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 I NETWORK NELLE ORGANIZZAZIONI

       KNOWLEDGE INTENSIVE.

                  IL CASO MILK




                    CAPITOLO 1

LA CONOSCENZA E LE ORGANIZZAZIONI
Florindo Russo
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1 LA CONOSCENZA E LE ORGANIZZAZIONI


"La prosperità delle regioni, delle imprese e degli individui dipende dalla
loro capacità di navigare nello spazio del sapere. La potenza ormai deriva
dalla gestione ottimale delle conoscenze, siano esse tecniche, scientifiche
o appartengano all'ambito della comunicazione o ancora abbiano a che
fare con la relazione "etica" con l'altro [...] il sapere è diventato la nuova
infrastruttura".

La frase di Pierre Levy (1992) ben evidenzia l'importanza strategica di
tutte le attività aziendali rivolte alla gestione della conoscenza.
Quest'ultima, nel corso del tempo, ha assunto un ruolo centrale nelle
organizzazioni e oggi è universalmente riconosciuta come una delle
principali risorse - spesso la più importante - che possono determinare il
successo competitivo delle aziende.

Si è verificato un ribaltamento che ha modificato il tradizionale modo di
intendere i fattori critici di successo: elementi come la prossimità alle
materie prime o la disponibilità di capitali, che in passato hanno fatto la
fortuna di molte aziende, hanno perso gradualmente importanza. Al loro
posto emerge, come nuovo fattore critico di successo, la gestione integrata
di tutti quei saperi utili per amministrare le attività di tutti i soggetti che
operano all'interno delle organizzazioni.

Negroponte, direttore del Media Lab del MIT di Boston, con una metafora
assai ardita afferma che stiamo per entrare nella “società dei bit”; una
società in cui le principali risorse scambiate avranno forma digitale
(saranno, cioè, rappresentate da bit), a differenza della società preesistente
in cui le risorse avevano una consistenza fisica, per cui si poteva parlare


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della “società degli atomi”. Mentre l’economia della società degli atomi è
basata essenzialmente sulla produzione di beni fisici, quella della società
dei bit è fondata sulla produzione di informazione e di conoscenza
(Camussone, 2000).

Oggi le economie industrializzate sono quindi guidate dal sapere,
knowledge based economics, come sottolinea l’OCSE nel suo rapporto del
1998, con implicazioni notevoli per le politiche industriali. La conoscenza
costituisce, infatti, il maggior input del processo produttivo ed una delle
variabili fondamentali nel sentiero di espansione di un’impresa. Pertanto,
la carenza di adeguate informazioni ostacola il processo innovativo e
dunque la crescita delle imprese.

Tuttavia, esistono molte organizzazioni che non utilizzano direttamente
tutto il loro potenziale basato sulla conoscenza per affrontare giorno dopo
giorno le dinamiche competitive del mercato, dato che generalmente non
sono supportati i processi di generazione e diffusione della conoscenza, e
la cultura instaurata non aiuta l’uso di questa conoscenza. Perciò risulta
molto probabile che esistono vantaggi competitivi potenziali che non sono
stati considerati direttamente dalla strategia implementata.

E’ in questo punto dove un nuovo focus della cultura organizzativa,
accanto alla tecnologia dell’informazione, può aiutare i processi associati
alla gestione della conoscenza, potenziando la generazione di nuovi
vantaggi competitivi.

Dunque, gestire la conoscenza è diventato un bisogno strategico e le
imprese che sviluppano, acquisiscono e utilizzano la conoscenza, hanno un
vantaggio competitivo indiscutibile: da una parte realizzano benefici per
l’organizzazione, dall’altra ottengono benefici per gli individui.


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Le organizzazioni possono attingere alla propria memoria, accorciando i
tempi e migliorando la qualità delle attività di business; le persone
sviluppano nuove capacità e competenze attraverso continui processi di
knowing: knowledge acquisition, knowledge creation, knowledge sharing,
knowledge utilization ed apprendimento (Mesenzani e Ottaiano, 2000).

Edvinsson afferma che tutti sanno come contare le mele una volta
cresciute, ma il problema è elaborare un sistema di conoscenze delle radici
per determinare come i frutti si svilupperanno (Vigorelli, 2000).

Per comprendere il ruolo della conoscenza all’interno del processo di
valutazione di un’impresa è molto importante considerare le sue strutture
di valore.




1.1 IL VALORE DELLE ORGANIZZAZIONI


Prima di definire il valore di un’organizzazione si deve comprendere il
significato della parola “valore”. Da un punto di vista concreto (e
dell’azionista) si può definire come il valore monetario delle azioni
dell’impresa. Questa definizione può essere rappresentata come segue:




     VALORE DI                       NUMERO                     VALORE SINGOLA
     MERCATO              =           AZIONI             X          AZIONE




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E’ possibile rilevare che il valore di mercato non coincide con il valore
contabile, dovuto alla volatilità dei prezzi, però è interessante notare come,
nonostante questa volatilità, il valore di mercato di queste imprese è
generalmente superiore al loro valore contabile.

In un articolo pubblicato sul Financial Times (24 maggio 2000) si
analizzano il crescente gap tra il valore contabile e il valore di mercato
delle imprese. Il rapporto tra questi due valori è passato da uno a uno dei
tardi anni settanta al sei a uno di oggi.

Secondo Baruch Lev, professore di Accounting and Finance alla Stern
School of Business della New York University, in media il 40% del valore
di mercato di un’azienda non trova riscontro nel bilancio contabile.

Per intendere il concetto di “valore” utilizzato attraverso il valore di
mercato è opportuno analizzare alcuni tra i più rilevanti modelli di
valutazione attualmente esistenti, come il Navigator di Skandia, Dow
Chemical, Intellectual Assets Monitor. Questi modelli, nonostante le loro
differenze, presentano similitudini che possono essere rappresentate
attraverso il modello utilizzato da PricewaterhouseCoopers che definisce il
valore dell’organizzazione nella seguente maniera:




      VALORE DI                      TANGIBLE                      INTANGIBLE
      MERCATO              =          ASSETS              X          ASSETS



                                                         Fonte: PricewaterhouseCoopers




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dove il

Valore di mercato: rappresenta il numero di azioni per il valore di ogni
singola azione.

Tangibile assets: sono gli assets misurati secondo i principi contabili
generalmente accettati. Quindi, sono rappresentati direttamente e
specificamente nei bilanci annuali e coincidono con il capitale contabile, in
termini di capitale fisico e finanziario.

Intangibile assets: sono gli assets associati al capitale intellettuale.

Con questo schema di valutazione possiamo analizzare in maniera globale
ed integrata il concetto di “valore” di un’organizzazione.




1.2 IL CAPITALE INTELLETTUALE



Negli ultimi anni, ha riscosso particolare interesse la teoria basata sulle
risorse, la quale pone la sua attenzione sulle risorse che l’impresa possiede.
Partendo da questa teoria, è ogni giorno sempre più evidente che il valore
di un’organizzazione è relazionato maggiormente con gli aspetti intangibili
che con quelli tangibili, attraverso i quali tradizionalmente si effettua la
valutazione.

Gli aspetti intangibili, in termini di conoscenza, di capitale intellettuale,
sono considerati i fattori critici di successo o le risorse strategiche per la
creazione di valore dell’impresa (Grant, 1996), e ciò comporta la necessità
per l’impresa di sapere quale sia la sua conoscenza disponibile e

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comprendere come acquistarla, applicarla, immagazzinarla e classificarla
(Grant, 1996; Tsoukas, 1996; Spender, 1996), con particolare attenzione
alla creazione di nuova conoscenza applicabile per impresa (Nonaka,
1991, 1994; Nonaka e Takeuchi, 1995; Hedlund e Nonaka, 1993;
Hedlund, 1994)

In tale contesto si giunge alla necessità di dover studiare gli intangible
assets e, a tal proposito, convergono due filoni di pensiero: uno, più
teorico, rappresentato dagli autori della teoria delle risorse e competenze
come Penrose (1959), Wernerfelt (1984), Barney (1986, 1991), Hall
(1992, 1993) e Grant (1991, 1996); l’altro, più pratico, individuabile nel
focus del knowledge management e dell’intellectual capital da autori
come Nonaka (1991, 1994), Nonaka e Takeuchi (1995), Brooking (1997),
Edvinsson e Dragonetti (1997), Sveiby (1997) e Edvinsson e Malone
(1999).

Il concetto di capitale intellettuale è fortemente personalizzato e
relazionato al contesto economico di riferimento ed alla particolare realtà
organizzativa analizzata.

Definire il concetto di capitale intellettuale non è un’operazione semplice,
in virtù del fatto che vuole rappresentare elementi intangibili dal capitale
aziendale. Una considerazione risulta però chiara in merito: il capitale
intellettuale si lega all’insieme delle conoscenze e delle relazioni che
possono essere trasformate in valore (Cravera, Maglione e Ruggieri 2001).
Questa considerazione fonda la sua ragion d’essere sul concetto di
knowledge e su quello di relazioni, sottolineando la peculiarità di estrema
dinamicità dell’intellectual capital.




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L’azione dell’individuo in ambito organizzativo consente di costruire due
tipologie di valore: interno ed esterno (Cravera, Maglione e Ruggieri
2001). Il valore interno è generato quando le decisioni e le azioni delle
persone consentono di costruire beni tangibili, quali macchinari, impianti,
strumenti tecnologici, e di contro beni intangibili, come know-how, idee
per l’innovazione, la cultura aziendale. Quando le azioni individuali sono
rivolti all’esterno, si crea la seconda tipologia di valore, che può essere
rappresentata dalle forme tangibili dei prodotti offerti al mercato e da
quelle intangibili relazionate all’immagine aziendale, alle relazioni con il
cliente.




                                               Fonte: Cravera, Maglione e Ruggeri, 2001




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1.2.1 Elementi


Il capitale intellettuale è, quindi, l’insieme di risorse non finanziarie che
permette all’impresa di generare valore e risposte alle necessità del
mercato aiutandola a sfruttarle le opportunità di business. Queste risorse
possono essere scomposte idealmente in tre macro componenti: umana,
strutturale e relazionale.

Il capitale umano comprende il patrimonio di competenze e capacità
individuali e collettive, la leadership, l’esperienza, la conoscenza e le
abilità dei soggetti che partecipano alla vita dell’organizzazione. Il
capitale umano è la base della generazione degli altri due tipi di capitale
intellettuale; inoltre, non è di proprietà dell’azienda, essa lo possiede ma
può solo, per così dire, “affittarlo” per un determinato periodo di tempo.

Il   capitale   strutturale     è    rappresentato        dalla     conoscenza         che
l’organizzazione riesce ad esplicitare, sistematizzare e internalizzare. Esso
include tutte quelle conoscenze strutturali dalle quali dipende l’efficacia e
l’efficienza dell’impresa e può essere dimensionato attraverso quattro linee
guida. Nel primo si parla di capitale organizzativo in relazione ai processi
organizzativi: la strategia, le dinamiche organizzative, i processi di lavoro;
nel secondo caso ci si riferisce al capitale tecnologico, avendo
maggiormente      riferimento        ai    sistemi      organizzativi:       i    sistemi
d’informazione e comunicazione, i sistemi di pianificazione e controllo, di
gestione, di produzione, la struttura organizzativa, la tecnologia
disponibile; nel terzo caso si parla di capitale codificato, sottolineando il
carattere esplicito di questi elementi organizzativi: documenti, manuali,
database, le proprietà intellettuali quali brevetti; nel quarto si ha riguardo
al capitale innovativo ponendo l’attenzione su fattori di particolare


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immaterialità organizzativa: la vision, la cultura, lo stile aziendale, il know-
how organizzativo, l’immagine interna. Il capitale strutturale è posseduto
dall’impresa, anche qualora i suoi membri la abbandonino, e facilita un
miglioramento del flusso conoscitivo.

Il capitale relazionale è l’espressione del valore del rapporto che sussiste
tra l’azienda e i propri clienti (brand, reputazione, fiducia), della
conoscenza che si può ottenere dalle relazioni con altri agenti dell’intorno
(alleanze, fornitori), nonché dell’inserimento dell’azienda nell’ambiente
economico cha la circonda (mercato, regole, norme). Questo aspetto del
capitale intellettuale non può essere completamente controllato, perché in
parte dipende da relazioni con terzi soggetti esterni all’organizzazione.




                                                     Adattato da: Edvinsson e Malone, 1997




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L’importanza     critica   del     capitale     intellettuale     risiede     nelle    sue
caratteristiche di unicità ed originalità che ne fanno una concreta fonte di
vantaggio competitivo per tutte le imprese. Se, infatti, da un lato, è
difficile estrarre e sistematizzare il patrimonio conoscitivo delle
personalità che costituiscono l’impresa (capitale umano), dall’altro, una
volta che l’azienda è riuscita a farne un proprio patrimonio (capitale
strutturale), questo costituisce un prezioso elemento di unicità e di
vantaggio competitivo estremamente difficile da imitare, capace di creare
valore in termini di relazioni con l’esterno (capitale relazionale). Pertanto,
la vera sfida per le aziende consiste nel migliorare i processi di
acquisizione, di integrazione e di utilizzo della conoscenza, perciò risulta
strategico indagare sugli attuali percorsi della gestione del capitale
intellettuale, della gestione delle conoscenze, del knowledge management
all’interno dell’organizzazione.




1.3 COSA SI INTENDE PER DATO E INFORMAZIONE

Prima di entrare nel vivo del knowledge management è necessario chiarire
tre concetti di base.
Il primo è quello di dati, definibile come registri iconici, simbolici
(fonemici o numerici), per mezzo dei quali si rappresentano fatti, concetti
o istruzioni. Un dato non dice nulla circa il significato di un aspetto del
reale e non ha valore in quanto tale. I dati descrivono unicamente una parte
di ciò che accade nella realtà e non forniscono giudizi di valore o
interpretazioni e, perciò, non sono direttamente rilevanti per l’azione e la
gestione. Nonostante ciò, i dati sono importanti per l’organizzazione



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perché rappresentano la base della creazione dell’informazione. Questa
rappresenta il secondo concetto chiave.
Un aggregato di dati rappresenta un messaggio ma non necessariamente
può essere considerato informazione. Un messaggio, in quanto tale,
necessita di un emittente e di un recettore. Solo se il recettore è informato,
riceve cioè una forma in merito a qualcosa, riceve discernimento,
differenze, allora il messaggio può essere considerato informazione.
Quindi, l’informazione è un insieme di dati, fra di loro relazionati che
assume un significato, contestuale ai dati stessi, capace di informare.
Volendo estremizzare è il recettore, e non l’emittente, che decide se il
messaggio che ha ricevuto è realmente informazione, cioè se realmente
l’ha informato.
In questo contesto l’informazione è considerata esclusivamente dal punto
di vista semantico, in ordine di significati, e non sintattico, in termini
quantitativi, di volume. L’informazione sintattica è qui intesa come dato.
Il terzo concetto di fondo è la conoscenza.




1.4 COSA SI INTENDE PER CONOSCENZA

Ci sono due dimensioni da considerare all’interno del termine conoscenza:
la tacita e l’esplicita. La prima, la tacit knowledge, è legata all’esperienza,
al fisico, alle percezioni cognitive, che non possono essere formalizzate
attraverso codici e strutture comunicative. La seconda, l’explicit
knowledge, è rappresentata da quella componete della conoscenza tacita
che viene ad essere esplicitata attraverso forme di comunicazioni
codificabili. Se l’explicit knowledge è separata dalle stesse persone che
l’hanno codificata, e quindi prodotta, o dall’ambiente nel quale era

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contestualizzata, allora è chiamata informazione semantica (Noboru,
2000). Quindi, l’informazione è conoscenza esplicita decontestualizzata
capace di informare, altrimenti essa può giungere fino al grado di semplice
dato, di informazione sintattica.




                                                                Fonte: Konno, 2000




Polanyi (1966) considera la conoscenza tacita attraverso due visioni: una
statica e l’altra dinamica. La prima descrive le proprietà funzionali della
conoscenza tacita, intesa come oggetto, e come questa può essere utilizzata
in vari contesti; rappresenta gli strumenti intellettuali attraverso i quali
l’uomo può agire. Volendo dare un’applicazione più pratica, la conoscenza
tacita, come oggetto, include elementi cognitivi e tecnici. I primi sono
rappresentabili come modelli mentali, quali metodi, regole, credenze,
teorie, che gli esseri umani creano costruendo e manipolando analogie
nella loro mente al fine di percepire e definire il mondo circostante. Gli

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elementi tecnici, invece, riguardano il know-how, le arti e le abilità
concrete.
La seconda visione, quella dinamica, si riferisce al modo attraverso il
quale nuova conoscenza è acquisita, creata o resa obsoleta, e considera la
conoscenza tacita come processo. Nuove esperienze sono sempre
assimilate attraverso i concetti che l’individuo dispone ed è possibile avere
un senso della realtà che ci circonda solo categorizzandola. Gli schemi di
categorizzazione   sono      gli   strumenti      intellettuali,     precedentemente
evidenziati, e ci permettono di miscelare la vecchia e posseduta
conoscenza con quella nuova e inattesa. Se l’uomo non avesse questa
capacità, non sarebbe capace di vivere nel mondo, perché non riuscirebbe
minimamente a comprenderlo. Questo atto d’integrazione è un atto
informale della mente e non può essere ripetuto da un’operazione formale
(Sveiby, 1997). In questa accezione la conoscenza diventa qualcosa di
intimamente connesso all’azione umana (Nonaka e Takeuchi, 1995).



1.4.1 La natura della conoscenza

Sulla natura della conoscenza, attualmente, prevalgono due visioni.
La cognitivist perspective considera la conoscenza come universale: due
sistemi cogniti dovrebbero raggiungere la stessa rappresentazione dello
stesso oggetto o evento. Quindi, la conoscenza è essenzialmente esplicita,
soggetta a codifica e ad immagazzinamento, facile da trasmettere. In
questo caso si ha riguardo all’ explicit knowledge.
La constructionist perspective considera la dimensione cognitiva non
come un atto di rappresentazione, ma come un atto di costruzione. Dato
che la conoscenza risiede nella mente delle persone ed è legata ai sensi e
alle esperienze, ogni individuo costruirà una visione unica del mondo che

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lo circonda. In tal senso la conoscenza non è universale: in parte risulta
esplicita ed in parte tacita, nel senso di altamente personale, non facile da
esprimere e, quindi, difficilmente trasferibile. In quest’ultimo caso si ha
riguardo alla tacit knowlegde. La parte interessante della constructionist
perspective risiede nell’attenzione data tanto agli aspetti espliciti come a
quelli taciti della conoscenza. In questa visione knowledge management è
qualcosa in più di data warehousing, installazione di Intranet, sviluppo di
sistemi esperti o ridefinizione delle routine organizzative. E’ in questo
contesto che si inseriscono i lavori di Nonaka e Takeuchi (1995), i quali
individuano nella conoscenza tacita la risorsa chiave dell’innovazione
delle imprese giapponesi. La lezione che si può apprendere da queste
knowlegde creating companies è che l’innovazione è il risultato di un
processo organizzativo all’interno del quale i suoi membri condividono
conoscenza tacita, la convertono in conoscenza esplicita in forma di un
concetto di prodotto o servizio, usano la vision o la strategia dell’impresa,
studi di mercato oppure opinioni sociali per giustificare questo concetto e,
finalmente, realizzano il prototipo di un nuovo sistema d’offerta. Il
concetto chiave nella loro teoria è la conoscenza, non come
rappresentazione, ma come credenza giustificata, come processo umano
dinamico di giustificazione delle credenze personali diretto verso la verità.
Da questo punto di vista l’intero processo di knowledge creation, secondo
Nonaka e Takeuchi (1995), è un processo sociale e la giustificazione
diventa pubblica. E’ opportuno sottolineare che la dimensione sociale non
si riscontra in tutte le fasi del processo di creazione, ma solo in quelle dove
ha rilevanza la natura tacita della conoscenza, essendo questa presente solo
nelle persone. Trovandosi in un contesto sociale ogni individuo deve
imbattersi nella sfida di giustificare le sue credenze alla presenza di altri



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soggetti, e questo processo di giustificazione rende la creazione di
conoscenza un processo fragile.




1.4.2 La fragilità del processo di giustificazione pubblica

Von Krogh (1998) sostiene che ci siano quattro barriere al processo di
giustificazione pubblica. La prima è la necessita di un linguaggio
legittimo. La conoscenza tacita, quando esplicitata, richiede uno strumento
che veicoli la comunicazione, richiede un codice, un linguaggio,
comunemente conosciuto e accettato da tutti i membri del contesto sociale
di riferimento, quali il team di lavoro o l’intera organizzazione.
Comunque, alcune conoscenze tacite possono essere espresse solo
attraverso l’utilizzo di parole nuove, non comunemente conosciute o
accettate. Questo è evidente se si riflette sul fatto che l’explicit knowledge
è di per se statica, mentre la tacit knowledge è dinamica ed è questa che
realmente ci permette di comprendere il mondo. Dato che la realtà in cui
viviamo è in continua evoluzione, la conoscenza codificata non può
costantemente rappresentare le nuove relazioni ambientali. Così solo
attraverso nuovi codici è possibile “aggiornare” i nostri strumenti di
codifica, è possibile continuare a favorire il processo di esternalizzazione
della conoscenza tacita; ma ciò richiede che i soggetti, successivamente a
tale fase, riconoscano e accettino questi nuovi termini, questi nuovi codici,
e ciò richiede tempo e sforzi cognitivi, ostacolando il processo di
giustificazione pubblica delle credenze individuali. La seconda barriera è
rappresentata dalle storie e abitudini. Le storie potrebbero essere legate al
successo o al fallimento d’azioni quali l’implementazione di nuove


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strategie, tecnologie, sviluppo di nuovi prodotti o l’inserimento in nuovi
mercati; le abitudini sono rappresentate dalle routine, dal continuo
reiterarsi di azioni che condizionano il comportamento umano. Tutto ciò si
scontra con i tentativi di giustificare le credenze personali, qualora gli
individui siano stati particolarmente influenzati dalle storie e le abitudini
dell’organizzazione. La terza barriera è quella delle procedure formali. Da
un lato rappresentano le esperienze e le soluzioni di successo per problemi
complessi, ma dall’altro lato sono lo strumento attraverso il quale si
definiscono i vari livelli di un processo di pianificazione, stabiliscono i
risultati e le misure per il controllo e, così, possono di fatto influenzare il
processo di giustificazione pubblica delle credenze individuali. La quarta
barriera è definita dai paradigmi dell’organizzazione. Essi si rivelano
attraverso l’intento strategico, la vision, la mission, le strategie, la cultura.
Per motivi di natura politica e culturale le persone troveranno difficoltà a
giustificare le proprie credenze se non sono allineate con questi paradigmi.
Per la constructionist perspective, la fragilità del processo di knowledge
creation rappresenta una della maggiori sfide manageriali. È necessario
ricercare elementi, condizioni che facilitino, “enablers” che permettano al
processo di creazione della conoscenza di realizzarsi facilmente.




1.5 IL CONCETTO DI “BA”


La conoscenza, di per sé, riveste un limitato interesse per l’azienda:
l’interesse si concretizza se la conoscenza è affiancata dalle capacità per
integrarla e per utilizzarla in modo finalizzato. Il concetto di knowledge
value non è assoluto, esso dipende dal luogo, dal momento, e dagli
individui o gruppi che stanno utilizzando quella conoscenza. Quindi, il

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fattore critico di successo risiede nel knowledge management: gestione
integrale della conoscenza organizzativa. La logica di fondo è
rappresentata dalla necessità per l’organizzazione aziendale di affiancare
all’elaborazione della conoscenza la creazione della conoscenza.
Per creazione di conoscenza organizzativa bisogna intendere la capacità
dell’intera organizzazione di generare nuova conoscenza, di diffonderla
all’interno di tutta l’organizzazione, di incorporarla nel sistema d’offerta in
termini di prodotti e servizi, oppure nel sistema delle attività aziendali.
La conoscenza è necessario intenderla come unicamente il prodotto di
singoli individui. Un’organizzazione, in quanto tale, non può creare
conoscenza senza gli individui. L’organizzazione può sostenere i suoi
membri e offrire loro un contesto, una realtà collaborativa, in cui creare
conoscenza. Nonaka e Takeuchi (1995) ritengono che la creazione di
conoscenza     organizzativa      dovrebbe        essere     intesa,     lungo     questa
dimensione, come un processo di diffusione a livello organizzativo della
conoscenza creata dagli individui e di sistematizzazione della stessa entro
la rete di conoscenza dell’organizzazione. Questo processo di diffusione e
di sistematizzazione avrebbe luogo entro quelle che vengono definite
comunità di interazione. (Nonaka e Takeuchi, 1995)
Per indirizzare la comprensione di questa argomentazione è opportuno
introdurre il concetto giapponese di “ba”, traducibile nell’inglese “place”
oppure nell’italiano “luogo”.
Il ba può essere considerato come uno spazio, un ambiente, appunto un
luogo condiviso in cui si manifestano determinate interazioni. Questo
spazio può essere fisico (es. l’ufficio), virtuale (es. e-mail, chatting,
teleconferenze), mentale (es. esperienza condivise, idee, valori), o una
qualsiasi combinazione di questi.



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La creazione di valore, in termini di conoscenza, emerge proprio dalle
interazioni fra tutti i componenti che costituiscono il contesto condiviso.
Esistono differenti livelli di ba e tutti questi livelli, connessi fra di loro,
risultano costituire un più grande ba, definito basho. Quando un individuo
entra in un gruppo di lavoro questo team rappresenta il suo ba, così come
l’organizzazione rappresenta il ba per il team. A sua volta è il mercato a
rappresentare il ba per l’organizzazione.
Il concetto di ba è di fondamentale importanza per il processo di creazione
di conoscenza perché risulta essere la sua struttura portante; questo
processo si amplifica quando tutti i ba congiunti costituiscono il basho
(Nonaka e Konno, 1998).




1.6 UN PROCESSO DI KNOWLEDGE CREATION


All’interno del ba, dove ha luogo il processo di knowledge creation,
Nonaka e Takeuchi (1995) identificano due dimensioni chiave, che
permettono di analizzare il fenomeno: la prima è quella epistemologica,
basata sulla distinzione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita; la
seconda è quella ontologica, in ordine cioè ai soggetti che creano
conoscenza, rappresentata dagli individui, dal gruppo, dall’organizzazione
e dal livello interorganizzativo.




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                                                           Fonte: Nonaka e Takeuchi, 1995


1.6.1 Il piano epistemologico

Per quanto riguarda il piano epistemologico la conoscenza tacita e quella
esplicita non costituiscono entità assolutamente separate, ma dimensioni
mutuamente complementari che interagiscono fra loro in un continuo
interscambio nelle attività degli esseri umani. La conoscenza umana si crea
e si diffonde attraverso l’interazione fra conoscenza tacita ed esplicita.
Questa interazione può essere chiamata conversione di conoscenza
(Nonaka, Takeuchi, 1995) e prende la forma di una spirale, quando si
introduce l’elemento tempo, che ciclicamente permette il ripetere
dell’interazione.
Quindi, il processo di knowledge creation è, in sostanza, un processo di
knowledge convertion.
L’interazione tra la tacit e l’explicit knowledge da vita a quattro modalità
di knowledge convertion.


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                                                        Fonte: Nonaka e Konno, 1998

La socializzazione (da tacit a tacit) è un processo all’interno del quale gli
individui condividono esperienze, emozioni, valori, modelli mentali e
abilità tecniche. Un individuo può acquisire conoscenza tacita dalla
relazione diretta con altri senza l’intervento del linguaggio ma attraverso
l’osservazione, l’imitazione e la pratica. Il semplice trasferimento di
informazione tenderà ad avere poco senso se slegato dalle emozioni che vi
si associano e dai contesti definiti nei quali le esperienze condivise si
radicano. La modalità di socializzazione produce conoscenza simpatetica:
modelli mentali e abilità tecniche condivise, ed è generalmente originata
da un campo d’interazione, che facilita la condivisione delle esperienze e
delle strutture logiche mentali di chi vi partecipa.
L’esteriorizzazione (da tacit a explicit) è la fase di espressione, di codifica,
della conoscenza tacita attraverso concetti espliciti, che assumono la forma
di metafora, analogia, concetto, ipotesi o modello. L’esteriorizzazione
costituisce la chiave alla creazione di conoscenza, perché crea concetti


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nuovi ed espliciti a partire dalla conoscenza tacita. La modalità di
esteriorizzazione produce conoscenza concettuale ed è innescata da un
dialogo o da una riflessione collettiva, in cui l’utilizzo di metafore o
analogie idonee aiuta i soggetti del team a formulare conoscenze tacite.
La combinazione (da explicit a explicit) è un processo mediante il quale è
possibile sistematizzare i concetti in un dato sistema di conoscenza,
mediante la riconfigurazione delle informazioni esistenti attraverso varie
azioni, quali lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione o la
categorizzazione di conoscenze esplicite. L’impiego delle reti informatiche
di comunicazione e dei database facilita questo processo. La modalità di
combinazione produce conoscenza sistemica e si realizza attraverso la
messa in rete di conoscenze consolidate provenienti dall’esterno o
dall’interno dell’organizzazione.
L’interiorizzazione (da explicit a tacit) corrisponde alla fase di traduzione
concreta della conoscenza esplicita in conoscenza tacita. Questa
conversione è facilitata quando la prima è verbalizzata o rappresentata
graficamente in documenti o manuali. La modalità d’interiorizzazione
produce conoscenza operativa ed è innescata dall’apprendimento
attraverso l’esperienza.




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                                                         Fonte: Nonaka e Takeuchi, 1995



Nonaka e Konno (1998) individuano quattro tipi di ba, ognuno dei quali
non solo è relazionato alle quattro modalità di conversione della
conoscenza, ma al tempo stesso sostiene un particolare processo.
L’originating ba è il primario ba dal quale il processo di knowlegde
creation ha inizio e rappresenta la fase della socializzazione; prevale la
dimensione esistenziale (existential): gli elementi fisici e l’esperienza,
l’interazione è face to face. Dall’originating ba emerge l’attenzione,
l’interesse e la fiducia.
L’interacting ba è una struttura più consapevole, rispetto all’originating
ba, e rappresenta la fase dell’esteriorizzazione; prevale la dimensione
riflessiva (reflective): i soggetti possono riflettere non solo sui modelli
mentali condivisi ma, e soprattutto, sui propri schemi logici; l’interazione
è peer to peer.


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Il cyber ba è il luogo di interazione virtuale anziché di spazio e tempo
reale, e rappresenta la fase della combinazione; prevale la dimensione
sistemica (systemic): la conoscenza esplicita è sistematizzata nella struttura
organizzativa, l’interazione è group to group.
L’exercising ba rappresenta la fase dell’interiorizzazione; prevale la
dimensione sintetica (syntetic): la conoscenza esplicita è sintetizzata in
conoscenza tacita, l’interazione è on the site.




                                                        Fonte: Nonaka e Konno, 1998

La consapevolezza delle differenti caratteristiche di ciascun ba può
facilitare il processo di knowledge convertion e, quindi, di knowlegde
creation. La conoscenza generata all’interno di ogni ba tramite ogni
processo di conversione non deve essere considerata una semplice
accumulazione di differenti elementi che fra di loro interagiscono, ma
piuttosto come un prodotto dinamico che ciclicamente attraversa ogni ba



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per convertirsi da conoscenza tacita a esplicita e successivamente per
riconvertirsi in tacita.
Pertanto il ba può essere considerato il luogo all’interno del quale
l’informazione è contestualizzata e, quindi, si salda il legame tra questa e
l’explicit knowledge, attraverso la condivisione di circostanze e relazioni.




                                                                  Fonte: Konno, 2000


1.6.2 Il piano ontologico

Per quanto riguarda il piano ontologico, è opportuno ricordare che
all’interno del processo di knowledge creation gli individui e i gruppi
condividendo explicit e tacit knowledge possono creare nuova conoscenza,
per incorporarla, in via diretta o mediatica, nel sistema d’offerta, in termini
di prodotti e servizi.


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Il processo in analisi consta di cinque fasi.




                      Fonte: Nonaka-Takeuchi 1995; von Krogh/Nonaka/Ichijo 1998




Nella prima fase la conoscenza tacita degli individui è condivisa. Per poter
realizzare questa condivisione è necessario costituire una micro comunità,
un campo d’interazione composto da individui con backgrounds, punti di
vista e motivazioni diverse, che abbiano una visione condivisa dei compiti
da svolgere e dei valori che permettono di guidare l’operare dei singoli.
Deve instaurarsi un clima di fiducia reciproca affinché ci possa essere una
reale condivisione della componente tacita della conoscenza, vivendo
emozioni ed esperienze simili, condividendo sentimenti e modelli mentali.
Per costituire queste micro comunità bisogna individuare le fonti della
tacit knowledge, non solo in termini di individui appartenenti
all’organizzazione, ma anche di fornitori, clienti, partner e qualsiasi
stakeholder che potenzialmente può favorire il processo di creazione di
conoscenza.



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La seconda fase è rappresentata dalla creazione di concetti. Quando nel
campo d’interazione si è formato un modello mentale condiviso, la micro
comunità incomincia ad articolarlo, attraverso un continuo confronto e una
riflessione collettiva, utilizzando varie forme di linguaggio. Si avvia il
processo di codifica della tacit knowledge, dando vita a una sorte di social
explicit knowledge. Utilizzando e mescolando questi elementi si da vita ad
un nuovo concetto.

Nella terza fase si giustificano i concetti creati. Poiché si considera in tale
contesto la conoscenza come una credenza giustificata, è opportuno che ci
sia la giustificazione delle credenze della micro comunità, rappresentata
dalla formulazione del nuovo concetto. Attraverso una serie di criteri è
possibile valutare il valore potenziale del concetto, non solo per il
consumatore e per l’organizzazione, ma per tutto il sistema di relazione nel
quale l’impresa è inserita. Poiché il concetto di valore non è misurabile
solo attraverso elementi quantitativi, ma anche con elementi qualitativi, è
opportuno utilizzare criteri che soddisfino entrambe le dimensioni. Quindi,
essi non devono essere strettamente obiettivi e quantificabili, ma anche
soggettivi e qualificabili in termini di valore.

La quarta fase è rappresentata dalla costruzione di un archetipo. Il concetto
giustificato viene successivamente convertito in un archetipo, cioè in
un’espressione tangibile e concreta del frutto della micro comunità. Esso
può essere concepito come un prototipo nel caso di sviluppo di un nuovo
prodotto, o come un nuovo schema operativo nel caso di innovazioni
organizzative.

Nella quinta fase, la conoscenza creata è applicata ad un’altra micro
comunità. Il nuovo concetto, creato, giustificato e modellizzato, passa a un
nuovo ciclo di creazione di conoscenza con un livello ontologico

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superiore, attraverso un processo chiamato di interlivellamento della
conoscenza. Questo processo iterativo ha luogo sia su un piano
organizzativo che interorganizzativo. In quest’ultimo, la conoscenza creata
dall’organizzazione può rendere disponibile la conoscenza maturata dai
clienti, dai fornitori, dai concorrenti e da altri soggetti esterni.

E’   possibile    quindi     ridurre     il    gap    temporale       tra   il   processo
d’apprendimento e quello d’insegnamento attraverso il trasferimento dei
risultati ottenuti dalle varie fasi del processo di knowledge creation.




1.6.3 Il valore del “care”

Precedentemente è stato sottolineato che il processo di knowledge creation
è costituito da una serie di fasi che nel loro complesso risultano fragili. E’
opportuno quindi identificare degli elementi, delle condizioni che
facilitino, degli enablers, che favoriscano appunto il verificarsi di questo
processo. Von Krogh (1998) sostiene, attraverso le sue ricerche, di aver
trovato una delle condizioni guida per incrementare il valore delle
relazioni all’interno delle organizzazioni e, quindi, per facilitare l’intero
processo di knowlegde creation. Egli ritiene che il concetto di “care” sia di
particolare rilevanza e comprendere il suo valore per le relazioni
organizzative può essere fondamentale.
Il processo di creazione della conoscenza rappresenta, in fondo, un
processo di comunicazione, che si avvale di differenti strumenti
comunicativi. Questo processo si intensifica quando esistono relazioni
costruttive ed utili, che consentono ai membri dell’organizzazione di
condividere liberamente il loro bagaglio cognitivo confrontandosi su idee e
concetti. Una volta che queste relazioni si sono instaurate si realizza una


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struttura tale da consentire l’esplorazione di territori conoscitivi non
familiari, quali nuovi mercati, nuovi clienti, nuovi prodotti o nuove
tecnologie.
Relazionarsi con care nei confronti di un altro individuo significa poterlo
aiutare ad apprendere, a renderlo consapevole delle relazioni di causa ed
effetto fra gli eventi e contribuire al suo personale processo di knowledge
creation mentre condivide la sua stessa conoscenza tacita.
Le relazioni organizzative possono essere dimensionate attraverso due
elementi, il primo dei quali è l’intensità del care: l’alto care, è
caratterizzato da fiducia reciproca, empatia, aiuto, giudizi indulgenti e
coraggio; il basso care, sottolinea la sfiducia, l’assenza di empatia e di
aiuto, giudizi autoritari e codardia. Il secondo elemento è il tipo di
conoscenza: individuale o sociale. In relazione al grado di care presente
nelle relazioni, il processo di creazione della conoscenza sarà
differentemente considerato. Ci sono due processi rispettivamente a livello
individuale e sociale: capturing e transacting, quando il care è basso, e
bestowing e indwelling quando è alto.




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                                                                 Fonte: von Krog, 1998




Quando il livello di care è basso tra i membri dell’organizzazione, ogni
individuo sarà spinto, quasi naturalmente, a capturing all’interno della sua
mente la conoscenza tacita, piuttosto che a condividerla. Egli sarà costretto
ad imparare nuove competenze solo attraverso se stesso. Lavorando in un
contesto lavorativo isolato, dove i feedbacks con le altre persone sono
limitati, sarà necessario utilizzare solo i propri metodi nell’esecuzione
delle attività da svolgere. Le prove e gli errori coinvolti in questa fase
fanno parte esclusivamente di un processo personale. In questo contesto il
cercare di presentare nuove idee o concetti si scontrerà con i bruschi e duri
giudizi degli altri soggetti coinvolti nel processo di knowledge creation,
rendendo difficile la fase di giustificazione pubblica delle proprie
credenze.   Il    comportamento           organizzativo        sarà     valutato      solo
esclusivamente in relazione alla capacità di dimostrare le proprie

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competenze e non alla capacità di aiutare gli altri, facilitando la
costruzione di schemi mentali che difendono la conoscenza personale
come una sorta di ricchezza non condivisibile. Un siffatto ambiente
competitivo vede il condividere più conoscenza del necessario una
possibile fonte di riduzione personale di potere ed influenza. Quindi, i
soggetti non saranno motivati ad avviare processi di esternalizzazione
della propria conoscenza tacita.
In tale contesto, all’interno del processo di creazione di social knowledge
gli individui tenderanno a transacting la loro conoscenza con quella degli
altri, quasi in un clima di baratto. Per poter effettuare questo scambio la
tacit knowledge deve essere prima esplicitata affinché possa essere
valutata. Devono essere utilizzati linguaggi, analogie o metafore già
definite e accettate dai membri dell’organizzazione, dato il basso livello di
care e, quindi, la bassa propensione dei soggetti a giustificare le credenze
degli altri individui attraverso nuovi paradigmi logici. Ciò crea dei
profondi limiti alla condivisione, dato che alcuni concetti necessitano di
strutture comunicative non convenzionali. La codifica non rivela tutto il
processo d’apprendimento del soggetto, nascondendo le sue prove, i suoi
errori e gli ostacoli affrontati per giungere a quel determinato grado di
conoscenza, impedendo agli utenti di condividere un’importantissima fase
del processo di knowledge creation. Quindi, un’elevata quantità di
conoscenza individuale sviluppata durante la fase del capturing non sarà
trasferita.
Quando all’interno delle relazioni organizzative il livello di care è alto, a
livello individuale il soggetto tende a bestowing la propria conoscenza con
gli altri. L’ambiente di lavoro è tale che il processo d’apprendimento non è
esclusivamente individuale, come nel caso del capturing, ma supportato
dall’attivo aiuto degli altri individui, i quali tendono ad aiutarsi


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reciprocamente, mostrando un mutuo interesse circa le attività di ogni
singolo. Ogni soggetto può liberamente sviluppare soluzioni e concetti
anche attraverso linguaggi, analogie o metafore non convenzionali, dato
che non ci sono particolari limiti al processo di giustificazione delle
proprie credenze, in relazione all’alto livello di care. Il singolo può
beneficiare   delle    difficoltà     e    degli     errori    degli     altri    membri
dell’organizzazione, contribuendo egli stesso al processo d’apprendimento
individuale degli altri attraverso il suo personale aiuto.
Questo particolare processo di apprendimento individuale rappresenta la
base per l’attività dell’indwelling. Quando ci si riferisce all’aspetto sociale
del processo di creazione della conoscenza, in un contesto dove il grado di
care è alto, i soggetti hanno la possibilità di condividere conoscenza tacita
cambiando la prospettiva, mutando la percezione, modificando la visione
del problema oggetto d’analisi. È possibile cambiare il proprio punto di
riferimento, partendo da quello di un altro membro dell’organizzazione,
sfruttando a pieno il processo di condivisione e il bagaglio cognitivo degli
altri. Gli individui si aiutano a vicenda nel ricercare e trovare nuovi
linguaggi, analogie o metafore per poter codificare un nuovo concetto,
giustificando con serenità le credenze personali. In questa fase è possibile
diminuire notevolmente gli aspetti di fragilità del processo di knowledge
creation, grazie alla possibilità di utilizzare un linguaggio non legittimo e
procedure informali, modificare i paradigmi o svincolarsi delle storie e
abitudini dell’organizzazione.




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  • 2. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni 1 LA CONOSCENZA E LE ORGANIZZAZIONI "La prosperità delle regioni, delle imprese e degli individui dipende dalla loro capacità di navigare nello spazio del sapere. La potenza ormai deriva dalla gestione ottimale delle conoscenze, siano esse tecniche, scientifiche o appartengano all'ambito della comunicazione o ancora abbiano a che fare con la relazione "etica" con l'altro [...] il sapere è diventato la nuova infrastruttura". La frase di Pierre Levy (1992) ben evidenzia l'importanza strategica di tutte le attività aziendali rivolte alla gestione della conoscenza. Quest'ultima, nel corso del tempo, ha assunto un ruolo centrale nelle organizzazioni e oggi è universalmente riconosciuta come una delle principali risorse - spesso la più importante - che possono determinare il successo competitivo delle aziende. Si è verificato un ribaltamento che ha modificato il tradizionale modo di intendere i fattori critici di successo: elementi come la prossimità alle materie prime o la disponibilità di capitali, che in passato hanno fatto la fortuna di molte aziende, hanno perso gradualmente importanza. Al loro posto emerge, come nuovo fattore critico di successo, la gestione integrata di tutti quei saperi utili per amministrare le attività di tutti i soggetti che operano all'interno delle organizzazioni. Negroponte, direttore del Media Lab del MIT di Boston, con una metafora assai ardita afferma che stiamo per entrare nella “società dei bit”; una società in cui le principali risorse scambiate avranno forma digitale (saranno, cioè, rappresentate da bit), a differenza della società preesistente in cui le risorse avevano una consistenza fisica, per cui si poteva parlare 1
  • 3. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni della “società degli atomi”. Mentre l’economia della società degli atomi è basata essenzialmente sulla produzione di beni fisici, quella della società dei bit è fondata sulla produzione di informazione e di conoscenza (Camussone, 2000). Oggi le economie industrializzate sono quindi guidate dal sapere, knowledge based economics, come sottolinea l’OCSE nel suo rapporto del 1998, con implicazioni notevoli per le politiche industriali. La conoscenza costituisce, infatti, il maggior input del processo produttivo ed una delle variabili fondamentali nel sentiero di espansione di un’impresa. Pertanto, la carenza di adeguate informazioni ostacola il processo innovativo e dunque la crescita delle imprese. Tuttavia, esistono molte organizzazioni che non utilizzano direttamente tutto il loro potenziale basato sulla conoscenza per affrontare giorno dopo giorno le dinamiche competitive del mercato, dato che generalmente non sono supportati i processi di generazione e diffusione della conoscenza, e la cultura instaurata non aiuta l’uso di questa conoscenza. Perciò risulta molto probabile che esistono vantaggi competitivi potenziali che non sono stati considerati direttamente dalla strategia implementata. E’ in questo punto dove un nuovo focus della cultura organizzativa, accanto alla tecnologia dell’informazione, può aiutare i processi associati alla gestione della conoscenza, potenziando la generazione di nuovi vantaggi competitivi. Dunque, gestire la conoscenza è diventato un bisogno strategico e le imprese che sviluppano, acquisiscono e utilizzano la conoscenza, hanno un vantaggio competitivo indiscutibile: da una parte realizzano benefici per l’organizzazione, dall’altra ottengono benefici per gli individui. 2
  • 4. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Le organizzazioni possono attingere alla propria memoria, accorciando i tempi e migliorando la qualità delle attività di business; le persone sviluppano nuove capacità e competenze attraverso continui processi di knowing: knowledge acquisition, knowledge creation, knowledge sharing, knowledge utilization ed apprendimento (Mesenzani e Ottaiano, 2000). Edvinsson afferma che tutti sanno come contare le mele una volta cresciute, ma il problema è elaborare un sistema di conoscenze delle radici per determinare come i frutti si svilupperanno (Vigorelli, 2000). Per comprendere il ruolo della conoscenza all’interno del processo di valutazione di un’impresa è molto importante considerare le sue strutture di valore. 1.1 IL VALORE DELLE ORGANIZZAZIONI Prima di definire il valore di un’organizzazione si deve comprendere il significato della parola “valore”. Da un punto di vista concreto (e dell’azionista) si può definire come il valore monetario delle azioni dell’impresa. Questa definizione può essere rappresentata come segue: VALORE DI NUMERO VALORE SINGOLA MERCATO = AZIONI X AZIONE 3
  • 5. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni E’ possibile rilevare che il valore di mercato non coincide con il valore contabile, dovuto alla volatilità dei prezzi, però è interessante notare come, nonostante questa volatilità, il valore di mercato di queste imprese è generalmente superiore al loro valore contabile. In un articolo pubblicato sul Financial Times (24 maggio 2000) si analizzano il crescente gap tra il valore contabile e il valore di mercato delle imprese. Il rapporto tra questi due valori è passato da uno a uno dei tardi anni settanta al sei a uno di oggi. Secondo Baruch Lev, professore di Accounting and Finance alla Stern School of Business della New York University, in media il 40% del valore di mercato di un’azienda non trova riscontro nel bilancio contabile. Per intendere il concetto di “valore” utilizzato attraverso il valore di mercato è opportuno analizzare alcuni tra i più rilevanti modelli di valutazione attualmente esistenti, come il Navigator di Skandia, Dow Chemical, Intellectual Assets Monitor. Questi modelli, nonostante le loro differenze, presentano similitudini che possono essere rappresentate attraverso il modello utilizzato da PricewaterhouseCoopers che definisce il valore dell’organizzazione nella seguente maniera: VALORE DI TANGIBLE INTANGIBLE MERCATO = ASSETS X ASSETS Fonte: PricewaterhouseCoopers 4
  • 6. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni dove il Valore di mercato: rappresenta il numero di azioni per il valore di ogni singola azione. Tangibile assets: sono gli assets misurati secondo i principi contabili generalmente accettati. Quindi, sono rappresentati direttamente e specificamente nei bilanci annuali e coincidono con il capitale contabile, in termini di capitale fisico e finanziario. Intangibile assets: sono gli assets associati al capitale intellettuale. Con questo schema di valutazione possiamo analizzare in maniera globale ed integrata il concetto di “valore” di un’organizzazione. 1.2 IL CAPITALE INTELLETTUALE Negli ultimi anni, ha riscosso particolare interesse la teoria basata sulle risorse, la quale pone la sua attenzione sulle risorse che l’impresa possiede. Partendo da questa teoria, è ogni giorno sempre più evidente che il valore di un’organizzazione è relazionato maggiormente con gli aspetti intangibili che con quelli tangibili, attraverso i quali tradizionalmente si effettua la valutazione. Gli aspetti intangibili, in termini di conoscenza, di capitale intellettuale, sono considerati i fattori critici di successo o le risorse strategiche per la creazione di valore dell’impresa (Grant, 1996), e ciò comporta la necessità per l’impresa di sapere quale sia la sua conoscenza disponibile e 5
  • 7. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni comprendere come acquistarla, applicarla, immagazzinarla e classificarla (Grant, 1996; Tsoukas, 1996; Spender, 1996), con particolare attenzione alla creazione di nuova conoscenza applicabile per impresa (Nonaka, 1991, 1994; Nonaka e Takeuchi, 1995; Hedlund e Nonaka, 1993; Hedlund, 1994) In tale contesto si giunge alla necessità di dover studiare gli intangible assets e, a tal proposito, convergono due filoni di pensiero: uno, più teorico, rappresentato dagli autori della teoria delle risorse e competenze come Penrose (1959), Wernerfelt (1984), Barney (1986, 1991), Hall (1992, 1993) e Grant (1991, 1996); l’altro, più pratico, individuabile nel focus del knowledge management e dell’intellectual capital da autori come Nonaka (1991, 1994), Nonaka e Takeuchi (1995), Brooking (1997), Edvinsson e Dragonetti (1997), Sveiby (1997) e Edvinsson e Malone (1999). Il concetto di capitale intellettuale è fortemente personalizzato e relazionato al contesto economico di riferimento ed alla particolare realtà organizzativa analizzata. Definire il concetto di capitale intellettuale non è un’operazione semplice, in virtù del fatto che vuole rappresentare elementi intangibili dal capitale aziendale. Una considerazione risulta però chiara in merito: il capitale intellettuale si lega all’insieme delle conoscenze e delle relazioni che possono essere trasformate in valore (Cravera, Maglione e Ruggieri 2001). Questa considerazione fonda la sua ragion d’essere sul concetto di knowledge e su quello di relazioni, sottolineando la peculiarità di estrema dinamicità dell’intellectual capital. 6
  • 8. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni L’azione dell’individuo in ambito organizzativo consente di costruire due tipologie di valore: interno ed esterno (Cravera, Maglione e Ruggieri 2001). Il valore interno è generato quando le decisioni e le azioni delle persone consentono di costruire beni tangibili, quali macchinari, impianti, strumenti tecnologici, e di contro beni intangibili, come know-how, idee per l’innovazione, la cultura aziendale. Quando le azioni individuali sono rivolti all’esterno, si crea la seconda tipologia di valore, che può essere rappresentata dalle forme tangibili dei prodotti offerti al mercato e da quelle intangibili relazionate all’immagine aziendale, alle relazioni con il cliente. Fonte: Cravera, Maglione e Ruggeri, 2001 7
  • 9. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni 1.2.1 Elementi Il capitale intellettuale è, quindi, l’insieme di risorse non finanziarie che permette all’impresa di generare valore e risposte alle necessità del mercato aiutandola a sfruttarle le opportunità di business. Queste risorse possono essere scomposte idealmente in tre macro componenti: umana, strutturale e relazionale. Il capitale umano comprende il patrimonio di competenze e capacità individuali e collettive, la leadership, l’esperienza, la conoscenza e le abilità dei soggetti che partecipano alla vita dell’organizzazione. Il capitale umano è la base della generazione degli altri due tipi di capitale intellettuale; inoltre, non è di proprietà dell’azienda, essa lo possiede ma può solo, per così dire, “affittarlo” per un determinato periodo di tempo. Il capitale strutturale è rappresentato dalla conoscenza che l’organizzazione riesce ad esplicitare, sistematizzare e internalizzare. Esso include tutte quelle conoscenze strutturali dalle quali dipende l’efficacia e l’efficienza dell’impresa e può essere dimensionato attraverso quattro linee guida. Nel primo si parla di capitale organizzativo in relazione ai processi organizzativi: la strategia, le dinamiche organizzative, i processi di lavoro; nel secondo caso ci si riferisce al capitale tecnologico, avendo maggiormente riferimento ai sistemi organizzativi: i sistemi d’informazione e comunicazione, i sistemi di pianificazione e controllo, di gestione, di produzione, la struttura organizzativa, la tecnologia disponibile; nel terzo caso si parla di capitale codificato, sottolineando il carattere esplicito di questi elementi organizzativi: documenti, manuali, database, le proprietà intellettuali quali brevetti; nel quarto si ha riguardo al capitale innovativo ponendo l’attenzione su fattori di particolare 8
  • 10. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni immaterialità organizzativa: la vision, la cultura, lo stile aziendale, il know- how organizzativo, l’immagine interna. Il capitale strutturale è posseduto dall’impresa, anche qualora i suoi membri la abbandonino, e facilita un miglioramento del flusso conoscitivo. Il capitale relazionale è l’espressione del valore del rapporto che sussiste tra l’azienda e i propri clienti (brand, reputazione, fiducia), della conoscenza che si può ottenere dalle relazioni con altri agenti dell’intorno (alleanze, fornitori), nonché dell’inserimento dell’azienda nell’ambiente economico cha la circonda (mercato, regole, norme). Questo aspetto del capitale intellettuale non può essere completamente controllato, perché in parte dipende da relazioni con terzi soggetti esterni all’organizzazione. Adattato da: Edvinsson e Malone, 1997 9
  • 11. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni L’importanza critica del capitale intellettuale risiede nelle sue caratteristiche di unicità ed originalità che ne fanno una concreta fonte di vantaggio competitivo per tutte le imprese. Se, infatti, da un lato, è difficile estrarre e sistematizzare il patrimonio conoscitivo delle personalità che costituiscono l’impresa (capitale umano), dall’altro, una volta che l’azienda è riuscita a farne un proprio patrimonio (capitale strutturale), questo costituisce un prezioso elemento di unicità e di vantaggio competitivo estremamente difficile da imitare, capace di creare valore in termini di relazioni con l’esterno (capitale relazionale). Pertanto, la vera sfida per le aziende consiste nel migliorare i processi di acquisizione, di integrazione e di utilizzo della conoscenza, perciò risulta strategico indagare sugli attuali percorsi della gestione del capitale intellettuale, della gestione delle conoscenze, del knowledge management all’interno dell’organizzazione. 1.3 COSA SI INTENDE PER DATO E INFORMAZIONE Prima di entrare nel vivo del knowledge management è necessario chiarire tre concetti di base. Il primo è quello di dati, definibile come registri iconici, simbolici (fonemici o numerici), per mezzo dei quali si rappresentano fatti, concetti o istruzioni. Un dato non dice nulla circa il significato di un aspetto del reale e non ha valore in quanto tale. I dati descrivono unicamente una parte di ciò che accade nella realtà e non forniscono giudizi di valore o interpretazioni e, perciò, non sono direttamente rilevanti per l’azione e la gestione. Nonostante ciò, i dati sono importanti per l’organizzazione 10
  • 12. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni perché rappresentano la base della creazione dell’informazione. Questa rappresenta il secondo concetto chiave. Un aggregato di dati rappresenta un messaggio ma non necessariamente può essere considerato informazione. Un messaggio, in quanto tale, necessita di un emittente e di un recettore. Solo se il recettore è informato, riceve cioè una forma in merito a qualcosa, riceve discernimento, differenze, allora il messaggio può essere considerato informazione. Quindi, l’informazione è un insieme di dati, fra di loro relazionati che assume un significato, contestuale ai dati stessi, capace di informare. Volendo estremizzare è il recettore, e non l’emittente, che decide se il messaggio che ha ricevuto è realmente informazione, cioè se realmente l’ha informato. In questo contesto l’informazione è considerata esclusivamente dal punto di vista semantico, in ordine di significati, e non sintattico, in termini quantitativi, di volume. L’informazione sintattica è qui intesa come dato. Il terzo concetto di fondo è la conoscenza. 1.4 COSA SI INTENDE PER CONOSCENZA Ci sono due dimensioni da considerare all’interno del termine conoscenza: la tacita e l’esplicita. La prima, la tacit knowledge, è legata all’esperienza, al fisico, alle percezioni cognitive, che non possono essere formalizzate attraverso codici e strutture comunicative. La seconda, l’explicit knowledge, è rappresentata da quella componete della conoscenza tacita che viene ad essere esplicitata attraverso forme di comunicazioni codificabili. Se l’explicit knowledge è separata dalle stesse persone che l’hanno codificata, e quindi prodotta, o dall’ambiente nel quale era 11
  • 13. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni contestualizzata, allora è chiamata informazione semantica (Noboru, 2000). Quindi, l’informazione è conoscenza esplicita decontestualizzata capace di informare, altrimenti essa può giungere fino al grado di semplice dato, di informazione sintattica. Fonte: Konno, 2000 Polanyi (1966) considera la conoscenza tacita attraverso due visioni: una statica e l’altra dinamica. La prima descrive le proprietà funzionali della conoscenza tacita, intesa come oggetto, e come questa può essere utilizzata in vari contesti; rappresenta gli strumenti intellettuali attraverso i quali l’uomo può agire. Volendo dare un’applicazione più pratica, la conoscenza tacita, come oggetto, include elementi cognitivi e tecnici. I primi sono rappresentabili come modelli mentali, quali metodi, regole, credenze, teorie, che gli esseri umani creano costruendo e manipolando analogie nella loro mente al fine di percepire e definire il mondo circostante. Gli 12
  • 14. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni elementi tecnici, invece, riguardano il know-how, le arti e le abilità concrete. La seconda visione, quella dinamica, si riferisce al modo attraverso il quale nuova conoscenza è acquisita, creata o resa obsoleta, e considera la conoscenza tacita come processo. Nuove esperienze sono sempre assimilate attraverso i concetti che l’individuo dispone ed è possibile avere un senso della realtà che ci circonda solo categorizzandola. Gli schemi di categorizzazione sono gli strumenti intellettuali, precedentemente evidenziati, e ci permettono di miscelare la vecchia e posseduta conoscenza con quella nuova e inattesa. Se l’uomo non avesse questa capacità, non sarebbe capace di vivere nel mondo, perché non riuscirebbe minimamente a comprenderlo. Questo atto d’integrazione è un atto informale della mente e non può essere ripetuto da un’operazione formale (Sveiby, 1997). In questa accezione la conoscenza diventa qualcosa di intimamente connesso all’azione umana (Nonaka e Takeuchi, 1995). 1.4.1 La natura della conoscenza Sulla natura della conoscenza, attualmente, prevalgono due visioni. La cognitivist perspective considera la conoscenza come universale: due sistemi cogniti dovrebbero raggiungere la stessa rappresentazione dello stesso oggetto o evento. Quindi, la conoscenza è essenzialmente esplicita, soggetta a codifica e ad immagazzinamento, facile da trasmettere. In questo caso si ha riguardo all’ explicit knowledge. La constructionist perspective considera la dimensione cognitiva non come un atto di rappresentazione, ma come un atto di costruzione. Dato che la conoscenza risiede nella mente delle persone ed è legata ai sensi e alle esperienze, ogni individuo costruirà una visione unica del mondo che 13
  • 15. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni lo circonda. In tal senso la conoscenza non è universale: in parte risulta esplicita ed in parte tacita, nel senso di altamente personale, non facile da esprimere e, quindi, difficilmente trasferibile. In quest’ultimo caso si ha riguardo alla tacit knowlegde. La parte interessante della constructionist perspective risiede nell’attenzione data tanto agli aspetti espliciti come a quelli taciti della conoscenza. In questa visione knowledge management è qualcosa in più di data warehousing, installazione di Intranet, sviluppo di sistemi esperti o ridefinizione delle routine organizzative. E’ in questo contesto che si inseriscono i lavori di Nonaka e Takeuchi (1995), i quali individuano nella conoscenza tacita la risorsa chiave dell’innovazione delle imprese giapponesi. La lezione che si può apprendere da queste knowlegde creating companies è che l’innovazione è il risultato di un processo organizzativo all’interno del quale i suoi membri condividono conoscenza tacita, la convertono in conoscenza esplicita in forma di un concetto di prodotto o servizio, usano la vision o la strategia dell’impresa, studi di mercato oppure opinioni sociali per giustificare questo concetto e, finalmente, realizzano il prototipo di un nuovo sistema d’offerta. Il concetto chiave nella loro teoria è la conoscenza, non come rappresentazione, ma come credenza giustificata, come processo umano dinamico di giustificazione delle credenze personali diretto verso la verità. Da questo punto di vista l’intero processo di knowledge creation, secondo Nonaka e Takeuchi (1995), è un processo sociale e la giustificazione diventa pubblica. E’ opportuno sottolineare che la dimensione sociale non si riscontra in tutte le fasi del processo di creazione, ma solo in quelle dove ha rilevanza la natura tacita della conoscenza, essendo questa presente solo nelle persone. Trovandosi in un contesto sociale ogni individuo deve imbattersi nella sfida di giustificare le sue credenze alla presenza di altri 14
  • 16. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni soggetti, e questo processo di giustificazione rende la creazione di conoscenza un processo fragile. 1.4.2 La fragilità del processo di giustificazione pubblica Von Krogh (1998) sostiene che ci siano quattro barriere al processo di giustificazione pubblica. La prima è la necessita di un linguaggio legittimo. La conoscenza tacita, quando esplicitata, richiede uno strumento che veicoli la comunicazione, richiede un codice, un linguaggio, comunemente conosciuto e accettato da tutti i membri del contesto sociale di riferimento, quali il team di lavoro o l’intera organizzazione. Comunque, alcune conoscenze tacite possono essere espresse solo attraverso l’utilizzo di parole nuove, non comunemente conosciute o accettate. Questo è evidente se si riflette sul fatto che l’explicit knowledge è di per se statica, mentre la tacit knowledge è dinamica ed è questa che realmente ci permette di comprendere il mondo. Dato che la realtà in cui viviamo è in continua evoluzione, la conoscenza codificata non può costantemente rappresentare le nuove relazioni ambientali. Così solo attraverso nuovi codici è possibile “aggiornare” i nostri strumenti di codifica, è possibile continuare a favorire il processo di esternalizzazione della conoscenza tacita; ma ciò richiede che i soggetti, successivamente a tale fase, riconoscano e accettino questi nuovi termini, questi nuovi codici, e ciò richiede tempo e sforzi cognitivi, ostacolando il processo di giustificazione pubblica delle credenze individuali. La seconda barriera è rappresentata dalle storie e abitudini. Le storie potrebbero essere legate al successo o al fallimento d’azioni quali l’implementazione di nuove 15
  • 17. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni strategie, tecnologie, sviluppo di nuovi prodotti o l’inserimento in nuovi mercati; le abitudini sono rappresentate dalle routine, dal continuo reiterarsi di azioni che condizionano il comportamento umano. Tutto ciò si scontra con i tentativi di giustificare le credenze personali, qualora gli individui siano stati particolarmente influenzati dalle storie e le abitudini dell’organizzazione. La terza barriera è quella delle procedure formali. Da un lato rappresentano le esperienze e le soluzioni di successo per problemi complessi, ma dall’altro lato sono lo strumento attraverso il quale si definiscono i vari livelli di un processo di pianificazione, stabiliscono i risultati e le misure per il controllo e, così, possono di fatto influenzare il processo di giustificazione pubblica delle credenze individuali. La quarta barriera è definita dai paradigmi dell’organizzazione. Essi si rivelano attraverso l’intento strategico, la vision, la mission, le strategie, la cultura. Per motivi di natura politica e culturale le persone troveranno difficoltà a giustificare le proprie credenze se non sono allineate con questi paradigmi. Per la constructionist perspective, la fragilità del processo di knowledge creation rappresenta una della maggiori sfide manageriali. È necessario ricercare elementi, condizioni che facilitino, “enablers” che permettano al processo di creazione della conoscenza di realizzarsi facilmente. 1.5 IL CONCETTO DI “BA” La conoscenza, di per sé, riveste un limitato interesse per l’azienda: l’interesse si concretizza se la conoscenza è affiancata dalle capacità per integrarla e per utilizzarla in modo finalizzato. Il concetto di knowledge value non è assoluto, esso dipende dal luogo, dal momento, e dagli individui o gruppi che stanno utilizzando quella conoscenza. Quindi, il 16
  • 18. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni fattore critico di successo risiede nel knowledge management: gestione integrale della conoscenza organizzativa. La logica di fondo è rappresentata dalla necessità per l’organizzazione aziendale di affiancare all’elaborazione della conoscenza la creazione della conoscenza. Per creazione di conoscenza organizzativa bisogna intendere la capacità dell’intera organizzazione di generare nuova conoscenza, di diffonderla all’interno di tutta l’organizzazione, di incorporarla nel sistema d’offerta in termini di prodotti e servizi, oppure nel sistema delle attività aziendali. La conoscenza è necessario intenderla come unicamente il prodotto di singoli individui. Un’organizzazione, in quanto tale, non può creare conoscenza senza gli individui. L’organizzazione può sostenere i suoi membri e offrire loro un contesto, una realtà collaborativa, in cui creare conoscenza. Nonaka e Takeuchi (1995) ritengono che la creazione di conoscenza organizzativa dovrebbe essere intesa, lungo questa dimensione, come un processo di diffusione a livello organizzativo della conoscenza creata dagli individui e di sistematizzazione della stessa entro la rete di conoscenza dell’organizzazione. Questo processo di diffusione e di sistematizzazione avrebbe luogo entro quelle che vengono definite comunità di interazione. (Nonaka e Takeuchi, 1995) Per indirizzare la comprensione di questa argomentazione è opportuno introdurre il concetto giapponese di “ba”, traducibile nell’inglese “place” oppure nell’italiano “luogo”. Il ba può essere considerato come uno spazio, un ambiente, appunto un luogo condiviso in cui si manifestano determinate interazioni. Questo spazio può essere fisico (es. l’ufficio), virtuale (es. e-mail, chatting, teleconferenze), mentale (es. esperienza condivise, idee, valori), o una qualsiasi combinazione di questi. 17
  • 19. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni La creazione di valore, in termini di conoscenza, emerge proprio dalle interazioni fra tutti i componenti che costituiscono il contesto condiviso. Esistono differenti livelli di ba e tutti questi livelli, connessi fra di loro, risultano costituire un più grande ba, definito basho. Quando un individuo entra in un gruppo di lavoro questo team rappresenta il suo ba, così come l’organizzazione rappresenta il ba per il team. A sua volta è il mercato a rappresentare il ba per l’organizzazione. Il concetto di ba è di fondamentale importanza per il processo di creazione di conoscenza perché risulta essere la sua struttura portante; questo processo si amplifica quando tutti i ba congiunti costituiscono il basho (Nonaka e Konno, 1998). 1.6 UN PROCESSO DI KNOWLEDGE CREATION All’interno del ba, dove ha luogo il processo di knowledge creation, Nonaka e Takeuchi (1995) identificano due dimensioni chiave, che permettono di analizzare il fenomeno: la prima è quella epistemologica, basata sulla distinzione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita; la seconda è quella ontologica, in ordine cioè ai soggetti che creano conoscenza, rappresentata dagli individui, dal gruppo, dall’organizzazione e dal livello interorganizzativo. 18
  • 20. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Fonte: Nonaka e Takeuchi, 1995 1.6.1 Il piano epistemologico Per quanto riguarda il piano epistemologico la conoscenza tacita e quella esplicita non costituiscono entità assolutamente separate, ma dimensioni mutuamente complementari che interagiscono fra loro in un continuo interscambio nelle attività degli esseri umani. La conoscenza umana si crea e si diffonde attraverso l’interazione fra conoscenza tacita ed esplicita. Questa interazione può essere chiamata conversione di conoscenza (Nonaka, Takeuchi, 1995) e prende la forma di una spirale, quando si introduce l’elemento tempo, che ciclicamente permette il ripetere dell’interazione. Quindi, il processo di knowledge creation è, in sostanza, un processo di knowledge convertion. L’interazione tra la tacit e l’explicit knowledge da vita a quattro modalità di knowledge convertion. 19
  • 21. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Fonte: Nonaka e Konno, 1998 La socializzazione (da tacit a tacit) è un processo all’interno del quale gli individui condividono esperienze, emozioni, valori, modelli mentali e abilità tecniche. Un individuo può acquisire conoscenza tacita dalla relazione diretta con altri senza l’intervento del linguaggio ma attraverso l’osservazione, l’imitazione e la pratica. Il semplice trasferimento di informazione tenderà ad avere poco senso se slegato dalle emozioni che vi si associano e dai contesti definiti nei quali le esperienze condivise si radicano. La modalità di socializzazione produce conoscenza simpatetica: modelli mentali e abilità tecniche condivise, ed è generalmente originata da un campo d’interazione, che facilita la condivisione delle esperienze e delle strutture logiche mentali di chi vi partecipa. L’esteriorizzazione (da tacit a explicit) è la fase di espressione, di codifica, della conoscenza tacita attraverso concetti espliciti, che assumono la forma di metafora, analogia, concetto, ipotesi o modello. L’esteriorizzazione costituisce la chiave alla creazione di conoscenza, perché crea concetti 20
  • 22. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni nuovi ed espliciti a partire dalla conoscenza tacita. La modalità di esteriorizzazione produce conoscenza concettuale ed è innescata da un dialogo o da una riflessione collettiva, in cui l’utilizzo di metafore o analogie idonee aiuta i soggetti del team a formulare conoscenze tacite. La combinazione (da explicit a explicit) è un processo mediante il quale è possibile sistematizzare i concetti in un dato sistema di conoscenza, mediante la riconfigurazione delle informazioni esistenti attraverso varie azioni, quali lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione o la categorizzazione di conoscenze esplicite. L’impiego delle reti informatiche di comunicazione e dei database facilita questo processo. La modalità di combinazione produce conoscenza sistemica e si realizza attraverso la messa in rete di conoscenze consolidate provenienti dall’esterno o dall’interno dell’organizzazione. L’interiorizzazione (da explicit a tacit) corrisponde alla fase di traduzione concreta della conoscenza esplicita in conoscenza tacita. Questa conversione è facilitata quando la prima è verbalizzata o rappresentata graficamente in documenti o manuali. La modalità d’interiorizzazione produce conoscenza operativa ed è innescata dall’apprendimento attraverso l’esperienza. 21
  • 23. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Fonte: Nonaka e Takeuchi, 1995 Nonaka e Konno (1998) individuano quattro tipi di ba, ognuno dei quali non solo è relazionato alle quattro modalità di conversione della conoscenza, ma al tempo stesso sostiene un particolare processo. L’originating ba è il primario ba dal quale il processo di knowlegde creation ha inizio e rappresenta la fase della socializzazione; prevale la dimensione esistenziale (existential): gli elementi fisici e l’esperienza, l’interazione è face to face. Dall’originating ba emerge l’attenzione, l’interesse e la fiducia. L’interacting ba è una struttura più consapevole, rispetto all’originating ba, e rappresenta la fase dell’esteriorizzazione; prevale la dimensione riflessiva (reflective): i soggetti possono riflettere non solo sui modelli mentali condivisi ma, e soprattutto, sui propri schemi logici; l’interazione è peer to peer. 22
  • 24. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Il cyber ba è il luogo di interazione virtuale anziché di spazio e tempo reale, e rappresenta la fase della combinazione; prevale la dimensione sistemica (systemic): la conoscenza esplicita è sistematizzata nella struttura organizzativa, l’interazione è group to group. L’exercising ba rappresenta la fase dell’interiorizzazione; prevale la dimensione sintetica (syntetic): la conoscenza esplicita è sintetizzata in conoscenza tacita, l’interazione è on the site. Fonte: Nonaka e Konno, 1998 La consapevolezza delle differenti caratteristiche di ciascun ba può facilitare il processo di knowledge convertion e, quindi, di knowlegde creation. La conoscenza generata all’interno di ogni ba tramite ogni processo di conversione non deve essere considerata una semplice accumulazione di differenti elementi che fra di loro interagiscono, ma piuttosto come un prodotto dinamico che ciclicamente attraversa ogni ba 23
  • 25. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni per convertirsi da conoscenza tacita a esplicita e successivamente per riconvertirsi in tacita. Pertanto il ba può essere considerato il luogo all’interno del quale l’informazione è contestualizzata e, quindi, si salda il legame tra questa e l’explicit knowledge, attraverso la condivisione di circostanze e relazioni. Fonte: Konno, 2000 1.6.2 Il piano ontologico Per quanto riguarda il piano ontologico, è opportuno ricordare che all’interno del processo di knowledge creation gli individui e i gruppi condividendo explicit e tacit knowledge possono creare nuova conoscenza, per incorporarla, in via diretta o mediatica, nel sistema d’offerta, in termini di prodotti e servizi. 24
  • 26. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Il processo in analisi consta di cinque fasi. Fonte: Nonaka-Takeuchi 1995; von Krogh/Nonaka/Ichijo 1998 Nella prima fase la conoscenza tacita degli individui è condivisa. Per poter realizzare questa condivisione è necessario costituire una micro comunità, un campo d’interazione composto da individui con backgrounds, punti di vista e motivazioni diverse, che abbiano una visione condivisa dei compiti da svolgere e dei valori che permettono di guidare l’operare dei singoli. Deve instaurarsi un clima di fiducia reciproca affinché ci possa essere una reale condivisione della componente tacita della conoscenza, vivendo emozioni ed esperienze simili, condividendo sentimenti e modelli mentali. Per costituire queste micro comunità bisogna individuare le fonti della tacit knowledge, non solo in termini di individui appartenenti all’organizzazione, ma anche di fornitori, clienti, partner e qualsiasi stakeholder che potenzialmente può favorire il processo di creazione di conoscenza. 25
  • 27. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni La seconda fase è rappresentata dalla creazione di concetti. Quando nel campo d’interazione si è formato un modello mentale condiviso, la micro comunità incomincia ad articolarlo, attraverso un continuo confronto e una riflessione collettiva, utilizzando varie forme di linguaggio. Si avvia il processo di codifica della tacit knowledge, dando vita a una sorte di social explicit knowledge. Utilizzando e mescolando questi elementi si da vita ad un nuovo concetto. Nella terza fase si giustificano i concetti creati. Poiché si considera in tale contesto la conoscenza come una credenza giustificata, è opportuno che ci sia la giustificazione delle credenze della micro comunità, rappresentata dalla formulazione del nuovo concetto. Attraverso una serie di criteri è possibile valutare il valore potenziale del concetto, non solo per il consumatore e per l’organizzazione, ma per tutto il sistema di relazione nel quale l’impresa è inserita. Poiché il concetto di valore non è misurabile solo attraverso elementi quantitativi, ma anche con elementi qualitativi, è opportuno utilizzare criteri che soddisfino entrambe le dimensioni. Quindi, essi non devono essere strettamente obiettivi e quantificabili, ma anche soggettivi e qualificabili in termini di valore. La quarta fase è rappresentata dalla costruzione di un archetipo. Il concetto giustificato viene successivamente convertito in un archetipo, cioè in un’espressione tangibile e concreta del frutto della micro comunità. Esso può essere concepito come un prototipo nel caso di sviluppo di un nuovo prodotto, o come un nuovo schema operativo nel caso di innovazioni organizzative. Nella quinta fase, la conoscenza creata è applicata ad un’altra micro comunità. Il nuovo concetto, creato, giustificato e modellizzato, passa a un nuovo ciclo di creazione di conoscenza con un livello ontologico 26
  • 28. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni superiore, attraverso un processo chiamato di interlivellamento della conoscenza. Questo processo iterativo ha luogo sia su un piano organizzativo che interorganizzativo. In quest’ultimo, la conoscenza creata dall’organizzazione può rendere disponibile la conoscenza maturata dai clienti, dai fornitori, dai concorrenti e da altri soggetti esterni. E’ possibile quindi ridurre il gap temporale tra il processo d’apprendimento e quello d’insegnamento attraverso il trasferimento dei risultati ottenuti dalle varie fasi del processo di knowledge creation. 1.6.3 Il valore del “care” Precedentemente è stato sottolineato che il processo di knowledge creation è costituito da una serie di fasi che nel loro complesso risultano fragili. E’ opportuno quindi identificare degli elementi, delle condizioni che facilitino, degli enablers, che favoriscano appunto il verificarsi di questo processo. Von Krogh (1998) sostiene, attraverso le sue ricerche, di aver trovato una delle condizioni guida per incrementare il valore delle relazioni all’interno delle organizzazioni e, quindi, per facilitare l’intero processo di knowlegde creation. Egli ritiene che il concetto di “care” sia di particolare rilevanza e comprendere il suo valore per le relazioni organizzative può essere fondamentale. Il processo di creazione della conoscenza rappresenta, in fondo, un processo di comunicazione, che si avvale di differenti strumenti comunicativi. Questo processo si intensifica quando esistono relazioni costruttive ed utili, che consentono ai membri dell’organizzazione di condividere liberamente il loro bagaglio cognitivo confrontandosi su idee e concetti. Una volta che queste relazioni si sono instaurate si realizza una 27
  • 29. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni struttura tale da consentire l’esplorazione di territori conoscitivi non familiari, quali nuovi mercati, nuovi clienti, nuovi prodotti o nuove tecnologie. Relazionarsi con care nei confronti di un altro individuo significa poterlo aiutare ad apprendere, a renderlo consapevole delle relazioni di causa ed effetto fra gli eventi e contribuire al suo personale processo di knowledge creation mentre condivide la sua stessa conoscenza tacita. Le relazioni organizzative possono essere dimensionate attraverso due elementi, il primo dei quali è l’intensità del care: l’alto care, è caratterizzato da fiducia reciproca, empatia, aiuto, giudizi indulgenti e coraggio; il basso care, sottolinea la sfiducia, l’assenza di empatia e di aiuto, giudizi autoritari e codardia. Il secondo elemento è il tipo di conoscenza: individuale o sociale. In relazione al grado di care presente nelle relazioni, il processo di creazione della conoscenza sarà differentemente considerato. Ci sono due processi rispettivamente a livello individuale e sociale: capturing e transacting, quando il care è basso, e bestowing e indwelling quando è alto. 28
  • 30. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni Fonte: von Krog, 1998 Quando il livello di care è basso tra i membri dell’organizzazione, ogni individuo sarà spinto, quasi naturalmente, a capturing all’interno della sua mente la conoscenza tacita, piuttosto che a condividerla. Egli sarà costretto ad imparare nuove competenze solo attraverso se stesso. Lavorando in un contesto lavorativo isolato, dove i feedbacks con le altre persone sono limitati, sarà necessario utilizzare solo i propri metodi nell’esecuzione delle attività da svolgere. Le prove e gli errori coinvolti in questa fase fanno parte esclusivamente di un processo personale. In questo contesto il cercare di presentare nuove idee o concetti si scontrerà con i bruschi e duri giudizi degli altri soggetti coinvolti nel processo di knowledge creation, rendendo difficile la fase di giustificazione pubblica delle proprie credenze. Il comportamento organizzativo sarà valutato solo esclusivamente in relazione alla capacità di dimostrare le proprie 29
  • 31. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni competenze e non alla capacità di aiutare gli altri, facilitando la costruzione di schemi mentali che difendono la conoscenza personale come una sorta di ricchezza non condivisibile. Un siffatto ambiente competitivo vede il condividere più conoscenza del necessario una possibile fonte di riduzione personale di potere ed influenza. Quindi, i soggetti non saranno motivati ad avviare processi di esternalizzazione della propria conoscenza tacita. In tale contesto, all’interno del processo di creazione di social knowledge gli individui tenderanno a transacting la loro conoscenza con quella degli altri, quasi in un clima di baratto. Per poter effettuare questo scambio la tacit knowledge deve essere prima esplicitata affinché possa essere valutata. Devono essere utilizzati linguaggi, analogie o metafore già definite e accettate dai membri dell’organizzazione, dato il basso livello di care e, quindi, la bassa propensione dei soggetti a giustificare le credenze degli altri individui attraverso nuovi paradigmi logici. Ciò crea dei profondi limiti alla condivisione, dato che alcuni concetti necessitano di strutture comunicative non convenzionali. La codifica non rivela tutto il processo d’apprendimento del soggetto, nascondendo le sue prove, i suoi errori e gli ostacoli affrontati per giungere a quel determinato grado di conoscenza, impedendo agli utenti di condividere un’importantissima fase del processo di knowledge creation. Quindi, un’elevata quantità di conoscenza individuale sviluppata durante la fase del capturing non sarà trasferita. Quando all’interno delle relazioni organizzative il livello di care è alto, a livello individuale il soggetto tende a bestowing la propria conoscenza con gli altri. L’ambiente di lavoro è tale che il processo d’apprendimento non è esclusivamente individuale, come nel caso del capturing, ma supportato dall’attivo aiuto degli altri individui, i quali tendono ad aiutarsi 30
  • 32. Florindo Russo I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002 1. La conoscenza e le organizzazioni reciprocamente, mostrando un mutuo interesse circa le attività di ogni singolo. Ogni soggetto può liberamente sviluppare soluzioni e concetti anche attraverso linguaggi, analogie o metafore non convenzionali, dato che non ci sono particolari limiti al processo di giustificazione delle proprie credenze, in relazione all’alto livello di care. Il singolo può beneficiare delle difficoltà e degli errori degli altri membri dell’organizzazione, contribuendo egli stesso al processo d’apprendimento individuale degli altri attraverso il suo personale aiuto. Questo particolare processo di apprendimento individuale rappresenta la base per l’attività dell’indwelling. Quando ci si riferisce all’aspetto sociale del processo di creazione della conoscenza, in un contesto dove il grado di care è alto, i soggetti hanno la possibilità di condividere conoscenza tacita cambiando la prospettiva, mutando la percezione, modificando la visione del problema oggetto d’analisi. È possibile cambiare il proprio punto di riferimento, partendo da quello di un altro membro dell’organizzazione, sfruttando a pieno il processo di condivisione e il bagaglio cognitivo degli altri. Gli individui si aiutano a vicenda nel ricercare e trovare nuovi linguaggi, analogie o metafore per poter codificare un nuovo concetto, giustificando con serenità le credenze personali. In questa fase è possibile diminuire notevolmente gli aspetti di fragilità del processo di knowledge creation, grazie alla possibilità di utilizzare un linguaggio non legittimo e procedure informali, modificare i paradigmi o svincolarsi delle storie e abitudini dell’organizzazione. 31