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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna

LA TUTELA E LA CIRCOLAZIONE DEI BENI
CULTURALI NELL’UNIONE EUROPEA
Antonella Galletti
Cultore di diritto dell’Unione europea nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT: Nell’attuale quadro normativo europeo i riferimenti al dato culturale sono molteplici, ma è ancora
assente una trattazione organica del tema e il settore di riferimento è la cultura considerata in senso più ampio,
secondo quanto disposto dall’art. 151 del TCE, ora articolo 167 del TFUE. Il diritto dei beni culturali sembra
rimanere confinato nelle frontiere nazionali. È evidente, pertanto, che l’azione dell’Unione europea sia rivolta al
plurale concorrendo, quindi, allo sviluppo “delle culture” degli Stati membri e non di una cultura propriamente
europea. Nel settore dei beni culturali l’attività normativa di diritto secondario ha avuto come obiettivo quello di
conciliare nel mercato interno la libera circolazione dei beni culturali con le esigenze di protezione degli stessi.
Prima dell’adozione del regolamento 3911/92, relativo all’esportazione dei beni culturali, e della direttiva 7/93,
relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, gli Stati si
limitavano, infatti, ad effettuare controlli alle frontiere esclusivamente con riguardo ai beni rientranti nel
proprio patrimonio
PAROLE CHIAVE: Convenzione Unidroit; Tutela giuridica dei beni culturali; Regolamento 3911/92; Direttiva 7/93

1. Introduzione
«La battaglia dei beni culturali che ci vede tutti impegnati come cittadini di questo Paese,
archivio e museo del genere umano, è in primo luogo una battaglia culturale: se non ci
convinceremo della necessità e della convenienza di coesistenza e rispetto delle forme
culturali […] contribuiremo alla dispersione e alla distruzione del sapere accumulato e delle
possibilità di sviluppo civile insite nel patrimonio dei beni culturali1».
Tutelare il patrimonio culturale significa tutelare la storia ma anche la natura
contemporanea di un popolo.
Il modello europeo costituisce un esempio unico di coesistenza tra culture differenti ma,
al contempo e sotto vari profili, affini, cosicché la connotazione “culturale” di tale
ordinamento è apparsa con sempre maggiore rilievo2.
È stato il Trattato di Maastricht3 a segnare il passaggio verso un progetto di unificazione
europea di più ampio respiro, aprendo la strada ad un più determinante intervento dell’Unione
1

CARILE, Prefazione, in MEZZETTI (a cura di), I beni culturali. Esigenze unitarie di tutela e pluralità di
ordinamenti, Padova, 1995, , IX.
2
CHIAVARELLI, Il prestito e lo scambio, in CASINI (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna,
2010, pp.114 ss.

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in materia di beni culturali, tradizionalmente escluso sul presupposto del necessario rispetto
delle identità nazionali dei singoli Stati membri4.
Dal 1993 la cultura rientra tra le competenze dell’Unione e la stessa deve essere tenuta
in considerazione in tutte le azioni e nell’adozione di atti (in materia normativa e finanziaria)
anche al fine di promuovere la diversità e il dialogo interculturale.
Nell’attuale quadro normativo europeo i riferimenti al dato culturale sono molteplici5,
ma è ancora assente una trattazione organica del tema e il settore di riferimento è la cultura
considerata in senso più ampio, secondo quanto disposto dall’art. 151 del TCE, ora articolo 167
del TFUE6.
L’Unione europea vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale
europeo (articolo 3 del TUE, EX articolo 2 del TUE), appoggia ed integra l’azione degli Stati
membri nella conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea
(articolo 167 del

TFUE).

Si tratta di principi da considerare in modo certamente positivo

nell’ambito del riconoscimento a livello europeo di una valorizzazione dei beni culturali.
Il diritto dei beni culturali sembra, nondimeno, rimanere confinato nelle frontiere
nazionali7, anche per l’evidente difficoltà di disegnare un quadro di interventi dell’Unione
3

Firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1993.
VITALE, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in CASINI (a cura di), op. cit.,
p. 182.
5
In particolare, gli articoli 3 TUE, 6, 13, 107, 165, 198, 207 TFUE.
6
Articolo 167 TFUE: “1. L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto
delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune. 2. L’azione
dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad
integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori: - miglioramento della conoscenza e della diffusione della
cultura e della storia dei popoli europei, - conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza
europea, - scambi culturali non commerciali, - creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. 3.
L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali
competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa. 4. L’Unione tiene conto degli aspetti
culturali nell’azione che svolge a norme di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e
promuovere la diversità delle sue culture. 5. Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente
articolo: - il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa
consultazione del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi
armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; - il Consiglio, su proposta della
Commissione, adotta raccomandazioni.
7
Da parte degli Stati membri c’è stata, e c’è ancora oggi, la tendenza a considerare la disciplina del patrimonio
culturale come un “dominio riservato”, una materia, cioè, che deve essere regolata dalla legge del luogo ove si
trovano i beni culturali, sui quali lo Stato esercita una potestà di governo che, in linea di principio, non trova
limitazioni nel diritto internazionale classico. Così, FRANCIONI, Protezione internazionale del patrimonio
culturale: interessi nazionali e difesa del patrimonio comune della cultura, Milano, 2000, p.12.
4

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adeguati. Le stessa definizione di “bene culturale” e di “patrimonio culturale” varia, inoltre,
negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri e si sottrae a qualsiasi forma di
armonizzazione, che peraltro lo stesso articolo 167 del TFUE esclude espressamente8.
È possibile, tuttavia, dedurre nel riferimento al patrimonio culturale di importanza
europea, contenuto nel sopracitato articolo, un segno di un più forte coinvolgimento delle
istituzioni dell’Unione nelle politiche culturali. Si tratta, di fatto, di una nozione flessibile, in
grado di favorire il dinamismo che contraddistingue il settore della cultura ma, proprio per
questo, necessiterebbe di una precisazione di contenuto. Il legislatore europeo, al contrario,
non fornisce una definizione europea di patrimonio culturale.
A tal proposito l’unica soluzione è quella di accogliere una nozione di patrimonio
culturale che includa tutto ciò che ha un interesse archeologico, storico o artistico. Ne
consegue che anche l’identità culturale europea potrebbe acquisire, nell’ambito degli obiettivi
sanciti dall’articolo 3 del TUE, specifico rilievo9.
La salvaguardia dell’opposto interesse alla protezione delle diversità culturali nazionali,
ostacola, però, l’elaborazione di politiche comunitarie più incisive e l’aspirazione ad una
cultura comune europea10.
La questione potrebbe essere, quindi, quella di intendere il patrimonio culturale
dell’Unione non solo come “somma” dei singoli patrimoni nazionali degli Stati membri ma
come la “selezione di quelle testimonianze di civiltà suscettibili di caratterizzare la
dimensione culturale europea11”.

2. I beni culturali nelle disposizioni dei trattati dell’Unione europea
Il modo più corretto per riflettere sul processo d’integrazione europea non può
prescindere dal considerare che si tratta di un processo in costante modificazione e,

8

In proposito, ACCETTURA, I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, in Aedon, 2003,
n.2.
9
VITALE, op. cit., p. 185.
10
DEGRASSI, Cultura e istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, Milano, 2008,
pp. 190-201.
11
PAPA, Strumenti e procedimenti della valorizzazione del patrimonio culturale, Napoli, 2006, p. 91.

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soprattutto, che l’integrazione ha assunto in una lunga fase iniziale una connotazione in
prevalenza settoriale e quasi esclusivamente economica.
Questo ci permette di capire come solo a partire dal Trattato di Maastricht la cultura
ottenga dignità di menzione soltanto in una norma e come, a tutt’oggi, al tema della cultura
sia riservato il solo Titolo XIII, a sua volta unicamente formato dall’articolo 167del TFUE, che
ha modificato, in modo per nulla significativo, l’articolo 151 del TCE.
L’articolo 167 del

TFUE,

così come il vecchio articolo 151delTCE, non è altro che una

norma programmatica priva di quella diretta applicabilità che caratterizza alcune norme anche
dei trattati, e pervasa da una “sottesa sussidiarietà12” che emerge dalla funzione che ha
l’Unione di contribuire allo sviluppo delle culture degli Stati membri.
È evidente, pertanto, che l’azione dell’Unione europea, destinata alla diffusione della
cultura dei popoli europei e della tutela del patrimonio culturale di importanza europea, degli
scambi e della conservazione artistica, sia rivolta al plurale concorrendo, quindi, allo sviluppo
“delle culture” degli Stati membri e non di una cultura propriamente europea, sintesi del
“retaggio culturale comune” al quale si riferisce anche l’articolo 167TFUE, comma 1.
Ciò serve a chiarire i limiti entro i quali è possibile parlare di un “patrimonio culturale
europeo”, oggetto dell’azione dell’Unione, e a sottolineare la difficoltà di affermare una vera
politica comune in questo settore, proprio per la insufficienza e l’inadeguatezza delle
competenze che i trattati, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, attribuiscono
all’Unione europea.
L’articolo in questione (articolo 167 del TFUE) è il frutto di un compromesso che, se per
un verso, tiene conto dell’esigenza di riconoscere competenze più ampie ed introdurre
procedure decisionali più rapide, per l’altro incontra le resistenze degli Stati alla delega di
un’ulteriore “fetta” di sovranità a vantaggio dell’Unione.
L’articolo 167
d’integrazione

TFUE

europea

segna comunque un passaggio importante nella storia del processo
e

nell’evoluzione

dell’ordinamento

comunitario

laddove,

dall’esclusione di ogni ingerenza delle norme e delle istituzioni comunitarie sulle discipline
nazionali degli Stati membri in materia di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio
FRIGO, Beni culturali e diritto dell’Unione Europea, in www.olir.it/areetematiche/166/documents/frigo_
relazione 2010_roma_cesen.pdf.
12

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culturale, si passa all’esplicita previsione di una specifica competenza in materia di
conservazione e protezione del patrimonio culturale europeo13.
Ciò nonostante, pur rappresentando un’importante base giuridica, se ne riscontrano i
limiti e le indubbie ambiguità.
Se da un lato, infatti, viene richiamato il “retaggio culturale comune” degli Stati
membri, dall’altro se ne evidenziano le diversità nazionali e regionali. L’Unione, limitandosi
ad incoraggiare la cooperazione degli Stati, ed escludendo qualsiasi armonizzazione delle
disposizioni legislative nazionali, sembra riservarsi una competenza piuttosto limitata14.
Risulta quindi evidente che, al di là di ogni esplicita individuazione di una possibilità di
intervento dell’Unione nel settore culturale, la tutela e la conservazione dei patrimoni culturali
nazionali restano appannaggio degli Stati. Ne è conferma l’introduzione da parte del Trattato
di Maastricht del 3° comma dell’articolo 92 del TCE, oggi articolo 107 del TFUE15, 3° comma,
lettera d, il quale in materia di aiuti di stato definisce come compatibili con il mercato interno
quelli destinati alla cultura e alla conservazione del patrimonio, a condizione che non alterino
gli scambi e la concorrenza nell’Unione.

13

PONTRELLI, La gestione, la valorizzazione e la circolazione dei beni del patrimonio culturale del diritto interno
e comunitario, in JAMBRENGHI (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Milano, 1994 p.63.
14
VARESE, La politica culturale europea: cronache di una storia, in Economia della cultura, 2000, p.13 ss..
15
Articolo 107 TFUE: “1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella
misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse
statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la
concorrenza. 2. Sono compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli
consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli
aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti
concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione
della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale
divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della
Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera. 3. Possono considerarsi compatibili con
il mercato interno: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui
all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a
promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo
sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in
misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del
patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria
all'interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della
Commissione”.

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Gli interventi dell’Unione nel settore della cultura dovranno inoltre escludere, come
precedentemente affermato, “qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e
regolamentari degli Stati membri16”.
Del resto è stata la stessa Commissione europea, nella sua Comunicazione del 1989 17, a
sottolineare come l’idea di un’armonizzazione delle legislazioni nazionali nel settore dei beni
culturali risulti piuttosto irrealizzabile nel momento in cui gli Stati considerano l’uscita dal
proprio territorio degli oggetti d’arte come “violazione” del patrimonio nazionale e non come
condivisione con altri Paesi di un patrimonio comune europeo.
Un’armonizzazione nel settore, oltre che di non facile attuazione, non sarebbe neanche
auspicabile. Essa vieterebbe o sottoporrebbe a restrizioni in tutti gli Stati membri, secondo gli
stessi criteri, l’esportazione di oggetti che fanno parte del patrimonio nazionale ma l’ostacolo
non verrebbe eliminato: è l’uscita dal territorio nazionale che viene vista come una violazione
del patrimonio, e la circostanza di sapere che il bene in questione godrà della stessa
protezione in un altro Stato membro non è sufficiente. In altre parole, l’armonizzazione non
abolirebbe il ricorso all’articolo 36 del TFUE18 (ex articolo 30 del TCE).
In assenza, quindi, di un’attribuzione di competenza di carattere generale in tema di
tutela del patrimonio culturale europeo e dei singoli Stati membri, i trattati si occupano in
realtà soltanto dei beni culturali mobili in modo quasi esclusivamente indiretto, facendo
sorgere il problema dell’applicabilità a questa particolare categoria di beni di norme che
16

Articolo 167 TFUE, 5° comma.
Comunicazione del 22 novembre 1989 al Consiglio, relativa alla protezione del patrimonio nazionale avente
un valore artistico, storico o archeologico, nella prospettiva della soppressione delle frontiere interne nel 1992,
COM(89) 594 def.
18
Articolo 36 TFUE: “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni
all’importazione, all’esportazione o al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di
pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali,
di protezione del patrimonio artistico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e
commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né
una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”. Come osservato dalla Commissione nella
Comunicazione COM(89) 594 def., esiste una notevole differenza tra la salvaguardia del patrimonio nazionale e
le altre eccezioni alla libera circolazione delle merci (articolo 30 TCE, oggi articolo 36 TFUE). La maggior parte
delle eccezioni previste nell’articolo summenzionato sono invocate per restringere le importazioni e possono
essere quindi eliminate, in quanto ostacoli alla libera circolazione, da un’eventuale armonizzazione delle norme e
regolamentazioni in questione. Invece il problema della protezione del patrimonio nazionale sussisterebbe anche
se tutti gli Stati membri avessero un’unica legislazione. Infatti, mentre per la tutela della salute, dell’ambiente
ecc., si tratta unicamente di trovare un livello comunitario, in materia di protezione del patrimonio nazionale gli
Stati ragionano in termini di salvaguardia del “loro” patrimonio.
17

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hanno scopi diversi da quelli di una loro tutela o valorizzazione. Si tratta, nello specifico, di
quelle norme create fin dagli inizi del processo d’integrazione europea quali norme poste a
garanzia di alcune libertà fondamentali e, in particolare, della libera circolazione delle merci.
In tale ottica si deve innanzitutto esaminare l’articolo 26 del

TFUE19,

norma dichiarata

direttamente applicabile dalla Corte di giustizia, e che assicura la libera circolazione delle
merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’ambito del mercato interno, come pure
l’articolo 28 del

TFUE20,

laddove evidenzia che l’Unione doganale tra gli Stati membri

comporta il divieto dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di tasse di effetto
equivalente, nonché l’adozione di una tariffa doganale comune con i Paesi terzi.
Di notevole importanza sono anche gli articoli 3421 e 3522 del TFUE, dichiarati anch’essi
dalla Corte di immediata applicabilità, e che vietano le restrizioni quantitative
all’importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
Come si nota, le suddette disposizioni non fanno nessun riferimento alla nozione di
bene culturale, ma sono sicuramente norme di rilievo nell’ordinamento dell’Unione che hanno
ad oggetto “le merci”. Ciò pone il problema di decidere se sia possibile equiparare la nozione
di beni culturali a quella di merci. A tal proposito la Corte di giustizia ha avuto modo di
pronunciarsi sul punto in una famosa sentenza del 1968, nella quale ha stabilito che la natura
di merci, con conseguente assoggettabilità all’allora Trattato

CE,

deve essere riconosciuta

anche agli oggetti di interesse artistico, storico e archeologico, qualora si tratti di beni
suscettibili di una valutazione economica23.

Articolo 26 TFUE: “1. L’Unione adotta le misure destinate all’instaurazione o al funzionamento del mercato
interno, conformemente alle disposizioni dei trattati. 2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere
interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo
le disposizioni dei trattati. 3. Il Consiglio, su proposta della Commissione, definisce gli orientamenti e le
condizioni necessari per garantire un progresso equilibrato nell’insieme dei settori considerati”.
20
Articolo 28 TFUE: “1. L’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di
merci, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure
l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi. 2. Le disposizioni dell’ articolo 30 e
del capo 3 del presente titolo si applicano ai prodotti originari degli Stati membri e ai prodotti provenienti da
paesi che si trovano in libera pratica negli Stati membri”.
21
Articolo 34 TFUE: “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché
qualsiasi misura di effetto equivalente”.
22
Articolo 35 TFUE: “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione nonché qualsiasi
misura di effetto equivalente”.
23
Corte di giustizia, 10 dicembre 1968, in causa 7/68, Commissione c. Italia, in Raccolta, p. 562.
19

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Si deve però aggiungere che la regola generale posta dagli articoli 34 e 35 del
trova un temperamento nel già richiamato articolo 36 del

TFUE,

TFUE

cioè nell’unica disposizione

che ha espressamente ad oggetto, tra le altre, la tutela dei beni di interesse culturale, ed in base
alla quale agli Stati membri viene concesso di introdurre o di mantenere quei limiti
all’importazione, all’esportazione e al transito che trovino una giustificazione nella
“protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”.
A questo punto si tratta di esaminare quale sia l’ampiezza delle prerogative lasciate agli
Stati in materia di limiti alla circolazione dei beni culturali e ciò può essere fatto confrontando
le varie versioni linguistiche dell’articolo 36 del TFUE.
Il testo italiano, insieme a quello portoghese e spagnolo, sembra consentire agli Stati
una discrezionalità relativamente ampia, consentendo loro di mantenere quelle restrizioni che
siano giustificate dall’esigenza di protezione del “patrimonio artistico, storico o archeologico
nazionale”. Al contrario, in altre versioni linguistiche, ed in particolare in quella inglese e
francese, le prerogative nazionali appaiono più limitate, trattandosi della salvaguardia dei
“tesori nazionali di valore artistico, storico o archeologico”. Non sembra controverso che
“patrimonio nazionale” e “tesori nazionali” rimandano a due nozioni concettualmente diverse
della quali la prima consentirebbe alle autorità statati di includere tra le categorie dei beni
oggetto di una disciplina di tutela anche beni che non potrebbero farsi rientrare nella
seconda24.
Nell’interpretare norme di diritto comunitario primario o secondario aventi significato
diverso nelle varie versioni linguistiche la Corte di giustizia ha spesso applicato lo stesso
metodo riconducibile essenzialmente ai seguenti criteri. In primo luogo, ogni volta che una
norma è rivolta a tutti gli Stati membri, l’esigenza di un’interpretazione uniforme esclude una
considerazione separata del testo in una sola versione linguistica, ma necessita, invece, che
essa venga interpretata con l’obiettivo di assicurare il perseguimento dello scopo voluto dalla
disposizione alla luce delle altre versioni linguistiche25. In secondo luogo, le diverse versioni
24

FRIGO, op.

cit..
Corte di giustizia, 12 novembre 1969, in causa 29/69, Erich Stauder c. City of Ulm, in Raccolta, p. 419, punto
3; Corte di giustizia, 17 luglio 1997, in causa C-219/95, Ferriere Nord Spa c. Commissione, in Raccolta, p.I4411, punto 15; Corte di giustizia, 20 novembre 2001, in causa C-268/99, Aldona Malgorzata et al. c.
Staatssecretaris van Justuitie, in Raccolta, p. I-8615, punto 47.
25

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linguistiche di una disposizione di diritto dell’Unione devono essere interpretate in modo
uniforme e, in caso di divergenze, la norma deve essere interpretata alla luce dell’economia
generale e dell’obiettivo perseguito dal complesso delle disposizioni alle quali essa
appartiene26.
Ebbene, se si utilizzano per l’articolo 36 del

TFUE

le regole interpretative sopra

richiamate, non sembra problematico affermare che i testi inglese e francese sono più
conformi all’oggetto, allo scopo e ai contenuti del trattato di quanto lo siano i testi italiano,
spagnolo e portoghese. In effetti, l’articolo 36 del TFUE comprende un numero tassativamente
limitato di eccezioni alla regola generale posta dagli articoli 34 e 35 del

TFUE

in tema di

divieto di restrizioni quantitative agli scambi. Trattandosi di una norma di deroga, una sua
interpretazione estensiva sarebbe contraria al

TFUE

ed incompatibile con l’equilibrio tra gli

obblighi da esso derivanti e le prerogative assegnate agli Stati membri.

3. La disciplina dei beni culturali nelle fonti di diritto europeo derivato: il
regolamento 3911/92/CEE e la direttiva 93/7/CEE.
Nel settore dei beni culturali l’attività normativa di diritto secondario ha avuto come
obiettivo quello di conciliare nel mercato interno la libera circolazione dei beni culturali con
le esigenze di protezione dei tesori aventi valore artistico, storico o archeologico.
In effetti, prima dell’adozione del regolamento 3911/92 relativo all’esportazione dei
beni culturali27, successivamente abrogato dal regolamento 116/200928, e della direttiva 93/7
relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato
membro29, gli Stati si limitavano principalmente ad effettuare controlli alle frontiere con
26

Corte di giustizia, 27 ottobre 1977, in causa 30/77, Regina c. Pierre Bouchereau, in Raccolta, p. 01999, punto
14; Corte di giustizia, 7 dicembre 1995, in causa C-449/93, Rockfon A/S c. Specialarbejderforbundet i Danmark,
in Raccolta, p.I-4291, punto 28; Corte di giustizia, 17 dicembre 1998, in causa C-236/97, Skatteministrerietc.
Codan, in Raccolta, p. I-8679, punto 28; Corte di giustizia, 9 gennaio 2003, in causa C-257/00, Nani Givanec.
Secretary of State for the Home Department, in Raccolta, p. I-345, punto 37.
27
Regolamento (CEE)n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali.
28
Il Regolamento (CE)n. 116/2009 del 18 dicembre 2008 del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali
ha sostituito il precedente regolamento n. 3911/92, già modificato in modo sostanziale a più riprese. Il nuovo
Regolamento ha quindi una funzione essenzialmente di codificazione ai fini di maggiore chiarezza (cfr.
considerando 1 del regolamento n. 116/2009).
29
Direttiva (CEE)n. 93/7del 15 marzo 1993 del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti
illecitamente dal territorio di uno Stato membro.

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riguardo ai beni rientranti nel proprio patrimonio, mentre i beni che provenivano da altri Stati
membri non erano soggetti ad efficienti controlli in caso di esportazione.
La realizzazione del mercato interno non poteva ignorare l’eliminazione dei controlli
alle frontiere, con la conseguenza di determinare misure destinate ad assicurare un controllo
più uniforme delle esportazioni allo scopo di evitare l’elusione delle norme nazionali di
protezione mediante l’esportazione in un Paese terzo attraverso il transito in un altro Stato
membro le cui norme sulla circolazione dei beni culturali fossero maggiormente permissive di
quelle dei Paesi d’origine.
Con riguardo alla definizione di “bene culturale” entrambi gli atti sono corredati da un
identico allegato che contiene l’elenco delle categorie di beni culturali suscettibili di rientrare
nell’ambito di applicazione del Regolamento e della Direttiva, in armonia con le prerogative
degli Stati membri.
In particolare, il Regolamento non fornisce una definizione propria di bene culturale, in
quanto al suo articolo 1 chiarisce che per “beni culturali” si intendono i beni elencati
nell’allegato 1, fatti salvi i poteri degli Stati membri ai sensi dell’articolo 36 del
TFUE30,precisando

nei considerando che tale allegato ha soltanto lo scopo di definire le

categorie di beni culturali che dovrebbero formare l’oggetto di particolare protezione negli
scambi con i Paesi terzi, senza incidere sulla libertà degli Stati membri ai sensi del suddetto
articolo 3631.
La Direttiva, a sua volta, chiarisce nei considerando che l’allegato non ha l’obiettivo di
definire i beni che fanno parte del patrimonio nazionale ai sensi dell’articolo 36 del

TFUE,

ma

unicamente quello di dare una definizione dei beni suscettibili di essere classificati come tali e
di formare oggetto di un procedimento di restituzione.
Per quanto riguarda la circolazione, il regolamento 3911/92 prevede che l’esportazione
di beni culturali al di fuori del territorio dell’Unione sia subordinata alla presentazione di una
Articolo1 del regolamento 116/2009: “Fatti salvi i poteri degli Stati membri ai sensi dell’articolo 30 del
trattato” (oggi, art. 36 TFUE) “«per beni culturali» s’intendono, ai fini del presente regolamento, i beni elencati
nell’allegato I”.
31
Considerando 7 del regolamento 116/2009: “L’allegato I del presente regolamento ha lo scopo di definire le
categorie di beni culturali che dovrebbero formare oggetto di particolare protezione negli scambi con i paesi
terzi, ferma restando la libertà degli Stati membri di definire i beni da considerare patrimonio nazionale ai sensi
dell’articolo 30 del trattato” (oggi, art. 36 TFUE).
30

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licenza di esportazione che deve essere rilasciata, su richiesta dell’interessato, dalle singole
autorità competenti dello Stato membro “di origine”, cioè dallo Stato nel cui territorio si
trovava il bene alla data del 1° gennaio 199332. Gli Stati possono tuttavia negare la licenza
qualora i beni in questione rientrino tra quelli oggetto di una legislazione di tutela del
patrimonio nazionale.
Con riferimento al tema della restituzione, la direttiva 93/7 presenta alcuni aspetti
comuni al sistema della Convenzione Unidroit del 199533 sul ritorno internazionale dei beni
culturali rubati o illecitamente esportati, prevedendo l’obbligo di restituzione dei beni
rientranti nel suo ambito di applicazione che siano usciti illecitamente dal territorio di uno
Stato membro. A tal fine gli articoli 4-9 della Direttiva prevedono per lo Stato membro
richiedente la possibilità di presentare davanti all’autorità giudiziaria competente dello Stato
membro richiesto un’azione di restituzione, stabilendo l’obbligo di introdurre nelle
legislazioni statali norme che consentano la restituzione anche nell’ipotesi di acquisto in
buona fede, a condizione che il giudice sia “convinto che il possessore abbia usato, all’atto
dell’acquisizione, la diligenza richiesta34”.
Una vera e propria politica culturale europea va, naturalmente, ben oltre i profili qui
esaminati.
Le nuove disposizioni in materia di cultura introdotte dal Trattato di Maastricht e
sostanzialmente riconfermate dal Trattato di Lisbona contengono dei limiti molto precisi che
fanno dell’intervento dell’Unione poco più di un sostegno alle già esistenti politiche culturali
dei singoli Stati membri.
Emerge, quindi, che allo stato attuale la disciplina dell’Unione dei beni culturali non
può prescindere dalle legislazioni nazionali e non ci sono elementi che facciano prevedere un
cambiamento di questo indirizzo35.

32

La data del 1° gennaio è rimasta inalterata rispetto alla data già prevista dal regolamento n. 3911/93, che era
stata stabilita in coincidenza con l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne ai fini della realizzazione del
mercato unico.
33
La Convenzione Unidroit del 24 giungo 1995 sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente
esportati è in vigore dal 1° luglio 1995.
34
Articolo 9 della direttiva n. 93/7.
35
MEZZETTI, op. cit., p. 25.

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Galletti Antonella, La tutela e la circolazione dei beni culturali nell’unione europea

  • 1. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna LA TUTELA E LA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALI NELL’UNIONE EUROPEA Antonella Galletti Cultore di diritto dell’Unione europea nell’Università Kore di Enna ABSTRACT: Nell’attuale quadro normativo europeo i riferimenti al dato culturale sono molteplici, ma è ancora assente una trattazione organica del tema e il settore di riferimento è la cultura considerata in senso più ampio, secondo quanto disposto dall’art. 151 del TCE, ora articolo 167 del TFUE. Il diritto dei beni culturali sembra rimanere confinato nelle frontiere nazionali. È evidente, pertanto, che l’azione dell’Unione europea sia rivolta al plurale concorrendo, quindi, allo sviluppo “delle culture” degli Stati membri e non di una cultura propriamente europea. Nel settore dei beni culturali l’attività normativa di diritto secondario ha avuto come obiettivo quello di conciliare nel mercato interno la libera circolazione dei beni culturali con le esigenze di protezione degli stessi. Prima dell’adozione del regolamento 3911/92, relativo all’esportazione dei beni culturali, e della direttiva 7/93, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, gli Stati si limitavano, infatti, ad effettuare controlli alle frontiere esclusivamente con riguardo ai beni rientranti nel proprio patrimonio PAROLE CHIAVE: Convenzione Unidroit; Tutela giuridica dei beni culturali; Regolamento 3911/92; Direttiva 7/93 1. Introduzione «La battaglia dei beni culturali che ci vede tutti impegnati come cittadini di questo Paese, archivio e museo del genere umano, è in primo luogo una battaglia culturale: se non ci convinceremo della necessità e della convenienza di coesistenza e rispetto delle forme culturali […] contribuiremo alla dispersione e alla distruzione del sapere accumulato e delle possibilità di sviluppo civile insite nel patrimonio dei beni culturali1». Tutelare il patrimonio culturale significa tutelare la storia ma anche la natura contemporanea di un popolo. Il modello europeo costituisce un esempio unico di coesistenza tra culture differenti ma, al contempo e sotto vari profili, affini, cosicché la connotazione “culturale” di tale ordinamento è apparsa con sempre maggiore rilievo2. È stato il Trattato di Maastricht3 a segnare il passaggio verso un progetto di unificazione europea di più ampio respiro, aprendo la strada ad un più determinante intervento dell’Unione 1 CARILE, Prefazione, in MEZZETTI (a cura di), I beni culturali. Esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti, Padova, 1995, , IX. 2 CHIAVARELLI, Il prestito e lo scambio, in CASINI (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, pp.114 ss. www.koreuropa.eu
  • 2. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna in materia di beni culturali, tradizionalmente escluso sul presupposto del necessario rispetto delle identità nazionali dei singoli Stati membri4. Dal 1993 la cultura rientra tra le competenze dell’Unione e la stessa deve essere tenuta in considerazione in tutte le azioni e nell’adozione di atti (in materia normativa e finanziaria) anche al fine di promuovere la diversità e il dialogo interculturale. Nell’attuale quadro normativo europeo i riferimenti al dato culturale sono molteplici5, ma è ancora assente una trattazione organica del tema e il settore di riferimento è la cultura considerata in senso più ampio, secondo quanto disposto dall’art. 151 del TCE, ora articolo 167 del TFUE6. L’Unione europea vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo (articolo 3 del TUE, EX articolo 2 del TUE), appoggia ed integra l’azione degli Stati membri nella conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea (articolo 167 del TFUE). Si tratta di principi da considerare in modo certamente positivo nell’ambito del riconoscimento a livello europeo di una valorizzazione dei beni culturali. Il diritto dei beni culturali sembra, nondimeno, rimanere confinato nelle frontiere nazionali7, anche per l’evidente difficoltà di disegnare un quadro di interventi dell’Unione 3 Firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1993. VITALE, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in CASINI (a cura di), op. cit., p. 182. 5 In particolare, gli articoli 3 TUE, 6, 13, 107, 165, 198, 207 TFUE. 6 Articolo 167 TFUE: “1. L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune. 2. L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori: - miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, - conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, - scambi culturali non commerciali, - creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. 3. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa. 4. L’Unione tiene conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norme di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture. 5. Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo: - il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; - il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni. 7 Da parte degli Stati membri c’è stata, e c’è ancora oggi, la tendenza a considerare la disciplina del patrimonio culturale come un “dominio riservato”, una materia, cioè, che deve essere regolata dalla legge del luogo ove si trovano i beni culturali, sui quali lo Stato esercita una potestà di governo che, in linea di principio, non trova limitazioni nel diritto internazionale classico. Così, FRANCIONI, Protezione internazionale del patrimonio culturale: interessi nazionali e difesa del patrimonio comune della cultura, Milano, 2000, p.12. 4 www.koreuropa.eu
  • 3. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna adeguati. Le stessa definizione di “bene culturale” e di “patrimonio culturale” varia, inoltre, negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri e si sottrae a qualsiasi forma di armonizzazione, che peraltro lo stesso articolo 167 del TFUE esclude espressamente8. È possibile, tuttavia, dedurre nel riferimento al patrimonio culturale di importanza europea, contenuto nel sopracitato articolo, un segno di un più forte coinvolgimento delle istituzioni dell’Unione nelle politiche culturali. Si tratta, di fatto, di una nozione flessibile, in grado di favorire il dinamismo che contraddistingue il settore della cultura ma, proprio per questo, necessiterebbe di una precisazione di contenuto. Il legislatore europeo, al contrario, non fornisce una definizione europea di patrimonio culturale. A tal proposito l’unica soluzione è quella di accogliere una nozione di patrimonio culturale che includa tutto ciò che ha un interesse archeologico, storico o artistico. Ne consegue che anche l’identità culturale europea potrebbe acquisire, nell’ambito degli obiettivi sanciti dall’articolo 3 del TUE, specifico rilievo9. La salvaguardia dell’opposto interesse alla protezione delle diversità culturali nazionali, ostacola, però, l’elaborazione di politiche comunitarie più incisive e l’aspirazione ad una cultura comune europea10. La questione potrebbe essere, quindi, quella di intendere il patrimonio culturale dell’Unione non solo come “somma” dei singoli patrimoni nazionali degli Stati membri ma come la “selezione di quelle testimonianze di civiltà suscettibili di caratterizzare la dimensione culturale europea11”. 2. I beni culturali nelle disposizioni dei trattati dell’Unione europea Il modo più corretto per riflettere sul processo d’integrazione europea non può prescindere dal considerare che si tratta di un processo in costante modificazione e, 8 In proposito, ACCETTURA, I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, in Aedon, 2003, n.2. 9 VITALE, op. cit., p. 185. 10 DEGRASSI, Cultura e istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, Milano, 2008, pp. 190-201. 11 PAPA, Strumenti e procedimenti della valorizzazione del patrimonio culturale, Napoli, 2006, p. 91. www.koreuropa.eu
  • 4. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna soprattutto, che l’integrazione ha assunto in una lunga fase iniziale una connotazione in prevalenza settoriale e quasi esclusivamente economica. Questo ci permette di capire come solo a partire dal Trattato di Maastricht la cultura ottenga dignità di menzione soltanto in una norma e come, a tutt’oggi, al tema della cultura sia riservato il solo Titolo XIII, a sua volta unicamente formato dall’articolo 167del TFUE, che ha modificato, in modo per nulla significativo, l’articolo 151 del TCE. L’articolo 167 del TFUE, così come il vecchio articolo 151delTCE, non è altro che una norma programmatica priva di quella diretta applicabilità che caratterizza alcune norme anche dei trattati, e pervasa da una “sottesa sussidiarietà12” che emerge dalla funzione che ha l’Unione di contribuire allo sviluppo delle culture degli Stati membri. È evidente, pertanto, che l’azione dell’Unione europea, destinata alla diffusione della cultura dei popoli europei e della tutela del patrimonio culturale di importanza europea, degli scambi e della conservazione artistica, sia rivolta al plurale concorrendo, quindi, allo sviluppo “delle culture” degli Stati membri e non di una cultura propriamente europea, sintesi del “retaggio culturale comune” al quale si riferisce anche l’articolo 167TFUE, comma 1. Ciò serve a chiarire i limiti entro i quali è possibile parlare di un “patrimonio culturale europeo”, oggetto dell’azione dell’Unione, e a sottolineare la difficoltà di affermare una vera politica comune in questo settore, proprio per la insufficienza e l’inadeguatezza delle competenze che i trattati, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, attribuiscono all’Unione europea. L’articolo in questione (articolo 167 del TFUE) è il frutto di un compromesso che, se per un verso, tiene conto dell’esigenza di riconoscere competenze più ampie ed introdurre procedure decisionali più rapide, per l’altro incontra le resistenze degli Stati alla delega di un’ulteriore “fetta” di sovranità a vantaggio dell’Unione. L’articolo 167 d’integrazione TFUE europea segna comunque un passaggio importante nella storia del processo e nell’evoluzione dell’ordinamento comunitario laddove, dall’esclusione di ogni ingerenza delle norme e delle istituzioni comunitarie sulle discipline nazionali degli Stati membri in materia di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio FRIGO, Beni culturali e diritto dell’Unione Europea, in www.olir.it/areetematiche/166/documents/frigo_ relazione 2010_roma_cesen.pdf. 12 www.koreuropa.eu
  • 5. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna culturale, si passa all’esplicita previsione di una specifica competenza in materia di conservazione e protezione del patrimonio culturale europeo13. Ciò nonostante, pur rappresentando un’importante base giuridica, se ne riscontrano i limiti e le indubbie ambiguità. Se da un lato, infatti, viene richiamato il “retaggio culturale comune” degli Stati membri, dall’altro se ne evidenziano le diversità nazionali e regionali. L’Unione, limitandosi ad incoraggiare la cooperazione degli Stati, ed escludendo qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative nazionali, sembra riservarsi una competenza piuttosto limitata14. Risulta quindi evidente che, al di là di ogni esplicita individuazione di una possibilità di intervento dell’Unione nel settore culturale, la tutela e la conservazione dei patrimoni culturali nazionali restano appannaggio degli Stati. Ne è conferma l’introduzione da parte del Trattato di Maastricht del 3° comma dell’articolo 92 del TCE, oggi articolo 107 del TFUE15, 3° comma, lettera d, il quale in materia di aiuti di stato definisce come compatibili con il mercato interno quelli destinati alla cultura e alla conservazione del patrimonio, a condizione che non alterino gli scambi e la concorrenza nell’Unione. 13 PONTRELLI, La gestione, la valorizzazione e la circolazione dei beni del patrimonio culturale del diritto interno e comunitario, in JAMBRENGHI (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Milano, 1994 p.63. 14 VARESE, La politica culturale europea: cronache di una storia, in Economia della cultura, 2000, p.13 ss.. 15 Articolo 107 TFUE: “1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. 2. Sono compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera. 3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione”. www.koreuropa.eu
  • 6. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna Gli interventi dell’Unione nel settore della cultura dovranno inoltre escludere, come precedentemente affermato, “qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri16”. Del resto è stata la stessa Commissione europea, nella sua Comunicazione del 1989 17, a sottolineare come l’idea di un’armonizzazione delle legislazioni nazionali nel settore dei beni culturali risulti piuttosto irrealizzabile nel momento in cui gli Stati considerano l’uscita dal proprio territorio degli oggetti d’arte come “violazione” del patrimonio nazionale e non come condivisione con altri Paesi di un patrimonio comune europeo. Un’armonizzazione nel settore, oltre che di non facile attuazione, non sarebbe neanche auspicabile. Essa vieterebbe o sottoporrebbe a restrizioni in tutti gli Stati membri, secondo gli stessi criteri, l’esportazione di oggetti che fanno parte del patrimonio nazionale ma l’ostacolo non verrebbe eliminato: è l’uscita dal territorio nazionale che viene vista come una violazione del patrimonio, e la circostanza di sapere che il bene in questione godrà della stessa protezione in un altro Stato membro non è sufficiente. In altre parole, l’armonizzazione non abolirebbe il ricorso all’articolo 36 del TFUE18 (ex articolo 30 del TCE). In assenza, quindi, di un’attribuzione di competenza di carattere generale in tema di tutela del patrimonio culturale europeo e dei singoli Stati membri, i trattati si occupano in realtà soltanto dei beni culturali mobili in modo quasi esclusivamente indiretto, facendo sorgere il problema dell’applicabilità a questa particolare categoria di beni di norme che 16 Articolo 167 TFUE, 5° comma. Comunicazione del 22 novembre 1989 al Consiglio, relativa alla protezione del patrimonio nazionale avente un valore artistico, storico o archeologico, nella prospettiva della soppressione delle frontiere interne nel 1992, COM(89) 594 def. 18 Articolo 36 TFUE: “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione o al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”. Come osservato dalla Commissione nella Comunicazione COM(89) 594 def., esiste una notevole differenza tra la salvaguardia del patrimonio nazionale e le altre eccezioni alla libera circolazione delle merci (articolo 30 TCE, oggi articolo 36 TFUE). La maggior parte delle eccezioni previste nell’articolo summenzionato sono invocate per restringere le importazioni e possono essere quindi eliminate, in quanto ostacoli alla libera circolazione, da un’eventuale armonizzazione delle norme e regolamentazioni in questione. Invece il problema della protezione del patrimonio nazionale sussisterebbe anche se tutti gli Stati membri avessero un’unica legislazione. Infatti, mentre per la tutela della salute, dell’ambiente ecc., si tratta unicamente di trovare un livello comunitario, in materia di protezione del patrimonio nazionale gli Stati ragionano in termini di salvaguardia del “loro” patrimonio. 17 www.koreuropa.eu
  • 7. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna hanno scopi diversi da quelli di una loro tutela o valorizzazione. Si tratta, nello specifico, di quelle norme create fin dagli inizi del processo d’integrazione europea quali norme poste a garanzia di alcune libertà fondamentali e, in particolare, della libera circolazione delle merci. In tale ottica si deve innanzitutto esaminare l’articolo 26 del TFUE19, norma dichiarata direttamente applicabile dalla Corte di giustizia, e che assicura la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’ambito del mercato interno, come pure l’articolo 28 del TFUE20, laddove evidenzia che l’Unione doganale tra gli Stati membri comporta il divieto dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di tasse di effetto equivalente, nonché l’adozione di una tariffa doganale comune con i Paesi terzi. Di notevole importanza sono anche gli articoli 3421 e 3522 del TFUE, dichiarati anch’essi dalla Corte di immediata applicabilità, e che vietano le restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente. Come si nota, le suddette disposizioni non fanno nessun riferimento alla nozione di bene culturale, ma sono sicuramente norme di rilievo nell’ordinamento dell’Unione che hanno ad oggetto “le merci”. Ciò pone il problema di decidere se sia possibile equiparare la nozione di beni culturali a quella di merci. A tal proposito la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi sul punto in una famosa sentenza del 1968, nella quale ha stabilito che la natura di merci, con conseguente assoggettabilità all’allora Trattato CE, deve essere riconosciuta anche agli oggetti di interesse artistico, storico e archeologico, qualora si tratti di beni suscettibili di una valutazione economica23. Articolo 26 TFUE: “1. L’Unione adotta le misure destinate all’instaurazione o al funzionamento del mercato interno, conformemente alle disposizioni dei trattati. 2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati. 3. Il Consiglio, su proposta della Commissione, definisce gli orientamenti e le condizioni necessari per garantire un progresso equilibrato nell’insieme dei settori considerati”. 20 Articolo 28 TFUE: “1. L’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi. 2. Le disposizioni dell’ articolo 30 e del capo 3 del presente titolo si applicano ai prodotti originari degli Stati membri e ai prodotti provenienti da paesi che si trovano in libera pratica negli Stati membri”. 21 Articolo 34 TFUE: “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente”. 22 Articolo 35 TFUE: “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente”. 23 Corte di giustizia, 10 dicembre 1968, in causa 7/68, Commissione c. Italia, in Raccolta, p. 562. 19 www.koreuropa.eu
  • 8. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna Si deve però aggiungere che la regola generale posta dagli articoli 34 e 35 del trova un temperamento nel già richiamato articolo 36 del TFUE, TFUE cioè nell’unica disposizione che ha espressamente ad oggetto, tra le altre, la tutela dei beni di interesse culturale, ed in base alla quale agli Stati membri viene concesso di introdurre o di mantenere quei limiti all’importazione, all’esportazione e al transito che trovino una giustificazione nella “protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”. A questo punto si tratta di esaminare quale sia l’ampiezza delle prerogative lasciate agli Stati in materia di limiti alla circolazione dei beni culturali e ciò può essere fatto confrontando le varie versioni linguistiche dell’articolo 36 del TFUE. Il testo italiano, insieme a quello portoghese e spagnolo, sembra consentire agli Stati una discrezionalità relativamente ampia, consentendo loro di mantenere quelle restrizioni che siano giustificate dall’esigenza di protezione del “patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”. Al contrario, in altre versioni linguistiche, ed in particolare in quella inglese e francese, le prerogative nazionali appaiono più limitate, trattandosi della salvaguardia dei “tesori nazionali di valore artistico, storico o archeologico”. Non sembra controverso che “patrimonio nazionale” e “tesori nazionali” rimandano a due nozioni concettualmente diverse della quali la prima consentirebbe alle autorità statati di includere tra le categorie dei beni oggetto di una disciplina di tutela anche beni che non potrebbero farsi rientrare nella seconda24. Nell’interpretare norme di diritto comunitario primario o secondario aventi significato diverso nelle varie versioni linguistiche la Corte di giustizia ha spesso applicato lo stesso metodo riconducibile essenzialmente ai seguenti criteri. In primo luogo, ogni volta che una norma è rivolta a tutti gli Stati membri, l’esigenza di un’interpretazione uniforme esclude una considerazione separata del testo in una sola versione linguistica, ma necessita, invece, che essa venga interpretata con l’obiettivo di assicurare il perseguimento dello scopo voluto dalla disposizione alla luce delle altre versioni linguistiche25. In secondo luogo, le diverse versioni 24 FRIGO, op. cit.. Corte di giustizia, 12 novembre 1969, in causa 29/69, Erich Stauder c. City of Ulm, in Raccolta, p. 419, punto 3; Corte di giustizia, 17 luglio 1997, in causa C-219/95, Ferriere Nord Spa c. Commissione, in Raccolta, p.I4411, punto 15; Corte di giustizia, 20 novembre 2001, in causa C-268/99, Aldona Malgorzata et al. c. Staatssecretaris van Justuitie, in Raccolta, p. I-8615, punto 47. 25 www.koreuropa.eu
  • 9. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna linguistiche di una disposizione di diritto dell’Unione devono essere interpretate in modo uniforme e, in caso di divergenze, la norma deve essere interpretata alla luce dell’economia generale e dell’obiettivo perseguito dal complesso delle disposizioni alle quali essa appartiene26. Ebbene, se si utilizzano per l’articolo 36 del TFUE le regole interpretative sopra richiamate, non sembra problematico affermare che i testi inglese e francese sono più conformi all’oggetto, allo scopo e ai contenuti del trattato di quanto lo siano i testi italiano, spagnolo e portoghese. In effetti, l’articolo 36 del TFUE comprende un numero tassativamente limitato di eccezioni alla regola generale posta dagli articoli 34 e 35 del TFUE in tema di divieto di restrizioni quantitative agli scambi. Trattandosi di una norma di deroga, una sua interpretazione estensiva sarebbe contraria al TFUE ed incompatibile con l’equilibrio tra gli obblighi da esso derivanti e le prerogative assegnate agli Stati membri. 3. La disciplina dei beni culturali nelle fonti di diritto europeo derivato: il regolamento 3911/92/CEE e la direttiva 93/7/CEE. Nel settore dei beni culturali l’attività normativa di diritto secondario ha avuto come obiettivo quello di conciliare nel mercato interno la libera circolazione dei beni culturali con le esigenze di protezione dei tesori aventi valore artistico, storico o archeologico. In effetti, prima dell’adozione del regolamento 3911/92 relativo all’esportazione dei beni culturali27, successivamente abrogato dal regolamento 116/200928, e della direttiva 93/7 relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro29, gli Stati si limitavano principalmente ad effettuare controlli alle frontiere con 26 Corte di giustizia, 27 ottobre 1977, in causa 30/77, Regina c. Pierre Bouchereau, in Raccolta, p. 01999, punto 14; Corte di giustizia, 7 dicembre 1995, in causa C-449/93, Rockfon A/S c. Specialarbejderforbundet i Danmark, in Raccolta, p.I-4291, punto 28; Corte di giustizia, 17 dicembre 1998, in causa C-236/97, Skatteministrerietc. Codan, in Raccolta, p. I-8679, punto 28; Corte di giustizia, 9 gennaio 2003, in causa C-257/00, Nani Givanec. Secretary of State for the Home Department, in Raccolta, p. I-345, punto 37. 27 Regolamento (CEE)n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali. 28 Il Regolamento (CE)n. 116/2009 del 18 dicembre 2008 del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali ha sostituito il precedente regolamento n. 3911/92, già modificato in modo sostanziale a più riprese. Il nuovo Regolamento ha quindi una funzione essenzialmente di codificazione ai fini di maggiore chiarezza (cfr. considerando 1 del regolamento n. 116/2009). 29 Direttiva (CEE)n. 93/7del 15 marzo 1993 del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro. www.koreuropa.eu
  • 10. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna riguardo ai beni rientranti nel proprio patrimonio, mentre i beni che provenivano da altri Stati membri non erano soggetti ad efficienti controlli in caso di esportazione. La realizzazione del mercato interno non poteva ignorare l’eliminazione dei controlli alle frontiere, con la conseguenza di determinare misure destinate ad assicurare un controllo più uniforme delle esportazioni allo scopo di evitare l’elusione delle norme nazionali di protezione mediante l’esportazione in un Paese terzo attraverso il transito in un altro Stato membro le cui norme sulla circolazione dei beni culturali fossero maggiormente permissive di quelle dei Paesi d’origine. Con riguardo alla definizione di “bene culturale” entrambi gli atti sono corredati da un identico allegato che contiene l’elenco delle categorie di beni culturali suscettibili di rientrare nell’ambito di applicazione del Regolamento e della Direttiva, in armonia con le prerogative degli Stati membri. In particolare, il Regolamento non fornisce una definizione propria di bene culturale, in quanto al suo articolo 1 chiarisce che per “beni culturali” si intendono i beni elencati nell’allegato 1, fatti salvi i poteri degli Stati membri ai sensi dell’articolo 36 del TFUE30,precisando nei considerando che tale allegato ha soltanto lo scopo di definire le categorie di beni culturali che dovrebbero formare l’oggetto di particolare protezione negli scambi con i Paesi terzi, senza incidere sulla libertà degli Stati membri ai sensi del suddetto articolo 3631. La Direttiva, a sua volta, chiarisce nei considerando che l’allegato non ha l’obiettivo di definire i beni che fanno parte del patrimonio nazionale ai sensi dell’articolo 36 del TFUE, ma unicamente quello di dare una definizione dei beni suscettibili di essere classificati come tali e di formare oggetto di un procedimento di restituzione. Per quanto riguarda la circolazione, il regolamento 3911/92 prevede che l’esportazione di beni culturali al di fuori del territorio dell’Unione sia subordinata alla presentazione di una Articolo1 del regolamento 116/2009: “Fatti salvi i poteri degli Stati membri ai sensi dell’articolo 30 del trattato” (oggi, art. 36 TFUE) “«per beni culturali» s’intendono, ai fini del presente regolamento, i beni elencati nell’allegato I”. 31 Considerando 7 del regolamento 116/2009: “L’allegato I del presente regolamento ha lo scopo di definire le categorie di beni culturali che dovrebbero formare oggetto di particolare protezione negli scambi con i paesi terzi, ferma restando la libertà degli Stati membri di definire i beni da considerare patrimonio nazionale ai sensi dell’articolo 30 del trattato” (oggi, art. 36 TFUE). 30 www.koreuropa.eu
  • 11. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna licenza di esportazione che deve essere rilasciata, su richiesta dell’interessato, dalle singole autorità competenti dello Stato membro “di origine”, cioè dallo Stato nel cui territorio si trovava il bene alla data del 1° gennaio 199332. Gli Stati possono tuttavia negare la licenza qualora i beni in questione rientrino tra quelli oggetto di una legislazione di tutela del patrimonio nazionale. Con riferimento al tema della restituzione, la direttiva 93/7 presenta alcuni aspetti comuni al sistema della Convenzione Unidroit del 199533 sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, prevedendo l’obbligo di restituzione dei beni rientranti nel suo ambito di applicazione che siano usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro. A tal fine gli articoli 4-9 della Direttiva prevedono per lo Stato membro richiedente la possibilità di presentare davanti all’autorità giudiziaria competente dello Stato membro richiesto un’azione di restituzione, stabilendo l’obbligo di introdurre nelle legislazioni statali norme che consentano la restituzione anche nell’ipotesi di acquisto in buona fede, a condizione che il giudice sia “convinto che il possessore abbia usato, all’atto dell’acquisizione, la diligenza richiesta34”. Una vera e propria politica culturale europea va, naturalmente, ben oltre i profili qui esaminati. Le nuove disposizioni in materia di cultura introdotte dal Trattato di Maastricht e sostanzialmente riconfermate dal Trattato di Lisbona contengono dei limiti molto precisi che fanno dell’intervento dell’Unione poco più di un sostegno alle già esistenti politiche culturali dei singoli Stati membri. Emerge, quindi, che allo stato attuale la disciplina dell’Unione dei beni culturali non può prescindere dalle legislazioni nazionali e non ci sono elementi che facciano prevedere un cambiamento di questo indirizzo35. 32 La data del 1° gennaio è rimasta inalterata rispetto alla data già prevista dal regolamento n. 3911/93, che era stata stabilita in coincidenza con l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne ai fini della realizzazione del mercato unico. 33 La Convenzione Unidroit del 24 giungo 1995 sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati è in vigore dal 1° luglio 1995. 34 Articolo 9 della direttiva n. 93/7. 35 MEZZETTI, op. cit., p. 25. www.koreuropa.eu
  • 12. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna www.koreuropa.eu