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Baixar para ler offline
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                                                                                                  Ipsos Flair Collection
                                                                                                                                                       Ipsos Flair Collection




                                                                                     Italia 2012: la difficile ricomposizione
                    Gli Specialisti

                   Nando Pagnoncelli              In un anno di straordinari
                   Luca Comodo                    cambiamenti che ridisegnano
                                                  l'Italia, i nostri 11 esperti si
                   Ipsos Public Affairs (riga2)   sono liberamente confrontati

                                                                                                                                                 Italia 2012:
                   Andrea Alemanno                per interpretare il paese.
                   Chiara Ferrari                 Nasce così il secondo volume di
                   Cecilia Pennati                Ipsos Flair, uno strumento che

                                                                                                                                la difficile ricomposizione
                                                  immaginiamo utile per
                   Ipsos MediaCT (riga3)          individuare i segnali, forti e
                   Gian Menotti Conti             deboli, che caratterizzeranno
                   Nora Schmitz                   il 2012.
                   Claudia D’Ippolito

                   Ipsos Marketing (riga 4)
                   Massimo De Benedittis
                   Marta Pavan
                   Chiara Berardi



                                                                                                                                       NOBODY’S UNPREDICTABLE
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                                                  Italia 2012:
                                 la difficile ricomposizione




                                                        Ipsos edizioni
                                                       Febbraio 2012
                                                      © 2011 - Ipsos
                                                             2
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                                      Introduzione
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                             Ipsos Flair:
                             comprendere per anticipare

                             Anche quest’anno, come è già successo nel 2011, vi propo-
                             niamo la nostra lettura del paese, le nostre suggestioni, le
                             ipotesi interpretative, qualche previsione.

                             Ipsos conduce ogni giorno migliaia di interviste, che diventa-
                             no milioni in capo ad un anno. Interroga la società che ci cir-
                             conda con le metodologie più diverse: dal telefono al web,
                             dai focus ai forum on line, dai colloqui in profondità alle inter-
                             viste via smartphone.

                             Parliamo con milioni di italiani, diversi fra loro e spesso, appa-
                             rentemente, distanti. Siamo il paese delle cento città, ognuna
                             con il proprio genius loci, ma anche il paese che sa trovare
                             una cifra comune quando il gioco si fa duro.

                             Questo paese così diverso e insieme così simile ci passa sotto
                             gli occhi tutti i giorni. Che ci occupiamo dello yoghurt o del-
                             l’ultima manovra finanziaria, del mercato del lavoro o delle
                             bevande gassate, stiamo guardando alla complessità di un
                             mondo che ci racconta in continuazione la sua storia.

                             Ogni pezzo di questo racconto è prezioso. Serve a dirci di noi
                             sotto le più diverse forme. Noi aiutiamo i nostri clienti a dipa-
                             nare la storia, a guardarne i singoli aspetti senza trascurare la
                             visione di insieme.

                             I nostri clienti hanno bisogno di capire cosa fanno i loro clien-
                             ti. E questo tanto più in un momento come quello che stiamo
                             attraversando. Oggi, tutti insieme, lavoriamo per trasformare in
                             opportunità un rischio. Lavoriamo per rendere la crisi una possi-
                             bilità, per non adagiarci sulla sconfitta.

                             Con loro cerchiamo di capire quali siano le tendenze, quali le
                             possibilità.

                             La nostra struttura, con le sue aree di expertise (Marketing,
                             Pubblicità, Media, Opinione, Loyalty, Observer), ci consente di
                             guardare alle diverse individualità che convivono in ciascuno di
                             noi: consumatore, elettore, spettatore, lavoratore, lettore,
                             venditore …

                             Le molteplicità, l’articolarsi delle individualità, la superfetazio-
                             ne degli ego che faticano a ricomporsi sono i segnali di un


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               cammino difficile ma possibile. Stiamo in un passaggio stret-
               to, in cui tutte le energie sono necessarie. Siamo chiamati a
               rendere conto di quel che abbiamo fatto. E’ una sfida com-
               plessa, dalle tante risposte. Orientarsi e comprendere non è
               facile.

               E’ quello che vogliamo condividere con voi. Il fluire del rac-
               conto ci aiuterà, speriamo, a capire dove potremmo andare,
               cosa ci potrebbe capitare.




                                                                                5
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                              Indice

                              La politica                                      09
                             Vent’anni dopo                                    10
                             La lunga agonia                                   11
                             Senza politica                                    13
                             La caduta della credibilità                       15
                             Una breve fiammata                                17
                             La fine di un paradigma                           19
                             Le ultime convulsioni: tra democrazia e mercati   22
                             Il nocchiero della nave in gran tempesta          24
                             Mario & Mario: ottimati al potere                 25
                             Neoguelfi in una società autodiretta              27
                             Tutti a casa: la democrazia a disagio             30
                             Senza partiti: l’implosione del sistema           32

                              La crisi, l’economia,
                             il mercato                                    035
                             Uno sguardo ai fondamentali                       36
                             Con le unghie e con i denti:
                             la battaglia delle famiglie                       39
                             La contrazione dei consumi                        42
                             La povertà cronica                                46
                             Consumare meno, consumare meglio                  49



                              Costume e società                            053
                             Convergere e co-creare                            54
                             Disconnettersi e decelerare                       55
                             L’economia del riciclo                            58




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                    Marche e stili di consumo 061
               Sempre la rete …                                   62
               Il destino del brand                               63
               Post edonistici                                    67
               I nuovi consumatori: gli immigrati                 68
               I profili di consumo                               71
               Gli acquisti: una prospettiva evolutiva            79

                    Media e nuovi media                       085
               La dotazione tecnologica delle famiglie italiane    86
               La rete nel panorama mediatico                      87
               Comprando in rete                                   94
               Nuovi modelli di business                           95
               La stampa: nuove fruizioni                          96
               La televisione: una rivoluzione silenziosa          98
               La nuova vitalità della radio                      101
               I media locali: un presidio “orizzontale”          102
               La filiera dell’intrattenimento                    103

                Conclusioni:
               un paese da ricomporre                       0105




                                                                        7
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                                      La politica
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                                        Vent’anni dopo
                                      “Un’atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa […] nel nostro
                                      Paese. E’ stata stupefacente e brutale la rapidità con cui la
                                      tendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal clima di
                                      festa collettiva […] ai poveri saldi di fine stagione […] ha fatto
                                      mozzare il fiato, ha riportato in primo piano il plumbeo clima
                                      dei tempi della stagnazione. Sono bastati pochi mesi […] per-
                                      ché quasi tutti gli indicatori economici assumessero un segno
                                      negativo; la cattiva congiuntura mondiale ha cominciato ad
                                      assomigliare minacciosamente alla recessione […]. Alla fine,
                                      la situazione italiana si è configurata come una perfida com-
                                      binazione di crisi economica conclamata e di marasma politi-
                                      co pericolosamente vicino al collasso del sistema. Quel che
                                      forse è peggio, l’idea che l’Italia è un malato terminale si è dif-
                                      fusa irresistibilmente, permeando la collettività con quella che
                                      si potrebbe chiamare senza retorica una cultura del pessimi-
                                      smo. Aspettative tutte di carattere negativo sono divenute
                                      l’unico orizzonte visibile. Non è un caso che lo scrollone più
                                      appariscente, quello che è sembrato innescare l’alterazione di
                                      un sistema di equilibri ampiamente collaudati, sia venuto dai
                                      settori geneticamente filogovernativi, quelli dell’imprenditoria
                                      e dell’industria. Ma diverse altre linee di crisi, svariate linee di
                                      faglia di possibili sconvolgimenti tellurici, si erano manifesta-
                                      te sul piano politico con cruda nitidezza nel corso dell’anno”.
                                      Una meravigliosa analisi di quello che è successo nel corso del
                                      2011? Sembrerebbe proprio di sì, fatto salvo che queste per-
                                      fette parole sono state scritte esattamente vent’anni fa da
                                      Edmondo Berselli per Il Mulino1.

                                      E’ utile partire da qui: siamo un paese che si ripropone, che
                                      non risolve i suoi problemi di fondo, strutturali, sistemici. In
                                      cui i particolarismi, per citare Diamanti nell’introduzione allo
                                      stesso testo a proposito del ruolo archetipico della DC, sono
                                      assemblati senza miscela, mediati senza sintesi, generatori di
                                      “compresenza” più che di “coerenza”.

                                      Un paese il cui sistema politico non si autoriforma se non per
                                      eventi esterni (la prima guerra mondiale che chiude il lungo
                                      ciclo liberale, la seconda guerra che chiude il fascismo, la
                                      magistratura che chiude la prima Repubblica, l’Europa che
    1
      Edmondo Berselli                chiude la seconda …).
    “L’ultima recita dei partiti”
    (novembre dicembre                Vi inviteremmo a partire da qui. Per dire se possiamo ancora
    1991) in “L’Italia, nono-
    stante tutto” Il Mulino           farcela, come direbbe Berselli, nonostante tutto. Se non sia
    2011                              forse venuto il momento in cui il nonostante non è più suffi-


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               ciente. Se insomma l’adattabilità e la capacità di sgusciare fra
               le regole non sia più la cifra adatta per la nostra sopravvivenza.



                    La lunga agonia
               Il 2010 si chiude con un paese straordinariamente preoccupa-
               to e in netta difficoltà.

               Al centro la crisi che in quell’anno ha duramente colpito le
               famiglie, intaccandone i risparmi, riducendo i consumi, ren-
               dendo sempre più difficile, se non impossibile, assolvere al
               ruolo di principale ammortizzatore sociale del paese.

               Al chiudersi dell’anno nulla è cambiato: la crisi rimane in tutta
               la sua gravità, mentre risposte dalla politica non se ne vedo-
               no. Il 14 dicembre 2010, per molti il giorno fatidico della spal-
               lata che avrebbe abbattuto il governo Berlusconi (i giornali
               parlano di “giorno del giudizio”), si chiude con un nulla di
               fatto. Berlusconi ha resistito ottenendo la maggioranza asso-
               luta per pochi voti grazie al gruppo dei responsabili. Tre voti
               in più, quattro transfughi che diventeranno presto famosi:
               Calearo (dal PD), Cesario (dall’API), Razzi (dall’IDV), Scilipoti
               (anch’egli dall’IDV).

               Il 2011 si apre con un clima di sfiducia rassegnata. Il governo
               vive alla giornata nelle mani di pochi personaggi, in qualche
               caso pittoreschi, senza una prospettiva di medio periodo,
               l’opposizione non ha un programma alternativo e si presenta
               spesso divisa su questioni essenziali, il terzo polo non sembra
               decollare.

               Comincia un lento processo di sfarinamento, con un paese in
               stallo.

               L’agonia del berlusconismo segnerà gran parte del 2011, ago-
               nia senza alternativa. Un anno in cui il vecchio sembra mori-
               re e il nuovo non nasce.

               Disagi, malesseri, difficoltà, sono evidenti. Possiamo tentare di
               riassumerli così:

               -     Uno sfaldamento del blocco sociale che ha sostenuto il
                     berlusconismo sino ad allora: la punta visibile è il gruppo
                     dirigente di Confindustria (Emma Marcegaglia dice a
                     febbraio “gli industriali sono stati lasciati soli” e lo ripe-


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                                   terà più volte nel corso dell’anno) ma dietro c’è il males-
                                   sere delle piccole imprese, delle partite Iva. Ci si allonta-
                                   na da Berlusconi, senza un piano B. A maggio gli
                                   imprenditori trevigiani inaugurano la loro nuova sede
                                   con una marcia silenziosa che vede la partecipazione di
                                   oltre 2000 persone. Si manifesta un disagio profondo, si
                                   chiede alla politica un’impennata;
                              -    Una difficoltà sempre più evidente per la Lega: il federa-
                                   lismo che pure approda in parlamento viene svuotato dei
                                   suoi effetti dalla crisi. Paradossalmente l’ipotesi di decen-
                                   tramento si scontra con un sempre maggiore accentra-
                                   mento delle scelte. L’alleanza con Berlusconi sta sempre
                                   più stretta: difficile convivere con gli Scilipoti, difficile
                                   giustificare il rallentamento del federalismo, difficile
                                   anche fare digerire alla base i comportamenti discutibili
                                   del Presidente del Consiglio. Cominciano le critiche allo
                                   stesso Tremonti, alleato di sempre;
                              -    Una diarchia che si fa sempre più evidente tra Tremonti
                                   e Berlusconi, con momenti in cui il Presidente del Consi-
                                   glio sembra nell’angolo, quasi rinunciatario. Momenti
                                   nei quali il timone del governo e delle sue scelte sembra
                                   saldamente, ed esclusivamente, nelle mani del supermi-
                                   nistro dell’economia;
                              -    Una caduta della credibilità internazionale. La politica
                                   delle “pacche sulle spalle” sembra sempre meno effica-
                                   ce. In momenti che si fanno davvero critici, la credibilità
                                   e l’autorevolezza debbono basarsi su scelte anche diffi-
                                   cili, quando non dolorose, che dall’Italia sembrano non
                                   arrivare. Di nuovo la Marcegaglia a settembre: “L’Italia è
                                   un paese serio e siamo stufi di essere lo zimbello inter-
                                   nazionale”.

                              La reazione degli elettori, lo vedremo, è un distacco rabbioso.
                              Il governo del fare, portato sugli altari nel 2009, ha perso colpi
                              nel 2010 e nel 2011 resta privo del tutto di credibilità, attac-
                              cato a pochi voti dopo aver avuto la più larga maggioranza
                              della storia repubblicana, senza una bussola, con un accaval-
                              larsi di promesse che scompaiono il giorno successivo (la “fru-
                              stata” all’economia promessa da Berlusconi, non arriverà mai).

                              L’agonia berlusconiana, lenta e lunga, non ha però solo a che
                              fare con l’economia. Il degrado della vita politica e dei com-
                              portamenti è sotto gli occhi di tutti: molti usano un linguag-
                              gio triviale anche nelle aule parlamentari, gesti scurrili, anche
                              da ministri (La Russa e il “vaffa” al Presidente della Camera,
                              per tacere del dito medio e delle pernacchie di Bossi), mentre
                              i discorsi si fanno sempre meno razionali e sempre più emoti-


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               vi. Il processo di avvicinamento dei politici ai cittadini, inaugu-
               rato alla fine degli anni ’80 è oramai tracimato. I cittadini
               sono attoniti e pensano che un livello così basso non sia mai
               stato raggiunto nella storia repubblicana. Qualcuno conia un
               neologismo che ben si attaglia al clima: “scilipotizzazione”. A
               questo si aggiunge il mercato dei parlamentari, con perso-
               naggi deputati alla compravendita (Pionati lo ha rivendicato
               apertamente, in occasione della compera del 14 dicembre
               2010). Le promozioni dei transfughi all’ultimo minuto per
               “pagare” la fiducia (Catia Polidori, nominata il 14 ottobre
               viceministro allo sviluppo economico dopo essere passata dal
               PDL a Fini, per poi passare al gruppo misto sostenendo Berlu-
               sconi, Aurelio Misiti, Giuseppe Galati e Guido Viceconte, tutti
               nominati lo stesso giorno).

               I comportamenti privati del Presidente del Consiglio (escort,
               Olgettine, ecc.) domineranno le prime pagine dei giornali, ma
               avranno scarso impatto sugli orientamenti degli elettori. Tut-
               talpiù serviranno ad aumentare la sfiducia di chi vi vede un
               segno di disinteresse per la cosa pubblica e a rafforzare le
               motivazioni di chi si oppone a Berlusconi. Chi si è indignato lo
               ha già fatto nel 2010, con lo scoppio del caso D’Addario e del
               caso Ruby.



                    Senza politica
               Il combinato disposto di un governo sempre meno credibile e
               di un’opposizione che non rappresenta una prospettiva prati-
               cabile spinge l’elettorato ad un distacco sempre più marcato
               dalla politica.

               Fin dagli inizi del 2011 l’area “grigia”, astensionisti e incerti,
               assomma ad una cifra che si aggira intorno al 40%. All’area
               tradizionale che si colloca nello spazio dell’astensione e del-
               l’incertezza (età medio/alte, titoli di studio bassi, casalinghe e
               pensionati, sud) si vanno aggiungendo in misura rilevante ceti
               dinamici e normalmente partecipativi (classi di età centrali e
               giovanili, titoli di studio medio/alti, ceti professionalizzati, resi-
               denti nel centro nord e in comuni medio/grandi).

               Si tratta quindi di ceti che non esprimono un banale, come si
               sarebbe detto qualche tempo fa, “qualunquismo” (sono tutti
               uguali) ma una critica più articolata e approfondita (nessuno
               sta rispondendo ai bisogni miei e del paese). D’altronde
               segnali d’allarme erano emersi dal comportamento reale degli


                                                                                        13
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                              elettori già qualche tempo prima: se si guarda alle elezioni
                              regionali del 2010 si scopre che coloro che meno degli altri
                              hanno votato per i partiti sono stati i “rossi” toscani, che pure
                              hanno partecipato al voto un po’ più della media delle 13
                              regioni coinvolte. Hanno votato i candidati, non i partiti.

                              L’area della cosiddetta “antipolitica” è presidiata da diverse
                              forze, ma da due in maniera precipua: L’Italia dei Valori e il
                              Movimento 5 stelle legato a Beppe Grillo. Con qualche carat-
                              terizzazione parzialmente diversa: Di Pietro mira a raccogliere
                              soprattutto i sentimenti antiberlusconiani molto presenti in
                              un’area relativamente vasta del paese e non necessariamente
                              collocata solo a sinistra. L’esistenza di quest’area è testimonia-
                              ta non solo dai molti dati di sondaggio visti nel corso degli
                              ultimi anni, ma anche, per esempio, dal notevole successo de
                              Il Fatto Quotidiano che nel nome e nell’iconografia richiama
                              personaggi del giornalismo italiano non certo dichiaratamen-
                              te di sinistra (Biagi nel nome – il fatto, Montanelli nel logo del
                              bambino col megafono – la voce). Diretto da Padellaro (ex
                              Unità) e condiretto da Travaglio, esemplifica bene il ritratto di
                              un’area non definibile tout court con criteri di collocazione
                              politica. E’ l’area dell’antiberlusconismo in cui si collegano
                              elementi politici, morali, estetici. Con una diffusione media di
                              tutto riguardo, nel 2011 vicina alle 80.000 copie.

                              Il caso di Grillo sembra essere contemporaneamente sovrap-
                              posto e distinto rispetto all’area dipietrista. Nelle motivazioni
                              di simpatia verso Grillo convergono aspetti diversificati: una
                              critica alla politica più vasta rispetto all’antiberlusconismo (per
                              quanto sia molto marcata la distanza dallo “psiconano” come
                              viene definito da Beppe Grillo), un’attenzione ai programmi
                              (ambiente in primo luogo), uno sguardo attento alla parteci-
                              pazione diretta dei cittadini, senza mediazioni. Il che fa sì che
                              l’ambito privilegiato dei consensi al movimento 5stelle sia
                              quello dei grandi centri urbani del centro nord. Vero ma non
                              del tutto: gli ultimi segnali, emersi nelle elezioni del Molise
                              dove l’elettorato grillino ha fatto la differenza, impedendo di
                              un soffio l’elezione del candidato di centrosinistra, ci dicono
                              di una diffusione di questo consenso anche in aree non certo
                              metropolitane.

                              Insomma, il sentimento diffuso di distanza dalla politica non
                              può essere letto solo come “antipolitica”. E’ un’insofferenza
                              diffusa che richiede in molti casi alla politica di riprendere il
                              suo ruolo, che critica in qualche caso puntualmente compor-
                              tamenti, programmi e valori espressi dal ceto politico, di
                              destra e di sinistra, che legge l’avventura berlusconiana come


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               un’anomalia da un lato ma dall’altro anche come “autobio-
               grafia della nazione”, da cui magari occorrerebbe liberarsi.

               E’ interessante notare come in questo allontanamento dalla
               politica un contributo importante lo diano i cattolici osservan-
               ti e in particolare quel segmento piccolo ma non irrilevante
               (circa 13/14% della popolazione) di cattolici impegnati, che
               prestano nelle associazioni, nelle parrocchie e negli oratori
               attività di volontariato. Anche in questo caso si tratta di un
               elettorato piuttosto avvertito, almeno in una sua parte

               In sostanza, siamo di fronte ad un processo complesso, artico-
               lato, all’interno del quale si evidenziano segmenti diversi che
               convergono nel processo di raffreddamento generale del rap-
               porto con la politica. Per una parte rilevante dei “distanti” la
               richiesta è di una politica più adeguata, capace di rispondere ai
               bisogni, di produrre le riforme necessarie alla modernizzazione
               e alla crescita del paese. Sono qui molti dei delusi del centrode-
               stra e del centrosinistra, che non vedono nel loro schieramento
               di riferimento una risposta adeguata alle necessità.

               Ma il sentimento di distanza dalla politica non è solo tipico del
               nostro paese (dove pure si enfatizza). L’Eurobarometro del
               novembre 2011 mette l’Italia alla pari con la Francia collocan-
               do entrambi i paesi ai livelli minimi di fiducia nei partiti tra le
               principali nazioni europee. Poco meglio le altre (Regno Unito,
               Germania, Spagna). In Germania, e siamo al livello più elevato
               tra i paesi considerati, la fiducia nei partiti si attesta al 15%.



                    La caduta della credibilità
               Credibilità è la parola centrale dell’anno. La capacità di deci-
               dere del governo centrale, che ha un solo nome, Berlusconi,
               il solutore dei problemi del paese, è oramai ridotta al lumici-
               no. Quello che si era presentato come il governo del “fare”,
               capace di dar vita a grandi opere (il Ponte sullo Stretto è la
               promessa più faraonica che non avrà mai sviluppi, la Salerno
               Reggio Calabria che torna più volte negli impegni, ecc.), di
               mettere mano a riforme liberali, di operare una ristrutturazio-
               ne efficientista della macchina pubblica, tende ad essere (e
               soprattutto ad essere percepito) come un governo che
               sopravvive, senza una direzione precisa.

               L’incapacità del governo di rispondere alle attese sempre più
               pressanti della popolazione non è però solo dettato dal tema


                                                                                     15
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                              del “fare” mancato. Accanto ci sono altre motivazioni non
                              inconsistenti. La prima è la litigiosità. Il paese si aspetta coe-
                              sione, unità, comunanza di intenti. Nell’immaginario degli ita-
                              liani uno dei governi peggiori è l’ultimo governo Prodi, pro-
                              prio per l’evidente (e pubblico) contrasto delle sue compo-
                              nenti che si manifestava in forme aperte e intollerabili, con
                              ministri che intervenivano sui mezzi di comunicazione contro
                              le decisioni e le ipotesi del governo e che qualche volta parte-
                              cipavano a manifestazioni antigovernative. E’ poi un paese
                              che ama l’unione, la chiarezza, la semplicità. La diarchia Tre-
                              monti/Berlusconi, lo smarcarsi sempre più evidente della Lega,
                              la presenza di segmenti della maggioranza che trattano su
                              posti e prebende e fanno valere il loro voto come strumento
                              di contrattazione provocavano fastidio e in qualche caso
                              disgusto. Al di là del giudizio pesante che i cittadini esprimo-
                              no e che abbiamo già riportato, ciò che si perde è la convin-
                              zione che si possa reagire alle difficoltà del paese: il Presiden-
                              te taumaturgo ha lasciato il passo ad un leader logorato, che
                              ha perso l’aura decisionista che lo ha caratterizzato in questi
                              lunghi anni.

                              La percezione dei cittadini è netta. Nel grafico qui sotto è
                              riportato il livello di fiducia in Silvio Berlusconi dal 2009 sino
                              al novembre 2011, prima delle dimissioni:


                              Grafico 1 La fiducia in Silvio Berlusconi
                              (% voti positivi – serie storica)
                                                                                                                                                                                          60
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                                             55
                              54        54
                                   53             5 25 2 5 2   53        52        52                                                                                                     55
                                                                    51                  51
                                                                                             49
                                                                                                  48                                                                                      50
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                                                                                                                                                                                26
                                                                                                                                                                                     23
                                                                                                                                                                                          25


                                                                                                                                                                                          20
                               feb-09 apr-09 giu-09 set-09 nov-09 gen-10 mar-10 mag-10 lug-10 ott-10 dic-10 feb-11 apr-11                                        giu-11 set-11 nov-11



                              Fonte: Banca dati sondaggi Ipsos



                              Nessuno mette in dubbio le sue capacità di combattente:
                              dopo ogni schiaffo la maggioranza dei cittadini ritiene che
                              comunque saprà risollevarsi, tornare in pista. Pochi, pochissi-
                              mi, leggono questi segnali come la fine di un’era. Eppure que-
                              sta fine comincia a manifestarsi.


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                    Una breve fiammata
               Le elezioni amministrative e referendarie rappresentano un
               radicale cambiamento del sentimento degli italiani.

               Nelle elezioni locali sono coinvolti numerosi comuni capoluogo
               ma soprattutto quattro grandi città: Torino, Milano, Bologna e
               Napoli. Due, Torino e Bologna, vanno al centrosinistra al primo
               turno, in continuità con i risultati precedenti; nelle altre due
               invece, Milano e Napoli, si verificano grandi cambiamenti.

               A Milano vince Pisapia, un avvocato che proviene dalla sinistra
               radicale ma appartiene alla borghesia illuminata della città,
               candidato dopo aver vinto le primarie contro l’esponente indi-
               cato dal partito maggiore del centrosinistra, il PD. Un outsider.

               A Napoli vince De Magistris, un magistrato dell’Italia dei Valo-
               ri di Di Pietro, che si era presentato da solo contro il centro-
               destra e contro il candidato del PD. Un outsider.

               Infine bisogna ricordare i risultati di Cagliari dove vince al bal-
               lottaggio Zedda, un giovanissimo candidato di Sel, il partito di
               Nichi Vendola. Di nuovo un outsider.

               I risultati sono un vero e proprio terremoto: a Milano, culla di
               Berlusconi e del berlusconismo, la sconfitta è nettissima: al
               ballottaggio Pisapia vince di 10 punti rispetto alla candidata
               del centrodestra e sindaco uscente; lo stesso presidente del
               Consiglio, che si era candidato come capolista del suo partito
               chiamando gli elettori ad un referendum su di sé, dimezza le
               preferenze rispetto a cinque anni prima.

               La campagna del centrodestra, fondata sulla paura (con toni
               esasperati che preannunciano invasioni di zingari, occupazio-
               ne della città da parte dei centri sociali, ingresso di terroristi
               nel governo locale) viene respinta dalla “forza gentile” di
               Pisapia. E notoriamente Milano anticipa i fenomeni che carat-
               terizzeranno l’Italia. Qualcuno comincia a parlare di Pisapia
               come del possibile “papa straniero” per il centrosinistra.

               A Napoli, che aveva una giunta di centrosinistra incapace di
               affrontare i problemi storici ed endemici della città, vince il
               magistrato che promette una riscossa miracolosa senza alle-
               arsi con nessuno: al secondo turno il centrodestra si astiene in
               massa, decretando la sconfitta del proprio candidato, che
               ottiene un misero 35%.


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                              I referendum segnano un’ulteriore e questa volta nettissima
                              disfatta per il centrodestra (la Lega titolerà sul suo giornale:
                              “siamo stufi di prendere sberle”). Bossi invita gli italiani a non
                              andare a votare, Berlusconi dichiara che lui personalmente
                              non si recherà alle urne.

                              Gli italiani al contrario vanno a votare in massa e, per la prima
                              volta dopo quindici anni, un referendum raggiunge il quorum
                              nettamente (57% considerando solo gli italiani che risiedono
                              nel paese, 54,8% considerando anche gli italiani residenti
                              all’estero). Tutti i quesiti (due sulla privatizzazione dell’acqua,
                              uno sulle centrali nucleari, l’ultimo sul legittimo impedimen-
                              to) vengono approvati da circa il 95% dei votanti nonostan-
                              te la contrarietà del governo. Il quorum si raggiunge in tutte
                              le regioni del paese (anche in quelle, come la Calabria, tradi-
                              zionalmente più astensioniste).

                              A votare vanno dai 10 ai 12 milioni di elettori del centrodestra;
                              il Veneto, regione con una massiccia presenza leghista e con un
                              Presidente della Lega votato a furor di popolo un anno prima,
                              fa rilevare una partecipazione superiore alla media del Paese.
                              Non si tratta solo di un cambiamento negli orientamenti eletto-
                              rali degli italiani, quanto di una radicale trasformazione del sen-
                              timento del paese: si conclama la caduta della credibilità di Ber-
                              lusconi (è appena il caso di ricordare l’analogia con l’invito ad
                              andare al mare di Craxi nel 1991, esattamente vent’anni
                              prima), emerge una stanchezza diffusa per le promesse non
                              mantenute, si cercano concretezza, capacità di fare.

                              La campagna referendaria (in particolare in relazione ai due
                              quesiti sull’acqua) è dominata da un’idea forse ingenua ma
                              largamente condivisa, della predominanza del bene comune.
                              Seguendo la campagna in rete si trova molta ideologia e poco
                              pragmatismo, molte emozioni e poche analisi. Tuttavia sem-
                              bra nascere un nuovo vocabolario. Diamanti lo certifica nel-
                              l’indagine sul lessico degli italiani condotta per l’osservatorio
                              Demos Coop a luglio. Le parole di successo sono, tra le altre,
                              bene comune, merito, unità nazionale, solidarietà, giovani.
                              Ma anche, a sorpresa, decrescita. Le parole impopolari sono,
                              tra le altre, federalismo, individualismo, apparire, Ma anche,
                              forse meno a sorpresa, stato e (ci sorprendiamo?) matrimonio
                              gay. Le parole fuori dal gioco sono Padania, veline, Berlusco-
                              ni e, c’era da aspettarselo, partiti.

                              Al di là dell’evidente effetto di desiderabilità sociale che forse
                              amplifica l’adesione ad alcune parole (è difficile dire che non
                              ci importa nulla del bene comune), la lettura di questi dati è


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               piuttosto articolata: certo sembra finito un paradigma con la
               crescita di termini anti individualistici e con l’idea-cardine che
               il modello di sviluppo è messo in dubbio da molti aspetti con-
               vergenti (crisi ambientale innanzitutto, forse anche parziale
               revisione dei modelli di consumo, convinzione che la crescita
               continua non sia più compatibile con una condizione di vita
               accettabile, la situazione dei centri urbani assaliti dalla conge-
               stione del traffico e dai loro effetti nefasti innanzitutto sulla
               qualità dell’aria). Ma per esempio è evidente il conflitto tra
               unità nazionale (bene) e stato (male). O dietro c’è una sofisti-
               cata analisi sulla crisi degli stati nazione e sulla necessità
               comunque di un amalgama sovranazionale (Europa) che
               tenga conto delle caratterizzazioni dei singoli popoli oppure
               c’è un riflesso atavico che vede lo stato come, ad andar bene,
               altro da sé, ad andar male, un nemico.

               L’iniziale lettura, un po’ enfatica, che vedeva nascere anche in
               Italia una sorta di primavera araba, forse va un po’ smorzata.

               Il responso delle urne amministrative e referendarie è chiaro,
               gli sviluppi possibili molto meno.

               Anche perché (e qui sta la brevità della fiammata) la spinta
               prodotta in primo luogo dalla mobilitazione referendaria non
               trova sponde: tra maggio e giugno si contrae (non di molto,
               ma comunque in misura sensibile) la quota di incerti e asten-
               sionisti che premia, nei sondaggi, in particolare il PD e in
               generale la sinistra e il centrosinistra. Ma è un’apertura di cre-
               dito che rientra velocemente: il PD si schiererà contro l’aboli-
               zione delle province e scoppierà lo scandalo delle tangenti di
               Sesto che coinvolge Filippo Penati, esponente di primo piano
               del partito e per un certo periodo braccio destro del segreta-
               rio Bersani. Non è solo il PD: nel PDL il coinvolgimento nel
               malaffare è anche più consistente. L’area “grigia” cresce
               immediatamente e torna a livelli elevatissimi.



                    La fine di un paradigma
               Berlusconi finisce, nel sentimento popolare, con una lunga
               agonia, come abbiamo visto, che si protrarrà sino all’autunno
               inoltrato, con il rischio concreto di un default del paese. Emer-
               gono, con la campagna amministrativa, nuove leadership
               distantissime dall’approccio berlusconiano (Pisapia a Milano
               ne è l’esempio, mitezza, dialogo, ascolto).



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                              Ma muore il berlusconismo? Viene sostituito da un nuovo
                              paradigma? Esiste un uomo, un movimento, una forza che
                              raccoglie la fiaccola spenta ed è in grado di riaccenderla?
                              Sembra proprio di no. Berlusconi finisce, il berlusconismo un
                              po’ meno.

                              Gli italiani ne sono persuasi. Da un lato ritengono che l’epo-
                              ca di Berlusconi sia finita per quanto egli resista aggrappato
                              al governo. Ma sono anche convinti che non esista una vera
                              alternativa politica (e sociale) al cavaliere e pensano che i valo-
                              ri e il clima culturale prevalente nel paese rimangano quelli
                              berlusconiani.

                              D’altronde non è proprio tutto da buttar via quello che viene
                              dal berlusconismo (posto che è stato Berlusconi in qualche
                              modo a produrre o almeno spingere il profondo cambiamen-
                              to del sistema politico italiano).

                              Piace moltissimo (e ce la vogliamo tenere) la semplificazione
                              del messaggio politico. Nella prima repubblica si capiva poco,
                              anche se il sistema dei partiti esercitava una pedagogia di
                              massa che rendeva meno arduo e più digeribile il lessico poli-
                              tico. Il crollo dei grandi partiti lascia il vuoto e accentua il solco
                              tra il linguaggio comune e le astrusità del linguaggio politico.
                              La modernizzazione mancata della seconda metà degli anni
                              Settanta rende il distacco sempre più evidente, sino alla rot-
                              tura degli anni ’80 (il riflusso). Adesso che abbiamo comincia-
                              to a capirci qualcosa non vorremmo smettere.

                              Piace il bipolarismo, anche se ben temperato: se fino a meno
                              di un anno fa rimaneva prevalente l’idea di una semplificazio-
                              ne estrema (due partiti e basta) oggi tendiamo ad attenuare
                              questo atteggiamento e comincia ad emergere l’idea del tri-
                              polarismo che conquista più di un quinto degli italiani. Ma
                              alla fine metà dei nostri concittadini rimane saldamente bipo-
                              larista quando non bipartitista. Piace ancora molto l’idea di
                              stare di qua o di là.

                              Piace l’idea della rivoluzione liberale, tanto cavalcata e mai
                              agita. Anche qui bisogna prestare attenzione: spesso la rivo-
                              luzione liberale è pensata per gli altri e non per sé. Scatta, non
                              infrequentemente, la difesa dei propri privilegi. E’ la sindrome
                              Nimby. Forse a un certo punto si era sperato di uscire dalla
                              società bloccata, centrata su articolati corporativismi. Nono-
                              stante il fatto che questo atteggiamento sembri essere atavi-
                              co e profondamente radicato nella nostra società (la solita Ita-
                              lia senza stato, senza ethos “repubblicano”), ci si contava


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               almeno un po’. In realtà sia la destra che la sinistra, pur da
               diversi angoli visuali, hanno contribuito a mantenere privilegi
               radicati. La destra guardando agli interessi di pezzi di società
               che ne hanno garantito l’egemonia (perché liberalizzare signi-
               ficava anche e forse soprattutto mettere mano agli ordini pro-
               fessionali, ai grovigli delle partecipazioni incrociate, alla rottu-
               ra delle corporazioni), la sinistra ancorata alla difesa del posto
               di lavoro che limita lo sguardo a quelli che si sono cominciati
               a chiamare i garantiti senza leggere le profonde trasformazio-
               ni del mercato del lavoro e degli interessi di “classe”. Risulta-
               to la pratica scomparsa di quel minimo di ascensore sociale
               emerso durante e dopo il boom.

               Ma piace anche il ruolo della televisione: veicolo principale
               (per fortuna sempre meno unico) dell’informazione politica,
               luogo (in questo caso quasi unico) del dibattito virato nella
               forma dei talk show che continuano a riscuotere grandi suc-
               cessi, nonostante siano spesso (con qualche rara eccezione)
               luoghi di litigio e scarso se non nullo approfondimento vero.

               Si butterebbero invece volentieri i tormentoni del passato che
               non passa: l’anticomunismo ma anche il suo corrispettivo spe-
               culare, l’antiberlusconismo. Lo stallo della seconda repubblica
               (che a molti pare una prosecuzione della prima) è oramai evi-
               dente a tutti e nella seconda repubblica si sono portati pezzi
               (molti) della vecchia tra cui appunto l’anticomunismo (a
               comunisti morti) e la risposta antiberlusconiana (in cui il Cava-
               liere appare non infrequentemente come prodotto del mali-
               gno). Anziché far vincere il pesante e oscuro proceduralismo
               che richiede faticosi accordi basati su un principio cooperati-
               vo, prevale la logica amico-nemico, come se vivessimo peren-
               nemente in uno schmittiano “stato di eccezione”. Con la
               conseguenza da un lato di mirare a scrollarsi di dosso tutta la
               farraginosità delle procedure democratiche, che, dice il Cava-
               liere, mi impediscono di lavorare, dall’altro di difendere que-
               ste procedure senza critica, senza la necessaria ricerca di un
               adeguamento al mondo che cambia. Si ragiona in termini di
               blocchi contrapposti e tutto rimane fermo.

               E si critica anche l’eccesso di leaderismo, di personalizzazione.
               Questo è più strano, bisogna interpretarlo. In realtà il leader
               che incarna valori e passioni piace agli italiani. La competizio-
               ne più gradita è quella dei sindaci, la legge elettorale che è
               maggiormente piaciuta. Consente di scegliere persone sgra-
               vando molti dal fastidioso obbligo di esprimere un voto per i
               partiti, di optare per programmi incarnati e visibili, di investi-
               re su una persona che si pensa dotata di poteri reali cui si


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                              potrà chiedere conto di ciò che ha fatto. Le perplessità sulla
                              personalizzazione sono critiche agli eccessi e forse una reazio-
                              ne di noia alla presenza sul proscenio di uomini che sono sem-
                              pre gli stessi.

                              In sostanza sembra che non ci sia un nuovo paradigma che
                              nasce. Qualche vagito si trova, ma nessuno che ne prenda la
                              fiaccola. La fine dell’individualismo in salsa italiana (con molte
                              venature neocorporative e senza liberalismo in azione) lascia
                              in eredità spettatori perplessi, senza sbocchi.



                               Le ultime convulsioni:
                              tra democrazia e mercati
                              Quella che per lungo tempo era sembrata un’endiadi si tra-
                              sforma in un ossimoro. La crisi finanziaria (non la prima, ma
                              sicuramente la più grave del dopoguerra) si conclama nel
                              pieno dell’estate e rende evidente la difficoltà nel conciliare i
                              due termini.

                              Il fenomeno è decisamente pesante: se fino ad ora le crisi
                              finanziarie, sempre più importanti e sempre più vicine nel
                              tempo, sono state normalmente liquidate come “bolle” (dalla
                              new economy all’immobiliare dei subprime) anche quando
                              hanno ripercussioni gravi sull’economia mondiale, l’ultima
                              crisi si qualifica per essere una difficoltà profonda dei debiti
                              sovrani e per attacchi concentrici ad un sistema (l’Europa e
                              l’Euro).

                              E’ la stessa democrazia sovrana che viene palesemente messa
                              in discussione. La finanziarizzazione dell’economia globale
                              mette in scena la sua rappresentazione più devastante. Non è
                              una novità, ma l’intensità e le forme che assume rendono evi-
                              denti a tutti i rischi enormi che si stanno correndo.

                              Le profonde critiche al mercato finanziario non vengono solo
                              da aree tradizionalmente antagoniste: il Sole 24 ore ospita
                              spesso, in particolare nel proprio supplemento domenicale,
                              interventi, tra gli altri, di Guido Rossi, profondamente sfavo-
                              revoli all’evolversi della situazione. Le sue tesi erano già
                              espresse in un volume del 2008 (“Il mercato d’azzardo” Adel-
                              phi). Il mercato finanziario globalizzato va divorando i suoi
                              stessi presupposti, calpestando giorno dopo giorno i principi
                              della democrazia azionaria, dell'interesse sociale, della crea-


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               zione di valore sostiene Rossi, con una messa in mora della
               politica. Questo tanto più in Italia dove la pratica del control-
               lo minoritario è diffusissima.

               Sempre a parere di Rossi la finanziarizzazione esasperata, la
               deregulation post roosveltiana stanno mettendo in discussio-
               ne l’eguaglianza che è il fondamento principale del diritto di
               cittadinanza.

               La politica occidentale balbetta e mostra un’estrema debolez-
               za. Obama rischia di portare il paese al default, l’Europa bar-
               colla e il duumvirato Merkel/Sarkozy non riesce ad esprimere
               una direzione forte all’Unione. Zapatero annuncia le proprie
               dimissioni per ridare fiato ai mercati. Papandreou cerca di resi-
               stere proponendo un referendum ma viene commissariato. In
               questo caso è evidente come la democrazia di un intero paese
               sia messa in mora dalla crisi.

               Ma la finanza ha in alcuni casi trovato una sponda nella poli-
               tica: non dobbiamo dimenticare che la crisi finanziaria sembra
               colpire soprattutto gli Stati che – come moderni “apprendisti
               stregoni” della finanza globale – hanno creduto di poter
               lucrare facilmente consenso politico con la “leva finanziaria”:
               vale per la Grecia, ove era diventato prassi presentare bilanci
               falsificati; vale per l’Italia, ove anni di tassi bassi non hanno
               condotto ad una riduzione del debito, ma si è utilizzato tale
               “dividendo” implicito per sostenere inefficienze via via meno
               sostenibili (per essere chiari: l’Italia dell’Euro ha pagato molto
               meno interessi sul proprio debito, tali soldi in più sono stati
               puntualmente spesi in attività aggiuntive, senza utilizzarli per
               ridurre lo stock di debito: in tal modo abbiamo affrontato il
               naufragio senza la scialuppa di una possibile politica fiscale
               espansiva), vale per Spagna e Portogallo che hanno forzato la
               crescita della propria economia su una bolla speculativa nella
               quale molto spazio è stato dato alla leva finanziaria (in “debi-
               to” appunto). Se la politica si affida alla finanza, poi ne viene
               condizionata: il ciclo politico è più lento e prevedibile dei mer-
               cati finanziari, e quindi questi fatalmente lo condizionano.

               L’intera Europa sembra essere nelle mani della Banca Centra-
               le, che cerca di resistere ai colpi della speculazione finanziaria.

               Si rende evidente che l’assenza di una risposta politica mette
               a rischio la tenuta stessa dell’Unione Europea.

               L’Italia è al centro della tempesta. Il suo fallimento mettereb-
               be a repentaglio l’Europa e la sua moneta. Il governo non


                                                                                     23
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                              sembra all’altezza della situazione. Si susseguono ipotesi di
                              manovra che vengono smentite o modificate il giorno dopo,
                              si discute di ripresa e di rigore dei conti senza una soluzione
                              condivisa, le diversità di visione fra Tremonti e il resto del
                              governo e della maggioranza si fanno evidenti sino a diventa-
                              re laceranti.

                              Ai primi di agosto la BCE manderà una lettera segreta per
                              indicare al governo italiano le misure da prendere, nel detta-
                              glio. Il commissariamento diventa evidente, il governo sembra
                              privo di autorità oltre che di direzione.



                               Il nocchiero della nave in
                              gran tempesta
                              Se da un lato dall’Europa arriva il commissariamento, quasi
                              mortificante quando si annuncia la visita di un’ampia delega-
                              zione munita di esteso questionario da somministrare ai mem-
                              bri del governo, dall’altro al palese arenarsi del governo rispon-
                              de con un ruolo di supplenza il Presidente della Repubblica.

                              Da tempo il Presidente è divenuto una presenza molto rile-
                              vante nella vita politica quotidiana. E’ vero che non si tratta
                              della prima volta. Dalla crisi del sistema dei partiti i Presidenti
                              hanno avuto un ruolo sempre più rilevante e “interventista”.
                              Tuttavia il Presidente Napolitano va sempre più assumendo un
                              ruolo di rappresentanza politica diretta. In primo luogo
                              all’estero, dove il discredito del Paese assume dimensioni
                              imbarazzanti (per arrivare alla fine alla famosa risatina di
                              scherno di Merkel e Sarkozy richiesti, ad un vertice europeo,
                              di dire se Berlusconi li avesse rassicurati), la Presidenza della
                              Repubblica diviene interlocutore dei principali leader.

                              Ma anche all’interno sempre più il Presidente Napolitano fa
                              da pungolo per Governo e Parlamento che spesso richiama
                              all’ordine su contenuti e tempi.

                              Gli italiani guardano al Presidente come all’unico punto di rife-
                              rimento e all’unica persona in cui possano confidare. Se fino
                              all’anno scorso era l’uomo dei richiami ai valori e ai principi,
                              oggi diventa il garante solitario di una politica traballante.

                              La fiducia nel Presidente non solo rimane intatta, ma cresce al
                              diminuire della presenza fattiva della politica.


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               Le preoccupazioni che esprime, i richiami che manda, gli
               obiettivi che propone sono compresi e condivisi da tutti o
               quasi.

               Tuttavia il Presidente coglie con nettezza e preoccupazione
               una situazione di assenza della politica cui deve essere posto
               rimedio e lo sottolinea con la consueta chiarezza. In una delle
               tante occasioni in cui viene accolto trionfalmente nel corso
               dei suoi viaggi per il paese dice: “Queste manifestazioni d’af-
               fetto mi rendono felice, ma m’inquietano, perché i punti di
               riferimento istituzionale dovrebbero essere molti”.

               Cogliendo esattamente il punto: il vuoto istituzionale è un
               problema e un rischio per il paese.



                Mario & Mario: ottimati al
               potere
               Il paese balla sull’orlo dell’abisso: la situazione italiana, a un
               passo dal default, con rendimenti dei titoli di stato che rischia-
               no di rendere impraticabile la possibilità di un rientro dal debi-
               to e un governo che non riesce a rispondere, varando e smen-
               tendo manovre, tutte prevalentemente caratterizzate dal rin-
               vio e sonoramente bocciate dai mercati, rende necessario un
               intervento straordinario che il Presidente esercita con determi-
               natezza e forza.

               Prima dell’incarico a Mario Monti, diventa operativa la nomi-
               na di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea e dello stes-
               so Monti come senatore a vita. I due fenomeni fanno appari-
               re l’Italia in ripresa, quanto meno in termini di credibilità e
               ascolto a livello europeo e internazionale. Da paese messo
               all’angolo, torniamo ad essere, forse, un paese che ha un
               minimo di voce in capitolo.

               L’investitura Mario Monti fa tirare agli italiani un avvertibile
               sospiro di sollievo. Prima ancora che sia formalmente defini-
               to, l’ipotetico governo Monti gode di un sostegno altissimo.
               Dalla fine di agosto, quando abbiamo ripreso i nostri sondag-
               gi continuativi sul clima del paese dopo la pausa estiva, tutti
               gli indicatori erano in crollo verticale: qualità della vita, aspet-
               tative economiche, fiducia nelle istituzioni facevano emerge-
               re un paese terrorizzato, sfiduciato, pervaso dall’idea che non
               ce l’avremmo fatta.


                                                                                      25
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                              Una soluzione non politica viene considerata il toccasana,
                              vista l’incapacità di un ceto politico sempre meno rappresen-
                              tativo. D’altronde, nel tempo recente, sono sempre stati i
                              “tecnici” a risolvere le situazioni di difficoltà del paese.

                              Il governo Monti sembra il più tecnico tra i governi che il
                              paese ha avuto. Le nomine sono fatte soprattutto tra esperti
                              (qualcuno dice che più che un Consiglio dei ministri si tratta
                              di un Consiglio di facoltà).

                              Il paese reagisce bene, convinto com’è di essere all’ultima
                              spiaggia. Gli indicatori risalgono, il rischio Grecia, paventato
                              da quasi tre quarti degli italiani ad ottobre, sembra farsi più
                              lontano.

                              La politica, nell’angolo, non può che approvare. Il nuovo
                              governo nasce con una maggioranza parlamentare larghissi-
                              ma, all’opposizione nella sostanza solo la Lega.

                              Tuttavia i mal di pancia sono numerosi: nel centrodestra la cri-
                              tica spesso si accentra sulla legittimità stessa del governo. Si
                              valuta l’incarico come una sospensione della democrazia e
                              questo tema non è secondario. Se formalmente la procedura
                              non è discutibile e i passaggi non rappresentano una messa
                              in discussione delle forme, nella sostanza si tratta di una
                              messa in mora della rappresentanza. E’ tuttavia, come già
                              detto, il prodotto di una débacle, quella della politica. Solo
                              una piccola parte dei cittadini concorda con la tesi della
                              sospensione della democrazia.

                              Ancora, le critiche si incentrano sull’estrazione del governo,
                              espressione delle banche (uno dei ministri di peso è Corrado
                              Passera, ex ad di Banca Intesa) e della Chiesa (ben tre ministri,
                              Riccardi, Ornaghi e lo stesso Passera erano stati relatori al
                              recente convegno di Todi, che ha riunito le principali associa-
                              zioni cattoliche del paese sull’onda dell’intervento del cardi-
                              nale Bagnasco).

                              Nel centrosinistra i malesseri si appuntano di più su un certo
                              sentore liberista del governo, in maniera evidente per Vendo-
                              la e Di Pietro, ma non irrilevante nello stesso PD, almeno per
                              bocca del responsabile economico Fassina.

                              La manovra presentata dal governo è pesante e dolorosa,
                              centrata principalmente sulle entrate, con poco spazio per la
                              riduzione delle spese e soprattutto indirizzata prevalentemen-
                              te al lavoro dipendente e alle pensioni.


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               La reazione del paese è straordinaria: della manovra piace
               pochissimo. L’aumento dell’Iva (82% sono critici sul provvedi-
               mento), l’ICI (criticata dal 68%), gli interventi sulle pensioni
               (69% contrari) non piacciono a nessuno o quasi. Nel comples-
               so si valuta la manovra come iniqua (lo pensa quasi il 70%
               degli italiani). Tuttavia, contestualmente, il governo mantiene
               una valutazione elevatissima (oltre il 60% di consensi) e lo
               stesso avviene per il premier (oltre due terzi degli italiani ha
               fiducia in Mario Monti). Inoltre un segnale arriva anche sul
               fronte economico: le aste di collocamento di fine anno dei
               Titoli di Stato nazionali, cui sono ricorsi numerosi italiani, pre-
               sentano rendimenti inferiori a quelli contemporaneamente
               presenti sul mercato libero, ove la presenza di investitori Ita-
               liani è ininfluente.

               C’è la convinzione (che sembra molto meno presente tra i
               politici) della necessità di ingoiare la pillola per superare
               l’emergenza.

               E’ però fuori dubbio che questo consenso da ultima spiaggia
               non potrà durare molto. Nel brevissimo è vincolato ad alcune
               condizioni ed in particolare alla capacità di ridurre lo spread
               mettendo in sicurezza i titoli pubblici e ridando fiato alle
               borse. Nel medio è collegato alla capacità di produrre equità
               e crescita.



                Neoguelfi in una società
               autodiretta
               Nell’ultimo scorcio dell’anno la Chiesa riprende un suo ruolo
               politico. La messa in mora del berlusconismo la chiama in
               causa direttamente. Da tempo la base dei fedeli è critica
               quando non disgustata: i comportamenti privati del premier
               prima e poi la manifesta difficoltà di fare ne rendono eviden-
               te il confliggere con la rete diffusa sul territorio.

               Il mondo delle parrocchie, cui danno voce i giornali diocesa-
               ni, esprime disapprovazione con analisi sempre più cogenti e
               pesanti. Non è più solo Famiglia Cristiana col suo direttore
               spesso criticato per le sue posizioni fuori dal coro.

               La questione sembra complessa e rilevante. Potremmo sem-
               plificarla così. Due grandi ideologie sono in crisi: la socialde-
               mocratica da tempo, da quando almeno la sua creatura, lo


                                                                                     27
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                               stato sociale, sembra non essere più in grado di sostenersi né
                               di redistribuire in maniera soddisfacente una ricchezza che si
                               riduce sempre più. La risposta liberista mostra la corda: dise-
                               guaglianze sociali enormi, impoverimento complessivo, spa-
                               ventoso vuoto del sociale e abbandono dell’individuo al sé,
                               evidenziano la sua incapacità di rispondere ad un nuovo
                               mondo globale che pure essa ha contribuito a creare, con la
                               speranza di divenirne l’espressione unica (il pensiero unico).

                               L’unica risposta possibile, nel silenzio della socialdemocrazia e
                               nell’arretrare dei liberisti sconfitti, sembra l’economia sociale
                               di mercato. Qualcuno mette insieme, con estrema proprietà,
                               Marx e Leone XIII. E rispolvera, in un momento critico per
                               l’Europa, in cui uno dei grandi stati, la Gran Bretagna si allon-
                               tana dal Continente per continuare a rivolgersi ad un impro-
                               babile asse con gli Stati Uniti, il modello “renano” fondato
                               sulla Gemeinschaft, sulla comunità come collante centrale,
                               contrapposto al modello anglosassone, individualista, dipen-
                               dente dalla finanza. Le aziende in questo modello sono
                               “prede” orientate esclusivamente al profitto. Nel modello
                               renano l’azienda si qualifica, citiamo ancora Berselli da
                               “L’economia giusta”, “come community, non soltanto come
                               commodity, come comunità vitale non soltanto come merce
                               scambiabile sul mercato”.2

                               Il cardinale Bagnasco ripropone queste linee con una forte
                               accentuazione “politica”, contribuendo ad un appuntamento
                               dei movimenti cattolici a Todi da cui emerge una forte spinta
                               interventista, l’idea non di un’inattuale riedizione della Demo-
                               crazia Cristiana quanto di una struttura intermedia, una sorta
                               di movimento organizzato in grado di parlare verso l’alto alle
                               classi dirigenti politico-economiche del paese e verso il basso
                               ad un “popolo” sempre meno rappresentato.

                               Il dibattito era avviato da tempo, ma la crisi del berlusconismo
                               ne accelera i tempi. Tra i tanti interventi vale la pena ricorda-
                               re quello di Lorenzo Ornaghi, ex rettore della Cattolica di
                               Milano e attualmente ministro dei Beni Culturali del governo
                               Monti, che alla fine del 2010 lanciava una sorta di manifesto
                               neoguelfo. Rivendicando ai cattolici un primato: “Rispetto ad
                               altre […] ‘identità’ culturali […] disponiamo di idee più appro-
                               priate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo anco-
                               ra dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati.
                               […] Essere ‘guelfi’ implica la consapevolezza che la nostra
    2
     Edmondo Berselli          posizione di vantaggio va di giorno in giorno consolidata.
    “L’economia giusta”        Consolidandola, saremo già pronti per quelle nuove ‘opere’
    Einaudi 2010               che – soprattutto per ciò che riguarda la rilevanza e la capa-


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               cità attrattiva della nostra partecipazione alla vita politica del
               presente – il futuro prossimo già ci domanda” (Lorenzo Orna-
               ghi “Sul presente e il futuro dell’Italia” intervento al X Forum
               del Progetto Culturale dedicato al tema “Nei 150 anni del-
               l’Unità d’Italia. Tradizione e progetto” – corsivo nostro).

               Gli italiani ascoltano con interesse: l’intervento del cardinale
               Bagnasco, seguito con attenzione da più di un quarto dei cit-
               tadini e conosciuto almeno a grandi linee dal 50%, riscuote
               un diffuso apprezzamento, in particolare nelle sue parti tese
               a richiamare la politica al suo ruolo di sobrietà e capacità di
               rappresentanza.

               E’, come abbiamo più volte detto, un paese che aspetta voci
               ragionevoli ed è disposto ad ascoltarle, da qualunque parte
               provengano.

               Ma tutte le voci, compreso quelle provenienti dalla cattedra di
               Pietro, vanno filtrate dalla coscienza individuale. Lo dicono
               con nettezza tutti gli italiani, compresi i cattolici praticanti ed
               impegnati nell’attività volontaria nelle parrocchie. La Chiesa,
               come le altre istituzioni del Paese, non è automaticamente
               investita di un’autorità tale da rendere le sue parole non
               discutibili, anzi. La perdita di fiducia nella Chiesa (pur soste-
               nuta ancora da circa 60% dei cittadini), determinata negli
               ultimi anni principalmente dall’emergere del fenomeno della
               pedofilia, non si riprende. Anzi, scende ancora negli ultimi
               mesi dell’anno, anche in relazione alla polemica sull'esenzio-
               ne dal pagamento dell’ICI.

               L’archetipo comunitario su cui tutta l’analisi cattolica si fonda
               è quantomeno da ricostruire e da riconfermare giorno per
               giorno. Il modello sembra essere più che non quello della soli-
               da Gemeinschaft, la comunità basata sulle relazioni personali
               stabili, piuttosto quello delle comunità virtuali che vediamo
               crescere in rete, basate su relazioni liquide, la cui durata non
               è determinabile in un continuo comporsi e scomporsi.

               E in questo quadro sembra in discussione anche il principio di
               non negoziabilità dei valori e del fondamento di verità che
               sottostà alle posizioni ufficiali della Chiesa.

               In un contesto in cui si chiede alla Chiesa di ridurre i propri
               interventi morali e dove su alcuni dei principi cardine (quali ad
               esempio il tema del fine vita, della contraccezione, dell’abor-
               to e più in generale, e soprattutto, della morale sessuale) le
               opinioni degli italiani – e anche di una parte rilevante dei pra-


                                                                                     29
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                              ticanti – sono molto distanti dalle posizioni della Chiesa.

                              Infine i cattolici non appaiono come un monolito, anzi le divi-
                              sioni che percorrono la politica sembrano anche riflettersi sul
                              mondo cattolico. Gli italiani sono convinti che difficilmente si
                              troveranno punti di accordo, tra i politici e tra le diverse asso-
                              ciazioni cattoliche, soprattutto per quei temi che rappresenta-
                              no in generale faglie importanti di frattura nella società e
                              nella politica: le politiche economiche, i temi etici, le politiche
                              fiscali.

                              In sostanza nella società del disincanto dove il luogo della
                              scelta è in interiore homine, nella propria coscienza che pre-
                              tende di non essere eterodiretta, i punti di ricucitura dovran-
                              no necessariamente essere centrati sul terreno della politica,
                              delle politiche sociali, della redistribuzione, della produzione
                              oltre che della riproduzione.

                              Scommessa che i cattolici condividono con il resto della società.

                              Per dirla con Touraine, di fronte alla fine del sociale così come
                              l’abbiamo conosciuto nella modernità preglobale, forse l’irru-
                              zione dei soggetti non è solo degrado ma possibile ricostru-
                              zione dei (faticosi) paradigmi fondativi.



                               Tutti a casa: la democrazia a
                              disagio
                              L’ondata antipolitica non è solo, lo abbiamo detto, recrude-
                              scenza forcaiola e populistica. Stiamo in un passaggio stretto
                              e complesso in cui si conclama la difficoltà di funzionamento
                              del sistema democratico a fronte di una società talmente
                              cambiata da essere irriconoscibile.

                              Si avverte un disagio profondo proprio per le risposte che
                              mancano: in una realtà che dà luogo a sempre più dramma-
                              tiche diseguaglianze sembra perdersi la ragion d’essere stessa
                              del sistema democratico che dovrebbe invece produrre inclu-
                              sione, benessere diffuso, crescita della cittadinanza. Anche
                              perché, se la democrazia è dialettica delle parti, sono le parti
                              ad essere cambiate.

                              Come dice Galli: “La democrazia oggi non soffre tanto della
                              sua storica difficoltà a fare unità a partire dall’indipendenza


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               delle parti; soffre semmai della scomparsa delle parti che,
               interconnesse, la costituiscono: Stato, soggetto, partiti, popo-
               lo – mentre la scena è dominata da un capitale profondamen-
               te trasformato e fuori controllo. […] La crisi nella democrazia
               è diventata, o sta diventando, crisi della democrazia.”3

               La reazione dei cittadini è di insofferenza per questa situazio-
               ne, aggravata certo dallo storico malfunzionamento del pub-
               blico e della politica nel nostro paese. La colpa è della casta.

               La polemica sui costi della politica è enorme e oramai storica.
               Anche se poi, guardando bene, si scopre che tutto sommato
               i costi dei parlamentari italiani non sono molto diversi da
               quelli di molti dei principali stati europei.

               Tuttavia si è davvero convinti che intervenire sulla politica con-
               tribuisca a migliorare le finanze pubbliche. Richiesti di indica-
               re il provvedimento prioritario per affrontare la crisi, doman-
               da fatta nell’autunno inoltrato, oltre 60% degli italiani mette
               al primo posto la riduzione dei parlamentari. E fin qui non c’è
               da stupirsi. Ma poco meno della metà (47% per la precisione)
               è anche convinto che questo sarebbe l’intervento più vantag-
               gioso per le finanze statali, addirittura più efficace di una
               patrimoniale.

               Ci si scaglia contro il pubblico accusandolo di avere un eccesso
               di dipendenti, scoprendo poi che tutto sommato l’incidenza dei
               dipendenti pubblici italiani è inferiore alla media europea.

               Il disagio, quando non il disprezzo o addirittura la rabbia –
               stanno tornando gli insulti ai politici per strada come ai tempi
               di tangentopoli – sono probabilmente eccessivi, ma testimo-
               niano della incapacità della politica nel far fronte ai cambia-
               menti e alle nuove richieste. D’altronde siamo al punto più
               basso della fiducia nei partiti (12%), un punto mai raggiunto
               neanche negli anni di Tangentopoli.

               Il coro, unanime o quasi, è “tutti a casa”. Il ricambio totale e
               senza sconti della classe politica attuale del paese, la palinge-
               nesi rigeneratrice, è richiesta non solo dai disgustati ma dagli
               stessi elettori per i propri partiti. Sono soprattutto gli elettori
               del centrosinistra che chiedono a gran voce un cambiamento
               radicale, ma anche nel centrodestra l’attesa è di un profondo
               rinnovamento.
                                                                                     3
                                                                                       Carlo Galli “Il disagio
               L’inadeguatezza della politica è evidente e non solo in Italia. Il    della democrazia” Einau-
               tema è quello di avere una classe dirigente aggiornata, con           di 2011



                                                                                                            31
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                              una cultura globale, con letture adeguate, con analisi che tra-
                              valicano i confini nazionali, con relazioni vaste.

                              Questo manca. Il costo vero della politica, come qualcuno ha
                              correttamente sottolineato non è tanto il peso economico
                              della casta, quanto la sua incapacità di decidere per il bene
                              del paese. Torna l’urgenza di avere degli statisti, delle perso-
                              ne che, secondo la celebre definizione degasperiana, siano
                              capaci di guardare alle prossime generazioni, non alle prossi-
                              me elezioni.

                              Il ceto politico italiano, a partire dalla seconda Repubblica,
                              pare non essere capace di adeguarsi a queste necessità, e
                              oggi sembra aver raggiunto uno dei livelli più bassi mai visti.

                              La cultura politica rimane spesso ancorata al passato, ancora
                              incistata nel novecento, inadeguata.

                              La richiesta quindi di mandarli tutti a casa ha in qualche modo
                              un suo fondamento: abbiamo bisogno di adeguarci alle
                              nuove sfide.

                              Non secondario, in questo, il comportamento di non pochi
                              rappresentanti della classe politica. Con l’arrivo del nuovo
                              governo fa notizia il premier che si mette in coda al check-in,
                              che si porta (da solo!) il trolley alla stazione Termini, che si
                              paga l’ingresso alla mostra. La sobria normalità sembra un’ec-
                              cezione.



                               Senza partiti: l’implosione del
                              sistema
                              E’ nel sostanziale vuoto politico-istituzionale prima descritto
                              che si apre una fase nuova per il paese, in cui la bussola sem-
                              bra assente.

                              I partiti hanno alzato le braccia, incapaci di far fronte agli
                              eventi, consegnandosi nella mani dei tecnici. Apparentemen-
                              te una situazione transitoria. Si fa la manovra, si prendono i
                              provvedimenti necessari, poi tutto torna come prima.

                              In realtà tutto dovrà, necessariamente, cambiare. Perché sicu-
                              ramente da questa situazione non si uscirà come prima alme-
                              no sul lato della spesa pubblica, che è stata il volano principa-


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               le della politica per lunghi anni. Le risorse saranno minori, la
               redistribuzione del reddito dovrà trovare nuovi canali.

               Si dovranno individuare nuovi destinatari della ridotta possibi-
               lità di spesa ridisegnando il sistema di welfare e la rete degli
               ammortizzatori sociali. Per far funzionare il paese bisognerà
               spostare risorse dal modello del male breadwinner (sostenuto
               in misura rilevante dalla spesa pensionistica) ai giovani e alle
               donne, sostenendo percorsi di vita, garantendo redditi di cit-
               tadinanza, esplorando l’ottimizzazione dei servizi in una più
               efficiente e più stretta relazione pubblico/privato.

               La drastica riforma delle pensioni scardina modelli di vita, reti
               di relazione e sostegno. Andremo verso un mondo in cui la
               rete della solidarietà familiare si farà più leggera.

               Siamo di fronte ad un processo in cui stanno cambiando (e lo
               vedremo) stili di consumo e di vita, e non solo per imposizio-
               ne della crisi. E’ in parte un’interiorizzazione della decrescita,
               che comporta modelli di consumo più virtuosi, più sostenibili,
               più compatibili con la scarsità di risorse. La politica dovrà rap-
               portarsi a questo nuovo clima, alle mutate condizioni di vita.

               La competitività delle imprese, se il trasferimento di ricchezza
               dall’Occidente ai paesi emergenti manterrà i ritmi che abbia-
               mo visto negli ultimi anni, dovrà sempre più essere giocato su
               innovazione, crescita della produttività (riducendo il costo del
               lavoro per unità di prodotto che nel nostro paese rimane uno
               dei problemi principali), specializzazione. Di nuovo ridisegnan-
               do il ruolo della formazione, della scuola, dei centri di ricerca.
               A meno che non si voglia progressivamente diventare i forni-
               tori di manodopera a basso costo per il mondo avanzato.

               Non si vede quale partito, nella sua struttura attuale, sia in
               grado di raccogliere una sfida simile.

               Sia nel centrosinistra che nel centrodestra convergono cultu-
               re, visioni, interessi che faticano a ricomporsi.

               Quello che sembra mancare è un’etica repubblicana, cioè un
               sentimento condiviso delle responsabilità collettive. E’ il ruolo
               della borghesia (“la proprietà obbliga”), ma la borghesia è
               stata in Italia poca cosa, così come le élites che pure hanno
               “fatto” il paese, dal Risorgimento in poi.

               La scomposizione e ricomposizione dei partiti non è solo una
               necessità auspicabile, ma sembra essere nei fatti: si scompon-


                                                                                    33
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                              gono e ricompongono interessi e campi di forza.
                              Certo, molto dipenderà dalla durata del governo Monti. Se
                              cadrà a breve, è probabile che si vada al voto a scenari sostan-
                              zialmente invariati (ma il rischio è ricominciare l’agonia con un
                              ceto politico che non si è riaccreditato nel paese). Se durerà
                              sino alla scadenza della legislatura, la ricomposizione divente-
                              rà necessaria.




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             La crisi, l’economia, il mercato
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                                Uno sguardo ai fondamentali
                              Lo scenario 2011 conferma con forza le tendenze degli ultimi
                              anni. Un progressivo spostamento della ricchezza (del peso
                              economico certo, ma anche e progressivamente del ruolo
                              politico) dai paesi dell’occidente sviluppato ai paesi emergen-
                              ti. Bric(s) diventa un termine familiare ad una massa sempre
                              più vasta di italiani. E non sarà l’unica acquisizione nel dizio-
                              nario dell’economia che gli italiani faranno: spread e bund
                              fino a poco fa termini oscuri e arcani, entrano nelle chiacchie-
                              re da bar, nelle discussioni delle famiglie.

                              L’andamento dell’economia globale è a due velocità, come
                              mostra il grafico seguente (con le stime 2011 desunte dalle
                              previsioni del Fondo Monetario Internazionale)


                              Grafico 2 Prodotto interno lordo: confronto serie stori-
                              ca economie avanzate e paesi emergenti (variazioni %;
                              previsioni Fondo Monetario Internazionale per il 2011)




                              Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati FMI per
                              Ancc-Coop



                              La situazione si presenta ancora nettamente critica per le eco-
                              nomie dei paesi avanzati; se la recessione del 2008/2009 (in
                              testa ai cittadini rimangono le immagini dei dipendenti della
                              Lehman Brothers che se ne vanno reggendo i loro scatoloni)
                              ha colpito sostanzialmente tutta l’economia mondiale, la
                              ripresa avviene con velocità nettamente differenti che fanno
                              emergere le difficoltà delle economie più sviluppate.

                              Si manifesta con evidenza un riassetto della distribuzione
                              della ricchezza che penalizza l’Occidente avanzato (e in primo
                              luogo Stati Uniti e vecchio continente). Tuttavia sembra che la
                              politica stenti a fare propria questa situazione e a rispondere


    36
libro   7-02-2012   9:11   Pagina 37




               con mosse adeguate. L’esemplificazione più netta è l’este-
               nuante dibattito statunitense per l’innalzamento del debito,
               trascinato quasi sino all’ultimo momento con il rischio di por-
               tare il paese al default. Qualcosa di simile avviene per l’Euro-
               pa: l’assenza di un governo capace di intervenire sui grandi
               temi (certo non sostituito dal direttorio Merkozy) e una Banca
               Centrale con poteri non sufficienti a fronteggiare la grande
               crisi finanziaria. Potremmo adeguare il famoso motto della
               prima campagna di Bill Clinton: “It’s the politics, stupid”.
               Quello che manca all’Occidente è la politica.

               Detto per inciso, questa situazione di redistribuzione della ric-
               chezza sui paesi emergenti, è percepita anche dalla popola-
               zione: richiesti di prevedere l’andamento dell’economia nei
               prossimi tre anni gli italiani vedono peggiorare tutto (econo-
               mia personale, locale, italiana, europea), tranne l’economia
               mondiale. Trainata da altri, che non siamo noi.

               Dentro un percorso di questo genere l’Italia segna grandi dif-
               ficoltà. Innanzitutto nella capacità di ripresa, tema fondamen-
               tale nel gorgo di una crisi finanziaria di proporzioni inaudite.


               Grafico 3 Il Pil dei principali paesi dell’area Euro
               (1° trimestre 2008=100)




               Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati
               Eurostat per Ancc-Coop



               E di nuovo si registrano pesanti differenze territoriali, con la
               solita frattura Nord/Sud assai evidente:

               Il Sud non riprende.




                                                                                         37
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  • 2. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 1 Italia 2012: la difficile ricomposizione Ipsos edizioni Febbraio 2012 © 2011 - Ipsos 2
  • 3. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 2
  • 4. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 3 Introduzione
  • 5. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 4 Ipsos Flair: comprendere per anticipare Anche quest’anno, come è già successo nel 2011, vi propo- niamo la nostra lettura del paese, le nostre suggestioni, le ipotesi interpretative, qualche previsione. Ipsos conduce ogni giorno migliaia di interviste, che diventa- no milioni in capo ad un anno. Interroga la società che ci cir- conda con le metodologie più diverse: dal telefono al web, dai focus ai forum on line, dai colloqui in profondità alle inter- viste via smartphone. Parliamo con milioni di italiani, diversi fra loro e spesso, appa- rentemente, distanti. Siamo il paese delle cento città, ognuna con il proprio genius loci, ma anche il paese che sa trovare una cifra comune quando il gioco si fa duro. Questo paese così diverso e insieme così simile ci passa sotto gli occhi tutti i giorni. Che ci occupiamo dello yoghurt o del- l’ultima manovra finanziaria, del mercato del lavoro o delle bevande gassate, stiamo guardando alla complessità di un mondo che ci racconta in continuazione la sua storia. Ogni pezzo di questo racconto è prezioso. Serve a dirci di noi sotto le più diverse forme. Noi aiutiamo i nostri clienti a dipa- nare la storia, a guardarne i singoli aspetti senza trascurare la visione di insieme. I nostri clienti hanno bisogno di capire cosa fanno i loro clien- ti. E questo tanto più in un momento come quello che stiamo attraversando. Oggi, tutti insieme, lavoriamo per trasformare in opportunità un rischio. Lavoriamo per rendere la crisi una possi- bilità, per non adagiarci sulla sconfitta. Con loro cerchiamo di capire quali siano le tendenze, quali le possibilità. La nostra struttura, con le sue aree di expertise (Marketing, Pubblicità, Media, Opinione, Loyalty, Observer), ci consente di guardare alle diverse individualità che convivono in ciascuno di noi: consumatore, elettore, spettatore, lavoratore, lettore, venditore … Le molteplicità, l’articolarsi delle individualità, la superfetazio- ne degli ego che faticano a ricomporsi sono i segnali di un 4
  • 6. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 5 cammino difficile ma possibile. Stiamo in un passaggio stret- to, in cui tutte le energie sono necessarie. Siamo chiamati a rendere conto di quel che abbiamo fatto. E’ una sfida com- plessa, dalle tante risposte. Orientarsi e comprendere non è facile. E’ quello che vogliamo condividere con voi. Il fluire del rac- conto ci aiuterà, speriamo, a capire dove potremmo andare, cosa ci potrebbe capitare. 5
  • 7. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 6 Indice La politica 09 Vent’anni dopo 10 La lunga agonia 11 Senza politica 13 La caduta della credibilità 15 Una breve fiammata 17 La fine di un paradigma 19 Le ultime convulsioni: tra democrazia e mercati 22 Il nocchiero della nave in gran tempesta 24 Mario & Mario: ottimati al potere 25 Neoguelfi in una società autodiretta 27 Tutti a casa: la democrazia a disagio 30 Senza partiti: l’implosione del sistema 32 La crisi, l’economia, il mercato 035 Uno sguardo ai fondamentali 36 Con le unghie e con i denti: la battaglia delle famiglie 39 La contrazione dei consumi 42 La povertà cronica 46 Consumare meno, consumare meglio 49 Costume e società 053 Convergere e co-creare 54 Disconnettersi e decelerare 55 L’economia del riciclo 58 6
  • 8. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 7 Marche e stili di consumo 061 Sempre la rete … 62 Il destino del brand 63 Post edonistici 67 I nuovi consumatori: gli immigrati 68 I profili di consumo 71 Gli acquisti: una prospettiva evolutiva 79 Media e nuovi media 085 La dotazione tecnologica delle famiglie italiane 86 La rete nel panorama mediatico 87 Comprando in rete 94 Nuovi modelli di business 95 La stampa: nuove fruizioni 96 La televisione: una rivoluzione silenziosa 98 La nuova vitalità della radio 101 I media locali: un presidio “orizzontale” 102 La filiera dell’intrattenimento 103 Conclusioni: un paese da ricomporre 0105 7
  • 9. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 8
  • 10. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 9 La politica
  • 11. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 10 Vent’anni dopo “Un’atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa […] nel nostro Paese. E’ stata stupefacente e brutale la rapidità con cui la tendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal clima di festa collettiva […] ai poveri saldi di fine stagione […] ha fatto mozzare il fiato, ha riportato in primo piano il plumbeo clima dei tempi della stagnazione. Sono bastati pochi mesi […] per- ché quasi tutti gli indicatori economici assumessero un segno negativo; la cattiva congiuntura mondiale ha cominciato ad assomigliare minacciosamente alla recessione […]. Alla fine, la situazione italiana si è configurata come una perfida com- binazione di crisi economica conclamata e di marasma politi- co pericolosamente vicino al collasso del sistema. Quel che forse è peggio, l’idea che l’Italia è un malato terminale si è dif- fusa irresistibilmente, permeando la collettività con quella che si potrebbe chiamare senza retorica una cultura del pessimi- smo. Aspettative tutte di carattere negativo sono divenute l’unico orizzonte visibile. Non è un caso che lo scrollone più appariscente, quello che è sembrato innescare l’alterazione di un sistema di equilibri ampiamente collaudati, sia venuto dai settori geneticamente filogovernativi, quelli dell’imprenditoria e dell’industria. Ma diverse altre linee di crisi, svariate linee di faglia di possibili sconvolgimenti tellurici, si erano manifesta- te sul piano politico con cruda nitidezza nel corso dell’anno”. Una meravigliosa analisi di quello che è successo nel corso del 2011? Sembrerebbe proprio di sì, fatto salvo che queste per- fette parole sono state scritte esattamente vent’anni fa da Edmondo Berselli per Il Mulino1. E’ utile partire da qui: siamo un paese che si ripropone, che non risolve i suoi problemi di fondo, strutturali, sistemici. In cui i particolarismi, per citare Diamanti nell’introduzione allo stesso testo a proposito del ruolo archetipico della DC, sono assemblati senza miscela, mediati senza sintesi, generatori di “compresenza” più che di “coerenza”. Un paese il cui sistema politico non si autoriforma se non per eventi esterni (la prima guerra mondiale che chiude il lungo ciclo liberale, la seconda guerra che chiude il fascismo, la magistratura che chiude la prima Repubblica, l’Europa che 1 Edmondo Berselli chiude la seconda …). “L’ultima recita dei partiti” (novembre dicembre Vi inviteremmo a partire da qui. Per dire se possiamo ancora 1991) in “L’Italia, nono- stante tutto” Il Mulino farcela, come direbbe Berselli, nonostante tutto. Se non sia 2011 forse venuto il momento in cui il nonostante non è più suffi- 10
  • 12. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 11 ciente. Se insomma l’adattabilità e la capacità di sgusciare fra le regole non sia più la cifra adatta per la nostra sopravvivenza. La lunga agonia Il 2010 si chiude con un paese straordinariamente preoccupa- to e in netta difficoltà. Al centro la crisi che in quell’anno ha duramente colpito le famiglie, intaccandone i risparmi, riducendo i consumi, ren- dendo sempre più difficile, se non impossibile, assolvere al ruolo di principale ammortizzatore sociale del paese. Al chiudersi dell’anno nulla è cambiato: la crisi rimane in tutta la sua gravità, mentre risposte dalla politica non se ne vedo- no. Il 14 dicembre 2010, per molti il giorno fatidico della spal- lata che avrebbe abbattuto il governo Berlusconi (i giornali parlano di “giorno del giudizio”), si chiude con un nulla di fatto. Berlusconi ha resistito ottenendo la maggioranza asso- luta per pochi voti grazie al gruppo dei responsabili. Tre voti in più, quattro transfughi che diventeranno presto famosi: Calearo (dal PD), Cesario (dall’API), Razzi (dall’IDV), Scilipoti (anch’egli dall’IDV). Il 2011 si apre con un clima di sfiducia rassegnata. Il governo vive alla giornata nelle mani di pochi personaggi, in qualche caso pittoreschi, senza una prospettiva di medio periodo, l’opposizione non ha un programma alternativo e si presenta spesso divisa su questioni essenziali, il terzo polo non sembra decollare. Comincia un lento processo di sfarinamento, con un paese in stallo. L’agonia del berlusconismo segnerà gran parte del 2011, ago- nia senza alternativa. Un anno in cui il vecchio sembra mori- re e il nuovo non nasce. Disagi, malesseri, difficoltà, sono evidenti. Possiamo tentare di riassumerli così: - Uno sfaldamento del blocco sociale che ha sostenuto il berlusconismo sino ad allora: la punta visibile è il gruppo dirigente di Confindustria (Emma Marcegaglia dice a febbraio “gli industriali sono stati lasciati soli” e lo ripe- 11
  • 13. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 12 terà più volte nel corso dell’anno) ma dietro c’è il males- sere delle piccole imprese, delle partite Iva. Ci si allonta- na da Berlusconi, senza un piano B. A maggio gli imprenditori trevigiani inaugurano la loro nuova sede con una marcia silenziosa che vede la partecipazione di oltre 2000 persone. Si manifesta un disagio profondo, si chiede alla politica un’impennata; - Una difficoltà sempre più evidente per la Lega: il federa- lismo che pure approda in parlamento viene svuotato dei suoi effetti dalla crisi. Paradossalmente l’ipotesi di decen- tramento si scontra con un sempre maggiore accentra- mento delle scelte. L’alleanza con Berlusconi sta sempre più stretta: difficile convivere con gli Scilipoti, difficile giustificare il rallentamento del federalismo, difficile anche fare digerire alla base i comportamenti discutibili del Presidente del Consiglio. Cominciano le critiche allo stesso Tremonti, alleato di sempre; - Una diarchia che si fa sempre più evidente tra Tremonti e Berlusconi, con momenti in cui il Presidente del Consi- glio sembra nell’angolo, quasi rinunciatario. Momenti nei quali il timone del governo e delle sue scelte sembra saldamente, ed esclusivamente, nelle mani del supermi- nistro dell’economia; - Una caduta della credibilità internazionale. La politica delle “pacche sulle spalle” sembra sempre meno effica- ce. In momenti che si fanno davvero critici, la credibilità e l’autorevolezza debbono basarsi su scelte anche diffi- cili, quando non dolorose, che dall’Italia sembrano non arrivare. Di nuovo la Marcegaglia a settembre: “L’Italia è un paese serio e siamo stufi di essere lo zimbello inter- nazionale”. La reazione degli elettori, lo vedremo, è un distacco rabbioso. Il governo del fare, portato sugli altari nel 2009, ha perso colpi nel 2010 e nel 2011 resta privo del tutto di credibilità, attac- cato a pochi voti dopo aver avuto la più larga maggioranza della storia repubblicana, senza una bussola, con un accaval- larsi di promesse che scompaiono il giorno successivo (la “fru- stata” all’economia promessa da Berlusconi, non arriverà mai). L’agonia berlusconiana, lenta e lunga, non ha però solo a che fare con l’economia. Il degrado della vita politica e dei com- portamenti è sotto gli occhi di tutti: molti usano un linguag- gio triviale anche nelle aule parlamentari, gesti scurrili, anche da ministri (La Russa e il “vaffa” al Presidente della Camera, per tacere del dito medio e delle pernacchie di Bossi), mentre i discorsi si fanno sempre meno razionali e sempre più emoti- 12
  • 14. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 13 vi. Il processo di avvicinamento dei politici ai cittadini, inaugu- rato alla fine degli anni ’80 è oramai tracimato. I cittadini sono attoniti e pensano che un livello così basso non sia mai stato raggiunto nella storia repubblicana. Qualcuno conia un neologismo che ben si attaglia al clima: “scilipotizzazione”. A questo si aggiunge il mercato dei parlamentari, con perso- naggi deputati alla compravendita (Pionati lo ha rivendicato apertamente, in occasione della compera del 14 dicembre 2010). Le promozioni dei transfughi all’ultimo minuto per “pagare” la fiducia (Catia Polidori, nominata il 14 ottobre viceministro allo sviluppo economico dopo essere passata dal PDL a Fini, per poi passare al gruppo misto sostenendo Berlu- sconi, Aurelio Misiti, Giuseppe Galati e Guido Viceconte, tutti nominati lo stesso giorno). I comportamenti privati del Presidente del Consiglio (escort, Olgettine, ecc.) domineranno le prime pagine dei giornali, ma avranno scarso impatto sugli orientamenti degli elettori. Tut- talpiù serviranno ad aumentare la sfiducia di chi vi vede un segno di disinteresse per la cosa pubblica e a rafforzare le motivazioni di chi si oppone a Berlusconi. Chi si è indignato lo ha già fatto nel 2010, con lo scoppio del caso D’Addario e del caso Ruby. Senza politica Il combinato disposto di un governo sempre meno credibile e di un’opposizione che non rappresenta una prospettiva prati- cabile spinge l’elettorato ad un distacco sempre più marcato dalla politica. Fin dagli inizi del 2011 l’area “grigia”, astensionisti e incerti, assomma ad una cifra che si aggira intorno al 40%. All’area tradizionale che si colloca nello spazio dell’astensione e del- l’incertezza (età medio/alte, titoli di studio bassi, casalinghe e pensionati, sud) si vanno aggiungendo in misura rilevante ceti dinamici e normalmente partecipativi (classi di età centrali e giovanili, titoli di studio medio/alti, ceti professionalizzati, resi- denti nel centro nord e in comuni medio/grandi). Si tratta quindi di ceti che non esprimono un banale, come si sarebbe detto qualche tempo fa, “qualunquismo” (sono tutti uguali) ma una critica più articolata e approfondita (nessuno sta rispondendo ai bisogni miei e del paese). D’altronde segnali d’allarme erano emersi dal comportamento reale degli 13
  • 15. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 14 elettori già qualche tempo prima: se si guarda alle elezioni regionali del 2010 si scopre che coloro che meno degli altri hanno votato per i partiti sono stati i “rossi” toscani, che pure hanno partecipato al voto un po’ più della media delle 13 regioni coinvolte. Hanno votato i candidati, non i partiti. L’area della cosiddetta “antipolitica” è presidiata da diverse forze, ma da due in maniera precipua: L’Italia dei Valori e il Movimento 5 stelle legato a Beppe Grillo. Con qualche carat- terizzazione parzialmente diversa: Di Pietro mira a raccogliere soprattutto i sentimenti antiberlusconiani molto presenti in un’area relativamente vasta del paese e non necessariamente collocata solo a sinistra. L’esistenza di quest’area è testimonia- ta non solo dai molti dati di sondaggio visti nel corso degli ultimi anni, ma anche, per esempio, dal notevole successo de Il Fatto Quotidiano che nel nome e nell’iconografia richiama personaggi del giornalismo italiano non certo dichiaratamen- te di sinistra (Biagi nel nome – il fatto, Montanelli nel logo del bambino col megafono – la voce). Diretto da Padellaro (ex Unità) e condiretto da Travaglio, esemplifica bene il ritratto di un’area non definibile tout court con criteri di collocazione politica. E’ l’area dell’antiberlusconismo in cui si collegano elementi politici, morali, estetici. Con una diffusione media di tutto riguardo, nel 2011 vicina alle 80.000 copie. Il caso di Grillo sembra essere contemporaneamente sovrap- posto e distinto rispetto all’area dipietrista. Nelle motivazioni di simpatia verso Grillo convergono aspetti diversificati: una critica alla politica più vasta rispetto all’antiberlusconismo (per quanto sia molto marcata la distanza dallo “psiconano” come viene definito da Beppe Grillo), un’attenzione ai programmi (ambiente in primo luogo), uno sguardo attento alla parteci- pazione diretta dei cittadini, senza mediazioni. Il che fa sì che l’ambito privilegiato dei consensi al movimento 5stelle sia quello dei grandi centri urbani del centro nord. Vero ma non del tutto: gli ultimi segnali, emersi nelle elezioni del Molise dove l’elettorato grillino ha fatto la differenza, impedendo di un soffio l’elezione del candidato di centrosinistra, ci dicono di una diffusione di questo consenso anche in aree non certo metropolitane. Insomma, il sentimento diffuso di distanza dalla politica non può essere letto solo come “antipolitica”. E’ un’insofferenza diffusa che richiede in molti casi alla politica di riprendere il suo ruolo, che critica in qualche caso puntualmente compor- tamenti, programmi e valori espressi dal ceto politico, di destra e di sinistra, che legge l’avventura berlusconiana come 14
  • 16. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 15 un’anomalia da un lato ma dall’altro anche come “autobio- grafia della nazione”, da cui magari occorrerebbe liberarsi. E’ interessante notare come in questo allontanamento dalla politica un contributo importante lo diano i cattolici osservan- ti e in particolare quel segmento piccolo ma non irrilevante (circa 13/14% della popolazione) di cattolici impegnati, che prestano nelle associazioni, nelle parrocchie e negli oratori attività di volontariato. Anche in questo caso si tratta di un elettorato piuttosto avvertito, almeno in una sua parte In sostanza, siamo di fronte ad un processo complesso, artico- lato, all’interno del quale si evidenziano segmenti diversi che convergono nel processo di raffreddamento generale del rap- porto con la politica. Per una parte rilevante dei “distanti” la richiesta è di una politica più adeguata, capace di rispondere ai bisogni, di produrre le riforme necessarie alla modernizzazione e alla crescita del paese. Sono qui molti dei delusi del centrode- stra e del centrosinistra, che non vedono nel loro schieramento di riferimento una risposta adeguata alle necessità. Ma il sentimento di distanza dalla politica non è solo tipico del nostro paese (dove pure si enfatizza). L’Eurobarometro del novembre 2011 mette l’Italia alla pari con la Francia collocan- do entrambi i paesi ai livelli minimi di fiducia nei partiti tra le principali nazioni europee. Poco meglio le altre (Regno Unito, Germania, Spagna). In Germania, e siamo al livello più elevato tra i paesi considerati, la fiducia nei partiti si attesta al 15%. La caduta della credibilità Credibilità è la parola centrale dell’anno. La capacità di deci- dere del governo centrale, che ha un solo nome, Berlusconi, il solutore dei problemi del paese, è oramai ridotta al lumici- no. Quello che si era presentato come il governo del “fare”, capace di dar vita a grandi opere (il Ponte sullo Stretto è la promessa più faraonica che non avrà mai sviluppi, la Salerno Reggio Calabria che torna più volte negli impegni, ecc.), di mettere mano a riforme liberali, di operare una ristrutturazio- ne efficientista della macchina pubblica, tende ad essere (e soprattutto ad essere percepito) come un governo che sopravvive, senza una direzione precisa. L’incapacità del governo di rispondere alle attese sempre più pressanti della popolazione non è però solo dettato dal tema 15
  • 17. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 16 del “fare” mancato. Accanto ci sono altre motivazioni non inconsistenti. La prima è la litigiosità. Il paese si aspetta coe- sione, unità, comunanza di intenti. Nell’immaginario degli ita- liani uno dei governi peggiori è l’ultimo governo Prodi, pro- prio per l’evidente (e pubblico) contrasto delle sue compo- nenti che si manifestava in forme aperte e intollerabili, con ministri che intervenivano sui mezzi di comunicazione contro le decisioni e le ipotesi del governo e che qualche volta parte- cipavano a manifestazioni antigovernative. E’ poi un paese che ama l’unione, la chiarezza, la semplicità. La diarchia Tre- monti/Berlusconi, lo smarcarsi sempre più evidente della Lega, la presenza di segmenti della maggioranza che trattano su posti e prebende e fanno valere il loro voto come strumento di contrattazione provocavano fastidio e in qualche caso disgusto. Al di là del giudizio pesante che i cittadini esprimo- no e che abbiamo già riportato, ciò che si perde è la convin- zione che si possa reagire alle difficoltà del paese: il Presiden- te taumaturgo ha lasciato il passo ad un leader logorato, che ha perso l’aura decisionista che lo ha caratterizzato in questi lunghi anni. La percezione dei cittadini è netta. Nel grafico qui sotto è riportato il livello di fiducia in Silvio Berlusconi dal 2009 sino al novembre 2011, prima delle dimissioni: Grafico 1 La fiducia in Silvio Berlusconi (% voti positivi – serie storica) 60 56 55 54 54 53 5 25 2 5 2 53 52 52 55 51 51 49 48 50 47 46 42 42 45 39 39 38 37 37 40 35 35 35 31 30 30 27 30 26 23 25 20 feb-09 apr-09 giu-09 set-09 nov-09 gen-10 mar-10 mag-10 lug-10 ott-10 dic-10 feb-11 apr-11 giu-11 set-11 nov-11 Fonte: Banca dati sondaggi Ipsos Nessuno mette in dubbio le sue capacità di combattente: dopo ogni schiaffo la maggioranza dei cittadini ritiene che comunque saprà risollevarsi, tornare in pista. Pochi, pochissi- mi, leggono questi segnali come la fine di un’era. Eppure que- sta fine comincia a manifestarsi. 16
  • 18. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 17 Una breve fiammata Le elezioni amministrative e referendarie rappresentano un radicale cambiamento del sentimento degli italiani. Nelle elezioni locali sono coinvolti numerosi comuni capoluogo ma soprattutto quattro grandi città: Torino, Milano, Bologna e Napoli. Due, Torino e Bologna, vanno al centrosinistra al primo turno, in continuità con i risultati precedenti; nelle altre due invece, Milano e Napoli, si verificano grandi cambiamenti. A Milano vince Pisapia, un avvocato che proviene dalla sinistra radicale ma appartiene alla borghesia illuminata della città, candidato dopo aver vinto le primarie contro l’esponente indi- cato dal partito maggiore del centrosinistra, il PD. Un outsider. A Napoli vince De Magistris, un magistrato dell’Italia dei Valo- ri di Di Pietro, che si era presentato da solo contro il centro- destra e contro il candidato del PD. Un outsider. Infine bisogna ricordare i risultati di Cagliari dove vince al bal- lottaggio Zedda, un giovanissimo candidato di Sel, il partito di Nichi Vendola. Di nuovo un outsider. I risultati sono un vero e proprio terremoto: a Milano, culla di Berlusconi e del berlusconismo, la sconfitta è nettissima: al ballottaggio Pisapia vince di 10 punti rispetto alla candidata del centrodestra e sindaco uscente; lo stesso presidente del Consiglio, che si era candidato come capolista del suo partito chiamando gli elettori ad un referendum su di sé, dimezza le preferenze rispetto a cinque anni prima. La campagna del centrodestra, fondata sulla paura (con toni esasperati che preannunciano invasioni di zingari, occupazio- ne della città da parte dei centri sociali, ingresso di terroristi nel governo locale) viene respinta dalla “forza gentile” di Pisapia. E notoriamente Milano anticipa i fenomeni che carat- terizzeranno l’Italia. Qualcuno comincia a parlare di Pisapia come del possibile “papa straniero” per il centrosinistra. A Napoli, che aveva una giunta di centrosinistra incapace di affrontare i problemi storici ed endemici della città, vince il magistrato che promette una riscossa miracolosa senza alle- arsi con nessuno: al secondo turno il centrodestra si astiene in massa, decretando la sconfitta del proprio candidato, che ottiene un misero 35%. 17
  • 19. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 18 I referendum segnano un’ulteriore e questa volta nettissima disfatta per il centrodestra (la Lega titolerà sul suo giornale: “siamo stufi di prendere sberle”). Bossi invita gli italiani a non andare a votare, Berlusconi dichiara che lui personalmente non si recherà alle urne. Gli italiani al contrario vanno a votare in massa e, per la prima volta dopo quindici anni, un referendum raggiunge il quorum nettamente (57% considerando solo gli italiani che risiedono nel paese, 54,8% considerando anche gli italiani residenti all’estero). Tutti i quesiti (due sulla privatizzazione dell’acqua, uno sulle centrali nucleari, l’ultimo sul legittimo impedimen- to) vengono approvati da circa il 95% dei votanti nonostan- te la contrarietà del governo. Il quorum si raggiunge in tutte le regioni del paese (anche in quelle, come la Calabria, tradi- zionalmente più astensioniste). A votare vanno dai 10 ai 12 milioni di elettori del centrodestra; il Veneto, regione con una massiccia presenza leghista e con un Presidente della Lega votato a furor di popolo un anno prima, fa rilevare una partecipazione superiore alla media del Paese. Non si tratta solo di un cambiamento negli orientamenti eletto- rali degli italiani, quanto di una radicale trasformazione del sen- timento del paese: si conclama la caduta della credibilità di Ber- lusconi (è appena il caso di ricordare l’analogia con l’invito ad andare al mare di Craxi nel 1991, esattamente vent’anni prima), emerge una stanchezza diffusa per le promesse non mantenute, si cercano concretezza, capacità di fare. La campagna referendaria (in particolare in relazione ai due quesiti sull’acqua) è dominata da un’idea forse ingenua ma largamente condivisa, della predominanza del bene comune. Seguendo la campagna in rete si trova molta ideologia e poco pragmatismo, molte emozioni e poche analisi. Tuttavia sem- bra nascere un nuovo vocabolario. Diamanti lo certifica nel- l’indagine sul lessico degli italiani condotta per l’osservatorio Demos Coop a luglio. Le parole di successo sono, tra le altre, bene comune, merito, unità nazionale, solidarietà, giovani. Ma anche, a sorpresa, decrescita. Le parole impopolari sono, tra le altre, federalismo, individualismo, apparire, Ma anche, forse meno a sorpresa, stato e (ci sorprendiamo?) matrimonio gay. Le parole fuori dal gioco sono Padania, veline, Berlusco- ni e, c’era da aspettarselo, partiti. Al di là dell’evidente effetto di desiderabilità sociale che forse amplifica l’adesione ad alcune parole (è difficile dire che non ci importa nulla del bene comune), la lettura di questi dati è 18
  • 20. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 19 piuttosto articolata: certo sembra finito un paradigma con la crescita di termini anti individualistici e con l’idea-cardine che il modello di sviluppo è messo in dubbio da molti aspetti con- vergenti (crisi ambientale innanzitutto, forse anche parziale revisione dei modelli di consumo, convinzione che la crescita continua non sia più compatibile con una condizione di vita accettabile, la situazione dei centri urbani assaliti dalla conge- stione del traffico e dai loro effetti nefasti innanzitutto sulla qualità dell’aria). Ma per esempio è evidente il conflitto tra unità nazionale (bene) e stato (male). O dietro c’è una sofisti- cata analisi sulla crisi degli stati nazione e sulla necessità comunque di un amalgama sovranazionale (Europa) che tenga conto delle caratterizzazioni dei singoli popoli oppure c’è un riflesso atavico che vede lo stato come, ad andar bene, altro da sé, ad andar male, un nemico. L’iniziale lettura, un po’ enfatica, che vedeva nascere anche in Italia una sorta di primavera araba, forse va un po’ smorzata. Il responso delle urne amministrative e referendarie è chiaro, gli sviluppi possibili molto meno. Anche perché (e qui sta la brevità della fiammata) la spinta prodotta in primo luogo dalla mobilitazione referendaria non trova sponde: tra maggio e giugno si contrae (non di molto, ma comunque in misura sensibile) la quota di incerti e asten- sionisti che premia, nei sondaggi, in particolare il PD e in generale la sinistra e il centrosinistra. Ma è un’apertura di cre- dito che rientra velocemente: il PD si schiererà contro l’aboli- zione delle province e scoppierà lo scandalo delle tangenti di Sesto che coinvolge Filippo Penati, esponente di primo piano del partito e per un certo periodo braccio destro del segreta- rio Bersani. Non è solo il PD: nel PDL il coinvolgimento nel malaffare è anche più consistente. L’area “grigia” cresce immediatamente e torna a livelli elevatissimi. La fine di un paradigma Berlusconi finisce, nel sentimento popolare, con una lunga agonia, come abbiamo visto, che si protrarrà sino all’autunno inoltrato, con il rischio concreto di un default del paese. Emer- gono, con la campagna amministrativa, nuove leadership distantissime dall’approccio berlusconiano (Pisapia a Milano ne è l’esempio, mitezza, dialogo, ascolto). 19
  • 21. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 20 Ma muore il berlusconismo? Viene sostituito da un nuovo paradigma? Esiste un uomo, un movimento, una forza che raccoglie la fiaccola spenta ed è in grado di riaccenderla? Sembra proprio di no. Berlusconi finisce, il berlusconismo un po’ meno. Gli italiani ne sono persuasi. Da un lato ritengono che l’epo- ca di Berlusconi sia finita per quanto egli resista aggrappato al governo. Ma sono anche convinti che non esista una vera alternativa politica (e sociale) al cavaliere e pensano che i valo- ri e il clima culturale prevalente nel paese rimangano quelli berlusconiani. D’altronde non è proprio tutto da buttar via quello che viene dal berlusconismo (posto che è stato Berlusconi in qualche modo a produrre o almeno spingere il profondo cambiamen- to del sistema politico italiano). Piace moltissimo (e ce la vogliamo tenere) la semplificazione del messaggio politico. Nella prima repubblica si capiva poco, anche se il sistema dei partiti esercitava una pedagogia di massa che rendeva meno arduo e più digeribile il lessico poli- tico. Il crollo dei grandi partiti lascia il vuoto e accentua il solco tra il linguaggio comune e le astrusità del linguaggio politico. La modernizzazione mancata della seconda metà degli anni Settanta rende il distacco sempre più evidente, sino alla rot- tura degli anni ’80 (il riflusso). Adesso che abbiamo comincia- to a capirci qualcosa non vorremmo smettere. Piace il bipolarismo, anche se ben temperato: se fino a meno di un anno fa rimaneva prevalente l’idea di una semplificazio- ne estrema (due partiti e basta) oggi tendiamo ad attenuare questo atteggiamento e comincia ad emergere l’idea del tri- polarismo che conquista più di un quinto degli italiani. Ma alla fine metà dei nostri concittadini rimane saldamente bipo- larista quando non bipartitista. Piace ancora molto l’idea di stare di qua o di là. Piace l’idea della rivoluzione liberale, tanto cavalcata e mai agita. Anche qui bisogna prestare attenzione: spesso la rivo- luzione liberale è pensata per gli altri e non per sé. Scatta, non infrequentemente, la difesa dei propri privilegi. E’ la sindrome Nimby. Forse a un certo punto si era sperato di uscire dalla società bloccata, centrata su articolati corporativismi. Nono- stante il fatto che questo atteggiamento sembri essere atavi- co e profondamente radicato nella nostra società (la solita Ita- lia senza stato, senza ethos “repubblicano”), ci si contava 20
  • 22. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 21 almeno un po’. In realtà sia la destra che la sinistra, pur da diversi angoli visuali, hanno contribuito a mantenere privilegi radicati. La destra guardando agli interessi di pezzi di società che ne hanno garantito l’egemonia (perché liberalizzare signi- ficava anche e forse soprattutto mettere mano agli ordini pro- fessionali, ai grovigli delle partecipazioni incrociate, alla rottu- ra delle corporazioni), la sinistra ancorata alla difesa del posto di lavoro che limita lo sguardo a quelli che si sono cominciati a chiamare i garantiti senza leggere le profonde trasformazio- ni del mercato del lavoro e degli interessi di “classe”. Risulta- to la pratica scomparsa di quel minimo di ascensore sociale emerso durante e dopo il boom. Ma piace anche il ruolo della televisione: veicolo principale (per fortuna sempre meno unico) dell’informazione politica, luogo (in questo caso quasi unico) del dibattito virato nella forma dei talk show che continuano a riscuotere grandi suc- cessi, nonostante siano spesso (con qualche rara eccezione) luoghi di litigio e scarso se non nullo approfondimento vero. Si butterebbero invece volentieri i tormentoni del passato che non passa: l’anticomunismo ma anche il suo corrispettivo spe- culare, l’antiberlusconismo. Lo stallo della seconda repubblica (che a molti pare una prosecuzione della prima) è oramai evi- dente a tutti e nella seconda repubblica si sono portati pezzi (molti) della vecchia tra cui appunto l’anticomunismo (a comunisti morti) e la risposta antiberlusconiana (in cui il Cava- liere appare non infrequentemente come prodotto del mali- gno). Anziché far vincere il pesante e oscuro proceduralismo che richiede faticosi accordi basati su un principio cooperati- vo, prevale la logica amico-nemico, come se vivessimo peren- nemente in uno schmittiano “stato di eccezione”. Con la conseguenza da un lato di mirare a scrollarsi di dosso tutta la farraginosità delle procedure democratiche, che, dice il Cava- liere, mi impediscono di lavorare, dall’altro di difendere que- ste procedure senza critica, senza la necessaria ricerca di un adeguamento al mondo che cambia. Si ragiona in termini di blocchi contrapposti e tutto rimane fermo. E si critica anche l’eccesso di leaderismo, di personalizzazione. Questo è più strano, bisogna interpretarlo. In realtà il leader che incarna valori e passioni piace agli italiani. La competizio- ne più gradita è quella dei sindaci, la legge elettorale che è maggiormente piaciuta. Consente di scegliere persone sgra- vando molti dal fastidioso obbligo di esprimere un voto per i partiti, di optare per programmi incarnati e visibili, di investi- re su una persona che si pensa dotata di poteri reali cui si 21
  • 23. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 22 potrà chiedere conto di ciò che ha fatto. Le perplessità sulla personalizzazione sono critiche agli eccessi e forse una reazio- ne di noia alla presenza sul proscenio di uomini che sono sem- pre gli stessi. In sostanza sembra che non ci sia un nuovo paradigma che nasce. Qualche vagito si trova, ma nessuno che ne prenda la fiaccola. La fine dell’individualismo in salsa italiana (con molte venature neocorporative e senza liberalismo in azione) lascia in eredità spettatori perplessi, senza sbocchi. Le ultime convulsioni: tra democrazia e mercati Quella che per lungo tempo era sembrata un’endiadi si tra- sforma in un ossimoro. La crisi finanziaria (non la prima, ma sicuramente la più grave del dopoguerra) si conclama nel pieno dell’estate e rende evidente la difficoltà nel conciliare i due termini. Il fenomeno è decisamente pesante: se fino ad ora le crisi finanziarie, sempre più importanti e sempre più vicine nel tempo, sono state normalmente liquidate come “bolle” (dalla new economy all’immobiliare dei subprime) anche quando hanno ripercussioni gravi sull’economia mondiale, l’ultima crisi si qualifica per essere una difficoltà profonda dei debiti sovrani e per attacchi concentrici ad un sistema (l’Europa e l’Euro). E’ la stessa democrazia sovrana che viene palesemente messa in discussione. La finanziarizzazione dell’economia globale mette in scena la sua rappresentazione più devastante. Non è una novità, ma l’intensità e le forme che assume rendono evi- denti a tutti i rischi enormi che si stanno correndo. Le profonde critiche al mercato finanziario non vengono solo da aree tradizionalmente antagoniste: il Sole 24 ore ospita spesso, in particolare nel proprio supplemento domenicale, interventi, tra gli altri, di Guido Rossi, profondamente sfavo- revoli all’evolversi della situazione. Le sue tesi erano già espresse in un volume del 2008 (“Il mercato d’azzardo” Adel- phi). Il mercato finanziario globalizzato va divorando i suoi stessi presupposti, calpestando giorno dopo giorno i principi della democrazia azionaria, dell'interesse sociale, della crea- 22
  • 24. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 23 zione di valore sostiene Rossi, con una messa in mora della politica. Questo tanto più in Italia dove la pratica del control- lo minoritario è diffusissima. Sempre a parere di Rossi la finanziarizzazione esasperata, la deregulation post roosveltiana stanno mettendo in discussio- ne l’eguaglianza che è il fondamento principale del diritto di cittadinanza. La politica occidentale balbetta e mostra un’estrema debolez- za. Obama rischia di portare il paese al default, l’Europa bar- colla e il duumvirato Merkel/Sarkozy non riesce ad esprimere una direzione forte all’Unione. Zapatero annuncia le proprie dimissioni per ridare fiato ai mercati. Papandreou cerca di resi- stere proponendo un referendum ma viene commissariato. In questo caso è evidente come la democrazia di un intero paese sia messa in mora dalla crisi. Ma la finanza ha in alcuni casi trovato una sponda nella poli- tica: non dobbiamo dimenticare che la crisi finanziaria sembra colpire soprattutto gli Stati che – come moderni “apprendisti stregoni” della finanza globale – hanno creduto di poter lucrare facilmente consenso politico con la “leva finanziaria”: vale per la Grecia, ove era diventato prassi presentare bilanci falsificati; vale per l’Italia, ove anni di tassi bassi non hanno condotto ad una riduzione del debito, ma si è utilizzato tale “dividendo” implicito per sostenere inefficienze via via meno sostenibili (per essere chiari: l’Italia dell’Euro ha pagato molto meno interessi sul proprio debito, tali soldi in più sono stati puntualmente spesi in attività aggiuntive, senza utilizzarli per ridurre lo stock di debito: in tal modo abbiamo affrontato il naufragio senza la scialuppa di una possibile politica fiscale espansiva), vale per Spagna e Portogallo che hanno forzato la crescita della propria economia su una bolla speculativa nella quale molto spazio è stato dato alla leva finanziaria (in “debi- to” appunto). Se la politica si affida alla finanza, poi ne viene condizionata: il ciclo politico è più lento e prevedibile dei mer- cati finanziari, e quindi questi fatalmente lo condizionano. L’intera Europa sembra essere nelle mani della Banca Centra- le, che cerca di resistere ai colpi della speculazione finanziaria. Si rende evidente che l’assenza di una risposta politica mette a rischio la tenuta stessa dell’Unione Europea. L’Italia è al centro della tempesta. Il suo fallimento mettereb- be a repentaglio l’Europa e la sua moneta. Il governo non 23
  • 25. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 24 sembra all’altezza della situazione. Si susseguono ipotesi di manovra che vengono smentite o modificate il giorno dopo, si discute di ripresa e di rigore dei conti senza una soluzione condivisa, le diversità di visione fra Tremonti e il resto del governo e della maggioranza si fanno evidenti sino a diventa- re laceranti. Ai primi di agosto la BCE manderà una lettera segreta per indicare al governo italiano le misure da prendere, nel detta- glio. Il commissariamento diventa evidente, il governo sembra privo di autorità oltre che di direzione. Il nocchiero della nave in gran tempesta Se da un lato dall’Europa arriva il commissariamento, quasi mortificante quando si annuncia la visita di un’ampia delega- zione munita di esteso questionario da somministrare ai mem- bri del governo, dall’altro al palese arenarsi del governo rispon- de con un ruolo di supplenza il Presidente della Repubblica. Da tempo il Presidente è divenuto una presenza molto rile- vante nella vita politica quotidiana. E’ vero che non si tratta della prima volta. Dalla crisi del sistema dei partiti i Presidenti hanno avuto un ruolo sempre più rilevante e “interventista”. Tuttavia il Presidente Napolitano va sempre più assumendo un ruolo di rappresentanza politica diretta. In primo luogo all’estero, dove il discredito del Paese assume dimensioni imbarazzanti (per arrivare alla fine alla famosa risatina di scherno di Merkel e Sarkozy richiesti, ad un vertice europeo, di dire se Berlusconi li avesse rassicurati), la Presidenza della Repubblica diviene interlocutore dei principali leader. Ma anche all’interno sempre più il Presidente Napolitano fa da pungolo per Governo e Parlamento che spesso richiama all’ordine su contenuti e tempi. Gli italiani guardano al Presidente come all’unico punto di rife- rimento e all’unica persona in cui possano confidare. Se fino all’anno scorso era l’uomo dei richiami ai valori e ai principi, oggi diventa il garante solitario di una politica traballante. La fiducia nel Presidente non solo rimane intatta, ma cresce al diminuire della presenza fattiva della politica. 24
  • 26. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 25 Le preoccupazioni che esprime, i richiami che manda, gli obiettivi che propone sono compresi e condivisi da tutti o quasi. Tuttavia il Presidente coglie con nettezza e preoccupazione una situazione di assenza della politica cui deve essere posto rimedio e lo sottolinea con la consueta chiarezza. In una delle tante occasioni in cui viene accolto trionfalmente nel corso dei suoi viaggi per il paese dice: “Queste manifestazioni d’af- fetto mi rendono felice, ma m’inquietano, perché i punti di riferimento istituzionale dovrebbero essere molti”. Cogliendo esattamente il punto: il vuoto istituzionale è un problema e un rischio per il paese. Mario & Mario: ottimati al potere Il paese balla sull’orlo dell’abisso: la situazione italiana, a un passo dal default, con rendimenti dei titoli di stato che rischia- no di rendere impraticabile la possibilità di un rientro dal debi- to e un governo che non riesce a rispondere, varando e smen- tendo manovre, tutte prevalentemente caratterizzate dal rin- vio e sonoramente bocciate dai mercati, rende necessario un intervento straordinario che il Presidente esercita con determi- natezza e forza. Prima dell’incarico a Mario Monti, diventa operativa la nomi- na di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea e dello stes- so Monti come senatore a vita. I due fenomeni fanno appari- re l’Italia in ripresa, quanto meno in termini di credibilità e ascolto a livello europeo e internazionale. Da paese messo all’angolo, torniamo ad essere, forse, un paese che ha un minimo di voce in capitolo. L’investitura Mario Monti fa tirare agli italiani un avvertibile sospiro di sollievo. Prima ancora che sia formalmente defini- to, l’ipotetico governo Monti gode di un sostegno altissimo. Dalla fine di agosto, quando abbiamo ripreso i nostri sondag- gi continuativi sul clima del paese dopo la pausa estiva, tutti gli indicatori erano in crollo verticale: qualità della vita, aspet- tative economiche, fiducia nelle istituzioni facevano emerge- re un paese terrorizzato, sfiduciato, pervaso dall’idea che non ce l’avremmo fatta. 25
  • 27. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 26 Una soluzione non politica viene considerata il toccasana, vista l’incapacità di un ceto politico sempre meno rappresen- tativo. D’altronde, nel tempo recente, sono sempre stati i “tecnici” a risolvere le situazioni di difficoltà del paese. Il governo Monti sembra il più tecnico tra i governi che il paese ha avuto. Le nomine sono fatte soprattutto tra esperti (qualcuno dice che più che un Consiglio dei ministri si tratta di un Consiglio di facoltà). Il paese reagisce bene, convinto com’è di essere all’ultima spiaggia. Gli indicatori risalgono, il rischio Grecia, paventato da quasi tre quarti degli italiani ad ottobre, sembra farsi più lontano. La politica, nell’angolo, non può che approvare. Il nuovo governo nasce con una maggioranza parlamentare larghissi- ma, all’opposizione nella sostanza solo la Lega. Tuttavia i mal di pancia sono numerosi: nel centrodestra la cri- tica spesso si accentra sulla legittimità stessa del governo. Si valuta l’incarico come una sospensione della democrazia e questo tema non è secondario. Se formalmente la procedura non è discutibile e i passaggi non rappresentano una messa in discussione delle forme, nella sostanza si tratta di una messa in mora della rappresentanza. E’ tuttavia, come già detto, il prodotto di una débacle, quella della politica. Solo una piccola parte dei cittadini concorda con la tesi della sospensione della democrazia. Ancora, le critiche si incentrano sull’estrazione del governo, espressione delle banche (uno dei ministri di peso è Corrado Passera, ex ad di Banca Intesa) e della Chiesa (ben tre ministri, Riccardi, Ornaghi e lo stesso Passera erano stati relatori al recente convegno di Todi, che ha riunito le principali associa- zioni cattoliche del paese sull’onda dell’intervento del cardi- nale Bagnasco). Nel centrosinistra i malesseri si appuntano di più su un certo sentore liberista del governo, in maniera evidente per Vendo- la e Di Pietro, ma non irrilevante nello stesso PD, almeno per bocca del responsabile economico Fassina. La manovra presentata dal governo è pesante e dolorosa, centrata principalmente sulle entrate, con poco spazio per la riduzione delle spese e soprattutto indirizzata prevalentemen- te al lavoro dipendente e alle pensioni. 26
  • 28. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 27 La reazione del paese è straordinaria: della manovra piace pochissimo. L’aumento dell’Iva (82% sono critici sul provvedi- mento), l’ICI (criticata dal 68%), gli interventi sulle pensioni (69% contrari) non piacciono a nessuno o quasi. Nel comples- so si valuta la manovra come iniqua (lo pensa quasi il 70% degli italiani). Tuttavia, contestualmente, il governo mantiene una valutazione elevatissima (oltre il 60% di consensi) e lo stesso avviene per il premier (oltre due terzi degli italiani ha fiducia in Mario Monti). Inoltre un segnale arriva anche sul fronte economico: le aste di collocamento di fine anno dei Titoli di Stato nazionali, cui sono ricorsi numerosi italiani, pre- sentano rendimenti inferiori a quelli contemporaneamente presenti sul mercato libero, ove la presenza di investitori Ita- liani è ininfluente. C’è la convinzione (che sembra molto meno presente tra i politici) della necessità di ingoiare la pillola per superare l’emergenza. E’ però fuori dubbio che questo consenso da ultima spiaggia non potrà durare molto. Nel brevissimo è vincolato ad alcune condizioni ed in particolare alla capacità di ridurre lo spread mettendo in sicurezza i titoli pubblici e ridando fiato alle borse. Nel medio è collegato alla capacità di produrre equità e crescita. Neoguelfi in una società autodiretta Nell’ultimo scorcio dell’anno la Chiesa riprende un suo ruolo politico. La messa in mora del berlusconismo la chiama in causa direttamente. Da tempo la base dei fedeli è critica quando non disgustata: i comportamenti privati del premier prima e poi la manifesta difficoltà di fare ne rendono eviden- te il confliggere con la rete diffusa sul territorio. Il mondo delle parrocchie, cui danno voce i giornali diocesa- ni, esprime disapprovazione con analisi sempre più cogenti e pesanti. Non è più solo Famiglia Cristiana col suo direttore spesso criticato per le sue posizioni fuori dal coro. La questione sembra complessa e rilevante. Potremmo sem- plificarla così. Due grandi ideologie sono in crisi: la socialde- mocratica da tempo, da quando almeno la sua creatura, lo 27
  • 29. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 28 stato sociale, sembra non essere più in grado di sostenersi né di redistribuire in maniera soddisfacente una ricchezza che si riduce sempre più. La risposta liberista mostra la corda: dise- guaglianze sociali enormi, impoverimento complessivo, spa- ventoso vuoto del sociale e abbandono dell’individuo al sé, evidenziano la sua incapacità di rispondere ad un nuovo mondo globale che pure essa ha contribuito a creare, con la speranza di divenirne l’espressione unica (il pensiero unico). L’unica risposta possibile, nel silenzio della socialdemocrazia e nell’arretrare dei liberisti sconfitti, sembra l’economia sociale di mercato. Qualcuno mette insieme, con estrema proprietà, Marx e Leone XIII. E rispolvera, in un momento critico per l’Europa, in cui uno dei grandi stati, la Gran Bretagna si allon- tana dal Continente per continuare a rivolgersi ad un impro- babile asse con gli Stati Uniti, il modello “renano” fondato sulla Gemeinschaft, sulla comunità come collante centrale, contrapposto al modello anglosassone, individualista, dipen- dente dalla finanza. Le aziende in questo modello sono “prede” orientate esclusivamente al profitto. Nel modello renano l’azienda si qualifica, citiamo ancora Berselli da “L’economia giusta”, “come community, non soltanto come commodity, come comunità vitale non soltanto come merce scambiabile sul mercato”.2 Il cardinale Bagnasco ripropone queste linee con una forte accentuazione “politica”, contribuendo ad un appuntamento dei movimenti cattolici a Todi da cui emerge una forte spinta interventista, l’idea non di un’inattuale riedizione della Demo- crazia Cristiana quanto di una struttura intermedia, una sorta di movimento organizzato in grado di parlare verso l’alto alle classi dirigenti politico-economiche del paese e verso il basso ad un “popolo” sempre meno rappresentato. Il dibattito era avviato da tempo, ma la crisi del berlusconismo ne accelera i tempi. Tra i tanti interventi vale la pena ricorda- re quello di Lorenzo Ornaghi, ex rettore della Cattolica di Milano e attualmente ministro dei Beni Culturali del governo Monti, che alla fine del 2010 lanciava una sorta di manifesto neoguelfo. Rivendicando ai cattolici un primato: “Rispetto ad altre […] ‘identità’ culturali […] disponiamo di idee più appro- priate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo anco- ra dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati. […] Essere ‘guelfi’ implica la consapevolezza che la nostra 2 Edmondo Berselli posizione di vantaggio va di giorno in giorno consolidata. “L’economia giusta” Consolidandola, saremo già pronti per quelle nuove ‘opere’ Einaudi 2010 che – soprattutto per ciò che riguarda la rilevanza e la capa- 28
  • 30. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 29 cità attrattiva della nostra partecipazione alla vita politica del presente – il futuro prossimo già ci domanda” (Lorenzo Orna- ghi “Sul presente e il futuro dell’Italia” intervento al X Forum del Progetto Culturale dedicato al tema “Nei 150 anni del- l’Unità d’Italia. Tradizione e progetto” – corsivo nostro). Gli italiani ascoltano con interesse: l’intervento del cardinale Bagnasco, seguito con attenzione da più di un quarto dei cit- tadini e conosciuto almeno a grandi linee dal 50%, riscuote un diffuso apprezzamento, in particolare nelle sue parti tese a richiamare la politica al suo ruolo di sobrietà e capacità di rappresentanza. E’, come abbiamo più volte detto, un paese che aspetta voci ragionevoli ed è disposto ad ascoltarle, da qualunque parte provengano. Ma tutte le voci, compreso quelle provenienti dalla cattedra di Pietro, vanno filtrate dalla coscienza individuale. Lo dicono con nettezza tutti gli italiani, compresi i cattolici praticanti ed impegnati nell’attività volontaria nelle parrocchie. La Chiesa, come le altre istituzioni del Paese, non è automaticamente investita di un’autorità tale da rendere le sue parole non discutibili, anzi. La perdita di fiducia nella Chiesa (pur soste- nuta ancora da circa 60% dei cittadini), determinata negli ultimi anni principalmente dall’emergere del fenomeno della pedofilia, non si riprende. Anzi, scende ancora negli ultimi mesi dell’anno, anche in relazione alla polemica sull'esenzio- ne dal pagamento dell’ICI. L’archetipo comunitario su cui tutta l’analisi cattolica si fonda è quantomeno da ricostruire e da riconfermare giorno per giorno. Il modello sembra essere più che non quello della soli- da Gemeinschaft, la comunità basata sulle relazioni personali stabili, piuttosto quello delle comunità virtuali che vediamo crescere in rete, basate su relazioni liquide, la cui durata non è determinabile in un continuo comporsi e scomporsi. E in questo quadro sembra in discussione anche il principio di non negoziabilità dei valori e del fondamento di verità che sottostà alle posizioni ufficiali della Chiesa. In un contesto in cui si chiede alla Chiesa di ridurre i propri interventi morali e dove su alcuni dei principi cardine (quali ad esempio il tema del fine vita, della contraccezione, dell’abor- to e più in generale, e soprattutto, della morale sessuale) le opinioni degli italiani – e anche di una parte rilevante dei pra- 29
  • 31. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 30 ticanti – sono molto distanti dalle posizioni della Chiesa. Infine i cattolici non appaiono come un monolito, anzi le divi- sioni che percorrono la politica sembrano anche riflettersi sul mondo cattolico. Gli italiani sono convinti che difficilmente si troveranno punti di accordo, tra i politici e tra le diverse asso- ciazioni cattoliche, soprattutto per quei temi che rappresenta- no in generale faglie importanti di frattura nella società e nella politica: le politiche economiche, i temi etici, le politiche fiscali. In sostanza nella società del disincanto dove il luogo della scelta è in interiore homine, nella propria coscienza che pre- tende di non essere eterodiretta, i punti di ricucitura dovran- no necessariamente essere centrati sul terreno della politica, delle politiche sociali, della redistribuzione, della produzione oltre che della riproduzione. Scommessa che i cattolici condividono con il resto della società. Per dirla con Touraine, di fronte alla fine del sociale così come l’abbiamo conosciuto nella modernità preglobale, forse l’irru- zione dei soggetti non è solo degrado ma possibile ricostru- zione dei (faticosi) paradigmi fondativi. Tutti a casa: la democrazia a disagio L’ondata antipolitica non è solo, lo abbiamo detto, recrude- scenza forcaiola e populistica. Stiamo in un passaggio stretto e complesso in cui si conclama la difficoltà di funzionamento del sistema democratico a fronte di una società talmente cambiata da essere irriconoscibile. Si avverte un disagio profondo proprio per le risposte che mancano: in una realtà che dà luogo a sempre più dramma- tiche diseguaglianze sembra perdersi la ragion d’essere stessa del sistema democratico che dovrebbe invece produrre inclu- sione, benessere diffuso, crescita della cittadinanza. Anche perché, se la democrazia è dialettica delle parti, sono le parti ad essere cambiate. Come dice Galli: “La democrazia oggi non soffre tanto della sua storica difficoltà a fare unità a partire dall’indipendenza 30
  • 32. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 31 delle parti; soffre semmai della scomparsa delle parti che, interconnesse, la costituiscono: Stato, soggetto, partiti, popo- lo – mentre la scena è dominata da un capitale profondamen- te trasformato e fuori controllo. […] La crisi nella democrazia è diventata, o sta diventando, crisi della democrazia.”3 La reazione dei cittadini è di insofferenza per questa situazio- ne, aggravata certo dallo storico malfunzionamento del pub- blico e della politica nel nostro paese. La colpa è della casta. La polemica sui costi della politica è enorme e oramai storica. Anche se poi, guardando bene, si scopre che tutto sommato i costi dei parlamentari italiani non sono molto diversi da quelli di molti dei principali stati europei. Tuttavia si è davvero convinti che intervenire sulla politica con- tribuisca a migliorare le finanze pubbliche. Richiesti di indica- re il provvedimento prioritario per affrontare la crisi, doman- da fatta nell’autunno inoltrato, oltre 60% degli italiani mette al primo posto la riduzione dei parlamentari. E fin qui non c’è da stupirsi. Ma poco meno della metà (47% per la precisione) è anche convinto che questo sarebbe l’intervento più vantag- gioso per le finanze statali, addirittura più efficace di una patrimoniale. Ci si scaglia contro il pubblico accusandolo di avere un eccesso di dipendenti, scoprendo poi che tutto sommato l’incidenza dei dipendenti pubblici italiani è inferiore alla media europea. Il disagio, quando non il disprezzo o addirittura la rabbia – stanno tornando gli insulti ai politici per strada come ai tempi di tangentopoli – sono probabilmente eccessivi, ma testimo- niano della incapacità della politica nel far fronte ai cambia- menti e alle nuove richieste. D’altronde siamo al punto più basso della fiducia nei partiti (12%), un punto mai raggiunto neanche negli anni di Tangentopoli. Il coro, unanime o quasi, è “tutti a casa”. Il ricambio totale e senza sconti della classe politica attuale del paese, la palinge- nesi rigeneratrice, è richiesta non solo dai disgustati ma dagli stessi elettori per i propri partiti. Sono soprattutto gli elettori del centrosinistra che chiedono a gran voce un cambiamento radicale, ma anche nel centrodestra l’attesa è di un profondo rinnovamento. 3 Carlo Galli “Il disagio L’inadeguatezza della politica è evidente e non solo in Italia. Il della democrazia” Einau- tema è quello di avere una classe dirigente aggiornata, con di 2011 31
  • 33. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 32 una cultura globale, con letture adeguate, con analisi che tra- valicano i confini nazionali, con relazioni vaste. Questo manca. Il costo vero della politica, come qualcuno ha correttamente sottolineato non è tanto il peso economico della casta, quanto la sua incapacità di decidere per il bene del paese. Torna l’urgenza di avere degli statisti, delle perso- ne che, secondo la celebre definizione degasperiana, siano capaci di guardare alle prossime generazioni, non alle prossi- me elezioni. Il ceto politico italiano, a partire dalla seconda Repubblica, pare non essere capace di adeguarsi a queste necessità, e oggi sembra aver raggiunto uno dei livelli più bassi mai visti. La cultura politica rimane spesso ancorata al passato, ancora incistata nel novecento, inadeguata. La richiesta quindi di mandarli tutti a casa ha in qualche modo un suo fondamento: abbiamo bisogno di adeguarci alle nuove sfide. Non secondario, in questo, il comportamento di non pochi rappresentanti della classe politica. Con l’arrivo del nuovo governo fa notizia il premier che si mette in coda al check-in, che si porta (da solo!) il trolley alla stazione Termini, che si paga l’ingresso alla mostra. La sobria normalità sembra un’ec- cezione. Senza partiti: l’implosione del sistema E’ nel sostanziale vuoto politico-istituzionale prima descritto che si apre una fase nuova per il paese, in cui la bussola sem- bra assente. I partiti hanno alzato le braccia, incapaci di far fronte agli eventi, consegnandosi nella mani dei tecnici. Apparentemen- te una situazione transitoria. Si fa la manovra, si prendono i provvedimenti necessari, poi tutto torna come prima. In realtà tutto dovrà, necessariamente, cambiare. Perché sicu- ramente da questa situazione non si uscirà come prima alme- no sul lato della spesa pubblica, che è stata il volano principa- 32
  • 34. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 33 le della politica per lunghi anni. Le risorse saranno minori, la redistribuzione del reddito dovrà trovare nuovi canali. Si dovranno individuare nuovi destinatari della ridotta possibi- lità di spesa ridisegnando il sistema di welfare e la rete degli ammortizzatori sociali. Per far funzionare il paese bisognerà spostare risorse dal modello del male breadwinner (sostenuto in misura rilevante dalla spesa pensionistica) ai giovani e alle donne, sostenendo percorsi di vita, garantendo redditi di cit- tadinanza, esplorando l’ottimizzazione dei servizi in una più efficiente e più stretta relazione pubblico/privato. La drastica riforma delle pensioni scardina modelli di vita, reti di relazione e sostegno. Andremo verso un mondo in cui la rete della solidarietà familiare si farà più leggera. Siamo di fronte ad un processo in cui stanno cambiando (e lo vedremo) stili di consumo e di vita, e non solo per imposizio- ne della crisi. E’ in parte un’interiorizzazione della decrescita, che comporta modelli di consumo più virtuosi, più sostenibili, più compatibili con la scarsità di risorse. La politica dovrà rap- portarsi a questo nuovo clima, alle mutate condizioni di vita. La competitività delle imprese, se il trasferimento di ricchezza dall’Occidente ai paesi emergenti manterrà i ritmi che abbia- mo visto negli ultimi anni, dovrà sempre più essere giocato su innovazione, crescita della produttività (riducendo il costo del lavoro per unità di prodotto che nel nostro paese rimane uno dei problemi principali), specializzazione. Di nuovo ridisegnan- do il ruolo della formazione, della scuola, dei centri di ricerca. A meno che non si voglia progressivamente diventare i forni- tori di manodopera a basso costo per il mondo avanzato. Non si vede quale partito, nella sua struttura attuale, sia in grado di raccogliere una sfida simile. Sia nel centrosinistra che nel centrodestra convergono cultu- re, visioni, interessi che faticano a ricomporsi. Quello che sembra mancare è un’etica repubblicana, cioè un sentimento condiviso delle responsabilità collettive. E’ il ruolo della borghesia (“la proprietà obbliga”), ma la borghesia è stata in Italia poca cosa, così come le élites che pure hanno “fatto” il paese, dal Risorgimento in poi. La scomposizione e ricomposizione dei partiti non è solo una necessità auspicabile, ma sembra essere nei fatti: si scompon- 33
  • 35. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 34 gono e ricompongono interessi e campi di forza. Certo, molto dipenderà dalla durata del governo Monti. Se cadrà a breve, è probabile che si vada al voto a scenari sostan- zialmente invariati (ma il rischio è ricominciare l’agonia con un ceto politico che non si è riaccreditato nel paese). Se durerà sino alla scadenza della legislatura, la ricomposizione divente- rà necessaria. 34
  • 36. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 35 La crisi, l’economia, il mercato
  • 37. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 36 Uno sguardo ai fondamentali Lo scenario 2011 conferma con forza le tendenze degli ultimi anni. Un progressivo spostamento della ricchezza (del peso economico certo, ma anche e progressivamente del ruolo politico) dai paesi dell’occidente sviluppato ai paesi emergen- ti. Bric(s) diventa un termine familiare ad una massa sempre più vasta di italiani. E non sarà l’unica acquisizione nel dizio- nario dell’economia che gli italiani faranno: spread e bund fino a poco fa termini oscuri e arcani, entrano nelle chiacchie- re da bar, nelle discussioni delle famiglie. L’andamento dell’economia globale è a due velocità, come mostra il grafico seguente (con le stime 2011 desunte dalle previsioni del Fondo Monetario Internazionale) Grafico 2 Prodotto interno lordo: confronto serie stori- ca economie avanzate e paesi emergenti (variazioni %; previsioni Fondo Monetario Internazionale per il 2011) Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati FMI per Ancc-Coop La situazione si presenta ancora nettamente critica per le eco- nomie dei paesi avanzati; se la recessione del 2008/2009 (in testa ai cittadini rimangono le immagini dei dipendenti della Lehman Brothers che se ne vanno reggendo i loro scatoloni) ha colpito sostanzialmente tutta l’economia mondiale, la ripresa avviene con velocità nettamente differenti che fanno emergere le difficoltà delle economie più sviluppate. Si manifesta con evidenza un riassetto della distribuzione della ricchezza che penalizza l’Occidente avanzato (e in primo luogo Stati Uniti e vecchio continente). Tuttavia sembra che la politica stenti a fare propria questa situazione e a rispondere 36
  • 38. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 37 con mosse adeguate. L’esemplificazione più netta è l’este- nuante dibattito statunitense per l’innalzamento del debito, trascinato quasi sino all’ultimo momento con il rischio di por- tare il paese al default. Qualcosa di simile avviene per l’Euro- pa: l’assenza di un governo capace di intervenire sui grandi temi (certo non sostituito dal direttorio Merkozy) e una Banca Centrale con poteri non sufficienti a fronteggiare la grande crisi finanziaria. Potremmo adeguare il famoso motto della prima campagna di Bill Clinton: “It’s the politics, stupid”. Quello che manca all’Occidente è la politica. Detto per inciso, questa situazione di redistribuzione della ric- chezza sui paesi emergenti, è percepita anche dalla popola- zione: richiesti di prevedere l’andamento dell’economia nei prossimi tre anni gli italiani vedono peggiorare tutto (econo- mia personale, locale, italiana, europea), tranne l’economia mondiale. Trainata da altri, che non siamo noi. Dentro un percorso di questo genere l’Italia segna grandi dif- ficoltà. Innanzitutto nella capacità di ripresa, tema fondamen- tale nel gorgo di una crisi finanziaria di proporzioni inaudite. Grafico 3 Il Pil dei principali paesi dell’area Euro (1° trimestre 2008=100) Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati Eurostat per Ancc-Coop E di nuovo si registrano pesanti differenze territoriali, con la solita frattura Nord/Sud assai evidente: Il Sud non riprende. 37