Piano di azione sviluppo turistico locale s. barresi_2004
L’unione europea 50 anni dopo project work di salvatore barresi [2007]
1. SCUOLA SUPERIORE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
PROGRAMMAEMPOWERMENT, INNOVAZIONE E AMMODERNAMENTO
DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI DEL MEZZOGIORNO
CORSO DI ECCELLENZA
Euro P.A. Obiettivo 1 - Le Pubbliche Amministrazioni dell’Obiettivo 1
nei processi di formazione ed esecuzione delle Politiche comunitarie
“L’UNIONE EUROPEA 50 ANNI
DOPO
CON PIU’ OPPORTUNITA’ E
MENO FRONTIERE”
Project Work Elaborato dal Docente di riferimento
Dott. Salvatore Barresi Prof. Giuseppe Schiavone
Ottobre 2007
2. INDICE
Premessa 3
1. LA NASCITA DEL SISTEMA COMUNITARIO 3
2. EVOLUZIONE DELL' INTEGRAZIONE EUROPEA 5
3. EVOLUZIONE POLITICA NELLA COSTRUZIONE EUROPEA 12
4. IL SENSO DI APPARTENENZA 15
5. UN BILANCIO A 50 ANNI DAI TRATTATI DI ROMA 16
6. GLI ERRORI DA NON RIPETERE 19
7. CONCLUSIONI 22
Bibliografia 25
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3. PREMESSA
Nell’anno del suo compleanno, pochi potrebbero sostenere che l'Europa sia una splendida
cinquantenne. Nella primavera del 1957 viene firmato il Trattato di Roma viene al mondo
la Signora Europa che oggi si presenta claudicante sostenuta dalle stampelle di ben
ventisette Paesi che la fanno camminare. Svolgere una tesi sui 50 anni dell’Europa è stata
una esperienza utile a comprendere qual è la cera identità. Infatti, si mostra con una carta
d'identità che non dice quale sia la sua identità, mancando perfino l'innocente riferimento
alle note «radici cristiane» nella Costituzione. E si esibisce con un paio di robusti
corteggiatori che l'hanno nel frattempo ripudiata a colpi di referendum; s'allude agli ex
ammiratori, e mai troppo ammiratori in verità, che si chiamano Francia, e Olanda.
E si affaccia, madama Europa, con una credibilità internazionale quasi inesistente. Basti il
ricordare che l'Unione dei 27 non figura in quanto tale neppure al vertice
dell'organizzazione planetaria per eccellenza; quel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite che predilige avere a che fare con gli Stati in carne e ossa, non con la loro
proiezione ideale o somma aritmetica che in mezzo secolo di promesse hanno fallito più
di quanto abbiano mantenuto. Né è il caso di rimarcare, per carità di Continente, la
vacuità della politica estera e militare espressa da quest'Unione degli incerti. E nel lavoro
svolto si è voluto rimarcare quel senso di appartenenza e sulla identità che l’Europa dovrà
assumere nell’ambito internazionale e nei confronti dei suoi cittadini.
Una Unione che, ogniqualvolta è stata chiamata a intervenire nelle aree bollenti della
Terra, s'è spaccata e che solo nell’ambito economico l'Europa ha dato i migliori risultati
di sé. Non dunque l'identità «una nella diversità», com'è scritto nel preambolo dell'ultimo
e formale documento, e che non si è affatto propagata secondo le speranze (e la
propaganda) riposte. Né ci si può appellare all'auspicio di una visione politica
continentale e internazionale fragile e confusa. È invece l'aspetto commerciale,
finanziario, monetario - in una parola: economico - il progresso riconoscibile e
condivisibile di cinquant'anni di storia politica e pacifica europea.
Rispetto ad allora gli europei stanno meglio, molto meglio. Sotto il profilo istituzionale
essi oggi costituiscono e sempre più possono costituire una rassicurante potenza
economica. Ma cinquant'anni dopo, gli aspiranti europei non hanno alcuna intenzione di
rinunciare alle proprie culture e tradizioni, al modo d'essere e di pensare da francesi, da
tedeschi, da polacchi, da spagnoli e naturalmente da italiani in cambio di un europeismo
che è diventato ideologia da sventolare nella grigia e periferica Bruxelles. Parafrasando,
l'Europa è una pura espressione economica e senza retorica è una favola di una nuova
patria che non c'è.
1. LA NASCITA DEL SISTEMA COMUNITARIO
Lo scenario dell’immediato dopoguerra è caratterizzato, in Europa, da due grandi
questioni. Da un lato il problema del come ridare piena sovranità alla Germania
occidentale, occupata dalle potenze vincitrici del conflitto mondiale, ma in un nuovo
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4. quadro di sicurezza per tutto il continente e, dall’altro, il delinearsi di una nuova,
profonda divisione tra le potenze vincitrici del conflitto, con la conseguente divisione
dell’Europa in due blocchi contrapposti: quello occidentale, sotto la protezione degli Stati
Uniti e quello orientale, dominato dall’Unione Sovietica. E’ in questo contesto, oltre che
nella necessità di rafforzare l’economia europea, attardata nel suo sviluppo industriale e
distrutta dal conflitto mondiale, che si concretizza l’idea di stabilire un legame più stretto
e più stabile tra alcuni Stati dell’Europa occidentale.
Sulla forma e sulle modalità d’unificazione dell’Europa vi sono tuttavia idee e progetti
diversi. Vi sono coloro che propongono di creare sin dall’inizio una federazione di stati e
coloro che ritengono più realistico puntare ad una confederazione di stati sovrani.
Accanto a questi vi sono i cosiddetti “funzionalisti”, che preconizzano. il graduale
avvicinamento delle economie nazionali da realizzarsi attraverso il progressivo
trasferimento di compiti e funzioni, in determinati settori economici, dagli Stati nazionali
ad organismi sovranazionali, indipendenti dagli Stati. Sostenitore dell’integrazione
funzionalista è Jean Monnet che ispira la dichiarazione del ministro francese degli Affari
esteri Robert Schuman. Il 9 maggio 1950 Robert Schuman nel mentre chiede
l’approvazione formale al proprio governo, convoca presso il salone dell’Orologio del
Quai d’Orsay di Parigi, una conferenza stampa nella quale rende pubblica la proposta di
affidare la produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio al “governo” di un’Alta
Autorità, aperta agli Stati europei che vi avrebbero voluto aderire.
L’adesione di Conrad Adenauer, Cancelliere della “neonata” Germania Federale, è
immediata e senza riserve: “accetto di tutto cuore”. A questa si aggiungono quella
dell’Italia, del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo. Il 18 aprile 1951, a Parigi, i
rappresentanti dei sei Stati, firmano il Trattato istitutivo della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio, Ceca. L’adesione dell’Italia alla Ceca, affatto scontata, anche in
ragione delle sue scarse risorse minerarie, si deve senza dubbio alla lungimiranza e al
prestigio politico di Alcide De Gasperi che, in quella comunità pur settoriale, intravide la
concreta possibilità di legare il destino dell’Italia a quello dell’Europa. Dopo la mancata
ratifica da parte del Parlamento francese (30 agosto 1954) del Trattato Ced - Comunità
Europea di Difesa, gli stessi sei Paesi convocano a Messina una nuova Conferenza
intergovernativa, allo scopo di rilanciare il processo di integrazione europeo.
Il 1° e il 2 giugno 1955 si riuniscono così nella città siciliana i Ministri degli Esteri dei
sei, i quali decidono di estendere a più vasti settori dell’economia il metodo applicato con
successo al carbone e all’acciaio. Sono così individuati due ambiti: quello relativo alla
creazione di un mercato comune e quello relativo all’energia nucleare per scopi civili. Il
29 ed il 30 maggio 1956, a Venezia, gli stessi ministri degli esteri dei sei Paesi approvano
il Rapporto del Comitato integovernativo presieduto dal ministro degli Esteri del Belgio,
Paul-Enri Spaak, decidendo, di comune accordo, di procedere con la predisposizione dei
nuovi trattati. Il 25 marzo 1957 i plenipotenziari di Belgio, Francia, Germania, Italia,
Lussemburgo e Paesi Bassi firmano a Roma, in Campidoglio, nella Sala degli Orazi e dei
Curiazi, i Trattati istitutivi, rispettivamente, della Comunità economica europea (Cee) e
della Comunità europea dell’energia atomica (Ceea o Euratom). Questi Trattati sono
spesso indicati come “Trattati di Roma”. Con il termine “Trattato di Roma” al singolare si
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5. fa riferimento unicamente al Trattato Cee. I Trattati di Roma sono entrati in vigore il 1°
gennaio 1958. Si completa così il sistema comunitario composto da tre Comunità: una
generale, la Cee, e due settoriali, la Ceca e l’Euratom.
Gli obiettivi fondamentali della Cee sono l’integrazione progressiva dei mercati nazionali
in un mercato comune delle merci e dei fattori della produzione – lavoro, servizi e capitali
– e, a più lungo termine, la creazione di una organizzazione politica comune. Gli Stati
membri affermano, infatti, di essere determinati a porre le fondamenta di un’unione
sempre più stretta fra i popoli europei e di essere decisi ad assicurare mediante un’azione
comune il progresso economico e sociale dei loro Paesi, eliminando le barriere che
dividono l’Europa. Gli obiettivi intermedi sono:
1) la soppressione degli ostacoli, all’interno degli Stati membri, la libera circolazione
delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;
2) la realizzazione di condizioni per una libera e leale concorrenza all’interno del mercato
comune.
3) l’instaurazione di una tariffa doganale esterna comune;
4) il ravvicinamento delle legislazioni nazionali necessarie al completamento del mercato
comune e l’armonizzazione della fiscalità;
5) lo sviluppo di politiche comuni nei settori dell’agricoltura, dei trasporti e della politica
commerciale.
2. EVOLUZIONE DELL' INTEGRAZIONE EUROPEA
L' Unione Europea (UE), una famiglia di paesi europei democratici, i quali si sono
impegnati a lavorare insieme per la pace e la prosperità , non è uno Stato che si propone
di sostituire gli Stati già esistenti, ma è qualcosa di più rispetto alle altre organizzazioni
internazionali. L' UE è qualcosa di unico. I suoi Stati membri hanno creato una serie
d'istituzioni comuni, alle quali delegano una parte della loro sovranità in modo che le
decisioni su questioni specifiche d'interesse comune possano essere prese
democraticamente a livello europeo. Tale unione delle sovranità viene chiamata anche
"integrazione europea". Un contributo particolare al processo d'integrazione dell'Europa è
dato dal giurista israeliano Joseph H.H. Weiler.
Gli scritti del Weiler hanno segnato un momento importante della riflessione sulla realtà
comunitaria con la lettura originale del principio di sovranità , premessa del processo di
costituzionalizzazione, con la rappresentazione del principio di sovranazionalità e
originalità della sua costruzione nell'orizzonte del sistema comunitario. Alle origini la
storia della Comunità ha attraversato momenti di euforia federalista, la quale si calmò nel
tempo, allorché congiunture difficili, fecero prevedere la volontà degli Stati nazionali. Si
ebbe il voto contrario della Francia alla Comunità europea di difesa del 1954, la riduzione
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6. sostanziale del Ruolo della Commissione con il Compromesso di Lussemburgo del 1966,
che restaurò il diritto di veto degli Stati su ogni decisione.
Fra il 1958 e il 1968 si ridussero sempre più gli spazi comunitari e si allargarono quelli
intergovernativi. Le cose fortunatamente mutarono e con l'Atto unico del 1987,
ampiamente esaminato dal Weiler, il ruolo della Commissione riprese vigore, e la sua
forza e la sua competenza si manifestarono nel processo che portò al Trattato di
Maastricht. La storia di questo periodo deve essere intesa come un intreccio di esigenze
ora comuni ora diverse fra gli Stati e la costruzione comunitaria, intreccio che diede
fisionomia al processo di costruzione della Comunità europea. Questo alternarsi di
congiunture diverse , governate da principi diversi, seguirà il processo d'integrazione. Il
contributo di Weiler, nel 1985, riuscì a dominare questo percorso contraddittorio, perché
costituì un tentativo nuovo di pensare il processo comunitario. Egli introdusse alcune
distinzioni che resero più chiaro un processo prima tortuoso organizzando i diversi
momenti della sua storia, mettendo ordine nel disordine. Weiler cercò di sistemare
l'intreccio e il contrasto tra “comunitario” e “intergovernativo” uscendo dal piano
puramente giuridico-istituzionale: legò adesso la dimensione della storia politica; fece
venire fuori le contraddizioni del processo e le potenzialità di sviluppo. L'idea centrale di
Weiler è che il processo comunitario è contrassegnato da uno squilibrio fra
sopranazionalità normativa e sovranazionalità decisionale, cioè fra diritto e politica .
C'è una costante crescita della sovranazionalità normativa e una permanente difficoltà di
estendere la nazionalità decisionale limitata dagli Stati attraverso i loro veti. Questa
definizione fu decisiva, fece comprendere molte cose; soprattutto che il processo
comunitario era spezzato in due parti. E all'interno di questa distinzione il ruolo delle
istituzioni mostrava la sua originalità , la crescita della sovranazionalità normativa,
implicava la costruzione di un ordinamento fatto di norme superiori a quelle degli
ordinamenti degli Stati. A questo proposito divenne decisiva la funzione della Corte di
giustizia. Da passiva interprete dei Trattati, essa fece crescere il processo d'integrazione al
di là della volontà dei Trattati e degli stessi Stati; si comportò come una istituzione
politica affermando alcuni principi-chiave che il Weiler aveva già esaminato nei suoi
scritti , soprattutto quello del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali: principio
questo che non esisteva nei Trattati , ma che fu accolto dalle Corti nazionali e segnò un
momento decisivo nella costruzione di un ordinamento sopranazionale. Secondo il Weiler
gli Stati e le Corti costituzionali nazionali non bloccarono l'iniziativa della Corte di
giustizia , consentirono che andasse oltre la lettura dei Trattati, perché agli Stati
interessava restare padroni della decisione politica sia per 1' individuazione dei contenuti
normativi fondamentale, sia per la politica legata alla sovranità degli Stati e al loro ruolo
internazionale. Gli Stati però non compresero che la Corte di giustizia lasciata libera in
settori apparsi non influenti, diventava man mano capace di dare una fisionomia all'
Europa in costruzione.
Ma questa discrasia tra politica e diritto, affermata e dimostrata dal Weiler, quando poteva
reggere senza creare conseguenze regressive per la costruzione europea. E' fondamentale
la tesi del giurista israeliano per cui, senza liberarsi della connessione fra politica e diritto,
l 'integrazione europea non avrebbe fatto i passi che ha fatto ; senza la crescita del livello
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7. politico-normativo, che affermò il primato del diritto comunitario sui diritti nazionali,
poco si sarebbe costruito; senza quel passaggio non si sarebbe formato uno spazio
pubblico europeo retto da regole e norme. La Carta dei diritti fondamentali dell' Unione,
di Nizza del 2000, introdotta nel Trattato costituzionale , nasce dall'azione della Corte di
giustizia. Credo che la discrasia abbia avuto fine negli anni ottanta, quando la grande
politica ha imposto di aggiungere l’ unione alla Comunità, d' avviare in linea di principio
una politica estera di difesa comune, d'introdurre il principio della cittadinanza europea.
Dai grandi eventi degli anni ottanta, fine del bipolarismo e allargamento dell'Europa verso
est, il tema politico è tornato al centro. Si riproporrà una nuova discrasia tra diritto e
politica? Forse no, ma centrale è stato il contributo di Weiler all'analisi della costruzione
comunitaria. Tra le diverse visioni e i diversi tentativi di realizzare un’Europa di tipo
Federale, merita di essere senz’altro ricordato il progetto di “Trattato di Unione Europea”
meglio conosciuto come “Progetto Spinelli”. Altiero Spinelli, del quale nel 2007 ricorre il
centesimo anniversario dalla nascita, già nell’agosto del 1941, in pieno conflitto
mondiale, confinato dal “regime” nell’isola di Ventotene, scrisse insieme ad Ernesto
Rossi il cosiddetto “Manifesto di Ventotene” “per un’Europa libera e unita”, delineando
in modo assai lucido e lungimirante, un modello di tipo federale per l’Europa. Nel 1979
subito dopo la sua elezione nel “neonato” Parlamento europeo, legittimato dal voto
popolare, Spinelli riuscì nel non facile intento di far nominare una Commissione
parlamentare permanente con il compito di discutere e redigere il testo del “Trattato
costituzionale dell’Unione Europea”.
Il testo che ne conseguì, conosciuto come “Progetto Spinelli”, fu approvato al Parlamento
europeo il 14 febbraio 1984 con 237 voti favorevoli, 31 voti contrari e 43 astensioni.
Nonostante i consensi e il grande successo politico ottenuto, la contrarietà di alcuni Paesi
membri impedì che il “Progetto Spinelli” diventasse l’auspicato trattato costituzionale
dell’Unione Europea. Tuttavia, il forte impatto che il “Progetto” ebbe, sia nell’opinione
pubblica, sia su molti uomini politici e statisti europei, condizionò assai favorevolmente il
processo di rilancio dell’integrazione comunitaria, aprendo la strada all’adozione
dell’Atto Unico Europeo.
Il “Progetto Spinelli” fu anche approvato dai Parlamenti italiano, belga e tedesco. La
realizzazione dell’integrazione economica è stata prevista in un percorso graduale
(chiamato periodo transitorio) di tre tappe, di quattro anni ciascuna:
1) la realizzazione di un’unione doganale, vale a dire l’abolizione dei dazi doganali,
all’interno del mercato comune e la fissazione di una tariffa esterna comune;
2) l’eliminazione delle restrizioni quantitative (contingenti) e delle misure di effetto
equivalente, in modo da realizzare la libera circolazione completa delle merci;
3) la libera circolazione delle persone, in particolare dei lavoratori dipendenti, dei servizi
e, in determinata una certa misura, dei capitali.
Diversi obiettivi sono stati conseguiti nei primi anni di attività e, in molti casi, prima della
data prevista dal Trattato di Roma nel 1° gennaio 1970. L’unione doganale è stata
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8. raggiunta, ad esempio, il 1° luglio 1968, accompagnata dall’eliminazione dei contingenti
e dalla libera circolazione dei lavoratori dipendenti. Tale libertà consente ad ogni
cittadino comunitario, di accedere ad un impiego in altro Paese membro, alle stesse
condizioni dei cittadini di tale Stato.
Nel 1970, oltre all’IVA, sono state introdotte diverse misure tese a garantire un certo
grado di armonizzazione fiscale in tutto il territorio comunitario. Negli anni successivi,
nonostante i traguardi raggiunti, persistevano ancora diversi ostacoli agli scambi
commerciali. Tutto ciò rendeva ancora incompiuto il mercato comune.
I maggiori problemi erano provocati: dal controllo delle persone e delle merci alle dogane
interne; dalle diverse regolamentazioni tecniche nazionali gravanti sui prodotti; dal
mantenimento delle imposte indirette a tassi così diversi da rendere lente e dispendiose le
normali procedure commerciali. Ci si rese allora conto che per completare il mercato,
occorreva imprimere una nuova accelerazione al processo di integrazione in corso,
rimuovendo tutti quegli ostacoli che, di fatto, erano pregiudizievoli all’instaurazione di un
vero mercato comune.
Occorreva cioè realizzare uno spazio economico molto simile ad un vero e proprio
mercato interno. L’idea di arrivare ad un vero e proprio “mercato interno” venne
sostenuta dai governi degli Stati membri che diedero il formale “via libera” al Consiglio
europeo di Bruxelles, del marzo 1985, il quale fissò per la fine del 1992, la data per la
realizzazione del mercato interno e chiese alla Commissione europea di sviluppare un
calendario di attuazione del programma.
La risposta della Commissione europea prese la forma di un Libro bianco, che approvato
nel giugno 1985, in occasione del Consiglio europeo di Milano, delineava circa 300
provvedimenti legislativi per il completamento del mercato interno, che le istituzioni
comunitarie avrebbero dovuto adottare entro la data prevista del 31 dicembre 1992. Alla
scadenza fissata, gli obiettivi principali erano stati raggiunti. Grazie al nuovo sistema di
voto a maggioranza, più del 90% delle misure previste dal Libro bianco del 1985 erano
infatti, state adottate.
Tra le misure più importanti si ricordano: la liberalizzazione di tutti i movimenti di
capitali, l’abolizione del controllo delle merci comunitarie alle frontiere interne,
l’abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere, gli enormi progressi
compiuti per rendere più effettive le libertà di stabilimento e la libertà di prestare servizi,
anche attraverso l’armonizzazione e il riconoscimento reciproco dei diplomi, l’accesso
alle professioni regolamentate e non regolamentate, l’apertura del sistema degli appalti
pubblici, dei sistemi bancari e assicurativi.
L’Atto Unico Europeo, costituisce la prima vera importante revisione del Trattato di
Roma. L’Atto Unico, firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986, entra in vigore il 1°
luglio 1987.
Tra le innovazioni più significative del trattato si segnalano:
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9. 1 l’integrazione della nozione di mercato interno, ora definito come “uno spazio senza
frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone,
dei servizi e dei capitali” e la cui realizzazione è soggetta ad una precisa scadenza: il 31
dicembre 1992;
2 il Parlamento europeo, eletto per la prima volta a suffragio universale nel 1979, assume
ora il potere di cooperare con il Consiglio e la Commissione in diversi ambiti legislativi.
3 il Consiglio adotta le decisioni relative al mercato interno votando a maggioranza
qualificata, e non all’unanimità.
4 la riforma dei fondi strutturali per una politica di coesione economica più stretta tra le
regioni europee.
5 l’introduzione di norme in materia di politica dell’ambiente e di ricerca scientifica e
tecnologica e di cooperazione in politica sociale
6 il Consiglio europeo, nato dalla prassi della cooperazione tra Stati membri e non
previsto nel Trattato di Roma, è ora inserito nel corpo del trattato quale organo di
indirizzo politico e di impulso all’azione della Comunità.
Il 7 febbraio 1992 i capi di Stato o di governo dei Paesi membri firmano, nella cittadina di
Maastricht, nei Paesi Bassi, il Trattato istitutivo dell’Unione Europea (UE) che entrerà in
vigore il 1° novembre 1993.
Il Trattato di Maastricht segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione
sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni sono prese nel modo più
trasparente e più vicino possibile ai cittadini. Con il Trattato sull’Unione Europea, è
istituita la cittadinanza dell’Unione Europea, vengono poste le basi per l’ unione
economica e monetaria, e vengono altresì introdotte nuove competenze in materia di
industria, sanità pubblica, educazione e cultura.
La volontà degli Stati membri di estendere l’azione della Comunità ad ambiti non
solamente economici, è resa evidente anche dal cambiamento del nome dell’originaria
Comunità economica europea ora sostituita dalla Comunità europea - Ce. Con l’Unione
Europea si aggiungono il secondo e il terzo pilastro, cioè la competenza nell’ambito della
politica estera e di sicurezza comune - Pesc, e la cooperazione nei settori della giustizia e
degli affari interni - Cgai. E’ da questo momento che l’Unione Europea viene
metaforicamente raffigurata come un tempio greco, sorretto da tre colonne (pilastri), dove
il primo pilastro simboleggia le tre comunità Ce, Ceca ed Euratom e il loro
funzionamento secondo il metodo comunitario (le decisioni sono adottate dalle istituzioni
comuni), mentre il secondo, la Pesc e il terzo, la Cgai, funzionano attraverso il metodo
integovernativo.
Con l’Unione Europea le Comunità non sono sostituite, ma associate, sotto un unico tetto
istituzionale, alle nuove «politiche e forme di cooperazione». Una specifica disposizione
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10. del Trattato di Maastricht stabiliva la convocazione nel 1996, di una Conferenza
intergovernativa con il compito di proporre alcune revisioni ai trattati in vista
dell’introduzione dell’Euro e delle sfide del nuovo millennio. Si arriva così, il 2 ottobre
1997, alla firma del Trattato di Amsterdam, che entrerà in vigore il 1 maggio 1999.
Con questo nuovo trattato,
1) i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo sono
formalmente consacrati nell’ambito dell’Unione;
2) sono introdotti nuovi capitoli interamente dedicati all’occupazione, alla politica sociale
e alla tutela dei consumatori;
3) le missioni umanitarie e per il mantenimento della pace rientrano nelle priorità
dell’Unione. E’ istituito un nucleo di valutazione politica per l’individuazione delle zone
a rischio.
4) è istituito l’Alto rappresentante della Pesc;
5) viene introdotta la possibilità di dar vita alle cosiddette “cooperazione rafforzate”. Ciò
significa che alcuni Stati membri (almeno la metà), nel rispetto del quadro istituzionale
comunitario, potranno dar vita a forme di integrazione più strette nelle materie di
competenza non esclusiva dell’Unione;
6) L’accordo di Schengen sulla creazione di uno spazio senza frontiere interne è inserito
nel corpo del Trattato;
7) Quasi tutti i settori del terzo pilastro vengono ricondotti al primo, cioè vengono sottratti
al metodo integovernativo e ricondotti al metodo comunitario. Il titolo VI del TUE
diventa “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Il Trattato di Nizza, il cui accordo fu raggiunto al termine della Conferenza
intergovernativa tenutasi nella cittadina francese il 7 - 11 dicembre 2000, fu poi firmato
nella stessa città, il 26 Febbraio 2001, ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003.
Questo Trattato si è occupato principalmente delle riforme istituzionali necessarie per
migliorare la “governance” e il buon funzionamento delle istituzioni europee in vista del
più grande ampliamento della storia comunitaria: l’allargamento ai Paesi dell’Europa
centrale e orientale. Il lavoro svolto a Nizza, pur rappresentando un passo in avanti, non è
considerato sufficiente a garantire la governabilità dell’Unione e a far fronte alle sfide e
alle responsabilità dell’Europa nel mondo. Il 7 dicembre dello stesso anno, sempre
durante la Conferenza intergovernativa del vertice di Nizza, il Presidente del Consiglio, il
Presidente del Parlamento europeo e il Presidente della Commissione europea, hanno
proclamato solennemente la Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
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11. La Carta riunisce in un unico testo i diritti fondamentali dell’UE, avendo così il merito di
rendere immediatamente visibili e fruibili tutti i diritti di cui può disporre il cittadino
europeo. I diritti sono raggruppati in sei categorie, poste sullo stesso piano: dignità,
libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Gran parte dei diritti contemplati
nella Carta erano già tutelati, nell’ambito dell’Unione Europea, dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia, in quanto principi fondamentali dell’ordinamento comunitario e
conformi alle tradizioni comuni degli Stati membri. Ora con la Carta il riferimento vi è
anche un esplicito riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cedu,
firmata a Roma il 4 Novembre 1950.
La Carta non è stata, però, inserita nel corpo del Trattato di Nizza e per questo non ha, in
quanto tale, un valore giuridico vincolante. A Nizza è stato avviato anche un ampio
dibattito sul futuro dell’Unione Europea. Così al Trattato è stata allegata una
«Dichiarazione sul futuro dell’Unione» che evidenzia quattro temi fondamentali su cui
riflettere:
1) la semplificazione dei trattati su cui si fonda l’Unione Europea;
2) la delimitazione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri;
3) lo status della Carta dei diritti fondamentali dell’UE
4) il ruolo dei Parlamenti nazionali nel funzionamento dell’Unione.
Nel 2001, nella cittadina belga di Laeken, i capi di Stato e di governo degli Stati membri
dell’Unione Europea, hanno convocato una “Convenzione europea”, cioè una grande
“commissione” incaricata di preparare un testo di riordino dei trattati europei esistenti,
composta dai rappresentanti dei governi degli allora quindici Stati membri e dei dodici
Paesi candidati, dai rappresentanti dei rispettivi Parlamenti nazionali, dai rappresentanti
del Parlamento e della Commissione europea, da tredici osservatori del Comitato delle
regioni e del Comitato economico e sociale e da osservatori delle parti sociali europee.
Dopo 15 mesi di lavoro serrato, tra febbraio 2002 e giugno 2003, la Convenzione ha
approvato, per consenso, un testo denominato «Progetto di Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa». Il progetto è stato consegnato alla Conferenza
intergovernativa, a cui compete la decisione finale. I lavori della Conferenza
intergovernativa si sono conclusi il 29 ottobre 2004 a Roma, con la firma da parte dei
rappresentanti dei governi degli Stati membri del «Trattato che adotta una Costituzione
per l’Europa». Quest’ultimo Trattato, chiamato anche ” Costituzione europea”:
1) sostituisce l’insieme dei trattati esistenti con un testo unico, soddisfacendo così una
sentita esigenza di semplificazione;
2) riduce sensibilmente il ricorso al voto all’unanimità nelle decisioni del Consiglio,
rideterminando il peso degli Stati per le votazioni a maggioranza qualificata.
- 11 -
12. 3) incorpora la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea che, di conseguenza,
assume pieno valore giuridico;
4) estende il coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale
dell’Unione;
5) istituisce un Ministro degli Affari esteri;
6) prevede una presidenza stabile del Consiglio europeo;
7) riconosce in un modo esplicito la prevalenza del diritto dell’Unione sul diritto
nazionale;
8) prevede un diritto d’iniziativa legislativa popolare.
L’entrata in vigore della Costituzione è subordinata alla ratifica da parte di tutti gli Stati
membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. Diciotto dei ventisette Paesi
membri dell’Unione hanno già ratificato il “Trattato costituzionale” ma, nei referendum
tenuti in Francia e nei Paesi Bassi, il 29 maggio e il 1º giugno 2005, la maggioranza degli
elettori ha votato “no” alla ratifica della Costituzione. A fronte di questi risultati, il
Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 avviò un periodo “di riflessione”, da utilizzare
anche per dibattiti e chiarimenti. Il processo di ratifica da parte degli Stati membri non è
quindi stato abbandonato.
Nel 2007, in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario dei trattati di
Roma, gli Stati membri adotteranno una dichiarazione politica per illustrare i valori e le
ambizioni dell’Europa e per confermare l’impegno condiviso di produrre risultati
concreti.
La Presidenza portoghese dell'Unione europea ha compiuto un passo importante verso il
raggiungimento di quello che è l’obiettivo principale del suo semestre, vale a dire la
stesura di un nuovo Trattato entro ottobre 2007. E' stata inaugurata a Bruxelles la
Conferenza intergovernativa (CIG) 2007, il cui obiettivo è definire il testo che emenderà i
principali Trattati in vigore. Seguendo, infatti, il mandato assegnato dal Consiglio
europeo del 21 e 22 giungo scorsi, i rappresentanti dei 27 Stati membri saranno chiamati a
redigere un nuovo Trattato di riforma del Trattato sull’Unione europea e del Trattato che
istituisce la Comunità europea. Visto anche il carattere dettagliato dell’accordo raggiunto
all’ultimo summit europeo, la rapidità dei lavori sarà uno dei principali tratti della CIG.
Essa dovrebbe realizzare il suo obiettivo entro il 2007 in modo da garantire tempi
sufficientemente lunghi per la ratifica del nuovo Trattato, che dovrà entrare in vigore
prima delle prossime elezioni del Parlamento europeo previste per il giugno 2009. Come
avvenuto per le precedenti modifiche dei Trattati, anche l’attuale CIG sarà condotta sotto
la responsabilità generale dei capi di Stato e di governo dei 27, assistiti dai membri del
CAGRE. È prevista inoltre la partecipazione di un rappresentante della Commissione e di
tre membri del PE. Ad assistere i lavori fornendo il necessario supporto organizzativo
sarà, come sempre, il Segretariato generale del Consiglio dell’Ue.
- 12 -
13. Senza perdere tempo, la Presidenza ha già predisposto e fatto circolare un progetto di
Trattato che sarà sottoposto alla discussione della CIG 2007. La parte centrale del testo è
composta da 145 pagine, alle quali se ne accompagnano quasi altrettante (132) di
protocolli e dichiarazioni (che in totale saranno rispettivamente 12 e 51). Confrontato con
le 475 pagine del progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa,
respinto dai referendum francese e olandese e definitivamente abbandonato dall’Ue il
mese scorso, il nuovo Trattato dovrebbe essere più piccolo, ma non sostituirà
integralmente i Trattati precedenti, come intendeva fare la Costituzione. Per garantire la
velocità e l’efficienza della CIG, la Presidenza è determinata a puntare sul carattere
tecnico dei negoziati.
Secondo gli analisti, infatti, le trattative verteranno principalmente sugli aspetti giuridici,
in modo da non aprire questioni su cui si potrebbero consumare rotture che potrebbero
compromettere il consenso raggiunto sotto la Presidenza di turno tedesca. Sotto tale
profilo, sembrano rassicuranti le ultime dichiarazioni del governo polacco che ha fatto un
passo indietro rispetto alle richieste di rivedere l’accordo di giugno per quanto riguarda il
meccanismo di voto. L’attenzione sarà altresì puntata sul governo britannico del neo-
premier Gordon Brown, che vigilerà al rispetto delle “red lines” tracciate dal suo
predecessore Tony Blair. “Dobbiamo agire velocemente ma con attenzione. È giunto il
momento di completare questo lavoro e concentrare le nostre energie sulla presentazione
di risultati concreti ai nostri cittadini”.
Queste sono le parole con cui il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha
salutato l’apertura della CIG 2007. Nella sua precedente comunicazione al Consiglio, la
Commissione aveva valutato positivamente l’accordo e il mandato conferito alla
Conferenza. I punti contenuti in tale mandato sono irrinunciabili di fronte alla necessità di
rispondere alle sfide di un mondo in cambiamento e di adeguare le istituzioni ed i
meccanismi decisionali dell’Ue per garantire un’Europa più efficiente e più efficace ma,
al contempo, più democratica e trasparente.
3. EVOLUZIONE POLITICA NELLA COSTRUZIONE EUROPEA
Il primo periodo, cioè quello costitutivo , è un esempio di come siano state divergenti le
finalità e le considerazioni della politica e del diritto. Dal punto di vista giuridico è stato
un periodo fondamentale che ha dato l'avvio ad una formazione dell’ ordinamento
costituzionale ed ha gettato le basi per uno sviluppo federale dell’ Europa. Dal punto di
vista politico, invece, questo periodo è da considerare il più basso della sovranità
decisionale. In questo periodo la Corte di giustizia fissa i quattro principi che hanno dato
inizio alla costituzionalizzazione dei trattati.
Nel campo politico, invece, si assiste ad un indebolimento delle strutture soprannazionali,
e per alcuni aspetti si giunge quasi a livelli di ingovernabilità. Ma tra questi due aspetti
esiste un equilibrio. Gli Stati presero il controllo del procedimento decisionale
comunitario, malgrado il trattato prevedesse, forti elementi sopranazionali, e affidarono
un ruolo chiave ad istituzioni, come la Commissione, la quale esercitò le proprie funzioni
in modo indipendente dagli Stati membri e con lo scopo di perseguire l’ interesse della
- 13 -
14. Comunità; tra le sue funzioni, varie, sono da annoverare il diritto esclusivo d’ iniziativa
legislativa e il controllo sull’ applicazione ed esecuzione dei trattati e del diritto
comunitario.
Il procedimento di adozione legislativo era sovranazionale, poiché il trattato prevedeva ,
dopo un periodo transitorio, il passaggio dal voto all’ unanimità a quello a maggioranza.
Intanto si assisteva ad una lenta crisi della Commissione, ad un ruolo sempre crescente
assunto dagli Stati e alla istituzione di nuovi organi come il Consiglio Europeo, che, pur
non previsto dal trattato, assumeva un ruolo fondamentale nella determinazione dell’
agenda politica. La pressione degli Stati , per interessi nazionali, cresceva sempre più,
fino ad esplodere con la crisi del 1995 e il compromesso di Lussemburgo, il quale
affermava che, nel caso di decisione a maggioranza su interessi di uno o più Stati, i
membri del Consiglio avrebbero dovuto raggiungere nel tempo un accordo comune. Con
il quasi abbandono del voto a maggioranza la ricerca del consenso si rese più difficile.
Questi due sviluppi politico-giuridico sembrerebbero una contraddizione ; in realtà
poggiavano su di un equilibrio: “l’ interpretazione del trattato in senso federale fatto dalla
Corte, era bilanciata da uno sviluppo politico di tipo confederale”. Secondo il Weiler è
stato il crollo della sopranazionalità decisionale a permettere agli Stati di accettare questo
processo di costituzionalizzazione. Infatti con la sospensione del voto a maggioranza e l’
istituzione di nuovi organi intergovernativi si ridussero i rischi di questo sviluppo
giuridico. L’elevato livello di integrazione simile a quello degli Stati federali avrebbe.
dovuto indebolire gli Stati membri; invece questi ne uscirono rafforzati; in teoria sarebbe
dovuto accadere il contrario, ma non è successo e questo in virtù dell’ unicità del sistema
comunitario europeo e del suo equilibrio interno.
“Questa caratteristica - afferma il Weiler - aiuta a spiegare l’ unicità e la stabilità della
Comunità... che ha conseguito un livello di integrazione simile a quello degli Stati
federali classici... senza minacciare i propri Stati membri...”1. Il procedimento di adozione
legislativo era sovranazionale, poiché il trattato prevedeva, dopo un periodo transitorio il
passaggio dal voto all’unanimità a quello a maggioranza. Intanto si assisteva ad una lenta
crisi della Commissione, ad un ruolo sempre crescente assunto dagli Stati e alla
istituzione di nuovi organi come il Consiglio Europeo, che, pur non previsto dal trattato,
assumeva un ruolo fondamentale nella determinazione dell’ agenda politica. La pressione
degli Stati, per interessi nazionali, cresceva sempre più, fino ad esplodere con la crisi del
1995 e il compromesso di Lussemburgo, il quale affermava che, nel caso di decisione a
maggioranza su interessi di uno o più Stati, i membri del Consiglio avrebbero dovuto
raggiungere nel tempo un accordo comune.
Nel secondo periodo, considerato fase di stallo, si sviluppa un nuovo mutamento
costituzionale che consente una vera espansione delle competenze. E' il vertice di Parigi
del 1972 che introdusse un programma di espansione delle competenze della Comunità e
il rinnovo di un sogno di un’Unione Europea. Ma il sogno fallì perché la Comunità non
1
Weiler “la Costituzione dell'Europa” , pg. 77
- 14 -
15. raggiunse alcun accordo su questioni importanti , interessandosi di questioni secondarie.
Nel vertice di Parigi si decise di applicare in modo sistematico l'ari. 235 (oggi 308) del
trattato, il quale prevede che: “quando un’ azione della Comunità risulti necessaria per
raggiungere... uno degli scopi della Comunità, senza che il trattato abbia previsto i poteri
di azione a tale scopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’ unanimità su proposta della
Commissione e dopo aver consultato il Parlamento, prende le disposizioni del caso”2.
4. IL SENSO DI APPARTENENZA
Il 2007 è l’anno del 50° anniversario dell'Europa. Questa potrebbe essere l'occasione per
celebrare successi e risultati raggiunti ma anche per proiettare la nostra visione sui
prossimi 50 anni di integrazione europea. Il 50° anniversario non è solo un momento
celebrativo ma anche un'occasione per riflettere sull'identità che l'Europa dovrà assumere
nell'ambito internazionale e nei confronti dei suoi cittadini. È vero che l'Europa è ed è
sempre stata l' "Europa dei risultati". Libertà, pace, benessere, sicurezza, pari opportunità,
solidarietà e protezione dei diritti umani e civili sono alcuni dei valori comuni attraverso
cui è cresciuta un'Europa della speranza e delle opportunità.
Esiste un mercato comune, una moneta unica utilizzata in 13 Stati membri e stata fondata
la potenza commerciale su un'economia sociale di mercato e su uno sviluppo sostenibile,
creando una specifica "via europea”3. L'Unione europea ispira grande rispetto nell'ambito
internazionale ed è in grado di esercitare un'influenza decisiva sul mondo, anche se la sua
identità resta fragile. Sono in molti a identificare l'Europa come un continente alla ricerca
di un obiettivo, senza avere un'idea chiara della meta da raggiungere. Quest'impressione è
in parte dovuta all'interruzione del processo di adozione del Trattato costituzionale che
avrebbe dovuto dare all'UE una presenza maggiormente identificabile a livello
internazionale, un processo decisionale più snello e procedure più trasparenti,
permettendo quindi ai cittadini europei di avere una visione più ampia della "loro"
Europa. I successi attuali sono il risultato di una storia comune fatta di guerre, ma oggi le
priorità devono essere costruite partendo da una nuova visione dell'Europa per una nuova
generazione di europei che la guerra non l'hanno mai conosciuta.
La mondializzazione, il cambiamento climatico, la sicurezza e il fabbisogno energetico,
l'immigrazione ma anche la trasparenza e la responsabilità verso i cittadini, figurano tra i
temi più urgenti che dovrebbero costituire gli elementi innovativi di un nuovo trattato. I
leader attuali devono adeguare il progetto dei padri fondatori alle realtà di un mondo
moderno. "Ciò che unisce noi tutti è il senso dell'appartenenza all'Europa, come
patrimonio comune di valori e di idee, di tradizioni e di speranze e come progetto di
costruzione di un nuovo soggetto politico e istituzionale che possa far fronte alle sfide
dell'epoca in cui viviamo e del prevedibile, futuro. (...) É tempo per l'Europa di uscire
dall'impasse e non sarà possibile, dopo il grande allargamento senza una ridefinizione di
2
Weiler “la Costituzione dell'Europa” , pg.98
3 3
l'Unità, 19-03-2007, Editoriale di Margot WALLSTROM, vice-presidente della Commissione europea, “Quel senso di
appartenenza”
- 15 -
16. un quadro d'insieme dei suoi valori e dei suoi obiettivi e di una riforma dei suoi assetti
istituzionali".4
Le parole del Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, pronunciate in
seduta solenne nell'aula del Parlamento europeo il 14 febbraio scorso, racchiudono la
posizione storica dell’Italia, Paese fondatore, attraverso il corso del processo di
costruzione europea. È importante che l'Europa dovrebbe essere in grado di mantenere il
suo ruolo storico e internazionale per, far, fronte alla sfida economica di un mondo
globalizzato, per costruire una cittadinanza solida e per assumere le proprie responsabilità
nei confronti dei cittadini. Come sarà possibile tutto questo? Tutto questo sarà possibile
solo continuando e realizzando alcuni principi comuni fondamentali come l'integrazione,
la coesione e l'inclusione. Tutti principi già decisi 50 anni fa e che oggi si può riproporre
rinnovando il dibattito sul Trattato costituzionale per rafforzare le istituzioni europee
raggiungendo i cittadini e contrastando ogni tendenza nazionale anacronistica.
5. UN BILANCIO A 50 ANNI DAI TRATTATI DI ROMA
Mercati integrati, euro forte, relazioni più solide tra gli stati: l'Europa è fatta, ma è ancora
fragile e, politicamente, oggi è "morta". C'è ancora molto su cui lavorare, osserva a
cominciare dalla politica estera comune. La situazione è abbastanza critica soprattutto nel
definire la politica europea in rapporto agli Stati Uniti. È convinzione di tanti studiosi che
l'Europa non sarà capace di costruire una politica estera, che in futuro noi possiamo
arrivare, in quattro cinque anni a un trattato costituzionale, neanche ridotto, e non
ritengono che saremo capace di avere una politica diversa da quella degli Stati Uniti.
Anche se il tema principale è un altro: come proteggersi e tutelarsi dal capitalismo
mondiale proprio di fronte agli Stati Uniti. Negli anni 1945-1975, il mondo si è
rapidamente sviluppato: la crescita era rapida, non c'erano crisi finanziare sistematiche,
ma solo cadute. Dopo il '75, il mondo è profondamente cambiato: in Europa abbiamo
iniziato ad avere lavoratori precari, disoccupati e poveri, la crescita si è indebolita e le
crisi finanziarie si sono moltiplicate, con crisi anche violente; poi è venuta la crisi russa,
la crisi del sistema monetario europeo, la crisi della new economy, ma sopratutto quella
che ha fatto uscire tre monete (la peseta, la lira e la sterlina) dal Sme - per questo il fatto
di poter adottare l'euro è stato formidabile, un miracolo.
Infine, c'è stata la crisi finanziaria asiatica. Ora, però abbiamo altri problemi: un massa di
lavoratori precari e dì disoccupati e l'elettorato, in tutti i nostri paesi, si allontana
dall'Europa perché crede che non serva a nulla, non la vede in condizioni di rispondere
alle loro attese e questa non è una buona cosa. È importante, quindi, confrontarsi con il
modello economico e finanziario degli Stati Uniti. A 50 anni dei Trattati di Roma
tracciare un bilancio dell’Europa è difficile, nonostante i risultati già raggiunti, dall'euro
alla riconciliazione tra gli stati, l'Unione è ancora fragile: non ha una politica estera e non
sarà in grado di avere una Costituzione neanche tra cinque anni.
4
Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana, discorso pronunciato in seduta solenne nell'aula
del Parlamento europeo il 14 febbraio 2007.
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17. Oggi l'Unione europea è fatta, i mercati sono integrati e tutto, a livello economico e
commerciale, si fa a livello europeo e non più solamente a quello dei paesi d'origine.
Tutto questo è un grandissimo progresso. L’euro, soprattutto per i paesi che lo hanno
adottato, ha messo al riparo l'Europa nel sistema mondiale ed è una protezione
formidabile in questo momento. Questo è dovuto all'ottimo lavoro fatto in questa
direzione. Anche la riconciliazione politica tra i paesi è stata fantastica: pensiamo ai
rapporti tra francesi e tedeschi o alle relazioni tra rumeni e ungheresi. Insomma, l'Europa
è una macchina formidabile. Ma ci sono anche molte cose che non si sono potute fare:
non c'è una politica economica e finanziaria; l’Europa continua a non, avere una politica
estera e il concetto di Europa politica è morto secondo me, ucciso poco alla volta
dall'unanimità, necessaria in tutte le decisioni di politica estera. Ogni tanto ci si riesce, per
questo oggi siamo abbastanza presenti in Medio Oriente senza armi e senza forze ma con
la diplomazia.
Dal Manifesto di Ventotene alla bocciatura del Trattato Costituzionale: una crescita
disomogenea. Adesso bisogna ripensare i rapporti con gli Stati Uniti e la Russia. Di storie
dell'Europa comunitaria, dalla Ceca all'Unione, ne esistono tante. In genere sono noiose e
destinate agli addetti ai lavori. Raccontare la Grande Avventura della costruzione europea
come se fosse un romanzo, in effetti, non è facile. Sarebbe come pretendere di fare poesia
descrivendo la progettazione e la costruzione di un'automobile o di un computer oggetti
che hanno cambiato il mondo e la nostra vita, che producono sogni, ma che portano
dentro di sé una complessità tecnica che alla maggior parte di noi sfugge, non interessa,
appare arida e materia per il pensiero altrui: quelli che sanno e lavorano per noi.
Se dovessimo consigliare un libro che "spieghi" l'Europa come l'avventura che è stata e
che è, diremmo di leggere l'autobiografia di un filosofo tedesco che si chiama Iring
Fetscher, il quale, pur provenendo da una famiglia colta e antinazista, andò in guerra del
tutto inconsapevole di assecondare così, comandando il reparto di artiglieria che gli era
stato affidato, la storia dell'Europa com'era: il conflitto tra le potenze, l'inimicizia tra le
nazioni, il fascismo e il totalitarismo. Quando ancora si contavano i morti e giravano per
il mondo le prime immagini di Auschwitz, se ne andò su un'isoletta al largo della
Provenza a studiare e a sognare il futuro insieme con i suoi coetanei francesi, dopo aver
giurato,lui e gli altri, che non si sarebbero mai più sparati addosso.
Se dovessimo consigliare una biografia, sarebbe quella, più nota (ma comunque non
abbastanza) di Altiero Spinelli dei suoi anni di esilio a Ventotene e del Manifesto che
Spinelli, insieme con Eugenio Colorai ed Ernesto Rossi scrisse nel 1941, invocando
l'unità dell'Europa proprio nel momento più duro della guerra, quando pareva che
l'unificazione venisse imposta con le armi e con il sangue dall'esercito nazista che
dilagava. Se dovessimo consigliare un'immagine, andremmo a cercare la foto in cui due
grandi dirigenti politici, Frangois Mitterrand e Helmut Kohl, consumatissimi uomini di
potere, si tengono ingenuamente per mano a Verdura, dove un milione di soldati tedeschi
e francesi si ammazzarono sparandosi addosso nelle trincee della prima guerra mondiale.
Forse è da qui che occorre ripartire per ragionare sull'Unione europea, il bilancio dei
cinquant'anni passati, le prospettive dei prossimi.
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18. Sono passati pochi decenni dalla fine dei grandi massacri che per secoli hanno segnato
l'Europa. Pochi decenni sono un nulla nella storia degli uomini Ma in questo briciolo di
storia si è creata una realtà del tutto nuova che, per dirla nel modo più semplice, rende
non solo impossibile ma impensabile che ci si possa far la guerra all'interno di quello
strano, complicato, insoddisfacente, a volte frustrante, complesso di istituzioni che è
l'Unione europea.
Mentre è possibile, e purtroppo ben più che pensabile giacché nei Balcani è accaduto, che
in Europa, intesa nel senso geografico e non istituzionale, la guerra sia tuttora fra i conti
da fare con la storia. Ancora, solo una quindicina di anni fa, a due passi da Trieste o
chissà, domani, nel Kosovo o di nuovo in Bosnia. Adottare questa chiave di lettura aiuta
molto poiché consente di rintracciare un fil rouge che è andato pian piano perdendosi,
negli ultimi anni, tra gli egoismi, le paure e certe miserabili astuzie delle politiche
nazionali e quella "stanchezza" dell'Europa, quel disincanto di cui emergono visibili
tracce nei sondaggi, anche quelli commissionati da Bruxelles. La costruzione europea è
stata sostanzialmente quattro cose: un processo di integrazione economia, dalla Comunità
del carbone e dell'acciaio al mercato unico alla moneta unica; un processo di realizzazione
di un modello sociale, che bene o male esiste ed è percepibile nonostante le resistenze e le
mille obiezioni dei britannici e di quelli che Jacques Delois definì un tempo gli «ayatollah
del liberismo» di tutte le nazionalità e tutte le scuole; un approfondimento della
integrazione istituzionale, che è stato molto frenato ma che comunque alla lunga ha
portato risultati con la creazione di ambiti sopranazionali di decisione politica; un
allargamento che ha subito una forte accelerazione dopo la caduta del Muro di Berlino e
dei regimi comunisti dell'est.
Se si cerca di guardare dietro le apparenze, si vedrà che gran parte delle difficoltà in cui,
nelle varie fasi della sua storia, si è cacciata prima la Comunità e poi l'Unione è dipesa
dalla mancata sincronia tra queste diverse esigenze. L'Europa è cresciuta à la carte (per
dirla con un'espressione molto "in" a Bruxelles) rispondendo ora a questa ora a quella
esigenza in un equilibrio variabile e sempre instabile con i governi dei paesi membri. E'
mancata l'ossatura di una chiara percezione del senso politico dell'unità europea, la
istituzionalizzazione (nel senso proprio della creazione di istituzioni) del grande valore
politico della conciliazione postbellica L'Europa non è mai stata un disegno organico
pensato come tale, nello stesso momento, con la stessa intensità da tutti i suoi
protagonisti, a cominciare dagli Stati che aderivano al progetto. E' cresciuta
disordinatamente. Forse perché la ritrovi, la sua anima, bisognerà in qualche modo tornare
alle origini. Porre le grandi questioni che erano dentro il Manifesto di Ventotene, che
nutrirono l'ottimismo del giovane Iring e furono la sostanza della riconciliazione franco-
tedesca impersonata dal sentimentale ma onesto e coraggioso tenersi per mano di due
grandi vecchi navigatori della politica europea.
La questione del "perché" dell'Europa, che va ben oltre le ragioni dell'economia, la
questione della sua identità, che è ben altro l'affermazione della propria importanza nel
mondo, la questione dei suoi confini, nello spazio e nelle competenze e del grado di
democraticità con cui queste competenze vengono esercitate. Come amava dire il nostro
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando era presidente della Commissione
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19. istituzionale al Parlamento europeo, l'Europa deve ritrovare la capacità di «esprimersi in
modo alto».
La discussione che sta faticosamente riprendendo intorno alla Costituzione (o al Trattato
costitutivo, nella versione dei meno coraggiosi), della quale diamo qualche cenno qui
sotto,è molto confusa, molto "Tecnica", decisamente poco appassionante, ma è almeno il
segno che una qualche consapevolezza si sta facendo strada. I tempi della Storia non
guardano, però, alle idiosincrasie dei governi, al dispiegarsi delle buone arti diplomatiche
e neppure alla buona volontà e al lavoro di una presidenza di turno del Consiglio, per
quanto impegnatissima come quella tedesca. La mancanza di Europa nel campo della
politica estera e della sicurezza comune, nonostante i progressi fatti con una
istituzionalizzazione restata però del tutto in mano ai governi nazionali, è un problema
sempre più acuto in un mondo insidiato dai fondamentalismi, dal terrorismo e dai conflitti
asimmetrici,tanto più complicato e multipolare rispetto agli anni della confrontation est-
ovest. Lo schema che sembrò partorire dalla caduta del Muro di Berlino e
dall'unificazione tedesca, un allargamento verso est in qualche modo guidato dalla
Germania è clamorosamente in crisi e la creazione di rapporti speciali tra alcuni paesi
dell'est e gli Stati Uniti (resi evidenti dalla decisione di accettare l'installazione dei sistemi
antimissile) confonde in modo drammatico anche il sistema delle relazioni tra la UE e la
Russia.
D'altronde un primo elemento dì crisi era stato introdotto proprio dai tedeschi, con la loro
scelta di riconoscere con la Croazia il sovvertimento dell'ordine nei Balcani. E mentre si
approfondiscono le diversità di giudizio sull'adesione della Turchia, sono prigioniere di
una rete incredibilmente fitta e talvolta contraddittoria di sigle e di responsabilità le varie
partecipazioni europee (Nato e non) alle missioni di pace e alle azioni di guerra.
Insomma, la confusione è grande. Ma l'impressione è che, passando dalla storia dei
cinquant'anni alle prospettive del futuro, l'Unione europea se vuole davvero essere
all'altezza del suo ruolo, dovrà cominciare molto presto a discutere i suoi rapporti con gli
Stati Uniti e con la Nato e a rivedere il sistema di relazioni con il mondo che si trova oltre
i suoi fini orientali e meridionali: con Mosca (ma anche con l'Ucraina e la Bielorussia),
con i Balcani occidentali. Con l'ispirazione delle origini e con una vera politica estera
comune.
6. GLI ERRORI DA NON RIPETERE
Per dare un nuovo impulso al processo d'integrazione, per superare l'impasse della
Costituzione e affrontare le sfide che la globalizzazione sta ponendo al nostro continente,
i Capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri si sono riuniti, nella primavere del 2007,
a Berlino per celebrare i 50 anni dell'Unione europea. L'Europa riparte da Berlino. Nella
capitale tedesca, in occasione dei 50 anni dell'Unione, i capi di stato e di governo
dell'Unione hanno adottato una Dichiarazione destinata a sancire il rilancio della UE e la
fine dell'impasse nella riforma istituzionale. Nella "Dichiarazione di Berlino" si fa appello
alla difesa delle conquiste dell'Unione e al tempo stesso al "continuo rinnovamento
dell'architettura dell'Europa in conformità all'evolversi dei tempi". "Cinquant'anni dopo la
firma dei Trattati di Roma - è scritto nella Dichiarazione - noi siamo uniti nell'obiettivo di
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20. porre l'Unione europea, fino alle elezioni del parlamento europeo nel 2009, su una
rinnovata base comune". Il documento - sul quale è stato raggiunto un faticoso consenso
sul testo proposto dalla presidenza tedesca – è stato firmato dal cancelliere tedesco
Angela Merkel, unitamente al presidente della Commissione europea Jose Manuel
Barroso e a quello del parlamento europeo Hans-Gert Poettering.
La vigilia della firma è stata però caratterizzata da evidenti divisioni e difficoltà. Come
dimostrano i documenti finali dei due più grandi gruppi politici europei diffusi al termine
delle tradizionali riunioni del Pse e del Ppe. Neanche una parola sulla Costituzione
europea nel testo dei popolari; grande enfasi sulla necessità di un nuovo Trattato in quella
dei socialisti. Monta intanto la polemica sulle "radici cristiane" dell'Europa. Fa discutere
il mondo politico italiano ed europeo il fermo richiamo del Papa sulla necessità di tenere
nella dovuta considerazione queste radici. Un monito che ha investito prima Roma,
aprendo un immediato dibattito politico, e che ha raggiunto con la stessa forza Berlino,
dove i 27 cercano faticosamente di riallacciare le fila dell'integrazione proprio sulla base
del Trattato costituzionale. Il Presidente del Consiglio Italiano, Romano Prodi, ha
affermato: "Mi sono adoperato lungamente per introdurre il riferimento alle radici
cristiane nella Costituzione europea non esserci riuscito non vuol dire però che il testo le
disconosca. Ci sono momenti in cui bisogna chiudere con il passato. Ora serve una nuova
laicità fondata sul dialogo". Per riprendere slancio, l'Europa deve innanzitutto capire le
difficoltà, o gli errori, degli ultimi anni. Ce ne sono molti, ma mi limito a tre.
(1) L'Europa ha dimenticato il proprio passato. Il ricordo delle macerie della Seconda
guerra mondiale e il desiderio di costruire un'area di pace e di stabilità sono stati, per anni,
il motore della costruzione europea. Questo motore non c'è più, perché fortunatamente un
conflitto europeo appare oggi assurdo. I cittadini europei hanno più difficoltà oggi a
capire i vantaggi di stare insieme e di aderire a un progetto comune. Sembra che si siano
dimenticati dei miglioramenti ottenuti grazie all'unificazione europea, anche quelli
recenti. Eppure tutti gli indicatori, dalla crescita all'inflazione, mostrano che gli ultimi otto
anni, cioè da quando c'è l'euro, sono stati nell'insieme migliori degli otto anni precedenti.
Ad esempio, dal 1999 al 2006 sono stati creati nell'area dell'euro circa 13 milioni di posti
di lavoro, contro meno di 3 negli otto anni precedenti. In Paesi come l'Italia, sembra che
ci si sia dimenticati dell'inflazione a due cifre degli anni 70 e 80, degli alti tassi
d'interesse, dei disavanzi pubblici in aumento, del debito pubblico più che raddoppiato
negli anni 80, delle ripetute svalutazioni della lira, della crescita instabile, drogata
dall'inflazione e dal debito. Vogliamo forse tornare indietro a quegli anni?
(2) L'Europa è stata troppo a lungo usata come capro espiatorio. Nonostante i
miglioramenti ottenuti in questi anni, il disagio dei cittadini europei non può essere
ignorato. A ben esaminarlo, però, questo disagio non è diverso da quello avvertito in altri
Paesi avanzati, in Europa, Nord America o Asia, indipendentemente dalla moneta o dal
sistema economico. Esso deriva dai grandi mutamenti che stanno avvenendo nel nostro
pianeta, per effetto della globalizzazione e dell'innovazione tecnologica. Per affrontare
queste sfide sono necessarie.
- 20 -
21. (3) L'Europa ha smesso di pensare globale. I processi economici innescati dalla
globalizzazione in atto stanno drammaticamente ridimensionando il ruolo dei Paesi
europei. Nel 1980 la Germania, la Francia e l'Italia rappresentavano la 3°, 4' e 5'
economia mondiale, rispettivamente, con circa il 6%, 5% e 3,5% del Prodotto lordo
complessivo. In 25 anni queste quote sono scese progressivamente e, se proseguono le
tendenze in atto, tra 25 anni i 3 Paesi, messi insieme, peseranno poco più del 6%
dell'economia mondiale, quanto la sola Germania 20 anni fa, superati da Cina, India e
forse altri. Se gli europei intendono governare, e non subire, i processi di globalizzazione
nei settori del commercio, della finanza, dell’energia, e più in generale della politica
internazionale, devono rendersi conto che le strutture decisioni nazionali non sono più
adeguate. Solo attraverso il rafforzamento della capacità di azione europea, in particolare
negli organismi internazionali, è possibile svolgere un ruolo leader.
Gli errori del passato mostrano la strada per il futuro: non dimenticare le radici, ma
costruire sui successi ottenuti in questi 50 anni; non trasformare l’Europa in capro
espiatorio delle nostre paure e fallimenti, ma dargli un ruolo per governare la
globalizzazione5. Questo dovrebbe essere l’impegno dei 450 milioni di cittadini per dare
un senso all’Europa dei prossimi 50 anni. Il fattore religioso nell’Europa contemporanea.
Profondamente segnato da due grandi eventi storici, la caduta del Muro di Berlino nel
1989 e l’attacco alle Torri gemelle a New York nel 2001, l’Occidente si è trovato a vivere
questi anni in un clima culturale caratterizzato da una diffusa, anche se spesso vaga,
ricerca del sacro. Questo fenomeno interessa in particolare l’Europa dove la dimensione
religiosa dell’esistenza, fortemente posta in crisi dalla massificante propaganda
antireligiosa nei Paesi dell’Est e dalla secolarizzazione dilagante che ha toccato le masse
oltre che le élites nelle Nazioni dell’Ovest dell’Europa, la dimensione religiosa ha ripreso
invece ad interessare sempre più la pubblica opinione.
Recenti statistiche attestano nel nostro Continente un risveglio della fede in Dio ed anche
della rivendicazione dell’appartenenza identitaria alla cultura cristiana, anche se si
distingue fra believing, belonging e behaving e cioè tra fede, appartenenza confessionale
e comportamento etico6. Va subito notato che per alcuni – si tratta per la verità di una
minoranza; la religione occupa uno spazio eccessivo nella vita pubblica: per essi qualsiasi
riferimento al dato religioso suscita un rigetto, che talora è violento. Qualcuno ha scritto
che il loro atteggiamento può essere paragonato a quello, nella corrida, del toro dinanzi al
drappo rosso. Per loro far credito alla Chiesa Cattolica equivarrebbe a „ghettizzarsi” in
un‘istituzione ormai superata e quasi in via di estinzione. Grazie alla vasta eco dei mass
media, la cultura del secolarismo appare in Europa dominante e c’è chi si batte con ogni
mezzo perché la religione sia considerata come una scelta meramente privata, ininfluente
nella vita della società.
5
Lorenzo Binismaghi, membro del Comitato esecutivo della Banca Europea Centrale, Corriere della Sera,
22 marzo 2007, pag. 48, i 50 anni dell’Europa.
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Il fattore religioso ed il futuro dell'Europa, CRACOVIA. Discorso pronunciato a Cracovia (Polonia), il 15
settembre, dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, all'Inaugurazione della sessione di
studio su “Il fattore religioso ed il futuro dell’Europa”.
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22. A ben vedere, tuttavia, non appare per nulla facile separare l’esigenza spirituale dalle
coscienze delle persone e dal senso comune. Inoltre, non è senza ostacoli il processo di
secolarizzazione: se è vero infatti che talune forme di de-istituzionalizzazione della
religione (believing without belonging) vanno diffondendosi in alcune zone dell’Europa,
non avviene la stessa cosa altrove. In presenza di un fenomeno così complesso, che
caratterizza l’epoca post moderna che stiamo vivendo, è legittimo domandarsi se ci si
avvii verso la fine di un’Europa dove vaste e profonde sono la cultura e la spiritualità
cristiana e se ci si debba preparare al trionfo della secolarismo. La domanda che riemerge
è la seguente: “Quali sono in definitiva la portata ed il «valore aggiunto» che la religione
– mi riferisco in primo luogo al Cristianesimo – possono apportare alla costruzione
dell’Europa di oggi e di domani?”
Papa Benedetto XVI salutando i cinquanta anni dell'Europa ha ricordato che "serve
equilibrio tra economia e società altrimenti rischia sotto il profilo demografico il congedo
dalla Storia". L'Europa, dice il Pontefice nell'udienza ai vescovi riuniti a Roma per un
Convegno sui Trattati europei, "ha percorso un lungo cammino" con la "riconciliazione"
tra Est e Ovest, "arbitrariamente separati da una cortina di ingiustizia". "E’ sempre più
avvertita l'esigenza di stabilire un sano equilibrio fra dimensione economica e sociale,
attraverso politiche capaci di produrre ricchezza e di incrementare la competitività, senza
trascurare le legittime attese dei poveri e degli emarginati"7. L'Ue salvaguardi "il diritto
all'obiezione di coscienza ogni qualvolta fossero violati i diritti fondamentali", ha chiesto
ancora il Papa affermando che l'Unione per essere "garante dello stato di diritto" e
"promotrice di valori universali" deve "riconoscere con chiarezza" una "natura umana
stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi
che li negano". Il Papa invita i cristiani ad essere "presenti in modo attivo" nel dibattito
pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello
nazionale, e ad "affiancare a tale impegno una efficace azione culturale". "Non piegatevi -
li esorta - alla logica del potere fine a se stesso". In un'Europa che sembra voler negare la
propria identità, "si inseriscono tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce
per negare ai cristiani il diritto stesso di intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per
lo meno, se ne squalifica il contributo con l'accusa di voler tutelare ingiustificati
privilegi", ha detto ancora ai vescovi europei il Papa, esortandoli poi ad essere "presenti in
modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo". "Voi sapete - li ha incoraggiati - che
avete il compito di contribuire a edificare con l'aiuto di Dio una nuova Europa, realistica
ma non cinica, ricca d'ideali e libera di ingenue illusioni, ispirata alla perenne e
vivificante verità del Vangelo".
7. CONCLUSIONI
Mezzo secolo di pace, di libertà; di democrazia e di benessere. Sembra passata un'eternità
dall'ultima guerra civile europea, dai suoi 4o milioni di morti, dalle sue devastazioni
materiali e mentali. Due generazioni sono bastate a esorcizzare l'incubo, rimosso tanto da
renderlo lontano, irreale. Come le guerre puniche, gli elefanti di Annibale sulle Alpi. La
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Papa Bendetto XVI, marzo 2007, nell'udienza ai vescovi riuniti a Roma per un Convegno sui Trattati
europei.
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23. riunificazione dell'Europa dopo la riunificazione della Germania, l'elezione di un Papa
tedesco come un fatto del tutto normale dicono che l'Europa è guarita dalle ferite, ha
messo a segno una success-story incredibile, senza precedenti. Ma dicono anche che per
uscire dalla crisi di consenso popolare, di governabilità e di riformismo economico in cui
oggi si dibatte, ha disperato bisogno di una nuova legittimazione ideale, identitaria e
politica. Paradossalmente quella delle origini si è esaurita nell'ampiezza dei risultati
raggiunti. Il mondo intanto è cambiato, la globalizzazione incalza, l'Europa è più
necessaria che mai: ma in democrazia nessuna impresa umana può sopravvivere se non
riesce più a convincere la sua gente.
I mutamenti introdotti a partire dal 1992 pongono l'Europa davanti a due nuove
prospettive; quella unitaria e quella comunitaria. Queste due visioni, unitaria e
comunitaria, hanno un medesimo punto di partenza; "condividono, dice il Weiler - un
punto di partenza simile": "cercare una soluzione al tradizionale modello di relazione tra
Stati nazione; modello che aveva generato scontri violenti, basti pensare alle due guerre
mondiali. L' Europa cercò un nuovo modello che eliminasse i caratteri negativi degli Stati
moderni. La visione unitaria prevede, attraverso tappe progressive d' integrazione sempre
più stretta, una piena unione politica " sotto forma celi uno sorta di Stati Uniti d'Europa...,
l'eliminazione dei nazionalismi degli Stati... , quindi la realizzazione di una unione
politica organizzata su basi federali di governo8. La visione comunitaria si basa sulla
condivisione della sovranità e sul riconoscimento della interdipendenza tra gli Stati.
Questa visione non nega gli interessi nazionali, essi si aggiungono quelli della Comunità:
una coesistenza, quindi, tra Stati e Comunità. L'Europa ha scelto di seguire la visione
unitaria. Nel 2002 l'euro diventa realtà per 12 Paesi (oggi 13 con la Slovenia) insieme a
una politica monetaria unica gestita da una Bce indipendente. Per convincete gli Stati a
rinunciare alla sovranità esclusiva su moneta e infazione c'è voluto l'impensabile, la
caduta del Muro di Berlino il 9 novembre dell'89 e poi la riunificazione tedesca, la
resurrezione di Berlino capitale.
Uno shock per quasi tutti, soprattutto per la Francia di Mitterrand. La Germania di Kohl
patteggia, l'Europa abbozza e incassa l'euro. Quel giorno la sua storia volta pagina: perché
la riunificazione tedesca apre la strada a quella europea, ma soprattutto perché rompe
l'equilibrio in seno all'asse franco-tedesco, la finzione della parità che era stato il motore
nell'Unione. "Cresco ergo sum" diventa il mantra per affossare l'irrisolta crisi esistenziale
francese senza più Grandeur. «La France c'est l'Europe» amava ripetere Mitterrand.
Ormai invano. E così invece di riforme istituzionali prima e allargamento poi, si fa il
contrario. Risultato: si esporta stabilità ma si importa instabilità. Nel maggio 2004 il big
bang: entrano 8 ex-fratelli separati dell'Est, più Malta e Cipro. Poi nel 2oo7 Romania e
Bulgaria. Troppe eterogeneità, troppe incomprensioni. Paradigmatiche le frattura su
guerra in Iraq e liberalizzazione dei servizi. Si tenta di metterci una pezza con la
Costituzione ma si sbaglia tutto, persino il nome magniloquante affibbiato all'ennesima
riforma del Trattato.L'Europa intanto piomba nel torpore economico, i suoi cittadini
temono tutto: disoccupazione e riforme, immigrati e liberalizzazioni, dumping sociale e
fiscale, allargamento e globalizzazione. Sulla mitica dell'idraulico polacco" nel maggio
8
Weiler "la Costituzione dell'Europa", pg.157/158
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24. del 2005 inciampa la Costituzione in Francia. Poco dopo è no anche in Olanda.
Ricomincia una fase buia: per decidere qualcosa a 27 ci vuole una media di due anni in un
mondo globale che invece corre a rotta di collo. La riforma istituzionale è urgente ma per
ora impossibile. Si spera di farla entro il 2009. In alternativa, o forse comunque, potrebbe
staccarsi un nucleo di Paesi, la nuova Europa di pionieri alla ricerca di quell'unione
politico-militare che finora è mancata ma che il mondo globale impone, se si vuole
contare.
L'unione europea ha assicurato mezzo secolo di stabilità, pace e prosperità. Ha contribuito
a migliorare il tenore di vita, a costruire un mercato unico europeo, ha introdotto una
moneta unica europea, l'euro e ha consolidato la voce dell'Europa nel mondo. L'Europa è
un continente con molte diverse tradizioni e lingue, ma condivide anche un patrimonio di
valori comuni da salvaguardare. Essa dà impulso alla cooperazione tra i popoli d'Europa,
promuovendo 1' unità nel rispetto della diversità e garantendo che le decisioni vengano
prese il più possibile a contatto con i cittadini. Nel mondo del XXI secolo, caratterizzato
da una sempre maggiore interdipendenza, diventerà sempre più necessario che ciascun
cittadino europeo cooperi con i popoli di altri paesi in uno spirito di curiosità, tolleranza e
solidarietà. Di buono ora c'è il ritorno della crescita economica, che di solito aiuta
l'integrazione. Ma l'Europa non ha tempo da perdere. Perché, per dirla con Shakespeare,
«se ancora una volta butterà via il suo tempo, poi sarà il tempo a buttarla via»9.
9
Corriere della Sera, 20-03-2007, Europa, un successo da rinsaldare. L'anniversario della firma di Roma suggerisce di accelerare la
riforma istituzionale di Adriana Cerretelli
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