Quando si decide di partecipare a un workshop di fotografia, molto spesso la scelta avviene in base a tre caratteristiche: il genere preferito, il tipo di ripresa, e il desiderio di ottenere gli stessi risultati del fotografo che tiene il corso. Caratteristiche che non sempre si rivelano adeguate per decidere se è il corso che fa per noi perché basate su stimoli che potrebbero non essere sufficienti a raggiungere l’obiettivo che ci si è fissati. Proviamo a farci qualche domanda in più. In quanti ci chiediamo di cosa abbiamo effettivamente bisogno di imparare, cioè che cosa è opportuno apprendere prima ancora di quello che ci piacerebbe fare? In quanti siamo in grado di valutare il nostro livello fotografico non in base all’attrezzatura posseduta, ma riferendoci alle nostre reali capacità e competenze? Riusciamo a distinguere le potenzialità dai nostri limiti? Siamo consapevoli che tecnica fotografica e tecnologia degli strumenti che utilizziamo per fotografare non sono la stessa cosa? E ancora. Come valutiamo le capacità del master? Come capire se la didattica del master è adeguata al nostro livello? Infine: abbiamo chiaro il concetto che saper fare belle fotografie non necessariamente significa saper insegnare a fare belle fotografie?
In questo webinar verranno illustrati alcuni elementi che ci permetteranno di approcciarci alla scelta di un workshop con maggiore consapevolezza: nulla ci vieta di partecipare a un evento per puro piacere, bisognerebbe tuttavia saper distinguere tra il bisogno e il superfluo per permetterci una scelta più avveduta ed evitare delusioni.
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2. Premessa
Nei corsi di fotografia spesso domanda e offerta
faticano a capirsi, e ciò è causa di delusioni per chi
partecipa e chi insegna.
Lato allievo: la scarsa consapevolezza del proprio
livello fotografico e la difficoltà di gestione degli
strumenti che si utilizzano per fotografare, portano a
false percezioni su cosa aspettarsi da un corso.
Lato docente: poca comprensione delle reali esigenze
degli allievi, spesso inconsapevoli, al di là delle loro
aspettative palesate.
3. Obiettivo del webinar
Fornire alcuni spunti di riflessione: agli
amatori per aiutarli a focalizzare le
reali esigenze e, soprattutto, per
metterli nelle condizioni di farsi e fare
le domande più efficaci, prima e
durante un corso; ai professionisti per
perfezionare al meglio l’offerta, la
comunicazione e la didattica.
4. Gli equivoci più frequenti
”Che impostazioni stai
usando?”
“Non avevo capito che fosse
un corso per principianti!”
5. “Che impostazioni stai
usando?”
Uno degli equivoci più frequenti degli allievi è credere
che un corso di fotografia (che sia di tecnica,
composizione, estetica poco importa) si concretizzi in
un seminario sulle corrette impostazioni
dell’attrezzatura fotografica.
Si tende a confondere la tecnica fotografica con la
tecnologia degli strumenti che si utilizzano per
fotografare.
6. Un conto è chiedere come si fa una corretta lettura della
luce su una scena, un conto è aspettarsi di sapere come si
imposta la propria attrezzatura per ottenere il risultato
ottimale.
Aspettative lecite e in buona fede: vista la continua
immissione nel mercato di strumenti sempre più complessi
e sofisticati, fotografare non è più una semplice questione
di tempi, diaframmi, iso e bilanciamento del bianco.
Le difficoltà date dalla dominanza delle componenti
elettroniche nelle moderne attrezzature portano
inevitabilmente, durante un workshop, a perdere i
collegamenti con i fondamentali della fotografia: prevale
l’esigenza di capire come funziona il proprio corredo.
7. “Ma è un corso per neofiti???”
In molti corsi dedicati ai non principianti il
tutor è costretto a correggere ciò che dà per
scontato che l’allievo conosca, cioè i
fondamentali della fotografia: postura,
composizione, valutazione della scena in
base alla luce e alla posizione del soggetto.
Esempi pratici.
8. Consapevolezza, parola chiave
Nulla ci vieta di partecipare a un corso per puro
piacere, è necessario tuttavia saper distinguere tra il
bisogno e il superfluo, per evitare delusioni.
Magari siamo tra coloro che non sanno cosa vogliono,
ma di certo sappiamo riconoscerlo quando lo vediamo.
Oppure siamo fin troppo certi di saperlo, ma
ricordiamoci che nei workshop qualcosa si impara
sempre, anche se potrebbe non coincidere con quello
che ci si aspettava. Cerchiamo dunque di essere elastici
e aperti.
9. Capire il proprio livello
fotografico
Test dei fondamentali: mettiamo da parte la nostra
attrezzatura e prendiamoci un pomeriggio per testare
i nostri fondamentali. Con un cellulare o un tablet.
Perché questi strumenti? Lo scopo è di semplificarci la
vita, eliminando qualsiasi elemento di complicazione
in ripresa (rif: impostazioni attrezzatura).
Luogo in cui abbiamo già fotografato o persona che
abbiamo già ripreso: esercizi di composizione e
postura, considerando la scena solo in base alla luce e
alla posizione del soggetto. Scatti da ogni
angolazione, con differenti posture, soprattutto quelle
che di norma non siamo soliti tenere.
10. Il confronto
Mettiamo a confronto gli scatti della giornata con le
vecchie fotografie.
Siamo onesti: lo scopo è capire il nostro livello in base
alle reali competenze e capacità, non per le
performance delle attrezzature che possediamo.
E dunque, abbiamo bisogno di affinare i nostri
fondamentali (tecnici o estetici) oppure le basi sono
abbastanza solide e sentiamo l’esigenza di essere più
creativi per sviluppare uno stile personale?
11. Consigli di letture
“Saper vedere per fotografare”
di Giulio Forti, Editrice Reflex.
“Come fotografare a un livello superiore”
di George Barr, Edup.
12. La scelta del workshop
Una volta capito cosa abbiamo realmente bisogno di
imparare, passiamo all’analisi del workshop che ci
piacerebbe frequentare.
Attenta lettura del programma e, soprattutto, di come
viene presentato.
Ricerca sulla reputazione del tutor: non limitiamoci a
sfogliare il suo portfolio, ma chiediamoci come è
messo a didattica. E come comunica con i propri
allievi.
Il contatto con il tutor.
Saper fare belle fotografie non necessariamente significa
saper insegnare a fare belle fotografie.
13. Il programma ideale
In generale, quasi tutti i programmi tendono ad
assomigliarsi. Focalizziamoci su quelli che
illustrano gli obiettivi e l’approccio didattico: sono
elementi distintivi che ci aiutano nella scelta,
perché suggeriscono una particolare attenzione
nel rapporto con l’allievo.
La valutazione degli scatti prima, possibilmente
durante e dopo il workshop.
14. La richiesta di recensioni sul workshop:
significa che il tutor non ha alcun timore di
essere oggetto di valutazioni pubbliche e
condivise. Anche quelle negative.
La trasparenza, la precisione del dettaglio, lo
sforzo di presentare il workshop mettendosi
nei panni di chi dovrebbe parteciparvi, sono
altri elementi da ricercare nell’analisi del
programma.
15. La reputazione del tutor
Verificare sul sito del tutor se, oltre al
portfolio, dedica altrettanta importanza ad
articoli e/o tutorial didattici e alle recensioni
degli allievi dei suoi precedenti workshop.
Il sito non è solo un contenitore di
informazioni, riflette la personalità, la
professionalità e la visione del fotografo.
16. Non confondere le pubblicazioni e/o i clienti
per cui il tutor lavora o ha lavorato con
l’esperienza formativa.
Lavora a tempo pieno nella fotografia o è
un’attività che pratica solo durante i weekend?
Ricercare pareri nei forum, prestando tuttavia
attenzione: ricordiamoci che molte delle
lamentele partono da un’iniziale
incomprensione degli allievi o da
un’inadeguata presentazione del workshop.
17. Il contatto con il tutor
Non avere timore di scrivergli direttamente, facendo
ogni domanda, anche quella ritenuta più sciocca: il
nostro obiettivo è capire se sono il corso e il tutor che
fanno per noi, non dobbiamo preoccuparci di cosa
potrebbe pensare di noi.
Le risposte sono un modo per capire se il tutor ha
compreso il nostro livello e le nostre reali esigenze.
Soprattutto, se sarà in grado di porsi in modo
didatticamente adeguato alle nostre necessità.
18. Il rapporto con gli allievi: i
primi contatti in mail
Il tutor ideale dovrebbe sapere che per ogni
allievo è assai difficile capire il proprio reale
livello fotografico.
Le persone, durante i primi approcci in mail,
difficilmente manifestano sé stessi per quello
che sono: spetta al tutor andare oltre, leggere
tra le righe, capire il livello e il punto di vista
dell’allievo per intuirne le reali esigenze.
19. Come? Chiedendogli di spiegarci le sue
aspettative e di inviarci qualche fotografia. E’
un approccio che ci permetterà anche di tarare
il workshop sulla media fotografica dei
partecipanti.
Non aver timore di rifiutare un allievo: se sta
sbagliando workshop, indirizzarlo verso
colleghi più adeguati a soddisfare le sue
esigenze.
20. Sul campo: sbagliando si impara
Teniamo presente che in ogni workshop prevale l’ansia
dello scatto, sempre e comunque. Dunque, almeno
inizialmente, incentiviamo gli allievi a scattare per
come sono abituati.
Osserviamo i loro comportamenti, in particolare la
gestione delle priorità: è un approccio che ci permette
di capire come e dove intervenire.
Mostriamo loro gli errori, correggendo dove possibile
e, soprattutto, spiegando che più che capire cosa e
come fotografare, è prioritario sapere quando non
farlo e perché.
21. L’imprevisto
L’imprevisto è l’unica certezza di un workshop: se va di
lusso, ce n’è solo uno.
L’allievo particolarmente petulante, il timido o l’arrogante,
il faretto che si brucia, un obiettivo che cade, la struttura
che vi ospita che decide proprio quel giorno di bruciare le
frasche sulla scena da fotografare…
Situazioni che, se gestite nel giusto modo, possono
trasformarsi in opportunità fotografiche e in momenti di
complicità e divertimento.
La capacità di gestione delle criticità sul campo permette di
mantenere l’armonia del gruppo. E di fidelizzare gli allievi
che torneranno da noi non solo per le nostre capacità
formative, ma perché ci avranno scelto come persona
ideale cui ispirarsi. Magari non solo nella fotografia.
22. Spunti per nuove offerte formative
Si sente sempre dire che è fondamentale la
conoscenza del mezzo che si possiede: tuttavia ormai
anche con la l’attrezzatura fotografica vige la legge del
telecomando.
Su una media di 50 tasti, se ne utilizzano al massimo
una decina, compresi i numeri.
Delle due l’una: o in un telecomando ci sono 40 tasti
inutili (può anche essere, ma almeno verifichiamolo),
oppure forse è il caso di aiutare a far capire a cosa
servono.
23. Alcune delle recenti innovazioni tecnologiche
impattano pesantemente sulle abitudini di
ripresa.
E’ più che comprensibile moltissimi fotoamatori
sentano come prioritario il bisogno di capire come
funziona la propria attrezzatura. E cercano
risposte nei workshop tradizionali.
Se persino i marchi diffondono guide tecniche e
tutorial, differenti da quelli forniti con le
fotocamere, per l’utilizzo ottimale dei singoli
modelli di reflex in relazione a determinate
caratteristiche innovative, qualcosa vorrà pur dire.
24. Corsi monomarca
Perché non organizzare corsi sì di genere, ma focalizzati
esclusivamente su uno o due modelli di fotocamera di una
data marca associati al massimo a tre obiettivi?
Attività organizzate sia da professionisti legati a uno
specifico marchio, sia direttamente dai marchi stessi.
Approccio Learn, Touch&Try: “Questo prodotto può dare il
meglio di sé in determinati contesti, scene e con queste
specifiche impostazioni”.
Non una semplice prova prodotto, a partecipazione
gratuita, ma workshop tematici basati su attrezzature
specifiche.
25. La priorità dovrebbe essere quella di comunicare
adeguatamente all’utente Medio-world (ormai il
target più ambito da ogni marchio) le peculiarità del
prodotto con un approccio concreto a situazioni reali.
Non è la tecnologia che fa il risultato finale, ma la
corretta elaborazione delle informazioni che si stanno
trasmettendo.
Per concludere, è necessario far interagire le
informazioni, dimostrandone l’uso in un contesto di
pratica formativa e non di semplice dimostrazione
prodotto.
29. Claudia Rocchini
Nella fotografia, così come nella vita, è auspicabile saper cambiare spesso visione: visione grandangolo,
visione zoom, visione 35mm standard.
Con due raccomandazioni. La prima è ricordarsi di togliere il tappo dall’obiettivo. La seconda è una
massima di Talete: "Gli dei hanno dato agli uomini due orecchie e una bocca, per poter ascoltare il doppio
e parlare la metà".
Claudia Rocchini è nata a Pavia nel 1967. Ci vive ancora perché è la città ideale in cui ritornare. Ha tre
passioni nella vita: la fotografia, la scrittura, i viaggi e ha trovato il modo di farne un lavoro, tra alti e bassi
e con brevi periodi di disaffezione in cui ha fatto altro.
Ha iniziato giovanissima come giornalista politica ed esteri in quotidiani e periodici nazionali per poi
passare agli uffici stampa in differenti settori, aziendali e istituzionali, con solide esperienze in case
editrici nazionali e agenzie di Pr. Nel 2000 ha temporanemente abbandonato il giornalismo attivo e
passivo per dedicarsi al marketing strategico e alla comunicazione integrati (prodotti e servizi) con
incarichi di manager in associazioni di Confindustria e Confcommercio. Nel tempo, si è specializzata in
Community management e Social network communication, ritornando al giornalismo e alla fotografia.
Ha una rubrica fissa mensile, "Io fotografa", su FOTOGRAFIA REFLEX: pur non disdegnando la fotografia
di persone e luoghi, la sua predilezione va alla Natura e agli animali. Preferisce l'approccio empatico a
quello strettamente documentaristico: è solita dire che quando fotografa il suo obiettivo è tirar fuori il
lato umano dell'animale o far emergere il lato animale di se stessa.
Per aziende e privati, professionisti e marchi di settore si occupa anche di consulenze di comunicazione:
pur consapevole che nella società dell'immagine spesso l'apparenza è sinonimo di sostanza, preferisce
tuttavia mettere l'accento non tanto sul "purché se ne parli" ma sul "come" se ne parla.
Il suo obiettivo, da grande, è ritornare bambina.