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Talvolta, quando guardo lavorare i
colleghi ventenni che si affacciano
al giornalismo, mi chiedo come
passino le serate. Io, alla loro età,
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sero calcolando l'euro e l'inflazio-
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in quegli anni potevo scrivere fino
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diano sportivo nazionale, adesso
faticherebbero a chiedermene un
quinto.
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può capire quale energia, vitalità
e impegno esprimesse lo sport
torinese negli anni che per aspetti
diversi e tragici vennero definiti
"di piombo". Ricordo con ango-
scia, ma in fondo con rimpianto,
l'accavallarsi degli eventi e gli stra-
tagemma inventati per ovviare
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fet di presentazione delle squadre
era per noi "peones", disabituati
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non ricordo perchè si mangiava e
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dal Po. Freddo e basta nei sabato
sera d'inverno, quando mi toccava
il palazzo del ghiaccio per le parti-
te di hockey della Fiat Ricambi,
roba che a un giornale radicatissi-
mo al Sud fregava meno di niente
Casa, il baseball
della William
Lawson's. Il base-
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capire a forza. Si
andava la sera in
via Passo Buole,
come cena il
panino e la birra
Moretti scura
comprati al bar
dello stadio: si
finiva dopo le 11
e mandavo a braccio corrispon-
denze lunghissime per "Stadio",
che usciva in Emilia e Toscana dove
c'erano le squadre più forti. Non
ho mai voluto sapere quante
castronerie dettavo ma almeno
avevo imparato a tenere il tabelli-
no.
La domenica cominciava al matti-
no presto in corso Tazzoli, con il
Cus di hockey su prato, che era al
top: in squadra
aveva indiani o
pachistani che si
chiamavano Singh
ma anche le avversa-
rie avevano spesso
indiani e pachistani
che si chiamavano
Singh e lo steno-
grafo smoccolava
tre ore per quella
confusione di nomi,
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provai solo più tardi
quando mi occupai
della Svezia di calcio
1984: il Cus Torino Kappa
festeggia l’ultimo scudetto vinto a Torino
A destra Mario Rebaudengo
Sandra Palombarini,
grande protagonista del basket
femminile targato Sisport Fiat
Charlie Caglieris
ovvero la Martini e Rossi
Il Motovelodromo di corso Casale,
in quegli anni sede di molte riunioni su pista
La Klippan
di Leone, Prandi, Lanfranco e Rebaudengo

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  • 1. Talvolta, quando guardo lavorare i colleghi ventenni che si affacciano al giornalismo, mi chiedo come passino le serate. Io, alla loro età, ne spendevo moltissime dentro le piscine, i palazzetti, gli stadi, le palestre e non credo di essere già così avanti nel rincoglionimento da inventarmi episodi e gare che non sono mai esistiti. Comunque nel dubbio, ogni tanto, interrogo i coetanei che c'erano, "ma è vero che allo- ra...", e quelli mi rispondono di sì. Alla fine degli anni Settanta entrai nella redazione torinese del "Corriere dello Sport- Stadio", avevo pochissimi e incerti rudimenti del mestiere, una maturità classica che nella fattispecie non mi serviva a niente e un contrattino da col- laboratore a 5 mila lire ad arti- colo e 1.500 a notizia: un articolo scattava dalla venticinquesima riga in su, il resto era notizia. Il mio compito era coprire quanto avveniva a Torino negli sport "vari", però che avesse una rile- vanza nazionale: in pratica dovevo occuparmi di tutto tranne che della Juventus e del Torino, ben- chè dopo un annetto cadesse anche quel paletto. Con simili rim- borsi allora non ingrassavo, oggi farei la fame anche se li rivalutas- sero calcolando l'euro e l'inflazio- ne: perchè la vera differenza è che in quegli anni potevo scrivere fino a 80 articoli al mese per un quoti- diano sportivo nazionale, adesso faticherebbero a chiedermene un quinto. Chi non l'ha vissuta da vicino non può capire quale energia, vitalità e impegno esprimesse lo sport torinese negli anni che per aspetti diversi e tragici vennero definiti "di piombo". Ricordo con ango- scia, ma in fondo con rimpianto, l'accavallarsi degli eventi e gli stra- tagemma inventati per ovviare alla loro quasi contemporaneità. Nel weekend si stazionava al Palasport di Parco Ruffini per la Klippan di Leone, di Prandi, di Lanfranco e Rebaudengo, l'unica squadra italiana ad aver vinto la Coppa dei Campioni di pallavolo senza neppure uno straniero. Poi si rimbalzava in via Guala, alla Sisport, dove giocava la Fiat di basket femminile e si andavano a vedere la Gorlin e la Palombarini, perchè non erano solo brave. E c'erano, sempre lì, i maschi in serie B, e i pallanuotisti che un anno acquistarono Eraldo Pizzo e sfio- rarono il titolo, e ogni volta che al giornale partorivano un'in- chiesta (allora si usava molto) immancabilmente dovevo corre- re a raccoglierne il parere. C'erano i lottatori, i grandi del- l'atletica leggera. Spesso veniva- no ad allenarsi Mennea e la Simeoni che avevano il contratto con l'Iveco ed era tutto in fami- glia. La Martini e Rossi invece sponsorizzava il grande basket, che per noi era la Chinamartini di Charlie Caglieris, e fu un'epopea che durò fino a metà degli Ottanta, cambiando il nome dello sponsor e tenendo alti gli obietti- vi. La Martini aveva, e forse ce l'ha ancora, il palazzo di rappresentan- za in corso Vittorio: andare ai buf- fet di presentazione delle squadre era per noi "peones", disabituati alle tartine e agli aperitivi di classe un integrativo allo stipendio, e non ricordo perchè si mangiava e si beveva meglio quando c'era in ballo l'altra sponsorizzazione della l’opinionel’opinione2 Nei ricordi di Marco Ansaldo la trasformazione del mondo sportivo torinese negli ultimi trent’anni Quella Torino irripetibile degli "sport vari" di Marco Ansaldo Il numero uno della IAAF Primo nebiolo con Pietro Mennea ai tempi Iveco Gabriella Dorio, oro a Los Angeles '84, e Pietro Mennea, vincitore dei 200 a Mosca '80.
  • 2. però era pure quella serie A e bisognava starci. All'idea che non sarei mai uscito da quel giro per- verso contribuiva persino un gros- sista di carni, B e n i a m i n o Accorsi, che tra un filetto e un ossobuco aveva pensato bene di sovvenzionare un'altra squadra di basket femmi- nile da serie A e, peggio, una miriade di riunioni di boxe di cui era appassionato. Non ricordo dove fosse il dannato palazzetto di periferia ma so di averci passato tanti mercoledì sera a vedere gente, anche scarsa, che si picchia- va. Di sicuro tralascio qualcosa, ad esempio le riunioni in pista al Motovelodromo (una volta venne- ro persino Moser e Saronni) e il canottaggio che tanto inorgogliva Boniperti. Era una Torino cupa. Per strada, la sera, si incappava sempre in qual- che posto di blocco con i mitra spianati. Ma ne toc- cavo l'effervescenza nello sport e mi sentivo al cen- tro di un mondo. Per me fu una scuola formidabile, unica. Oggi cerco le stesse cose sul giornale. E mi sem- bra che siano spariti tutti. ed era piena di Larsson. Il pome- riggio festivo passava al Motovelodromo con il rugby dell'Ambrosetti che galleggiava a metà classifica. Freddo e nebbia dal Po. Freddo e basta nei sabato sera d'inverno, quando mi toccava il palazzo del ghiaccio per le parti- te di hockey della Fiat Ricambi, roba che a un giornale radicatissi- mo al Sud fregava meno di niente Casa, il baseball della William Lawson's. Il base- ball me lo fecero capire a forza. Si andava la sera in via Passo Buole, come cena il panino e la birra Moretti scura comprati al bar dello stadio: si finiva dopo le 11 e mandavo a braccio corrispon- denze lunghissime per "Stadio", che usciva in Emilia e Toscana dove c'erano le squadre più forti. Non ho mai voluto sapere quante castronerie dettavo ma almeno avevo imparato a tenere il tabelli- no. La domenica cominciava al matti- no presto in corso Tazzoli, con il Cus di hockey su prato, che era al top: in squadra aveva indiani o pachistani che si chiamavano Singh ma anche le avversa- rie avevano spesso indiani e pachistani che si chiamavano Singh e lo steno- grafo smoccolava tre ore per quella confusione di nomi, un'esperienza che provai solo più tardi quando mi occupai della Svezia di calcio 1984: il Cus Torino Kappa festeggia l’ultimo scudetto vinto a Torino A destra Mario Rebaudengo Sandra Palombarini, grande protagonista del basket femminile targato Sisport Fiat Charlie Caglieris ovvero la Martini e Rossi Il Motovelodromo di corso Casale, in quegli anni sede di molte riunioni su pista La Klippan di Leone, Prandi, Lanfranco e Rebaudengo