Paese? Siamo in condizione di lanciare questa nuova sfida? Io penso proprio di si, perché già una grande rivoluzione copernicana l’abbiamo fatta. Per molto tempo sono esistiti "squilibri" nell'attenzione alle differenti aree tematiche da parte degli Istituti Nazionali di Statistica, compreso il nostro. Gli Istituti di Statistica sono stati caratterizzati da una visione "economicocentrica" per decenni. Gli elementi per la conoscenza e la lettura della società nel suo complesso non sempre sono stati presenti e ciò ha inciso sulla completezza della produzione statistica. Non è un caso che la produzione di statistiche sociali e ambientali ne sia risultata penalizzata. Non è un caso che la produzione di queste statistiche sia stata per molti anni l’ultima ad essere considerata nelle priorità, la prima ad essere tagliata . D’altro canto se prioritaria viene considerata l'azione economica dai governi e poco spazio viene dato alle politiche sociali e ambientali, prioritarie diventano le statistiche economiche e i "soggetti produttivi". E' così che in primo piano venivano posti i soggetti appartenenti alle forze di lavoro, in genere i maschi adulti e, solo con ritardo, si coglie la necessità di allargare il campo di interesse agli altri. Ne hanno fatto le spese le donne in primo luogo, (il loro lavoro in gran parte non retribuito non viene preso in considerazione dal PIL), ma anche i bambini, gli anziani e i disabili per decenni invisibili nelle statistiche ufficiali o utilizzati solo come appendice (i bambini in quanto figli perché le nascite calavano, gli anziani in quanto ‘peso’ per la crescita dell’invecchiamento della popolazione): ne hanno fatto le spese in generale i cittadini non considerati come soggetti sociali portatori di bisogni da misurare. Un’OTTICA GENDER BLIND diremmo in inglese, cieca dal punto di vista del genere, ma anche age blind e citizen blind è stata egemone nel nostro Paese e in tutti i Paesi del mondo per decenni. Ma questo ormai, possiamo dirlo con forza, è il nostro passato. L’Istituto Nazionale di Statistica italiano non si trova più in questa situazione, ha iniziato a rompere questa logica a partire dagli anni’90, quando ha avviato una vera e propria rivoluzione copernicana, e si è imposto un reale approccio di genere nelle statistiche ufficiali. Noi abbiamo iniziato prima della conferenza mondiale delle donne di Pechino. Dagli anni ‘90 i cittadini sono stati posti al centro della statistica ufficiale con i loro
  • 2. bisogni e le loro esigenze. La misurazione della qualità della vita è entrata prepotentemente nella nostra produzione quotidiana. E’ cresciuta l’attenzione alle tematiche ambientali e allo sviluppo sostenibile. Tutte le aree del sociale sono state indagate, sia rilevando quesiti soggettivi, di opinione, soddisfazione o valutazione della propria situazione, sia quelli oggettivi. I bambini , i giovani, le donne, gli anziani, i disabili e ora anche i migranti, e gli homeless, non sono più invisibili nelle statistiche ufficiali, sono a tutti gli effetti soggetti delle nostre rilevazioni statistiche con i loro bisogni . E questo è stato un salto di qualità fondamentale non solo per l’Istat, non solo per la ricerca ma per i cittadini, per il Paese, per la nostra democrazia. L’Istat è già molto avanti nella rilevazione di informazioni utili a misurare il benessere della popolazione, rileva fenomeni considerati fino a poco tempo fa tabù nell’ambito delle statistiche ufficiali come la violenza contro le donne, per secoli invisibile perché non denunciata e neanche raccontata da chi l’aveva subita. Siamo ormai considerati all’avanguardia su questo terreno a livello internazionale. Ci siamo aperti alla misurazione di nuove complesse tematiche come le discriminazioni per origine etnica, e per orientamento sessuale, vere e proprie sfide che necessitano di strategie di misurazione nuove, di creatività accanto a rigore metodologico. Tutti hanno ormai ‘diritto di cittadinanza’ all’interno delle statistiche ufficiali e ciò sarà fondamentale per garantirci la fiducia dei cittadini. Non si governa senza informazione statistica affidabile, ma l’informazione statistica oltre ad essere affidabile deve essere democratica, non deve escludere nessuno, nessun soggetto sociale, nessuna area tematica, nessun tipo di quesito utile socialmente, neanche quelli soggettivi , di soddisfazione e percezione che alcuni istituti di Statistica si ostinano ancora a non considerare adatti alle rilevazioni ufficiali. Non si fa un servizio alla nostra democrazia se oltre al tasso di inflazione e di disoccupazione, oltre al PIL non si produce informazione statistica ufficiale su quanto per esempio, i cittadini e in particolare le donne si sentano liberi di uscire la sera quando è buio, o quanto siano soddisfatti del funzionamento dei servizi di pubblica utilità, o quanto ampi siano i pregiudizi nei confronti dei migranti, o l’omofobia nel nostro Paese o quanto le persone l.g.b.t. hanno subito discriminazioni nel nostro Paese. Si tratta di informazioni fondamentali per le politiche di prevenzione e contrasto che l’Istat rileva ormai in modo crescente, ma che sempre più dovrebbero arricchire la produzione statistica ufficiale, perché sono elementi essenziali per il miglioramento della nostra democrazia. Quanto più riusciremo a rappresentare la realtà del nostro Paese ad ampio spettro, anche tenendo conto della situazione delle minoranze e dei segmenti più piccoli, quanto più riusciremo a dare una immagine di quanto i diritti delle persone siano rispettati, tanto meglio riusciremo a svolgere le nostre rilevazioni, perché le persone si accorgeranno che le nostre rilevazioni servono, sono utili socialmente e forniscono un’ immagine reale della situazione che vive il Paese, perché diamo voce ai cittadini. Per questo oggi io non ho esitazioni a dire che siamo pronti a lanciare questa nuova sfida sul benessere: perché abbiamo alle spalle un percorso lungo di innovazione che è stato un percorso di ampliamento di informazione in un’ottica di qualità della vita, esattamente quello raccomandato da Stieglitz per la misurazione del benessere. Noi in gran parte l’abbiamo già fatto. In sostanza abbiamo le carte in regola per partire, abbiamo gli ingredienti di base. Ma quali sono i passi nel concreto che dovremo fare per arrivare a costruire i nuovi indicatori del benessere. La commissione Stiglitz ha sottolineato tre filoni fondamentali su cui è necessario impegnarsi. Partiamo da questi. Primo. E’ necessario trovare un modo migliore di elaborare il Pil e di presentarne i risultati (per esempio, ciò significa dare una maggiore attenzione al reddito effettivo delle famiglie e alla distribuzione della ricchezza, tener conto anche del lavoro non retribuito attraverso la misurazione di un conto satellite); secondo, è necessario mettere a punto adeguati indici di benessere non economico, che tengano conto, sia di elementi soggettivi che oggettivi; terzo è necessario misurare l’impatto della crescita della ricchezza e del benessere di oggi sul capitale economico, ma anche ambientale, umano, sociale, tramandato alle nuove generazioni. Insomma ciò che è ormai chiaro è che servono strumenti di misura nuovi e che dovremo avere la capacità di tener conto del benessere umano ma anche di quello dell’ecosistema.
  • 3. Il compito che abbiamo di fronte non è semplice, perché non potremo costruire un unico indicatore, ma non potremo neanche costruirne troppi . Non possiamo costruirne uno solo perché più sintetizziamo in un unico indicatore tante informazioni, più perderemmo informazione sulle reali dinamiche delle diverse componenti. E per le stesse politiche è fondamentale capire come variano nel tempo le diverse dimensioni del benessere. Ma per costruire pochi indicatori significativi, magari uno per dimensione ritenuta strategica, dovremo avere la capacità di valorizzare la ricchezza di indicatori che abbiamo a disposizione per ciascuna dimensione. Come abbiamo visto l’Italia rileva ormai un’ampia gamma di indicatori rilevanti, il problema non sarà tanto rilevarne altri, quanto individuarne un set significativo. Ma quali passi dovremo fare per raggiungere questo obiettivo? Il primo passo sarà individuare quali sono le dimensioni strategiche da considerare. La salute? L’ecosistema? Il lavoro? Le relazioni sociali? La cultura? La sicurezza? Solo per fare alcuni esempi. Questa è la prima scelta da fare. Per ognuna di queste dovremo cominciare ad analizzare gli indicatori esistenti, soggettivi e oggettivi, quelli che abbiamo già disponibili e verificare se è necessario misurarne di nuovi, e procedere verso la costruzione di indicatori compositi che ci permettano di delineare che cosa sta succedendo rispetto a ciascuna dimensione. Tra questi probabilmente dovremo inserire una dimensione sul subjective wellbeing, la soddisfazione sulla propria vita, che sarà importante capire come si connetterà con gli indicatori compositi relativi alle altre dimensioni. Metodologie adeguate dovranno essere trovate per sintetizzare gli indicatori che avremo scelto come più rilevanti. Cercherò di fare qualche esempio per mettere in luce il forte intreccio tra merito e metodo che dovremo sempre tenere presente. Parto dalla salute, noi sappiamo che senza la salute non può esserci benessere umano. Penso che tutti saremo d’accordo nel considerarla una dimensione essenziale che entrerà nella misurazione del benessere. Ma che cosa sta succedendo nel nostro Paese? Le prospettive di sopravvivenza della popolazione italiana non sono mai state così favorevoli; la vita media continua a far registrare importanti incrementi a causa della sensibile riduzione di mortalità nelle età adulte e anziane. I risultati sono importanti anche in termini di qualità della sopravvivenza. Nell’arco di 10 anni, infatti, si sono registrati guadagni significativi nella speranza di vita libera da disabilità, con alcuni non banali cambiamenti, perchè il vantaggio femminile esiste ancora, ma si va progressivamente riducendo. E’ successo che la maggiore longevità delle donne non è stata accompagnata da un miglioramento di pari entità della qualità della sopravvivenza. Le donne sono infatti afflitte, più frequentemente e più precocemente rispetto agli uomini, da malattie meno letali, ma con un decorso che degenera in situazioni invalidanti. Comunque, la promozione di corretti stili di vita è stato un fattore fondamentale, che ha contribuito a determinare i risultati ottenuti sul piano della sopravvivenza. Basta pensare al calo del fumo e al calo dei tumori correlati all’abitudine al fumo. Va però detto che il cambiamento di stili di vita potrebbe non portare in futuro notizie positive per lo meno per alcuni soggetti. Basta pensare alle nuove generazioni di donne che fumano di più delle precedenti e bevono più alcool, per le quali quindi i fattori di rischio saranno diversi da quelli delle generazioni precedenti se si prolungheranno i nuovi stili di vita nel corso della vita. Oppure alle popolazioni del sud, che in seguito al cambiamento delle abitudini alimentari, a causa dell’introduzione e della diffusione di cibi industriali ricchi di zuccheri e grassi, stanno perdendo quel vantaggio che gli derivava dalla “dieta mediterranea”, considerata preventiva per diversi tipi di tumore. Bene…. come riusciremo a sintetizzare tutto questo in un indicatore? Non sarà semplice soprattutto perché disponiamo ormai sulla salute di un ampio ventaglio di indicatori, dalla mortalità, alla salute, agli stili di vita, sia di natura oggettiva che soggettiva e anzi su quest’ultimo fronte abbiamo messo a regime un indicatore di benessere fisico e uno mentale, utilizzando la scala SF12, ai servizi. Ma poniamo di essere arrivati a definire questo complicato indicatore composito. I problemi non finiscono qui. Sarà sufficiente sapere che l’indicatore di salute è migliorato? Assolutamente no. Dai dati sulle condizioni di salute e sulla mortalità emerge la presenza di disuguaglianze nelle condizioni di salute. Le persone che godono di una posizione sociale più alta, che hanno un titolo di studio elevato, un lavoro di prestigio e ben remunerato godono di migliori
  • 4. condizioni di salute, si ammalano di meno, sono meno colpiti da disabilità, sanno proteggere meglio la propria salute anche con la prevenzione, rispetto a coloro che occupano nella società una posizione più bassa. Se l’indicatore di salute dovesse migliorare, ma le disuguaglianze aumentare non potremmo dare da un punto di vista del benessere la stessa valutazione positiva di un miglioramento delle condizioni di salute affiancato da una diminuzione delle disuguaglianze. Questo eleva il livello di complessità della misurazione e non riguarda solo la salute. Facciamo un altro esempio. Consideriamo la formazione. Anche questa è una dimensione fondamentale per il benessere. Bene, l’Italia è un paese in fondo alle classifiche dei paesi avanzati per numero di laureati, competenze dei giovani, degli adulti, abbandoni scolastici, una situazione critica. Ma a ciò si aggiunge che emerge una forte disuguaglianza nell’acquisizione del titolo di studio superiore o della laurea da parte dei figli delle famiglie operaie rispetto a quelle di status sociale più alto. E’ un problema storico del nostro Paese. Questa situazione si è tramandata di generazione in generazione e ha evidenziato una mobilità sociale bloccata, le differenze sociali nell’accesso all’istruzione superiore e alla laurea non si sono particolarmente ridotte. Abbiamo una percentuale di laureati più bassa che in Europa anche per questo motivo, perché pochi figli delle classi popolari arrivano all’università, oppure in molti casi se ci arrivano la interrompono prima di laurearsi. Ebbene, avremo la necessità nell’ottica del benessere di valutare il miglioramento dell’ indicatore che misurerà la dimensione istruzione. Ma una volta costruito l’indice composito, questo non basterà, dovremo avere gli strumenti per capire quanto il miglioramento riguarda anche le differenze sociali, perché solo ciò può darci una visione di ciò che ci aspetta nel futuro. Un figlio con genitori con basso titolo di studio ha maggiori probabilità di avere a sua volta un basso titolo di studio e di tramandarlo ai suoi figli. Avrà una maggiore probabilità di non utilizzare nuove tecnologie, di non leggere, di non fruire di spettacoli culturali e di tramandare la sua deprivazione ai suoi figli. Rompere la trasmissione intergenerazionale del’esclusione sociale è fondamentale nell’ottica del benessere globale, che per questo deve essere misurato come benessere equo. Non basta, dunque, costruire un indicatore composito per ogni dimensione fondamentale del benessere e valutare il suo andamento. E’ necessario valutare anche se le disuguaglianze rispetto a quella dimensione si sono modificate. E ciò rende più complesso il tutto, ma anche molto affascinante. Ma non dovremo soltanto misurare il benessere equo ma anche il benessere sostenibile. Essere su un sentiero di sviluppo sostenibile implica che la generazione corrente soddisfi i propri bisogni senza intaccare la possibilità che anche la generazione futura possa fare altrettanto. In termini più rigorosi, ciò deve implicare che la generazione futura abbia una dotazione sufficiente di capitale per realizzare i propri obiettivi. Poiché è il "capitale" che ogni generazione lascia alla successiva che determina le condizioni di partenza di quest'ultima, la sostenibilità implica un non depauperamento di tale dotazione complessiva. E’ancora attuale la definizione data nel Rapporto ONU del 1987, per cui un processo di sviluppo è sostenibile se “soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. La misurazione non è semplice. La sostenibilità si riferisce certamente all’ecosistema, ma comprende elementi di carattere economico e sociale e può essere misurata solamente guardando agli stock di capitale che la generazione attuale lascia in dote a quelle successive (stock di capitale prodotto, di capitale naturale, di capitale sociale e di capitale umano). Misurare la sostenibilità delle condizioni ambientali, sociali ed economiche di un paese è estremamente complesso, dovremo costruire anche queste misure. Come si vede è una grande sfida quella che stiamo lanciando. E proprio per questo la vogliamo lanciare con un approccio condiviso. Se faremo lo sforzo di produrre le nuove misure e queste non saranno condivise nel nostro Paese, difficilmente potranno essere utilizzate per le politiche. Siamo, dunque, di fronte non solo ad una sfida scientifica ma anche politica. Dobbiamo essere coscienti che il successo di qualsiasi indice dipende anche dalla volontà dei decisori di servirsene per le future scelte strategiche e dalla volontà delle parti sociali di riconoscerli. Si tratta, quindi per noi sì di costruire i nuovi indicatori compositi, ma anche di farlo attraverso un processo condiviso, i cittadini devono essere coinvolti e così anche le associazioni,
  • 5. i sindacati, la politica. Perché saranno loro poi ad utilizzarli. Per questo, come primo passo, lanceremo una grande consultazione con i cittadini per verificare quali sono le dimensioni fondamentali da considerare per la misurazione del benessere e della qualità della vita delle persone; vogliamo che i cittadini e le cittadine diventino protagonisti di questo processo. Metteremo un quesito a questo scopo nella prossima Indagine multiscopo. Chiederemo loro l’importanza (da 0 a10) di certi aspetti sulla qualità della vita delle persone, ad esempio, il presente e il futuro dell’ambiente, il sentirsi sicuri nei confronti della criminalità; l’ avere un reddito adeguato, l’avere un lavoro dignitoso e che ti soddisfa, l’essere felice in amore, l’avere buone relazioni con parenti e amici, lo stare in buona salute, solo per fare alcuni esempi. I cittadini diranno la loro. Saranno in 50000 a farlo a marzo nell’ambito dell’indagine multiscopo aspetti della vita quotidiana. Ma ciò non basta. Come raccomandato dalla Commissione Stieglitz sarà fondamentale la costituzione di tavoli di confronto tra tutti gli stakeholders a livello nazionale. Il Cnel si è candidato a farlo e sarà cruciale in questo senso. L’associazionismo sarà coinvolto. La consultazione sarà ampia anche nella comunità scientifica. Stiamo per costituire una commissione tecnica che ci affiancherà nella scelta e sintesi degli indicatori per ogni dimensione. Continuerà il nostro lavoro anche a livello internazionale, siamo già molto attivi in questo senso. Ma questa sfida si può però vincere se non è solo nostra, se è accolta dalla comunità scientifica, dalla politica e dalle parti sociali, dall’associazionismo, dai cittadini; deve essere una sfida per tutti che dovremo vincere insieme. Insomma, questi indicatori metteranno al centro le esigenze e la qualità della vita dei cittadini e delle cittadine del nostro Paese, nonché la situazione dell’ecosistema, tenendo conto di tutte le dimensioni fondamentali del vivere e di tutti i soggetti sociali. Il percorso darà voce ai cittadini e ai loro rappresentanti, sarà per definizione un percorso democratico, e ciò si evidenzierà anche nel modo in cui comunicheremo i dati, il più semplice possibile, accessibile a tutti. Questo per noi è costruire l’informazione statistica bene pubblico, utile alla collettività e volta a soddisfare gli interessi dei cittadini. Mettere al centro i bisogni dei cittadini, misurare il benessere globale e la qualità della vita, ma fare tutto ciò con un processo condiviso.