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A NATALE NASCERA’ UNA SPERANZA ANCHE PER I NOSTRI BAMBINI? Tre pani per togliere loro la fame:  uno di questi potresti  donarlo tu.   Lettera di Natale 2009 di fr.Giacomo Comino (Jim) 
                                                                    Sudan,Khartoum,Natale2009  Carissima Sorella e Caro Fratello nel Signore,  devo confessare che, nonostante la crisi economica, gli aiuti dello scorso anno sono stati   più generosi degli anni precedenti . Per me questo è un segno visibile che il Signore  benedice il nostro lavoro. Anche quest’anno, grazie al suo aiuto, abbiamo potuto  portare avanti il nostro lavoro con i bambini e ragazzi più bisognosi. Nel Centro Sociale di  El   Obeid,  ne abbiamo 410 provenienti dal tormentato  Darfur . A loro offriamo un posto per dormire, vestiti, cibo, cure mediche, una istruzione di base e l’apprendimento di un mestiere. Nello stesso Centro abbiamo altri 400 ragazzi provenienti dalla città di El Obeid e dalle montagne  Nuba : anche a loro diamo un pasto al giorno e insegniamo un mestiere.
                                                                    Nella capitale  Karthoum , nel centro tecnico  St. Joseph,  abbiamo 550 ragazzi provenienti dai campi profughi situati nel deserto della periferia. Ogni giorno  cinque camion li  portano a scuola. Anche ad essi diamo un pasto al giorno consistente in una scodella di fagioli bolliti in acqua con un po’ di olio e tre pani che i ragazzi inzuppano  facendo una specie di delizioso minestrone che mangiano con tanto gusto. Se capita di passar loro vicino ti afferrano per la mano obbligandoti a mangiare con loro. Molti ragazzi portano a casa uno dei tre  pezzi di pane, per la cena.
                                                                    Alcuni giorni fa incontrai Monsignor  Menegazzo  vescovo di una diocesi estesa più di tutta l’Italia; si fece triste in volto e mi disse: “Questa mia povera diocesi è la più sfortunata di tutte le altre diocesi.  Al nord c’è il Darfur, insanguinato da quattro anni di guerriglia, dove la pulizia etnica ha causato più di trecentocinquanta mila vittime, di cui la maggior  parte donne e bambini innocenti. Anche se il governo non è del parere, io lo chiamo “Genocidio” perché mi domando quanti morti ci vogliono per chiamarlo “Genocidio”. Poi c’è la zona della montagne Nuba dove  stanno riarmandosi. Non parliamo poi della zona di  Abiei , ricca di petrolio, dove ci sono continui scontri. Pochi mesi fa c’è stato uno scontro tra  le tribù locali e le milizie statali; in un solo giorno si contarono 185 morti .
 Sono appena tornato  dalla visita delle nostre tre opere salesiane nel Sud Sudan. Vent’anni di guerra hanno ridotto il Sud in un cumulo di macerie, tutto è da ricostruire, non solo le capanne dei  villaggi. La gente a stento riprende il lavoro nei campi perché molte zone sono ancora seminate di mine antiuomo.   In questa visita sono venuto a contatto con una realtà che mi ha letteralmente sconvolto: è la realtà dei  bambini soldato  che sta dilagando con dimensioni preoccupanti.
 
Prima di scrivere questa lettera ho pensato tutta una notte e poi  mi sono chiesto: “Se non ne parlo io che ho visto con i miei occhi questa inumana realtà, chi altro parlerà a nome di questi innocenti, strumentalizzati e addestrati per diventare  orribili macchine da guerra?” Il Natale è la festa dei bambini; Gesù ha sempre voluto che i bambini andassero da Lui. Oggi penso che Egli venga specialmente per questi bambini forzati ad essere dei killers spietati. Già ai suoi tempi Erode, per la fame di potere, ha fatto strage di bambini: quelli furono i primi martiri. .Dicono che nel mondo ci siano circa trecentomila bambini soldato; senza saperlo sono allo stesso tempo vittime e carnefici di un tristissimo e troppo reale gioco infantile.
                                                                    In Africa uno dei capi più atroci dei bambini soldato è un terrorista che si chiama  Joseph Kony  . Vive fra i confini del nord Uganda e il Sudan. Dicono che negli ultimi cinque anni più di ventimila bambini siano stati sequestrati e forzatamente addestrati alla guerriglia. Il suo  esercito si chiama  “Esercito della resistenza del Signore”. Si proclama cristiano, si dice il mandato dal Signore per esercitare la sua incredibile influenza sui bambini e ragazzi.
          Kony è il delinquente più ricercato dell’Africa, il terrore del nord Uganda e del sud Sudan: il suo motto è: “  Uccidi o sarai Ucciso! ”, la sua tecnica è quella di fare razzie di notte nei villaggi, bruciare le capanne, far scappare  la gente e in questa confusione i suoi soldati portano via i bambini dai sette ai tredici anni. Li strappano dalle braccia delle mamme. Se fanno qualche resistenza, le freddano. Nel nord Uganda i bambini, per poter dormire al sicuro, fanno ogni sera chilometri di strada a piedi. Vanno nella cattedrale di  Gulu . Il vescovo stesso viene con la sua coperta e dorme con loro per tranquillizzarli. Più di ventimila bambini sono stati rapiti dai ribelli ed addestrati per combattere e uccidere nella guerriglia.
L’addestramento è talmente inumano che a questi bambini, assetati di amore, mettono tra le braccia la pistola e il fucile mitragliatore  Ak 47, un’arma che risulta sovente più alta di loro e  talmente pesante che i più deboli non riescono a sollevarla. Il capitano dice loro che da quel momento il fucile e la pistola saranno il loro nuovo padre e la loro nuova madre, i loro migliori ed inseparabili amici. Perdere un’arma vuol dire perdere la vita Li obbligano ad odiare incominciando dai propri cari. L’ultimo “test” prima di essere definitivamente arruolati nell’esercito di Kony è quello di ammazzare un amico o un parente.
   Un ragazzo che riuscì a fuggire mi raccontò: ”Dopo alcuni giorni che ci avevano portato via dalle nostre famiglie, il comandante ci chiese se volevamo ritornare dai nostri genitori, naturalmente tutti in coro gridammo di sì! Continuò: “ Se vi lascio andare riuscirete a trovare la vostra casa?” e tutti in coro gridammo ancora più forte di sì! Allora il comandante chiamò degli energumeni con dei bastoni, ci fecero sdraiare a terra e ci bastonarono a sangue; se qualcuno piangeva lo bastonavano fino a farlo morire.  Un altro ragazzo che fu liberato mi raccontò cosa successe ad uno di loro che tentò di fuggire: “Il comandante lo fece legare a un palo dicendo che per i traditori non si spreca neppure una pallottola. Lo bastonò  a sangue e costrinse ognuno di noi a dargli una morsicata e portargli via un pezzo di carne. Dopo un po’  il mio più caro amico morì dissanguato”.
 
 Molte bambine soldato, oltre all’addestramento alla guerriglia come per i bambini, sono usate come “giocattoli” per il sesso. Molte ragazze partoriscono in seguito agli stupri, sono considerate un oggetto usa e getta. Una di loro mi raccontò: “L’uomo a cui fui consegnata aveva altre undici mogli. Io ero solo il suo oggetto di piacere. Col bambino più piccolo legato alla schiena e tenendo l’altro per mano, dovevo andare ogni mattina a  prendere l’acqua al fiume e fare i lavori domestici. Se il bambino piangeva, venivo picchiata.
Una mia compagna, anche lei con un figlio, guardando i miei due, con un candore incredibile mi confessò: “Posso soltanto immaginare chi sia il loro papà… Nessuno di questi ufficiali ha la minima intenzione di prendersi qualche responsabilità per i figli che ci hanno forzato a mettere al mondo. Quando siamo schierate nelle file sull’attenti, sentiamo i neonati nelle camerate che implorano un po' di latte dalle mamme, ma nessun soldato sente nel suo sangue l’eco di quei pianti”. Anche se i  loro figli sono il frutto di  brutali violenze e del loro sfruttamento, esse amano talmente i loro bambini che vivono solo per loro
 Ho incontrato Nancy che mi racconta: “Una mattina stavo allattando il bimbo più  piccolo; all’improvviso siamo stati attaccati dai ribelli. Presi il fucile, mi legai il bambino sulla schiena, mi tirai dietro il secondo bambino che a stento riusciva a camminare e incominciai a correre nella direzione del mio villaggio. Mangiavo qualunque cosa  potesse tenere me e i miei due figli in vita. Dopo cinque giorni, non so come, arrivai al mio villaggio. Ero felice di tornare a casa, ma subito mi sentii persa: i miei compagni mi ignoravano o mi guardavano come un nemico, i miei genitori si rifiutarono di ricevermi. Avevano ragione perché avevo ammazzato tanti del nostro villaggio. Mi rivolsi al centro dei rifugiati dove tuttora vivo.”
Non posso tralasciare la storia di  Sunday   Obote . Lui stesso dopo essere scappato racconta:   “Il nostro capitano ci aveva suggerito come  attaccare il villaggio vicino.  Circondammo il villaggio, la gente quando si accorse che volevamo ucciderli incominciò ad urlare e tentare di fuggire. Il nostro capitano con il suo machete cominciò a uccidere uno dopo l’altro obbligando noi a fare lo stesso. Ad un certo punto mi accorsi  che a pochi passi c’era una bambina sui dieci anni che aveva tra le mani il crocifisso. Tentai di strapparglielo ma lei si mise in ginocchio e mi disse che mi avrebbe perdonato anche se l'avessi uccisa, perché non sapevo quello che facevo. Per me fu come un’ illuminazione di quest’angelo: proprio grazie a quella bambina capii che ero finito in una condizione di schiavitù.
Non riuscii a salvare il mio angelo perché arrivò un mio  compagno che la pugnalò e poi la sgozzò come un capretto da macellare. Nascosi  dentro i miei vestiti. Da quel momento, non so se sia stato il crocifisso o se fosse quel piccolo angelo di bambina, decisi  che alla prima occasione sarei fuggito”.
  I nostri ragazzi del Darfur, chi più chi meno, hanno avuto di queste esperienze terrificanti. Basta guardarli negli occhi per leggere quello che hanno vissuto. Queste storie vere di migliaia di bambini, come quella di Nancy e Sunday Oboto, strappati dalle braccia delle loro mamme,  lasciano  delle ferite indelebili sui loro corpi, nelle loro menti e nelle loro anime e in loro tutta l’umanità perde qualcosa di prezioso. Molti dei nostri ragazzi del Darfur prima  di venire al “Don Bosco”  hanno posato il fucile per prendere in mano la penna e i libri e abbracciare gli strumenti per imparare un mestiere. L’opera di riabilitazione e guarigione dal trauma di questi piccoli è un’opera che richiede tanta pazienza, tanta speranza e tanto amore.
  Il suo aiuto e la sua solidarietà verso i più deboli ci donano la forza di continuare a seminare   amore nella certezza che un giorno questo amore darà i suoi frutti. A Natale il suo dono per questi bambini e ragazzi porterà un sorriso, una speranza, sarà un segno tangibile di amore che li farà sentire non più abbandonati e l’amore che Gesù Bambino è venuto a portare li farà sentire tutti fratelli.   
A nome dei nostri bambini,  ragazzi e Salesiani  BUON NATALE E UN FELICE BUON ANNO  Giacomo Comino ( da 50 anni missionario )  

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A Natale Nascera’ Una Speranza

  • 1. A NATALE NASCERA’ UNA SPERANZA ANCHE PER I NOSTRI BAMBINI? Tre pani per togliere loro la fame: uno di questi potresti  donarlo tu. Lettera di Natale 2009 di fr.Giacomo Comino (Jim) 
  • 2.                                                                     Sudan,Khartoum,Natale2009  Carissima Sorella e Caro Fratello nel Signore, devo confessare che, nonostante la crisi economica, gli aiuti dello scorso anno sono stati  più generosi degli anni precedenti . Per me questo è un segno visibile che il Signore  benedice il nostro lavoro. Anche quest’anno, grazie al suo aiuto, abbiamo potuto  portare avanti il nostro lavoro con i bambini e ragazzi più bisognosi. Nel Centro Sociale di El Obeid, ne abbiamo 410 provenienti dal tormentato Darfur . A loro offriamo un posto per dormire, vestiti, cibo, cure mediche, una istruzione di base e l’apprendimento di un mestiere. Nello stesso Centro abbiamo altri 400 ragazzi provenienti dalla città di El Obeid e dalle montagne Nuba : anche a loro diamo un pasto al giorno e insegniamo un mestiere.
  • 3.                                                                     Nella capitale Karthoum , nel centro tecnico St. Joseph, abbiamo 550 ragazzi provenienti dai campi profughi situati nel deserto della periferia. Ogni giorno  cinque camion li  portano a scuola. Anche ad essi diamo un pasto al giorno consistente in una scodella di fagioli bolliti in acqua con un po’ di olio e tre pani che i ragazzi inzuppano  facendo una specie di delizioso minestrone che mangiano con tanto gusto. Se capita di passar loro vicino ti afferrano per la mano obbligandoti a mangiare con loro. Molti ragazzi portano a casa uno dei tre  pezzi di pane, per la cena.
  • 4.                                                                     Alcuni giorni fa incontrai Monsignor Menegazzo vescovo di una diocesi estesa più di tutta l’Italia; si fece triste in volto e mi disse: “Questa mia povera diocesi è la più sfortunata di tutte le altre diocesi.  Al nord c’è il Darfur, insanguinato da quattro anni di guerriglia, dove la pulizia etnica ha causato più di trecentocinquanta mila vittime, di cui la maggior  parte donne e bambini innocenti. Anche se il governo non è del parere, io lo chiamo “Genocidio” perché mi domando quanti morti ci vogliono per chiamarlo “Genocidio”. Poi c’è la zona della montagne Nuba dove  stanno riarmandosi. Non parliamo poi della zona di Abiei , ricca di petrolio, dove ci sono continui scontri. Pochi mesi fa c’è stato uno scontro tra  le tribù locali e le milizie statali; in un solo giorno si contarono 185 morti .
  • 5.  Sono appena tornato  dalla visita delle nostre tre opere salesiane nel Sud Sudan. Vent’anni di guerra hanno ridotto il Sud in un cumulo di macerie, tutto è da ricostruire, non solo le capanne dei  villaggi. La gente a stento riprende il lavoro nei campi perché molte zone sono ancora seminate di mine antiuomo.   In questa visita sono venuto a contatto con una realtà che mi ha letteralmente sconvolto: è la realtà dei bambini soldato che sta dilagando con dimensioni preoccupanti.
  • 6.  
  • 7. Prima di scrivere questa lettera ho pensato tutta una notte e poi  mi sono chiesto: “Se non ne parlo io che ho visto con i miei occhi questa inumana realtà, chi altro parlerà a nome di questi innocenti, strumentalizzati e addestrati per diventare  orribili macchine da guerra?” Il Natale è la festa dei bambini; Gesù ha sempre voluto che i bambini andassero da Lui. Oggi penso che Egli venga specialmente per questi bambini forzati ad essere dei killers spietati. Già ai suoi tempi Erode, per la fame di potere, ha fatto strage di bambini: quelli furono i primi martiri. .Dicono che nel mondo ci siano circa trecentomila bambini soldato; senza saperlo sono allo stesso tempo vittime e carnefici di un tristissimo e troppo reale gioco infantile.
  • 8.                                                                     In Africa uno dei capi più atroci dei bambini soldato è un terrorista che si chiama Joseph Kony . Vive fra i confini del nord Uganda e il Sudan. Dicono che negli ultimi cinque anni più di ventimila bambini siano stati sequestrati e forzatamente addestrati alla guerriglia. Il suo  esercito si chiama  “Esercito della resistenza del Signore”. Si proclama cristiano, si dice il mandato dal Signore per esercitare la sua incredibile influenza sui bambini e ragazzi.
  • 9.           Kony è il delinquente più ricercato dell’Africa, il terrore del nord Uganda e del sud Sudan: il suo motto è: “ Uccidi o sarai Ucciso! ”, la sua tecnica è quella di fare razzie di notte nei villaggi, bruciare le capanne, far scappare  la gente e in questa confusione i suoi soldati portano via i bambini dai sette ai tredici anni. Li strappano dalle braccia delle mamme. Se fanno qualche resistenza, le freddano. Nel nord Uganda i bambini, per poter dormire al sicuro, fanno ogni sera chilometri di strada a piedi. Vanno nella cattedrale di Gulu . Il vescovo stesso viene con la sua coperta e dorme con loro per tranquillizzarli. Più di ventimila bambini sono stati rapiti dai ribelli ed addestrati per combattere e uccidere nella guerriglia.
  • 10. L’addestramento è talmente inumano che a questi bambini, assetati di amore, mettono tra le braccia la pistola e il fucile mitragliatore  Ak 47, un’arma che risulta sovente più alta di loro e  talmente pesante che i più deboli non riescono a sollevarla. Il capitano dice loro che da quel momento il fucile e la pistola saranno il loro nuovo padre e la loro nuova madre, i loro migliori ed inseparabili amici. Perdere un’arma vuol dire perdere la vita Li obbligano ad odiare incominciando dai propri cari. L’ultimo “test” prima di essere definitivamente arruolati nell’esercito di Kony è quello di ammazzare un amico o un parente.
  • 11.    Un ragazzo che riuscì a fuggire mi raccontò: ”Dopo alcuni giorni che ci avevano portato via dalle nostre famiglie, il comandante ci chiese se volevamo ritornare dai nostri genitori, naturalmente tutti in coro gridammo di sì! Continuò: “ Se vi lascio andare riuscirete a trovare la vostra casa?” e tutti in coro gridammo ancora più forte di sì! Allora il comandante chiamò degli energumeni con dei bastoni, ci fecero sdraiare a terra e ci bastonarono a sangue; se qualcuno piangeva lo bastonavano fino a farlo morire. Un altro ragazzo che fu liberato mi raccontò cosa successe ad uno di loro che tentò di fuggire: “Il comandante lo fece legare a un palo dicendo che per i traditori non si spreca neppure una pallottola. Lo bastonò  a sangue e costrinse ognuno di noi a dargli una morsicata e portargli via un pezzo di carne. Dopo un po’  il mio più caro amico morì dissanguato”.
  • 12.  
  • 13.  Molte bambine soldato, oltre all’addestramento alla guerriglia come per i bambini, sono usate come “giocattoli” per il sesso. Molte ragazze partoriscono in seguito agli stupri, sono considerate un oggetto usa e getta. Una di loro mi raccontò: “L’uomo a cui fui consegnata aveva altre undici mogli. Io ero solo il suo oggetto di piacere. Col bambino più piccolo legato alla schiena e tenendo l’altro per mano, dovevo andare ogni mattina a  prendere l’acqua al fiume e fare i lavori domestici. Se il bambino piangeva, venivo picchiata.
  • 14. Una mia compagna, anche lei con un figlio, guardando i miei due, con un candore incredibile mi confessò: “Posso soltanto immaginare chi sia il loro papà… Nessuno di questi ufficiali ha la minima intenzione di prendersi qualche responsabilità per i figli che ci hanno forzato a mettere al mondo. Quando siamo schierate nelle file sull’attenti, sentiamo i neonati nelle camerate che implorano un po' di latte dalle mamme, ma nessun soldato sente nel suo sangue l’eco di quei pianti”. Anche se i  loro figli sono il frutto di  brutali violenze e del loro sfruttamento, esse amano talmente i loro bambini che vivono solo per loro
  • 15.  Ho incontrato Nancy che mi racconta: “Una mattina stavo allattando il bimbo più  piccolo; all’improvviso siamo stati attaccati dai ribelli. Presi il fucile, mi legai il bambino sulla schiena, mi tirai dietro il secondo bambino che a stento riusciva a camminare e incominciai a correre nella direzione del mio villaggio. Mangiavo qualunque cosa  potesse tenere me e i miei due figli in vita. Dopo cinque giorni, non so come, arrivai al mio villaggio. Ero felice di tornare a casa, ma subito mi sentii persa: i miei compagni mi ignoravano o mi guardavano come un nemico, i miei genitori si rifiutarono di ricevermi. Avevano ragione perché avevo ammazzato tanti del nostro villaggio. Mi rivolsi al centro dei rifugiati dove tuttora vivo.”
  • 16. Non posso tralasciare la storia di Sunday Obote . Lui stesso dopo essere scappato racconta:   “Il nostro capitano ci aveva suggerito come  attaccare il villaggio vicino.  Circondammo il villaggio, la gente quando si accorse che volevamo ucciderli incominciò ad urlare e tentare di fuggire. Il nostro capitano con il suo machete cominciò a uccidere uno dopo l’altro obbligando noi a fare lo stesso. Ad un certo punto mi accorsi  che a pochi passi c’era una bambina sui dieci anni che aveva tra le mani il crocifisso. Tentai di strapparglielo ma lei si mise in ginocchio e mi disse che mi avrebbe perdonato anche se l'avessi uccisa, perché non sapevo quello che facevo. Per me fu come un’ illuminazione di quest’angelo: proprio grazie a quella bambina capii che ero finito in una condizione di schiavitù.
  • 17. Non riuscii a salvare il mio angelo perché arrivò un mio  compagno che la pugnalò e poi la sgozzò come un capretto da macellare. Nascosi  dentro i miei vestiti. Da quel momento, non so se sia stato il crocifisso o se fosse quel piccolo angelo di bambina, decisi  che alla prima occasione sarei fuggito”.
  • 18.   I nostri ragazzi del Darfur, chi più chi meno, hanno avuto di queste esperienze terrificanti. Basta guardarli negli occhi per leggere quello che hanno vissuto. Queste storie vere di migliaia di bambini, come quella di Nancy e Sunday Oboto, strappati dalle braccia delle loro mamme,  lasciano  delle ferite indelebili sui loro corpi, nelle loro menti e nelle loro anime e in loro tutta l’umanità perde qualcosa di prezioso. Molti dei nostri ragazzi del Darfur prima  di venire al “Don Bosco”  hanno posato il fucile per prendere in mano la penna e i libri e abbracciare gli strumenti per imparare un mestiere. L’opera di riabilitazione e guarigione dal trauma di questi piccoli è un’opera che richiede tanta pazienza, tanta speranza e tanto amore.
  • 19.   Il suo aiuto e la sua solidarietà verso i più deboli ci donano la forza di continuare a seminare   amore nella certezza che un giorno questo amore darà i suoi frutti. A Natale il suo dono per questi bambini e ragazzi porterà un sorriso, una speranza, sarà un segno tangibile di amore che li farà sentire non più abbandonati e l’amore che Gesù Bambino è venuto a portare li farà sentire tutti fratelli.  
  • 20. A nome dei nostri bambini,  ragazzi e Salesiani BUON NATALE E UN FELICE BUON ANNO Giacomo Comino ( da 50 anni missionario )