SlideShare a Scribd company logo
1 of 56
Istituto  Comprensivo di  Solesino Scuola Primaria “ B. Croce” Granze Classi  III^ -  IV^ - V^
Il presente libro è stato realizzato dagli alunni di classe terza , quarta, quinta della scuola Primaria “ B. Croce” di Granze, dopo un impegnativo lavoro di ricerca, come prodotto del Progetto “ Informatica a Scuola”  a.s.  2007/ 08 Ins.  coordinatrice  Emanuela  Rizzi Hanno collaborato le ins. Corso Donata Rabachin Tiziana Zuccolo Caterina Un viaggio nel tempo …. Abbiamo fatto un viaggio “all’indietro” per scoprire il nome del nostro paese “ Granze” e la storia del territorio in cui si trova. Così, attraverso il ricordo ancora vivo e prezioso di molti “nonni” e persone competenti sulla storia della Bassa Padovana, abbiamo potuto rivivere momenti di vita passata, attraverso i ricordi e gli oggetti, che ci hanno fatto riflettere e ci hanno insegnato l’importanza di “fare memoria”… … .andando proprio nel passato ora sappiamo  cosa significa “ Granze”. Scopritelo anche voi! Un ringraziamento particolare ai “nonni”, al sig. Paolo Sette, al sig.Gianni Barollo, al parroco d. Antonio, al prof.Camillo Corrain per l’interessante “ viaggio” nel Museo Civico Etnografico di Stanghella. avant i
conte cibi lavori case giochi scuola Storia chiesa abbigliamen to Indice Me  ricordo … monumenti Granze Clicca su uno degli argomenti Poi, nelle diapositive corrispondenti clicca su avanti  o  torna. Buon  viaggio! Granze si trova qui
Granze Guardando i tuoi campi messi in fila, così,verso l’orizzonte,  senza voce ho gridato: regalatemi gli ultimi tocchi di tramonto affusolati nel cielo, gli aghi di brina sullo sterpo, il riverbero di sole sul vetro piccolo del casolare, vedrò i visi,le mani,le case, sentirò le parole, i battiti del vostro cuore. ( M. Padoan Tecchio  ) torna
Le “grange” “ Grange”  è una parola francese che deriva dal latino “granica” ( granaio) da “ granum”( grano). In Francia, con la riforma di Cluny, operata da Bernardo di Chiaravalle nel 910, i monasteri non dipendevano più dai signori feudali ma direttamente dal papa; diventarono vere e proprie cittadelle autosufficienti. In seguito , con la riforma cistercense, iniziata a Citeaux ( Cistercium) ad opera dell’abate Roberto e diffusa da Bernardo di Ch. venne data più autorità all’Abate . L’abbazia divenne centro di vita e “le grange” (fattorie, officine e case) ne erano l’elemento operante perché trasformarono zone incolte fino all’anno 1000, in terreno coltivabile attraverso la bonifica, l’arginatura dei fiumi, la coltivazione dei campi. L’ordine cistercense nel corso del XII, XIII sec. si diffuse anche in Italia. Qui, la gràngia o grància ,formata da edifici rurali sui terreni di  un’abbazia benedettina  per la custodia dei prodotti agricoli, in seguito allo sviluppo dell’agricoltura ad opera dei monaci cistercensi, nel XII sec.,si trasformò in una piccola comunità monastica con cappella ed edifici governati da un rappresentante dell’Abate e da fattorie amministrate dal cellerario o monaco “ grangiere”. avanti
Il territorio che ora abbraccia i due comuni di Granze e Vescovana, era anticamente noto con il solo nome di  Vescovana  e faceva parte della  Corte Elisina. Nel  1126 Cunizza o Cunegonda, figlia di Guelfo II, Duca di Altdorf, signore di Ravensberg in Svezia, sposò Azzo II d’Este  e portò in dote  la Corte Elesina o Solesina . Dalla transazione tra il comune di Padova e Azzo II d’Este conclusa nel 1260, si è saputo che la “Curia Solexini” oltre a Solesino , Santa Lena ( S.Elena) e Stanghella, comprendeva anche Vescovana(che comprendeva Granze e Boara). “La sua Parrocchiale era l’ Ecclesia Sancte Cristine de Veschovana” elencata nella Decima Papale del1297, il cui rettore era un certo prete Luca. Nella cartina del 400 – ‘500 che si trova presso il Museo  Civico Etnografico di Stanghella, si vede  la località allora “Contrà de Vescovana”, ora “ I Livelli” di proprietà Barollo, dove si nota la posizione della chiesetta di S. Cristina.  Nel 1429 fu nominato parroco di S. Cristina il prete Antonio Giacomo da Padova, ma lo stato di questa chiesa era già decadente e successivamente andò in rovina per gli allagamenti del canale Fossa Lovara( Santa Caterina) La chiesa di Santa Cristina, quando venne a visitarla il vescovo Barozzi, il 24 ottobre 1489, era abbandonata, senza il SS.mo e senza l’altare. I fedeli adempivano ai loro doveri religiosi presso la chiesa dei  padri  benedettini olivetani  di Santa Lena. Livello: contratto in vigore durante il Medio Evo in base al quale un concedente consegnava a una persona detta  livellatorio , un terreno con l’obbligo di migliorarlo e di prestare servigi al concedente stesso. avanti
[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],avanti
Il territorio di Granze fu dominato dai Romani dal  II sec. A. C.Il più importante monumento romano fu scoperto nel 1902 nel fondo “Calalte” allora proprietà del sig. Federico Ferretto.E’ una stele funeraria in calcare con ritratto del defunto e iscrizione che ricorda Papinio Sereno figlio di Pubblio. Il busto del defunto, in posizione frontale è vestito con tunica e toga. Si  nota la pettinatura a ciocche virgolate  sulla fronte ,le orecchie larghe e sporgenti, la mano destra stesa sul petto che tiene un lembo della toga:questa posa forse era  tipica di qualche rituale religioso. Questo pezzo risale al I° secolo d. C. ed  è opera di un’ officina locale ed esempio di arte romana “popolare e provinciale” . E’ conservato presso la fattoria in località Ca’ Rizzi. Un altro monumento è un coperchio di ara-ossuario in pietra tenera sormontato da due leoncini accovacciati che tengono tra le zampe anteriori una testa d’ ariete, viene scoperto l’ 8 gennaio 1915 nel fondo “La Campagnola” di proprietà Rizzi. Il coperchio risale alla prima metà del primo secolo d.C., si aggiunge ad altri pezzi trovati nella zona di Este di cui Granze faceva parte in epoca romana.Il leone ha il significato di “guardiano del sepolcro” con la funzione di allontanare influenze maligne o di scoraggiare i profanatori della tomba. I leoncini del coperchio invece raffigurano belve che uccidono animali più deboli ( in questo caso l’ariete ) per rappresentare la potenza della morte che sopprime la bellezza e felicità della vita. Altri reperti sono stati trovati in località” I livelli “di proprietà Barollo: due pesi da telaio di argilla (per la tessitura o ex voto).Una fusaiola ( elemento  da tessitura e per collane).I primi reperti dell’ esistenza del territorio di Granze risalgono all’età PALEOLITICA. Infatti è stato ritrovato il corredo di una tomba che risale al 7° secolo a.C. circa. Il materiale si trova al Museo Nazionale Atestino.  MONUMENTI  ETA’  PRE-ROMANA E ROMANA avanti
L ’ antica chiesa di Santa Cristina ( chiesa campestre o cappella della Grangia de Veschovana) che si trovava nei pressi del Canal Negro ( oggi Gorzone) in un fondo di circa due campi, era lunga 10 metri e larga 7, con l ’ abside semicircolare, illuminata da due finestre nella parte meridiana, possedeva molte pitture sulla parete a Nord e, davanti alla porta maggiore aveva un atrio. Nel tempo questa chiesa  “  jus patronato ”  cio è  fatta dal popolo,  andò in rovina e fu abbandonata, la sua posizione si può ancora notare nella carta topografica del  ‘ 500,  ‘ 600 che si trova al Museo Civico Etnografico di Stanghella. In questo territorio le condizioni ambientali erano precarie fino a quando Venezia lo affidò a grandi famiglie come i Pisani e i Conti ( gi à  presenti a Granze) Nella visita del Vescovo Barozzi  il 24 ottobre 1489 viene descritta senza altare e non era più frequentata dai fedeli. Intanto il centro di Vescovana si era spostato a destra del Fossa Lovara  ( canale Santa Caterina). Infatti i Pisani  nel 1468 acquistarono terre in Solesino, Stanghella Vescovana, Boara, concentrandovi la popolazione con la costruzione di chiese. Cos ì  vennero abbandonati i vecchi villaggi che si spostarono vicino alle chiese. Il card.Francesco Pisani prima del 1570 aveva fatto costruire vicino alla sua villa  la chiesa intitolata a S. Giovanni Decollato, mentre il nuovo centro di Granze si sviluppò in terreni meno acquitrinosi poco lontano dalla villa Conti ( oggi Rusconi-Camerini). Nel 1582 la popolazione cominciò a costruire la nuova chiesa a S. Cristina che fu terminata dopo diversi anni, tanto che nella corona del vecchio pozzo, che si trova vicino alla chiesa, si può leggere ancora la scritta ” Non essendo ancora completata la chiesa, nell ’ anno di salute1586, Cristina, benedetta a Dio Eterno, diede il titolo al pozzo ” La nuova chiesa fu consacrata il 17 ottobre 1594 dal vescovo di Chioggia ,Massimo Beniamino. Successivamente fu visitata da San Gregorio Barbarigo nel1689 e dal card. Rezzonico nel1748. Nei secoli successivi ha sub ì to interventi di manutenzione e fu allungata di 4 metri. La chiesa avanti
” Non essendo ancora completata la chiesa, nell ’ anno di salute1586, Cristina, benedetta a Dio Eterno, diede il titolo al pozzo ” La chiesa … capitelli
…  e Granze divenne comune La consacrazione della nuova chiesa di Granze, nel 1594, motivo ancora oggi della sagra paesana, segnò l’indipendenza religiosa dei Granzetani. Tre secoli più tardi, maturò negli animi l’ideale dell’indipendenza civile. Nacquero frequenti liti tra gli abitanti di Granze e quelli di Vescovana soprattutto in località “Gorzon”che segnava il confine tra il comune di Vescovana  e la frazione di Granze. Il ponte sul “Gorzon” per poco non venne distrutto a colpi di piccone dai Granzetani, dopo una disputa più accesa delle altre. Perché Granze diventasse comune era però necessario avere un minimo di 4000 abitanti, mentre la frazione ne possedeva solo 1993; era quindi necessaria una legge speciale. L’Onorevole Stoppato, deputato del Collegio Elettorale di Montagnana, presentò la causa dei Granzetani in Parlamento e, grazie al suo preziosissimo interessamento, la Camera approvò un decreto legge che riconosceva Granze Comune Autonomo il 19/2/1913. Lo stemma fu predisposto dallo Studio Araldico  di Genova e basato sui caratteri topografici ed agricoli del luogo. E’ a forma di scudo a punta, con la spiga di grano che simboleggia il complesso agricolo della terra di Granze e una bordatura di colore azzurro, che ricorda il corso del fiume Gorzone. torna
IL  CAPITELLO  DEL  CRISTO  Il primo  capitello costruito  nella  zona  di Granze,  nella localit à   “ Quattro  Vie ”  , fu  costruito probabilmente  al  tempo dell ’ impero Austro Ungarico (1800) . Il  capitello  che  veneriamo oggi,  è   stato  ricostruito  al  posto  di  quello  primitivo  divenuto  impraticabile. Nel 1969  grazie al  generoso  interessamento  delle  famiglie  vicine,  che  hanno  raccolto delle  offerte  dalla gente  del  paese  per  comprare  il  materiale, e  al  lavoro  gratuito  di  alcuni  muratori,  questo  capitello  fu  completamente  ristrutturato. Il  crocifisso ligneo,  pieno  di  grande  umanit à ,  è   ancora  quello  del  primo  capitello  ed  è   stato  ristrutturato  nel  1922  da  un  “ girovago ”   veneziano. Quell ’ uomo  sostò  alcuni  giorni  alle  “ Quattro  Vie ”   e,  poiché era  falegname,  si  offr ì   di  restaurare  i  piedi  del  Crocifisso,  rovinati  dalle  fiamme  e  dal  fumo  delle  candele. Punto  di  confine  e  di incontro tra  Granze  e  Sant ’ Elena  il  “  Cristo  delle  Quattro  Vie ”   viene  festeggiato  l ’ ultima  domenica  di  Ottobre,(un  tempo,prima  della  Riforma  Liturgica,   Festa  di  Cristo  Re  dell ’ Universo)  dalle  famiglie  della  zona  con  la  partecipazione  di  tutto  il  paese  di  Granze  e  anche  di  Sant ’ Elena.  ( parroco d. Antonio) avanti
IL  CAPITELLO  DI  VIA VOLTADILANA Il capitello che si trova nell’ incrocio tra via Volta di Lana e via Ponticelli  è soprannominato “della Madoneta.”  E’ stato costruito nel 1855 da Nin Giovanni a ridosso  della sua abitazione, per  voto e riconoscimento di un miracolo:  lì sì era fermata  l’ epidemia di colera.  Si dice infatti che la signora Rinaldo Scolastica, contagiata dal colera, sia  stata guarita per intercessione dei  Santi protettori delle pestilenze: la Madonna,San Sebastiano e San Rocco. Il capitello è un sacello, cioè   una  chiesetta rettangolare, con all’interno un altare , ha due finestrelle nelle pareti laterali, due gradini d’ingresso, ha il tetto spiovente ed è chiuso con un vecchio portone di legno. Sulla facciata esterna sopra la porta d’ingresso c’è l’ iscrizione “ B. V. IMAC. PER VOTO  1855”(BEATA VERGINE IMMACOLATA PER VOTO 1855). Sulla parete, sopra all’altare, si trova la tela della Madonna Assunta con la crocetta dorata di S. Sebastiano, acquistata all’epoca dalla gente della contrada. Sopra  l’altare si trovava la statua di legno della Beata Vergine seduta in trono e in una  parte laterale era anche venerata l’immagine di San Rocco, scomparse entrambe durante la seconda guerra mondiale. Si svolgeva infatti un’ importante sagra con la  celebrazione di una messa il giorno del Santo, il   16 Agosto e una messa di   Rogazione   con la  benedizione delle croci di legno ,che andavano  poste   sui campi coltivati a protezione del raccolto. Attualmente il capitello viene utilizzato solamente per il fioretto di Maggio e la messa di  Rogazione.  torna
LE  ROGAZIONI Per  chiedere la fertilità dei campi, c’era la tradizione di rivolgere a Dio particolari preghiere. In primavera, il parroco, si recava in processione  nelle varie contrade e, recitando le litanie dei Santi, si fermava presso i capitelli o gli altari, appositamente allestiti e benediceva le  “ crosette” ( croci di legno) , rinnovate ogni anno, da porre sui campi. BENEDIZIONE DELLE STALLE In occasione della festa di S. Antonio Abate ( 17 gennaio) il  parroco benediceva le stalle. Il  sale  veniva prima benedetto, poi sciolto nell’acqua per abbeverare gli animali. LITANIA:  preghiera collettiva costituita da brevi formule dette dal parroco e ripetute, intere o in parte, dalla gente. torna
Tanto tempo fa, a scuola ,ci si andava a piedi e i più fortunati in bicicletta. C’ era chi si faceva anche 5 km  a piedi col bello o brutto tempo,anche con la neve perché una volta qui da noi nevicava molto . Ogni classe era formata da numerosi alunni che indossavano il grembiule nero con il colletto bianco e un fiocco, rosa per le bambine, blu per i maschi. Per scrivere usavano  il pennino che intingevano nel calamaio, era quindi indispensabile la carta assorbente. Per cancellare usavano la mollica di pane. La merenda consisteva in un frutto o un pezzo di pane. Gli insegnanti erano severi e, a volte, utilizzavano anche le punizioni: bacchettate sulle mani o sulle gambe, o mettevano gli alunni in castigo inginocchiati sui semi di granoturco.  D’inverno, le classi venivano scaldate con la stufa a legna e , nei bagni, l’acqua era contenuta nei secchi. avanti
Il corredo scolastico era formato da una cartella di cotone , due quaderni con la copertina nera, il sillabario, un bastoncino con il pennino, un astuccio in legno.  Nell’aula si potevano vedere la  cattedra  posta sopra una pedana,la  lavagna, un armadio in legno  dove tenere i quaderni di “ bella copia ”, la carta geografica, la stufa a legna, i banchi a due posti con il “ buco” per il calamaio.  Avevamo un unico maestro o maestra. I giochi durante l’intervallo erano: nascondino, moscacieca, scalone, a biglie,  a corda, a fazzoletto, a bandiera. torna
ANCHE LE PAROLE Tutto può essere mutato in gioia tranquilla; anche le parole recuperate, le parole semplici da tempo dimenticate, a torto credute logorate dal tempo che fa liscia la pietra della roccia, o falciate dalla voce roca del lavoratore che alterna la bestemmia alla preghiera. “  Ciao, come stai, guarda come splende il sole …” parliamo così, qualche volta, in qualche ora del giorno, e lasciamo apparire la luce, la forza tranquilla delle parole, negli occhi, nella stretta della mano, quando ci lasciamo per poi ritrovarci. (  M. Prosdocimi) avanti
Ricerca sul lavoro dei nonni  I nonni mi hanno raccontato che una volta moltissime persone lavoravano nei campi. Il lavoro iniziava la mattina molto presto nei campi ed era molto faticoso . Veniva fatto da uomini e anche da donne . Si partiva presto e a mezzogiorno , quand’era estate e c’era tanto da fare nei campi , si mangiava in mezzo alle campagne . C’era molta solidarietà fra persone e spesso si dividevano anche il cibo . Lavoravano anche i giovani ,finita la scuola aiutavano nei campi. Il periodo invernale invece solo gli uomini lavoravano la terra o sistemavano le piante , mentre le donne si dedicavano alla cucina , al cucito o al ricamo . Persone meno fortunate che non avevano terreno o non c’ era lavoro per tutti , visto che le famiglie erano molto numerose , erano costretti ad andare all’estero . Anche i miei nonni sono andati a lavorare in Francia e mi hanno raccontato che era molto duro il lavoro e non c’era molto cibo . Le mie nonne invece sono state costrette ad andare a lavorare nelle risaie . Partivano molto presto alla mattina e tornavano tardi la sera ,anche per loro il lavoro era piuttosto duro . Le famiglie erano molto numerose tutte avevano molti figli e il cibo che c’era non bastava per saziarli tutti. Anche i bambini erano costretti a lavorare, tanti non finivano neanche le scuole . ( nonna Adelina )  avanti
I contadini  usavano gli animali per lavorare i campi. Ai buoi o ai cavalli venivano attaccati l ’ aratro o altri attrezzi; i buoi venivano usati a coppie e, per tenerli uniti veniva usato il  GIOGO.  I  cavalli e gli asini venivano usati per il trasporto delle persone o di piccoli carichi. La semina veniva fatta a mano prendendo i semi da un cesto e lanciandoli sul terreno camminando. Durante le calde giornate d ’ estate i contadini tagliavano un pugno di spighe per volta con un falcetto, poi le riunivano in covoni.  ARATRO avanti
GIOGO VENTOLO SEPARAVA IL CHICCO DALL’INVOLUCRO CHIAMATO PULA TREBBIATURA LA TREBBIA SEPARAVA I CHICCHI DALLE SPIGHE.( La pianta del grano senza i chicchi prende il nome di PAGLIA.)  avanti
I lavori delle  donne Nella società contadina tutti  i componenti della famiglia avevano un compito ben definito: gli uomini facevano i lavori più pesanti nei campi e nelle stalle, mentre le donne si occupavano della casa, dei numerosi figli, dell’orto, degli animali da cortile e, molte volte , nei momenti del raccolto, aiutavano nei campi.  In cucina usavano i prodotti dell’orto, poche volte la carne delle galline che servivano soprattutto per le uova; il pane vecchio, quando avanzava! veniva usato per zuppe o per qualche semplice dolce, mentre le “ croste di polenta”  ( la parte di polenta che si attaccava alla pentola mentre si cucinava) venivano mangiate nel latte alla mattina.  Compito delle donne poi era quello di lavare ( lissia) stirare, rammendare, cucire, lavorare a ferri. Le ragazze lavoravano ad uncinetto e si occupavano del ricamo della “dote”( lenzuola, tovaglie, asciugamani ….) Le donne andavano nei campi per la raccolta delle barbabietole che venivano levate a mano, private delle foglie e caricate sui carri per essere portate al zuccherificio, per la raccolta delle piante di tabacco, per la vendemmia o zappavano  la terra per togliere le erbacce dalle piantine. lavori
I grappoli d’uva, dopo essere stati vendemmiati, venivano pigiati con i piedi, in contenitori chiamati tini. Successivamente si è iniziato ad usare macchine come la pigiatrice, all’interno della quale si mettevano i grappoli. Le bucce dell’uva ( le graspe) venivano pressate all’interno del torchio e si otteneva un vino leggero   ( la graspia). Pigiando l’uva si ottiene il mosto che, per diventare vino ha bisogno di fermentare. La fermentazione è un processo chimico durante il quale lo zucchero del mosto si trasforma in alcool. Il vino viene fatto riposare nelle botti: dopo 5 – 6 mesi si ha un vino giovane, mentre per ottenere vini più pregiati occorrono anche 4 o 5 anni. PIGIATRICE TORCHIO avanti
El bot à ro Costruiva le botti per contenere il vino. Nella nostra zona el bot à ro era il signor Rosin di Villa Estense che da pi ù  di tre generazioni aveva la falegnameria. Per comperare una botte, che poteva contenere dieci quintali di vino, ci voleva il raccolto di un anno di lavoro per un ’ azienda media. Per costruire una botte  ci volevano tre anni :  el botàro si procurava il legno di  rovere , lo lasciava  seccare all ’ aria aperta e al sole, lo tagliava con la sega a mano e formava le  “  doghe ”  che faceva incurvare con dei pesi. Per tenerle unite metteva dei cerchi in ferro o in legno. Le doghe si chiudevano con due fondi circolari in cui veniva incavato un piccolo solco per fermarle. Nella parte pi ù  gonfia della botte veniva praticato un foro che serviva per fare entrare il vino. Per farlo uscire, invece, veniva praticato  un buco vicino al bordo di uno dei fondi e chiuso con un tappo chiamato  “canoìn ”  ( nonno Isidoro) lavori
Una volta, nel mio paese, si iniziava a lavorare molto presto, verso i 10 anni, dopo aver finito la scuola. I lavori erano vari: le bambine, oltre ad aiutare nei campi potevano fare la lavandaia, la balia, la mondina..Mentre i maschi lavoravano nei campi,accudivano il bestiame,potevano fare il mugnaio, il maniscalco, l ’ arrotino,il calzolaio, il minatore,il fabbro, , il canevino( costruttore di corde). Altri lavori che venivano fatti allora e che oggi sono scomparsi erano: el spassacamin,  saliva sui tetti delle case, soprattutto in primavera e autunno con gli arnesi del mestiere e liberava i camini dalle incrostazioni el favaro ,costruiva utensili e attrezzi in ferro el moeta, era l ’ arrotino, passava per le strade i bicicletta o con un carrettino trainato da un asino e affilava coltelli, forbici, … su una specie di ruota di pietra chiamata  “  mola ” el caregheta,  impagliava le sedie el marangon, costruiva e riparava mobili in legno e utensili el sestaro,  intrecciava rametti di salice, di castagno oppure di nocciolo per costruire cesti e per rivestire fiaschi o damigiane. marangon avanti
Una volta per scaldare il letto si adoperava uno  scaldaletto  in rame con il manico lungo, col coperchio, e con alcune fessure da cui usciva il calore che si formava dalle braci poste all’ interno. Per lavare i panni si faceva bollire l’ acqua in un grande pentolone a cui veniva aggiunta la cenere. A questo punto si immergeva il bucato che veniva lavato. Oltre a questi lavori c’erano molti altri tra cui il  calzolaio c he aggiustava le scarpe con le pezze, copriva i buchi nelle suole con dei pezzi di cuoio, e costruiva le ciabatte utilizzando il panno dei cappelli vecchi o il cartone e per la suola adoperava i copertoni delle vecchie biciclette. C’era poi lo  straccivendolo  che andava per le famiglie e raccoglieva gli stracci  e poi li sistemava e li vendeva per guadagnarsi da vivere. C’era ancora il lavoro del “ mazzin”  che era colui che uccideva i maiali nelle varie fattorie. Qui dopo aver ucciso l’animale lo metteva in quello che chiamavano la  “ pelaora ”, si trattava un contenitore di acqua bollente dove veniva immerso il maiale morto per togliergli il pelo. Del maiale veniva utilizzata ogni cosa, anche il pelo che veniva utilizzato per fare i pennelli per la barba. C’era anche il “  conciaole”  che era colui che aggiustava le pentole di alluminio, di terracotta e di smalto; le stagnava quando si bucavano, mentre quelle di terracotta che si “crepavano” le aggiustava con dei fili di ferro che inseriva all’interno facendo dei piccoli buchi. Sgàlmare avanti
Il maniscalco Il lavoro del maniscalco consisteva nel curare,tagliare e ferrare gli zoccoli degli animali da lavoro o da  “ tiro ”  che erano vacche, buoi, asini e cavalli. Egli doveva saper mettere i ferri adatti  che venivano fatti a mano con il ferro riscaldato nella  forgia  e poi modellato sull ’ incudine . Ferrare gli animali era un lavoro di precisione: bisognava tenere con forza la zampa, limare l ’ unghia e fermare il ferro con i chiodi molto bene, altrimenti zoppicava e si causava danni alle zampe. Il lavoro del maniscalco viene esercitato tuttora, infatti mio zio lo fa per professione da vent ’ anni ed  è  una passione che aveva fin da piccolo.  (Alice e zio L. Raffagnato) El boaro Lavorava presso il contadino e, a lui, era affidata la cura della stalla e degli animali: li teneva puliti, faceva loro il letto con la paglia e portava gli escrementi ( boasse) in un luogo vicino alla stalla chiamato  “  letamaio ” , mungeva le vacche e accudiva i vitelli. forgia avanti
Il lavoro  dei  miei  nonni  e  i  lavori che  non  ci  sono  più I  miei  nonni  facevano  gli  agricoltori: oltre tanti altri lavori  seminavano  e  raccoglievano  il  grano. Il  grano  si  mieteva  con  la  falce  a  mano, si  riuniva  in  covoni che poi  si trasportavano  sopra  un carro trainato da buoi e venivano distesi   nell’ aia, dove venivano trebbiati con la trebbia fissa. Il  grano  poi  veniva  portato  a spalle nei sacchi e messo nei granai mentre la paglia si riuniva nei pagliai. Il grano veniva poi portato dal mugnaio che lo macinava per fare la farina con la quale si faceva il pane. I mulini si trovavano in riva ai fiumi perché sfruttavano la corrente dell’acqua per far muovere le pale. Le lenzuola e le camicie venivano fatte con il filo di canapa, perché la coltivazione era molto diffusa.  La semina della canapa si effettuava a Marzo a righe molto fitte per ottenere  fusti alti e senza rami, quindi fibre più lunghe e più  fine. La  raccolta avveniva tra la fine di luglio e primi  di agosto tagliando le piante alla radice. Dopo averle essiccate al sole  si toglievano le foglie, quindi rimanevano fusti nudi detti “bacchetti,” di 2 o 3  metri. Poi venivano ripartiti  in fasci  uguali per lunghezza e grossezza e messi  a macerare  in piccoli stagni artificiali detti  “maceri ,” facendoli ammorbidire per 10-15 giorni, poi si facevano asciugare all’ aria. Una volta asciugati si battevano con un attrezzo detto “ gramola ” distruggendo così lo stelo esterno e rimanevano le  fibre interne chiamate  stoppa . Con questa si faceva il filo a mano: Le donne,tirandolo con le dita e con l’aiuto di una ruota facevano delle matasse di filo per poi lavorarlo e filarlo. Oggi la coltivazione della canapa in Italia è scomparsa.  (Targa Isidoro) avanti
TELAIO Lavorazione della canapa FILATOIO torna
Il filò Nelle giornate o nelle sere d’inverno, le persone si radunavano  nelle stalle per stare al caldo; si mettevano, di solito, disposti a cerchio: gli uomini giocavano a carte, le donne lavoravano a maglia e chiacchieravano, i bambini giocavano. A volte si raccontavano storie o favole ai bambini, a volte gli uomini facevano “ i crivei” cioè le gabbie per le galline, fatte con i rametti “de salgàro” , una specie di salice che cresce lungo i corsi d’acqua. ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],Mi … me  ricordo … avanti
BoJi  boji  fasoi On d ì  na femena ghea rancur à  on mucio de fasoi. La jera tanto contenta che la ghe voea ben come i fusse sta so fioi- On d ì  la i ga messi a bojre e la ga scomissi à  a dire:  “  Boji, boji fasoi che si tuti me fioi ” . Ma cusina, cusina, i fasoi se ga tuti desf à . Quando la i ga visti tuti cuss ì , la pora femena la ga scumizi à  a pianzare parch è  no la ghea pi ù   so fioi. Alora salta fora da dedrio la porta el pi picenin disendo:  “  no sta pianzare ghe so mi ” . A chel momento la ga scumizi à  a basarlo e abrazarlo. Da alora i xe vivesti feici e contenti  ( nonna Lucia) Par colpa de on toco de pan Mia nonna Lucia racconta un episodio di vita di suo papà Giovanni… “ Jera l ’ inverno del 1917 e jero drio combatare contro i tedeschi sol monte Baldo. On d ì , finio de magnare, a go visto butare dal generale on toco de pan in tel fango, parch è  el jera on fi à  onto. Me so but à  par torlo, ma no ghevo calcol à  che l ì  vizin ghe jera el buron e so sivol à ; go ciam à  Gigi chel me tirase su. Mentre Gigi el toea la corda, a me so spost à  on fi à  a sinistra; quando che l ’è  riv à , deboto el fasea on colpo. Na volta tir à  su i me ga infas à  le man par quatro mesi, parch è , tacandome, me jero roto tute le onge.Da alora no me so p ì  desmenteg à  de sto fato.” (  nonna Lucia ) Mi … me  ricordo … avanti
La fola de Piereto Ghe jera na volta na bruta vecia che la se ghea messo in testa de magnare on toseto che se ciamava Piereto .Ogni dì la ‘ndasea de qua e de là par catare sto toseto e par metarlo in tel saco.Na bea volta, Piereto el jera  in zima a on peraro, la vecia se ne ga incorto e cussì, stando soto l’albero, la ghe disea  :- Piereto, Piereto, butame basso on pereto ca me bagna la boca par  filare la stopa.Alora Piereto el ghe lo ga butà zò.Ma la vecia :-A  no lo vedo sto pereto,portameo basso ti . :-Ah no,no,bruta vecia scanopiosa, che ti te me meti sol saco! Risponde Piereto  :- Ma no Piereto,portame basso on pereto ca me bagna la boca par filare la stopa. Alora a Piereto la ghe ga fato pecà, el ghe o ga portà, cussì  la vecia la o ga ciapà e la o ga messo in tel saco, la o ga caricà so la cariola e la xe ‘ndà verso casa. Par la strada la  vecia ghe  scapa  da  fare  io so  bisogni;  la  ga  assà  la  cariola  col  saco  so  la  strada  e  la  xe  ‘ndà  a  farli  sol  fosso.  Intanto Piereto che in scarsea el ghea la corteina,el ga tajà el saco,el xè scampà fora e dopo el ga impinà el saco de piere.Quando che la vecia la xè vegnù su dal fosso, la ga ciapà la cariola e la xe n’dà verso casa ciamando so sorea Regina e disendoghe :-Regina miti sù el parolon ca so qua col capòn. Ma quando che la ga verto el saco la se ga incorto  che el jera pien de  piere !E cussì la vecia furiosa la se ga messo a sberegare  :-AH.......... che brutto birbante  el  me  la ga  fata  !- Alora  la  xe  ‘ndà  ancora  soto  el  peraro,  dove  ghe  Jera  Piereto  e  la  ga  cumizià  da  novo  la  stessa  solfa: - Piereto, Piereto, butame  basso  on  pereto……..-  Anca  sta  volta  la  convinze  Piereto a  portargheo  zo,  ma  so  on  atimo  la  o  ciapa e  la  o  mete  sol  saco !   Per  la  strada  ghe  scapa  da  fare  i  so  bisogni,  ma  sta  volta  la  se  tien! Rivà davanti casa , la ciama so sorea Regina , disendoghe :-Regina miti su el parolon che sta volta gò el capòn. La Regina verze el saco ma Piereto , pi furbo e svelto de ela , el la ciapa e la buta dentro el parolon e , de corsa , e scapa de sora dea casa .Intanto  la vecia vien fora dal gabineto sfregandose le man e disendo : -Che el sia coto sto Piereto?!- La va a  smisiare co on manego de scòa el parolon e la dise: -Speta ca senta come che  el  xe-. Col piron la ciapa on deo e la se incorze che el ga l’ anelo,  la sponcia oncora e la ciapa na recia e la vede che la ga on recin! De colpo la capisse tuto : -Ma questa la xe la Regina!Ah che bruto birbante el me la ga fata n’ altra volta! – E disperà la scapa fora, e la se ne incorze che Piereto el xè là che el ride de sora la casa. - Bruto birbante vieni basso! – dise la vecia. - Vieni a ciaparme ti! Dise Piereto. Alora la vecia la toe la scala par ‘ndare a ciapare Piereto, ma la scala la jera de legno marzo. Cussì la vecia la xe cascà e la se ga copà, e Piereto tuto contento xe ga salvà! ( nonno  Cesare)  Mi … me  ricordo  … avanti
on dì de laòro On dì me so svejà presto e so ‘ndà a s-ciarezare e biètoe. Zapando , ghe ne tajavo la metà, alora le ciapavo e le butavo nel foso de Stela parchè se no me opà el me dava.  Finiò con le bietoe so’ ndà a catare la ua e quando toevo on grapoeto me lo magnavo o se no me lo metevo in scarsèa par darghelo a la me cavala. On dì me opà el me ga scoperto, alora el me ga mandà in Toscana a laorare e stare drio a le bestie. Così  go fato presto a imparare la lezion, pulendo i escrementi de le vacche. (nonna   Accademis) Me ricordo… Me ricordo che, a le diese el paron ne portava ,a noialtre femane del pan e on formajn. Ma, na volta , a ghea ancora cossì tanta fame ca go magnà do rane crue. Fin che lavoravi no se  cantava, se ridea e se godevino on pasto. A le quattro del pomerijo a se trovavino nel cama ron dove se magnava.  La cuoca la preparava pastasuta e salado o panzeta. A  la sera zogavo con le tose a corarse drio,saltare la corda, saltarse in gropa, con le balete de terra, o a scondarse e a tanti altri zoghi.  A’ndasevino in leto presto, parchè jerino strache morte. Me piasea fare i schersi  a la cuoca ( la Bortola). Na sera ghemo ligà el leto dove la dormìa e la ghemo tirà fin in mezo a la corte. La Bortola bacaiava:- Portème dentro ,si tute mate! Ma la ghemo assà là che la bacaiasse e noaltre se copavino da ridare. El dì dopo,però, el paron invesse de darne la pastasuta, el ne ga dà pan e acqua. Alora a no ghemo pì ridesto. Dopo quaranta dì so vegnù a casa tuta contenta che dopo tanto laoro, ma anche tanto ridare, a gò portà a casa par la me fameja on saco de riso: quea la jera la paga. ( nonna Lucia detta “Cia”) Mi … me  ricordo  … avanti
Ricordi di una bambina... di tanti anni fa Mia mamma è rimasta vedova molto giovane, con otto figli in età compresa tra i due mesi e i diciotto anni. Io sono la penultima figlia e mi chiamo Teresina. Mia mamma doveva mantenere una famiglia così numerosa, quanto povera, e lavorava con i miei fratelli maggiori in una fattoria. Io avevo solamente due vestiti: uno per il giorno di lavoro e uno per la domenica; quando mia mamma lavava il vestito da lavoro, dovevo rimanere a letto finché si asciugava. Il cibo era poco e semplice, si mangiava pane fatto in casa, polenta, patate americane e fagioli. Non ho mai posseduto giocattoli, giocavo a carte o a cucucce. Per scaldarci, alla sera, andavamo nella stalla e poi a letto presto. Per andare a scuola dovevo percorrere tre chilometri e mezzo a piedi con un paio di scarpe di legno ( le sgalmare), a volte camminavo scalza per non consumare quelle misere e allo stesso tempo preziose scarpette, avevo un solo libro che comprendeva tutte le materie. Ricordo che durante la seconda guerra mondiale, un giorno, mentre mi trovavo fuori, sentii un forte boato e vidi innalzarsi del fumo grigio e pezzi di pietra nel cielo: era la chiesa di Lusia che era stata bombardata. Il giorno dopo arrivò la famiglia della figlia del padrone di mia mamma, che era rimasta senza casa perché distrutta da una bomba: ci trovammo così, da un giorno all’altro, da nove a venti persone a dividere tutti la stessa casa. Non è stato semplice andare tutti d’accordo, ma abbiamo certamente dimostrato  disponibilità e tolleranza tutti quanti. Un altro fatto successo durante la guerra è rimasto nella mia mente: un giorno appena suonata la sirena del coprifuoco, io, i miei fratelli e mia mamma, ci nascondemmo in un rifugio sotterraneo ma fummo scoperti e ci trovammo un mitra puntato: erano arrivati i tedeschi. Mia mamma con voce disperata disse:-“Camerata, sono solo bambini!” e fece vedere i miei fratelli. Poi dividemmo con loro quel poco cibo che avevamo e, per paura che ci facessero del male, mia mamma diede loro le sole tre uova che avevamo. Capì che erano soltanto giovani affamati, che neanche loro volevano la guerra, ma che erano obbligati a farla. Io, quando tutto questo accadde , ero solo una bambina, ma il mio ricordo è vivo come se fosse accaduto ieri.  ( nonna Teresina) Mi … me  ricordo  … Me ricordo …
Le conte HO una spina regalata,  ma non so chi me l’ ha data. Me l’ha data mia sorella  che si chiama mortadella, me l’ ha data mio cugino  che si chiama formaggino, me l’ ha data mio cognato che si chiama scornacchiato, me l’ ha data mio papà che si chiama bacalà.  Il gobbino va al caffè E domanda se ce né, se ce n’ è un goccettino per il povero gobbino! Staccia braccia Gigi è andato a caccia, ritorna molle molle lo dice alla moglie. La sua moglie non c ’ era  c’era la sua cameriera, che faceva le frittelle. Gliene chiese una  gliene chiese due gliene chiese tre gliene chiese quattro sotto c ‘ era il gatto il gatto in camicia scoppiava dalle rise e i topi su per il muro che suonava il tamburo! C’ era una volta Chicchi rivolta  che rivoltava i maccheroni: si sporcò i bei calzoni e la mamma lo sgridò. Chicchirivolta si ammalò  si ammalò di malattia:  Chicchirivolta all’ ospedale  all’ ospedale si sente male  Chicchirivolta col naso storto grida, grida di dolore: esci fuori, per favore! Ciò, ciò, ciò son la coda del cane son la coda del gatta la pace è fatta! Grin, gron tre galline, tre cappon, per andare sulla cappella c’è una figlia molto bella, che suonava la chitarra pin, pun, sbarra!   L’ orologio dell’ arciprete conta le ore ventisette Uno, due, tre…ventisette! Mi … me  ricordo … avanti
San  Giuseppe  vecchierello se  ne  viene  pian  pianino .  Tiene  il  fuoco  nel  mantello  per  scaldare  Gesù  bello per  scaldare  Gesù  divino . Gesù  bello  è  riscaldato tutto  il  mondo  è  illuminato, illuminata  è  casa  mia  un  Pater  noster  e  un’ Ave  Maria . La  bella  donna  che  ha  perso  la  rocca per  tutto  il  lunedì  la  va  cercando  il  martedì  la  trova  mezza  rotta  il  mercoledì  la  va  rassettando il  giovedì  le  pettina  la  stoppa  il  venerdì  la  viene  incannando il  sabato  si  liscia  un  po’  la  testa  la  domenica  non  fila  perché  è  festa . Domani  è  festa  si  mangia  la  minestra, la  minestra  non  mi  piace  si  mangia  pane  e  brace, la  brace  è  troppo  nera si  mangia  pane  e  pera, la  pera  è  troppo  bianca si  mangia  pane  e  panca, la  panca  è  troppo  dura  si  va  a  letto  addirittura . Le conte avanti
Din,  don,  campanon quattro  vecchie  sul  balcon : una  che  fila  una  che  taglia  una  che  fa  capelli  di  paglia una  che  fa  coltelli  d’ argento per  tagliar  la  testa  al  vento. ‘ La  Gigiota  la  ga  un  putin ch’el  se  ciama  Faso’ lin, ch’el  se  ciama  Fraccanapa ‘ la  Gigiotta’  la  deventa  mata ! Un,  due , tre ,  quattro ‘ la  cava’la  de  San  Marco, ‘ la  ga  fatto  un  pulierin tanto  be’lo  e  picinin, fin  ch’el  mondo  dura el  mondo  ga  durà el  pulierin , ‘xe  ‘ndà  struca . Tre  naranse , tre  limoni  par  ‘ ndar  a  pescheria ciche , ciachete , manda’lo  via! Ciripiciri  ‘ la  mussa  de  Ciri ga  fato  un  vede’lo si  che’xe  vero  ghe  gero  anca  mi! Risi  e  bisi  moscatei tutti  quanti  ‘xe  porsei fora  che  mi , fora  che  ti an  flin  flan fiol  d’un  can  fiol  d’un  beco  mori  qua  seco! Le conte avanti
Soto  el  ponte  de  Angui’lara ghe  se ‘ na  vecia  co’la  manara che  taia  legna  tuto  el  dì a ,bi ,ci, di ! Tegna , tegna , rogna chi ‘ la  ga ‘la  se  vergogna fora  mi , fora  ti , te ‘la  ghe  proprio  ti! Galo, galina oca, balessa anara contessa gato sgrafignon compare molton oseleto mato compare volpe no te cato . Siamo tredici fratelli tutti quanti disoccupati alla casa del fascio siamo andati per poterci ricoverar. Fortuna aiutaci oh Dio proteggici noi siamo in tredici senza on quatrin Le conte torna
LA  FIONDA Si  cerca  un  rametto  a  forse’la , abbastanza  robusto ,  lungo  circa  20  cm . Alle  due  estremità  della  forse’la  si  fissano  due  elastici  che  si  legano  poi  ad  un  pezzo  di  cuoio  rettangolare . Si  inserisce  un  sasso  dentro  al  pezzo  di  cuoio  e  lo  si  tiene  con  una  mano ; con  l’altra  si  impugna  il  rametto  al  di  sotto  della  forse’la , si  tendono  gli  elastici  e  si  lascia  la  presa  in  modo  che  il  sasso  parta  velocemente . EL  SUPIòTO Si  cerca  un  rametto  dritto  di  salice  lungo  circa  20  cm , del  diametro  di  circa  2  cm . Si  intagliano  delle  tacche  sulla  corteccia  in  modo  da  incidere  anche  il  midollo  nei  punti  corrispondenti . Si  estrae  il  midollo  e  si  intagliano  su  di  esso dei fori  e  sfilando  ritmicamente  il  midollo  dalla  corteccia , si  soffia , modulando  un  fischio  più  o  meno  forte . EL  SBINDO’LO Per  costruire  uno  sbindo’lo  basta  appendere  le  due  estremità  di  una  corda  robusta  al  ramo  di  un  albero , in  modo  che  penda  a  circa  70  cm  da  terra . Si  può  anche  arrotolare  alla  corda  un  sacco  che  serva  da  sedile . Quindi  ci  si  siede  sullo  sbindo’lo  e , puntando  i  piedi  per  terra , ci  si  dà  una  spinta . Si  comincia  a  dondolare  e , muovendo  opportunamente  le  gambe  e  il  busto , si  cerca  di  accelerare  il  movimento . PER  costruire  un  aquilone  si  prendono  2  canne  di  bambù  piuttosto  sottili , una  lunga  circa  80  cm ,  l’altra  40 , e  si  legano  saldamente  a  croce , esattamente  nel  punto  mediano  di  ciascuna . Le  2  canne  di  bambù  vengono  cosi  a  formare  le  diagonali  di  un  rombo , che  viene  disegnato  su  carta  velina  e  successivamente  incollato  alle  diagonali . A  tre  vertici  del  rombo  si  legano  altrettanti  pezzi  di  filo  che  vengono  uniti  con  un  nodo  nel  punto  di  equilibrio , da  qui  si  fa  partire  la  lunga  cordicella  che  serve  a  tenere  l’aquilone . La  coda  viene  attaccata  al  quarto  vertice  rimasto  senza  filo  ed  è  fatta  con  una  catena  di  anelli  di  carta . Non  resta  che  attendere  una  giornata  ventosa  per  poter  collaudare l’aquilone .  L' AQUILONE Mi … me  ricordo … i giochi  torna
Una delle case più antiche di Granze 1500 circa. ( p. Rizzi) Testimonianza  dei  nonni  sulla  2°  guerra  mondiale Quando  è  scoppiata  la  2°  guerra  mondiale,  mia nonna  aveva  13  anni  e  mio  nonno  15.  Appena  si  è  saputo  che era  iniziata  la  guerra,  i miei nonni  erano  giovani  e  non  si  rendevano  conto  a cosa  andavano  incontro.  La nonna  mi  ha raccontato  che i  suoi  fratelli  erano  PARTIGIANI  e  di  sera  andavano  a  dormire  lungo  i fossi  per  paura  che  di  notte  i  FASCISTI  venissero  ad arrestarli. I  Tedeschi  usavano  la  casa  della nonna  come  ospedale  e  ci portavano i  feriti.  Sul  tetto  della  casa  avevano  sistemato  una  grande  “ croce  rossa “  in  modo  che  l’  edificio  non venisse  bombardato. I  soldati  russi,  d’ inverno,  si lavavano  con  la  neve  che  ricopriva  l’  aia  situata  davanti  alla casa  . La  prima  BOMBA  caduta  vicino  alla  casa  della  nonna ha  formato  un cratere  di  6  metri  di  diametro. Il 25 Aprile 1945 , quando sono arrivati a Granze gli Americani, le famiglie mettevano le lenzuola bianche sulle finestre ed erano in festa perché la guerra era finita . I miei nonni avevano fatto amicizia con un soldato tedesco di nome Franz . Questo rapporto è durato anche negli anni successivi e Franz , tolta la divisa ed avviata una pasticceria in Germania , è tornato  più volte in Italia ad incontrare i vecchi amici.  ( nonna Teresa)   Mi … me  ricordo … avanti
Una volta quando mio nonno materno era giovane il lavoro che andava per la maggiore era il lavoro dei campi . Si arava con i buoi , si seminavano il grano e l’ERBA MEDICA e dopo la fioritura si tagliava , si lasciava seccare, si ammucchiava,veniva caricata su un carro e portata nel fienile dove veniva tenuta come scorta per  darla da mangiare alle mucche d’inverno. C’erano piccole stalle con mucche che venivano munte a mano per poi vendere il latte .  (nonno Gianni)   Mi, quando ca ghea sedase ani, a so ‘ndà a la risara, a Novara e a Vercei. A rivavo la sera, verso le siè in cassina ( la casa del padrone). Pena rivà, ‘ndavo a farme el  paiòn (  sacco di paglia che serviva da materasso), e con queo me fasevo el leto e ‘ndavo dormire verso e nove. A ‘ndavo in campagna de matina bonora, verso e zinque e, a piè scalzi, in mezo al fango, ‘ndavo a rancurare el riso. Magnavo el panin ae nove, in mezo a l’acqua. Dopo ‘ndavo avanti fin mezodì, ora de pranzo. Se ritacava  all’una e meza e se finiva ae quatro. Stavo via anche de pì de on mese, finio sto tempo, insieme ae me compagne cantavimo:” Sior paron dae braghe bianche, tira fora le palanche che ‘ndemo a cà”.  ( nonna “ Memi” ) Mi … me  ricordo … avant i
El dì de Pasqua quando gavevo sedase  dissette ani insieme con tante tose e tusi se’ndava  sui monti a fare  merenda.  Dopo, verso sera , ognuno ‘ ndava  casa co  la so moroseta.,a mezzodì  magnavino tutti in conbricola, dopo magnà se cantava,e se balava con la fisarmonica.  Qando gavevo quatordese ani , de dì , ‘ ndasevimo sol campo a staccare le panoce col scartosso. Ala sera dopo zzena , noialtri tosi se trovaimo  soe  case par cavare i scartozi  dae  panoce,   par iutare le fameie  contadine . Dopo quando ghevimo  finio  , i ne dava on cafè  de orzo e on “buonasera” e “note”.  Bernardino racconta torna
El  mas'cio Un tempo avere il maiale era una ricchezza,in quanto assicurava cibo tutto l’ anno. Il maiale viveva nel “ porcile”  ,misera stalla costruita accanto alle povere case contadine “ El porseo” veniva ucciso durante l’inverno, con una  procedura  che  assomigliava  ad  un rito,  dalla  quale  noi bambini eravamo  rigorosamente  esclusi.Era  però  una  festa : insaccare saladi,museti e sopresse,riunire tutte le costicine,gli ossetti e separare il lardo(il condimento di una volta).Anche il sangue del maiale veniva utilizzato;raccolto  ancora caldo  in  un  paiolo  (recipiente  di  rame ),   lo  si  metteva  sul  fuoco  finché  solidificava,  una  volta  raffreddato diventava “ la dolse”  , che  tagliato  in  pezzetti  e  cotto come  “el fegato a la  veneziana” (fegato con cipolla )costituiva uno dei primi cibi  mangiati. Anche la coda e i peli venivano utilizzati per fare attrezzi utili nelle case,o  per  essere rivenduti. Del maiale si diceva una volta e si dice ancora oggi che  “non si butta niente”.  Pelaora torna
Le case erano modeste con poche stanze: al piano terra c’era l’entrata, la cucina, a volte il tinello, al primo piano le camere da letto. In alcune case, al piano superiore c’era il “ granaro”  in cui veniva messo il grano, le zucche, e i salami ad asciugare. Attaccata alle case c’era quasi sempre la stalla. I tetti erano ricoperti da  coppi ( tegole) sostenuti da soffitti con travi in legno. I pavimenti erano in pietra o cotto , le scale e i pavimenti al piano superiore erano in legno. L’illuminazione avveniva con candele, lumi a petrolio, a carburo ( canfin a oio). Veniva riscaldata una sola stanza con il camino o con stufe a legna La cucina aveva tavola, sedie impagliate, credenza, madia, ganci per appendere le pentole avanti
Mastello,  veniva usato in casa anche per farsi il bagno, di solito il sabato. parolo ferro da stiro moscarola mestoli avanti
Moscheto riparava il cibo dagli insetti Madia : cassettone che conteneva la farina Munega e fogara pestarello avanti
Camera da letto Nelle camere da letto c’erano i letti con materassi di  cartocci (  foglie di granoturco), paglia o piume. Si trovava anche  “ la munega e la fogara” o lo scaldaletto  per scaldare il letto poiché, d’inverno, era facile vedere pendere dal soffitto i ghiaccioli avanti
La lissia era un tipo di lavaggio in cui si usava la cenere. Veniva settacciata la cenere con il  tamiso  per mettere nell’acqua bollente quella più fine. Le robe da lavare  venivano messe in un grande secchio,  el mastelo,  sopra al quale si stendeva un lenzuolo che serviva da filtro. Il miscuglio di acqua e cenere veniva filtrato attraverso il lenzuolo che tratteneva la cenere e lasciava passare l’acqua, che risultava scivolosa come se avesse del sapone: questo effetto era dovuto proprio alla cenere. Il bucato era lasciato immerso per l’intera giornata per disinfettarlo (la cenere ha un potere disinfettante pari alla nostra candeggina). Poi,  le robe  venivano lavate con il sapone fatto in casa, con il grasso di animale. Si lavava sull’asse per lavare che costringeva  le donne a rimanere piegate a lungo. Le donne risciacquavano nei fossi anche quando era inverno, spesso andavano in gruppo per aiutarsi l’una con l’altra. Il bucato, quindi veniva steso all’aria e poi stirato con un ferro da stiro che, per essere scaldato, veniva riempito di carboni ardenti ( venivano sostituiti di tanto in tanto per cui le donne dovevano preoccuparsi, nello stesso tempo, che il fuoco rimanesse sempre acceso)  torna
I nonni raccontano che mangiavano spesso la polenta, poche volte il pane che veniva fatto in casa e cotto nel focolare o nella stufa a legna. La pasta veniva fatta in casa: lasagne e tagliatelle con la mescola (matterello). Si cucinavano i polli e le galline allevate nelle fattorie e d’inverno  si mangiava la carne di maiale ,per chi aveva la fortuna di allevarlo. Il dolce della domenica era, a volte , la torta “Margherita” che era soprattutto un dolce pasquale in quanto era fatto con  7 uova ( che venivano deposte dalle galline maggiormente in primavera), fecola di patate, zucchero. Tanti anni fa, quando ero piccolo,il Natale era sentito come la venuta del Redentore. Il 15 dicembre iniziava la Novena e la gente faceva anche 3 o 4 chilometri a piedi per andare in chiesa. Durante questo periodo alcuni ragazzi venivano per le case a cantare  la  “  Ciara Stela”; dopo il canto , i ragazzi aspettavano che venisse dato loro qualcosa che consisteva in una ciotola di farina, raramente qualche soldo o qualche salamino.  Alla vigilia invece si mangiavano” bigoi coe  sardee”  Il giorno di Natale  si andava in chiesa e , per strada, ci si scambiavano gli auguri con  la gente che si incontrava. Il pranzo  veniva fatto in casa : brodo di gallina o cappone tagliatelle fatte in casa, cotechino, la pinza con le grasipole ( pane  impastato con pezzettini di carne grassa ricavata dallo strutto del maiale).  Il dolce era il “ bussolà”:  zucchero, uova,  latte, burro,  farina. Alla sera stavamo in famiglia,  a parlare vicino al camino. avanti
Prendere una pentola in rame (el parolo ) riempirla a tre quarti di acqua poi aggiungere il sale grosso (una manciata),aspettare che arrivi a bollire, poi aggiungere la farina “gialla”. Mescolare con la  frusta fino a che non diventa compatta e cuocerla per circa un’ora; quindi   versarla sul tagliere di legno.  Asagne Mettere 6 uova in una terrina ;aggiungere  la farina (bianca ) quanto basta per avere un impasto normale ;domare con le mani . La pasta viene stesa con il matterello( mescola) finché diventa una sfoglia fine. Quindi viene arrotolata e , con il coltello si tagliano delle striscioline larghe circa un centimetro. Queste vengono aperte e stese ad asciugare in un palo. Quando sono asciutte si usano per la pastasciutta. Le tagliatelle hanno la stessa procedura ma  sono tagliate un po’ più fine. Poenta torna canti
Ciara stela  e Pastorela Siamo qua co na gran stela, per dorare Maria e Gesù  Su pe i monti e su par le grote, per dorare Maria e Gesù. Noi cantiam la pastorela e la cantiam di gran cuor. San Giuseppe veciarelo cosa avete in quel cestello? “  Ho una fassa e un panesello per coprire Gesù bello. Gesù bello, Gesù d’amore per coprire il nostro Signore scherzi
Ai tempi  de me nono, par Nadale ,costumava  de  ‘ndare  pae case a domandare  la  carità. I Torotea  jera  do persone, uno tuto querto  dal tabaro ch’el tegnea soto do tole de legno, che le sbatea forte quando che le vegnea tirà co on spago. Par dentro le jera incolorie de rosso come se le fosse  na boca spalancà.  Ne vegnea  fora na’  maschera co la  facia  da  lupo: oci  neri,  cilie  longhe  e  dentro  la  boca  ghe  jera  impiantà  tute  broche, soto  e  sora.La lengua  jera  rossa  e  soto  el tabaro  ghe  jera  l’ omo  col spago che,  tirandolo,  el fasea  sbatere  la  boca, coi  denti  che  jera  le  broche. Che l’altro  el  ghe  fasea compagnia  e  spetava  che  i  ghe  desse  la  carità.I  Torototea i vegnea  da  prima  de Nadale  a  fine  Vecia .I  ‘ndava in  giro  in  bicecreta, co  par  davanti  e par  de  drio  i  portapacchi  e,  no i ghea  i  guanti,  cussì i  metea  sul  manubrio  pèi  de  gato  o de  coneio  roversà  che  le  fasea  caldo. E i  cantava na storiela.   La fasea: “ Siora parona la vegna de qua, che no so miga indiavolà So  na  povera  mascherina  che  domanda  la  carità .  O  parsuti  o  saladi, qualcosa  la  me  darà. La  va  in  cusina  e  la  tira  el  casetin  e  la  trova  un  salamin e se no la voe  darmeo tuto, me ne basta on tochetin. Qua a gò n’altra sachetina, se la me dà anca  dea farina me fago anca ‘na  poentina. Tanti  auguri  de  Nadale  e  Ano  Novo. E naltr’ano  se  saremo  in  società  pian  pianin  riveremo  ancora qua’. Grazie, arrivederci  e  tanti  auguri Torototea  Torototà.  ( nonno Corrado) I TOROTOTEA La  lumaza Si prendeva una zucca, la si scavava all’interno, si facevano due buchi per occhi, Si incideva un triangolo come naso e sotto una linea per bocca. Dentro alla zucca si fissava una candela accesa in modo che, al buio, desse  l’impressione di qualcosa di mostruoso. Alla sera, noi ragazzi, ci nascondevamo lungo la strada e quando sentivamo arrivare delle persone mettevamo la zucca ( la lumaza) in mezzo alla strada. La gente scappava spaventata. brugneo
El  dì  dea  vecia  jera de  tradizion  de  brusarla. Se  cumiziava  tre  dì  prima , par  rancurare  cane, canoti ,fassine  secche,casteloni , faive  ect …  Se fasea  un  mucio  grande  co  tute  ste  robe  e  in  zima  se  metea  la  vecia : on  pupazo  co  indoso  tute  straze  ligà  so  on  palo de  quatro  zinque  metri. Dopo,a’na zerta  ora,se  ghe  dasea  fogo. El  gera  on  apuntamento  par tuta  la zente  parchè  ogni  via  la  fasea  el  so  brugneo . Partecipava  veci , zovani  e  toseti. Dopo  rivava  le vecie , coi cavei  longhi , el viso  mascherà , e  sol  brazo  sinistro  i  gavea  on  sesto  pien  de  naranze , mandarini  , poche  caramele, carube  e nosee .  EL BRUGNEO La befana vien dai monti vien dai monti  alla città va gridando “ care done el camin sarà spazà” Brugneo brusa la vecia sol careteo Brusea tuta che no la magna più zuca.  Brugneo, brugneo, evviva la vecia sol careteo. El veciòn e la vecia intorno al brugneo I balava e i cantava:  La vecia s’intaca, la magna de tuto,poenta e  torna
Vestiti dei nonni I nonni usavano vestiti comodi, poco colorati e semplici, venivano confezionati dalle sarte o dalle donne di casa e dovevano durare a lungo. Si utilizzavano tessuti di cotone, canapa, lana, flanella e, per i vestiti più raffinati, lino, seta, velluto. Le stoffe venivano acquistate al mercato, nei negozi o dall’ambulante che, in bicicletta girava per le fattorie. Le donne indossavano vestiti e gonne lunghe, sottovesti, camicette, maglie di lana e cappotto per l’inverno. Gli uomini, invece, vestiti completi con gilet, camicie, bretelle e, d’inverno tabarri e cappelli. I bambini maschi portavano pantaloni alla”  zuava ”( appena sotto al ginocchio). Ai piedi, nei giorni di festa, le scarpe; negli altri, le “  sgalmare ”( zoccoli con la suola di legno). Spettava alle nonne, la sera, quando si riunivano nelle stalle,produrre calzini guanti, maglioni , berrette, sciarpe lavorate a  ferri per tutta la famiglia. A Natale e a Pasqua si comperavano il vestito nuovo o le scarpe.  torna
“ Villa  Ca’  Conti” Oggi  Villa “Camerini  Rusconi” La costruzione del palazzi Ca’ Conti risale al 1500 con il suo corpo centrale e l’annesso Oratorio. Verso la metà dell’Ottocento l’intera proprietà passò ai Camerini, famiglia di origine romagnola. Questa famiglia acquistò vasti possedimenti terrieri nella zona, tra cui anche la Villa dei Contarini a Piazzola sul Brenta e il Palazzo in via Altinate a Padova, oggi sede del comando dell’Esercito italiano. Nella seconda metà del 1800, una nipote di Giovanni Camerini sposa il nobile Saverio Rusconi, da qui il nome della villa. I Camerini aggiunsero due corpi all’originaria villa Conti:  il giardino d’inverno,  presente nella maggior parte delle residenze nobiliari;  il maneggio coperto  che fu distrutto durante le due guerre mondiali. Sul lato Nord della corte sorge un fabbricato di servizio adibito alla  lavorazione della canapa  che veniva macerata nei “ maceri” e poi, qui lavorata per ottenere tessuti e cordami.  avanti
VILLA  ZANGIROLAMI E’ una costruzione signorile che risale alla seconda metà del seicento e la cui edificazione è stata opera della nobile famiglia Zangirolami originaria di Rovigo. Oltre all’attuale costruzione sorgeva, nel giardino, un oratorio privato, ma di uso pubblico, dedicato ai SS. Pietro e Paolo, di cui si conserva , a memoria, un sacello dove è possibile leggere ancora l’iscrizione:  L’ILL.mo Sig G. Pietro  ZANGEROLEMO CON GIOVANNI BATTISTA, NOBILE DI ROVIGO, FECE FAR QUESTO ORATORIO L’ANNO 1707. Questo edificio sacro fu abbattuto verso la metà del secolo scorso a causa del decadimento a cui era andato incontro. VILLA  Prosdocimi Si tratta di un Palazzo le cui prime notizie risalgono al1711,anche se la costruzione è anteriore. Proprietario, a quel tempo era Crestin Martinelli Lunardo, ma, dal 1835 ne divenne proprietario l’ing.Matteo Prosdocimi. L’architettura dell’edificio segue le regole del grande architetto Andrea Palladio. Gli archi delle porte esterne fanno pensare alle costruzioni del’500, così pure la dentellatura sotto il tetto; i comignoli piramidali sono stati ricostruiti su modello di una mappa originale del1835. torna
torna

More Related Content

What's hot

L'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreare
L'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreareL'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreare
L'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreareDidattikamente
 
Memorie grumentine saponariensi
Memorie grumentine saponariensiMemorie grumentine saponariensi
Memorie grumentine saponariensiVincenzo Scarano
 
3. 19 novembre aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...
3. 19 novembre   aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...3. 19 novembre   aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...
3. 19 novembre aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...Luigi Perotti
 
Monasteri benedettini
Monasteri benedettiniMonasteri benedettini
Monasteri benedettinimarco anselmi
 
La Storia Di Cortina
La Storia Di CortinaLa Storia Di Cortina
La Storia Di Cortinamiglius
 
La vera storia dei veneti
La vera storia dei venetiLa vera storia dei veneti
La vera storia dei venetilibriveneti
 
Madonna della cintura tradizione
Madonna della cintura   tradizioneMadonna della cintura   tradizione
Madonna della cintura tradizioneanna_tinti_1967
 
La riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesi
La riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesiLa riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesi
La riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesiAdriana Paltrinieri
 
Depliant decanato2011
Depliant decanato2011Depliant decanato2011
Depliant decanato2011lubette
 
Nascita della cultura scritta (III)
Nascita della cultura scritta (III)Nascita della cultura scritta (III)
Nascita della cultura scritta (III)Maria Grazia Fiore
 
Monasteri benedettini
Monasteri benedettiniMonasteri benedettini
Monasteri benedettinimarco anselmi
 
Per grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in Sovere
Per grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in SoverePer grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in Sovere
Per grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in SovereSergio Primo Del Bello
 
R. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di Malta
R. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di MaltaR. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di Malta
R. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di MaltaRaimondo Villano
 

What's hot (20)

Le pergamene di melfi
Le pergamene di melfiLe pergamene di melfi
Le pergamene di melfi
 
L'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreare
L'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreareL'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreare
L'Uomo e l'ambiente: un rapporto da ricreare
 
Memorie grumentine saponariensi
Memorie grumentine saponariensiMemorie grumentine saponariensi
Memorie grumentine saponariensi
 
3. 19 novembre aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...
3. 19 novembre   aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...3. 19 novembre   aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...
3. 19 novembre aspetti storici dalla pietra di castelletto ai borghi castel...
 
Monasteri benedettini
Monasteri benedettiniMonasteri benedettini
Monasteri benedettini
 
La Storia Di Cortina
La Storia Di CortinaLa Storia Di Cortina
La Storia Di Cortina
 
SAVA classe V Primaria
SAVA classe V PrimariaSAVA classe V Primaria
SAVA classe V Primaria
 
La vera storia dei veneti
La vera storia dei venetiLa vera storia dei veneti
La vera storia dei veneti
 
Madonna della cintura tradizione
Madonna della cintura   tradizioneMadonna della cintura   tradizione
Madonna della cintura tradizione
 
La riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesi
La riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesiLa riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesi
La riserva naturale Tevere- Farfa e i suoi paesi
 
Depliant decanato2011
Depliant decanato2011Depliant decanato2011
Depliant decanato2011
 
Antichi veneti
Antichi venetiAntichi veneti
Antichi veneti
 
Guida Manente 2021
Guida Manente 2021Guida Manente 2021
Guida Manente 2021
 
Nascita della cultura scritta (III)
Nascita della cultura scritta (III)Nascita della cultura scritta (III)
Nascita della cultura scritta (III)
 
Storia Medievale II - dodicesima lezione
Storia Medievale II - dodicesima lezioneStoria Medievale II - dodicesima lezione
Storia Medievale II - dodicesima lezione
 
Istitutoveneto compr 72
Istitutoveneto compr 72Istitutoveneto compr 72
Istitutoveneto compr 72
 
Monasteri benedettini
Monasteri benedettiniMonasteri benedettini
Monasteri benedettini
 
Per grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in Sovere
Per grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in SoverePer grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in Sovere
Per grazia ricevuta. Ex voto-quadretti votivi in Sovere
 
R. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di Malta
R. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di MaltaR. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di Malta
R. Villano - Approdo romano del S.M. Ordine di Malta
 
Proposta per la xxxix sede della Convention
Proposta per la xxxix sede della ConventionProposta per la xxxix sede della Convention
Proposta per la xxxix sede della Convention
 

Viewers also liked

Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.
Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.
Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.Phil Wolff
 
More or less theo meereboer
More or less   theo meereboerMore or less   theo meereboer
More or less theo meereboerErfgoed 2.0
 
Tabla de resistencia bacteriama terminadaa
Tabla de resistencia bacteriama terminadaa Tabla de resistencia bacteriama terminadaa
Tabla de resistencia bacteriama terminadaa Maira Castaño
 
JUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY C
JUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY CJUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY C
JUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY CPrayer Warriors Institute
 
P es head for door as nse delays ipo
P es head for door as nse delays ipoP es head for door as nse delays ipo
P es head for door as nse delays ipoSaxbee Consultants
 
Wordpress Themes
Wordpress ThemesWordpress Themes
Wordpress Themesguestbce9cd
 
Jak przygotowac raport_roczny
Jak przygotowac raport_rocznyJak przygotowac raport_roczny
Jak przygotowac raport_rocznyMonika Walczak
 
ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17
ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17
ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17Thorne & Derrick International
 
Cv Pieter Klaassen I.E.C.
Cv Pieter Klaassen I.E.C.Cv Pieter Klaassen I.E.C.
Cv Pieter Klaassen I.E.C.Pieter Klaassen
 
Pasion de hincha el mejor
Pasion de hincha el mejorPasion de hincha el mejor
Pasion de hincha el mejordiscover12
 
2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland
2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland
2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, MarylandJerry's Mitsubishi
 
Presentacion conectar Formadores Disciplinares
Presentacion conectar Formadores DisciplinaresPresentacion conectar Formadores Disciplinares
Presentacion conectar Formadores Disciplinareseduc.ar
 
AAU Smart Shuttle
AAU Smart ShuttleAAU Smart Shuttle
AAU Smart ShuttleJeff Yen
 
Redes sociales (Facebook) para la pequeña empresa
Redes sociales (Facebook) para la pequeña empresaRedes sociales (Facebook) para la pequeña empresa
Redes sociales (Facebook) para la pequeña empresaivanprado
 
El triple play del mangostán secretos revelados
El triple play del mangostán secretos reveladosEl triple play del mangostán secretos revelados
El triple play del mangostán secretos reveladosx1training
 
Taller de medios digitales clase 1
Taller de medios digitales   clase 1Taller de medios digitales   clase 1
Taller de medios digitales clase 1rjtassi
 

Viewers also liked (20)

Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.
Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.
Bringing Web 2.0 to the Enterprise - NetGen Communications, Inc.
 
Qohelet Energy Group
Qohelet Energy GroupQohelet Energy Group
Qohelet Energy Group
 
More or less theo meereboer
More or less   theo meereboerMore or less   theo meereboer
More or less theo meereboer
 
Tabla de resistencia bacteriama terminadaa
Tabla de resistencia bacteriama terminadaa Tabla de resistencia bacteriama terminadaa
Tabla de resistencia bacteriama terminadaa
 
JUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY C
JUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY CJUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY C
JUNE 2008 NYC POLICE REPORT REGARDING SERIAL KILLER BOYDEN GRAY C
 
P es head for door as nse delays ipo
P es head for door as nse delays ipoP es head for door as nse delays ipo
P es head for door as nse delays ipo
 
Wordpress Themes
Wordpress ThemesWordpress Themes
Wordpress Themes
 
Jak przygotowac raport_roczny
Jak przygotowac raport_rocznyJak przygotowac raport_roczny
Jak przygotowac raport_roczny
 
ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17
ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17
ABB KON-17 Medium Voltage MV Outdoor Current Transformers CT's - ABB KON-17
 
Cv Pieter Klaassen I.E.C.
Cv Pieter Klaassen I.E.C.Cv Pieter Klaassen I.E.C.
Cv Pieter Klaassen I.E.C.
 
Aug 2013 Louisiana School Gardening News
Aug 2013 Louisiana School Gardening NewsAug 2013 Louisiana School Gardening News
Aug 2013 Louisiana School Gardening News
 
Pasion de hincha el mejor
Pasion de hincha el mejorPasion de hincha el mejor
Pasion de hincha el mejor
 
2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland
2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland
2012 Mitsubishi Lancer at Jerry's Mitsubishi in Baltimore, Maryland
 
Presentacion conectar Formadores Disciplinares
Presentacion conectar Formadores DisciplinaresPresentacion conectar Formadores Disciplinares
Presentacion conectar Formadores Disciplinares
 
Endorsement Guides
Endorsement GuidesEndorsement Guides
Endorsement Guides
 
AAU Smart Shuttle
AAU Smart ShuttleAAU Smart Shuttle
AAU Smart Shuttle
 
News enginyers xina2
News enginyers xina2News enginyers xina2
News enginyers xina2
 
Redes sociales (Facebook) para la pequeña empresa
Redes sociales (Facebook) para la pequeña empresaRedes sociales (Facebook) para la pequeña empresa
Redes sociales (Facebook) para la pequeña empresa
 
El triple play del mangostán secretos revelados
El triple play del mangostán secretos reveladosEl triple play del mangostán secretos revelados
El triple play del mangostán secretos revelados
 
Taller de medios digitales clase 1
Taller de medios digitales   clase 1Taller de medios digitales   clase 1
Taller de medios digitales clase 1
 

Similar to Cd libro granze1

Le bonifiche benedettine della bagnarola
Le bonifiche benedettine della bagnarolaLe bonifiche benedettine della bagnarola
Le bonifiche benedettine della bagnarolaGianluca Braschi
 
Il patrimonio architettonico del centro storico di patti
Il patrimonio architettonico del centro storico di pattiIl patrimonio architettonico del centro storico di patti
Il patrimonio architettonico del centro storico di pattigazdeltirreno
 
La Seriola
La SeriolaLa Seriola
La SeriolaLarysa22
 
Ex CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdf
Ex CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdfEx CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdf
Ex CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdfSergio Lironi
 
Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016
Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016
Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016GiovanniFabio
 
Este: storia di una lontana città tra spazio e tempo
Este: storia di una lontana città tra spazio e tempoEste: storia di una lontana città tra spazio e tempo
Este: storia di una lontana città tra spazio e tempoIl Veneto Per me
 
Polizzi generosa
Polizzi generosaPolizzi generosa
Polizzi generosaanalogatum
 
Viaggio nella cultura power point
Viaggio nella cultura power pointViaggio nella cultura power point
Viaggio nella cultura power pointeurosky
 
Graticolato romano seconda parte
Graticolato romano seconda parteGraticolato romano seconda parte
Graticolato romano seconda partemara
 
VIAGGIO NEI BORGHI
VIAGGIO NEI BORGHIVIAGGIO NEI BORGHI
VIAGGIO NEI BORGHIErsilia Emma
 
Il nostro territorio classe 4a galilei
Il nostro territorio   classe 4a  galileiIl nostro territorio   classe 4a  galilei
Il nostro territorio classe 4a galileig. marcelli
 
 Testimonianze della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...
	Testimonianze  della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...	Testimonianze  della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...
 Testimonianze della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...Gal Marghine - Fondazione di partecipazione
 
My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...
My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...
My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...Rosalia Petrocelli
 
Vieni da Noi: Val vVibrata
Vieni da Noi: Val vVibrataVieni da Noi: Val vVibrata
Vieni da Noi: Val vVibrataTouring Giovani
 
Ispica completo di diapositive
Ispica completo di diapositiveIspica completo di diapositive
Ispica completo di diapositiveMilo Scarso
 
Ispica completo di diapositive
Ispica completo di diapositiveIspica completo di diapositive
Ispica completo di diapositiveMilo Scarso
 

Similar to Cd libro granze1 (20)

Le bonifiche benedettine della bagnarola
Le bonifiche benedettine della bagnarolaLe bonifiche benedettine della bagnarola
Le bonifiche benedettine della bagnarola
 
Il patrimonio architettonico del centro storico di patti
Il patrimonio architettonico del centro storico di pattiIl patrimonio architettonico del centro storico di patti
Il patrimonio architettonico del centro storico di patti
 
La Seriola
La SeriolaLa Seriola
La Seriola
 
Ex CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdf
Ex CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdfEx CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdf
Ex CASERMA PRANDINA. Passato e futuro.pdf
 
ChatGPT, parlami di Ceccardo di Luni. La nuova vitalità dei miti lunigianesi.
ChatGPT, parlami di Ceccardo di Luni. La nuova vitalità dei miti lunigianesi.ChatGPT, parlami di Ceccardo di Luni. La nuova vitalità dei miti lunigianesi.
ChatGPT, parlami di Ceccardo di Luni. La nuova vitalità dei miti lunigianesi.
 
Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016
Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016
Istituto Istituto Comprensivo di Cessaniti - a.s. 2015/2016
 
Vieni da Noi: Fondi
Vieni da Noi: FondiVieni da Noi: Fondi
Vieni da Noi: Fondi
 
Este: storia di una lontana città tra spazio e tempo
Este: storia di una lontana città tra spazio e tempoEste: storia di una lontana città tra spazio e tempo
Este: storia di una lontana città tra spazio e tempo
 
Polizzi generosa
Polizzi generosaPolizzi generosa
Polizzi generosa
 
Il Breviario Grimani e la sua storia
Il Breviario Grimani e la sua storiaIl Breviario Grimani e la sua storia
Il Breviario Grimani e la sua storia
 
San francesco nelle Marche
San francesco nelle MarcheSan francesco nelle Marche
San francesco nelle Marche
 
Viaggio nella cultura power point
Viaggio nella cultura power pointViaggio nella cultura power point
Viaggio nella cultura power point
 
Graticolato romano seconda parte
Graticolato romano seconda parteGraticolato romano seconda parte
Graticolato romano seconda parte
 
VIAGGIO NEI BORGHI
VIAGGIO NEI BORGHIVIAGGIO NEI BORGHI
VIAGGIO NEI BORGHI
 
Il nostro territorio classe 4a galilei
Il nostro territorio   classe 4a  galileiIl nostro territorio   classe 4a  galilei
Il nostro territorio classe 4a galilei
 
 Testimonianze della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...
	Testimonianze  della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...	Testimonianze  della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...
 Testimonianze della presenza Cistercense nel Marghine - ITC Satta Turistic...
 
My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...
My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...
My Town: Comenius Project " Art in Nature" "Making sense of the past through ...
 
Vieni da Noi: Val vVibrata
Vieni da Noi: Val vVibrataVieni da Noi: Val vVibrata
Vieni da Noi: Val vVibrata
 
Ispica completo di diapositive
Ispica completo di diapositiveIspica completo di diapositive
Ispica completo di diapositive
 
Ispica completo di diapositive
Ispica completo di diapositiveIspica completo di diapositive
Ispica completo di diapositive
 

Cd libro granze1

  • 1. Istituto Comprensivo di Solesino Scuola Primaria “ B. Croce” Granze Classi III^ - IV^ - V^
  • 2. Il presente libro è stato realizzato dagli alunni di classe terza , quarta, quinta della scuola Primaria “ B. Croce” di Granze, dopo un impegnativo lavoro di ricerca, come prodotto del Progetto “ Informatica a Scuola” a.s. 2007/ 08 Ins. coordinatrice Emanuela Rizzi Hanno collaborato le ins. Corso Donata Rabachin Tiziana Zuccolo Caterina Un viaggio nel tempo …. Abbiamo fatto un viaggio “all’indietro” per scoprire il nome del nostro paese “ Granze” e la storia del territorio in cui si trova. Così, attraverso il ricordo ancora vivo e prezioso di molti “nonni” e persone competenti sulla storia della Bassa Padovana, abbiamo potuto rivivere momenti di vita passata, attraverso i ricordi e gli oggetti, che ci hanno fatto riflettere e ci hanno insegnato l’importanza di “fare memoria”… … .andando proprio nel passato ora sappiamo cosa significa “ Granze”. Scopritelo anche voi! Un ringraziamento particolare ai “nonni”, al sig. Paolo Sette, al sig.Gianni Barollo, al parroco d. Antonio, al prof.Camillo Corrain per l’interessante “ viaggio” nel Museo Civico Etnografico di Stanghella. avant i
  • 3. conte cibi lavori case giochi scuola Storia chiesa abbigliamen to Indice Me ricordo … monumenti Granze Clicca su uno degli argomenti Poi, nelle diapositive corrispondenti clicca su avanti o torna. Buon viaggio! Granze si trova qui
  • 4. Granze Guardando i tuoi campi messi in fila, così,verso l’orizzonte, senza voce ho gridato: regalatemi gli ultimi tocchi di tramonto affusolati nel cielo, gli aghi di brina sullo sterpo, il riverbero di sole sul vetro piccolo del casolare, vedrò i visi,le mani,le case, sentirò le parole, i battiti del vostro cuore. ( M. Padoan Tecchio ) torna
  • 5. Le “grange” “ Grange” è una parola francese che deriva dal latino “granica” ( granaio) da “ granum”( grano). In Francia, con la riforma di Cluny, operata da Bernardo di Chiaravalle nel 910, i monasteri non dipendevano più dai signori feudali ma direttamente dal papa; diventarono vere e proprie cittadelle autosufficienti. In seguito , con la riforma cistercense, iniziata a Citeaux ( Cistercium) ad opera dell’abate Roberto e diffusa da Bernardo di Ch. venne data più autorità all’Abate . L’abbazia divenne centro di vita e “le grange” (fattorie, officine e case) ne erano l’elemento operante perché trasformarono zone incolte fino all’anno 1000, in terreno coltivabile attraverso la bonifica, l’arginatura dei fiumi, la coltivazione dei campi. L’ordine cistercense nel corso del XII, XIII sec. si diffuse anche in Italia. Qui, la gràngia o grància ,formata da edifici rurali sui terreni di un’abbazia benedettina per la custodia dei prodotti agricoli, in seguito allo sviluppo dell’agricoltura ad opera dei monaci cistercensi, nel XII sec.,si trasformò in una piccola comunità monastica con cappella ed edifici governati da un rappresentante dell’Abate e da fattorie amministrate dal cellerario o monaco “ grangiere”. avanti
  • 6. Il territorio che ora abbraccia i due comuni di Granze e Vescovana, era anticamente noto con il solo nome di Vescovana e faceva parte della Corte Elisina. Nel 1126 Cunizza o Cunegonda, figlia di Guelfo II, Duca di Altdorf, signore di Ravensberg in Svezia, sposò Azzo II d’Este e portò in dote la Corte Elesina o Solesina . Dalla transazione tra il comune di Padova e Azzo II d’Este conclusa nel 1260, si è saputo che la “Curia Solexini” oltre a Solesino , Santa Lena ( S.Elena) e Stanghella, comprendeva anche Vescovana(che comprendeva Granze e Boara). “La sua Parrocchiale era l’ Ecclesia Sancte Cristine de Veschovana” elencata nella Decima Papale del1297, il cui rettore era un certo prete Luca. Nella cartina del 400 – ‘500 che si trova presso il Museo Civico Etnografico di Stanghella, si vede la località allora “Contrà de Vescovana”, ora “ I Livelli” di proprietà Barollo, dove si nota la posizione della chiesetta di S. Cristina. Nel 1429 fu nominato parroco di S. Cristina il prete Antonio Giacomo da Padova, ma lo stato di questa chiesa era già decadente e successivamente andò in rovina per gli allagamenti del canale Fossa Lovara( Santa Caterina) La chiesa di Santa Cristina, quando venne a visitarla il vescovo Barozzi, il 24 ottobre 1489, era abbandonata, senza il SS.mo e senza l’altare. I fedeli adempivano ai loro doveri religiosi presso la chiesa dei padri benedettini olivetani di Santa Lena. Livello: contratto in vigore durante il Medio Evo in base al quale un concedente consegnava a una persona detta livellatorio , un terreno con l’obbligo di migliorarlo e di prestare servigi al concedente stesso. avanti
  • 7.
  • 8. Il territorio di Granze fu dominato dai Romani dal II sec. A. C.Il più importante monumento romano fu scoperto nel 1902 nel fondo “Calalte” allora proprietà del sig. Federico Ferretto.E’ una stele funeraria in calcare con ritratto del defunto e iscrizione che ricorda Papinio Sereno figlio di Pubblio. Il busto del defunto, in posizione frontale è vestito con tunica e toga. Si nota la pettinatura a ciocche virgolate sulla fronte ,le orecchie larghe e sporgenti, la mano destra stesa sul petto che tiene un lembo della toga:questa posa forse era tipica di qualche rituale religioso. Questo pezzo risale al I° secolo d. C. ed è opera di un’ officina locale ed esempio di arte romana “popolare e provinciale” . E’ conservato presso la fattoria in località Ca’ Rizzi. Un altro monumento è un coperchio di ara-ossuario in pietra tenera sormontato da due leoncini accovacciati che tengono tra le zampe anteriori una testa d’ ariete, viene scoperto l’ 8 gennaio 1915 nel fondo “La Campagnola” di proprietà Rizzi. Il coperchio risale alla prima metà del primo secolo d.C., si aggiunge ad altri pezzi trovati nella zona di Este di cui Granze faceva parte in epoca romana.Il leone ha il significato di “guardiano del sepolcro” con la funzione di allontanare influenze maligne o di scoraggiare i profanatori della tomba. I leoncini del coperchio invece raffigurano belve che uccidono animali più deboli ( in questo caso l’ariete ) per rappresentare la potenza della morte che sopprime la bellezza e felicità della vita. Altri reperti sono stati trovati in località” I livelli “di proprietà Barollo: due pesi da telaio di argilla (per la tessitura o ex voto).Una fusaiola ( elemento da tessitura e per collane).I primi reperti dell’ esistenza del territorio di Granze risalgono all’età PALEOLITICA. Infatti è stato ritrovato il corredo di una tomba che risale al 7° secolo a.C. circa. Il materiale si trova al Museo Nazionale Atestino. MONUMENTI ETA’ PRE-ROMANA E ROMANA avanti
  • 9. L ’ antica chiesa di Santa Cristina ( chiesa campestre o cappella della Grangia de Veschovana) che si trovava nei pressi del Canal Negro ( oggi Gorzone) in un fondo di circa due campi, era lunga 10 metri e larga 7, con l ’ abside semicircolare, illuminata da due finestre nella parte meridiana, possedeva molte pitture sulla parete a Nord e, davanti alla porta maggiore aveva un atrio. Nel tempo questa chiesa “ jus patronato ” cio è fatta dal popolo, andò in rovina e fu abbandonata, la sua posizione si può ancora notare nella carta topografica del ‘ 500, ‘ 600 che si trova al Museo Civico Etnografico di Stanghella. In questo territorio le condizioni ambientali erano precarie fino a quando Venezia lo affidò a grandi famiglie come i Pisani e i Conti ( gi à presenti a Granze) Nella visita del Vescovo Barozzi il 24 ottobre 1489 viene descritta senza altare e non era più frequentata dai fedeli. Intanto il centro di Vescovana si era spostato a destra del Fossa Lovara ( canale Santa Caterina). Infatti i Pisani nel 1468 acquistarono terre in Solesino, Stanghella Vescovana, Boara, concentrandovi la popolazione con la costruzione di chiese. Cos ì vennero abbandonati i vecchi villaggi che si spostarono vicino alle chiese. Il card.Francesco Pisani prima del 1570 aveva fatto costruire vicino alla sua villa la chiesa intitolata a S. Giovanni Decollato, mentre il nuovo centro di Granze si sviluppò in terreni meno acquitrinosi poco lontano dalla villa Conti ( oggi Rusconi-Camerini). Nel 1582 la popolazione cominciò a costruire la nuova chiesa a S. Cristina che fu terminata dopo diversi anni, tanto che nella corona del vecchio pozzo, che si trova vicino alla chiesa, si può leggere ancora la scritta ” Non essendo ancora completata la chiesa, nell ’ anno di salute1586, Cristina, benedetta a Dio Eterno, diede il titolo al pozzo ” La nuova chiesa fu consacrata il 17 ottobre 1594 dal vescovo di Chioggia ,Massimo Beniamino. Successivamente fu visitata da San Gregorio Barbarigo nel1689 e dal card. Rezzonico nel1748. Nei secoli successivi ha sub ì to interventi di manutenzione e fu allungata di 4 metri. La chiesa avanti
  • 10. ” Non essendo ancora completata la chiesa, nell ’ anno di salute1586, Cristina, benedetta a Dio Eterno, diede il titolo al pozzo ” La chiesa … capitelli
  • 11. … e Granze divenne comune La consacrazione della nuova chiesa di Granze, nel 1594, motivo ancora oggi della sagra paesana, segnò l’indipendenza religiosa dei Granzetani. Tre secoli più tardi, maturò negli animi l’ideale dell’indipendenza civile. Nacquero frequenti liti tra gli abitanti di Granze e quelli di Vescovana soprattutto in località “Gorzon”che segnava il confine tra il comune di Vescovana e la frazione di Granze. Il ponte sul “Gorzon” per poco non venne distrutto a colpi di piccone dai Granzetani, dopo una disputa più accesa delle altre. Perché Granze diventasse comune era però necessario avere un minimo di 4000 abitanti, mentre la frazione ne possedeva solo 1993; era quindi necessaria una legge speciale. L’Onorevole Stoppato, deputato del Collegio Elettorale di Montagnana, presentò la causa dei Granzetani in Parlamento e, grazie al suo preziosissimo interessamento, la Camera approvò un decreto legge che riconosceva Granze Comune Autonomo il 19/2/1913. Lo stemma fu predisposto dallo Studio Araldico di Genova e basato sui caratteri topografici ed agricoli del luogo. E’ a forma di scudo a punta, con la spiga di grano che simboleggia il complesso agricolo della terra di Granze e una bordatura di colore azzurro, che ricorda il corso del fiume Gorzone. torna
  • 12. IL CAPITELLO DEL CRISTO Il primo capitello costruito nella zona di Granze, nella localit à “ Quattro Vie ” , fu costruito probabilmente al tempo dell ’ impero Austro Ungarico (1800) . Il capitello che veneriamo oggi, è stato ricostruito al posto di quello primitivo divenuto impraticabile. Nel 1969 grazie al generoso interessamento delle famiglie vicine, che hanno raccolto delle offerte dalla gente del paese per comprare il materiale, e al lavoro gratuito di alcuni muratori, questo capitello fu completamente ristrutturato. Il crocifisso ligneo, pieno di grande umanit à , è ancora quello del primo capitello ed è stato ristrutturato nel 1922 da un “ girovago ” veneziano. Quell ’ uomo sostò alcuni giorni alle “ Quattro Vie ” e, poiché era falegname, si offr ì di restaurare i piedi del Crocifisso, rovinati dalle fiamme e dal fumo delle candele. Punto di confine e di incontro tra Granze e Sant ’ Elena il “ Cristo delle Quattro Vie ” viene festeggiato l ’ ultima domenica di Ottobre,(un tempo,prima della Riforma Liturgica, Festa di Cristo Re dell ’ Universo) dalle famiglie della zona con la partecipazione di tutto il paese di Granze e anche di Sant ’ Elena. ( parroco d. Antonio) avanti
  • 13. IL CAPITELLO DI VIA VOLTADILANA Il capitello che si trova nell’ incrocio tra via Volta di Lana e via Ponticelli è soprannominato “della Madoneta.” E’ stato costruito nel 1855 da Nin Giovanni a ridosso della sua abitazione, per voto e riconoscimento di un miracolo: lì sì era fermata l’ epidemia di colera. Si dice infatti che la signora Rinaldo Scolastica, contagiata dal colera, sia stata guarita per intercessione dei Santi protettori delle pestilenze: la Madonna,San Sebastiano e San Rocco. Il capitello è un sacello, cioè una chiesetta rettangolare, con all’interno un altare , ha due finestrelle nelle pareti laterali, due gradini d’ingresso, ha il tetto spiovente ed è chiuso con un vecchio portone di legno. Sulla facciata esterna sopra la porta d’ingresso c’è l’ iscrizione “ B. V. IMAC. PER VOTO 1855”(BEATA VERGINE IMMACOLATA PER VOTO 1855). Sulla parete, sopra all’altare, si trova la tela della Madonna Assunta con la crocetta dorata di S. Sebastiano, acquistata all’epoca dalla gente della contrada. Sopra l’altare si trovava la statua di legno della Beata Vergine seduta in trono e in una parte laterale era anche venerata l’immagine di San Rocco, scomparse entrambe durante la seconda guerra mondiale. Si svolgeva infatti un’ importante sagra con la celebrazione di una messa il giorno del Santo, il 16 Agosto e una messa di Rogazione con la benedizione delle croci di legno ,che andavano poste sui campi coltivati a protezione del raccolto. Attualmente il capitello viene utilizzato solamente per il fioretto di Maggio e la messa di Rogazione. torna
  • 14. LE ROGAZIONI Per chiedere la fertilità dei campi, c’era la tradizione di rivolgere a Dio particolari preghiere. In primavera, il parroco, si recava in processione nelle varie contrade e, recitando le litanie dei Santi, si fermava presso i capitelli o gli altari, appositamente allestiti e benediceva le “ crosette” ( croci di legno) , rinnovate ogni anno, da porre sui campi. BENEDIZIONE DELLE STALLE In occasione della festa di S. Antonio Abate ( 17 gennaio) il parroco benediceva le stalle. Il sale veniva prima benedetto, poi sciolto nell’acqua per abbeverare gli animali. LITANIA: preghiera collettiva costituita da brevi formule dette dal parroco e ripetute, intere o in parte, dalla gente. torna
  • 15. Tanto tempo fa, a scuola ,ci si andava a piedi e i più fortunati in bicicletta. C’ era chi si faceva anche 5 km a piedi col bello o brutto tempo,anche con la neve perché una volta qui da noi nevicava molto . Ogni classe era formata da numerosi alunni che indossavano il grembiule nero con il colletto bianco e un fiocco, rosa per le bambine, blu per i maschi. Per scrivere usavano il pennino che intingevano nel calamaio, era quindi indispensabile la carta assorbente. Per cancellare usavano la mollica di pane. La merenda consisteva in un frutto o un pezzo di pane. Gli insegnanti erano severi e, a volte, utilizzavano anche le punizioni: bacchettate sulle mani o sulle gambe, o mettevano gli alunni in castigo inginocchiati sui semi di granoturco. D’inverno, le classi venivano scaldate con la stufa a legna e , nei bagni, l’acqua era contenuta nei secchi. avanti
  • 16. Il corredo scolastico era formato da una cartella di cotone , due quaderni con la copertina nera, il sillabario, un bastoncino con il pennino, un astuccio in legno. Nell’aula si potevano vedere la cattedra posta sopra una pedana,la lavagna, un armadio in legno dove tenere i quaderni di “ bella copia ”, la carta geografica, la stufa a legna, i banchi a due posti con il “ buco” per il calamaio. Avevamo un unico maestro o maestra. I giochi durante l’intervallo erano: nascondino, moscacieca, scalone, a biglie, a corda, a fazzoletto, a bandiera. torna
  • 17. ANCHE LE PAROLE Tutto può essere mutato in gioia tranquilla; anche le parole recuperate, le parole semplici da tempo dimenticate, a torto credute logorate dal tempo che fa liscia la pietra della roccia, o falciate dalla voce roca del lavoratore che alterna la bestemmia alla preghiera. “ Ciao, come stai, guarda come splende il sole …” parliamo così, qualche volta, in qualche ora del giorno, e lasciamo apparire la luce, la forza tranquilla delle parole, negli occhi, nella stretta della mano, quando ci lasciamo per poi ritrovarci. ( M. Prosdocimi) avanti
  • 18. Ricerca sul lavoro dei nonni I nonni mi hanno raccontato che una volta moltissime persone lavoravano nei campi. Il lavoro iniziava la mattina molto presto nei campi ed era molto faticoso . Veniva fatto da uomini e anche da donne . Si partiva presto e a mezzogiorno , quand’era estate e c’era tanto da fare nei campi , si mangiava in mezzo alle campagne . C’era molta solidarietà fra persone e spesso si dividevano anche il cibo . Lavoravano anche i giovani ,finita la scuola aiutavano nei campi. Il periodo invernale invece solo gli uomini lavoravano la terra o sistemavano le piante , mentre le donne si dedicavano alla cucina , al cucito o al ricamo . Persone meno fortunate che non avevano terreno o non c’ era lavoro per tutti , visto che le famiglie erano molto numerose , erano costretti ad andare all’estero . Anche i miei nonni sono andati a lavorare in Francia e mi hanno raccontato che era molto duro il lavoro e non c’era molto cibo . Le mie nonne invece sono state costrette ad andare a lavorare nelle risaie . Partivano molto presto alla mattina e tornavano tardi la sera ,anche per loro il lavoro era piuttosto duro . Le famiglie erano molto numerose tutte avevano molti figli e il cibo che c’era non bastava per saziarli tutti. Anche i bambini erano costretti a lavorare, tanti non finivano neanche le scuole . ( nonna Adelina ) avanti
  • 19. I contadini usavano gli animali per lavorare i campi. Ai buoi o ai cavalli venivano attaccati l ’ aratro o altri attrezzi; i buoi venivano usati a coppie e, per tenerli uniti veniva usato il GIOGO. I cavalli e gli asini venivano usati per il trasporto delle persone o di piccoli carichi. La semina veniva fatta a mano prendendo i semi da un cesto e lanciandoli sul terreno camminando. Durante le calde giornate d ’ estate i contadini tagliavano un pugno di spighe per volta con un falcetto, poi le riunivano in covoni. ARATRO avanti
  • 20. GIOGO VENTOLO SEPARAVA IL CHICCO DALL’INVOLUCRO CHIAMATO PULA TREBBIATURA LA TREBBIA SEPARAVA I CHICCHI DALLE SPIGHE.( La pianta del grano senza i chicchi prende il nome di PAGLIA.) avanti
  • 21. I lavori delle donne Nella società contadina tutti i componenti della famiglia avevano un compito ben definito: gli uomini facevano i lavori più pesanti nei campi e nelle stalle, mentre le donne si occupavano della casa, dei numerosi figli, dell’orto, degli animali da cortile e, molte volte , nei momenti del raccolto, aiutavano nei campi. In cucina usavano i prodotti dell’orto, poche volte la carne delle galline che servivano soprattutto per le uova; il pane vecchio, quando avanzava! veniva usato per zuppe o per qualche semplice dolce, mentre le “ croste di polenta” ( la parte di polenta che si attaccava alla pentola mentre si cucinava) venivano mangiate nel latte alla mattina. Compito delle donne poi era quello di lavare ( lissia) stirare, rammendare, cucire, lavorare a ferri. Le ragazze lavoravano ad uncinetto e si occupavano del ricamo della “dote”( lenzuola, tovaglie, asciugamani ….) Le donne andavano nei campi per la raccolta delle barbabietole che venivano levate a mano, private delle foglie e caricate sui carri per essere portate al zuccherificio, per la raccolta delle piante di tabacco, per la vendemmia o zappavano la terra per togliere le erbacce dalle piantine. lavori
  • 22. I grappoli d’uva, dopo essere stati vendemmiati, venivano pigiati con i piedi, in contenitori chiamati tini. Successivamente si è iniziato ad usare macchine come la pigiatrice, all’interno della quale si mettevano i grappoli. Le bucce dell’uva ( le graspe) venivano pressate all’interno del torchio e si otteneva un vino leggero ( la graspia). Pigiando l’uva si ottiene il mosto che, per diventare vino ha bisogno di fermentare. La fermentazione è un processo chimico durante il quale lo zucchero del mosto si trasforma in alcool. Il vino viene fatto riposare nelle botti: dopo 5 – 6 mesi si ha un vino giovane, mentre per ottenere vini più pregiati occorrono anche 4 o 5 anni. PIGIATRICE TORCHIO avanti
  • 23. El bot à ro Costruiva le botti per contenere il vino. Nella nostra zona el bot à ro era il signor Rosin di Villa Estense che da pi ù di tre generazioni aveva la falegnameria. Per comperare una botte, che poteva contenere dieci quintali di vino, ci voleva il raccolto di un anno di lavoro per un ’ azienda media. Per costruire una botte ci volevano tre anni : el botàro si procurava il legno di rovere , lo lasciava seccare all ’ aria aperta e al sole, lo tagliava con la sega a mano e formava le “ doghe ” che faceva incurvare con dei pesi. Per tenerle unite metteva dei cerchi in ferro o in legno. Le doghe si chiudevano con due fondi circolari in cui veniva incavato un piccolo solco per fermarle. Nella parte pi ù gonfia della botte veniva praticato un foro che serviva per fare entrare il vino. Per farlo uscire, invece, veniva praticato un buco vicino al bordo di uno dei fondi e chiuso con un tappo chiamato “canoìn ” ( nonno Isidoro) lavori
  • 24. Una volta, nel mio paese, si iniziava a lavorare molto presto, verso i 10 anni, dopo aver finito la scuola. I lavori erano vari: le bambine, oltre ad aiutare nei campi potevano fare la lavandaia, la balia, la mondina..Mentre i maschi lavoravano nei campi,accudivano il bestiame,potevano fare il mugnaio, il maniscalco, l ’ arrotino,il calzolaio, il minatore,il fabbro, , il canevino( costruttore di corde). Altri lavori che venivano fatti allora e che oggi sono scomparsi erano: el spassacamin, saliva sui tetti delle case, soprattutto in primavera e autunno con gli arnesi del mestiere e liberava i camini dalle incrostazioni el favaro ,costruiva utensili e attrezzi in ferro el moeta, era l ’ arrotino, passava per le strade i bicicletta o con un carrettino trainato da un asino e affilava coltelli, forbici, … su una specie di ruota di pietra chiamata “ mola ” el caregheta, impagliava le sedie el marangon, costruiva e riparava mobili in legno e utensili el sestaro, intrecciava rametti di salice, di castagno oppure di nocciolo per costruire cesti e per rivestire fiaschi o damigiane. marangon avanti
  • 25. Una volta per scaldare il letto si adoperava uno scaldaletto in rame con il manico lungo, col coperchio, e con alcune fessure da cui usciva il calore che si formava dalle braci poste all’ interno. Per lavare i panni si faceva bollire l’ acqua in un grande pentolone a cui veniva aggiunta la cenere. A questo punto si immergeva il bucato che veniva lavato. Oltre a questi lavori c’erano molti altri tra cui il calzolaio c he aggiustava le scarpe con le pezze, copriva i buchi nelle suole con dei pezzi di cuoio, e costruiva le ciabatte utilizzando il panno dei cappelli vecchi o il cartone e per la suola adoperava i copertoni delle vecchie biciclette. C’era poi lo straccivendolo che andava per le famiglie e raccoglieva gli stracci e poi li sistemava e li vendeva per guadagnarsi da vivere. C’era ancora il lavoro del “ mazzin” che era colui che uccideva i maiali nelle varie fattorie. Qui dopo aver ucciso l’animale lo metteva in quello che chiamavano la “ pelaora ”, si trattava un contenitore di acqua bollente dove veniva immerso il maiale morto per togliergli il pelo. Del maiale veniva utilizzata ogni cosa, anche il pelo che veniva utilizzato per fare i pennelli per la barba. C’era anche il “ conciaole” che era colui che aggiustava le pentole di alluminio, di terracotta e di smalto; le stagnava quando si bucavano, mentre quelle di terracotta che si “crepavano” le aggiustava con dei fili di ferro che inseriva all’interno facendo dei piccoli buchi. Sgàlmare avanti
  • 26. Il maniscalco Il lavoro del maniscalco consisteva nel curare,tagliare e ferrare gli zoccoli degli animali da lavoro o da “ tiro ” che erano vacche, buoi, asini e cavalli. Egli doveva saper mettere i ferri adatti che venivano fatti a mano con il ferro riscaldato nella forgia e poi modellato sull ’ incudine . Ferrare gli animali era un lavoro di precisione: bisognava tenere con forza la zampa, limare l ’ unghia e fermare il ferro con i chiodi molto bene, altrimenti zoppicava e si causava danni alle zampe. Il lavoro del maniscalco viene esercitato tuttora, infatti mio zio lo fa per professione da vent ’ anni ed è una passione che aveva fin da piccolo. (Alice e zio L. Raffagnato) El boaro Lavorava presso il contadino e, a lui, era affidata la cura della stalla e degli animali: li teneva puliti, faceva loro il letto con la paglia e portava gli escrementi ( boasse) in un luogo vicino alla stalla chiamato “ letamaio ” , mungeva le vacche e accudiva i vitelli. forgia avanti
  • 27. Il lavoro dei miei nonni e i lavori che non ci sono più I miei nonni facevano gli agricoltori: oltre tanti altri lavori seminavano e raccoglievano il grano. Il grano si mieteva con la falce a mano, si riuniva in covoni che poi si trasportavano sopra un carro trainato da buoi e venivano distesi nell’ aia, dove venivano trebbiati con la trebbia fissa. Il grano poi veniva portato a spalle nei sacchi e messo nei granai mentre la paglia si riuniva nei pagliai. Il grano veniva poi portato dal mugnaio che lo macinava per fare la farina con la quale si faceva il pane. I mulini si trovavano in riva ai fiumi perché sfruttavano la corrente dell’acqua per far muovere le pale. Le lenzuola e le camicie venivano fatte con il filo di canapa, perché la coltivazione era molto diffusa. La semina della canapa si effettuava a Marzo a righe molto fitte per ottenere fusti alti e senza rami, quindi fibre più lunghe e più fine. La raccolta avveniva tra la fine di luglio e primi di agosto tagliando le piante alla radice. Dopo averle essiccate al sole si toglievano le foglie, quindi rimanevano fusti nudi detti “bacchetti,” di 2 o 3 metri. Poi venivano ripartiti in fasci uguali per lunghezza e grossezza e messi a macerare in piccoli stagni artificiali detti “maceri ,” facendoli ammorbidire per 10-15 giorni, poi si facevano asciugare all’ aria. Una volta asciugati si battevano con un attrezzo detto “ gramola ” distruggendo così lo stelo esterno e rimanevano le fibre interne chiamate stoppa . Con questa si faceva il filo a mano: Le donne,tirandolo con le dita e con l’aiuto di una ruota facevano delle matasse di filo per poi lavorarlo e filarlo. Oggi la coltivazione della canapa in Italia è scomparsa. (Targa Isidoro) avanti
  • 28. TELAIO Lavorazione della canapa FILATOIO torna
  • 29.
  • 30. BoJi boji fasoi On d ì na femena ghea rancur à on mucio de fasoi. La jera tanto contenta che la ghe voea ben come i fusse sta so fioi- On d ì la i ga messi a bojre e la ga scomissi à a dire: “ Boji, boji fasoi che si tuti me fioi ” . Ma cusina, cusina, i fasoi se ga tuti desf à . Quando la i ga visti tuti cuss ì , la pora femena la ga scumizi à a pianzare parch è no la ghea pi ù so fioi. Alora salta fora da dedrio la porta el pi picenin disendo: “ no sta pianzare ghe so mi ” . A chel momento la ga scumizi à a basarlo e abrazarlo. Da alora i xe vivesti feici e contenti ( nonna Lucia) Par colpa de on toco de pan Mia nonna Lucia racconta un episodio di vita di suo papà Giovanni… “ Jera l ’ inverno del 1917 e jero drio combatare contro i tedeschi sol monte Baldo. On d ì , finio de magnare, a go visto butare dal generale on toco de pan in tel fango, parch è el jera on fi à onto. Me so but à par torlo, ma no ghevo calcol à che l ì vizin ghe jera el buron e so sivol à ; go ciam à Gigi chel me tirase su. Mentre Gigi el toea la corda, a me so spost à on fi à a sinistra; quando che l ’è riv à , deboto el fasea on colpo. Na volta tir à su i me ga infas à le man par quatro mesi, parch è , tacandome, me jero roto tute le onge.Da alora no me so p ì desmenteg à de sto fato.” ( nonna Lucia ) Mi … me ricordo … avanti
  • 31. La fola de Piereto Ghe jera na volta na bruta vecia che la se ghea messo in testa de magnare on toseto che se ciamava Piereto .Ogni dì la ‘ndasea de qua e de là par catare sto toseto e par metarlo in tel saco.Na bea volta, Piereto el jera in zima a on peraro, la vecia se ne ga incorto e cussì, stando soto l’albero, la ghe disea :- Piereto, Piereto, butame basso on pereto ca me bagna la boca par filare la stopa.Alora Piereto el ghe lo ga butà zò.Ma la vecia :-A no lo vedo sto pereto,portameo basso ti . :-Ah no,no,bruta vecia scanopiosa, che ti te me meti sol saco! Risponde Piereto :- Ma no Piereto,portame basso on pereto ca me bagna la boca par filare la stopa. Alora a Piereto la ghe ga fato pecà, el ghe o ga portà, cussì la vecia la o ga ciapà e la o ga messo in tel saco, la o ga caricà so la cariola e la xe ‘ndà verso casa. Par la strada la vecia ghe scapa da fare io so bisogni; la ga assà la cariola col saco so la strada e la xe ‘ndà a farli sol fosso. Intanto Piereto che in scarsea el ghea la corteina,el ga tajà el saco,el xè scampà fora e dopo el ga impinà el saco de piere.Quando che la vecia la xè vegnù su dal fosso, la ga ciapà la cariola e la xe n’dà verso casa ciamando so sorea Regina e disendoghe :-Regina miti sù el parolon ca so qua col capòn. Ma quando che la ga verto el saco la se ga incorto che el jera pien de piere !E cussì la vecia furiosa la se ga messo a sberegare :-AH.......... che brutto birbante el me la ga fata !- Alora la xe ‘ndà ancora soto el peraro, dove ghe Jera Piereto e la ga cumizià da novo la stessa solfa: - Piereto, Piereto, butame basso on pereto……..- Anca sta volta la convinze Piereto a portargheo zo, ma so on atimo la o ciapa e la o mete sol saco ! Per la strada ghe scapa da fare i so bisogni, ma sta volta la se tien! Rivà davanti casa , la ciama so sorea Regina , disendoghe :-Regina miti su el parolon che sta volta gò el capòn. La Regina verze el saco ma Piereto , pi furbo e svelto de ela , el la ciapa e la buta dentro el parolon e , de corsa , e scapa de sora dea casa .Intanto la vecia vien fora dal gabineto sfregandose le man e disendo : -Che el sia coto sto Piereto?!- La va a smisiare co on manego de scòa el parolon e la dise: -Speta ca senta come che el xe-. Col piron la ciapa on deo e la se incorze che el ga l’ anelo, la sponcia oncora e la ciapa na recia e la vede che la ga on recin! De colpo la capisse tuto : -Ma questa la xe la Regina!Ah che bruto birbante el me la ga fata n’ altra volta! – E disperà la scapa fora, e la se ne incorze che Piereto el xè là che el ride de sora la casa. - Bruto birbante vieni basso! – dise la vecia. - Vieni a ciaparme ti! Dise Piereto. Alora la vecia la toe la scala par ‘ndare a ciapare Piereto, ma la scala la jera de legno marzo. Cussì la vecia la xe cascà e la se ga copà, e Piereto tuto contento xe ga salvà! ( nonno Cesare) Mi … me ricordo … avanti
  • 32. on dì de laòro On dì me so svejà presto e so ‘ndà a s-ciarezare e biètoe. Zapando , ghe ne tajavo la metà, alora le ciapavo e le butavo nel foso de Stela parchè se no me opà el me dava. Finiò con le bietoe so’ ndà a catare la ua e quando toevo on grapoeto me lo magnavo o se no me lo metevo in scarsèa par darghelo a la me cavala. On dì me opà el me ga scoperto, alora el me ga mandà in Toscana a laorare e stare drio a le bestie. Così go fato presto a imparare la lezion, pulendo i escrementi de le vacche. (nonna Accademis) Me ricordo… Me ricordo che, a le diese el paron ne portava ,a noialtre femane del pan e on formajn. Ma, na volta , a ghea ancora cossì tanta fame ca go magnà do rane crue. Fin che lavoravi no se cantava, se ridea e se godevino on pasto. A le quattro del pomerijo a se trovavino nel cama ron dove se magnava. La cuoca la preparava pastasuta e salado o panzeta. A la sera zogavo con le tose a corarse drio,saltare la corda, saltarse in gropa, con le balete de terra, o a scondarse e a tanti altri zoghi. A’ndasevino in leto presto, parchè jerino strache morte. Me piasea fare i schersi a la cuoca ( la Bortola). Na sera ghemo ligà el leto dove la dormìa e la ghemo tirà fin in mezo a la corte. La Bortola bacaiava:- Portème dentro ,si tute mate! Ma la ghemo assà là che la bacaiasse e noaltre se copavino da ridare. El dì dopo,però, el paron invesse de darne la pastasuta, el ne ga dà pan e acqua. Alora a no ghemo pì ridesto. Dopo quaranta dì so vegnù a casa tuta contenta che dopo tanto laoro, ma anche tanto ridare, a gò portà a casa par la me fameja on saco de riso: quea la jera la paga. ( nonna Lucia detta “Cia”) Mi … me ricordo … avanti
  • 33. Ricordi di una bambina... di tanti anni fa Mia mamma è rimasta vedova molto giovane, con otto figli in età compresa tra i due mesi e i diciotto anni. Io sono la penultima figlia e mi chiamo Teresina. Mia mamma doveva mantenere una famiglia così numerosa, quanto povera, e lavorava con i miei fratelli maggiori in una fattoria. Io avevo solamente due vestiti: uno per il giorno di lavoro e uno per la domenica; quando mia mamma lavava il vestito da lavoro, dovevo rimanere a letto finché si asciugava. Il cibo era poco e semplice, si mangiava pane fatto in casa, polenta, patate americane e fagioli. Non ho mai posseduto giocattoli, giocavo a carte o a cucucce. Per scaldarci, alla sera, andavamo nella stalla e poi a letto presto. Per andare a scuola dovevo percorrere tre chilometri e mezzo a piedi con un paio di scarpe di legno ( le sgalmare), a volte camminavo scalza per non consumare quelle misere e allo stesso tempo preziose scarpette, avevo un solo libro che comprendeva tutte le materie. Ricordo che durante la seconda guerra mondiale, un giorno, mentre mi trovavo fuori, sentii un forte boato e vidi innalzarsi del fumo grigio e pezzi di pietra nel cielo: era la chiesa di Lusia che era stata bombardata. Il giorno dopo arrivò la famiglia della figlia del padrone di mia mamma, che era rimasta senza casa perché distrutta da una bomba: ci trovammo così, da un giorno all’altro, da nove a venti persone a dividere tutti la stessa casa. Non è stato semplice andare tutti d’accordo, ma abbiamo certamente dimostrato disponibilità e tolleranza tutti quanti. Un altro fatto successo durante la guerra è rimasto nella mia mente: un giorno appena suonata la sirena del coprifuoco, io, i miei fratelli e mia mamma, ci nascondemmo in un rifugio sotterraneo ma fummo scoperti e ci trovammo un mitra puntato: erano arrivati i tedeschi. Mia mamma con voce disperata disse:-“Camerata, sono solo bambini!” e fece vedere i miei fratelli. Poi dividemmo con loro quel poco cibo che avevamo e, per paura che ci facessero del male, mia mamma diede loro le sole tre uova che avevamo. Capì che erano soltanto giovani affamati, che neanche loro volevano la guerra, ma che erano obbligati a farla. Io, quando tutto questo accadde , ero solo una bambina, ma il mio ricordo è vivo come se fosse accaduto ieri. ( nonna Teresina) Mi … me ricordo … Me ricordo …
  • 34. Le conte HO una spina regalata, ma non so chi me l’ ha data. Me l’ha data mia sorella che si chiama mortadella, me l’ ha data mio cugino che si chiama formaggino, me l’ ha data mio cognato che si chiama scornacchiato, me l’ ha data mio papà che si chiama bacalà. Il gobbino va al caffè E domanda se ce né, se ce n’ è un goccettino per il povero gobbino! Staccia braccia Gigi è andato a caccia, ritorna molle molle lo dice alla moglie. La sua moglie non c ’ era c’era la sua cameriera, che faceva le frittelle. Gliene chiese una gliene chiese due gliene chiese tre gliene chiese quattro sotto c ‘ era il gatto il gatto in camicia scoppiava dalle rise e i topi su per il muro che suonava il tamburo! C’ era una volta Chicchi rivolta che rivoltava i maccheroni: si sporcò i bei calzoni e la mamma lo sgridò. Chicchirivolta si ammalò si ammalò di malattia: Chicchirivolta all’ ospedale all’ ospedale si sente male Chicchirivolta col naso storto grida, grida di dolore: esci fuori, per favore! Ciò, ciò, ciò son la coda del cane son la coda del gatta la pace è fatta! Grin, gron tre galline, tre cappon, per andare sulla cappella c’è una figlia molto bella, che suonava la chitarra pin, pun, sbarra! L’ orologio dell’ arciprete conta le ore ventisette Uno, due, tre…ventisette! Mi … me ricordo … avanti
  • 35. San Giuseppe vecchierello se ne viene pian pianino . Tiene il fuoco nel mantello per scaldare Gesù bello per scaldare Gesù divino . Gesù bello è riscaldato tutto il mondo è illuminato, illuminata è casa mia un Pater noster e un’ Ave Maria . La bella donna che ha perso la rocca per tutto il lunedì la va cercando il martedì la trova mezza rotta il mercoledì la va rassettando il giovedì le pettina la stoppa il venerdì la viene incannando il sabato si liscia un po’ la testa la domenica non fila perché è festa . Domani è festa si mangia la minestra, la minestra non mi piace si mangia pane e brace, la brace è troppo nera si mangia pane e pera, la pera è troppo bianca si mangia pane e panca, la panca è troppo dura si va a letto addirittura . Le conte avanti
  • 36. Din, don, campanon quattro vecchie sul balcon : una che fila una che taglia una che fa capelli di paglia una che fa coltelli d’ argento per tagliar la testa al vento. ‘ La Gigiota la ga un putin ch’el se ciama Faso’ lin, ch’el se ciama Fraccanapa ‘ la Gigiotta’ la deventa mata ! Un, due , tre , quattro ‘ la cava’la de San Marco, ‘ la ga fatto un pulierin tanto be’lo e picinin, fin ch’el mondo dura el mondo ga durà el pulierin , ‘xe ‘ndà struca . Tre naranse , tre limoni par ‘ ndar a pescheria ciche , ciachete , manda’lo via! Ciripiciri ‘ la mussa de Ciri ga fato un vede’lo si che’xe vero ghe gero anca mi! Risi e bisi moscatei tutti quanti ‘xe porsei fora che mi , fora che ti an flin flan fiol d’un can fiol d’un beco mori qua seco! Le conte avanti
  • 37. Soto el ponte de Angui’lara ghe se ‘ na vecia co’la manara che taia legna tuto el dì a ,bi ,ci, di ! Tegna , tegna , rogna chi ‘ la ga ‘la se vergogna fora mi , fora ti , te ‘la ghe proprio ti! Galo, galina oca, balessa anara contessa gato sgrafignon compare molton oseleto mato compare volpe no te cato . Siamo tredici fratelli tutti quanti disoccupati alla casa del fascio siamo andati per poterci ricoverar. Fortuna aiutaci oh Dio proteggici noi siamo in tredici senza on quatrin Le conte torna
  • 38. LA FIONDA Si cerca un rametto a forse’la , abbastanza robusto , lungo circa 20 cm . Alle due estremità della forse’la si fissano due elastici che si legano poi ad un pezzo di cuoio rettangolare . Si inserisce un sasso dentro al pezzo di cuoio e lo si tiene con una mano ; con l’altra si impugna il rametto al di sotto della forse’la , si tendono gli elastici e si lascia la presa in modo che il sasso parta velocemente . EL SUPIòTO Si cerca un rametto dritto di salice lungo circa 20 cm , del diametro di circa 2 cm . Si intagliano delle tacche sulla corteccia in modo da incidere anche il midollo nei punti corrispondenti . Si estrae il midollo e si intagliano su di esso dei fori e sfilando ritmicamente il midollo dalla corteccia , si soffia , modulando un fischio più o meno forte . EL SBINDO’LO Per costruire uno sbindo’lo basta appendere le due estremità di una corda robusta al ramo di un albero , in modo che penda a circa 70 cm da terra . Si può anche arrotolare alla corda un sacco che serva da sedile . Quindi ci si siede sullo sbindo’lo e , puntando i piedi per terra , ci si dà una spinta . Si comincia a dondolare e , muovendo opportunamente le gambe e il busto , si cerca di accelerare il movimento . PER costruire un aquilone si prendono 2 canne di bambù piuttosto sottili , una lunga circa 80 cm , l’altra 40 , e si legano saldamente a croce , esattamente nel punto mediano di ciascuna . Le 2 canne di bambù vengono cosi a formare le diagonali di un rombo , che viene disegnato su carta velina e successivamente incollato alle diagonali . A tre vertici del rombo si legano altrettanti pezzi di filo che vengono uniti con un nodo nel punto di equilibrio , da qui si fa partire la lunga cordicella che serve a tenere l’aquilone . La coda viene attaccata al quarto vertice rimasto senza filo ed è fatta con una catena di anelli di carta . Non resta che attendere una giornata ventosa per poter collaudare l’aquilone . L' AQUILONE Mi … me ricordo … i giochi torna
  • 39. Una delle case più antiche di Granze 1500 circa. ( p. Rizzi) Testimonianza dei nonni sulla 2° guerra mondiale Quando è scoppiata la 2° guerra mondiale, mia nonna aveva 13 anni e mio nonno 15. Appena si è saputo che era iniziata la guerra, i miei nonni erano giovani e non si rendevano conto a cosa andavano incontro. La nonna mi ha raccontato che i suoi fratelli erano PARTIGIANI e di sera andavano a dormire lungo i fossi per paura che di notte i FASCISTI venissero ad arrestarli. I Tedeschi usavano la casa della nonna come ospedale e ci portavano i feriti. Sul tetto della casa avevano sistemato una grande “ croce rossa “ in modo che l’ edificio non venisse bombardato. I soldati russi, d’ inverno, si lavavano con la neve che ricopriva l’ aia situata davanti alla casa . La prima BOMBA caduta vicino alla casa della nonna ha formato un cratere di 6 metri di diametro. Il 25 Aprile 1945 , quando sono arrivati a Granze gli Americani, le famiglie mettevano le lenzuola bianche sulle finestre ed erano in festa perché la guerra era finita . I miei nonni avevano fatto amicizia con un soldato tedesco di nome Franz . Questo rapporto è durato anche negli anni successivi e Franz , tolta la divisa ed avviata una pasticceria in Germania , è tornato più volte in Italia ad incontrare i vecchi amici. ( nonna Teresa) Mi … me ricordo … avanti
  • 40. Una volta quando mio nonno materno era giovane il lavoro che andava per la maggiore era il lavoro dei campi . Si arava con i buoi , si seminavano il grano e l’ERBA MEDICA e dopo la fioritura si tagliava , si lasciava seccare, si ammucchiava,veniva caricata su un carro e portata nel fienile dove veniva tenuta come scorta per darla da mangiare alle mucche d’inverno. C’erano piccole stalle con mucche che venivano munte a mano per poi vendere il latte . (nonno Gianni) Mi, quando ca ghea sedase ani, a so ‘ndà a la risara, a Novara e a Vercei. A rivavo la sera, verso le siè in cassina ( la casa del padrone). Pena rivà, ‘ndavo a farme el paiòn ( sacco di paglia che serviva da materasso), e con queo me fasevo el leto e ‘ndavo dormire verso e nove. A ‘ndavo in campagna de matina bonora, verso e zinque e, a piè scalzi, in mezo al fango, ‘ndavo a rancurare el riso. Magnavo el panin ae nove, in mezo a l’acqua. Dopo ‘ndavo avanti fin mezodì, ora de pranzo. Se ritacava all’una e meza e se finiva ae quatro. Stavo via anche de pì de on mese, finio sto tempo, insieme ae me compagne cantavimo:” Sior paron dae braghe bianche, tira fora le palanche che ‘ndemo a cà”. ( nonna “ Memi” ) Mi … me ricordo … avant i
  • 41. El dì de Pasqua quando gavevo sedase dissette ani insieme con tante tose e tusi se’ndava sui monti a fare merenda. Dopo, verso sera , ognuno ‘ ndava casa co la so moroseta.,a mezzodì magnavino tutti in conbricola, dopo magnà se cantava,e se balava con la fisarmonica. Qando gavevo quatordese ani , de dì , ‘ ndasevimo sol campo a staccare le panoce col scartosso. Ala sera dopo zzena , noialtri tosi se trovaimo soe case par cavare i scartozi dae panoce, par iutare le fameie contadine . Dopo quando ghevimo finio , i ne dava on cafè de orzo e on “buonasera” e “note”. Bernardino racconta torna
  • 42. El mas'cio Un tempo avere il maiale era una ricchezza,in quanto assicurava cibo tutto l’ anno. Il maiale viveva nel “ porcile” ,misera stalla costruita accanto alle povere case contadine “ El porseo” veniva ucciso durante l’inverno, con una procedura che assomigliava ad un rito, dalla quale noi bambini eravamo rigorosamente esclusi.Era però una festa : insaccare saladi,museti e sopresse,riunire tutte le costicine,gli ossetti e separare il lardo(il condimento di una volta).Anche il sangue del maiale veniva utilizzato;raccolto ancora caldo in un paiolo (recipiente di rame ), lo si metteva sul fuoco finché solidificava, una volta raffreddato diventava “ la dolse” , che tagliato in pezzetti e cotto come “el fegato a la veneziana” (fegato con cipolla )costituiva uno dei primi cibi mangiati. Anche la coda e i peli venivano utilizzati per fare attrezzi utili nelle case,o per essere rivenduti. Del maiale si diceva una volta e si dice ancora oggi che “non si butta niente”. Pelaora torna
  • 43. Le case erano modeste con poche stanze: al piano terra c’era l’entrata, la cucina, a volte il tinello, al primo piano le camere da letto. In alcune case, al piano superiore c’era il “ granaro” in cui veniva messo il grano, le zucche, e i salami ad asciugare. Attaccata alle case c’era quasi sempre la stalla. I tetti erano ricoperti da coppi ( tegole) sostenuti da soffitti con travi in legno. I pavimenti erano in pietra o cotto , le scale e i pavimenti al piano superiore erano in legno. L’illuminazione avveniva con candele, lumi a petrolio, a carburo ( canfin a oio). Veniva riscaldata una sola stanza con il camino o con stufe a legna La cucina aveva tavola, sedie impagliate, credenza, madia, ganci per appendere le pentole avanti
  • 44. Mastello, veniva usato in casa anche per farsi il bagno, di solito il sabato. parolo ferro da stiro moscarola mestoli avanti
  • 45. Moscheto riparava il cibo dagli insetti Madia : cassettone che conteneva la farina Munega e fogara pestarello avanti
  • 46. Camera da letto Nelle camere da letto c’erano i letti con materassi di cartocci ( foglie di granoturco), paglia o piume. Si trovava anche “ la munega e la fogara” o lo scaldaletto per scaldare il letto poiché, d’inverno, era facile vedere pendere dal soffitto i ghiaccioli avanti
  • 47. La lissia era un tipo di lavaggio in cui si usava la cenere. Veniva settacciata la cenere con il tamiso per mettere nell’acqua bollente quella più fine. Le robe da lavare venivano messe in un grande secchio, el mastelo, sopra al quale si stendeva un lenzuolo che serviva da filtro. Il miscuglio di acqua e cenere veniva filtrato attraverso il lenzuolo che tratteneva la cenere e lasciava passare l’acqua, che risultava scivolosa come se avesse del sapone: questo effetto era dovuto proprio alla cenere. Il bucato era lasciato immerso per l’intera giornata per disinfettarlo (la cenere ha un potere disinfettante pari alla nostra candeggina). Poi, le robe venivano lavate con il sapone fatto in casa, con il grasso di animale. Si lavava sull’asse per lavare che costringeva le donne a rimanere piegate a lungo. Le donne risciacquavano nei fossi anche quando era inverno, spesso andavano in gruppo per aiutarsi l’una con l’altra. Il bucato, quindi veniva steso all’aria e poi stirato con un ferro da stiro che, per essere scaldato, veniva riempito di carboni ardenti ( venivano sostituiti di tanto in tanto per cui le donne dovevano preoccuparsi, nello stesso tempo, che il fuoco rimanesse sempre acceso) torna
  • 48. I nonni raccontano che mangiavano spesso la polenta, poche volte il pane che veniva fatto in casa e cotto nel focolare o nella stufa a legna. La pasta veniva fatta in casa: lasagne e tagliatelle con la mescola (matterello). Si cucinavano i polli e le galline allevate nelle fattorie e d’inverno si mangiava la carne di maiale ,per chi aveva la fortuna di allevarlo. Il dolce della domenica era, a volte , la torta “Margherita” che era soprattutto un dolce pasquale in quanto era fatto con 7 uova ( che venivano deposte dalle galline maggiormente in primavera), fecola di patate, zucchero. Tanti anni fa, quando ero piccolo,il Natale era sentito come la venuta del Redentore. Il 15 dicembre iniziava la Novena e la gente faceva anche 3 o 4 chilometri a piedi per andare in chiesa. Durante questo periodo alcuni ragazzi venivano per le case a cantare la “ Ciara Stela”; dopo il canto , i ragazzi aspettavano che venisse dato loro qualcosa che consisteva in una ciotola di farina, raramente qualche soldo o qualche salamino. Alla vigilia invece si mangiavano” bigoi coe sardee” Il giorno di Natale si andava in chiesa e , per strada, ci si scambiavano gli auguri con la gente che si incontrava. Il pranzo veniva fatto in casa : brodo di gallina o cappone tagliatelle fatte in casa, cotechino, la pinza con le grasipole ( pane impastato con pezzettini di carne grassa ricavata dallo strutto del maiale). Il dolce era il “ bussolà”: zucchero, uova, latte, burro, farina. Alla sera stavamo in famiglia, a parlare vicino al camino. avanti
  • 49. Prendere una pentola in rame (el parolo ) riempirla a tre quarti di acqua poi aggiungere il sale grosso (una manciata),aspettare che arrivi a bollire, poi aggiungere la farina “gialla”. Mescolare con la frusta fino a che non diventa compatta e cuocerla per circa un’ora; quindi versarla sul tagliere di legno. Asagne Mettere 6 uova in una terrina ;aggiungere la farina (bianca ) quanto basta per avere un impasto normale ;domare con le mani . La pasta viene stesa con il matterello( mescola) finché diventa una sfoglia fine. Quindi viene arrotolata e , con il coltello si tagliano delle striscioline larghe circa un centimetro. Queste vengono aperte e stese ad asciugare in un palo. Quando sono asciutte si usano per la pastasciutta. Le tagliatelle hanno la stessa procedura ma sono tagliate un po’ più fine. Poenta torna canti
  • 50. Ciara stela e Pastorela Siamo qua co na gran stela, per dorare Maria e Gesù Su pe i monti e su par le grote, per dorare Maria e Gesù. Noi cantiam la pastorela e la cantiam di gran cuor. San Giuseppe veciarelo cosa avete in quel cestello? “ Ho una fassa e un panesello per coprire Gesù bello. Gesù bello, Gesù d’amore per coprire il nostro Signore scherzi
  • 51. Ai tempi de me nono, par Nadale ,costumava de ‘ndare pae case a domandare la carità. I Torotea jera do persone, uno tuto querto dal tabaro ch’el tegnea soto do tole de legno, che le sbatea forte quando che le vegnea tirà co on spago. Par dentro le jera incolorie de rosso come se le fosse na boca spalancà. Ne vegnea fora na’ maschera co la facia da lupo: oci neri, cilie longhe e dentro la boca ghe jera impiantà tute broche, soto e sora.La lengua jera rossa e soto el tabaro ghe jera l’ omo col spago che, tirandolo, el fasea sbatere la boca, coi denti che jera le broche. Che l’altro el ghe fasea compagnia e spetava che i ghe desse la carità.I Torototea i vegnea da prima de Nadale a fine Vecia .I ‘ndava in giro in bicecreta, co par davanti e par de drio i portapacchi e, no i ghea i guanti, cussì i metea sul manubrio pèi de gato o de coneio roversà che le fasea caldo. E i cantava na storiela. La fasea: “ Siora parona la vegna de qua, che no so miga indiavolà So na povera mascherina che domanda la carità . O parsuti o saladi, qualcosa la me darà. La va in cusina e la tira el casetin e la trova un salamin e se no la voe darmeo tuto, me ne basta on tochetin. Qua a gò n’altra sachetina, se la me dà anca dea farina me fago anca ‘na poentina. Tanti auguri de Nadale e Ano Novo. E naltr’ano se saremo in società pian pianin riveremo ancora qua’. Grazie, arrivederci e tanti auguri Torototea Torototà. ( nonno Corrado) I TOROTOTEA La lumaza Si prendeva una zucca, la si scavava all’interno, si facevano due buchi per occhi, Si incideva un triangolo come naso e sotto una linea per bocca. Dentro alla zucca si fissava una candela accesa in modo che, al buio, desse l’impressione di qualcosa di mostruoso. Alla sera, noi ragazzi, ci nascondevamo lungo la strada e quando sentivamo arrivare delle persone mettevamo la zucca ( la lumaza) in mezzo alla strada. La gente scappava spaventata. brugneo
  • 52. El dì dea vecia jera de tradizion de brusarla. Se cumiziava tre dì prima , par rancurare cane, canoti ,fassine secche,casteloni , faive ect … Se fasea un mucio grande co tute ste robe e in zima se metea la vecia : on pupazo co indoso tute straze ligà so on palo de quatro zinque metri. Dopo,a’na zerta ora,se ghe dasea fogo. El gera on apuntamento par tuta la zente parchè ogni via la fasea el so brugneo . Partecipava veci , zovani e toseti. Dopo rivava le vecie , coi cavei longhi , el viso mascherà , e sol brazo sinistro i gavea on sesto pien de naranze , mandarini , poche caramele, carube e nosee . EL BRUGNEO La befana vien dai monti vien dai monti alla città va gridando “ care done el camin sarà spazà” Brugneo brusa la vecia sol careteo Brusea tuta che no la magna più zuca. Brugneo, brugneo, evviva la vecia sol careteo. El veciòn e la vecia intorno al brugneo I balava e i cantava: La vecia s’intaca, la magna de tuto,poenta e torna
  • 53. Vestiti dei nonni I nonni usavano vestiti comodi, poco colorati e semplici, venivano confezionati dalle sarte o dalle donne di casa e dovevano durare a lungo. Si utilizzavano tessuti di cotone, canapa, lana, flanella e, per i vestiti più raffinati, lino, seta, velluto. Le stoffe venivano acquistate al mercato, nei negozi o dall’ambulante che, in bicicletta girava per le fattorie. Le donne indossavano vestiti e gonne lunghe, sottovesti, camicette, maglie di lana e cappotto per l’inverno. Gli uomini, invece, vestiti completi con gilet, camicie, bretelle e, d’inverno tabarri e cappelli. I bambini maschi portavano pantaloni alla” zuava ”( appena sotto al ginocchio). Ai piedi, nei giorni di festa, le scarpe; negli altri, le “ sgalmare ”( zoccoli con la suola di legno). Spettava alle nonne, la sera, quando si riunivano nelle stalle,produrre calzini guanti, maglioni , berrette, sciarpe lavorate a ferri per tutta la famiglia. A Natale e a Pasqua si comperavano il vestito nuovo o le scarpe. torna
  • 54. “ Villa Ca’ Conti” Oggi Villa “Camerini Rusconi” La costruzione del palazzi Ca’ Conti risale al 1500 con il suo corpo centrale e l’annesso Oratorio. Verso la metà dell’Ottocento l’intera proprietà passò ai Camerini, famiglia di origine romagnola. Questa famiglia acquistò vasti possedimenti terrieri nella zona, tra cui anche la Villa dei Contarini a Piazzola sul Brenta e il Palazzo in via Altinate a Padova, oggi sede del comando dell’Esercito italiano. Nella seconda metà del 1800, una nipote di Giovanni Camerini sposa il nobile Saverio Rusconi, da qui il nome della villa. I Camerini aggiunsero due corpi all’originaria villa Conti: il giardino d’inverno, presente nella maggior parte delle residenze nobiliari; il maneggio coperto che fu distrutto durante le due guerre mondiali. Sul lato Nord della corte sorge un fabbricato di servizio adibito alla lavorazione della canapa che veniva macerata nei “ maceri” e poi, qui lavorata per ottenere tessuti e cordami. avanti
  • 55. VILLA ZANGIROLAMI E’ una costruzione signorile che risale alla seconda metà del seicento e la cui edificazione è stata opera della nobile famiglia Zangirolami originaria di Rovigo. Oltre all’attuale costruzione sorgeva, nel giardino, un oratorio privato, ma di uso pubblico, dedicato ai SS. Pietro e Paolo, di cui si conserva , a memoria, un sacello dove è possibile leggere ancora l’iscrizione: L’ILL.mo Sig G. Pietro ZANGEROLEMO CON GIOVANNI BATTISTA, NOBILE DI ROVIGO, FECE FAR QUESTO ORATORIO L’ANNO 1707. Questo edificio sacro fu abbattuto verso la metà del secolo scorso a causa del decadimento a cui era andato incontro. VILLA Prosdocimi Si tratta di un Palazzo le cui prime notizie risalgono al1711,anche se la costruzione è anteriore. Proprietario, a quel tempo era Crestin Martinelli Lunardo, ma, dal 1835 ne divenne proprietario l’ing.Matteo Prosdocimi. L’architettura dell’edificio segue le regole del grande architetto Andrea Palladio. Gli archi delle porte esterne fanno pensare alle costruzioni del’500, così pure la dentellatura sotto il tetto; i comignoli piramidali sono stati ricostruiti su modello di una mappa originale del1835. torna
  • 56. torna