1. SCENARI FINANZIARI
THE ABSOLUTE RETURN LETTER
Newsletter mensile - Versione Italiana a cura di Horo Capital
Nel lungo termine saremo tutti nei guai
di Niels Jensen | 8 maggio 2013 - Anno 4 - Supplemento al numero 16
.
"Il lungo termine diventa una guida fuorviante nel gestire il quotidiano. Nel lungo periodo
saremo tutti morti."
John Maynard Keynes
Spesso mi trovo preso tra ciò che dovrebbe essere appropriato per il breve termine,
rispetto a quello che dovrebbe essere fatto per il lungo termine. Mi domando infatti se
dovrei essere maggiormente affascinato dalle sfide a lungo termine che ci troviamo di
fronte o invece dovrei fare quello che la maggior parte degli investitori sembra
perfettamente felice di fare - ignorare il lungo termine e concentrarsi solo sul breve?
Considerazioni morali, sul rischio di carriera, l'avidità – questo è il loro nome – sembrano
tutti essere fattori che influiscono.
Voglio ricordarvi nuovamente quello che è accaduto a Tony Dye. Negli anni ’90 Tony è
stato uno dei migliori gestori di fondi in Gran Bretagna. Verso la fine di quel decennio i
mercati azionari erano diventati sempre più costosi ed egli era diventato sempre più
fermamente convinto che i mercati erano fortemente sopravvalutati e così decise di
cominciare a ridurre la sua esposizione azionaria. Nel 1999 la sua società si trovava al 66
posto su 67 nelle classifiche azionari dei fondi che investivano nel Regno Unito, così nel
febbraio del 2000 venne licenziato per scarso rendimento. Dopo il suo licenziamento nel
giro di poche settimane l’FTSE raggiunse il picco ed in quel momento ebbe inizio uno dei
maggiori mercati orso della storia, tutto questo mi ha insegnato una lezione molto
importante – un timing sbagliato può rovinare anche le migliori decisioni di investimento.
Questo nasce dal fatto di aver pubblicato nella Absolute Return Letter del mese scorso un
grafico di Albert Edwards e dei suoi colleghi di Société Générale (grafico 1).
Grafico 1: Totale delle passività del governo
2. Fonte: Societe Generale Cross Asset Research.
Molti di voi sono venuti a trovarmi chiedendomi ovviamente se c’era un qualcosa di cui si
dovevamo preoccupare. Di questo ne riparleremo più avanti, in quanto mi piacerebbe
iniziare da un altro punto. Voglio affrontare la questione che sembra che in questo
momento preoccupi gli investitori più di ogni altra cosa. L’attuale politica monetaria
genererà o meno una elevata inflazione? C'è molta paura rispetto a quello che sta
succedendo ed è quindi necessario fermarsi un secondo e guardare solamente ai fatti.
Absolute Return Partners - www.arpinvestments.com - è il partner di John Mauldin per
il mercato Europeo.
Horo Capital - www.horocapital.it - è il partner di Absolute Return Partners per il
mercato Italiano.
Perché l'inflazione rimarrà contenuta
Ci sono almeno un paio di motivi per cui gli attuali investitori che sono presenti della
maggior parte dei paesi(1) non dovrebbero eccessivamente preoccuparsi dell'inflazione
almeno nel breve-medio termine (che cosa accadrà nel lungo termine io onestamente non
lo so). Come giustamente è stato dimostrato in un recente documento del FMI, oggi la
correlazione tra l'inflazione e il ciclo economico è molto diversa rispetto al periodo dal
1975-1994. Mentre in quel periodo l'inflazione era pro-ciclica, oggi questa è per la maggior
parte non ciclica ed infatti abbiamo un inflazione che ruota fortemente attorno al 2% e
questo indipendentemente dalle condizioni economiche sottostanti (grafico 2). L’evidente
conseguenza di tutto questo è che l'inflazione dovrebbe muoversi relativamente, e questo
anche (se) i fondamentali economici dovessero migliorare.
Grafico 2: inflazione vs disoccupazione ciclica
3. Fonte: http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2013/res040913b.htm
L'altra motivo ha a che fare rispetto a come viene interpretata – o meglio male interpretata
l’attuale politica monetaria. Anche in passato ho scritto molto su questo tema, quindi devo
fare riferimento ad alcune delle vecchie lettere per alcuni dettagli. E a questo proposito
basta dire che molti investitori non sembrano cogliere la chiara differenza tra la base
monetaria e l'offerta di moneta, e questo è chiaramente un errore.
Partendo dall’agosto del 2008 – e considerandolo il periodo durante il quale è iniziato il
fallimento di Lehman, che però è stato il momento di inizio della nuova e maggiore era
espansiva fatta dalla politica della banca centrale – e prendendo come base (un indice =
100) la base monetaria degli Stati Uniti è cresciuta ed è arrivata a 347, mentre l'offerta di
moneta (M2) è cresciuta solo fino a 135. La base monetaria nel Regno Unito è
attualmente pari a 433, con l’offerta di moneta che è bloccata a 110. Nella zona euro la
base monetaria è a 157, mentre l'offerta di moneta è pari a 107. Infine, in Giappone la
base monetaria è a 150 (ed in procinto di crescere in modo significativo), ma l'offerta di
moneta è pari a solo a 113 (si veda qui).
Tutto questo per dire che alla fine che è l'offerta di moneta e non la base monetaria che
genera l'inflazione. Un altro modo per illustrare questa cosa è quello di dare uno sguardo
all’effetto del QE sul credito bancario (grafico 3). Infatti non si è generata una crescita
diffusa dei prestiti bancari e questo nonostante la cosiddetta stampa di denaro. Gli
investitori hanno ragione a tenere d'occhio la palla, ma dal mio punto di vista sembra che
si stiano concentrando sulla palla sbagliata.
Grafico 3: effetto del QE sul credito bancario
4. Fonte: Nomura Research Institute
La regola dello struzzo nel settore bancario europeo
Per parlare di una cosa diversa - perché questo non è l’argomento che vuole
maggiormente trattare la lettera di questo mese – quello di cui invece nel breve-medio
periodo mi preoccupa molto è lo stato totale di negazione del settore bancario europeo.
Molte delle nostre banche europee sono effettivamente in una situazione di completa
bancarotta, ma in questo caso vale il principio dello struzzo - con l’apparente benedizione
delle autorità. Sembra che l’obiettivo di oggi sia quello di mettere la testa sotto la sabbia e
sperare che il problema sparisca, prima che qualcuno se ne accorga.
Nel corso degli ultimi mesi in tutta Europa vi è stato un acceso dibattito nel cercare di
comprendere fino a che punto la Germania sia disposta ad arrivare, o meglio che strada
dovrebbe percorrere nel cercare di mantenere la zona euro a galla. Vorrei suggerire una
cosa: sicuramente non molto lontano. Ecco il motivo: solo pochi giorni fa è stato detto che
l'esposizione lorda in termini di derivati di Deutsche Bank è attualmente pari ad un cifra di
55,6 trilioni € (no non è un errore di stampa) - più di 20 volte la dimensione del PIL tedesco
(grafico 4).
Grafico 4: esposizione lorda in derivati di Deutsche Bank vs il PIL tedesco PIL
5. Fonte: Zero Hedge
Molti sostengono che ciò che conta sia l'esposizione netta di Deutsche – e questa è solo
una piccola frazione della sua esposizione lorda - e questo è teoricamente corretto.
Tuttavia come Zero Hedge ha ovviamente puntualizzato, il netting out funziona bene solo
fino a quando la catena non si rompe. Però nel momento in cui si crea una situazione di
discontinuità nella catena dei collaterali, a quel punto spariscono tutte le scommesse s (lo
si può vedere qui). Inoltre molte controparti di Deutsche Bank sono delle altre banche
europee e quindi gli altri - e il resto della Germania - semplicemente non possono
permettersi che il settore bancario europeo venga messo sotto pressione.
Comunque nonostante tutto questo, credo che nel breve-medio termine l’outlook sia
relativamente positivo. Quelli che ci vogliono spaventare e i fan dell'oro - che sono molti di
più di quanto si immagini ed inoltre non sono nemmeno gli stessi - vogliono farvi credere
che il mondo stia arrivando al capolinea, ma questo non è vero. Il Dipartimento del Tesoro
degli Stati Uniti ha anche in programma di ripagare una prima parte del debito federale
che è stato emesso a partire dal 2007. Chi se lo sarebbe mai aspettato?
Invece qui in Europa il movimento anti-austerità ha improvvisamente raccolto una
maggiore attenzione e questo a seguito della notizia che Reinhart e Rogoff hanno fatto
degli errori piuttosto banali, quando hanno predicato al mondo che un debito pubblico
superiore al 90% del PIL porta ad una crescita economica mediocre. A parte questi
elementari errori che potrebbero o non potrebbero essere reali, Reinhart e Rogoff non
hanno mai fatto una chiara distinzione tra i paesi che emettono moneta (ad esempio come
gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone) che non potranno mai essere costretti a fare
default sul debito emesso nella propria valuta, e i paesi che invece fruiscono di una valuta
(come ad esempio i membri della zona euro), questo è sempre stato un dato che mi reso
sempre particolarmente sospettoso rispetto alle loro conclusioni, ma questa è una storia
per un'altra lettera.
Le prospettive a lungo termine per i titoli azionari sono particolarmente tristi
Ciò che più mi preoccupa per i titoli azionari è la prospettiva a lungo termine che credo sia
terribilmente mediocre, ma a questo proposito baso questa mia considerazione su due
osservazioni. In primo luogo sta diventando sempre più evidente, almeno per me, che ci
dovremo aspettare che i tassi di interesse rimarranno bassi per un periodo di tempo molto
prolungato, e questo sia in termini assoluti che in termini relativi. In realtà io mi aspetto che
i tassi reali (misurati come i rendimenti dei titoli a 10 anni al netto dell'inflazione)
rimangano piatti o negativi nella maggior parte dei paesi del G10, per un numero
6. significativo di anni. E quindi che cosa possiamo dedurre da tutto questo? I tassi reali
negativi sono una cosa molto insolita ed inoltre implicano che il capitale non venga
prezzato in modo corretto. Questo è un indicatore molto importante della repressione
finanziaria.
Che cosa si può ancora dire, che i tassi reali sono un proxy del trend di crescita. Dei tassi
reali negativi presenti in un numero crescente di paesi in tutto il mondo ci suggerisce che
ci troviamo di fronte ad una caduta dei trend di crescita o per lo meno un calo nel trend di
crescita previsto. In passato i tassi reali sono stati anche molto correlati con i rendimenti
azionari, ed inoltre dei tassi reali negativi di solito hanno generato dei bassi rendimenti
azionari (grafico 5).
Grafico 5: Il legame tra i tassi di interesse reali e i rendimenti azionari
Fonte: Barclays Equity Gilt Study 2013
In secondo luogo mi preoccupo molto dell’aspetto demografico e dell'effetto che questo
avrà sui mercati finanziari. Il legame tra dati demografici e la valutazione del patrimonio
netto è ben documentata. Una ricerca di Barclays del 2010 su Equity Gilt Study (si veda
qui) e stata anche recentemente commentata da il FT (si veda qui). La logica è piuttosto
semplice. Quando siamo più giovani noi risparmiamo soprattutto per l'educazione dei
nostri figli ed in quel periodo i titoli azionari giocano un ruolo minore nei nostri portafogli.
Man mano che i bambini crescono e cominciamo a concentrarci sulla nostra pensione, i
nostri modelli di risparmio cambiano e a quel punto le azioni dominano i nostri portafogli.
Da qui si ricava che il mix demografico è probabile che possa avere un impatto sulle
valutazioni azionarie, ed infatti è proprio quello che è successo (grafico 6).
Ora a causa dell'invecchiamento della società i maggiori acquirenti di titoli azionari (coloro
che sono tra 40-49 anni) sono numericamente meno di coloro che acquistano
maggiormente le obbligazioni (coloro che sono tra i 60-69 anni), facendo si che le
valutazioni obbligazionarie salgano e che viceversa scendano le valutazioni azionarie. È
importante sottolineare che questa attuale tendenza sia destinata a continuare per almeno
altri 6-8 anni. Questa osservazione porta ad un'altra domanda – che riguarda il fatto su
come gran parte della recente forza nei mercati obbligazionari possa essere
effettivamente attribuita ai vari programmi di QE e quanto invece sia dovuta a dei fattori
demografici? Nessuno conosce veramente la risposta a questa domanda, ma io ho il
sospetto che il significato dato alla politica della banca centrale sia particolarmente
7. sopravvalutato.
Grafico 6: Il legame tra il risparmio e la valutazione delle azioni
Fonte: “The population conundrum”, Financial Times.
Ora torniamo al grafico numero 1. Negli ultimi due i mercati azionari ci hanno trattato
particolarmente bene, ma non c'è bisogno di essere ultra-ribassisti per immaginare che
dobbiamo aspettarci negli anni a venire dei venti contrari piuttosto forti. Nel 2009
Jagadeesh Gokhale ha prodotto una ricerca particolarmente interessante dal titolo Una
misurazione delle obbligazioni non finanziate dei Paesi europei (che potete trovare qui). I
risultati di tale studio li possiamo maggiormente vedere direttamente nel grafico 1.
Il crescente aumento delle passività legate all’invecchiamento implicano che ci sia bisogno
di riformare i nostri programmi di assistenza sociale oppure l'aliquota media di tassazione
fiscale dovrà aumentare fino al 60% in tutta l'UE, e questo per far fronte agli impegni futuri.
Oppure provate a metterla in modo leggermente diverso, ogni paese della Ue dovrebbe in
media mettere da parte una quantità equivalente pari a quasi il 10% del PIL annuo per
poter finanziare completamente le passività future. E questo è quello che succederà?
Temo di no.
Dall'altra parte dell'Atlantico la situazione non è sicuramente migliore, anzi forse è
peggiore. L'imposta sui salari USA dovrebbe raddoppiare rispetto ai livelli attuali e questo
al fine di poter finanziare completamente le passività future, ed inoltre gli anni passano e il
governo degli Stati Uniti non fa nulla per ridurre il deficit previsto e la quantità di denaro
necessaria a finanziare il deficit cresce di oltre $1.500 miliardi dollari all’anno al netto
dell'inflazione.
Il vero zombie è l'Europa
Sulla base di tutti questi dati è difficile rimanere ottimisti sul lungo termine. Indubbiamente
una soluzione sarà trovata. Potrà essere che tutti noi dovremo lavorare fino a raggiungere
la tenera età di 80 anni. Oppure potrà succedere che tutte le forme di pensione pubblica
saranno completamente eliminate e così tutti noi dovremo fare affidamento
esclusivamente sui regimi pensionistici privati. Non so esattamente quale strada preferire,
ma so che sarà davvero una strada molto complicata. Nella storia, l'Europa ha dimostrato
8. di essere molto immatura nella gestione dei mutamenti sociali e la strada che oggi
dobbiamo percorrere per raggiungere il nuovo equilibrio rischia di essere piena di disordini
sociali.
La Francia è il primo esempio di un disagio auto inflitto dall'Europa. Qui ci sono alcune
statistiche che rivelano in modo chiaro la questione e che ci sono state gentilmente
concesse da Gurusblog:
Nel 1999 la Francia rappresentava il 7% delle esportazioni mondiali. Oggi il dato è pari al
3%, ed inoltre il numero continua a scendere.
Nel 2005 la Francia ha registrato un avanzo commerciale pari a 0,5% del PIL. Oggi il
surplus si è trasformato in un disavanzo pari al 2,7% del PIL.
Il valore totale delle auto e dei macchinari/attrezzature prodotte dalla Francia che vengono
vendute alla Cina sono un settimo, in termini di valore, rispetto ai medesimi prodotti
tedeschi che vengono anch’essi venduti nel mercato cinese.
In Francia il 42% dei costi salariali di una società sono oneri sociali o tasse. In Germania
questo dato è pari al 34% e nel Regno Unito è pari al 26%.
Dal 2005 il costo totale della produzione di un auto in Francia è aumentato del 17%,
mentre in Germania il costo è aumentato solo del 10%, in Spagna del 5,8% ed in Irlanda
del 2%.
In Francia un operaio guadagna in media € 35,30 all’ora, mentre in Italia la media è di
25,80 € e di 22,00 € sia nel Regno Unito che in Spagna.
I profitti delle società francesi sono scesi fino ad essere solo il 6,5% del PIL, un livello che
li mette al 60% della media europea. Dei margini più bassi significa meno soldi da investire
in nuovi impianti o tecnologie e questo ha portato, nel corso degli ultimi quattro anni, ad un
calo degli investimenti pari al 50% nel settore della R&S delle imprese francesi.
Il titolo del mio libro è, la Francia è un incidente che si attende che succeda. A differenza
di paesi come il Portogallo o la Spagna in cui vi è almeno un po' di interesse politico
nell’affrontare le criticità, in Francia questo interesse è praticamente inesistente. Non è
quindi assurdo ipotizzare che il vero banco di prova per l'Europa verrà quando i mercati
finanziari arriveranno alla inevitabile conclusione che la Francia è il vero zombie d'Europa.
Osservazioni conclusive
Ora, da tutto questo si potrebbe ben dedurre che io sia in assoluto completamente
ribassista ma niente potrebbe essere più lontano dalla verità. I problemi che ho discusso
nella lettera di questo mese sono delle nuvole all'orizzonte che possono richiedere anni
per emergere, ma nel frattempo gli investitori potrebbero continuare ad essere preoccupati
di questioni ben più banali. Tutto quello che so è che i mercati finanziari non potranno
rimanere per sempre scollegati dai fondamentali economici e a quel punto ai Tony Dyse
del mondo gli verrà detto che hanno ragione. A meno che non abbiamo già perso il loro
posto di lavoro , il che è anche possibile.
10. Capital srl e Absolute Return Partners LLP, sarà perseguita legalmente.
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