1. Costruttore: Bulletproof Automotive
Progetto: BMW Z4 GT Continuum
Produttore: BMW
Modello: Z4
Categoria: Sport
Rebuild:
Anno di produzione: 2015
Motore: BMW N54 Biturbo I6, kit ESS Tuning
Stage II, intercooler ETS custom, sistema di scarico
a uscita laterale Bulletproof Automotive Trident
Trasmissione: Manuale BMW a 6 velocità
Cerchi/Pneumatici: Cerchi RAYS Volk Racing
G25 da 20 × 10’’ +30 (ant.), 20 × 12’’ +20 (post.),
pneumatici Toyo Proxes R888 285/35R20 (ant.),
315/30R20 (post.)
Freni: Convertiti di una BMW M4 F82
Modifiche carrozzeria: Conversione in spe-
edster Bulletproof Automotive inclusa rimozione
hardtop, parabrezza custom, rimozione montante
ant., pannello post. custom, kit estetico Varis VRS,
alettone GT Varis da 1.800 mm, specchi custom
Modifiche telaio: Ammortizzatori tipo coilover
Aragosta custom; kit per variare l’assetto anteriore
Aragosta
Modifiche interni: Tappezzeria rossa e nera
Imola custom con particolari in pelle e alcantara
Stingray, sedili BMW M4, pedali Macht Schnell,
pomello del cambio Porsche
Vernice: Vernice custom
Luogo: USA
Prezzo al dettaglio: Non disponibile
Bulletproof Automotive
BMW Z4 GT Continuum
Perlopiù ignorata dal mondo della customizzazione, la BMW Z4 GT Continuum è
statasceltadall’ambiziosostaffdellaBulletproofAutomotiveperunaricostruzione
radicale. Il motore biturbo di serie della BMW N54 è stato sottoposto a un’attenta
messa a punto grazie all’aggiunta del kit ESS Turning Stage II, un intercooler ETS
custom e un sistema di scarico Trident personalizzato che fuoriesce dalle fiancate.
Le modifiche più cospicue sono tuttavia di natura estetica. L’hardtop a scomparsa
è stato eliminato per lasciare gli interni di pelle rossa e nera interamente esposti
agli sguardi dei curiosi. Anche il parabrezza è stato rimosso insieme al montante
anteriore e sostituito da un lunotto basso e rastremato. Dal pannello posteriore
dietro i sedili sporgono due gobbe nello stile delle vecchie sporster, un dettaglio
completatodallosvettantealettoneGTda1.800millimetridellaVaris,lastessacasa
che ha progettato la conversione della carrozzeria affusolata in stile streamliner.
I cerchi Rays da 20 × 10 pollici dell’avantreno fanno il paio con quelli da 20 × 12
delposteriore.L’autoèunvantodiBulletproofAutomotive,unteamdiappassionati
che ha curato l’elaborazione fin nei minimi dettagli, come il pomello del cambio
vintagediunaPorscheeipedaliMachtSchnell. (BB)
34 35
2. Costruttore: Jon Olsson
Progetto: Audi RS6 DTM
Produttore: Audi
Modello: RS6
Categoria: Sport
Rebuild:
Anno di produzione: Non disponibile
Motore: V8 TFSI biturbo da 4.0 l;950 CV;
STM Stage 3+ kit con turbocompressori TTE9XX
della Turbo Engineers custom
in oro a 18 carati anodizzato; sistema di scarico
Milltek personalizzato
Freni: Kit freni MOV’IT
Modifiche carrozzeria: personalizzata in fibra
di carbonio ispirata al DTM
Modifiche telaio: Sosp. Black Titan Intrax custom
Vernice: Wrapping di Wrapzone
Altre modifiche: Box portasci 56Nord in
carbonio custom
Supporto: Leif Tufvesson; Mattias, Tony e Jimmy,
Stertman Motorsport Intrax, MOV’IT, Milltek Sport
Tempi di lavorazione: Quattro mesi
Luogo: Stoccolma, Svezia
Prezzo al dettaglio: € 400.000
Jon Olsson
Audi RS6 DTM
Con l’Audi RS6 DTM, lo sciatore Jon Olsson ha trasportato la sua capacità di
trovare soluzioni tecniche e creative nel mondo delle auto, affermando di aver
“impiegato circa un milione di ore” per progettarla. Forse è un po’ esagerato, ma
questa station wagon ispirata al DTM rivela una tale cura del dettaglio da renderlo
verosimile. Olsson è stato affiancato da Leif Tufvesson della Caresto, un’azienda
con sede ad Ängelholm, in Svezia, che ha lavorato con lui per rendere la RS6 il più
possibile simile a un’auto da competizione DTM, capace però di trasportare anche
tuttal’attrezzaturadascidicuiJonhabisogno.
Nulla è stato trascurato: “Ho persino ordinato 100 metri di fibra di carbonio alla
fabbrica che rifornisce la Pagani”, spiega Jon. Una volta completata la struttura di
base, l’ha mandata alla Stertman Motorsport che ha provveduto ad adeguare la
performancedellaRS6alsuolookestremo.
Un kit STM Stage3, turbocompressori anodizzati TTE9XX della Turbo Engineers e
un sistema di scarico Milltek Sport da competizione creano una potenza che va dai
900 ai 1.000 CV a seconda della benzina usata. Tutta questa potenza è regolata da
sospensioni Black Titan di Intrax e da un sistema di freni MOV’IT che garantiscono
l’affidabilitàdell’autoquandoJonlalanciaversolepistedasciinnevate. (BB)
36 37
3. Costruttore: ICON
Progetto: ICON FJ 40
Produttore: Toyota
Modello: Land Cruiser
Categoria: Restomod
Rebuild:
Anno di produzione: Non disponibile
Motore: V8 LS 5.7 l; 390 CV; 772 Nm
Trasmissione: Manuale a 5 velocità Aisin-Warner
AX15
Cerchi/Pneumatici: Cerchi ICON in alluminio
nero 18 × 8’’; pneumatici BF Goodrich A/T o M/T
285/70/R18
Freni: A disco
Modifiche carrozzeria: Nuova carrozzeria in
alluminio 5052 H32 lavorata a mano, spessore
5/32’’, nuovo cofano in acciaio sagomato originale
Toyota, griglia originale vintage
Modifiche telaio: Telaio originale Land Cruiser
migliorato con barre in acciaio modellato da Art
Morrison da 2 × 4 × 0.180’’, escursione ruote
ant. e post.da 12’’, ammortizzatori a molle sulle
4 ruote con sospensioni posteriori four-link e
schema anteriore tipo Panhard, ammortizzatori
Emulsion Fox Racing da 2.5’’, molle Eibach, barre
antirollio anteriori e posteriori Currie Anti-Rock
Modifiche interni: Interni ICON custom:
elementi del cruscotto lavorati a CNC, incisi e
smaltati; alette parasole polarizzate e oscurate;
illuminazione interna a LED, prese di corrente,
comandi per riscaldamento sedili, rivestimenti
sedili di serie con finiture originali in vinile
Vernice: Verde eucalipto; rivestimento ibrido
con verniciatura a polvere e poliestere Cardinal
Altre modifiche: Impianto A/C moderno; tappi
di gomma rimovibili per il drenaggio
Prezzo al dettaglio: Su richiesta
Progetto: Land Rover NAS 110 Reformer
Produttore: Land Rover
Modello: Defender
Categoria: Restomod
Rebuild:
Anno di produzione/Ricotruzione:1993/2014
Motore: V8 6.3l E-Rod LS3 GM a iniezione;
440 CV
Trasmissione: Automatica 4L85E
Cerchi/Pneumatici: Cerchi Twisted Rover;
pneumatici BF Goodrich A/T
Freni: A disco Alcon; servofreno assistito
Hydroboost
Modifiche carrozzeria: Portapacchi custom;
paraurti posteriore ICON custom con luci
a LED Rover; griglia, maniglie portiere,
copri fanali anteriori ridisegnati; specchi
retrovisori in alluminio ridisegnati;
cerniere cofano in alluminio lavorate a macchina;
luci posteriori a LED, prese d’aria laterali e del
tetto ridisegnate
Modifiche telaio: Telaio restaurato e rinforzato;
differenziale di serie modificato; nuovi assi Land
Rover migliorati con elementi interni più robusti
Modifiche interni: Cablaggio clim. e
strumentazione custom; cruscotto ridisegnato;
piantone ridisegnato; sedili sportivi; insonoriz.
Dynamat, impianto stereo su misura
Vernice: ICON special
Altre modifiche: Argano nascosto; luci a LED
montate sul tetto
Location: Los Angeles, CA, USA
Prezzo al dettaglio: Su richiesta
ICON FJ 40Land Rover NAS 110 Reformer
Rivoltaaclientidispostiapagarecifrenotevoliperl’interpretazionemodernadiun
veicolo classico, questa Land Cruiser FJ 40 da 420 cavalli è stata migliorata con
tutti gli accorgimenti possibili. Realizzata a mano con pannelli della carrozzeria
interamente in alluminio (importati da un produttore canadese che costruisce
anche navi per la marina statunitense) e una gabbia rinforzata con barre in acciaio,
l’automontaunmotoreV8Vortecda5.7litrichedàpotenzaalleruotegrazieauna
trasmissionemanualediseriea5rapporti.
Un apposito comando permette al guidatore di controllare gli assi anteriori e
posteriori, mentre il differenziale è un’unità a due velocità Atlas II disegnata per gli
entusiastidellastrada.GliammortizzatoriFoxRacingelemolleEibachconsentono
un assorbimento massimo degli urti e un comportamento da sospensioni da
competizione. Poiché la ICON realizza a mano i suoi componenti, moltissimi
elementi possono essere personalizzati. L’azienda è nota per le sue rivisitazioni
unichediLandCruiser,elaFJ40neèl’esempiomigliore.
La ICON ha restaurato i modelli più svariati, da un pullmino VW del 1967 a una
Chevy Thriftmaster alle Ford Bronco. Questa Land Rover Defender è un ottimo
esempio del suo talento nel prendere modelli vintage e dotarli di equipaggiamenti
moderni, interni creativi e componenti volutamente non restaurati. La sua
incursione nel territorio delle Land Rover è stata coraggiosa, trattandosi dei
fuoristrada più famosi in circolazione. Sotto il cofano, l’azienda ha scambiato il
motore diesel di serie con un ruggente V8 da 6.3 litri che arriva a 430 cavalli.
La plastica della griglia e delle cornici dei fanali è stata sostituita da metallo
tagliato al laser. All’interno, il cruscotto di plastica è stato dotato di una finitura in
acciaio verniciato a polvere. I rivestimenti in pelle di bisonte sono in linea con il
carattere del veicolo. La trasmissione automatica a 4 rapporti lavora di concerto
a bielle in polveri di metallo, un sistema di raffreddamento custom e pistoni in
alluminio. Il fondatore di ICON, Jonathan Ward, cerca sempre di migliorare
anziché sostituire un pezzo originale.
ma una volta rientrato ha deciso di investire seriamente nell’impresa.
Determinato a ritagliarsi una fetta di mercato, ha iniziato a comprare
diverse auto per lavorarci su e incrementarne il valore. L’attività,
inizialmente chiamata TLC, esiste ancora oggi e condivide personale
e spazi con la ICON. Muovendosi in una nicchia di mercato così
ristretta, Ward si è reso conto che per sfondare aveva bisogno
di farsi pubblicità, e così ha cercato rapidamente il mezzo più
veloce per ottenerla.
“Il nostro quarto furgone l’abbiamo venduto su una cosa che
si chiamava ‘sito web’” racconta, riconoscendo poi come il successo
di TLC sia stato un vero colpo di fortuna. “Internet ci ha dato quella
visibilità che ci serviva per crescere. La TLC stava andando molto
bene, così abbiamo cominciato a fare restauri per i rivenditori Toyota
e i musei Toyota sparsi per il mondo”. In maniera perspicace, però,
Ward ha capito che alla gente interessava l’estetica della Land
Cruiser ma non la sua tecnologia antiquata, come i freni a tamburo
e la trasmissione a tre velocità.
Da questa considerazione è nata la filosofia della futura ICON,
il principio che è ancora alla base dei suoi restauri unici. “L’idea della
ICON è quella di proporre un mezzo di trasporto classico rivisitato
in chiave moderna”. L’azienda cerca di seguire l’estetica che la gente
desidera, ma aggiungendo quelle raffinatezze e migliorie che sono
a portata di mano in tutti i veicoli moderni. La ICON costruisce
automobili per persone che hanno un sogno nel cassetto ma che, a
volte già fin dalla prima uscita, restano deluse dal divario enorme che
emerge tra le prestazioni a cui anelerebbero e quelle di cui la vettura
è realmente capace. Ed è a quel punto che entrano in ballo i restauri
di Ward. Molti dei punti deboli delle vetture classiche, in realtà,
derivano soprattutto dai vincoli che venivano imposti ai progettisti.
“Le auto prodotte in serie subivano le conseguenze dell’economia
su larga scala o gli effetti di stolte decisioni che svilivano la visione
chiara di chi le aveva concepite”. L’obiettivo della ICON è quindi
quello di curare al massimo tutti i dettagli: “Ovviamente utilizziamo
la scocca originale, ma ci fermiamo a ragionare su ogni pomello,
interruttore, maniglia o specchietto, e spesso lo rielaboriamo
mettendoci nell’ottica del designer originario”.
Iniziando a intravedere nuove opportunità di lavoro con le auto,
Ward era impaziente di fare il passo successivo. I meticolosi restauri
effettuati con la TLC cominciavano ad annoiarlo: aveva voglia
di ampliare i suoi orizzonti. A dargli lo stimolo per intraprendere
la strada che avrebbe portato alla ICON è stata infine l’occasione
di collaborare personalmente a un progetto molto speciale:
“Sono stato chiamato dalla Toyota per disegnare e assemblare
i primi tre prototipi pre-produzione della FJ Cruiser”.
Dopo aver partecipato direttamente alla costruzione di questo
veicolo moderno, Ward ha definito meglio i contorni del suo
progetto cominciando a realizzare versioni modernizzate della
Land Cruiser con il marchio ICON.
“Siamo partiti dalla FJ 40 – avevo
già tutto il modello in testa – e con
quella abbiamo lanciato la ICON”.
JonathanWard
64 65ICON
4. Costruttore: Gregg Hamilton
Progetto: Pontiac Firebird Trans Am
Produttore: Pontiac
Modello: Trans Am
Categoria: Sport
Rebuild:
Anno di produzione: 1979
Motore: V85.3GenIIIGM,bielleepistoni
forgiati,cammeLS9,mollerinforzate,collettore
diaspirazioneHolley,iniettori525ccSubaru,
biturbo68mmGarrett,2valvolediscaricoTiAL,
valvoleSubarupop-off,condottidelturboescarichi
lateraliturbocustom,radiatoreMishimoto,controllo
elettronicopressioneturbo,intercooleraria-aria,
condottiintercoolercustom,radiatoredell’olio
Trasmissione: A 6 velocità ZF Corvette, volano
5 kg, frizione a doppio disco McLeod, differenziale
4.56
Cerchi/Pneumatici: Cerchi19×10.75’’XXR
530;pneumaticiHankook295’’(ant.),305’’(post.)
Freni: Dischi ant. 14’’ con pinze a 6 pistoni; dischi
post. 13’’ C6 Z06 13 con pinze a 4 pistoni
Modifiche carrozzeria: Passaruota posteriori
custom, spoiler posteriore custom, fanali
aggiuntivi a LED
Modifiche telaio: Bracci superiori anteriori
Global West, bracci inferiori anteriori e montanti
Speed Tech, doppi ammortizzatori anteriori
regolabili, molle posteriori Global West, sterzo
Flaming River 12-1
Modifiche interni: Sedili sportivi Summit Racing,
cinture Netami
Vernice: Riverniciatura integrale con grafica
Trans Am
Altre modifiche: Volante da corsa, display tablet
collegato alla centralina in modalità Bluetooth
Supporto: Il bandito e la “Madama”
Luogo: AL, USA
Prezzo al dettaglio: Non in vendita
Gregg Hamilton
Pontiac Firebird Trans Am
Quando una star del rally sceglie come auto un’icona del cinema anni Settanta,
il risultato è una ruggente Trans Am. Gregg Hamilton ha girato per anni nei circuiti
dirallydituttoilmondo,eoggicollaboraconalcunigrandinomicometecnicodella
Hoonigan. Quando si è trasferito negli USA, ha optato per un classico americano,
unaPontiacTransAmneraeorodeglianniSettanta.
Purtroppoleprestazionidiquestavetturanonsiavvicinanoneppurelontanamente
a quelle delle scene spettacolari viste nel film Il Bandito e la “Madama”.
MaHamiltonvolevachelasua“ScreamingChicken”rombasseperlestrade,così
ha iniziato ad apportare piccole modifiche per dare un po’ di pepe: compressione
aumentata, camme a elevate prestazioni e trasmissione manuale. Il sistema di
iniezione dava grande potenza grazie a condotti custom e a una modifica della
centralina.PoisonoarrivatiilbiturboGarrettda68mmeilmotoreLSda5.3litri.
L’auto è stata dotata di camme LS9, valvole di scarico, intercooler, pistoni e bielle
forgiati e collettori, mentre il sistema di scarico comprende elementi laterali
fattisumisura.Malapotenzavatenutasottocontrollo,cosìHamiltonhaaggiunto
un differenziale da 4.56, sospensioni migliorate e freni di una Corvette Z06.
Dall’esterno non ci sono enormi differenze tra questa e altre Trans Am anni
Settanta,maconla“ScreamingChicken”diHamiltonnonsischerza! (CF)
80 81
5. Consapevole dell’importanza
storica della Number 14, Jim
si è posto l’obiettivo, da costruttore
esperto qual è, di restituire alla
sprinter il suo spirito da corsa.
per ricostruirlo. Questo è l’unico pezzo non d’epoca, nonché uno dei
pochi su cui Jim non abbia lavorato di persona. La sprinter è rimasta nella
sua officina alla Sonoma Raceway per tre anni durante i quali se ne è
occupato nei ritagli di tempo, anche perché in quel periodo meditava
di tornare in Australia.
Quando viveva ancora negli USA, però, Jim ha avuto modo di
vedere Benny in un paio di occasioni. All’epoca l’ex pilota aveva
82 anni, ma la passione per le auto sportive non gli era ancora
passata. Il primo incontro è avvenuto a Toledo, la sua città, nelle file
posteriori dell’anello della Toledo Speedway. Durante quella visita,
Benny ha mostrato a Jim il suo garage, e Jim ha subito individuato
dei pezzi di scotch e metallo che – gli ha assicurato Benny – erano tre
radiatori della serie di ricambi originali della Number 14. Ovviamente
Jim li ha comprati su due piedi e se li è fatti spedire in California.
Non è stato altrettanto fortunato con altri componenti, come
i freni. Deciso a ultimare la ricostruzione, ha trovato un costruttore
di Sacramento che gli ha fornito le pastiglie adatte. Non solo: tutti
gli accessori, tubi di alimentazione e raccordi, che Jim ha inserito
in un mandrino a sei griffe, sono com’erano nel set originale di Benny.
Anche l’asse posteriore poneva un problema, così Jim si è rivolto
all’esperto Ernie Ford che ha rimesso in funzione l’unità a sgancio
rapido ripristinandola nelle condizioni pronto gara.
Ma non è finita qui. Le tubazioni dei freni hanno bisogno di ulteriori
interventi e si dovrà allestire un albero di trasmissione prima che
la vecchia guerriera possa tornare in pista. Jim, comunque, vuole
procedere con calma per essere certo che tutto sia come quando
Benny correva su circuiti lunghi un quarto di miglio. (BB)
60 61Jim Grant
6. Costruttore: Bob Johnston
Progetto: Tweedy Pie
Produttore: Ford
Modello: Pick-up Model T
Categoria: Hot Rod
Rebuild:
Anno di produzione: 1956
Motore: V8 small block Chevy da 4.1 l
Trasmissione: Di una Ford del 1939, posteriore e
tubo di torsione accorciato di una Ford del 1948
Cerchi/Pneumatici: Cerchi in acciaio cromato;
pneumatici a fascia bianca; coprimozzi Baby Moon
Freni: A tamburo, originali Ford
Modifiche carrozzeria: Carrozzeria convertita
di un pick-up Ford Model T; fanali anteriori doppi
Modifiche telaio: Telaio di una Ford del 1932
accorciato
Modifiche interni: Interni in pelle bianca su
ordinazione; volante Cragar; leva del cambio Hurst
Vernice: Viola metallizzato, pinstriping lavanda
Supporto: Ed Roth
Luogo: USA
Prezzo al dettaglio: Non disponibile
Tweedy Pie
LaTweedyPiefucostruitadaBobJohnstonadAnaheim,inCalifornia.Basatasuuna
Ford Model-T del 1923, venne completata nel 1956. Nel 1958, Ed Roth realizzò
il pinstriping per Bob. Poiché gli affari iniziavano ad andargli bene e passava più
tempo nei car show che in officina a costruire stravaganti auto da esposizione, nel
1962 fece a Bob un’offerta che non poteva rifiutare. Acquistò l’auto con i soldi dei
diritti del modello Outlaw e la trasformò nell’attuale Tweedy Pie installando due
doppifanalianteriorieunaseriedicerchicromaticoncoprimozziBabyMoon.
L’auto fu lanciata sul numero “Rod & Custom” del marzo 1962. La Revell ne
produsse un modello in scala 1:25 che fu venduto in 3,5 milioni di copie solo nel
primoanno. (SK)
“Per chi ama le automobili, l’Ovest
è il top. L’élite della East Coast non
capisce la Kustom Kulture perché
in realtà non ne fa parte”.
JeffDecker
Il grande boom demografico nella West Coast avvenne nell’era
post-fordista. Los Angeles è una città di macchine. Per chi ama
le automobili, l’Ovest è il top. L’élite della East Coast non capisce
la Kustom Kulture perché in realtà non ne fa parte. La cultura delle
hot rod e delle lowrider, del surf e dello skate non le appartiene.
Ricordo che, quando ero ragazzino, le corsie di emergenza delle
superstrade erano talmente piene di mozziconi che mi pareva ghiaia
gialla e bianca. Nella mia testa rivedo una pubblicità in cui un indiano
piangeva su una spiaggia californiana. Sono cresciuto vicino alla
Highway 101, a 11 miglia da Malibu. I miei ricordi pullulano di cavi
del telefono, torri di trivellazione e del traffico che mi scorre accanto
mentre percorro queste strade seduto accanto a mio padre per
andare ai mercati del baratto a Pomona o alle corse a Irwindale.
Ma i miei ricordi più cari sono quelli in un hangar a Santa Paula.
Non sono riuscito a incontrare Walt Disney, ma ho fatto di meglio:
ho conosciuto Ed Roth. (JD)
176 177Ed Roth
7. a spingersi sempre oltre e trarne il massimo piacere. Tutto è cominciato
forse a metà degli anni Sessanta, quando i produttori di auto
giapponesi hanno cominciato a fare vetture sportive. Nei primi anni
del decennio successivo, il motorismo sportivo in Giappone
ha iniziato ad acquistare popolarità, e vedere auto leggendarie come
la Nissan Skyline GT-R e la Mazda Savanna gareggiare alla Fuji
Speedway ha spinto gli appassionati a cercare di ricreare quel look
e quelle prestazioni nelle loro auto da strada. Da lì è nata la cultura
del tuning, e più si diffondevano le vetture sportive, più si cercava
di spingerle al massimo attraverso una varietà di discipline.
Ovviamente c’è anche la scena hot rod, un termine ampio usato per
indicare la cultura delle auto e delle moto customizzate che i giapponesi
hanno accolto e fatto propria. Questo lato della street culture è emerso
probabilmente dopo la guerra, nel periodo dell’occupazione americana,
quando i giapponesi hanno iniziato a desiderare di possedere e modifi-
care le grandi e affascinanti vetture che circolavano negli U.S.A.
Oggi in Giappone si trova ogni tipologia di auto e sono moltissime
le officine e i costruttori impegnati a mantenere viva la scena custom.
“Dai ragazzini ai pensionati,
c’è una specialità per tutti in
Giappone: dal drifting e il time
attack alle corse di auto storiche,
dallo stance movement in piena
espansione allo stile VIP
in continua evoluzione”.
DinoDalleCarbonare
Il Daikoku Truck Stop, è ancor oggi uno dei parcheggi più famosi del Giappone.
Il primo dell’anno qui si concentra tutta la passione sfrenata dei giapponesi per le auto.
Nell’ultima edizione, gang di teppisti motorizzati – il cosiddetto bosozoku – si sono fatte
vedere e sentire per tutto il nodo autostradale. Se avete un’idea folle in mente, fate
in modo di realizzarla al meglio: in queste auto c’è grande creatività e tanto lavoro.
Uno degli aspetti più belli è il continuo scambio trasversale di idee
ed entusiasmi che si estende a ogni possibile ramificazione della cultura
motoristica. Internet e i social media hanno contribuito ad alimentare
ancora di più questo fermento, dando la possibilità a tutti di vedere cosa
accade nel resto del mondo e di rielaborare in modo personale spunti
diversi. Il Giappone continua a essere un luogo in cui le persone cercano
ispirazione. Oltre alla varietà, qui si è sempre posto l’accento sulla
qualità, sul far bene le cose usando prodotti autentici: lo si può vedere
in manifestazioni come il Salone dell’auto di Tokyo, dove i giapponesi
organizzano ogni anno una delle più grandi celebrazioni della scena
custom e del grande movimento culturale a essa collegato.
Le tante facce della street culture in Giappone hanno fatto di questo
paese un punto di riferimento a cui il mondo guarda da decenni
e – ne sono certo – continuerà a guardare ancora a lungo. //
188
8. Fotografie
di Estevan Oriol:
Ecco come
lavoriamo
Estevan Oriol è molto vicino alla sottocultura lowrider
di Los Angeles e mostra come qui si fa tutto in famiglia.
262
9. delle rielaborazioni firmate de Alba. Prendiamo la vettura che è stata
riconosciuta da più parti come l’espressione più riuscita dell’impegno
collettivo della famiglia: la Chevy Coupe del ’51 detta “El Corazon” per
il suo colore rosso fuoco. L’auto ha vinto il premio Lowrider Bomb of the
Year almeno tre volte dal 1991 al 1994 e ha richiesto a Mario e ai suoi figli
quattroannidilavoro.L’hannodotataditutto:motorediunaChevydel’79,
passaruota posteriori di una Cadillac del ‘76 modificati, luci posteriori di
una Dodge del ’49, console di una Pontiac Grand Prix del ’66 e griglia
di una Chevy del ‘53, per non parlare degli interni in velluto rosso
e dei dadi rossi appesi allo specchio retrovisore.
“Voglio costruire nuove auto e andarci in giro per le strade”,
dice Albert de Alba Sr. “Guidare le lowrider è più bello che costruirle
solo per esporle, e il riconoscimento che se ne riceve è immenso.
Le auto da show richiedono un lavoro mostruoso e poi non puoi neppure
divertirtici…”. (JS)
“In genere non vedo lo scopo
di costruire macchine che poi
non vengono utilizzate.
Ma la El Rey è così immacolata
che ho quasi paura di guidarla”.
AlbertdeAlbaSr.
256 257Albert de Alba
10. o fabbricati dai realizzatori del progetto. È questo il tipo di pensiero che
sta alla base dell’incredibile varietà di auto customizzate fabbricate oggi.
Trattandosi di una struttura unica, l’azienda di Port Washington si fa
carico anche della progettazione in CAD (Computer-aided Design)
e il controllo CNC (Computer Numerical Control) oltre che della
fabbricazioneecostruzioneveraepropria.Quil’interoprocessodi
customizzazione viene seguito dall’idea embrionale al completamento
finale. Lo sviluppo e l’elaborazione della Tantrum Charger non ha fatto
eccezione. Molte componenti della Dodge del 1970 sono state disegnate
in azienda, e il risultato è una Charger con una spiccata individualità,
resa unica dalla prevalenza della fibra di carbonio.
“Il carbonio non è il futuro ma il presente”, afferma David illustrando
l’attrattiva di questo materiale, robusto ma leggero e malleabile.
Il carbonio è stato cruciale nella costruzione della Tantrum: “La robustezza
è un fattore chiave, ma lavorando sulla Charger la riduzione del peso è
anche più importante”. L’utilizzo del preimpregnato in fibra di carbonio
è stato usato per quasi tutto l’esterno della vettura: cofano, parafanghi,
paraurti anteriore e posteriore, bordi e alloggiamenti delle luci laterali.
Inoltre il carbonio è un materiale elegante. Per accentuarne la lucentezza,
SpeedKore ha unito il tessuto preimpregnato a una vernice nera prodotta
dalla PPG. Secondo David, questa verniciatura artigianale è stata
“Gli interni possono creare
o distruggere un custom
da migliaia di dollari”.
DavidSalvaggio
Costruttore: SpeedKore Performance Group
Progetto: Dodge Charger “Tantrum”
Produttore: Dodge
Modello: Charger
Categoria: Restomod
Rebuild:
Anno di produzione: 1970
Motore: QC4V da 9.0 l DOHC a 90 gradi
Mercury Marine con due turbo da 94 mm;
1650 CV; 2 pompe carburante A1000
Aeromotive; sistema di scarico in acciaio inox
custom; serbatoio in acciaio inox Rock Valley;
serbatoio olio per carter secco Peterson
Trasmissione: A 6 velocità Tremec T56
Cerchi/Pneumatici: Cerchi HRE da 19 e 20’’;
pneumatici Michelin 345
Freni: Baer 14’’
Modifiche carrozzeria: Esterno in carbonio:
cofano, parafanghi, bordi, paraurti anteriori
e posteriori, luci laterali; lavorazione a CNC:
griglia in alluminio, pannello posteriore con luci
posteriori di una Challenger 2014, maniglie
portiere, tappo serbatoio “flip-top” custom,
maniglie interne custom
Modifiche telaio: Asse posteriore 9’’ Ford,
sospensioni posteriori 4-link; sospensioni anteriori
Roadster Shop
Modifiche interni: Interni in carbonio modello
unico rivestiti in pelle e Alcantara come i sedili
Vernice: Vernice nera PPG
Altre modifiche: Pianali e gabbia, parafanghi
interni rimovibili, longheroni telaio, scudo in metallo
piatto, supporti pianale vano posteriore tagliati a
getto d’acqua o a laser, modellati e saldati in-house
Prezzo al dettaglio: Non disponibile
Dodge Charger “Tantrum”
358 359Aaron Kaufman
11. Res diedolorio raturectusa niat as
secte orestias (Above) laborfer
iwewrt ine rwer wereerveleneitre-
henih itaemeestquia qui dolupit
miluo et ex evmolture, nwerrwee
laceero (Below), voute vosdf sdl
upt atatusquidenturis oloia qui do-
lupit miluo et ex evlesto mollatuia
squidesquidequi ewr erwewse.
12. La star del volante Ken Block ha
voluto alzare il tiro per Gymkhana 7
– e con questa incredibile Mustang
ci è riuscito in pieno.
Più veloce,
Hoonicorn!
Uccidi!
Uccidi!
Ken Block:
Hoonicorn RTR
N
on sono tante le auto con la presenza di una Ford Mustang.
Questa vettura ha tutto: una storia illustre, un grande nome,
una forma inconfondibile. Se poi si aggiungono i piloti che
l’hanno guidata – soprattutto Steve McQueen in Bullitt – il confronto
diventa impossibile. I designer non ci hanno messo molto a ispirarsi
al suo profilo classico – e perché non avrebbero dovuto? Qualsiasi
modello reca una traccia della Mustang, dalla Ford Capri alla Celica,
per non parlare di contemporanee come la Camaro e la Barracuda.
Ma ai suoi tempi la Mustang è stata l’auto che ha aperto una nuova
ed elettrizzante era della produzione americana. Con lei nasceva la
cosiddetta “Pony car” a due porte con tettuccio aperto, speciale per
stile e prestazioni e alla portata delle masse. È per questo che, quando
il pilota di rally e campione di stunt Ken Block ha voluto abbandonare
i motori moderni che fa ruggire negli special della serie Gymkhana
per passare a qualcosa di diverso, gli è venuto naturale pensare alla
Mustang.
386 387Ken Block
13. Il campione di rally Ken Block,
il team della Hoonigan Racing
Division e ASD Motorsports
hanno creato l’auto per il settimo
episodio della serie Gymkhana
Costruttore: Hoonigan Racing
Division/ASD Motorsports
Progetto: Hoonicorn RTR
Produttore: Ford
Modello: Mustang
Categoria: Racecar
Rebuild:
Anno di produzione: 1965
Motore: V8 Roush Yates da 6.7 l, 8x corpi far-
fallati Kinsler, centralina MoTeC; 845 CV; coppia
massima: 976 Nm
Trasmissione: A 6 velocità Sadev SC90-24,
trazione integrale con freno a mano idraulico,
frizione a triplo disco Quarter Master da 7.25’’,
differenziali ant./post. ST03
Cerchi/Pneumatici: Cerchi Fifteen52 R40
18 × 10.5, pneumatici custom Pirelli Trofeo R
295/30R18 con mescola personalizzata
per Ken Block
Modifiche carrozzeria: Carrozzeria widebody
di una Ford Mustang del 1965 disegnata da RTR,
Ken Block e Hoonigan, ASD Motorsports; pannelli
in fibra di carbonio RTR
Modifiche telaio: Progettate e fabbricate
da ASD Motorsports, ammortizzatori JRi di tipo
cantilever, molle Eibach; telaio tubolare e supporti
sospensioni ant. /post.
Modifiche interni: Rollcage e barre porte RSD
Motorsports, cruscotto in fibra di carbonio mod-
ello unico, display MoTeC, sedili da corsa Recaro,
cinture Sparco, strumentazione custom Auto
Meter Hoonigan, freno a mano Hoonigan
Vernice: Modello unico
Altre modifiche: Disco frizione “usa e getta”
Supporto: Vaughn Gittin Jr., Hoonigan, ASD
Motorsports
Tempi di lavorazione: Due anni
Luogo: Charlotte, NC, USA
Prezzo al dettaglio: Non disponibile
Hoonicorn RTR
Ma quest’auto viene da molto lontano. Non è chiaro chi abbia
iniziato a chiamarla “Mustang”, dal nome del caccia della seconda
guerra mondiale. Qualcuno dice sia stato il progettista della Ford John
Naijar, altri propendono per il direttore commerciale Robert J. Eggert.
Comunque sia andata, è difficile immaginare di darle un nome diverso.
Il prototipo, sviluppato in meno di due anni, montava stranamente il
motore V4 della tedesca Ford Taunus, che nella sua lunga vita avrebbe
alimentato di tutto, dalla Cortina alla Consul alle prime Saab. Ma la
casa statunitense si rese conto che quel motore modesto non avrebbe
mai attratto i potenziali clienti della Mustang affamati di prestazioni,
e al suo posto fu messo il V8 che tanto affascinava gli acquirenti.
Lanciata nel 1964 come “2+2” – e non più come due posti – l’auto si
basava in gran parte su componenti ben collaudati della Falcon e della
Fairlane. Fu un trionfo immediato – in parte anche grazie a un ruolo in
Goldfinger – e le speranze della Ford di arrivare intorno ai 100.000
esemplari nel primo anno furono superate nel giro di qualche mese.
In meno di due anni dall’esordio, furono vendute circa un milione di auto
attraverso la massiccia rete di concessionari Ford. Anche l’apparizione
sulle copertine di “Newsweek” e “Time” contribuì al successo della
vettura, e a volte i clienti dovevano aspettarne mesi e mesi la consegna.
La Mustang era, e resta tuttora, un’automobile elegante e
splendidamente proporzionata. La Fastback del 1965 è probabilmente
l’espressione più pura della linea, ed è a questo modello che hanno
guardato Block e il suo team. Un’aria risoluta emana dal paraurti
anteriore, dal parabrezza inclinato e dalle sporgenze e rientranze
di quest’auto. I 190 km orari indicati sul cruscotto essenziale non
facevano che aumentarne l’appeal, ma rivestimenti e finiture raffinate
rassicuravano guidatore e passeggeri sul livello di comfort.
Come ha sottolineato la rivista “Road and Track”, le sospensioni
anteriori indipendenti e le molle semiellittiche sulle sospensioni
posteriori erano “tipiche della tradizione di Detroit”. Dimensioni e
lunghezza erano quelle della Ford Falcon – un ulteriore allontanamento
dal prototipo. Ma ai proprietari e ai milioni di ammiratori poco
importavano questi dettagli tecnici. La Mustang era bella, veloce –
soprattutto in una delle tante versioni sportive disponibili –
e secondo molti ha espresso il meglio dell’America su quattro ruote.
Be’, almeno per un po’. I modelli degli anni Settanta e Ottanta non
fecero favori a questa grande icona. Il peso aumentò, le prestazioni
si ridussero, ma soprattutto lo stile divenne meno netto, più confuso.
Una vettura come la Mustang si basava sulla performance, e la Ford
era sempre pronta a creare aggiunte che la migliorassero. Ma era
fondamentale anche lo stile, perché se il bambino che vive in tutti
gli appassionati di auto smette di incollare la faccia alla vetrina del
concessionario, allora tutto è perduto. Ed è qui che entra in scena
la Mustang descritta in queste pagine. Ha un impatto che le prime
Mustang si sognavano, ma è costruita su quello stile e quella presenza
che conquistarono il mondo tra l’inizio e la metà degli anni Sessanta.
E gli ingegneri, progettisti e designer dell’epoca avrebbero approvato
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