1. Tab. 5.1 Tappe di sviluppo della competenza narrativa
Livello
Livello 1 - (2 anni)
Monologo
Livello 2 - (3/4 anni)
Azione/Evento
Livello 3 - (5/6 anni)
Intenzionalità
Livello 4 -
(preadolescenza)
Interpretazione
Struttura della
Trama
Sequenza di eventi
Sequenza di eventi
Eventi e stati del
mondo fisico
collegati a stati
mentali (fare x e y
perché si sente o si
pensa x e y)
Stati mentali collegati
alle caratteristiche
psicologiche dei
personaggi (sentire e
pensare x e y perché
si è un certo tipo di
persona)
Struttura
Linguistica
Successioni
temporali
Scripts (copioni);
Schemi narrativi
Struttura tipica della
no- vella (sequenze di
eventi legate in modo
temporale, causale e
referenziale)
Storia, narrazione con
trama complessa
(sequenze di episodi
legate in modo
temporale, causale e
referenziale)
Prendiamo ora in considerazione i diversi livelli presentati in tabella.
All’età di circa due anni si può parlare di competenza narrativa allo stato nascente, espressa
perlopiù dai soliloqui o monologhi dei piccoli. In essi prevale l’uso di congiunzioni e nessi
temporali. Lo studio più noto al riguardo è costituito da una ricerca longitudinale condotta su
un caso singolo, una bambina americana (Emily), figlia di professori universitari, di cui vennero
audioregistrati i monologhi svolti prima dell’addormentamento serale dall’età di 21 mesi a
quella di tre anni (Nelson, 1989). L’obiettivo dello studio era, fra l’altro, quello di investigare lo
sviluppo della competenza narrativa intesa come capacità di comporre narrativamente dei
significati in un tutto dotato di coerenza (Bruner, Lucariello, 1989; Nelson, 1989; Bruner,
1990). Il confronto tra la produzione linguistica di Emily a 22-23 mesi e quella a 28-33 mesi
rivela un importante cambiamento nella competenza narrativa, che si affina sempre più nella
direzione della costruzione di significati di tipo narrativo.
2. Infatti, nel raccontare gli episodi più significativi vissuti durante il giorno, attraverso
narrazioni autobiografiche, Emily diviene sempre più in grado di esprimere una sequenzialità
lineare e rigorosa di quanto è accaduto durante il giorno; di sviluppare uno specifico interesse
per le forme linguistiche particolarmente idonee a distinguere il canonico, l’ordinario
dall’insolito, dall’“eccezionale”; e di utilizzare la prospettiva, ovvero i due paesaggi o livelli della
narrazione che abbiamo precedentemente descritto: quello delle azioni, dei fatti, e quello della
propria valutazione personale, della coscienza (Tab. 5.1). Bruner e Lucariello (1989), nel
riferirsi alle dimensioni di sequenza, canonicità e prospettiva (su cui ci siamo soffermati
descrivendo le proprietà narrative), riportano particolari indicatori linguistici (markers).
Tab. 5.2 Percentuali dei monologhi di Emily contenenti marcatori narrativi in funzione dell’età (da Nelson,
1989)
Marcatori
Causalità
Canonicità
Prospettiva
Numero Episodi
22-23 mesi
6%
33%
33%
18
28-33 mesi
35%
52%
71%
17
Per esempio (si veda Tab. 5.2), circa la capacità di raccontare secondo la dimensione della
sequenzialità, importante è l’uso delle congiunzioni (“e”) e degli indicatori di tempo (es.:
“prima”, “dopo”, “ieri”, “domani”); rispetto alla canonicità, assumono rilievo i marcatori o indici
di necessità (es.: “dovere”, “bisogna”); riguardo alla dimensione della prospettiva, si ritrovano
indicatori epistemici (espressioni indicanti la posizione conoscitiva del soggetto narrante),
indicatori affettivi (espressioni indicanti affettività, preferenze) e indicatori di consapevolezza
(esprimenti il livello di coscienza della posizione assunta).1
[12]
L’analisi dei monologhi di Emily permette di collegare alcune delle proprietà narrative
descritte nel paragrafo precedente (Bruner, 1991) alle caratteristiche del racconto
autobiografico (del monologo). Tramite esso il bambino, già durante la prima infanzia, si
impegna nel dare coerenza e significato agli eventi della propria esistenza, nel riordinarli in
1
[12] Per un approfondimento degli indicatori linguistici, di cui qui abbiamo riportato solo degli esempi, si vedano Bruner, Lucariello
(1989) e Groppo, Ornaghi (1997). Si noti che Bruner descrive, oltre alle dimensioni di sequenzialità, canonicità e prospettiva, una
quarta dimensione detta intenzionalità; con essa, in questo contesto, l’autore intende riferirsi a marcatori linguistici che esprimono
l’attribuzione del corso dell’azione a una intenzione da parte dell’agente. Nel caso di Emily, data la giovane età, non vi sono
marcatori appartenenti a questa dimensione: ella non ha ancora acquisito la competenza a raccontare la consapevolezza di essere la
causa (appunto intenzionale) di determinate azioni.
3. base a principi di sequenzialità e canonicità e pertanto nel “collocarsi” o “situarsi” all’interno del
proprio micro-cosmo culturale.
Nel corso del terzo anno di vita, lo sviluppo linguistico subisce un incremento notevolissimo
a tutti i livelli (da quello lessicale a quello pragmatico, come abbiamo visto nel quarto capitolo).
Via via si accresce l’utilizzo di marcatori causali, e intorno ai quattro anni si formano i primi
copioni (script) o schemi narrativi. A questa età i bambini sanno collegare stati affettivi ed
eventi (per esempio, la contentezza con una visita desiderata), ma solo verso i 5/6 anni tale
collegamento permane nel corso del tempo e porta ad una più intensa connessione tra i due
mondi o paesaggi bruneriani. I bambini, infatti, cominciano ad essere in grado di tenere conto
dell’interiorità, degli stati mentali dei protagonisti (desideri, emozioni, credenze, speranze, e
così via).
Si tratta di un importante progresso cognitivo che permette, nelle parole di Bruner, di
appropriarsi della realtà del possibile (subjunctive reality), quella su cui agisce il pensiero
narrativo.
Tra i 6 e gli 8 anni si incrementa l’abilità a narrare sequenzialmente eventi e stati mentali
che rappresentano un insieme di relazioni causali tra il mondo fisico esterno e il mondo interno
degli stati mentali e affettivi (narrazioni con struttura intenzionale). Intorno agli 8 anni vi è un
ulteriore cambiamento: prima che si arrivi alla soluzione finale di un racconto il bambino è in
grado di introdurre delle complicazioni. All’età di 10 anni il bambino viene a capo della
complicazione stessa e verso i 13/14 anni, in preadolescenza e adolescenza, introduce nella
narrazione “colpi di scena finali”, artifizi letterari quali il flash back, il racconto dentro un altro
racconto, che richiedono un atto interpretativo da parte del lettore (McKeough, 1997; Bolter,
1991).
Ricapitolando quanto sin qui scritto, perché la competenza narrativa si sviluppi e si costruisca
occorre che vi sia la presenza, nel bambino, di alcune dimensioni o capacità:
1. la capacità linguistica di proiettare eventi nel tempo, comprese le relazioni temporali e
causali tra di essi;
2. la capacità di formulare discorsi collegati, utilizzando apparati linguistici coesivi, e di
comprendere i discorsi così collegati;
3. l’abilità di distinguere il canonico dal non-canonico e di marcare gli eventi in termini di
necessità, probabilità ed incertezza;
4. la capacità di assumere il punto di vista dei diversi personaggi e delle diverse collocazioni
temporali e spaziali;
5. la capacità di risolvere problemi (come l’allontanamento dal corso atteso degli eventi) in
termini comprensibili dal punto di vista umano e culturale;
6. la capacità i riconoscere e riformulare temi culturalmente importanti e significativi.
Naturalmente queste dimensioni o capacità non si sviluppano nel vuoto. Come parte di una
più generale competenza comunicativa e linguistica la produzione di storie e narrazioni
nell’infanzia e nell’adolescenza poggia su alcuni presupposti di tipo sociale e cognitivo su cui ci
siamo soffermati nel corso del volume. Alcuni, in particolare, meritano di essere qui
richiamati:
-l’intersoggettività, ovvero la possibilità che precocemente si sia sviluppato un dialogo
4. comunicativo, forme di proto-conversazioni tra madre e bambino attraverso la creazione di
format interattivi, di strutture di sostegno (scaffolding) e contesti di lettura della mente (mind
reading) che hanno nel bambino sviluppato l’attitudine/motivazione a usare il linguaggio in
modo comunicativo e relazionale;
-lo sviluppo di una teoria della mente interpretativamente orientata2
[13]: perché il bambino
impari a sincronizzare i due paesaggi a cui allude Bruner (1986), a narrare i due piani di un
racconto, deve divenire consapevole della “realtà” degli stati mentali, della realtà del possibile,
dell’ipotetico, dell’interpretabile; e questo, circolarmente, si realizza se nell’adulto vi è la
capacità e il desiderio di narrare al bambino, di dare senso agli eventi della sua vita costruendo
storie in cui ciò che accade si rapporta a ciò che è canonico sia perché è conforme sia perché
se ne discosta;
- lo sviluppo di un sistema di rappresentazioni mentali di eventi (si veda il modello del MERs
proposto da Nelson, 1996)3
[14]- un sistema di rappresentazioni generali o specifiche
(includenti anche la nozione di script) - che in virtù della loro caratterizzazione in termini di
sequenze temporali e causali fornisce supporto allo sviluppo della competenza narrativa.
5.4 Deficit della competenza narrativa e autismo infantile
Di recente Bruner e Feldman (1993) hanno sottolineato che l’autismo infantile non solo può
essere studiato in relazione a un mancato sviluppo di una “teoria della mente”, come
suggeriscono gli approcci cognitivi negli ultimi anni (ad es., Baron-Cohen, Tager-Flusberg,
Cohen, 1993; Baron-Cohen, 1995), ma anche in rapporto a un inadeguato funzionamento del
pensiero narrativo e a un deficit della competenza narrativa. La spinta, naturale o culturale che
sia, alla narrazione (si veda Bruner, 1999) è riscontrabile nei comportamenti sociali e
comunicativi che precocemente danno vita ai format su cui ci siamo soffermati nel quarto
capitolo.
Tali format, che non compaiono nell’interazione del bambino autistico con l’adulto, hanno essi
stessi (seguendo gli autori) una struttura narrativa: ‘‘c’è uno stato iniziale canonico di stabilità,
seguito da un qualche evento precipitante, cui segue il restauro delle condizioni di partenza e
infine una coda in cui si annuncia che il gioco è terminato’’ (Bruner, Feldman, 1993, p. 88).
Attraverso la partecipazione ai format il bambino, di norma, viene a conoscenza degli stati
intenzionali, delle emozioni e dei desideri umani, riconoscendoli in se stesso e nell’altro. A
partire, poi, dai 2/3 anni la costruzione di storie diviene un’attività che caratterizza sempre più
chiaramente l’interazione comunicativa tra adulto e bambino (Nelson, 1989, 1992).
L’incapacità di partecipare alle narrazioni, la mancanza di una spinta a narrare compromettono
pesantemente la vita sociale del bambino autistico e lo sviluppo di una teoria della mente che
gli autori (si veda anche Astington, 1990) mettono in relazione con la capacità di sincronizzare
i due piani di un racconto, quello dei fatti (mondo esterno) e quello della coscienza (mondo
interno).
2
[13] Si veda, riguardo a questo aspetto, Brockmeier, 1997a.
3
[14] Con tale sigla l’autrice si riferisce al mental event representations, un sistema cognitivo di organizzazione degli eventi
individuali e sociali che riflette la tendenza degli esseri umani, conquistata attraverso l’evoluzione, a ‘parcellizzare’ il mondo, cioè ad
organizzarlo percettivamente e cognitivamente, secondo certe modalità (per esempio, secondo rapporti di parte/tutto, figura/sfondo).