3. La lotta per lo sfruttamento
economico dei contenuti online
4. IL PESO POLITICO DELLE PARTI
Nello scontro fra «vecchi» editori (FIEG,
televisioni) e nuovi intermediari online (Google,
YouTube, …) il peso politico delle parti conta
In Italia, più che in altri paesi, la riaffermazione
dello status quo e la conservazione degli equilibri
tradizionali hanno facile gioco
Il nostro paese si trova quindi a operare come
testa di ponte nell’offensiva contro gli OTT
5. COPYRIGHT DIGITALE
Rai e Mediaset hanno più volte citato in giudizio
YouTube per avere ritrasmesso i loro contenuti
La giurisprudenza va orientandosi nel senso di
escludere la responsabilità oggettiva del service
provider, che non può controllare tutti i dati
Però nel 2010 il Tribunale di Roma ha ordinato a
YouTube la rimozione di un centinaio di video del
GF e disposto un risarcimento a Mediaset
6. COPYRIGHT E INTERMEDIAZIONE
Non esistono solo i diritti degli autori: il copyright
è intermediato da molti soggetti (editori, SIAE)
In Italia alcuni di questi soggetti hanno goduto
per decenni di privilegi quasi monopolistici
Non sempre gli autori sono stati liberi di scegliere
da chi farsi rappresentare
7. IL CASO DELL’«EQUO COMPENSO»
È incassato dalla SIAE a fronte della vendita di
supporti e dispositivi per la riproduzione di opere
protette dal diritto d’autore
Fino a oggi la quota spettante agli autori veniva
girata dalla SIAE al Nuovo IMAE, l'Istituto
mutualistico artisti, interpreti ed esecutori
Alla fine del 2012 il governo ha firmato il decreto
attuativo delle norme sulle liberalizzazioni, che
apre anche questo settore alla libera concorrenza
8. DIFFAMAZIONE ONLINE
Diffamare significa «offendere l’altrui
reputazione» attraverso un atto di comunicazione
La legge italiana distingue fra diffamazione e
diffamazione a mezzo stampa (artt. 594 e 595 c.p.)
Diffamare a mezzo stampa è un aggravante,
perché l’azione è diretta «erga omnes»
Per la giurisprudenza la diffamazione a mezzo
Internet è equiparabile a quella a mezzo stampa
9. OMESSO CONTROLLO DEL DIRETTORE
L’art. 57 c.p. punisce il direttore di un giornale per
omesso controllo in caso di diffamazione
La giurisprudenza ritiene che tale norma non si
applichi ai responsabili delle testate online
Il responsabile di un sito web non può controllare
tutto il materiale pubblicato e manipolato
Vale dunque la direttiva UE sull’e-commerce
(d.lgs. 70/2003) che sancisce il principio di
neutralità dell’intermediario rispetto al contenuto
10. OBBLIGO DI RETTIFICA
Previsto dalla legge sulla stampa (47/1948) e
dalla legge istitutiva dell’OdG (69/1963)
Il direttore di una testata deve pubblicare la
rettifica di una notizia, quando richiesta
Vanno rettificate anche le notizie veritiere, ma
ritenute dai richiedenti lesive della propria dignità
La pubblicazione della rettifica non impedisce al
diffamato di domandare il risarcimento dei danni
12. IL DDL «SALLUSTI» (3491)
Discusso e bocciato dal Parlamento nel novembre
scorso, mentre divampava il caso Sallusti
Il testo prevedeva l’arresto del giornalista
diffamante, ma con una clausola salva-direttori
Il ddl introduceva anche – a carico dei siti web –
l’obbligo di rettifica ed eliminazione dei contenuti
L’esame del provvedimento è stato accantonato
definitivamente dal Senato il 13 gennaio 2013
13. « Salve siamo dell’associazione Vividown, un
nostro mongolo si è cagato addosso e mo non
sappiamo che minchia fare perché l’odore di
merda ci è entrato nelle narici.»
Il caso Vividown c. Google: due
sentenze di segno diverso
14. NON C’È DIFFAMAZIONE
Nel caso Vividown c. Google era accusata di
diffamazione e violazione della privacy
In primo grado e in Appello la società è stata
assolta dalla prima accusa:
1. Il d.lgs. 70/2003 non prevede per il service provider
l’obbligo giuridico del controllo preventivo
2. Tale controllo preventivo è comunque impossibile
3. La normativa sulla diffamazione per omesso controllo
(art. 57 c.p.) non può essere estesa a Internet
15. IL TRATTAMENTO ILLECITO DEI DATI
In primo Google fu condannata per violazione
dell’art. 167 della legge sulla privacy:
1. Il trattamento di dati era illecito perché non consentito
dall’avente diritto (la ragazza che pubblicò il video)
2. La studentessa ignorava che fosse necessario fornire il
consenso a causa della negligente/dolosa condotta di
Google, che non informa a dovere i propri utenti
16. LA SENTENZA D’APPELLO
La corte d’Appello ha assolto Google:
1. Non c’è responsabilità penale, ma illecito: l’articolo
della legge sulla privacy violato non è il 167
(Trattamento illecito dei dati), ma il 161 (Omessa o
inidonea informativa)
2. L’informativa avrebbe dovuto essere fornita dalla
compagna dei ragazzo disabile, non da Google
3. Non si ravvede un vantaggio economico diretto per
Google dalla pubblicazione del video in questione