1. Bruno Vivaldi
Come avvengono frane ed inondazioni – Cause ambientali
Ho già accennato tempo fa su informAzione sostenibile ( link :
http://www.informazionesostenibile.info/wp-
content/themes/infosostenibile2008/images//2009/10/pinete-di-liguria.pdf ) a
come le variazioni del microclima della fascia costiera ligure possano influire su
tutti gli ecosistemi dell'entroterra, causando dissesto idrico, con conseguenti
fenomeni di inondazioni e frane . (per le 5 terre vedasi pagina regionale de “La
Nazione” del 22 febbraio 1993....)
La presenza dei manufatti (ponti, strade, ecc.) che impediscono o intralciano la
corretta regimazione delle acque, costituisce soltanto un ulteriore problema, ma
non è sicuramente la causa principale dei disastri .
La risposta immediata e coordinata alle emergenze da parte degli organi di
soccorso è sicuramente importante nella salvaguardia delle vite umane e delle
cose , ma ha anch'essa una carattere secondario se non si fa nulla per prevenire i
disastri , quindi un'azione fattiva finalizzata ad eliminare alla radice le cause che
producono le situazioni a rischio. Quanto si afferma non vale solo per la Liguria,
ma anche per tutti gli altri luoghi dove avvengono fenomeni simili; difatti, se si
analizzano i territori colpiti da eventi calamitosi legati a eccezionali precipitazioni,
si troverà comunanza di squilibri ambientali legati allo stesso tema che tratteremo
in questo scritto.
Purtroppo i meccanismi che regolano il clima sono complessi e sinergici, per cui
non è facile sintetizzarne un'esposizione che non rischi di essere noiosa ed
ingarbugliata, ma in natura tutto è interdipendente e frutto di molte variabili .
Premessa
In questo pianeta, innegabilmente, il clima, parlando in modo grossolano , è
regolato da due fattori principali: la posizione del sole e la vegetazione (vedasi il
link: http://www.terredelsud.org/clima.php .)
La posizione dell'astro che ci regala luce e calore varia rispetto alla Terra secondo
le fasi dell'orbita ed influisce sul clima differenziandosi nelle varie latitudini; così
abbiamo stagioni differenti e contrapposte nei due emisferi ed una certa stabilità
termico/climatica sull'equatore . In pratica, quando in Europa è estate, nel sud
dell'Africa è inverno e viceversa, mentre sulla linea equatoriale è costantemente
caldo .
Le masse oceaniche fungono da importante contenitore ed ammortizzatore
termico , nonché da “polmone” per la regolazione dell'atmosfera, partecipando
allo scambio biologico dei gas ed all'ossigenazione dell'aria grazie anche alla
consistente biomassa della popolazione fotosintetica marina (alghe, idrofite, ecc)
Le masse vegetali, invece , hanno la capacità , tra le altre, di produrre ossigeno e
di “smontare” gli ossidi di carbonio , quindi di mantenere una certa tipologia di
atmosfera che è attualmente vivibile dagli altri esseri viventi, compreso l'uomo. Ma
non tutti tengono in seria considerazione il ruolo fondamentale della vegetazione
nella regolazione del clima in ogni zona del pianeta ed in particolare sulle terre
emerse . In questa sede sarebbe troppo complesso entrare nel merito generale di
tutti i fattori che influenzano le varie fasce climatiche, ma ci soffermeremo su
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2. quello che succede in pratica nell'arco della costa ligure, pesantemente colpita
dalle recenti alluvioni .
Breve analisi ambientale
La fascia costiera ligure è un importante punto d'incontro tra due grandi
ecosistemi complessi : quello marino e quello terrestre ; in particolare (per
latitudine e piano altitudinale ) la nostra costa è sede delle sclerofille sempreverdi
e delle latifoglie termofile . Questi termini significano sostanzialmente che la
vegetazione originaria è formata praticamente da piante “a foglia larga” , con
preponderanza sulla fascia più vicina al mare di piante “a foglia rigida” e
sempreverdi . Un po' insolito come concetto, ma fondamentale per capire i
meccanismi che agiscono sul clima e sull'assetto idrogeologico della Liguria .
Le sclerofille (piante a foglia dura ) sono tra l'altro anche particolarmente resistenti
al vento di mare che è più “salato” per ovvi motivi, le loro foglie hanno un
continuo ricambio, quindi spuntano e cadono continuamente formando , sempre
continuamente, uno strato sul terreno detto “humus” che ha innumerevoli
caratteristiche , ma a noi interessa sapere in questa sede che forma una sorta di
“materassino” che mantiene costanti temperatura ed umidità del terreno ; inoltre
impedisce che l'impatto delle gocce della pioggia dilavino il terreno innescando
smottamenti . L'impatto delle gocce che cadono è già smorzato dalle foglie
(dure) degli alberi e degli arbusti, per cui ciò che arriva sull'humus è già “filtrato” .
Le nostre sclerofille , che poi sono il mirto, il lentisco, il terebinto, il corbezzolo,
l'oleastro, ecc, fino al principe che è il leccio (ci sarebbe anche la quercia da
sughero, a dire il vero...., ma è ormai quasi scomparsa ) hanno radici molto potenti
e sono adatte a formare un reticolo sotterraneo che tiene ben fermo il terreno .
Più a monte trovano alloggio anche le piante a foglia più “morbida” che
cadono- le foglie,ovviamente - nella stagione fredda, consentendo un maggiore
passaggio della radiazione solare laddove l'influsso termico del mare si
affievolisce . Naturalmente la perdita delle foglie forma sempre un congruo strato
di humus che preserva il terreno invernale da sbalzi termici ed igrometrici (oltre a
ripararlo sempre dall'impatto della pioggia, evitando la formazione di
smottamenti). Anche questi alberi hanno un apparato radicale di tutto rispetto
che svolge una fondamentale azione di tenuta nel terreno dei pendii . Per
conoscere meglio questa categoria di piante sarà opportuno citare almeno
qualche esempio dei principali esponenti locali degli “alti fusti” : il cerro e la
roverella( cugini del leccio nella famiglia delle querce), i frassini (carpinus ed
excelsior) l'ontano, gli aceri ,il ciliegio selvatico ecc. fino alle altitudini del faggio ,
ma un ruolo non meno importante viene svolto dalla cosiddetta “macchia
bassoarbustiva” composta da un'infinità di specie che hanno un ruolo
fondamentale nell'equilibrio idrogeologico dei nostri versanti . Ci sono poi specie
coltivate, come il castagno, che in alcuni punti hanno assunto il valore di bosco,
ma che sono destinate ad una drastica riduzione da fitoepidemie che
imperversano su questi popolamenti a causa dell'abbandono delle pratiche
silvestri.
La nota dolente è costituita dai boschi di Pinus pinaster (una conifera infestante
piantata dall'uomo e diffusasi in modo esponenziale) che, con i loro quasi
trentamila ettari dei quali oltre la metà nella provincia spezzina, occupano
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3. indebitamente spazi che, come abbiamo appena appreso, dovrebbero
appartenere ad altre essenze .
Il meccanismo dello squilibrio
Cosa succede al microclima locale ? Semplice : le pinete non hanno
praticamente humus, per cui il terreno è scoperto, assoggettato a tutte le
situazioni meteorologiche e quando fa molto caldo la terra secca e crepa (è
argillosa) e la prima pioggia che arriva s'insinua nelle fenditure e stacca zolle che
poi serviranno come materiale per le frane.
Nella prima foto il suolo di una pineta dopo il disboscamento ; nella seconda gli effetti del clima secco su
terreni non protetti dall'humus
Inoltre questa movimentazione del terreno influisce pesantemente sulle falde
acquifere sotterranee, cambiandone il corso ed il recapito ; questo significa che
le acque sotterranee possono andare ovunque, quindi alcune “polle” seccano ed
altri luoghi non deputati iniziano a ricevere acque, ovvero a formarsi nuovi canali
che spingono zolle, pietre e producono frane per farsi largo . A quanto detto si
aggiunga l'abbandono delle campagne(con la mancata regimazione delle
acque sui terrazzamenti) , la formazione di nuove strade e l'intubamento dei
torrenti .
Ma i disastri delle pinete del cosiddetto “pino marittimo” non finiscono certo qui:
con il suo apparato radicale molto poco efficiente non trattiene granché il terreno
e la mancanza di humus non forma quella protezione termica necessaria ad
evitare scambi termici con l'aria; ne consegue che nelle stagioni fredde le masse
di vapore acqueo che arrivano dal mare incontrano aria fredda ed improvvisa (il
suolo non ha protezione termica), per cui condensano rapidamente producendo
veri e propri diluvi che ritornano al mare ; nel caso di connubbio tra situazioni
particolarmente umide e giornate a temperature insolitamente elevate (il 25
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4. ottobre eravamo attorno ai 20 °C) una nube particolarmente carica di pioggia
arriva dal mare sulla costa ed incontra una corrente ascensionale calda che la
solleva ad altitudini più elevate; contemporaneamente il vento (il 25 ottobre
spirava l'Ostro ) “stira” il cumulonembo allungandolo in linea retta . Il “cappello”
della nube stirata (che può trovarsi ad alcune migliaia di metri di altezza rispetto
alla base) risente della variazione di quota e si ghiaccia ulteriormente,
schiacciando la nube come una spugna e facendole cedere in poco tempo il
suo immenso carico d'acqua lungo la linea retta sulla quale era stata “stirata” :
questo effetto assomiglia molto ai monsoni tropicali , fenomenologia di
precipitazione che si autorigenera in loco , moltiplicandone la quantità d'acqua
specialmente in funzione dei mutamenti orografici che presentano variazioni
bariche (della pressione atmosferica )nelle diverse vallate . Questa spiegazione è
molto grossolana, dato che in realtà entrano in gioco anche altri fattori , ma rende
per sommi capi l'idea di quanto accaduto .
Nella tabella seguente sono evidenziate le variazioni tipiche della temperatura in
base all'altitudine riferite ad un luogo ove a terra ci sono 15°C e possiamo vedere
che a soli 3.000 metri di altitudine la differenza in negativo è di quasi 20°c.
Altitudine (m) Temperatura(°C) Altitudine (m) Temperatura(°C) Altitudine (m) Temperatura(°C)
0 15,0 5.000 -17,5 10.000 -50,
1.000 8,5 6.000 -24,0 11.000 -56,6
2.000 2,0 7.000 -30,5 12.000 -56,5
3.000 -4,5 8.000 -37,0 13.000 -56,5
4.000 -11,0 9.000 -43,5
Questa situazione generale di squilibrio climatico viene amplificata dalla malattia
che ha colpito le pinete , il Matsucoccus feytaudi, meglio nota come cocciniglia
del pino . Il decorso di tale patologia porta le pinete alla distruzione ed i tronchi,
che hanno perso la resina e sono devastati dai tarli (larve xilofaghe di coleotteri) ,
diventano molto più leggeri e trasportabili dall'acqua, (a questo fattore concorre
anche la perdita della corteccia , rendendo i tronchi estremamente lisci e
scorrevoli )per cui è facile trovarne consistenti cataste ai piedi dei declivi, dove
solitamente scorrono i torrenti .
Le “dighe” formate da queste masse di legname occludono la normale portata
dei corsi d'acqua per poi cedere improvvisamente creando onde di piena
estremamente pericolose . Inoltre nei boschi di pinastro colpiti dalla cocciniglia le
piante morte lasciano considerevoli fosse derivanti dalla marcescenza delle
radici. Queste fosse si riempiono di acqua e poi tracimano trascinando fango e
detriti a valle, contribuendo a “rompere” lo strato di terreno e formando fiumi di
fango .
In questo scenario hanno poi il sopravvento una serie di piante infestanti e
“straniere” (introdotte dall'uomo), tra i quali si annoverano le robinie (dette
“acacie”) e l'ailanto; quest'ultimo da considerare con grande attenzione a causa
della sua nocività ambientale coadiuvata dalla sua rapidità di espansione .
Un altro aspetto importante, legato all'invasione di piante alloctone infestanti è
quella dei popolamenti perifluviali ; la cosiddetta vegetazione riparia .
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5. Prescindendo da tutte le ottime qualità di una corretta vegetazione riparia, in
questa sede saranno considerate soltanto le sue peculiarità in materia di assetto
idrogeologico e climatico : alcune specie vegetali , come i salici, hanno
sviluppato la capacità di resistere fisicamente alle piene fluviali, anche le più
terribili, per cui sono capaci di consolidare efficacemente le sponde evitando
cambiamenti di percorso, erosioni e spesso anche le esondazioni , ma questi
popolamenti hanno necessità di occupare un determinato habitat e se questo
“spazio” è occupato da infestanti che riescono ad avere una crescita maggiore
in tempi considerevolmente più ristretti, nella lotta per la sopravvivenza le nostre
piante riparie hanno la peggio e non riescono più ad avere la loro naturale
espansione, quindi a giocare il loro insostituibile ruolo .
Purtroppo, le infestanti o le piantagioni di origine antropica non hanno grandi
chances quando arrivano le piene improvvise perché vengono sradicate e
portate nella corrente , contribuendo anche loro all'erosione delle sponde ed
alla formazione di dighe e “tappi” contro i ponti .
Le soluzioni
In sintesi, per evitare gran parte degli eventi catastrofici che stanno
catratterizzando questo periodo, basterebbe semplicemente applicare le norme
forestali (come il disatteso D.M. 22.11.96 che prevede la rimozione delle piante
malate ) ed accedere anche ai contributi previsti per i miglioramenti forestali
(Decreto 2 febbraio 2005 , Decreto 23 dicembre 2002 n.44:) , utilizzare la L.R. n° 18
del 1996 in attuazione della L. 04.08.1978, n° 440 che consente l'utilizzo dei terreni
abbandonati ed incolti , impiantare un albero per ogni nato, come previsto ex L.
113/92 (che è una norma dal carattere simbolico, ma pone l'attenzione sul
problema) , e si scoprirebbe che riqualificare i nostri boschi è meno oneroso che
riparare i danni delle frane e senz'altro meno pericoloso . Parallelamente, occorre
pianificare adeguatamente gli interventi negli alvei dei corpi idrici attraverso uno
studio progettuale che affronti il problema nella sua complessità e soprattutto
nella sua genesi , evitando improvvisazioni e dragaggi localizzati che servono a
poco se non si “risolve a monte” . E non si può neppure pensare con
concupiscenza di “approfittarne” per macinare tonnellate di detriti fluviali per
“abbassare le quote” e “compensare le spese” perché sarebbe un ulteriore
dispendio di energie ed inoltre non bisogna dimenticare che le rocce dei nostri
corsi d'acqua contengono significative quantità di asbesto (amianto) per cui la
loro macinazione senza le dovute precauzioni sarebbe un tantino pericolosa .
Bruno Vivaldi
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6. IMMAGINI
esempio di formazione di frana e trasporto occlusivo di legname a valle
in quest'immagine un crinale forestato da Pinus pinaster mostra un evidente fenomeno erosivo di
origine meteorica con formazione di un nuovo canale di raccolta delle acque . Questi canali hanno
bisogno di svariati anni di assesto in quanto il terreno è formato da argilla mista a pietre di
granulometria abbastanza ridotta da essere trasportate dalle piogge , contribuendo alla formazione
dei principi di frana .
Qui sopra si notano i tronchi dei pini morti a causa del Matsucoccus (con i tronchi chiari e
scortecciati) e le parti legnose che vengono trascinate a valle, alcune mettendosi di traverso al corso
del nuovo canale . I tronchi morti in questo modo perdono elasticità e cedono improvvisamente
sotto il peso di grandi masse d'acqua
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7. si noti come la caduta accidentale di un tronco riduca la sezione del canale
l'effetto finale in alveo di un torrente : cumuli di legna che impediscono il corretto deflusso e
contribuiscono all'esodanzione dell'acqua dal suo alveo
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