Tu, silvestro(Una storia d'amore). di Valeria Pucci
Daniel Quinn - My Ishmael (libro in italiano)
1. Daniel Quinn
My Ishmael
Traduzione italiana non ufficiale di Dr. Jackal (nrt_ita@libero.it).
Le altre opere di Daniel Quinn sono disponibili nel sito:
NuovaRivoluzioneTribale.uphero.com
Salve.
Non è molto bello svegliarsi a sedici anni e rendersi conto di essere già
incasinata. Non che ci sia nulla di particolarmente insolito nell'essere già
incasinati a quest'età. Sembra che chiunque nel raggio di ottanta chilometri
stia cercando di renderti la vita un inferno. Ma non molti sedicenni sono
incasinati in questo modo particolare. Non molti hanno l'opportunità di
esserlo.
Ne sono grata. Lo sono davvero.
Ma questa storia non riguarda me a sedici anni. Riguarda qualcosa che
mi è successo quando ne avevo dodici. Quello fu un anno difficile. Mia
madre aveva deciso che tanto valeva essere un'ubriacona a tempo pieno.
Nei tre o quattro anni precedenti aveva cercato di farmi credere di essere
solo una bevitrice occasionale. Ma a quel punto sembrava aver deciso che
dovessi sapere la verità, quindi perché continuare a fingere? Non chiese la
mia opinione al riguardo. Se l'avesse fatto, le avrei detto: “Per favore
continua a fingere, mamma. Soprattutto davanti a me, va bene?”
Questa storia non riguarda mia madre. E' solo che dovete prima capire
alcune cose per essere in grado di capire il resto.
I miei genitori divorziarono quando avevo cinque anni, ma non vi
annoierò con quella storia. Non la conosco nemmeno, quella storia, perché
mia madre la racconta in un modo e mio padre in un altro. (Suona
familiare?)
Comunque sia, mio padre si risposò quando avevo otto anni. Mia madre
fece quasi lo stesso, ma il tizio si rivelò essere un tipo strano, quindi evitò.
Più o meno in quel periodo, cominciò a mettere su un bel po' di peso.
Fortunatamente aveva già un buon lavoro. Dirige il database di un grosso
studio legale in centro. Poi cominciò a fermarsi per “un bicchiere dopo il
2. lavoro”. Fermate piuttosto lunghe.
Nonostante tutto, ogni mattina rotolava fuori dal letto alle sette e
mezza, senza eccezioni. E penso che si fosse data la regola di non
cominciare a bere prima della fine della giornata lavorativa. Tranne nei
finesettimana, naturalmente – ma non voglio scendere in dettagli.
Non ero una bambina felice.
A quel tempo credevo che avrebbe potuto aiutare se avessi recitato il
ruolo della Figlia Obbediente. Quando tornavo da scuola, cercavo di
rimettere la casa in ordine come mia madre l'avrebbe voluta se gliene fosse
ancora importato qualcosa. Questo significava principalmente pulire la
cucina. Il resto della casa non si sporcava mai molto. Ma nessuna di noi
due aveva il tempo di mettersi a pulire la cucina prima di andare al lavoro
o a scuola.
Comunque sia, un giorno stavo raccogliendo i giornali quando qualcosa
nella sezione annunci catturò la mia attenzione. Diceva:
Maestro cerca allievo.
E' richiesto un sincero desiderio di salvare il mondo.
Presentarsi di persona.
Seguiva il numero di una stanza e l'indirizzo di un vecchio edificio
cadente in centro.
Mi colpì che un maestro stesse cercando un allievo. Non aveva alcun
senso. Per gli insegnanti che conoscevo io, cercare un allievo sarebbe stato
come per un cane cercare una pulce.
Poi lessi di nuovo la seconda frase: E' richiesto un sincero desiderio di
salvare il mondo. “Caspita”, pensai, “questo tizio non chiede poi molto.”
La cosa strana è che questo insegnante avrebbe dovuto offrire il proprio
servizio come qualunque altro, e invece non lo stava facendo. Era come
una richiesta di aiuto. Era come se fosse il maestro ad aver bisogno di un
allievo, e non il contrario.
Un brivido mi scorse sulla nuca, e i capelli mi si drizzarono in testa.
“Accidenti”, mi dissi, “io potrei farlo. Potrei essere l'allieva di questo
tizio. Potrei essere utile!”
Qualcosa del genere. Suona ridicolo, adesso, ma quell'annuncio mi
entrò in testa e non ci fu modo di liberarmene. Sapevo dove si trovava
quell'edificio. Tutto ciò che dovevo ricordarmi era il numero della stanza.
Ritagliai ugualmente l'annuncio e lo misi nel cassetto della mia scrivania.
In questo modo se anche fossi caduta, avessi battuto la testa e avessi avuto
3. un'amnesia, l'avrei comunque ritrovato, un giorno.
Doveva essere stato un venerdì sera, perché la mattina dopo rimasi a
letto a pensarci. Sognando a occhi aperti, in realtà.
Del sogno ne parlerò più tardi.
Stanza 105.
La buona notizia è che mia madre non mi controllava un granché. Non
controllava neanche se stessa, quindi deve aver pensato che non avesse
senso controllare me. Comunque sia...
Dopo colazione le dissi: “Sto uscendo”, e lei disse: “D'accordo.” Non:
“Dove stai andando?” o “Quando tornerai?”, solo “D'accordo.”
Presi un autobus per il centro.
Viviamo in una cittadina piuttosto graziosa (non dirò dove
esattamente). Ci possiamo fermare a un semaforo rosso senza che la
macchina ci venga rubata. Le sparatorie sono rare. Non ci sono cecchini
sui tetti. Cose così. Quindi non esitai un attimo ad andare in centro di
sabato mattina da sola.
Conoscevo il palazzo nominato dall'annuncio. Era il Fairfield. Un mio
zio balordo una volta aveva un ufficio lì. L'aveva scelto perché era in una
buona zona ma economico. In altre parole, scadente.
L'ingresso mi riportò alla mente dei ricordi. Aveva proprio l'aspetto
adatto al suo odore: cani bagnati e sigari. Mi ci volle un po' per capire dove
andare. C'erano solo una manciata di uffici al pianterreno, e la stanza 105
non era tra quelli. Finalmente la trovai nel retro, di fronte a dei magazzini e
a un montacarichi.
Mi dissi: “Non può essere quella giusta.” Ma eccola qui, stanza 105.
Mi dissi: “Che sto facendo qui, a ogni modo? Questa porta di sicuro
non è aperta di sabato.” Ma lo era.
Entrai in una stanza enorme e buia. Presi un bel respiro e quasi svenni.
Non erano cani bagnati e sigari stavolta. Era zoo. Non mi dispiacque. Mi
piacciono gli zoo. Ma, come ho detto, la stanza era vuota. C'era una
libreria scalcinata sulla sinistra e una poltrona troppo imbottita sulla destra.
Sembravano avanzi di garage.
“Questo tizio si è trasferito”, mi dissi.
Mi guardai intorno di nuovo. Alte, sporche finestre che davano sulla
strada. Polverose luci industriali che pendevano dal soffitto. Muri scrostati
color pus.
Allora mi dissi: “Va bene, mi trasferisco qui.” Credo di averlo pensato
4. sul serio. Nessuno poteva volere questo posto, giusto? Perché non avrei
potuto averlo io? Voglio dire, aveva già una poltrona, no? Potevo fare a
meno del resto, per il momento.
C'era un elemento che non avevo notato. La poltrona era rivolta verso
una grande lastra di vetro scuro nel bel mezzo del muro di destra. Mi
ricordò il tipo di vetro attraverso cui i testimoni guardano per identificare i
sospettati in un confronto all'americana. Doveva esserci una stanza, lì
dietro, perché c'era una porta accanto alla vetrata. Mi avvicinai per dare
un'occhiata. Appoggiai il naso al vetro e usai le mani per bloccare la luce,
e...
Pensai che fosse un film.
A circa 3 metri dal vetro c'era un enorme, immenso gorilla che se ne
stava seduto a masticare un ramoscello. Mi stava fissando proprio negli
occhi, e improvvisamente capii che non si trattava di un film.
“Cavolo!”, dissi, saltando indietro.
Ero sorpresa ma non proprio spaventata. Mi sentivo come se avessi
dovuto esserlo – voglio dire, mi sarei sgolata se fossi stata il personaggio
di un film – ma il gorilla si limitava a starsene lì seduto. Non so, forse ero
solo troppo intontita per avere paura. A ogni modo, mi gettai un'occhiata
alle spalle per essere sicura di poter arrivare facilmente alla porta.
Poi socchiusi gli occhi per controllare che il gorilla fosse tranquillo. Lo
era. Non ebbe nemmeno un fremito, o me la sarei data a gambe.
Va bene. Dovevo capirci qualcosa.
Il maestro non si era trasferito. Voglio dire, chi avrebbe potuto
trasferirsi e dimenticarsi di portarsi dietro il suo gorilla? Quindi il maestro
non se n'era andato. Forse era solo uscito un attimo, per andare a pranzo o
qualcosa del genere. E si era dimenticato di chiudere a chiave. O qualcosa
del genere. Sarebbe tornato presto. Probabilmente. Forse.
Mi guardai intorno di nuovo, ancora cercando di capire cosa stesse
succedendo.
La stanza in cui mi trovavo non era uno spazio abitabile – niente letto,
niente cucina, niente armadi o cassetti. Quindi il maestro non viveva qui.
Ma ovviamente il gorilla sì, nella stanza al di là del vetro.
Perché? Come mai?
Be', che diamine, immagino che uno possa tenere un gorilla, se proprio
vuole. Ma perché tenerne uno in questo modo particolare?
Guardai all'interno un'altra volta e notai qualcosa che mi era sfuggito.
Era un manifesto sul muro dietro il gorilla. Diceva:
5. SENZA L'UOMO
IL GORILLA
AVRA' QUALCHE SPERANZA?
“Be'”, mi dissi, “ecco una domanda interessante.” Non sembrava molto
difficile, però. Perfino a dodici anni, sapevo che stava succedendo nel
mondo. Per come stavano andando le cose, i gorilla non sarebbero durati
molto a lungo. Quindi la risposta era sì. Senza l'Uomo, il Gorilla avrebbe
una speranza.
Il primate nell'altra stanza grugnì come se non fosse rimasto molto
impressionato dal mio ragionamento.
Mi chiesi se il manifesto facesse parte del corso. L'annuncio diceva: è
richiesto un sincero desiderio di salvare il mondo. Aveva senso. Salvare il
mondo avrebbe sicuramente significato salvare i gorilla.
“Ma non le persone?”, sentii nella mente. Sapete cosa si prova quando
un'idea vi appare improvvisamente nel cervello, come se fosse spuntata
fuori dal nulla? Be', questa veniva dallo spazio profondo. Sono in grado di
distinguere un estraneo da un amico. Questo era un estraneo.
Guardai il gorilla, lui guardò me, e capii.
Mi dileguai. Ecco quanto rapidamente uscii di lì: un attimo stavo
guardando il gorilla e quello dopo ero sul marciapiede, respirando
affannosamente.
Non ero distante dal centro della città, dove un paio di centri
commerciali stavano tenendo ancora duro con le unghie e coi denti. Mi
diressi in quella direzione, sapendo che avrei trovato delle persone. Volevo
avere intorno della gente mentre riflettevo su tutto questo.
Il gorilla mi aveva parlato – dentro la mente. Ecco su cosa dovevo
riflettere.
Non dovetti chiedermi se era successo davvero o no. Era successo. Non
avrei potuto immaginarmi una cosa del genere. E perché avrei dovuto
farlo? Per ingannare me stessa? Ci rimuginai mentre ero nell'ascensore da
Pearson's. Sei piani in su, sei piani in giù. Davvero rilassante. Nessuno fa
caso a te. Nessuno ti disturba. Al pianterreno devi premere il pulsante per
ritornare su. Gioielli e bigiotteria. Abiti da donna. Abiti da uomo. Articoli
per la casa. Giocattoli. Mobilio. All'ultimo piano devi premere il pulsante
per tornare giù. Mobilio. Giocattoli. Articoli per la casa. Abiti da uomo.
Abiti da donna. Gioielli e bigiotteria. Spostamenti lenti e rilassanti.
Maestro cerca allievo. E' richiesto un sincero desiderio di salvare il
mondo.
6. Io dico: “Vuoi dire come salvare i gorilla?”
E il gorilla dice: “Ma non le persone?”
Dov'era il maestro mentre succedeva tutto questo? E cosa sarebbe
successo se il maestro fosse stato lì? Qual era il piano? Qual era l'idea?
Riuscivo a immaginare che un insegnante esotico avesse un animale
domestico altrettanto esotico. Un gorilla telepatico. Decisamente esotico,
già.
Maestro cerca allievo. E' richiesto un sincero desiderio di salvare il
mondo e la capacità di gestire un gorilla telepatico... Ero proprio io.
Mi fermai per una coca. Non era neanche mezzogiorno.
Affronto il gorilla.
Tornata nella stanza 105, appoggiai una mano sulla maniglia e un
orecchio contro la porta. E udii una voce maschile.
Non riuscii a capire cosa dicesse. Era troppo lontano dalla porta e
rivolto dalla parte sbagliata. Almeno così è come me lo immaginai.
“Mumble umble bumble”, disse. “Bum bum umble mumble.”
Silenzio. Un minuto intero di silenzio.
“Um bumble umble bum”, continuò l'uomo. “Bum bum mumble um
bumble.”
Silenzio. Solo mezzo minuto, stavolta.
“Umble?”, chiese l'uomo. “Umble bumble um mumblebum.”
E così via. Un suono entusiasmante. Continuò a lungo.
Pensai di limitarmi a entrare. Era un pensiero allettante – ma solo come
pensiero. Pensai di tornare più tardi, ma questo non era allettante neanche
come idea. Chissà cosa avrei potuto perdermi?
Rimasi lì. I minuti si trascinarono come pomeriggi piovosi. (Una volta
l'avevo scritto in un tema: I minuti si trascinarono come pomeriggi
piovosi. Il professore aveva scritto Bene!! al margine. Che scemo.)
Improvvisamente la voce dell'uomo fu vicina alla porta.
“Non lo so”, stava dicendo. “Non lo so davvero. Ma ci proverò.”
Mi affrettai ad allontanarmi e mi appoggiai di schiena alla porta del
montacarichi. Passò un altro minuto. Poi l'uomo disse: “Va bene”, e aprì la
porta. Quando mi vide, si immobilizzò per un secondo come se fossi stata
un cobra in posizione d'attacco. Poi decise di far finta che non fossi lì. Si
chiuse la porta alle spalle e fece per andarsene.
“E' lei il maestro?”, chiesi io. Dal modo in cui aggrottò la fronte, si
sarebbe detto che la trovasse una domanda davvero difficile. Alla fine
7. riordinò le idee, trovò ciò che voleva dire, e disse: “No.” Ovviamente
avrebbe voluto dire molto di più – forse migliaia di parole in più. Ma
questo fu tutto ciò che riuscì a tirar fuori in quel momento: no.
“La ringrazio”, dissi nel modo più educato possibile.
Aggrottò la fronte ancora di più. Poi si girò e si allontanò a passi
pesanti.
A scuola chiunque non ti piaccia è uno sfigato, ma io non uso questa
parola molto spesso. Preferisco riservarla per persone speciali, come
questo tizio. Questo tizio era uno sfigato. Mi ci volle un attimo per
decidere che non mi piaceva, non so nemmeno io perché. Più o meno
dell'età di mia madre, con vestiti brutti e squallidi. Uno di quei tipi cupi,
intensi, se capite cosa intendo. Giuro che non avevo mai capito cosa fosse
un brutto taglio di capelli finché non vidi il suo. Aveva: “Intellettuale –
restate a distanza” scritto in faccia.
Riportai la mia attenzione sulla porta di fronte a me. Non riuscii a
trovare nulla su cui avessi bisogno di riflettere, quindi mi limitai ad
attraversarla.
Nulla era cambiato lì dentro, ma adesso era tutto diverso, perché capivo
di che cosa si trattasse. Quello che avevo sentito attraverso la porta era una
conversazione tra lo sfigato e il gorilla. Naturalmente avevo sentito solo le
frasi dello sfigato, perché il gorilla non stava parlando con la voce. Lo
sfigato non era il maestro. Quindi doveva esserlo il gorilla. C'era ancora
una cosa: lo sfigato non era spaventato. Questo era importante. Significava
che il gorilla non era pericoloso. Se non era spaventato lui, non dovevo
esserlo neanch'io.
Ora che sapevo che era lì, era facile individuare il gorilla attraverso il
vetro. Era proprio dove l'avevo lasciato.
“Sono venuta per l'annuncio”, gli dissi.
Silenzio.
Pensai che non mi avesse sentito. Mi spostai vicino alla poltrona e lo
dissi di nuovo.
Il gorilla mi fissò in silenzio.
“Qual è il problema?”, dissi. “Mi hai parlato, prima.”
Chiuse gli occhi molto, molto lentamente. Non è facile chiudere gli
occhi così lentamente. Pensai che si stesse addormentando o qualcosa del
genere.
“Qual è il problema?”, dissi di nuovo.
Il gorilla sospirò. Non so come descrivere un sospiro simile. Mi aspettai
di vedere i muri curvarsi sotto il peso di quel sospiro. Aspettai. Pensai che
8. si stesse preparando a parlare. Ma dopo un minuto intero continuò a
limitarsi a starsene lì seduto.
“Non hai messo tu l'annuncio sul giornale?”, dissi.
Strizzò gli occhi come per tenere fuori qualcosa di sgradevole. Poi,
finalmente, aprì gli occhi e parlò. Come prima, lo udii nella mia mente e
non con le orecchie.
“Ho messo l'annuncio sul giornale”, ammise. “Ma non per te.”
“Che vuoi dire, non per me? Non mi ricordo di aver visto scritto da
nessuna parte: 'questo annuncio è per tutti tranne Julie Gerchak'.”
“Chiedo scusa”, disse. “Avrei dovuto dire che non ho pubblicato
l'annuncio sul giornale per i bambini.”
“Bambini!” Questo mi fece davvero infuriare. “Sarei una bambina? Ho
dodici anni. Sono abbastanza grande per rubare macchine. Sono
abbastanza grande per avere un aborto. Sono abbastanza grande per
spacciare crack.”
E questo enorme, immenso gorilla cominciò a contorcersi, giuro su
Dio. Caspita, stavo andando proprio alla grande. Stavo maltrattando un
gorilla da mezza tonnellata. Si dimenò per un po', poi si riprese, si calmò e
cominciò a parlare.
“Mi dispiace di aver cercato di liquidarti così facilmente”, disse.
“Chiaramente non sei una persona liquidabile. Comunque, il fatto che sei
abbastanza grande per rubare macchine non conta nulla qui.”
“Vai avanti”, gli dissi.
“Io sono un insegnante”, disse.
“Lo so.”
“Come insegnante, sono in grado di aiutare alcuni tipi di allievi. Non
ogni tipo. Non posso aiutare qualcuno con algebra, chimica, francese o
geologia.”
“Non sono venuta qui per cose del genere.”
“Questi sono solo esempi. Quello che intendo dire è che posso offrire
solo un certo tipo di insegnamento.”
“Quindi che stai dicendo, che io non voglio quel 'certo tipo di
insegnamento'?”
Annuì. “E' quello che sto dicendo. Gli insegnamenti che posso darti non
sono di un tipo che ti possa essere di aiuto... Non ancora.”
In un attimo i miei occhi furono pieni di lacrime brucianti, ma di sicuro
non glielo avrei lasciato vedere.
“Sei proprio come tutti gli altri”, gli dissi. “Sei un bugiardo.”
Questo gli fece sollevare le sopracciglia. “Un bugiardo?”
9. “Sì. Perché non dici la verità? Perché non dici: 'Sei solo una bambina,
non servi a nessuno. Torna fra dieci anni, forse allora varrai il mio tempo'.
Dillo e non mi sentirai aggiungere un'altra parola. Dillo e io mi alzerò e
tornerò a casa.”
Sospirò ancora, perfino più profondamente di prima. Poi annuì, solo
una volta.
“Hai perfettamente ragione”, disse. “Stavo mentendo. E mi aspettavo
che non lo capissi. Per favore, accetta le mie scuse.”
Annuii di rimando.
“Ma anche la verità potrebbe non piacerti”, continuò.
“Qual è la verità?”
“Lo vedremo. Ti chiami Julie?”
“Esatto.”
“E non ti piace essere trattata come una bambina.”
“Esatto.”
“Allora siediti e ti interrogherò come se fossi un'adulta.”
Mi sedetti.
“Cosa ti ha portato qui, Julie? E per favore, non dirmi che è stato
l'articolo. Abbiamo superato quel punto. Cosa vuoi? Cosa stai facendo
qui?”
Aprii la bocca, ma non ne uscì niente. Non una sola sillaba. Rimasi lì
seduta a boccheggiare per circa mezzo minuto, poi dissi: “Che mi dici del
tizio che era qui prima? A lui l'hai chiesto che cosa volesse? Gli hai chiesto
che ci faceva qui?”
A quel punto, il gorilla fece una cosa strana: alzò la mano destra e se la
mise proprio sugli occhi. Sembrava che stesse contando per una partita di
nascondino. La cosa buffa è che non si stava davvero toccando il volto,
stava tenendo la mano a un paio di centimetri dal naso, come se stesse
leggendo una scritta microscopica sul palmo.
Aspettai.
Dopo un paio di minuti abbassò la mano e disse: “No, non gli ho
chiesto queste cose.”
Rimasi seduta a battere le palpebre.
Il gorilla si leccò le labbra – nervosamente, mi sembrò. “Credo che
possiamo dire con sicurezza che non sono preparato a gestire le esigenze di
una persona della tua età. Penso che si possa dire così. Sì.”
“Vuoi dire che ti arrendi. E' questo che mi stai dicendo? Vuoi che me ne
vada perché ti arrendi.”
Il gorilla mi fissò. Non riuscii a capire se speranzosamente,
10. rabbiosamente o altro.
“Non credi che una dodicenne possa avere un sincero desiderio di
salvare il mondo?”, chiesi.
“Non ne dubito”, rispose, anche se sembrò fare fatica a pronunciare le
parole.
“Allora perché non parli con me? Il tuo annuncio sul giornale diceva
che cercavi un allievo. Non è quello che diceva?”
“Sì, è quello che diceva.”
“Be', ne hai trovato uno. Eccomi qui.”
Barcolliamo verso la linea di partenza.
Passò un lungo momento. L'ho letto in un libro una volta: Passò un
lungo momento. Ma quello fu davvero lungo. Alla fine il gorilla parlò di
nuovo: “Molto bene”, disse con un cenno del capo. “Cominciamo e
vediamo dove ci porta. Il mio nome è Ishmael.”
Sembrò aspettarsi una reazione di qualche tipo, ma per me era solo un
rumore. Sarebbe stato lo stesso se avesse detto di chiamarsi Meraviglia.
Lui sapeva già il mio nome, quindi mi limitai ad attendere. Finalmente
riprese a parlare.
“Riguardo il giovane uomo che era qui poco fa – il suo nome è Alan
Lomax, a proposito – non gli ho chiesto cosa volesse. Ma gli ho chiesto di
raccontarmi una storia che spiegasse perché era venuto qui.”
“Una storia?”
“Sì. Gli ho chiesto la sua storia. Ora ti chiedo la tua.”
“Non so che intendi con una storia.”
Ishmael aggrottò la fronte come se sospettasse che stessi facendo la
finta tonta. Forse lo stavo facendo, un po'.
Proseguì: “I tuoi compagni di scuola stanno facendo qualcos'altro
questo pomeriggio, non è vero? Qualunque cosa sia, tu non la stai
facendo.”
“Sì, infatti.”
“Bene. Spiegami perché non stai facendo ciò che stanno facendo loro.
Cos'ha di diverso la tua storia rispetto alla loro che ti ha condotto in questa
stanza un sabato pomeriggio?”
Ora avevo capito cosa intendesse, ma non mi aiutò. Di che storia stava
parlando? Voleva sapere del divorzio dei miei? Dell'avventura alcoolica di
mia madre? Dei problemi che stavo avendo con la signora Monstro a
scuola? Del mio ex ragazzo, Donnie, il famoso Tizio Che Non C'era?
11. “Voglio capire che cosa stai cercando”, disse lui, rispondendo alle mie
domande come se le avessi fatte ad alta voce.
“Non capisco”, gli dissi. “Gli insegnanti a cui sono abituata non ti
chiedono che cosa stai cercando. Si limitano a insegnarti ciò che devono.”
“Ed è questo che speravi di trovare qui? Un insegnante come quelli a
cui sei abituata?”
“Be', no.”
“Allora sei fortunata, Julie, perché io non sono come loro. Io sono ciò
che viene chiamato un insegnante maieutico. Un insegnante maieutico è
qualcuno che fa da ostetrica ai suoi allievi. Sai cos'è un'ostetrica?”
“Un'ostetrica è... Qualcuno che aiuta a far nascere i neonati. Giusto?”
“Giusto. Un'ostetrica aiuta a far venire alla luce un neonato che è
cresciuto dentro sua madre. Un insegnante maieutico aiuta a far venire alla
luce le idee che sono cresciute nelle menti dei suoi allievi.” Il gorilla mi
fissò intensamente mentre ci riflettevo su. Poi continuò: “Pensi che ci
siano delle idee che stanno crescendo dentro di te?”
“Non lo so”, gli dissi. Era la verità.
“Pensi che qualcosa stia crescendo dentro di te?”
Lo guardai nel modo più impassibile che mi riuscì. Stava cominciando
a spaventarmi.
“Dimmi, Julie, saresti venuta qui due anni fa se avessi visto il mio
annuncio?”
Questo era facile. Gli dissi di no.
“Quindi qualcosa è cambiato”, continuò. “Qualcosa dentro di te.
Questo è ciò che voglio sapere. Devo capire che cosa ti ha portato qui.”
Lo fissai per un po', poi dissi: “Sai che cosa mi ripeto tutto il tempo? E
voglio dire proprio tutto il tempo, venti volte al giorno? Mi dico: 'Devo
andarmene di qui'.”
Ishmael aggrottò la fronte, perplesso.
“Magari sto facendo una doccia, o lavando i piatti, o aspettando
l'autobus, e questo è ciò che mi viene in mente: 'Devo andarmene di qui'.”
“Che significa?”
“Non lo so.”
Grugnì. “Ma certo che lo sai.”
“Significa... Scappa per salvarti.”
“La tua vita è in minacciata?”
“Sì.”
“Da cosa?”
“Da tutto. Dalla gente che viene a scuola con la pistola. Da gente che
12. mette bombe in aerei e ospedali. Dalla gente che pompa gas nervino nella
metropolitana. Dalla gente che scarica veleno nell'acqua che beviamo.
Dalla gente che rade al suolo le foreste. Dalla gente che distrugge lo strato
d'ozono. Non conosco davvero tutte queste cose, perché non voglio
ascoltarle. Capisci cosa intendo?”
“Non ne sono sicuro.”
“Voglio dire, pensi che sappia cos'è uno strato d'ozono? Non lo so. Ma
dicono che lo stiamo riempiendo di buchi e che se i buchi diventeranno
abbastanza grandi cominceremo a cadere come mosche. Dicono che le
foreste pluviali sono come i polmoni del pianeta e che se le tagliamo
soffocheremo. Pensi che sappia se è vero o no? Non lo so. Uno dei mie
professori ha detto che fino a duecento specie si estinguono ogni giorno a
causa di ciò che stiamo facendo a questo pianeta. Me lo ricordo – ho una
buona memoria per cose del genere – ma pensi che sappia se è vero o no?
Non lo so, ma ci credo. Lo stesso professore ha detto che stiamo
emettendo nell'atmosfera quindici milioni di tonnellate di anidride
carbonica ogni giorno. Pensi che sappia che cosa vuol dire? Non lo so.
Tutto quello che so è che l'anidride carbonica è un veleno. Non so dove
l'ho visto o sentito, ma il tasso di suicidi tra gli adolescenti è triplicato
negli ultimi quarant'anni. Pensi che vada a cercare notizie simili? Non lo
faccio. Ma mi entrano in testa comunque. La gente sta divorando questo
pianeta.”
Ishmael annuì. “Quindi tu devi andartene di qui.”
“Esatto.”
Ishmael mi diede alcuni secondi per rifletterci, poi disse: “Ma questo
non spiega perché sei venuta da me. Il mio annuncio non diceva nulla
sull'andarsene da qui.”
“Sì, lo so. Sembra che stia dicendo cose senza senso.”
Ishmael alzò un sopracciglio.
“Devo pensarci un po' su”, gli dissi.
Mi alzai e mi girai verso il resto della stanza. Non c'era molto da
vedere. Solo quelle alte finestre polverose, quei muri color pus e quella
piccola libreria scalcinata dall'altra parte della stanza. Mi diressi verso di
essa. Avrei anche potuto farne a meno. C'erano un mucchio di libri
sull'evoluzione, sulla storia, sulla preistoria e su un sacco di popoli
primitivi. C'era un libro sulla società degli scimpanzé che sembrava
interessante – ma niente sui gorilla. C'erano un paio di atlanti archeologici.
C'era il libro col titolo più lungo che avessi mai visto, qualcosa tipo: Man's
rise to civilization as shown by the aboriginal peoples of the new world
13. from prehistoric times to the coming of the industrial state. C'erano tre
traduzioni della Bibbia, il che sembrava eccessivo, per uno scimmione.
Non c'era nulla con cui avrei potuto rannicchiarmi di fronte al caminetto,
se anche ne avessi avuto uno. Cincischiai più a lungo che potei, poi tornai
a sedermi.
“Volevi che ti raccontassi una storia. Non ho una storia da raccontare,
ma ho un sogno a occhi aperti.”
“Un sogno a occhi aperti?”, disse Ishmael con tono metà interrogativo.
Annuii, e lui disse che un sogno a occhi aperti sarebbe stato più che
adeguato.
“D'accordo. Ecco su cosa stavo fantasticando stamattina. Stavo
pensando: non sarebbe fantastico se andassi nella stanza 105 del Fairfield e
ci fosse una donna a una scrivania, e lei mi guardasse e dicesse...”
“Aspetta”, disse Ishmael. “Scusa se ti interrompo.”
“Sì?”
“Stai... Precipitando.”
“Precipitando?”
“Correndo. Andando in fretta e furia.”
“Vuoi dire che sto andando troppo veloce?”
“Sì, di gran lunga troppo veloce. Non abbiamo una scadenza, qui, Julie.
Se vuoi raccontarmi questa storia, prenditi il tempo che ti serve per
svilupparla con cura – tanto tempo quanto te ne sei presa stamattina
nell'immaginarla.”
“Va bene”, dissi. “Capisco cosa intendi. Vuoi che ricominci?”
“Sì, grazie. Ma niente corse stavolta. Prenditi un momento per
riordinare le idee. Rilassati e lascia che ti ritorni in mente. Non
riassumerla, raccontala integralmente.”
Prendermi un momento? Rilassarmi? Farmela tornare in mente? Non
sembrava capire che cosa mi stava chiedendo. Ero seduta, certo, ma non
potevo appoggiarmi allo schienale e mettermi comoda, perché se l'avessi
fatto i miei piedi avrebbero penzolato dal bordo e mi sarei sentita come
una bambina di sei anni. Dovevo tenere i piedi a terra perché dovevo
essere in grado di uscire di lì in un secondo – e se pensate che voi non vi
sareste sentiti in quel modo, vi suggerisco di sedervi davanti a un gorilla
adulto e fare una prova. L'unico modo per rilassarmi e lasciare che la
fantasticheria mi tornasse in mente sarebbe stato di rannicchiarmi sulla
poltrona e chiudere gli occhi, e non ero pronta a fare una cosa simile in
presenza di un gorilla di mezza tonnellata.
Diedi a Ishmael un'occhiataccia sdegnosa e impaziente che avrebbe
14. dovuto farglielo capire. La incassò, ci rimuginò su per un po' e poi fece
qualcosa che quasi mi fece scoppiare a ridere. Usò due dita per farsi un
gesto davanti al cuore e poi le mantenne in aria solennemente, proprio
come un Boy Scout: Croce sul cuore e potessi morire.
Che diavolo, risi davvero.
Il sogno a occhi aperti.
Nella mia fantasticheria, non mi vestii con cura per andare al Fairfield –
non più di quanto avessi fatto nella realtà. Sarebbe stato imbarazzante.
Sarebbe stato altrettanto imbarazzante vestirmi di stracci, per cui avevo
scelto una via di mezzo. Ci sono molte ragazze più carine, più brutte, più
alte, più basse, più grasse e più magre di me – e forse per loro ha senso
uscire di testa per decidere cosa mettersi, ma non per me.
Il Fairfield del mio sogno era più elegante di quello reale, e la stanza
105 non era al piano terra vicino a un magazzino di carico. Per arrivarci
dovetti prendere l'ascensore dall'ingresso (e qualcuno gli aveva dato una
bella lucidata, rivelando dei bei fregi di ottone).
La porta della stanza 105 diceva... Nulla. Ci riflettei un po'. Volevo che
recasse una scritta intrigante come Possibilità Mondiali o Avventura
Cosmica, ma niente, rimase ostinatamente vuota. Entrai. Una giovane
donna alzò gli occhi da una scrivania sistemata nella parte anteriore della
stanza. Non era una segretaria. Non era vestita da segretaria, ma in modo
più casualmente elegante. E non era seduta alla scrivania: ci era piegata
sopra, impacchettando una scatola. Mi lanciò un'occhiata incuriosita, come
se degli estranei entrassero raramente lì dentro, e mi chiese come avrebbe
potuto essermi d'aiuto.
“Sono qui per l'annuncio”, le dissi.
“L'annuncio”, disse lei, raddrizzandosi per esaminarmi più
attentamente. “Non credevo che l'annuncio stesse ancora venendo
pubblicato.”
Non riuscii a pensare a nulla da dire, quindi rimasi solo lì in piedi.
“Aspetta qui”, disse, e scomparve in un corridoio. Tornò un minuto
dopo, in compagnia di un uomo della sua stessa età, venti o venticinque
anni. Era vestito allo stesso modo, non in un completo ma più casualmente
– più un escursionista che un uomo d'affari. Mi fissarono inespressivi
finché cominciai a sentirmi un mobile che era stato inviato lì in prova.
Alla fine l'uomo disse: “Sei venuta per l'annuncio?”
“Esatto.”
15. La donna gli disse: “Sai, sarebbero contenti di averne una in più.”
Ovviamente non avevo idea di chi stesse parlando.
“Ne sono consapevole”, disse lui. Poi: “Vieni nel mio ufficio e ne
parleremo. Io sono Phil, a proposito, e questa è Andrea.” Nel suo ufficio,
ci sedemmo e lui disse: “Il motivo per cui stiamo esitando è che abbiamo
bisogno di gente che possa stare via per un po'. Per un bel po'.”
“Non c'è problema”, gli dissi.
“Non capisci, disse Andrea. “Stiamo parlando di anni, forse anche
decenni.”
“Davvero?”
“Davvero.”
“Be', non mi dispiacerebbe troppo”, dissi loro. “Sinceramente.”
(“Ora noterai”, dissi a Ishmael, “che nessuno dei due ha detto che ero
troppo giovane, o che sarebbe stato meglio se fossi stata un maschio, o
che avrei fatto meglio a restare a casa e occuparmi di mia madre, o che
avrei dovuto finire la scuola o roba del genere.” Lui annuì per farmi
capire che questo dettaglio non gli era sfuggito.)
Si scambiarono un'altra occhiata, poi Phil mi chiese quanto mi ci
sarebbe voluto per prepararmi.
“Intendi per andarmene?” Annuì. “Sono già pronta. Sono venuta
pronta.”
“Ottimo”, disse Andrea. “Come puoi vedere, stavamo facendo le
valigie. Se fossi venuta un'ora più tardi ci avresti mancati.”
Ora noterai che entrambi avevano nominato l'annuncio, ma nessuno dei
due aveva pronunciato neanche una sillaba della parola più importante:
maestro. Questo mi preoccupò un po'. Mi chiesi se la faccenda del maestro
non fosse stata solo un modo per adescare gente, ma non dissi nulla. Gli
adulti si irritano parecchio quando fai loro domande sulle bugie che
cercano di darti a bere. Quindi tenni la bocca chiusa e aiutai a caricare gli
scatoloni su una grossa Suburban parcheggiata nel vicolo dietro l'edificio.
Un'ora di macchina ci portò nel bel mezzo del nulla (un nulla non
specificato non presente su nessuna mappa della zona). Sembrava il tipo di
posto in cui giravano tutti quei ridicoli vecchi film dell'orrore e di
fantascienza, con i ragni giganti e le vecchie assassine. Penso che fosse
proprio quel posto. Era il mio sogno a occhi aperti, dopotutto.
La nostra destinazione era una sorta di piccolo campo militare privo di
soldati. Quando entrammo, la gente si limitò a salutarci con la mano per
poi continuare quello che stava facendo. Era facile notare che c'erano due
gruppi: lo staff, vestito color cachi, come Phil e Andrea, e le reclute, che
16. erano un gruppo misto e disomogeneo come la folla in un centro
commerciale un sabato pomeriggio.
Phil e Andrea mi lasciarono in una caserma, dove alcune reclute mi
assegnarono un letto. Nessuno si offrì di spiegare nulla e io non feci
domande. Immaginai che presto o tardi la situazione si sarebbe chiarita.
Quello che avvenne, comunque, fu che a un certo punto dissi qualcosa che
rese chiaro agli altri che non avevo idea di cosa stesse succedendo.
Rimasero sconcertati che Phil e Andrea non mi avessero spiegato nulla,
così dissi: “Perché non me lo spiegate voi?”. Si grattarono la testa e
borbottarono per un po' tra di loro, ma alla fine qualcuno prese la parola e
disse: “Che senso ha andare a cercare un maestro se vuoi salvare il
mondo?”
“Perché non so come farlo da sola, ovviamente.”
“Ma che tipo di maestro saprebbe come salvare il mondo, secondo te?”
“Non ne ho idea”, le dissi. Questa era una donna sui quarant'anni di
nome Gammaen.
“Pensi che possa trattarsi di un ufficiale governativo o qualcosa del
genere?”
Le dissi che non credevo proprio, e quando mi chiese perché, risposi:
“Perché se qualcuno del governo sapesse come farlo, lo starebbe facendo,
no?”
“Perché secondo te la gente in generale non sa come salvare il mondo?”
“Non lo so.”
“Pensi che nessuno nell'intero universo sappia come vivere senza
distruggere il mondo?”
“Non ne ho idea”, le dissi.
A questo punto rimasero in silenzio per un po'. Alla fine uno di loro
prese la parola: “Ci sono popoli ovunque nell'universo che sanno come
vivere senza distruggere il mondo.”
“Ah, davvero?” dissi io. Non stavo facendo l'arrogante, era la prima
volta che sentivo una cosa simile, e glielo dissi.
“Be', è così che stanno le cose”, disse. “Ci sono migliaia di pianeti
abitati nell'universo – forse milioni – e la gente riesce a viverci senza
problemi.
“Davvero?”
“Davvero. Non li distruggono, non li radono al suolo e non li riempiono
di veleni.”
“Be', è grandioso”, dissi. “Ma questo come può aiutare noi?”
“Ci aiuterebbe se sapessimo come fanno a vivere in quel modo, no?”
17. “Certo.”
Per un secondo sembrò che sarebbero rimasti nuovamente bloccati, ma
poi Gammaen trovò il modo di proseguire.
“Stiamo andando da loro per imparare”, disse.
“Chi?”
“Noi. Tutte le reclute – tu, noi.”
“Stiamo andando dove?”, chiesi, ancora incapace di capire dove
volesse arrivare.
“Nello spazio”, disse.
Finalmente fu chiaro: stavamo aspettando che venissero a prenderci.
Saremmo rimasti via per decenni, senza andare a scuola. Avremmo visitato
altri pianeti, osservando, cercando di capire.
E qualunque cosa avremmo imparato, l'avremmo portata sulla Terra.
Questo era il programma.
E questo era il sogno a occhi aperti.
Ti presento Madre Cultura.
“Stupido, no?”
Ishmael aggrottò la fronte. “Perché dici così?”
“Be', voglio dire, è un sogno a occhi aperti. Sono stupidaggini. Fuffa.
Sciocchezze.”
Scosse la testa. “Nessuna storia è priva di significato, se sai come
cercarlo. Questo vale tanto per le ninne-nanne e le fantasticherie quanto
per i romanzi e i poemi epici.”
“D'accordo.”
“Il tuo sogno a occhi aperti non è una stupidaggine, Julie, posso
assicurartelo. Inoltre, ha fatto proprio quello che volevo facesse. Avevo
chiesto una storia che spiegasse perché sei qui, ed è esattamente quello che
mi hai dato. Ora capisco che cosa stai cercando. O, più precisamente,
capisco cosa sei preparata a imparare, e senza questa informazione non
avrei potuto neanche cominciare.”
Non capii esattamente di cosa stesse parlando, ma gli dissi che ero
contenta di sentirlo.
“Nonostante questo”, continuò, “non sono ancora sicuro di come
procedere con te. Che tu ne sia consapevole o meno, presenti un problema
speciale.”
“Perché?”
“Io non sono come gli insegnanti nella tua scuola, Julie, che si limitano
18. a insegnarti le materie che i vostri adulti hanno deciso che dovresti
conoscere – cose come matematica, geografia, storia, biologia, e così via.
Come ti ho spiegato prima, io sono un insegnante che funge da ostetrica
per i suoi allievi, portando alla luce idee che erano cresciute dentro di
loro.” Ishmael si fermò un momento a riflettere, poi mi chiese quali
fossero, secondo me, le differenze tra me e Alan Lomax – dal punto di
vista educativo.
“Be', immagino che abbia finito la scuola superiore e probabilmente
l'università.”
“Esatto. Quindi?”
“Quindi conosce cose che io non conosco.”
“Questo è vero”, disse Ishmael. “Tuttavia, le stesse idee stanno
crescendo dentro entrambi.”
“Come lo sai?”
Le labbra gli fremettero in un sorriso. “Lo so perché avete entrambi
ascoltato la stessa madre dal giorno della vostra nascita. Non sto parlando
della vostra madre biologica, naturalmente, ma piuttosto della vostra
madre culturale. Madre Cultura vi parla attraverso la voce dei vostri
genitori – che a loro volta hanno ascoltato la sua voce dal giorno della loro
nascita. Vi parla attraverso personaggi dei fumetti, dei romanzi e dei
cartoni animati. Vi parla attraverso giornalisti, insegnanti e candidati
presidenziali. L'avete ascoltata nei talk-show. L'avete ascoltata nelle
canzoni popolari, negli slogan pubblicitari, nelle lezioni, nei discorsi dei
politici, nei sermoni e nelle barzellette. L'avete letta in articoli di giornale,
libri di testo e strisce a fumetti.”
“Va bene”, dissi. “Credo di capire cosa intendi.”
“Questa, naturalmente, non è una cosa esclusiva della vostra cultura,
Julie. Ogni cultura ha la propria madre culturale che alleva e sostiene i
propri membri. Le idee che sono state insegnate a te e Alan sono molto
diverse da quelle insegnate nei popoli tribali che vivono ancora come i loro
antenati vivevano diecimila anni fa – gli Huli della Papa Nuova Guinea,
per esempio, o gli Indiani Macuna della Colombia orientale.”
“Sì, capisco.”
“Le cose che possono venire estratte da te e Alan sono le stesse, ma si
trovano a differenti stadi di sviluppo. Alan ha ascoltato Madre Cultura per
vent'anni più a lungo di te, quindi ciò che può essere trovato dentro di lui è
più integro e complesso.”
“Sì, lo capisco. Come un feto è più sviluppato a sette mesi piuttosto che
a due.”
19. “Esatto.”
“Va bene. Quindi ora che facciamo?”
“Ora vorrei che andassi via e mi lasciassi pensare a come procedere con
te.”
“Che andassi dove?”
“Dovunque. Dove vuoi. A casa, se ne hai una.”
Fu il mio turno di aggrottare le sopracciglia. “Se ne ho una? Cosa ti fa
pensare che non ce l'abbia?”
“Mi astengo dal fare ipotesi”, replicò freddamente Ishmael. “Sei tu che
ti sei imbizzarrita quando ti ho definita una bambina e mi hai detto che sei
abbastanza grande da rubare macchine, avere un aborto o spacciare crack.
Ho pensato che fosse meglio non dare nulla per scontato sulle tue
condizioni di vita.”
“Accidenti”, dissi io. “Prendi tutto in maniera così letterale?”
Ishmael si grattò un lato della mandibola per un momento. “Sì,
immagino di sì. Scoprirai che ho un certo senso dell'umorismo, ma che le
iperboli e le esagerazioni comiche tendono a sfuggirmi.”
Gli dissi che l'avrei tenuto a mente – indulgendo in un'altra
esagerazione comica. Poi gli chiesi quando sarei potuta tornare.
“Quando vuoi.”
“Domani?”
“Ma certo. Le domeniche non sono giorni di riposo per me.”
Il lieve fremito all'angolo della sua bocca mi fece capire che quella
avrebbe dovuto essere una battuta di qualche tipo.
Mia madre era sprofondata in un piacevole torpore per quando tornai a
casa. Immagino che pensi sia un suo dovere materno mostrare interesse
alla mia giornata, perché mi chiese dove fossi stata. Le raccontai la bugia
che mi ero preparata, che ero stata con Sharon Spaley, un'amica.
Pensavate che le avrei detto la verità? Che avevo avuto un'interessante
conversazione con un gorilla?
Fatemi il piacere.
Il popolo maledetto.
Quando arrivai alla stanza 105 la mattina seguente, appoggiai l'orecchio
alla porta. Volevo sapere se Alan lo sfigato era arrivato prima di me.
Quando fui sicura che non c'era, entrai.
Non era cambiato niente. Il che significa che rimasi colpita dall'odore,
che ora sapevo essere di gorilla. Non intendo dire che non mi piacesse.
20. Avrei voluto averne una bottiglietta. Sapete, per spruzzarmene un po'
prima di andare alle feste. Quello sì che avrebbe attirato l'attenzione.
Ishmael era dove l'avevo lasciato. Mi chiesi se avesse un altro posto in
cui andare in quel locale. Immaginai che ci fosse un'altra stanza dietro
quella che potevo vedere. La stanza dietro il vetro era troppo piccola
perché chiunque potesse viverci, soprattutto un gorilla.
Mi sedetti e ci scambiammo un'occhiata.
“Cosa farai se Alan verrà qui mentre ci sono io?”
Fece una smorfia. Credo che la trovasse una domanda inutile.
Comunque, rispose... Chiedendomi cosa io avrei voluto che facesse.
“Credo che vorrei che gli dicessi di tornare più tardi.”
“Capisco. Ed è questo che dovrei dire anche a te se dovessi venire
mentre Alan è già qui?”
“Sì.”
“Se Alan è già qui quando arrivi, dovrei dirti di tornare più tardi?”
“Esatto.”
Scossa la testa, divertito. “Dovrò parlargliene. Posso dire a te di tornare
più tardi, ma non a lui. Non senza discuterne prima.”
“Non voglio che tu lo faccia. Se Alan arriva mentre sono qui, me ne
andrò e basta.”
“Ma perché? Cos'hai contro di lui?”
“Non lo so. Solo non voglio che sappia di me.”
“Cosa non vuoi che sappia?”
“Non voglio che sappia nulla. Non voglio nemmeno che sappia che
esisto.”
“Non posso garantirti una cosa simile, Julie. Se entrasse da quella porta
adesso, ovviamente scoprirebbe che esisti.”
“Me ne rendo conto. Ma quella è solo la mia prima scelta. Se non posso
avere quella, otterrò quella migliore dopo di essa.”
“E qual è la tua seconda scelta?”
“Qualunque cosa ottenga andandomene, ecco qual è.”
Ishmael improvvisamente sollevò il labbro superiore, scoprendo una
fila di denti marrone-dorati grandi quanto il mio pollice. Mi ci volle un
attimo per capire che si trattava di un sorriso.”
“Comincio a credere”, disse, “che tu abbia un carattere molto simile al
mio, Julie.”
Lo fissai perplessa.
“Se non capisci cosa voglio dire adesso, lo capirai un giorno.”
Aveva ragione, in quel momento non lo capii. Ora, dopo quattro anni,
21. credo di capirlo. Forse.
Comunque sia, quando la chiacchierata fu conclusa Ishmael si sedette
sul suo letto di paglia e cominciò.
“Tu pensi che qualcuno nell'universo debba sapere come vivere nel
mondo senza distruggerlo. Questo è ciò che il tuo sogno a occhi aperti
sembra indicare.”
“Be'... Non è che ci creda davvero.”
“Diciamo che ti sembra abbia senso. Ti sembra ragionevole che, se
esiste vita intelligente in qualche altra parte dell'universo, qualcuno da
qualche parte debba sapere come vivere in modo sostenibile nel proprio
mondo.”
“Esatto.”
“Perché ti sembra ragionevole, Julie?”
“Non lo so.”
Il gorilla fece una smorfia. “Prima di dire 'non lo so', apprezzerei se ti
prendessi un momento per vedere se per caso tu non lo sappia, dopotutto.
E anche se scopri che davvero non lo sai, fai un tentativo comunque, per
favore.”
“Va bene. Vuoi sapere perché mi sembra ragionevole che la gente di
altri pianeti sappia come vivere in modo sostenibile.”
“Esatto.”
Ci pensai su per un po' e gli dissi che era una buona domanda.
“L'intero processo consiste nel fare buone domande, Julie. Questa è
un'informazione che ho bisogno di avere da te fin da subito. Sarà la base di
tutto il nostro lavoro successivo.”
“Capisco”, dissi io, e tornai a riflettere. Dopo un altro po' dissi: “E'
difficile da spiegare.”
“Le cose semplici sono quasi sempre le più difficili da spiegare, Julie.
Mostrare a qualcuno come allacciarsi le scarpe è facile. Spiegarglielo a
parole è quasi impossibile.”
“Già”, gli dissi. “E' proprio così.” Ci lavorai su un altro po'. Finalmente
dissi: “Non so perché questo esempio funzioni, ma lo fa. Diciamo che hai
una dozzina di frigoriferi prodotti da una dozzina di compagnie diverse.
Uno o due di questi frigoriferi non varrà un centesimo, ma la maggior
parte funzionerà piuttosto bene.”
“Perché?”
“Immagino che sia perché non puoi aspettarti che ogni singola fabbrica
sia incompetente. La maggior parte di loro devono essere almeno
marginalmente competenti per rimanere in affari.”
22. “In altre parole, se vivessi in un mondo dove moltissime compagnie
fabbricassero frigoriferi ma nessuna di esse fosse competente, ti
aspetteresti che il tuo mondo fosse un'eccezione. Se visitassi altri mondi, ti
aspetteresti di trovare gente capace di fare frigoriferi decenti. Ancora in
altre parole, ti sembra che ci sia qualcosa di anormale riguardo la
disfunzionalità. Ciò che è normale è che le cose funzionino. Ciò che non è
normale è che le cose falliscano.”
“Sì, esatto.”
“Da dove ti viene quest'impressione, Julie? Da dove ti viene
l'impressione che sia normale che le cose funzionino?”
“Caspita”, dissi. Da dove mi era venuta quest'idea? “Forse è questo.
Ogni altra cosa nell'universo sembra funzionare. L'aria funziona, le nuvole
funzionano, gli alberi funzionano, le tartarughe funzionano, i germi
funzionano, gli atomi funzionano, i funghi funzionano, gli uccelli
funzionano, i leoni funzionano, i vermi funzionano, il sole funziona, la
luna funziona... L'intero universo funziona! Ogni singola cosa funziona...
A parte noi. Perché? Cosa ci rende così speciali?”
“Sai cosa vi rende speciali, Julie.”
“Lo so?”
“Sì. Questo sarà il primo frammento di conoscenza che ti aiuterò a
portare alla luce. Cos'ha da dire Madre Cultura a questo riguardo? Cosa vi
rende differenti da tartarughe, nuvole, vermi, sole e funghi? Essi
funzionano e voi noi. Perché non funzionate, Julie? Cosa vi rende
speciali?”
“Siamo speciali perché tutto il resto funziona. Ed è perché siamo
speciali che non funzioniamo.”
“Sono d'accordo che questo sia un ragionamento circolare che imparate
da Madre Cultura a questo riguardo, ma sarebbe utile se definissi questa
specialità.”
Lo guardai con occhi socchiusi per un po', poi dissi: “Non c'è niente di
sbagliato nelle tartarughe, nelle nuvole, nei vermi e nel sole. Ecco perché
loro funzionano. Ma c'è qualcosa di sbagliato in noi. E questo è il motivo
per cui noi non funzioniamo.”
“Bene. Ma di che si tratta, Julie? Cosa c'è di sbagliato in voi?”
Ci riflettei per qualche minuto. Poi dissi: “Questa è la maieutica?”
Ishmael annuì.
“Sono colpita. Mi piace. Nessuno l'aveva mai fatto con me prima.
Comunque, quello che c'è di sbagliato in noi è che siamo civilizzati. Penso
sia questo.” Ma mentre ci pensavo, questa risposta perse un po' della sua
23. sicurezza. “Parte del motivo”, gli dissi, “è che siamo civilizzati. Ma c'è
anche qualcosa riguardo il modo in cui siamo civilizzati. Non siamo
civilizzati abbastanza.”
“E come mai?”
“Accidenti”, dissi. “Il motivo per cui non siamo civilizzati abbastanza è
che c'è qualcosa di sbagliato in noi. E' come se ci fosse una goccia di
veleno in noi, e quella goccia basta a rovinare tutto ciò che facciamo.”
Immagino di essere rimasta lì seduta a bocca aperta, perché alla fine
Ishmael mi disse di continuare. Continuai.
“Ecco che cosa sento, Ishmael. Va bene se ti chiamo Ishmael?”
Il gorilla annuì, dicendo: “E' il mio nome.”
“Ecco che cosa sento: Dobbiamo evolverci in una forma superiore se
vogliamo sopravvivere. Non sono esattamente sicura di dove lo sento. E'
come se fosse qualcosa nell'aria.”
“Lo capisco.”
“Questa forma in cui siamo ora è troppo primitiva. Siamo troppo
primitivi. Dobbiamo evolverci in una forma più elevata, più angelica.”
“Per poter funzionare bene quanto funghi, tartarughe e vermi.”
Risi e dissi: “Sì, è buffo. Ma è la percezione comune, penso. Non
funzioniamo bene quanto funghi, tartarughe e vermi perché siamo troppo
intelligenti, e non funzioniamo bene quanto gli angeli e gli dei perché non
siamo intelligenti a sufficienza. Ci troviamo a uno stadio spiacevole.
Eravamo a posto quando eravamo meno che umani, e saremo di nuovo a
posto quando saremo più che umani, ma al momento siamo un disastro.
Gli umani non vanno bene. La loro forma non va bene. Credo sia questo
che Madre Cultura ha da dire.”
“Quindi il difetto è l'intelligenza stessa, secondo Madre Cultura.”
“Esatto. L'intelligenza è ciò che ci rende speciali, no? Le falene non
possono distruggere il mondo. I pesci gatto non possono distruggere il
mondo. Ci vuole intelligenza per fare una cosa del genere.”
“In questo caso, cosa significa per te il tuo sogno a occhi aperti?
Andandotene in giro per l'universo per imparare come vivere, stai
cercando degli angeli?”
“No. Sarebbe assurdo.”
Ishmael inclinò la testa da un lato e mi diede un'occhiata interrogativa.
“Sto cercando delle razze intelligenti come noi, ma che sappiano come
vivere senza distruggere il proprio mondo. Siamo perfino più speciali di
quanto pensassi.”
“Vai avanti.”
24. “E' come se fossimo maledetti. La gente di questo pianeta.”
Ishmael annuì. “Questo è ciò che si crede generalmente, tra la gente
della tua cultura, che l'umanità è maledetta – malformata, difettosa alla
radice o perfino maledetta da una qualche divinità.”
“Esatto.”
“Questo è il motivo per cui nel tuo sogno a occhi aperti senti il bisogno
di cercare altrove nell'universo la conoscenza di cui hai bisogno. Non puoi
trovarla tra la tua gente, perché siete una specie maledetta. Per trovare il
modo di vivere sostenibilmente, devi trovare una specie che non sia
maledetta. E non c'è motivo di supporre che siano tutte maledette. Senti
che qualcuno là fuori debba sapere come vivere in modo sostenibile.”
“Esatto.”
“Quindi, come vedi, il tuo sogno a occhi aperti era ben lontano
dall'essere una sciocchezza. E sono sicuro che se il viaggio che hai
ipotizzato potesse essere davvero compiuto, vi porterebbe davvero in
contatto con migliaia di popoli che vivono in modo sostenibile senza
problemi.”
“Lo sei? Perché?”
“Perché la maledizione sotto cui agite è molto, molto localizzata, a
differenza di quello che vi dice Madre Cultura. Non si estende nemmeno
lontanamente all'intera umanità. Migliaia di popoli hanno vissuto qui in
modo sostenibile, Julie. Senza difficoltà. Senza sforzi.”
Be', naturalmente battei le palpebre a questo punto.
“Vuoi dire come... Gli Atlantidi?”
“Non intendo nulla di remotamente simile agli Atlantidi, Julie.
Atlantide è una favola.”
“Allora non ho idea di che cosa stai parlando. Nessuna.”
Ishmael annuì lentamente. “Me ne rendo conto. Molti pochi di voi
capirebbero di che cosa sto parlando.”
Attesi che finisse il ragionamento, e quando non lo fece gli chiesi:
“Non vuoi dirmi chi sono questi popoli?”
“Preferirei di no, Julie. Vedi, hai sicuramente questa informazione nella
tua mente, e se la portassi fuori io ne rimarresti impressionata, ma non
impareresti nulla. Il compito dell'ostetrica è di aiutare la madre a dare alla
luce il bambino, non di tirarlo fuori lei stessa.”
“Vuoi dire che so già chi sono questi popoli?”
“Non ne ho il minimo dubbio, Julie.”
Scrollai le spalle, incrociai gli occhi e feci tutte le solite cose, poi gli
dissi di continuare.
25. La vostra cultura.
“E' convinzione comune e profondamente radicata nella vostra cultura”,
disse Ishmael, “che la saggezza non possa venire trovata tra di voi. Questo
è ciò che il tuo sogno a occhi aperti rivela. Voi sapete come costruire
meravigliosi marchingegni elettronici, sapete come spedire navicelle nello
spazio, sapete come sbirciare nelle profondità dell'atomo. Ma la più
semplice ed essenziale delle conoscenze – quella su come vivere –
semplicemente non esiste tra di voi.”
“Sì, è così che sembra.”
“Questa non è una convinzione recente, Julie. Esiste da millenni nella
vostra cultura.”
“Scusami”, dissi io. “Continui a ripeterlo – 'la gente della vostra
cultura' – e io continuo a non essere sicura di cosa intendi con questo.
Perché non dici solo 'voi umani' o 'voi americani'?”
“Perché non sto parlando degli umani o degli americani. Sto parlando
dei membri della vostra cultura.”
“Be', credo che questa dovrai spiegarmela.”
“Sai cos'è una cultura?”
“A essere onesta, non ne sono sicura.”
“La parola cultura è come un camaleonte, Julie. Non ha un colore
proprio, lo prende dall'ambiente circostante. Significa una cosa quando
parli della cultura degli scimpanzé, un'altra quando parli della cultura della
General Motors. Si può dire che esistono solo due culture umane
fondamentali, così come si può dire che ne esistono migliaia. Invece di
spiegarti cosa significhi la parola 'cultura' da sola (cosa che sarebbe quasi
impossibile), mi limiterò a spiegarti che cosa intendo quando parlo della
'vostra cultura'. D'accordo?”
“Va bene”, dissi.
“In effetti, la renderò ancora più semplice. Ti darò due regole basilari
con cui potrai identificare i popoli della vostra cultura. Eccone una. Sai che
ti trovi tra gente della tua cultura se il cibo è tutto posseduto, se è tutto
sotto chiave.”
“Mmm”, dissi. “E' difficile immaginare che possa essere in qualunque
altro modo.”
“Ma naturalmente un tempo era in un altro modo. Un tempo il cibo non
era più posseduto dell'aria o della luce del sole. Sono sicuro che te ne rendi
conto.”
26. “Sì, immagino di sì.”
“Sembri scarsamente impressionata, Julie, ma mettere il cibo sotto
chiave è stata una delle grandi innovazioni della vostra cultura.
Nessun'altra cultura ha mai messo il cibo sotto chiave – e farlo è la pietra
angolare della vostra economia.”
“Perché?”, chiesi. “Perché ne è la pietra angolare?”
“Perché se il cibo non fosse sotto chiave, Julie, chi lavorerebbe?”
“Oh. Già. Giusto. Caspita.”
“Se vai a Singapore, Amsterdam, Seoul, Buenos Aires, Islamabad,
Johannesburg, Tampa, Istanbul o Kyoto, troverai che la gente differisce
enormemente nel modo di vestirsi, nelle cerimonie matrimoniali, nelle
ricorrenze che osservano, nei rituali religiosi e così via, ma che tutti si
aspettano di trovare il cibo sotto chiave. E' tutto posseduto, e se ne vuoi un
po' devi comprarlo.”
“Capisco. Quindi stai dicendo che tutti questi popoli appartengono a
una sola cultura.”
“Chiaramente sto parlando delle cose fondamentali, e nulla è più
fondamentale del cibo. Sono sicuro che sia difficile per voi realizzare
quanto incredibilmente bizzarri siate in questo aspetto. Voi pensate che
abbia perfettamente senso lavorare per avere ciò che è gratuito per ogni
altra creatura sulla Terra. Soltanto voi chiudete il cibo sotto chiave lontano
da voi e poi faticate duramente per riprendervelo... E credete che nulla
possa avere più senso.”
“Sì, è bizzarro, se la metti così. Ma non è stata solo la nostra cultura a
farlo. E' stata l'umanità, no?”
“No, Julie. So che Madre Cultura insegna che questa è una cosa che
tutta l'umanità ha fatto, ma è una bugia. Siete stati solo voi, una singola
cultura, e non l'intera umanità. Per quando avremo finito, non avrai alcun
dubbio al riguardo.”
“D'accordo.”
“Un'altra regola basilare che puoi usare per identificare i membri della
vostra cultura, è questa: essi credono di appartenere a una specie
fondamentalmente difettosa e intrinsecamente condannata alla sofferenza e
alla miseria. Dato che sono difettosi, si aspettano che la saggezza sia un
lusso raro e difficile da acquisire. Dato che sono intrinsecamente
condannati alla sofferenza, non sono sorpresi di vivere nella povertà, tra
ingiustizie e crimini. Non sono sorpresi che i loro governanti siano corrotti
ed egoisti. Non sono sorpresi di star rendendo il mondo invivibile per se
stessi. Possono essere indignati al riguardo ma non ne sono sorpresi,
27. perché è come si aspettano che stiano le cose. Per loro ha senso quanto
mettere il cibo sotto chiave.”
“Ti dispiace se faccio l'avvocato del diavolo per un minuto?”
“Niente affatto.”
“C'è un professore nella mia scuola che non fa che rivolgerci occhiate
compassionevoli perché è buddista, il che significa che è chilometri avanti
a noi per quanto riguarda la consapevolezza e l'illuminazione spirituale e
cose simili. Per lui, la gente della nostra cultura è quella occidentale, e la
gente orientale appartiene a una cultura completamente diversa.”
“Mi sembra di capire che quest'uomo sia egli stesso un occidentale.”
“Sì, lo è. Che cosa c'entra?”
Ishmael scrollò le spalle. “Gli occidentali pensano spesso che l'Oriente
sia un unico, enorme tempio buddista, il che è come pensare che
l'Occidente sia un unico, enorme monastero certosino. Se il professore di
cui parli visitasse l'Oriente sperimenterebbe sicuramente molte cose nuove,
ma scoprirebbe innanzitutto che il cibo viene tutto tenuto sotto chiave, e
poi che gli umani sono considerati una specie miserabile, distruttiva e
avida, proprio come in Occidente. Queste sono le cose che li definiscono
come membri della vostra cultura.”
“Ci sono davvero popoli al mondo che non credono di essere creature
miserabili, distruttive e avide?”
Ishmael considerò la domanda per un momento e poi disse: “Lascia che
ti rivolga la stessa domanda in un altro modo. Nel tuo viaggio per
l'universo, progettavi di andare in cerca di altre specie maledette?”
“No.”
“Ti aspetti che ogni altra specie intelligente dell'universo sia maledet-
ta?”
“No.”
Ishmael mi studiò per un momento e poi disse: “Vedo che la tua
domanda rimane insoluta. Lascia che risponda in questo modo. Perfino alla
tua età, hai probabilmente già incontrato un certo tipo di persona convinto
che tutto ciò che di brutto gli capita nella vita sia colpa di qualcun altro –
mai colpa sua. Se ancora non hai incontrato nessuno così, ti garantisco che
un giorno ti capiterà. Questo tipo di persona non impara mai dai propri
errori, perché per quanto lo riguarda lui non fa mai errori. Non scopre mai
la fonte delle proprie difficoltà, perché è convinto che si trovi nelle altre
persone, e loro sono al di là del suo controllo. Per fartela breve, qualunque
cosa gli vada storta per lui è colpa di qualcun altro. Non si dice mai: 'Forse
il problema è in qualcosa che sto facendo'. Dice: 'Il problema è qualcosa
28. che gli altri stanno facendo. I miei guai dipendono da altre persone... E
siccome non posso cambiarle, sono impotente'.”
“Sì, conosco qualcuno così”, gli dissi. Non vidi motivo di dirgli che si
trattava di mia madre.
“La vostra intera cultura ha adottato questo modo di gestire le proprie
difficoltà. Voi non dite: 'Forse il problema è in qualcosa che stiamo
facendo'. Voi dite: 'Il problema è la natura umana stessa. I nostri guai
dipendono dalla natura umana... E siccome non abbiamo modo di
cambiarla, siamo impotenti'.”
“Accidenti”, dissi. “Ho capito.”
“Lo capisco anch'io, Julie”, disse Ishmael. “I maestri hanno bisogno di
allievi che li aiutino a proseguire il loro viaggio di scoperta.”
Alzai le sopracciglia.
“Mi hai sentito dire una dozzina di volte che la gente della vostra
cultura pensa a se stessa come a una specie condannata e difettosa.”
“Esatto”, dissi.
“Ora, grazie a te, ho un modo molto migliore di dirlo: la gente della
vostra cultura incolpa la natura umana dei suoi problemi. E' ancora vero
che pensate a voi stessi come a membri di una specie difettosa e
condannata, ma adesso entrambi abbiamo una migliore comprensione del
perché pensate a voi stessi in questo modo. Serve a uno scopo. Vi permette
di spostare la colpa da voi a qualcosa che è oltre il vostro controllo: la
natura umana. Voi non avete colpa. La colpa è della natura umana stessa,
che voi non avete modo di cambiare.”
“Giusto. Capisco.”
“Lascia che spenda un momento per precisare che la natura umana è
qualcosa che la gente della vostra cultura pretende di conoscere. Non è
qualcosa che io pretendo di conoscere. Ogni volta che userò questo
termine, lo farò con il significato che gli viene dato da Madre Cultura. Lo
stesso concetto mi è estraneo. Appartiene a un'impalcatura epistemologica
esclusiva della vostra cultura. Non fare smorfie. Non ti farà male ascoltare
una nuova parola. L'epistemologia è lo studio di ciò che può essere
conosciuto. Per la gente della vostra cultura, la 'natura umana' è un oggetto
conoscibile. Per me è un oggetto fantastico, inventato apposta perché lo si
potesse cercare, come il Santo Graal o la Pietra Filosofale.
“Va bene”, gli dissi. “Ma non so perché stai insistendo su tutto questo.”
Il volto gli si piegò in un sorriso. “Sto parlando ai posteri attraverso di
te, Julie.”
“Scusa?”
29. “I maestri vivono attraverso i propri discepoli. Questo è un altro motivo
per cui hanno bisogno di loro. Tu sembri avere una memoria particolare. Ti
ricordi ciò che ascolti con una chiarezza inusuale.”
“Sì, immagino di sì.”
“Tu sarai il mio lascito. Porterai le mie parole oltre le mura di questa
stanza.”
“Le porterò dove?”
“Dovunque andrai – dovunque sarà.”
Passai qualche secondo a digerire tutto questo. Poi dissi: “E Alan?
Anche lui sarà un lascito?”
Ishmael scosse le spalle. “Immagino che tanto vale che ne parliamo
adesso, Julie. Ho avuto molti allievi. Alcuni non hanno preso nulla da me,
altri hanno preso solo qualcosa e altri hanno preso molto. Ma nessuno ha
preso tutto. Ognuno prende quanto può trasportare. Capisci cosa intendo?”
“Penso di sì.”
“Ciò che fanno con quanto prendono è ovviamente oltre il mio
controllo. Per la maggior parte, non ho idea di cosa ci facciano... O se ci
facciano qualcosa. Uno di recente mi ha scritto comunicandomi la sua
strana interpretazione di cosa farci. Vuole immigrare in Europa e diventare
una sorta di predicatore itinerante lì.”
“Tu cosa volevi che facesse?”
“Oh, non è una questione di cosa voglio io. Ognuno deve fare ciò che è
nelle sue possibilità. Ho chiamato la sua interpretazione 'strana' solo
perché è inconcepibile per me. Io so solo come istruire le persone in
questo modo – attraverso il dialogo. Semplicemente, non riesco a
immaginare di farlo in una sala conferenze. Una mia mancanza, non sua.”
“Mi sento persa, Ishmael. Cosa c'entra questo con Alan e me?”
“Quando ti ho chiamato il mio lascito, tu mi hai chiesto se lo fosse
anche Alan. Voglio che tu capisca che ciò che sto dando a te è molto
diverso da ciò che sto dando a lui. Non esistono due viaggi identici, perché
non esistono due allievi che lo siano.”
“Va bene. Ha senso.”
“Abbiamo fatto una breve deviazione per mostrarti come riconoscere i
membri della vostra cultura. Ora vediamo se riusciamo a tornare sulla
strada principale... Stavo dicendo che la vostra cultura è profondamente
convinta che la saggezza non possa essere trovata tra di voi, e che questa
convinzione esiste da millenni.”
“Sì, mi ricordo.”
“Capisci perché ne sto parlando?”
30. “No, non proprio.”
“Nel tuo sogno a occhi aperti hai dato per scontato che la saggezza
dovesse essere cercata altrove – a miliardi di chilometri di distanza da
questo pianeta. Il che è anche il motivo per cui hai dovuto creare questa
fantasticheria. E' tua profonda convinzione che il segreto che stai cercando
non possa essere trovato qui.”
“Sì, è vero.”
“Ciò che vorrei farti capire è che la perdita di questo segreto è stata un
avvenimento storico. Non si tratta di qualcosa mancante nei vostri geni.
L'umanità non è nata ignorante al riguardo. Si è trattato di qualcosa che è
avvenuto solamente nella vostra cultura.”
“Va bene. Ma perché vuoi che capisca tutto questo?”
“Perché... Hai mai perso qualcosa? Una chiave, un libro, uno
strumento, una lettera?”
“Certo.”
“Riesci a ricordarti come hai cercato di ritrovarlo?”
“Ho cercato di ricordare dove mi trovassi l'ultima volta che l'avevo
visto.”
“Ma certo. Se sai dove hai perso qualcosa sai anche dove cercarlo, non
è vero?”
“Sì.”
“Ecco cosa sto cercando di mostrarti: dove e quando avete perso il
segreto che è conosciuto da ogni altra specie sul pianeta – e da ogni altra
specie intelligente nell'universo, se ne esistono.”
“Accidenti”, gli dissi. “Dobbiamo essere davvero speciali se ogni altra
specie nell'universo conosce qualcosa che noi non sappiamo.”
“Siete davvero speciali, Julie. A questo riguardo, la vostra Madre
Cultura e io siamo completamente d'accordo.”
La Storia dell'Uomo in 17 secondi.
“C'è solo un posto da dove cominciare con un allievo, Julie”, disse
Ishmael, “e quel posto è dove l'allievo si trova. Capisci che intendo?”
“Penso di sì.”
“Perlopiù, l'unico modo che ho di sapere dove ti trovi è che me lo dica
tu stessa. E questo è ciò che devi fare adesso. Ho bisogno che tu mi dica
che cosa sai della storia umana.”
A queste parole gemetti, e Ishmael mi chiese perché. “Storia non è la
mia materia preferita”, gli dissi.
31. “Posso capirlo”, disse lui, “sapendo come i vostri insegnanti sono
costretti a insegnarvela. Ma io non ti sto chiedendo di recitarmi cos'hai
imparato (o non sei riuscita a imparare) a scuola. Anche se non avessi
passato un solo giorno a scuola, avresti comunque un'impressione generica
di cos'è successo qui, solo dall'aver avuto occhi e orecchie aperti nella tua
cultura per dodici anni. Anche qualcuno che non ha letto altro che la
pagina dei fumetti ce l'ha.”
“Va bene”, dissi, e poi feci un collegamento. “E' la versione di Madre
Cultura della storia umana? E' questo che mi stai chiedendo?”
Ishmael annuì. “E' questo che ti sto chiedendo. Devo sapere quanta ne
hai assorbita. Ancora più importante: tu devi sapere quanta ne hai
assorbita.”
“Capisco”, gli dissi, e cominciai a ragionarci. Dopo circa tre minuti
cominciò a contorcersi – uno spettacolo impressionante, vista la sua mole.
Gli lanciai un'occhiata interrogativa.
“Falla semplice, Julie. Questo non è un tema su cui ti verrà dato un
voto. Dimmi solo le cose generiche che conoscono tutti. Non voglio mille
parole e nemmeno cinquecento. Cinquanta basteranno.”
“Sto cercando di decidere come inserirci le Piramidi e la Seconda
Guerra Mondiale.”
“Cominciamo dalla cornice. Una volta che avremo quella, potremo
'inserirci' tutto quello che vogliamo.”
“D'accordo. Gli umani sono apparsi circa... Quanti? Cinque milioni di
anni fa?”
“Tre milioni è la stima comunemente accettata.”
“Va bene, tre milioni. Gli umani sono comparsi circa tre milioni di anni
fa. Erano mangiatori di carogne, vero?”
“Potrebbero benissimo esserlo stati, all'inizio. Ma credo che tu intenda
raccoglitori.”
“Sì, esatto. Erano raccoglitori. Nomadi. Vivevano di ciò che offriva la
terra, come facevano i nativi americani.”
“Bene. Continua.”
“Be', continuarono a vivere di ciò che offriva la terra fino a circa
diecimila anni fa. Poi per qualche motivo abbandonarono la vita nomade e
cominciarono a coltivare. E' esatto? Diecimila anni fa?”
Ishmael annuì. “Nuove scoperte potrebbero retrodatarla, ma finché non
avverrà diecimila anni è la stima generalmente accettata.”
“Va bene. Quindi si stabilirono in un punto e cominciarono a coltivare.
E questo fu fondamentalmente l'inizio della civiltà. Tutta questa roba.
32. Città, nazioni, guerre, navi a vapore, biciclette, razzi sulla luna, bombe
atomiche, gas nervino e così via.”
“Eccellente”, disse Ishmael. “Alan ha dovuto fare la stessa cosa per me,
ma gli ci sono volute quasi due ore.”
“Davvero? Perché?”
“In parte perché è un maschio e deve mettersi in mostra un po'. E in
parte perché ha ascoltato la voce di Madre Cultura per tanto tempo che
ormai crede sia la sua. Ha difficoltà a distinguerle l'una dall'altra.”
“Capisco”, dissi, cercando di non suonare compiaciuta.
“A ogni modo, la bugia fondamentale ora è emersa: circa diecimila anni
fa, gli umani smisero di essere raccoglitori nomadi e divennero agricoltori
stabili.”
Lo considerai per un minuto e poi gli chiesi quale parte fosse sbagliata.
“La data è giusta, vero?”
Annuì.
“Anche la parte della raccolta è giusta, vero? Voglio dire, prima che gli
umani fossero agricoltori erano raccoglitori, no?”
Annuì di nuovo.
“Poi divennero agricoltori. Non è questo che fecero?”
“Sì.”
“Allora dov'è la bugia?”
“La bugia è nascosta nell'unica parte della frase a cui non hai pensato.”
“Me la potresti ripetere?”
“'Circa diecimila anni fa, gli umani smisero di essere raccoglitori
nomadi e divennero agricoltori stabili'.”
“Caspita”, dissi. “Non ci vedo nemmeno lo spazio necessario per
infilarci una bugia.”
“Né lo vedrebbe la maggior parte delle persone della vostra cultura,
Julie. Dopotutto si tratta della versione della storia della vostra cultura,
quindi è naturale che ti sembri perfettamente accettabile. La vedrai ripetuta
(in diverse variazioni) in tutti i vostri libri di testo. La vedrai ripetuta in
articoli di giornali e riviste. Se terrai gli occhi aperti, ti imbatterai in una
versione o l'altra di questa storia due o tre volte a settimana. La vedrai
ripetuta sistematicamente dagli storici, che la riconoscerebbero
sicuramente come una bugia, se non la stessero ripetendo senza rifletterci
su.”
“Ma dov'è la bugia?”
“La bugia è nella parola 'umani', Julie. Non furono gli umani a fare
questo, furono i membri della vostra cultura – una sola cultura su decine di
33. migliaia. La bugia è che le vostre azioni siano le azioni dell'umanità. La
bugia è che voi siate l'intera umanità, che la vostra storia sia la storia
dell'umanità. La verità è che diecimila anni fa un popolo abbandonò la vita
di raccolta nomade e divenne un popolo di agricoltori sedentari. Il resto
dell'umanità – il restante novantanove percento – continuò esattamente
come prima.”
Rimasi comatosa per un minuto o due, poi dissi: “Ecco come sembra
che stiano le cose. Sembra che questo fosse il passo successivo
dell'evoluzione umana. L'Homo raccoglitor si estinse e l'Homo agricoltor
ne prese il posto.”
Ishmael annuì. “Molto acuto, Julie. Non l'avevo capito nemmeno io. E'
esattamente l'impressione che si ha, ma naturalmente non è vera.”
“Come lo sai?”
“Innanzitutto, perché l'Homo raccoglitor non si estinse affatto – e non
lo è tuttora. E poi perché raccoglitori e agricoltori non appartengono a due
specie diverse. Sono biologicamente indistinguibili. La differenza tra loro
è prettamente culturale. Alleva un bambino raccoglitore tra gli agricoltori e
sarà un agricoltore. Alleva un bambino agricoltore tra i raccoglitori e sarà
un raccoglitore.”
“D'accordo. Ma comunque, è come... Non lo so. E' come se l'orchestra
avesse cominciato a suonare una nuova melodia e tutti avessero
cominciato a ballarla in tutto il mondo.”
Ishmael annuì e disse: “So che è così che sembra, Julie. I vostri libri di
storia l'hanno ridotta a una storia davvero semplice. In realtà si tratta di una
storia molto complessa e intricata, e i membri della vostra cultura hanno
un bisogno vitale di conoscerla. Il vostro futuro non dipende dal
comprendere la caduta di Roma, o la scalata al potere di Napoleone, o la
guerra civile americana, e nemmeno le guerre mondiali. Il vostro futuro
dipende dal comprendere come siete arrivati a essere ciò che siete, ed è
questa la storia che sto cercando di rivelarti.”
Ishmael si fermò e lo sguardo gli divenne vitreo per una decina di
minuti. Alla fine si accigliò e scosse la testa, e io gli chiesi quale fosse il
problema.
“Stavo cercando di trovare un modo per renderti la storia comprensibile
con un solo racconto, Julie, ma non credo che si possa fare. Deve essere
presentata in varie narrazioni diverse, ognuna delle quali mirata a far
emergere un preciso gruppo di argomenti. Ha senso per te?”
“No, non molto, a essere onesta. Ma sono sicuramente disposta ad
ascoltare.”
34. “Bene. Ecco una narrazione della storia basata sulla tua metafora della
melodia e dei danzatori. Per quanto possa sembrarti fantasiosa, non lo è
neanche vagamente quanto quella raccontata nei vostri libri di testo, che
dal punto di vista storico è utile quanto le storie di Mamma Oca.”
Melodie e danzatori.
Tersicore è tra i luoghi che ti piacerebbe visitare nell'universo (disse
Ishmael). E' un pianeta (nominato, per inciso, come la musa della danza)
dove le persone erano emerse nel solito modo nella comunità della vita.
Inizialmente avevano vissuto come tutti gli altri, semplicemente
mangiando qualunque cosa avessero a disposizione. Ma dopo un paio di
milioni di anni di questa vita, avevano notato che era molto semplice
incoraggiare la crescita dei loro cibi preferiti. Si potrebbe dire che avevano
trovato alcuni semplici passi che avevano questo risultato. Non erano
costretti a usare questi passi per sopravvivere, ma se lo facevano i loro cibi
preferiti erano sempre maggiormente disponibili. Si trattava, naturalmente,
di passi di danza.
Pochi passi, danzati solo tre o quattro giorni al mese, arricchivano
enormemente le loro vite e non richiedevano quasi alcuno sforzo. Come
qui sulla Terra, la gente di questo pianeta non era un solo popolo ma molti
popoli diversi, e con il passare del tempo ogni popolo sviluppò un proprio
approccio alla danza. Alcuni continuarono a danzare solo alcuni passi tre o
quattro volte al mese. Altri desideravano avere maggiori quantità dei loro
cibi preferiti, quindi danzavano un po' ogni due o tre giorni. Altri ancora
non videro alcun motivo per cui non avrebbero dovuto vivere
principalmente dei loro cibi preferiti, quindi danzavano un po' ogni giorno.
Le cose restarono in questo modo per decine di migliaia di anni tra i popoli
di questo pianeta, che si ritenevano creature nelle mani degli dei e
lasciavano loro ogni decisione. Per questo motivo, si chiamarono Lascia.
Ma un gruppo di Lascia a un certo punto si disse: “Perché dovremmo
vivere solo parzialmente dei cibi che preferiamo? Perché non dovremmo
vivere esclusivamente di essi? Tutto ciò che dobbiamo fare è dedicare
molto più tempo alla danza.” Così questo particolare gruppo cominciò a
danzare per diverse ore al giorno. Dato che ritenevano di aver preso nelle
proprie mani il proprio benessere, li chiameremo Prendi. I risultati furono
spettacolari. I Prendi furono inondati dei loro cibi preferiti. In breve,
emerse una classe amministratrice deputata a gestire l'accumulo e la
conservazione delle eccedenze alimentari – cosa che non era mai stata
35. necessaria quando tutti danzavano solo poche ore a settimana. Gli
appartenenti a questa classe erano di gran lunga troppo occupati per
danzare loro stessi e, dato che il loro lavoro era così importante, presto
cominciarono a venire considerati leader politici e sociali. Ma dopo alcuni
anni, questi leader dei Prendi cominciarono a notare che la produzione di
cibo stava calando e andarono a controllare quale fosse il problema. Ciò
che scoprirono fu che i danzatori stavano battendo la fiacca. Non stavano
danzando diverse ore al giorno ma solo un'ora o due, e a volte nemmeno
quelle. I leader ne chiesero il motivo.
“Perché dovremmo danzare così tanto?”, chiesero i danzatori. “Non c'è
bisogno di danzare sette od otto ore al giorno per ottenere tutto il cibo che
ci serve. C'è cibo in abbondanza anche se danziamo solo un'ora al giorno.
Non siamo mai affamati. Perché non dovremmo rilassarci e prendercela
comoda, come facevamo una volta?”
I leader naturalmente vedevano le cose in maniera molto diversa. Se i
danzatori avessero ricominciato a vivere come facevano una volta, allora
anche i leader avrebbero presto dovuto fare altrettanto, e questo non li
allettava affatto. Presero in considerazione e provarono vari sistemi per
incoraggiare, tentare, costringere o spingere con la vergogna i danzatori a
danzare per più ore, ma nessuno di essi funzionò. Finché uno di loro se ne
uscì con l'idea di chiudere a chiave il cibo.
“E a che servirebbe?”, gli chiesero.
“Il motivo per cui i danzatori non stanno danzando è che devono solo
allungare la mano e prendere il cibo che vogliono. Se lo mettiamo sotto
chiave, non potrarlo più farlo.”
“Ma se chiudiamo il cibo a chiave i danzatori moriranno di fame!”
“No, no, non capite”, disse l'altro sorridendo. “Noi collegheremo il
danzare con il ricevere cibo – un tot di cibo per un tot di danza. Quindi se i
danzatori danzeranno un po' otterranno un po' di cibo, e se danzeranno
molto ne otterranno molto. In questo modo gli scansafatiche saranno
sempre affamati e i danzatori che danzeranno per molte ore avranno lo
stomaco pieno.”
“Non accetteranno mai una cosa simile”, gli dissero.
“Non avranno scelta. Chiuderemo il cibo in dei magazzini, e i danzatori
dovranno scegliere tra danzare e morire di fame.”
“Faranno irruzione nei magazzini.”
“Recluteremo delle guardie tra i danzatori. Li esonereremo dal danzare
e faremo far loro la guardia ai magazzini. Li pagheremo come pagheremo i
danzatori: con il cibo – tanto cibo quante ore di guardia faranno.”
36. “Non funzionerà mai”, gli dissero.
Ma incredibilmente funzionò. Funzionò ancora meglio di prima perché
adesso, con il cibo sotto chiave, c'erano sempre danzatori disposti a
danzare, e molti erano grati di poter danzare dieci, dodici, persino
quattordici ore al giorno.
Chiudere il cibo sotto chiave ebbe anche altre conseguenze. Per
esempio, in passato dei normali canestri erano stati sufficienti per
conservare il cibo superfluo prodotto, ma non erano abbastanza per le
enormi eccedenze che venivano prodotte ora. I vasai dovettero sostituire i
cestai nella produzione di contenitori, e dovettero imparare a fabbricarne
di enormi, il che significò costruire dei forni più grandi ed efficienti. E
dato che non tutti i danzatori accettarono tranquillamente l'idea del cibo
messo sotto chiave, le guardie dovettero venire equipaggiate con armi
migliori di prima, il che spinse i costruttori di utensili a cercare nuovi
materiali con cui rimpiazzare le armi di pietra usate fino ad allora: rame,
bronzo, e così via. Mentre i metalli divenivano disponibili per la
fabbricazione di armi, gli artigiani ne scoprivano nuovi utilizzi. Ogni
innovazione diede origine ad altre. Ma costringere i danzatori a danzare
dieci o dodici ore al giorno ebbe una conseguenza molto più importante.
La crescita di una popolazione è sempre una funzione della sua
disponibilità di cibo. Se si aumenta la quantità di cibo a disposizione di
una qualunque specie, la popolazione di quella specie crescerà – ammesso
che abbia spazio in cui crescere. E naturalmente i Prendi avevano molto
spazio in cui crescere: i territori dei loro vicini. Erano felici di espandersi
pacificamente nei territori dei loro vicini. Dissero ai Lascia intorno a loro:
“Perché non cominciate a danzare come noi? Guardate quanto abbiamo
ottenuto danzando in questo modo. Abbiamo cose che voi non potete
nemmeno sognare di avere. Il modo in cui danzate voi è terribilmente
inefficace e improduttivo. Il modo in cui danziamo noi è il modo in cui le
persone devono danzare, il modo che siamo nati per attuare. Quindi
lasciateci espandere nel vostro territorio e vi mostreremo come fare.”
Alcuni dei loro vicini pensarono che fosse una buona idea e
cominciarono a praticare lo stile Prendi. Ma altri dissero: “Noi stiamo bene
così. Danziamo alcune ore a settimana e questo ci basta. Noi pensiamo che
siate pazzi a estenuarvi danzando cinquanta o sessanta ore a settimana, ma
sono affari vostri. Se volete farlo, fatelo pure. Ma noi non abbiamo
intenzione di fare altrettanto.”
I Prendi si espansero attorno a questi popoli reazionari e alla fine li
isolarono. Uno di questi erano i Singe, che danzavano solo un paio d'ore al
37. giorno per produrre i cibi che preferivano. Inizialmente continuarono a
vivere come prima, ma poi i loro figli divennero gelosi delle cose in
possesso dei figli dei Prendi e cominciarono a offrirsi di danzare alcune
ore al giorno per i Prendi e di fare la guardia ai magazzini. Dopo alcune
generazioni, i Singe vennero completamente assorbiti dallo stile di vita
Prendi e si dimenticarono perfino di essere mai stati Singe.
Un altro popolo che cercò di resistere all'espansione Prendi furono i
Kemke, che danzavano solo poche ore a settimana e amavano la
rilassatezza che questo modo di vivere donava loro. Erano decisi a non
lasciarsi assorbire come i Singe, e continuarono a vivere a modo loro. Ma
a un certo punto i Prendi andarono da loro e dissero: “Sentite, non
possiamo continuare a lasciarvi tutta questa terra nel bel mezzo del nostro
territorio. Non la state usando in modo efficiente. O cominciate a danzare
come noi, o dovremo spingervi in un angolo del vostro territorio in modo
da utilizzare il resto in modo produttivo.” Ma i Kemke si rifiutarono di
danzare come i Prendi, così i Prendi arrivarono e li spinsero in un angolo
del loro territorio, che chiamarono una “riserva”, intendendo che era
riservato ai Kemke. Ma i Kemke erano abituati a ottenere la maggior parte
del proprio cibo con la raccolta, e quella piccola riserva semplicemente
non era sufficiente a sostenere un popolo raccoglitore. I Prendi dissero
loro: “Non importa, vi daremo noi del cibo, vogliamo solo che continuiate
a rimanere nella vostra riserva senza ostacolarci.” Così i Prendi
cominciarono a rifornirli di cibo, e gradualmente i Kemke si dimenti-
carono come cacciare e raccogliere da soli il proprio cibo. E, naturalmente,
più si dimenticavano e più divenivano dipendenti dai Prendi. Cominciaro-
no a sentirsi solo dei mendicanti inutili, persero ogni amor proprio e
precipitarono nell'alcolismo e nella depressione suicida. Alla fine, i loro
figli non videro motivo di rimanere nella riserva e si trasferirono dai
Prendi per cominciare a danzare dieci ore al giorno per loro.
Un altro popolo che cercò di resistere all'avanzata Prendi furono i
Waddi, che danzavano solo poche ore al mese ed erano perfettamente
soddisfatti di questo stile di vita. Avevano visto cos'era successo ai Singe e
ai Kemke ed erano decisi a non lasciare che succedesse anche a loro.
Capirono di avere ancora di più da perdere dei Singe e dei Kemke, che
danzavano già molto da soli. Così, quando i Prendi li invitarono a unirsi a
loro, i Waddi dissero: “No grazie, siamo a posto così.” Poi, quando alla
fine i Prendi arrivarono e dissero loro che avrebbero dovuto spostarsi in
una riserva, i Waddi risposero che non avevano intenzione di fare neanche
quello. I Prendi spiegarono ai Waddi che non avevano scelta. Se non si
38. fossero spostati nella riserva volontariamente, sarebbero stati costretti a
farlo con la forza. I Waddi replicarono che avrebbero risposto alla violenza
con altra violenza, e avvisarono i Prendi che erano preparati a combattere
fino alla morte per proteggere il loro stile di vita. Dissero ai Prendi:
“Sentite, avete già tutta questa terra. Non vi serve questa piccola zona in
cui viviamo noi. Tutto ciò che vi chiediamo è di poter continuare a vivere
come preferiamo. Non vi daremo fastidio.”
Ma i Prendi risposero: “Voi non capite. Il modo in cui vivete non è solo
inefficiente e improduttivo, è sbagliato. La gente non deve vivere come
fate voi. Deve vivere come viviamo noi Prendi.”
“Come potete sapere una cosa simile?”, chiesero i Waddi.
“E' ovvio”, risposero i Prendi. “Basta guardare a quanto successo
abbiamo. Se non stessimo vivendo nel modo in cui la gente deve vivere,
non avremmo tutto questo successo.”
“A noi non sembrate affatto avere successo”, replicarono i Waddi.
“Costringete la gente a danzare dieci o dodici ore al giorno solo per restare
in vita, e questo è un modo orribile di vivere. Noi danziamo solo poche ore
al mese e non siamo mai affamati, perché tutto il cibo del mondo è lì fuori
pronto per essere raccolto. Abbiamo una vita comoda e spensierata, e
questo è ciò che significa avere successo.”
“Non è affatto questo che significa”, dissero i Prendi. “Vi accorgerete di
che significa avere successo quando manderemo le nostre truppe a
costringervi a trasferirvi nel territorio che vi abbiamo assegnato.”
E i Waddi in effetti impararono cos'era il successo – o almeno cosa i
Prendi consideravano successo – quando i loro soldati arrivarono per
costringerli ad andarsene. I soldati Prendi non erano più coraggiosi o più
abili dei Waddi, ma li superavano di numero e avevano a disposizione
rimpiazzi virtualmente illimitati. Inoltre gli invasori avevano armi più
avanzate e, cosa più importante, una riserva di cibo illimitata, che i Waddi
sicuramente non avevano. I soldati Prendi non dovevano mai preoccuparsi
del cibo, perché nuovi rifornimenti arrivavano quotidianamente dai loro
territori, dove stava venendo prodotto continuamente e in quantità
prodigiose. Man mano che la guerra proseguiva le forze dei Waddi
divenivano sempre più piccole e sempre più deboli, e in breve gli invasori
li spazzarono via completamente.
Questo fu ciò che avvenne non solo negli anni seguenti, ma nei secoli e
nei millenni successivi. La produzione alimentare crebbe incessantemente,
e la popolazione Prendi la seguì di pari passo, costringendoli a espandersi
in un territorio dopo l'altro. Ovunque andassero, incontravano popoli che
39. danzavano solo poche ore a settimana o al mese, e a tutti questi popoli
offrirono la stessa scelta che venne offerta ai Singe, ai Kemke e ai Waddi:
o vi unirete a noi e ci lascerete mettere tutto il vostro cibo sotto chiave, o
verrete distrutti. Alla fine, comunque, questa scelta si rivelava solo
un'illusione, perché questi popoli venivano distrutti qualunque facessero,
sia che scegliessero di venire assimilati, sia che si ritirassero in una riserva,
sia che cercassero di respingere gli invasori con la forza. I Prendi non
lasciarono dietro di loro altro che Prendi mentre infuriavano nel mondo.
E alla fine arrivò il giorno, circa diecimila anni dopo, in cui quasi
l'intera popolazione di Tersicore era composta da Prendi. C'erano solo
pochi rimasugli di popoli Lascia in giungle e deserti che i Prendi o non
volevano o non erano ancora arrivati a invadere. E non c'era nessuno tra i
Prendi che dubitava che lo stile di vita Prendi fosse il modo in cui le
persone erano destinate a vivere. Cosa potrebbe essere migliore che avere
tutto il proprio cibo chiuso sotto chiave e dover danzare otto, dieci o dodici
ore al giorno solo per restare in vita?
A scuola, questa era la storia che i loro figli imparavano: persone come
loro erano esistite per circa tre milioni di anni, ma per la maggior parte di
quel tempo erano rimaste inconsapevoli del fatto che danzare avrebbe
incoraggiato la ricrescita dei loro cibi preferiti. Questo fatto era stato
scoperto solo diecimila anni prima, dai fondatori della loro cultura.
Chiudendo felicemente sotto chiave il proprio cibo, i Prendi cominciarono
immediatamente a danzare otto o dieci ore al giorno. I popoli intorno a
loro non avevano mai danzato prima, ma cominciarono a farlo anche loro
entusiasticamente, capendo che quello era il modo in cui la gente doveva
vivere. A eccezione di pochi popoli troppo stupidi per capire gli ovvi
vantaggi dell'avere il proprio cibo sotto chiave, la Grande Rivoluzione
Danzante si diffuse in tutto il mondo senza opposizione.
La parabola esaminata.
Ishmael smise di parlare, e io rimasi a fissare nel vuoto davanti a me
come la vittima di un bombardamento. Alla fine, gli dissi che avevo
bisogno di uscire a prendermi della caffeina e riflettere su tutto questo. O
forse mi limitai a barcollare fuori senza aprire bocca, non ricordo.
Tornai da Pearson's e feci su e giù nell'ascensore un altro po'. Non so
perché mi rilassa tanto, ma lo fa. Altra gente fa passeggiate nel bosco, io
faccio su e giù negli ascensori dei centri commerciali. Poi mi fermai a
prendere una Coca. Guardando indietro, mi accorgo che questa è la
40. seconda volta che nomino la Coca Cola. Non vorrei che pensaste che ne
stia incoraggiando il consumo. Per quanto mi riguarda dovrebbero tutti
smettere di berla, ma temo di farmene una io stessa, occasionalmente.
Dopo quarantacinque minuti, mi sentivo ancora come la vittima di un
bombardamento, a parte il fatto che non provavo alcun dolore. Mi sentii
come se avessi finalmente capito che cosa significa imparare. Ovviamente,
imparare può essere anche solo controllare il significato di una parola.
Anche questo è imparare, certo, un po' come piantare un filo d'erba in un
prato. Ma poi c'è l'imparare che è simile al far saltare in aria il prato e
ripiantarlo da capo, e questo è ciò che aveva fatto la storia dei danzatori di
Ishmael. Alla fine cominciarono a venirmi in mente alcune domande, e
tornai nella stanza 105 per ottenere risposte.
“Lasciami verificare di aver capito davvero cosa ho ascoltato”, dissi.
“Mi sembra un buon piano”, disse Ishmael.
“Per 'danza' tu intendi l'agricoltura.”
Annuì.
“Stai dicendo che l'agricoltura non è costituita solo dallo stile intensivo
che pratichiamo noi. Stai dicendo che l'agricoltura è l'incoraggiare la
crescita dei cibi che si preferiscono.”
Annuì ancora. “Cos'altro potrebbe essere? Se sei su un'isola deserta,
non puoi far crescere galline o ceci – a meno di non trovarne alcuni già
esistenti. Puoi far ricrescere soltanto ciò che sta già crescendo in quella
zona.”
“Giusto. E stai dicendo che la gente stava già incoraggiando la
ricrescita dei loro cibi preferiti molto prima della Rivoluzione Agricola.”
“Ma certo. Non c'è nulla di misterioso in questo processo. Persone
intelligenti quanto te erano già esistite per duecentomila anni quando la
vostra 'rivoluzione' è cominciata. In ogni generazione c'erano persone
abbastanza intelligenti da essere ingegneri aeronautici, e non c'è nemmeno
bisogno di essere tanto intelligenti per accorgersi che le piante crescono
dai semi. Non serve essere un genio per capire che ha senso piantare un
paio di semi nel terreno quando abbandoni una zona. Non serve essere un
genio per togliere un po' di erbacce. Non serve essere un genio per capire
che quando vai a caccia ti conviene sempre scegliere un maschio anziché
una femmina. I cacciatori nomadi sono solo a un passo di distanza
dall'essere cacciatori/pastori che seguono le migrazioni dei loro animali
preferiti, ed essi sono solo a un passo di distanza dall'essere pastori/cac-
ciatori che controllano entro certi limiti le migrazioni dei propri animali
preferiti e scacciano i loro predatori. E questi sono solo a un passo
41. dall'essere veri pastori, che controllano completamente i propri animali e li
fanno riprodurre in modo da favorire la docilità.”
“Quindi stai dicendo che la rivoluzione è consistita soltanto nel
cominciare a fare a tempo pieno qualcosa che le persone avevano già fatto
occasionalmente per migliaia di anni.”
“Ma certo. Nessuna invenzione emerge già completamente formata in
un solo passo, dal niente. Diecimila invenzioni hanno dovuto venire create
prima che Edison potesse inventare la lampadina.”
“Sì. Ma stai anche dicendo che la vera innovazione della nostra
rivoluzione non fu crescere il cibo, ma metterlo sotto chiave.”
“Sì, quella fu sicuramente la chiave. Senza quello, la vostra rivoluzione
si sarebbe sicuramente fermata. Si fermerebbe oggi, se il cibo non fosse
sotto chiave.”
“Un'ultima cosa. Stai dicendo che la rivoluzione non si è mai
conclusa.”
“Esatto. Si fermerà presto, comunque. La rivoluzione ha funzionato
senza troppi problemi finché c'erano sempre territori nuovi in cui
espandersi, ma adesso non ce ne sono più.”
“Immagino che potremmo esportarla su altri pianeti.”
Ishmael scosse la testa. “Anche quella sarebbe solo una soluzione
temporanea, Julie. Diciamo che sei miliardi di abitanti sono il numero
massimo di esseri umani che questo pianeta può sopportare senza problemi
(nonostante sospetti che il vero numero sia molto inferiore). Raggiungerete
i sei miliardi molto prima della fine di questo secolo. E diciamo che a quel
punto avrete accesso istantaneo a ogni altro pianeta abitabile dell'universo,
in cui potrete immediatamente cominciare a esportare persone. Al
momento la vostra popolazione raddoppia ogni trentacinque anni, quindi
nel giro di circa trentacinque anni riempirete un altro pianeta. Dopo
settant'anni, ne riempirete quattro. Dopo centocinque anni, otto pianeti
saranno pieni di esseri umani. E così via. A questo ritmo, un miliardo di
pianeti verrebbero riempiti entro l'anno 3000. So che suona incredibile ma
fidati, i calcoli sono corretti. Entro il 3300 riempireste cento miliardi di
pianeti. Questo è il numero di pianeti che potreste occupare se ogni singola
stella di questa galassia avesse un pianeta abitabile. Se continuaste a
crescere al ritmo attuale, riempireste una seconda galassia in altri
trentacinque anni. Dopo altri trentacinque anni, quattro galassie sarebbero
piene di esseri umani, e otto galassie dopo altri trentacinque. Entro l'anno
4000, i pianeti di un milione di galassie sarebbero pieni di esseri umani.
Entro l'anno 5000, lo sarebbero i pianeti di un trilione di galassie – in altre
42. parole, ogni pianeta dell'universo. Il tutto in appena tremila anni, e
lavorando secondo l'improbabile assunzione che ogni stella dell'universo
abbia un pianeta abitabile.”
Gli dissi che questi numeri erano difficili da credere.
“Fai i calcoli tu stessa, qualche volta. Allora non dovrai crederci: lo
saprai. Qualunque crescita senza limiti finirà inevitabilmente per
sommergere l'intero universo. L'antropologo Marvin Harris una volta ha
calcolato che se la popolazione umana raddoppiasse a ogni generazione –
ogni vent'anni anziché ogni trentacinque – l'intero universo verrebbe
convertito in una massa solida di protoplasma umano in meno di duemila
anni.”
Rimasi lì seduta per un po' cercando di ridurre tutto questo a una
dimensione comprensibile. Alla fine gli raccontai di qualcuno che
conoscevo, una ragazza che quasi ebbe un esaurimento nervoso quando le
venne detto come nascevano i bambini. “Deve essere cresciuta sul fondo
di un pozzo o qualcosa del genere”, gli dissi.
Lui mi riservò un'occhiata di educato interesse.
“Immagino che innanzitutto si sia sentita tradita da Dio, per aver ideato
un modo di procreare così disgustoso. Poi dev'essersi sentita tradita da tutti
quelli intorno a lei che lo sapevano e non gliel'avevano detto. Poi
dev'essersi sentita umiliata nel rendersi conto di essere l'unica persona
sulla faccia della Terra che non sapeva una cosa così semplice.”
“Mi sembra di capire che questo abbia una qualche rilevanza con la
nostra conversazione.”
“Sì. Vorrei sapere se sono l'ultima persona sulla faccia della Terra a
scoprire quello che mi hai detto qui oggi con la tua storia dei danzatori.”
“Prima di tutto, accertiamoci di sapere che cosa ti ho detto. Che cosa fa
questa storia?”
Questa non era una domanda difficile. Era ciò a cui avevo continuato a
pensare mentre solcavo l'aria da Pearson's. “Demolisce la bugia che
diecimila anni fa tutti abbandonarono la vita di raccolta nomade e
divennero agricoltori stanziali. Demolisce la bugia che questo fu un evento
che tutti avevano atteso dall'inizio dei tempi. Demolisce la bugia che il
fatto che il nostro modo di vivere sia diventato quello dominante significhi
che è quello in cui la gente doveva vivere.”
“Quindi: tu sei l'ultima persona a sapere tutto questo? Difficile. Molti,
ascoltando questa storia, penserebbero che l'avevano sempre saputo o che
sospettavano che la verità fosse qualcosa del genere. Molti avrebbero
potuto capirlo da soli – perché avevano tutti i fatti necessari a loro