1. OCP – G8 :: Opinion leader
Opinion leader
Michela Carella e Marco Binotto
Quasi mai l’attenzione per il G8 e per le iniziative dei manifestanti si sono
tradotte in una discussione dei temi in campo e delle soluzioni proposte. Gli
opinionisti dei quotidiani, i direttori, gli “esperti” hanno combattuto il match
dei giudizi, delle posizioni, del confronto sui temi in agenda: il giudizio sul
movimento antiG8, la posizione sulla globalizzazione, il pericolo delle manife-
stazioni.
Le posizioni dei giornali confermano ciò che era emerso durante l’analisi
dell’agenda mediale, cioè che nel primo periodo, compreso tra la metà di
maggio e la metà di giugno, compaiono ancora pochi editoriali e commenti.
Nel secondo mese, in concomitanza con gli episodi occorsi durante il vertice
di Göteborg, la situazione cambia. Nasce la necessità per le testate nazionali
di esprimere posizioni e pareri su quel movimento che inizia a diventare sem-
pre più notiziabile.
Una situazione che va a confermare i dati contenuti nella Tabella dei generi
degli articoli pubblicati. Nel periodo di pre-vertice si passa da un solo edito-
riale presente nella fase Timori, ad otto compresi in Preoccupazione fino a
toccare il primo picco numerico nella fase Allarme in cui rientrano i giorni di
Göteborg, per un totale di 21 editoriali; nelle fasi Trattativa, Intervallo e Ulti-
mi giorni si sale ancora fino a raggiungere il picco massimo, equivalente a 85
editoriali che dimostrano un trend crescente nell’attenzione giornalistica.
La minore o maggiore esposizione delle tematiche individuate come centrali
permette di analizzare le posizioni assunte dalle testate italiane in quei giorni.
E’ possibile, infatti, leggere il contenuto degli editoriali rispetto a due chiavi di
lettura: l’opinione espressa sia nei riguardi dei movimenti e sia della globaliz-
zazione. Due momenti di gioco non sempre suscettibili di una divisione netta:
spesso alle argomentazioni legate alle istanze storiche e sociali del movi-
mento di contestazione, si associano giudizio e preoccupazioni per i possibili
atti violenti.
Aspetti su cui opinionisti, direttori e commentatori saranno chiamati ad
esprimersi, mescolando i temi della protesta ai rischi concreti o prospettati di
atti di violenza, il dibattito sui “mali della globalizzazione” e la reale composi-
zione dei movimenti. Il dibattito sui contenuti della protesta non si è mai se-
1
2. OCP – G8 :: Opinion leader
parato dalla strettissima attualità. Le notizie più importanti dei giorni di mag-
gio e giugno 2001 e i fatti dei giorni caldi – subito prima del vertice e durante
lo stesso – hanno caratterizzato senza via di scampo questi confronti.
Le testate
Il contenuto degli editoriali si rivela, così, un valido strumento di supporto
d’indagine che aiuterà a delineare lo schema di gioco e la composizione delle
parti in campo.
Repubblica assume un atteggiamento duplice, sul tema “movimento” da
spettatore piuttosto che da attore coinvolto, mentre appare interessata
all’approfondimento e all’analisi del fenomeno globalizzazione. Sceglie di de-
stinare spazi, che risulteranno maggiori rispetto a quelli riservati dalle altre
testate, ad interventi esterni. Parallelamente Il Manifesto ha optato per uno
spazio maggiore da destinare all’analisi delle maggiori componenti del feno-
meno globalizzazione (tematiche, movimenti, fenomenologie) cercando di la-
sciare in secondo piano la diatriba sulla violenza, una caratteristica che diffe-
renzia questa testata dalle altre in maniera sostanziale.
Nel caso del Corriere della Sera, attraverso le posizioni assunte dai suoi
maitre à penser si delinea un atteggiamento di critica radicale al movimento,
per la sua composizione, per la sua leadership e per la vulgata ideologica di
cui sarebbe portatore.
Dalle pagine del Giornale ha preso forma un’iperbole estrema: il movi-
mento è accusato di apologia della violenza, le voci ospitate dal quotidiano
hanno costituito un coro impegnato nella ripetizione litanica di violenze e at-
tacchi. La condanna è senza incertezze o perplessità: i “teppisti di professio-
ne” (Mario Cervi) devasteranno la città.
Anche per Messaggero e Stampa sembra che non possa esserci via di
scampo, l’attacco ad oltranza verso le tesi “anti-global” diventa una costante
che si articolerà attraverso varie figure politiche e non. Spesso intransigenti,
colpite anch’esse da un clima di allarmismo contagioso, le opinioni espresse
in fondi ed editoriali si omologheranno costantemente alla tematizzione delle
pagine dedicate all’informazione. Ancora una volta, prevale la questione vio-
lenza.
Il giudizio complessivo della stampa italiana, attraverso i maggiori com-
mentatori, è inequivocabile. Gli editorialisti di punta di Giornale, Corsera,
Stampa e Messaggero hanno riservato una critica severa al movimento che si
apprestava a manifestare contro il G8. Spesso questa critica nasceva e si
configurava come analisi della sua composizione politica, come disamina colta
delle sue proposte. Il punto di attacco comune sarà in ogni caso quello delle
accuse all’«anima violenta» celata dietro ai suoi portavoce e alle sue organiz-
zazioni. Solo Il manifesto e in parte la Repubblica hanno adottato posizioni di
maggiore benevolenza se non addirittura di appoggio esplicito.
2
3. OCP – G8 :: Opinion leader
In ogni caso ripercorrendo una vecchia abitudine del pensiero occidentale,
e del linguaggio dei media le questioni complesse divengono alternative bina-
rie. Di volta in volta si cerca di operare una scelta stringente tra due posizioni
contrapposte: pro o contro, sì – no. Tutte le questioni dovranno così ruotare
su queste alternative, su questi discorsi: pro o contro il movimento, pro o
contro il G8, pro o contro la globalizzazione1
Pro NoGlobal – Contro NoGlobal2
Presentazioni negative. Il primo compito del commentatore appare quello
di definire – far conoscere al lettore – i contorni di quel “Popolo di Seattle”
allora pressoché sconosciuto. Questa particolare definizione del movimento
diventa anche occasione di giudizio.
Ad esempio il sociologo Domenico De Masi sul Messaggero 3 e Franco
Venturini4 sul Corriere sottolineano la eterogeneità del movimento antiG8. Il
primo evidenzia come il popolo di Seattle sia composto
da una variegata mousse sociale fatta di verdi e cattolici, di vetero-comunisti e di neoconservatori,
di disoccupati organizzati e di protestatari confusi, di volontari consapevoli e di facinorosi infiltrati
[…]. Tutti uniti sotto un solo marchio […]: l'antiglobalizzazione militante, che non vuole farsi omo-
5
logare senza vendere cara la propria pelle.
Venturini appare più orientato a porre l'accento sulla funzione di copertura
del movimento “no-global” "sulle frange più anarcoidi".
Salvatore Scarpino sul Giornale si spinge ancora più avanti, con un inedito
paragone storico: il “popolo di Seattle” diventa una Vandea di giacobina me-
moria. Infatti, secondo l'autore,
anche il mondo di Seattle presenta la confusione e le mescolanze proprie di ogni Vandea. Coc-
chieri e marchesi, antimodernisti di destra e di sinistra, mistici e vegetariani, contadini conservatori
e scienziati eccentrici, affamati e soggetti afflitti da malattie del benessere, tutti desiderosi di uno
6
scontro radicale.
Il ritratto viene completato da Mario Cervi (sempre sul Giornale) secondo
cui i “giovani no-global” restano semplicemente dei
1
Sono moltissimi gli autori che affrontano questa questione dai filosofi Deleuze e
Guattari (1987) al sociologo Jean Baudrillard (1976) e al semiologo Roland Barthes
(1957). Per un applicazione al sistema dei media e ai fatti recenti cfr. Canevacci,
Binotto 2000 e M. Pasquinelli, Guerre di vuoti e immaginario, Rekombinant.org,
5/11/2001.
2
Vorremmo chiarire che riprendiamo queste dicotomie solo per chiarire meglio ed
evidenziare l’uso che né è stato fatto dai commentatori delle testate analizzate e
non perché ne condividiamo l’uso.
3
Domenico De Masi, “ Un copione che si ripete puntuale” , Messaggero, 16 giugno,
p.1.
4
Franco Venturini, “ Assalto al palazzo globale” , Corsera, 16 giugno , p. 1.
5
Domenico De Masi, “ Un copione che si ripete puntuale” , Messaggero, 16 giugno,
p. 1.
6
Salvatore Scarpino, “ Strategia dell’imboscata” , Giornale, 17 giugno, p. 1.
3
4. OCP – G8 :: Opinion leader
contestatori di professione […] legioni di scalmanati che seguono con zelo il calendario dei summit
internazionali per cercare lo scontro e la visibilità mediale, privi oltretutto di idee credibili su come
7
« cambiare il mondo ».
Panebianco sul Corriere utilizza una nuova scelta binaria: “il conflitto fra i
fautori della società aperta e i fautori della società chiusa” che ha avuto tra
l’altro come espressione “il totalitarismo nazista e quello sovietico-comunista”.
In questo schema i sostenitori della società chiusa diventano adesso seguaci
del «popolo di Seattle». La rappresentazione del movimento, e dei suoi por-
tavoce, diventa quindi inequivocabile:
Non colpisce il semplicismo del pensiero di certi portavoce del movimento antiglobalizzazione (che
immaginano il mondo retto da un governo occulto delle multinazionali). Colpisce che ci siano così
tante persone adulte disposte ad assecondarli. Non vedono che, al di là delle pur legittime sensibi-
lità per i guai della parte povera del mondo, il motore politico del movimento è fatto da protezioni-
8
sti alla Bové .
Alla presentazione del movimento e dei suoi componenti si associa la rap-
presentazione delle posizioni politiche, che diventano ideali e ideologiche. Vi-
sioni del mondo completamente antagoniste di volta in volta all’Occidente, al
Capitalismo o “all’omologazione planetaria”.
Il 9 giugno sul Corriere della Sera interviene Indro Montanelli, dalla sua
quotidiana “stanza”. L’occasione è offerta dalla lettera di un attivista del mo-
vimento “no-global” che, sottolineando la coesione interna del “popolo di
Seattle”, invitava il giornalista a
smettere di giudicare dal comodo della sua imponente e milionaria poltrona e a visitare perlomeno
i siti che daranno prova del collegamento” tra le varie componenti che convivono all’ombra del
9
“popolo di Seattle”.
La risposta di Montanelli glissa sulla critica specifica allargando il discorso.
La questione diventa la solita scelta dicotomica. Pro o contro l’Occidente?
Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma [ma] l'unico sistema sociale
ed economico oggi accettabile in Occidente è quello basato sul mercato (ibid.).
Allo stesso modo, di nuovo Angelo Panebianco (Corsera) sostiene che il
«popolo di Seattle» è composto da frange della Chiesa cattolica convergenti
con posizioni “rivoluzionarie” e “reduci del comunismo” che cercano di rilan-
ciare “l’antioccidentalismo di un tempo”10.
Il direttore del Messaggero ricollega invece la contestazione dell’odierna
globalizzazione al SIM (stato imperialista delle multinazionali) dei volantini
terroristi negli anni ’70”. Marcello Veneziani che invece punta su un’obiezione
più locale e situata: la reale rappresentatività dell’intero popolo di Seattle,
paragonandone i leader ad amministratori di condominio.
7
Mario Cervi, “ I contestatori di professione” , Giornale, 23 giugno, p. 1.
8
Angelo Panebianco, “ Vantaggi globali e la società chiusa” , Corsera, 23 giugno , p.
1.
9
Indro Montanelli, dalla rubrica “ La stanza” , Corsera, 9 giugno.
10
Angelo Panebianco, “ Un avanguardia e molti reduci” , Corsera, 8 luglio, p.1.
4
5. OCP – G8 :: Opinion leader
Ancora più profonda l’azione di Biancheri. La iniziale comprensione per le
ragioni dei manifestanti, la benevolentia riconosciuta alla positività
dell’impulso democratico e libertario (“L’antiglobalizzazione è l’ultimo nato dei
moti anti-autoritari”) lascia il posto ad un improvviso cambio di tono:
Guardando però le manifestazioni di questi giorni – gay a Parigi, un milione di tifosi a Roma in un
sabba che ha il suo acme in Sabrina Ferilli – mi chiedo se il vero senso di questi raduni, e di quello
che minacciosamente si profila a Genova, non sia altro che il raduno stesso: manifestare non per
ottenere qualcosa ma per sentirsi diversi. Per mostrare quanto si possa essere diversi in questo
11
grande, piatto, anonimo mondo globalizzato.
Arrivato a questo punto il significato del pezzo subisce uno stravolgimento,
le intenzioni iniziali si trasformano in frasi di dura condanna. Le imperscruta-
bili ragioni della protesta sono svelate in un eterno, banale e umano bisogno
di differenza. “L’entusiasmo antiglobalizzazione” diverrà allora “qualcosa di
patetico”. “La repubblica degli scrittori” (Abruzzese 2001) riprende il controllo
sulle masse, sul popolo disordinato, triviale, non alfabetico di qualsiasi movi-
mento.
Rappresentazioni positive. La difesa del movimento spetta a Giuseppina
Ciuffreda che, dalle pagine del Manifesto, contrappone un’altra rappresenta-
zione dei contestatori: “un movimento planetario di milioni di persone” che
lancia campagne comuni a partire da realtà locali e trae espressione visibile
come “popolo dei controvertici”12.
La difesa di Giorgio Bocca appare meno convinta: è in realtà un attacco agli
avversari, ai rappresentanti del G8.
Abbiamo la fondata impressione che la protesta del popolo di Seattle sia, tutto sommato, il meno
peggio per il nuovo potere mondiale, ridotta com’è, o come si vorrebbe che fosse, a un problema
di ordine pubblico, di poliziotti in piazza contro teste matte. Una questione di ordine pubblico bi-
lanciato dalla nuova ondata di beneficenza impudica in cui si prodigano gli esponenti mondiali del
globalismo sfruttatore e irresponsabile, stilisti, politici esibizionisti, organizzatori di pubblici scroc-
13
chi.
Di fronte a tali potenti, anche il movimento sembrerebbe farci una bella fi-
gura.
Più esplicito il contrattacco di Curzio Maltese, per Repubblica:
le opinioni pubbliche hanno intuito che il senso della contestazione, pur con le sue mille contrad-
dittorie anime, risiede in una democratica ribellione all’idea di un supergoverno della terra che non
risponde ad alcun controllo. Non dunque una rivolta contro la globalizzazione […] ma contro un
14
preciso tipo di globalizzazione. Un modello di globalizzazione che peraltro è entrato già in crisi.
È esattamente ciò che teme Panebianco.
11
B. Biancheri, “ Le parate dei diversi” , La Stampa, 25 giugno, p. 1.
12
Giuseppina Ciuffreda, “ Il movimento dei movimenti” , Il manifesto, 19 giugno, p. 2.
13
Giorgio Bocca, “ Il male minore è la protesta” , Repubblica, 23 giugno, p.1.
14
Curzio Maltese, “ I nemici nascosti del movimento” , Repubblica, 17 luglio, p. 1.
5
6. OCP – G8 :: Opinion leader
Un’idea pericolosa si va diffondendo. È l’idea che i contestatori della cosiddetta «globalizzazione».
15
abbiano più ragioni che torti: nel criminalizzarla, nell’imputarle tutti i mali del mondo.
La posizione dei contestatori ridiventa chiara, inequivoca.
Violenza – Nonviolenza
Altro tema su cui schierarsi ed emettere giudizio è la diatriba sulla natura
violenta del movimento e sulle sue reali intenzioni bellicose.
Il Giornale grazie alla penna di Guarini16 denuncia una presunta “impunità
degli ecoteppisti”. L'editorialista non riesce a capire perché
i capi delle bande antiglobali possano impunemente, senza rischiare nemmeno un rabbuffo, an-
nunciare coram populo di volere molestare per più giorni una grande e operosa città, magari spac-
cando vetrine
Il ritratto è completo. Vi sono “i capi”, “le bande”, l’annuncio di voler spac-
care vetrine. Se questi sono i fatti l’impunità dei “No global” appare allora
evidente, quanto assurda la mancanza di sanzione penale.
In questo clima si inseriscono gli interventi di Graldi17 e Baget Bozzo18. Il
primo paragona il movimento no-global a quello del '68 e a quello degli anni
di piombo. Secondo Graldi, l'accostamento non è azzardato. Infatti
la capacità di mobilitazione dei «giottini» (da G8) è simile se non superiore a quella dei loro ante-
nati di trent'anni fa. Sbucano dal nulla, distruggono e svaniscono.
Il secondo, con la stessa decisione e forza del suo collega, riferendosi agli
scontri che hanno sconvolto Göteborg sostiene che
l'Intifada contro l'Occidente è cominciata. Non è possibile non cogliere con lo sguardo l'affinità tra
il lancio di pietre a Gerusalemme e il lancio di pietre a Göteborg.
Sulla stessa scia Igor Mann, con un editoriale sulla Stampa:
Vogliono, fortissimamente vogliono, una globalizzazione: però buona. Quella dei No Global vuole
essere – e forse lo è già – una intifada universale. I No-Global scagliano contro chi gli è contro
parole che, giusta la sentenza di Carlo Levi, “sono pietre”. Loro i Cavalieri dell’Utopia, sanno benis-
simo che il kit antimanganello non li risparmierà dalle mazzate dei coetanei in divisa; hanno messo
19
nel conto che può “scapparci il morto” .
15
Angelo Pianebianco, “ Vantaggi globali e la società chiusa” , Corsera, 23 giugno,
p. 1.
16
Ruggero Guarini, “ L’impunità degli ecoteppisti” , Giornale, 12 giugno, p.8
17
Paolo Graldi, “ Non servono spranghe per dire che non piace il mondo globaliz-
zato” , Messaggero, 17 giugno, p. 1.
18
Gianni Baget Bozzo, “ La nuova intifada del “ Popolo di Seattle” , Giornale, 19 giu-
gno, p. 4.
19
Igor Mann, “ I Robin Hood in piazza che salveranno il mondo” , La Stampa, 14 lu-
glio, p. 1. La tesi dell’efficacia delle parole nel caso di conflitti o metafore belliche è
interessante per gli studiosi della comunicazione. Rispecchiano infatti una conce-
zione potente degli effetti dei media ormai relegata ai manuali storici della sociolo-
gia delle comunicazioni, immaginano un effetto immediato, direttamente correlato
alla sua causa, dei messaggi. Causa in ogni caso non univoca o necessaria, per
giunta non esclusivamente prodotto dai soli interventi degli avversari.
6
7. OCP – G8 :: Opinion leader
Lo spettro della violenza, sempre più concreto, agevolato dall’uso sempre
più constatato di metafore belliche, diventa allora il tema centrale di ogni di-
scorso, persino della possibilità di aprire un negoziato con le organizzazioni
“non violente”: Sergio Romano20 (Panorama) ritiene infatti impossibile il dia-
logo tra le istituzioni e un movimento di protesta troppo eterogeneo per poter
presentare un programma unitario e credibile. Si boccia così implicitamente la
linea governativa: anche il negoziato sulle modalità delle manifestazioni viene
definito inopportuno per il rischio di infiltrazioni dei “violenti” involontaria-
mente coperti dai contestatori “buoni”.
Rischio di infiltrazioni e di degenerare delle manifestazioni sentito da alcuni
commentatori tra i quali Geronimo nelle pagine del Giornale, Stefano Rodotà
sulla Stampa e dagli stessi interventi di Casarini e Agnoletto.
Globalizzazione: si o no?
Per comprendere un fenomeno complesso come quello della globalizzazio-
ne, l’interesse degli opinionisti si è diretto verso l’analisi di alcuni degli aspetti
di questo vasto fenomeno. Di conseguenza, le posizioni assunte non esauri-
scono il discorso. Come spesso avviene si delineano le caratteristiche del te-
ma, evidenziando e sottacendone aspetti e problemi, o meglio definendo
aspetti e problemi al solo fine di costruire una argomentazione convincente.
Sul tema globalizzazione gli schieramenti sono rimasti pressoché invariati:
ordinati e compatti hanno sostenuto tesi “filo-global” testate quali Giornale,
Corsera, Stampa e Messaggero (questi ultimi talvolta ospitando tesi diverse).
Su un versante più critico Repubblica (con posizioni articolate) e ipercritico il
Manifesto.
La globalizzazione inevitabile. Già all’inizio del mese di giugno il Corriere
della Sera assume una decisa posizione sul tema globalizzazione; dalla prima
pagina Ronchey ripercorre le tappe che hanno sancito l’affermazione del mo-
vimento da Seattle alle prove di Genova e sottolinea “ragioni e torti” della
protesta globale approdando ad una personale conclusione:
La Globalizzazione ormai è tutto. Si può condannare tutto, anziché denunciare con fatti e cifre sin-
gole degenerazioni del sistema? In un simile scenario, i contestatori oltranzisti, che vorrebbero un
21
mondo egualitario d'incanto, possono solo rievocare l'ideologia surreale di Mao Zedong .
La critica alle posizioni “antiglobalizzazione” è qui già perfettamente deli-
neata. La “costruzione del nemico” assume i tratti di un movimento che con-
danna tutto il sistema con una precisa ed inequivocabile parola d’ordine: “un
mondo egualitario”. Costruito tale nemico è mossa agevole contrastarlo assi-
milandolo all’ideologia comunista.
Dalle pagine culturali di Repubblica spunta un confronto tra il semiologo
Umberto Eco e l’economista Jeremy Rifkin moderato da Vittorio Zucconi. Un
20
Sergio Romano, “ G8, no ai diktat dei dimostranti” , Panorama, 6 luglio.
21
Alberto Ronchey, “ Protesta globale. Ragione e torti” , Corsera, 4 giugno, p. 1.
7
8. OCP – G8 :: Opinion leader
incontro avvenuto a Modena e che ha visto le due personalità confrontarsi su
alcune tematiche collegate alla globalizzazione. Il pensiero di Eco può essere
sintetizzato in una frase: “La globalizzazione non è né un valore né un disva-
lore: è un fatto”22. La trasformazione dell’oggetto del contendere in una
realtà incontrovertibile.
I difetti della globalizzazione. I quotidiani forniscono spazio a diverse posi-
zioni critiche più vicine al movimento anti-G8. Jaremy Rifkin, Hans Magnus
Enzensberger, Noam Chomsky pongono l’accento sugli aspetti critici – dal
punto di vista ambientale, culturale e dei processi democratici – della globa-
lizzazione. Pur nell’altro schieramento anche Biancheri23 condivide i limiti e i
difetti della democrazia globale:
Antiglobalizzazione è in parte il frutto del disagio in chi confusamente sente che l’esercizio della
democrazia, così come ci viene offerto a livello nazionale, non incide sulle grandi forze che domi-
nano il mondo – la finanza, le multinazionali – che rispondono del loro operato non ai parlamenti
ma a se stesse.
A completare il quadro delle opinioni critiche si esprime deciso il Cardinale
di Genova Dionigi Tettamanzi con interviste e interventi: la globalizzazione ha
in sé sia aspetti positivi che negativi. Però, riprendendo un leit motiv del Vati-
cano, "la persona umana, con i suoi valori e le sue esigenze, deve essere del-
l'attività economica il fondamento e il fine"24.
Lievemente diversa è la strategia attuata dall’allora ministro degli Esteri
Renato Ruggiero. Il problema posto dal movimento diventa uno: i poveri del
mondo. L’issue diventa determinante e rende secondario ogni dissidio sulle
possibili soluzioni. Il “comune” problema permette il dialogo e questo basta,
per ora.
Inequivocabile la soluzione proposta da Tommaso Padoa Schioppa25: la cri-
si della globalizzazione si supera con più globalizzazione. Mentre il sociologo
Ulrich Beck26 dalle pagine del Corriere delinea la prospettiva di uno Stato co-
smopolita “fondato sul principio dell’indifferenza nazionale” quale risposta alle
sfide poste dalla globalizzazione economica, della crisi degli stati nazionali e
del mancato rispetto delle differenze locali.
Semplice la soluzione proposta dal segretario generale dell’Onu appena
confermato per un secondo mandato. Kofi Annan si augura che le
manifestazioni apriranno un dialogo e non uno scontro frontale. Molti dei contestatori credono in
ciò che dicono […] si sentono minacciati da quella che noi chiamiamo globalizzazione. Il fatto è
22
Vittorio Zucconi, “ Il futuro è già qui” , Repubblica, 07 giugno, p. 45.
23
B. Biancheri, “ Le parate dei diversi” , La Stampa, 25 giugno, p. 1.
24
Dionigi Tettamanzi, “ Il mondo globale a misura di uomo” , Repubblica, 23 giugno,
p. 1.
25
Tommaso Padoa Schioppa, “ Globalizzazione? Purtroppo è troppo poca” , Corse-
ra, 19 luglio, p. 1.
26
Ulrick Beck, “ Investitori al posto dei crociati” , Corsera, 2 luglio, p. 1.
8
9. OCP – G8 :: Opinion leader
che non la comprendono, la vedono come una minaccia […] spetta dunque ai politici spiegare me-
27
glio il senso della globalizzazione .
I contestatori protesterebbero contro la globalizzazione semplicemente
perché non l’hanno capita(!).
Completano il campo le opinioni di Jose Ramos-Horta28 (Premio Nobel per
la pace e dirigente del movimento indipendentista di Timor Est) che avanza la
richiesta di “un piano Marshall mondiale per i paesi poveri” e di Jack Green-
berg (Presidente e Amministratore Delegato di McDonald’s sul Corsera) che
tenta un’arringa difensiva della multinazionale del cibo standard.
G8 – Anti-G8
La diatriba su natura, limiti e rischi della globalizzazione non può che con-
durci alla disamina dell’ultimo asse discorsivo: il G8 stesso.
Spettacolare. Sulle pagine della Stampa Rusconi29 pone il problema del
cambiamento d’identità e della virtuale fine dei G8 attuali. Una formula criti-
cata anche da commentatori non certo vicini al movimento.
É l’identità stessa dei G8 che è cambiata, appuntamento dopo appuntamento. Prima per
l’ingenuità e la presunzione degli organizzatori di dare in 48 ore una risposta a gravissimi problemi
planetari, giocando su un forte impatto simbolico. Poi per l’incapacità di dialogare con i contesta-
tori.
Giulietto Chiesa30 profetizzando per i prossimi vertici degli “incontri in tele-
conferenza” afferma che la conseguenza delle manifestazioni sarà che
come in un vecchio racconto di fantascienza, i reggitori del mondo ricco e «civilizzato» si dovranno
nascondere al mondo per scambiarsi impressioni e prendere decisioni che dovrebbero influenzare
il mondo, senza chiederne il parere.
La critica al ruolo spettacolare di questi vertici è ripresa dalle pagine della
Stampa da Leonardo Zega31 rispondendo alla domanda: “Chi sono i veri pro-
vocatori?”.
La politica dei «grandi» e dei «forti» ha bisogno di spettacolarizzare il suo ruolo, sperando di trar-
ne una legittimazione popolare, senza dover fare i conti con quanti direttamente o indirettamente
sono coinvolti nelle sue strategie
Legittimo. Il punto diventa, anche per le pagine dei giornali oltre che per
“le piazze” dei manifestanti, la “legittimità” di questi governi mondiali. Di
nuovo dalle pagine della Stampa l’ex capo di stato Gorbaciov32 rileva, infatti,
la sostanziale inefficacia e la mancanza di legittimità di istituzioni come il Fondo Monetario, la Ban-
ca Mondiale e il WTO, cui andrebbe preferito l’Onu. Il tema principale è dunque rappresentato
dalla governance mondiale, che richiede il dialogo con la società civile, i grandi movimenti sociali.
27
Arne Perras, Stefan Kornelius, “ La globalizzazione va corretta e guidata” , La Re-
pubblica, 14 luglio, p. 11.
28
Josè Ramos Horta, “ Un piano Marshall mondiale” , Corsera, 26 giugno, p. 1.
29
G. Enrico Rusconi, “ Genova per noi e per loro” , La Stampa, 5 luglio, p. 1.
30
Giulietto Chiesa, “ Otto grandi fantasmi” , Manifesto, 19 giugno, p. 1.
31
Leonardo Zega, “ Lo show dei potenti” , La Stampa, 20 giugno, p. 1.
32
Gorbaciov M., “ Chi elegge i summit?” , La Stampa, 27 giugno 20, p. 1.
9
10. OCP – G8 :: Opinion leader
Condivide queste preoccupazioni il direttore di Repubblica Ezio Mauro33:
di fronte ad una partita di queste dimensioni, è evidente che Genova rischia di passare alla storia
come la sede dell’ultimo G8. E’ inevitabile organizzare un tentativo di governance per la globalizza-
zione, per trovare un sistema di regole. Ed è evidente il deficit di democrazia e di rappresentanza,
dunque di sovranità, che i grandi portano con sé nelle stanze sbarrate di Palazzo Ducale.
Ernesto Galli Della Loggia34 sarà quindi costretto nell’estrema difesa della
legittimità dei vertici degli otto capi di stato:
Quella di Genova non sarà la riunione di otto satrapi agenti in nome e per conto di un pugno di
oligarchie planetarie. Sarà invece la rappresentazione di una civiltà che ha unificato il mondo cre-
dendo di padroneggiarne per sempre il futuro, ma oggi è costretta ad interrogarsi sulle amare
smentite che la storia potrebbe dare, o forse sta già dando, alle sue speranze.
Pareri, come si nota, decisamente divergenti.
33
Ezio Mauro, “ La posta in gioco nelle piazze di Genova” , La Repubblica, 18 luglio,
p. 1
34
Ernesto Galli Della Loggia, “ Il peccato originale” , Corsera, 9 luglio, p. 1.
10