E Renato Schifani? Cosa c’entra con Pietro Lo Sicco? Semplicemente, negli anni Novanta, il futuro Presidente del Senato era il suo avvocato d’affari. E questa è una certezza. Lo dimostra la firma di entrambi ad un verbale del 1993, pubblicato da Fabrizio Gatti su L’Espresso il 30 settembre di quest’anno. Sembrerebbe un rapporto di lavoro del tutto naturale il loro. Senonché il costruttore Lo Sicco fosse, in quegli anni, l’imprenditore di fiducia di spietati boss mafiosi, come Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella. Un ex benzinaio di Palermo trasformatosi, in poco tempo, in palazzinaro al servizio di membri di Cosa Nostra, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, per corruzione di un assessore e concorso in truffa ai danni di un Comune. La loro collaborazione prosegue almeno fino all’autunno 1996, come attesta un ricorso di Schifani in favore di Lo Sicco al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia. In quell’anno l’avvocato d’affari era appena stato eletto Senatore tra le file di Forza Italia, nel collegio siciliano di Corleone..
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1. Enzo Lo Sicco in aula: mio zio era amico dei boss
Zio e nipote contro in un aula di giustizia a rivangare un pezzo di passato in comune in cui
mafia e pizzo era un binomio inscindibile. Per entrambi, costruttori che si dicono costretti a
subire le angherie delle cosche per lavorare. Lo zio è Pietro Lo Sicco, sotto processo per
concorso esterno in associazione mafiosa, il nipote è Innocenzo, adesso collaboratore di
giustizia dopo la decisione di non sottostare più alle regole del clan Graviano. Si sono
ritrovati faccia a faccia nell'aula della sesta sezione del Tribunale (presidente Ignazio Pardo)
con Innocenzo teste d'accusa contro lo zio.
Un solo sguardo diretto, poi Innocenzo ha ricostruito il passato in comune con lo zio:
«lavorai per lui dal 1980 all'87 e poi per un altro periodo, prima di mettenni in proprio. Il
primo lavoro fatto insieme fu a Cruillas... grazie al rapporto che il signor Lo Sicco aveva
con Stefano Bontade. Continuò a lavorare perchè a Bontade subentrò Ignazio Pullara che
presto divenne il vero padrone dell'impresa... poi però, mio zio divenne parente di
Giuseppe Savoca, capo della cosca mafiosa di corso dei Mille perchè sua figlia sposò
Salvatore e questi, in pratica, prese subito in mano le redini dell'impresa. Io non ero
d'accordo con tutto questo, non mi piaceva come veniva gestita il azienda: ormai tutti parlavano dei cantieri Savoca non Lo Sicco. Mio zio fu costretto a dare degli scantinati ad un
certo Rosolino Savoca... i problemi crebbero quando si costruì il Palazzo di piazza Leoni...
anche in quel cantiere giravano certe persone come Pino Guastella o Totuccio Lo Piccolo
(indicati da Innocenzo Lo Sicco come vicinissimi alla mafia, ndr). Per ottenere la
concessione edilizia, Pietro Lo Sicco fece un accordo con l'ex assessore Raimondo... quel
palazzo non si poteva costruire perché suo zio non aveva le carte in regola, tutti lo
sapevano: dalla banca, all'assessorato all'Edilizia, all'avvocato che curò le pratiche, al notaio
che stipulò gli atti». Per Innocenzo Lo Sicco, lo zio, grazie alle influenze mafiose sarebbe
riuscito a superare tutti gli ostacoli. Che è poi la tesi d'accusa del pm Domenico Gozzo.
Per la difesa, avvocati Parrino e Bellavista, invece, Pietro Lo Sicco - come altri imprenditori
e come lo stesso nipote Innocenzo Lo Sicco sarebbe stato costretto a pagare e a subire la
presenza in cantiere di certi personaggi per lavorare.
Filippo D’Arpa