Progetti di integrazione sociosanitaria in Ancona. 2003
Verso l’ospedale per intensità di cura
1. Verso l’ospedale per intensità di cura: stato
dell’arte ed elementi cardine del modello”. Se
ne parla in un convegno rivolto al personale
dell'Azienda Usl 2
06-11-2012/Formazione/La redazione
LUCCA, 06 novembre - Un convegno organizzato dall'Azienda Usl 2 di Lucca, per far luce sulla nuova organizzazione
assistenziale e per prendere contatto con la nuova struttura del "San Luca". Rivolto in particolare al personale interno, si
svolgerà in due edizioni - giovedì 8 novembre 2012 e martedì 13 novembre 2012 – a partire dalle 8.30 nella sede del
Polo Didattico e Formativo di S. Maria a Colle, all’interno del complesso di Maggiano.
Il nuovo ospedale di Lucca è concepito come una struttura dinamica, in grado di adattarsi ad una evoluzione
permanente, organizzata per poli di attività, attenta alla efficacia della cura, ma anche ai diritti e alle esigenze più
complessive della persona. Si tratta di un ospedale polispecialistico, presidio di riferimento per i casi acuti e quelli
complessi, con una forte integrazione con i servizi territoriali in modo da assicurare la più completa continuità delle
cure. Un aspetto qualificante della progettazione e della gestione è l’organizzazione per processi di diagnosi e cura. E’
superato il concetto di reparto tradizionale: le strutture di degenza sono organizzate per aree funzionali a diversa
intensità di cura.
Questo consente di offrire risposte personalizzate ai diversi bisogni del paziente e studiate per affrontare patologie acute
e complesse. L’alta tecnologia della diagnostica e delle terapie contribuisce inoltre ad assicurare una sempre maggiore
qualità delle cure.
L’assistenza per intensità di cura prevede: un livello di intensità alta, che comprende le degenze intensive e sub-
intensive (ad esempio rianimazione, Utic, Stroke Unit…) un livello di intensità media, che comprende le degenze per
acuti suddivisi per aree funzionali (area medica, chirurgica, materno-infantile) un livello di intensità bassa dedicato ai
pazienti post-acuti. Così l’ospedale diventa il luogo di riferimento quando è proprio indispensabile e per il tempo
strettamente necessario a una completa efficacia delle cure. E’ superato il concetto di reparto tradizionale, ma è
garantita la più completa integrazione delle molteplici competenze professionali per rispondere alla diversa complessità
delle patologie. Degenze, sale operatorie, laboratori, servizi di diagnosi, sono utilizzabili da più professionisti, senza
divisioni e senza dispersioni.
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Il contenuto dei commenti non costituisce notizia giornalistica
07-11-2012/Raffaello Papeschi
2. Si continua a vendere fumo per nascondere la realtà di un nuovo ospedale più piccolo (100 mq x posto-letto contro i
150 della media nazionale dei nuovi ospedali), con meno posti-letto (indicizzati a 2,5 pl x mille ab., quando il decreto
Balduzzi ha stabilito un indice di 3,7 pl), solo per acuti (5 giorni di degenza media contro la media nazionale di 7-8 gg),
più scomodo (lontano dalla città, da cui è separato da una linea ferroviaria, senza adeguati collegamenti con Capannori
e la Piana), ecologicamente inquinante (per costruirlo è stato consumate del territorio destinato a invariante agricola sul
Piano Strutturale; per mantenere in agibilità i parchegi sotterranei è necessario mantenere in funzione alcune idrovore a
permanenza, abbassando la falda; per l'inquinamento acustico l'ITI passerà da classe 2 a classe 4, che non è compatibile
per una scuola; il traffico veicolare su Via di Tiglio e Via Romana doventerà insopportabile). Per mettere perfettamente
a norma l'ospedale Campo di Marte la ASL 2 aveva diffuso un depliant alla vigilia delle elezioni del 2007 che
prevedeva un costo di 50 milioni di €; invece si è preferito costruire un nuovo ospedale che all'inizio era preventivato
per 84 milioni di €, ora ha già superati i 160, e non è finito. Da notare che la regione Toscana ci impone di vendere i 2
terzi del Campo di Marte per ricavare 23 milioni di € da mettere nella costruzione del nuovo, MA SI E' GIA' MESSA
IN TASCA 13 MILIONI DI € CHE ERANO DESTINATI ALLA RISTRUTTURAZIONE DEL CAMPO DI MARTE
e che sono stati invece dirottati nelle casse della regione. Quanto ai decantati vantaggi dell'organizzazione del nuovo
ospedale per aree funzionali invece che per reparti, esiste uno studio del S. Anna dell'università di Pisa che mostra che
questa organizzazione funziona bene solo per i picoli ospedali (meno di 100 pl), ma male per quelli grandi. Questo è il
vero scopo della regione, portare il nostro ospedale al livello di uno piccolo, creando il caos organizzativo interno.
L'efficienza e l'alta qualità del servizio sanitario dipendono dalle attrezzature tecnologiche e dalla qualificazione
professionale e dal numero degli operatori. Su queste cose bisognava investire, e non sull'incremento del cemento
armato, che serve solo a favorire l'industria edilizia e non la salute dei lucchesi (oltretutto il costruttore si è portato
dietro i suoi operai e non ha favorito certamente l'occupazione della mano d'opera lucchese). VERGOGNATEVI.
Ospedale per intensità di cura: il confronto tra
esperienze italiane e internazionali
— archiviato sotto: Assistenza in ospedale
Il resoconto del convegno che si è svolto il 29 e 30 marzo a Bologna con, in particolare, una sintesi delle esperienze
presentate e degli interventi, tra i quali quello del presidente Errani e del ministro Balduzzi. La proposta di assistenza
ospedaliera per intensità di cura dell’Emilia-Romagna con i progetti in sperimentazione.
Bologna, 3 aprile 2012 - E’ stato un confronto internazionale a più voci, in cui per due giorni si è ragionato e discusso
di alcune esperienze in atto in Europa ed in Italia sulla riorganizzazione degli ospedali secondo ―il modello‖
dell’intensità di cura. Non più dunque unità operative che aggregano i pazienti secondo la disciplina medica, staccate le
une dalle altre, in cui i medici stanno nei loro reparti e se necessario sono i pazienti a muoversi, ma aree dove i pazienti
sono aggregati secondo la maggiore o minore complessità clinica, dove operano team multidisciplinari e dove è lo staff
che si muove attorno al letto del malato avendo a disposizione le tecnologie diagnostiche necessarie alla minore
distanza possibile dal paziente.
Il confronto è stato organizzato dalla Regione Emilia-Romagna (Direzione generale sanità e politiche sociali e Agenzia
sanitaria e sociale regionale) al Palazzo della cultura e dei congressi di Bologna, il 29 e il 30 marzo 2012.
Due giorni di dibattito serrato, incentrato sui casi proposti dai vari relatori di fronte ad una foltissima platea composta
da dirigenti delle Aziende sanitarie, infermieri (che nel modello per intensità di cura vedono accresciuta l’importanza
del loro ruolo), medici, esperti di management sanitario.
Venerdì 30 marzo, giornata conclusiva del convegno, hanno portato il loro contributo al confronto l’assessore regionale
alle politiche per la salute Carlo Lusenti (che ha seguito il dibattito in entrambe le giornate), il presidente della Regione
Vasco Errani e il ministro della salute Renato Balduzzi che, come ha detto durante il suo intervento, ha voluto essere
presente ―per l’importanza del tema trattato‖.
Il convegno è stato chiuso da una tavola rotonda sugli orientamenti delle Regioni sul tema, a cui hanno partecipato,
oltre a Lusenti, gli assessori alla sanità della Lombardia Luciano Bresciani, del Veneto Luca Coletto e della Liguria
Claudio Montaldo.
Dal confronto è emerso in modo chiaro come il concetto di ospedale organizzato per intensità di cura non sia un
modello ma possa essere declinato adattandosi alle singole realtà, tenendo conto della complessità dei bisogni dei
3. pazienti, dell’età più avanzata dei ricoverati e quindi della frequente presenza di più patologie, di processi di cura che
attraversano le diverse funzioni, del coinvolgimento del paziente stesso che vuole essere parte del processo di cura che
lo riguarda.
Assistenza ospedaliera per intensità di cura:
concluso il convegno, la proposta dell'Emilia-
Romagna
— archiviato sotto: Assistenza in ospedale, il fatto
Si è concluso il convegno su "modelli di assistenza ospedaliera per intensità di cura" dove sono intervenuti anche il
ministro della salute Renato Balduzzi e il presidente della Regione Vasco Errani. La proposta presentata dall'Emilia-
Romagna: la centralità del paziente elemento guida. Nei prossimi giorni su Saluter un resoconto più approfondito.
Bologna, 30 marzo 2012 - ―Le Regioni vogliono interpretare il confronto in corso in queste settimane sul Patto per la
Salute lavorando sui temi della qualità e dell’innovazione‖. Lo ha detto il presidente della Regione Emilia-Romagna e
della Conferenza delle Regioni Vasco Errani nel dialogo che si è svolto con il ministro della salute Renato Balduzzi, a
conclusione del convegno ―L’assistenza ospedaliera per intensità di cura‖, oggi a Bologna. ―Le Regioni lavoreranno per
una sostenibilità anche sul versante finanziario del Patto, ma non ci può essere solo un punto di vista ragionieristico –
ha aggiunto Errani - Occorre contestualmente lavorare insieme per rafforzare la qualità di un Servizio sanitario
nazionale che ha e deve continuare ad avere al centro la persona, l’appropriatezza e la continuità delle cure e che deve
mantenere le sue caratteristiche di sistema universalistico. Al centro del lavoro di amministratori, professionisti e
operatori devono esserci questi valori fondanti del Servizio sanitario nazionale‖.
Il presidente Errani ha poi affrontato il tema del cambiamento che richiede un'assistenza ospedaliera per intensità di
cura, sottolineando come questo cambiamento sia prima di tutto "una scelta culturale", impegnativa perchè "vuol dire
mettere in discussione poteri, funzioni, ruoli" per la costruzione di progetti che saranno condivisi se gli operatori
saranno convinti "di garantire un servizio migliore" di quello che si offre con gli ospedali suddivisi per reparti e per
disciplina.
"Ci apriamo al confronto con le migliori esperienze, abbiamo la responsabilità di essere elemento propulsivo per il
Paese e vogliamo vedere quali elementi di innovazione dobbiamo introdurre, dove dobbiamo cambiare, senza
atteggiamenti difensivi", ha detto l'assessore alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna aprendo i lavori
di questa seconda giornata che si è conclusa nel pomeriggio con una tavola rotonda a cui hanno partecipano, oltre a
Lusenti, gli assessori della Lombardia LucianoBresciani, del Veneto Luca Coletto, della Liguria Claudio Montaldo.
Il convegno ha registrato una ampia partecipazione: oltre 900 le persone iscritte e la sala Europa è stata costantemente
gremita.
Gli interventi, i materiali del convegno, le esperienze internazionali e italiane
4. Di seguito, la proposta presentata al convegno dall'Emilia-Romagna.
Assistenza ospedaliera per intensità di cura: la centralità del paziente è l’elemento
guida
Un ospedale non più strutturato come da tradizione in Reparti o Unità operative in base alla patologia e alla disciplina
medica per la sua cura, ma organizzato in aree, chiamate ―piattaforme logistiche di ricovero‖, che aggregano i pazienti
in base alla maggiore o minore gravità del caso e al conseguente minore o maggiore livello di complessità
assistenziale.
E’ questo il ―nuovo‖ ospedale che si sperimenta anche in Emilia-Romagna per coniugare meglio sicurezza, efficienza,
efficacia ed economicità dell’assistenza mettendo ancora di più al centro il paziente e il livello del suo bisogno di
assistenza.
L’ospedale ―per intensità di cura‖ supera il concetto di Reparto o di Unità operativa per garantire la più completa
integrazione delle diverse competenze professionali necessarie per trattare le diverse patologie di pazienti riuniti in una
piattaforma logistica di ricovero e dunque con uguale livello di bisogno assistenziale. Al medico maggiormente
correlato alla patologia chiave del paziente resta in capo la responsabilità di tutto il percorso diagnostico e terapeutico
(ad esempio cardiologo per il cardiopatico); all’infermiere è affidata la gestione assistenziale per tutto il tempo del
ricovero.
L’assistenza per intensità di cura prevede tre livelli:
un livello di intensità alta che comprende le degenze intensive e sub-intensive (ad esemio rianimazione, unità di terapia
intensiva cardiologica (UTIC), Stroke unit per ictus...);
un livello di intensità mediache comprende le degenze suddivisi per aree funzionali (Area medica, chirurgica, materno-
infantile ...);
un livello di intensità bassa dedicato ai pazienti post-acuti.
La centralità del paziente è dunque l’elemento guida: attorno a lui ruota l'ospedale, si muovono i professionisti
invertendo la logica tradizionale per cui era il paziente che veniva allocato secondo un'appartenenza disciplinare.
Le opportunità offerte
Questa nuova organizzazione consente al medico di concentrarsi sulle proprie competenze distintive e di esercitarle
nelle diverse piattaforme logistiche di ricovero, ovunque siano i pazienti di cui ha la responsabilità clinica o alla cui
cura concorre; al tempo stesso consente all’infermiere di valorizzare appieno le proprie competenze professionali e il
proprio ruolo.
Un altro aspetto di grande rilevanza è l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse tecnologiche e strutturali (gli ambienti
di degenza, le sale operatorie, gli ambulatori, i servizi di diagnosi, in una parola tutte le strutture assistenziali sono
utilizzabili da più professionisti, senza divisioni e senza dispersioni) e delle risorse umane (i diversi professionisti sono
chiamati a un confronto quotidiano e questo rende più difficile l’affermarsi di stili di lavoro particolaristici).
Permette inoltre di diminuire i posti letto non utilizzati (superando il non pieno utilizzo dei posti letto dei diversi
Reparti) e di impiegare meglio le risorse infermieristiche (da mettere a disposizione non più in base al numero di posti
letto di un reparto, ma in base alla intensità dei bisogni assistenziali dei pazienti di quella piattaforma logistica di
ricovero).
Coinvolge tutto l’ospedale e non solo le degenze: ad esempio, il medico che opera nel Pronto soccorso non indirizza
più il paziente al reparto più idoneo a trattare la patologia riscontrata, ma ne valuta la necessità di cure e lo avvia alla
sezione dell’ospedale più idonea ad affrontare quel livello d’intensità assistenziale.
La nuova assistenza ospedaliera per intensità di cura deve poi, necessariamente, essere modellata secondo la specificità
dell’ospedale in cui si sperimenta, e quindi del contesto in cui lo stesso ospedale si trova, dei servizi di cui dispone. E’
un ―modello‖ flessibile che, per funzionare bene, deve in ogni caso avere una gestione molto forte, capace di
organizzare procedure e processi e di continuare a garantire continuità delle cure e dunque integrazione con il territorio,
a partire dai medici di famiglia e dalle strutture di riabilitazione.
5. La sperimentazione
La sperimentazione è avviata e riguarda 8 Aziende sanitarie che hanno risposto a un bando del Fondo per la
modernizzazione (uno dei quattro programmi di ricerca e innovazione del Servizio sanitario regionale), promosso
dall’Agenzia sanitaria e sociale regionale. Si tratta di: Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Azienda Usl di
Bologna, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, Azienda Usl di
Imola, Azienda Usl di Forlì, Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia e Azienda Usl di Piacenza, Azienda Usl di Reggio
Emilia.
Assistenza ospedaliera per intensità di cura: i progetti in Emilia-Romagna
La sperimentazione è accompagnata da uno specifico supporto formativo garantito dalla Regione ai referenti di ogni
Azienda sanitaria sede di sperimentazione.
Questa nuova modalità organizzativa, fortemente basata sul lavoro di gruppo, è stata sperimentata già da alcuni anni in
Regioni come la Toscana, la Lombardia e anche la Liguria.
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ospedaliera per intensità di cura
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L'assistenza ospedaliera per intensità di cura
Un ospedale non più strutturato in unità operative, in base alla patologia e alla disciplina medica per la sua cura, ma
organizzato in aree che aggregano i pazienti in base alla maggiore o minore gravità del caso e al conseguente livello di
complessità assistenziale. E' il ―modello di assistenza ospedaliera per intensità di cura‖, che vuole coniugare meglio
sicurezza, efficienza, efficacia ed economicità dell’assistenza e che prefigura un ospedale incentrato ancora di più sul
paziente.
Se ne parlerà il 29 e il 30 marzo a Bologna, in un convegno nazionale - promosso dall'Agenzia sanitaria e sociale
6. dell'Emilia-Romagna (Sala Europa, Palazzo della Cultura e dei Congressi, Piazza della Costituzione 4) - che sarà
concluso dal Ministro della salute Renato Balduzzi. Il nuovo modello organizzativo per l'assistenza ospedaliera sta
alimentando, ormai da alcuni anni, un dibattito nel mondo sanitario ed entro il 2012 ne sarà avviata la sperimentazione
in diversi ospedali dell’Emilia-Romagna. Integrazione clinica, integrazionedelle risorse, centralità dei pazienti,
coinvolgimento di tutti gli operatori e delle relazioni tra di loro sono temi chiave di questa innovazione.
Ne parliamo con Eugenio Di Ruscio, responsabile del Servizio presidi ospedalieri della Regione Emilia-Romagna.
―L'ospedale per intensità di cura - spiega Di Ruscio - è una modalità alternativa di organizzazione della degenza
ospedaliera, sulla base di un diverso disegno del processo assistenziale. Noi siamo abituati, da tantissimo tempo, a
vedere gli ospedali organizzati per disciplina medica: i pazienti curati da un'equipe medica specialistica sono
raggruppati in un unico reparto, con un primario (dirigente di struttura complessa) a cui corrisponde anche un'equipe
infermieristica. All'interno di un reparto di questo tipo ci sono indifferentemente pazienti in condizioni cliniche più o
meno gravi, ricoverati in base all'affinità tra la patologia prevalente e la specialità medica, indipendentemente dalla
necessità di cure più o meno intensive; l'unico reparto basato esclusivamente sulla gravità del paziente e sull'intensità
dei processi di cura è la Rianimazione, dove il ricovero non dipende dall'organo interessato. L'idea, invece, alla base
dell'ospedale organizzato per intensità di cura è quella di avere delle aree assistenziali con una diversa disponibilità di
infermieri: in una sono raggruppati i pazienti con un quadro clinico più severo che necessitano di una più assidua e
rilevante assistenza infermieristica, nell'altra i pazienti con un quadro clinico di minore gravità e, quindi, minore
necessità di interventi assistenziali. All'interno degli stessi contenitori di degenza sono, quindi, raggruppati pazienti che
sono seguiti da equipe mediche di diverse discipline; facendo un esempio, potremo trovare nella stessa area un paziente
operato di lobectomia polmonare (asportazione di un lobo del polmone) e un paziente operato di aneurisma addominale
dell'aorta, che hanno necessità di un'assidua sorveglianza infermieristica e anche di pratiche assistenziali
infermieristiche frequenti come il monitoraggio dei drenaggi o l'assistenza respiratoria. Il discorso è lo stesso per i
pazienti con una minore necessità assistenziale e che possono essere seguiti nella medesima area perché le pratiche
infermieristiche sono simili se non identiche, indipendentemente dai medici specialisti che hanno in cura i singoli casi.
In questo modo le strutture di degenza diventano quelle che, nel linguaggio organizzativo, vengonodefinite 'piattaforme
logistiche di ricovero': su una stessa piattaforma, in grado di soddisfare differenti processi assistenziali, agiscono delle
equipe mediche con competenze molto diverse‖.
Tra gli effetti attesi dell'assistenza ospedaliera per intensità di cura c'è che lo specifico percorso sanitario scelto per un
gruppo di pazienti sia quello che massimizza i vantaggi sanitari a parità di risorse impiegate per realizzarlo. E poiché un
paziente, come spesso accade, può avere più patologie rilevanti, o può avere necessità per una stessa patologia di
competenze terapeutiche di più discipline mediche, l’ospedale organizzato per intensità di cura pone anche le basi per la
multidisciplinarietà e per un’assistenza adeguatamente standardizzata. Il nuovo modello assistenziale, mentre consente
al medico di meglio concentrarsi sulle proprie competenze distintive e di esercitarle in diverse piattaforme logistiche,
intende utilizzare e valorizzare appieno le competenze professionali degli infermieri.
―L’idea di fondo - spiega Di Ruscio - è che la gestione del malato sia affidata a infermieri esperti, con il medico che
gestisce tutto il percorso diagnostico e terapeutico utilizzando la piattaforma logistica di ricovero alla quale abbiamo
accennato prima, una struttura che riesce a servire processi assistenziali di diversa natura. Facendo un esempio, un
blocco operatorio di 4-5 sale - che ospita una chirurgia vascolare, una chirurgia ortopedica, una addominale e una
toracica, con un coordinatore infermieristico e una certa quantità di infermieri che hanno tutti una capacità di base su
tutte le linee - permette ai medici che vanno a operare la possibilità di lavorare in condizioni di maggiore garanzia di
continuità rispetto ai blocchi costituiti ciascuno da una sola specialità chirurgica. Una delle conseguenze è la
standardizzazione del rapporto tra medici e infermieri e delle modalitàdi trattamento del paziente da parte di questi
ultimi, perché, facendo un ulteriore esempio, le modalità per aiutare un paziente a scendere dal letto e a mettersi in piedi
sono simili sia nel caso di una persona che è stata sottoposta a un intervento dopo la frattura di un femore sia nel caso di
un paziente che abbia avuto una inabilità per altri motivi. Da tutto questo consegue, quindi, un'ulteriore
professionalizzazione della figura dell'infermiere: un professionista che alla formazione universitaria affianca quella
specifica sul campo‖.
Altri vantaggi dell'assistenza ospedaliera per intensità di cura?
―Dovrebbe diminuire, ad esempio, il numero dei posti letto per ricoveri non utilizzati: se abbiamo tanti reparti con dieci
o quindici posti letto, avremo sempre tre o quattro posti per reparto non utilizzati che, complessivamente, vanno a
comporre un rilevante numero di letti non utilizzati. Con le aree di degenza per intensità di cura si ha anche
un'ottimizzazione dell'uso delle risorse e un miglioramento della qualità dell'assistenza. Attualmentedimensioniamo le
equipe infermieristiche sulla base del numero dei letti, indipendentemente dalla gravità dei pazienti e può, quindi,
7. accadere che in certi momenti o periodi il numero di infermieri mediamente necessario per assistere i pazienti possa
essere complessivamente insufficiente o, al contrario, sovrabbondante. Col modello dell'ospedale per intensità di cura
l'impiego delle risorse è migliore e il paziente ha maggiori certezze di trovare la quantità di assistenza richiesta e anche
la qualità‖.
Nell'ospedale per intensità di cura chi è il responsabile del malato? A chi risponde da un punto di vista
gerarchico? Si modifica in qualche modo il ruolo del primario?
―Dobbiamo tenere presente che il primario dirige l'equipe medica e non quella infermieristica che gestisce la degenza
dove operano più equipe mediche; in un reparto di terapia semintensiva, ad esempio, dove ci sono pazienti con
insufficienza cardiaca o insufficienza respiratoria, si recano sia il cardiologo che il pneumologo e vengono assistiti da
infermieri che operano stabilmente in quel reparto. Questi infermieri assistono i medici edeffettuano le loro pratiche sui
pazienti non in dipendenza gerarchica dal primario, ma in collaborazione funzionale con lui. Attualmente nelle nostre
Aziende sanitarie tutto il personale infermieristico dipende dalla direzione infermieristica, c'è poi un dirigente
infermieristico che controlla tutte le equipe dei vari reparti all'interno di un dipartimento. Già adesso, formalmente, il
coordinatore infermieristico non dipende dal primario, anche se è un po' difficile che non ci sia un rapporto di
dipendenza nei fatti. Con l'organizzazione per intensità di cura, essendoci un rapporto diverso la crescita organizzativa
degli infermieri viene favorita. Per quanto riguarda la responsabilità nei confronti del malato, il medico è il responsabile
dell’iter diagnostico-terapeutico (cardiologo per il cardiopatico, pneumologo per lo pneumopatico) e si tratta del medico
maggiormente correlato alla patologia chiave del paziente, ma all’interno di questo processo gli infermieri hanno i loro
obiettivi specifici. L’ospedale per intensità di cura è un buon campo di sperimentazione di questa evoluzione: la
gestione del paziente è, quindi, affidata a infermieri esperti, con il medico che gestisce tutto il percorso di diagnosi e di
terapia‖.
L'obiettivo a lungo termine può essere quello di arrivare a ospedali interamente organizzati in questo modo?
―Riteniamo - afferma Di Ruscio - che si debba provare e vedere che cosa può essere più indicato. Mentre se ne continua
a discutere, c'è chi sostiene che è meglio fare l'ospedale per intensità di cura all'interno del dipartimento medico, chi
all'internodel dipartimento chirurgico, chi in quello cardiovascolare o solo in un padiglione. Ci sono varie opinioni. Io
ritengo che dovremmo cercare di trovare delle soluzioni che siano idonee alle specifiche situazioni; nel caso, ad
esempio, di un piccolo ospedale in cui c'è medicina e chirurgia si può anche pensare a un ospedale per intensità di cura
che riguarda le medicine. Per la chirurgia, visto che l'ospedale è piccolo, ci saranno solo degli interventi chirurgici di
piccola entità e in questo caso si può, quindi, pensare a un day surgery o a una week surgery dove si ricoverano pazienti
programmati da uno a cinque giorni per interventi chirurgici. Così come, in un ospedale come il Sant'Orsola, che è
strutturato in padiglioni, è inutile avere l'obiettivo di mettere da una parte tutti i pazienti più gravi e in un altro
padiglione tutti quelli meno gravi: obbligare i medici a correre tutto il giorno da un padiglione all'altro non sarebbe
certamente pratico; in questo caso, quindi, si può pensare all'intensità di cura solo in un padiglione. Essendo il processo
di trasformazione degli ospedali per intensità di cura lungo e avendo bisogno di essere accuratamente studiato e
declinato sia sulle organizzazioni del lavoro sia sulle strutture fisiche, sulle loro dimensione e sulla loro articolazione
interna, penso che sarebbe meglio non avere degli obiettivi ideologici. E' bene, piuttosto, favorire iniziative anche
diversificate, ma con una metodologia comune, che ci consentano di valutare gli effetti e di procedere con la gradualità
necessaria a una estensione delle migliori esperienze che mettiamo in campo. In questa ottica vanno le esperienze
previste, diverse tra loro e in ospedali di differente dimensione, funzione e missione‖.
Una criticità di questo nuovo modello organizzativo quale potrà essere?
―Ci può essere una criticità di carattere culturale, resistenze dovute al fatto di considerare uno spazio operativo come di
proprietà di un'equipe medica. E' chiaro, però, che per concordare delle modalitàdi assistenza vanno sviluppate delle
capacità di negoziazione professionale basate sulle evidenze scientifiche. Del resto abbiamo esperienze che già da
tempo vanno in questa direzione, anche se non si è mai parlato di ospedali per intensità di cura, come i blocchi operatori
dove i chirurghi delle varie specialità in alcuni casi devono negoziare tra loro la priorità di utilizzo delle diverse sale‖.
Con Maria Mongardi, sempre del Servizio presidi ospedalieri della Regione Emilia-Romagna, parliamo dei
progetti di sperimentazione che saranno avviati entro il 2012 in diversi ospedali e Aziende sanitarie.
―Si tratta di Aziende - spiega Mongardi - che hanno risposto a un bando sul fondo della modernizzazione gestito e
promosso dall'Agenzia socio sanitaria regionale; i progetti vengono seguiti in collaborazione con l'Agenzia ed è previsto
un monitoraggio durante le sperimentazioni nel 2012 e negli anni successivi. Il primo progetto riguarda l’Azienda Usl
di Bologna; gli ospedali cosiddetti 'di prossimità' (Porretta Terme, San Giovanni in Persiceto, Budrio, Vergato,
Bazzano, Loiano e Bentivoglio) verranno riqualificati con l’obiettivo di implementare ed approfondire le competenze
8. infermieristiche, ottimizzare l’impiego dei posti letto, favorendo nel contempo una struttura orizzontale dell’assistenza,
vale a dire per bisogno di intensità di assistenza.
Al Sant'Orsola-Malpighi (Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna) un primo progetto riguarderà la
riorganizzazione del polo cardiochirurgico e dei trapianti per sperimentare un modello per intensità di cura nell’ambito
di tre specialità: cardiochirurgia adulti, cardiochirurgia pediatrica, chirurgia oncologica, epatobiliare e dei trapianti. Un
secondo progetto punterà, invece, alla riorganizzazione delle attività chirurgiche del nuovo Polo Chirurgico e della
Emergenza con la sperimentazione di nuovi modelli gestionali in tutte le fasi del percorso clinico assistenziale. Il terzo
ed ultimo progetto riguarderà l’area internistico-geriatrica (padiglione 2) che, fra gli altri obiettivi, ha quello di
organizzare le degenze a gestione infermieristica sul modello già sperimentato in regione in alcuni reparti per post-
acuti.
Nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena la sperimentazione prevede la realizzazione di un Dipartimento ad
intensità di cura/complessità assistenziale in ambito chirurgico (Dipartimento testa-collo) e internistico (dipartimento
medicine e specialità mediche). Nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma il progetto riguarderà la
riorganizzazione delle attività specialistiche di ortopedia (Unità operativa di ortopedia, la clinica ortopedica e la
struttura semplice per le patologie dell’apparato locomotore). All’Azienda Usl di Imola si lavorerà, invece, allo
sviluppo di un modello per intensità /complessità di cura nell’ambito dell’area critica deldipartimento di emergenza, in
terapia intensiva, semintensiva e UTIC (unità di terapia intensiva cardiologica).
Un altro progetto mette insieme l’Azienda Usl di Forlì (capofila), l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Reggio Emilia
e l’Azienda Usl di Piacenza per misurare il cambiamento e valutare l’impatto clinico, organizzativo e gestionale
dell’Ospedale per intensità di cura. A Forlì la riorganizzazione è partita nel 2004; a Reggio Emilia la sperimentazione
riguarderà la piattaforma di emergenza urgenza (medicina di urgenza, i posti letto di osservazione intensiva breve,
l’unità di ammissione e l’area post-dimissione) mentre a Piacenza l’attenzione sarà sulle aree chirurgiche degli ospedali
di Piacenza e della Val D’Arda. Sempre a Reggio Emilia, negli ospedali dell'Azienda Usl, un progetto coinvolge le aree
di degenza dei dipartimenti internistici, che verranno strutturati come unica area di degenza suddivisa in 4 settori:
osservazione breve internistica, medicina per acuti, ad alta intensità di cura, post-acuti‖.
Per i progetti di sperimentazione in questi ospedali non sono previsti interventi strutturali.
―In questa prima fase si cerca di adattare il sistema alla struttura ospedaliera, che come sappiamo è tendenzialmente
rigida. Si potranno fare piccoli interventi, come la revisionedi alcuni spazi interni, ma non ci saranno modifiche
strutturali importanti, anche perché dobbiamo prima vedere i risultati. E' vero che il modello è sperimentato già da
alcuni anni in regioni come la Toscana, la Lombardia e anche la Liguria, però è anche vero che ogni ospedale deve
modellare questa nuova organizzazione in base al contesto in cui si trova e ai servizi che ha. Certamente l'aspetto
strutturale è molto importante e oggi la tendenza a livello nazionale è quella di promuovere l’organizzazione per
intensità di cura anche in occasione dei trasferimenti degli ospedali in strutture nuove‖.
Come saranno valutati i risultati della sperimentazione?
―Il 2012 e il 2013 - spiega Mongardi - sono due anni importanti perché la Regione assicura un supporto anche in termini
di formazione; ci sarà un evento formativo rivolto ai referenti di ogni Azienda sanitaria per approfondire meglio la
filosofia dell'ospedale per intensità di cura. Con l'Agenzia socio sanitaria regionale effettueremo un monitoraggio
dell'evoluzione dei lavori e pensiamo di fare anche un cruscotto con degli indicatori per ogni Azienda che consentano di
comprendere come sta procedendo la sperimentazione. Proveremo anche a promuovere confronti, dove sarà possibile,
per capire che cosa può andare bene e che cosa deve essere, invece, corretto‖.
Come funziona il nuovo ospedale di Lucca
La persona al centro del sistema di cura
Le caratteristiche strutturali del nuovo ospedale facilitano il passaggio a nuova organizzazione, già avviata nell'attuale
presidio, ottimizzando i percorsi di cura e gli standard di qualità.
La centralità del paziente diventa l'elemento guida dell'idea del nuovo ospedale. Al centro è la persona e il suo
benessere in un modello organizzativo per "intensità di cure", in un'interazione efficace tra paziente e infermiere, tra
paziente e medico.
Ogni degente avrà medici e infermieri che garantiscono un tutoraggio continuativo per tutta la durate del ricovero. Il
lavoro di gruppo e il coordinamento degli interventi sono elementi decisivi per favorire cure sempre più mirate.
9. Il paziente informato, guidato e assistito vive in un ambiente rassicurante e comfortovele, nel quale sono garantiti un
adeguato livello di privacy e una positiva relazione con chi nell'ospedale lavora.
L'ospedale è il presidio di riferimento per i casi acuti e quelli complessi dove a ogni cittadino è garantito un percorso
diagnostico-terapico efficace, tempestivo e sicuro. L'ospedale diventa il luogo di riferimento soltanto quando è proprio
indispensabile e solo per il tempo strettamente necessario a una completa efficacia delle cure.
E' superato il concetto di reparto tradizionale: le strutture di degenza sono organizzate per aree funzionali a diversa
intensità di cura.
L'assistenza per intensità di cura prevede:
un livello di intensità alta = degenze intensive e sub-intensive (Rianimazione, UTIC,
Stroke Unit ...)
un livello di intensità media = degenze per acuti suddivise per aree funzionali (Area
Medica, Chirurgica, Materno-Infantile)
un livello di intensità bassa = dedicato ai pazienti post-acuti.
E' garantita la più completa integrazione delle molteplici competenze professionali per rispondere alla diversa
complessità delle patologie. Degenze, sale operatorie, laboratori, servizi di diagnosi, sono utlizzati da più professionisti,
senza divisioni e senza dispersioni. Sono previsti percorsi "snelli" attraverso i quali si riduce la ripetizione degli
interventi eliminando costi e sprechi.