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Ricerche storico-topografiche sulle aree confinarie dell'antica chora di Rhegion, a cura di G.
CORDIANO - S. ACCARDO, Edizioni ETS, Pisa 2004, 148 pp., 11 tavv., € 25,00.
Premetto che, per me, trattare dell'argomento di questo bel libro rappresenta una forte emozione, per
moltissimi motivi legati al mio personale curriculum. Negli anni 1989 e 1990, infatti, mi ritrovai, con
due cari colleghi giovani archeologi, a svolgere, per conto della Soprintendenza Archeologica della
Calabria, un lavoro di verifica delle segnalazioni archeologiche nel territorio tra Reggio e Bianco, nella
Locride, mentre il nostro gruppo effettuava ricerche su porti ed approdi in epoca antica e medievale
nella zona indicata. Raramente nella vita capita di svolgere un compito più appassionante e
coinvolgente. Per me si è trattato di un vero e proprio discrimen, ed i segnalatori che allora conobbi, gli
ispettori onorari ed i colleghi occupano un posto speciale all'interno dei miei affetti. In quei giorni ci
capitò di essere testimoni della scrittura ex novo della storia della Ionica reggina, grazie alla caparbia
dei segnalatori, tra cui spiccavano (e spiccano ancora!) Luigi Saccà e Sebastiano Stranges, equipe
formidabile, che ha regalato all'archeologia calabrese centinaia di nuovi siti, tra cui vari choria,
necropoli, fortezze, fornaci, villaggi preistorici, grotte di monaci, etc. Qualche anno dopo, per
comprendere la portata di quelle scoperte, che avrebbero permesso di intendere l'intero sistema
abitativo della Ionica reggina dall'epoca preistorica fino al medioevo ed all'età moderna, in sede di
discussione di tesi di dottorato in Storia antica, a Roma, un cattedratico (peraltro reggino!) mi contestò
il tentativo di storicizzazione di questi dati archeologici, affermando, cito testualmente, “tanto si sa che
la Ionica reggina è un deserto archeologico”.
Certamente, in un altro contesto sociale, e con altri funzionari di Soprintendenza, i dati raccolti
avrebbero aperto una proficua stagione di ricerche, ma nulla accadde allora, e quel poco (che sta man
mano diventando molto: basta guardare su internet i risultati degli scavi preistorici di John Robb
nell'area grecanica della Bovesia) che c'è stato si è dovuto alla proverbiale testardaggine dei Calabresi.
Ma i tempi cambiano, e ciò che è stato precluso agli studiosi locali (ma solo agli universitari, non agli
eruditi ed ai giovani non strutturati!), è stato fortunatamente concesso ad altri. L'ingresso di Giuseppe
Cordiano e dei suoi collaboratori ha rappresentato la svolta che tutti aspettavamo. Il contatto con i
segnalatori, che non si sono lasciati scoraggiare dalla cronica mancanza di fondi e di progetti della
locale Soprintendenza, si è rivelato ancora una volta proficuo, ma, stavolta, i risultati sono stati offerti
alla comunità scientifica internazionale: il “deserto archeologico”, mi si passi la metafora, è ora un
giardino fiorito.
Prima di entrare nello specifico della pubblicazione, devo però tributare un ultimo ricordo al passato,
rammentando un piccolo ma significativo aneddoto, di 15 anni fa. Sebastiano Stranges aveva condotto
la nostra piccola equipe (con me Benedetto Carroccio ed Antonella Monetti, autori di una tesina sugli
insediamenti della Ionica reggina per la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Roma,
ampiamente citata nel presente volume) a verificare una segnalazione di cocci, che si rivelarono parti di
anforoni da trasporto corinzi del VI sec. a.C., in località Serro Mandi, presso Capo Spartivento. Arrivati
sul posto, ci accorgemmo subito di allineamenti di massi e della presenza di un agger, e subito
cominciammo a correre per raggiungere il punto più alto e tentare di cogliere l'intero giro del vallo,
tutto intorno al pianoro dai bordi scoscesi. Sebastiano ci vide salire di corsa, urlare di felicità sulla
sommità, ridiscendere al pianoro gridando la gioia di avere visto l'intero agger con un colpo d'occhio.
Dopo vari anni, incontrando Sebastiano casualmente, ho avuto la gioia di ascoltare un racconto
parallelo, con protagonista stavolta Giuseppe Cordiano, che, stando all'amico ispettore onorario,
avrebbe fatto le stesse mosse di noi tre, correndo sulla cima della collina, urlando e così via.
Il libro, che si presenta come il primo, e quindi preliminare, rapporto sulle ricerche condotte nell'intera
area, è diviso in due sezioni. La prima parte, intitolata La zona liminare a S del Metauros sul versante
tirrenico, contiene un solo capitolo, a firma di G. Cordiano, il cui oggetto è il populus dei Tauriani. Si
tratta di un gruppo di Oschi insediatisi nella prima metà del IV sec. a.C. nella parte settentrionale del
territorio reggino, nell'area dei sette fiumi che formavano il bacino del Metauros, e che durante la II
guerra punica facevano parte dei XII popoli bruttii.
Dal punto di vista scientifico, a nostro avviso, mancano ancora alcuni importanti tasselli per arrivare
alla comprensione storica di questo populus. In particolare, rimangono aperte due questioni: 1) se i
Tauriani siano, o meno, i mercenari oschi insediati da Dionisio I dopo la conquista di Rhegion del
387/6 a.C. nell'ambito della sua chora ormai destrutturata (Daniele Castrizio, Reggio Ellenistica, Roma
1995), e poi ribellatisi a Dionisio II verso il 346 a.C., come pare che confermino anche gli scavi di
Contrada Palazzo di Oppido Mamertina; 2) se il centro principale del populus dei Tauriani fosse Taisia,
che poi mutò il suo nome in Taurianum, oppure se questa polis sia da localizzare altrove nell'ambito
della provincia di Reggio.
Rispetto a queste due questioni ci sembra che l'A. sostanzialmente non prenda posizione per quanto
riguarda la prima, ma proponga una soluzione alternativa per un famoso passo di Catone in cui lo
storico romano afferma che Thes(e)unti Tauriani vocantur de fluvio, qui propter fluit. A nostro tempo,
noi interpretammo il Thes(e)unti come un errore dei copisti dovuti ad una assonanza con il nome
Theseus, e proponemmo di restituire un Taesiati (o meglio, direi, Taesiani), cioè l'etnico dei cittadini di
Taisia. Contro questa proposta, che ci sembra riuscisse a tenere conto di tutti dati ed a non entrare in
contraddizione con alcuno, si è avuta quella, ingegnosa ma francamente improponibile, di Felice
Costabile, che ha proposto Mamertini al posto di Thes(e)unti, ed ora quella di Giuseppe Cordiano, con
la “probabile latinizzazione del greco” theteuontes-theseu(o)ntes, dal significato di salariati, teti
appunto, che ci sembra inverosimile anche solo in base alla considerazione che i lettori romani non
avrebbero assolutamente capito il senso della frase. Ma il Cordiano, nel paragrafo, sposta giustamente
l'attenzione sulla identità Taisia-Taurianum, ribadendo le considerazioni che lo hanno portato anni or
sono a rifiutare la mia proposta, e che si possono sintetizzare nell'idea che Taisia si trovi nell'area
ionica reggina.
In questa idea si ritrova tutto il peso della tradizione degli studi locali, di Carmelo Turano in primis,
che, in periodi di “deserto archeologico”, battezzarono gli scarni ritrovamenti nel comune di Motta San
Giovanni con l'aulico nome di Taisia, non percependo che, storicamente, non c'è posto per una polis
indipendente così vicina a Reggio, e, soprattutto, facendosi fuorviare dalla lista delle città visitate dai
thearodokoi di Delfi, in cui, dopo Locri, c'è Taisia e poi Rhegion, come se si trattasse della rotta della
nave che li portò, lungo lo Ionio, fino allo Stretto. Ma i thearodokoi, come poi fecero in Sicilia, si
spostarono percorrendo itinerari terrestri, e quindi, da Locri, dovettero imboccare la via Istmica e,
quindi, arrivare prima nella Piana di Gioia ed a Taisia e solo dopo a Rhegion. Oltre queste sottigliezze,
però, che Taisia sia sul Tirreno lo dimostrano due cose: 1) la marcia forzata di Annibale per
riconquistare la polis caduta preda della guarnigione romana di Reggio nel corso della II guerra punica,
che, come ha argomentato il Givigliano, avvenne sicuramente sul Tirreno; 2) il fatto incontestabile che
per ben due volte eserciti invasori nell'attuale Calabria tentarono di prendere Reggio, per poi attaccare
Taisia, solo allo scopo di traghettare in Sicilia, cosa francamente impossibile se non presso l'unico buon
approdo dell'intera area dello stretto sul versante italico oltre Reggio, che è, non a caso, Taurianum. Il
tutto senza considerare che, se fosse stata tra Reggio e Locri, avremmo avuto, in Appiano, qualche
traccia dei Locresi e del presidio cartaginese della polis nell'ambito delle vicende del 213-211 a.C.
La seconda sezione del libro, intitolata Tra Reggino e Locride: il comprensorio dell'Halex lungo lo
Ionio, è diviso, a sua volta in due capitoli. Il primo, a firma integrale di Giuseppe Cordiano, tratta della
lotta tra Eracle ed il brigante Cicno, proposto dall'A. come metafora della guerra tra Rhegion e Locri.
La tesi, tutta da leggere, a nostro avviso è molto interessante, e porta argomenti nuovi di convalida alla
nostra proposta di identificare Eracle quale divinità tutelare dei confini di Reggio.
Il secondo capitolo, dal titolo Prime anticipazioni storico-topografiche sulla zona confinaria tra le
chorai di Rhegion e Lokroi Epizephyrioi (dall'età preistorica all'epoca romano-imperiale), rappresenta
il piatto forte dell'intero volume, e si compone di 5 paragrafi, tre dei quali redatti da Giuseppe Cordiano
ed i due rimanenti da Simona Accardo, giovane e promettente archeologa reggina, spesso preziosa
collaboratrice della funzionaria archeologa dell'area della città di Reggio.
Nei citati cinque paragrafi i due autori affrontano l'ardua impresa di dare conto e di riconnettere
storicamente le centinaia di segnalazioni e di scoperte effettuate dal 1989 ad oggi nell'area che funse da
confine tra Rhegion e Lokroi, divise un tempo dal fiume Halex, di cui ora, giustamente, Cordiano
ribadisce l'identificazione nella fiumara Palizzi, che, alla sorgente, ancora oggi si chiama Halica
(notiamo: accusativo di Halex con iotacismo).
Come comprenderà il lettore, gli spunti di intervento nei paragrafi in questione sarebbero molteplici, e,
difatti, la confezione delle teorie è redatta con spirito tale da interessare anche coloro che non sono
specialisti della materia. Ci sembra, infatti, che la ricostruzione operata da Cordiano sul sistema
complessivo e sulla antica linea di confine, custodita da torri e piccole fortezze, sia un paradigma
esportabile per acribia e acutezza di interpretazioni.
Di più, ci piace sottolineare anche quello che l'A. non ha dichiarato esplicitamente, ma ci ha permesso
di intuire, e che sarà materia di indagine e di ricerca per gli storici greci per gli anni a venire. Ci ha
favorevolmente impressionato la ricostruzione degli scontri tra Reggini e Ateniesi alleati contro i
Locresi, anche se non crediamo a qualche interpretazione (come lo sbarco della fanteria ateniese dalle
navi a poche decine di metri dall'Halex nel 426-425 a.C., quando, invece, l'azione dovette essere stata
condotta più in profondità nel territorio di Lokroi). Ci saremmo anche aspettati l'aition dell'intera
vicenda, troppo spesso presentata dagli storici moderni come un “regalo” degli Ateniesi ai Reggini,
alleati nella Guerra del Peloponneso, senza tenere minimamente in considerazione che gli interessi in
gioco non fossero solo i pochi metri di spiaggia o il chorion Kaikinos, ma il possesso dei due porti del
Promontorio di Eracle, odierno Capo Spartivento, straordinariamente importanti per la sicurezza delle
rotte commerciali e militari verso l'Occidente. Sottovalutare il confine del Kaikinos (presso
Brancaleone?) o addirittura negare la storicità di un limes tra Rhegion e Lokroi più favorevole per i
Reggini è, a nostro avviso, un grave errore storico, che impedisce la comprensione della politica delle
due poleis italiote per tutta l'epoca classica. A cosa mirava Kleophron, figlio del tiranno di Reggio
Anaxilaos quando marciò nella Locride? Cosa ottenne in cambio del ritiro delle truppe reggine?
Particolarmente importanti e ben curati ci sono parsi anche i paragrafi su Le novità insediative
d'epoca alto-ellenistica, e quello intitolato Dal 218 al 31 a.C.: la Guerra Annibalica e le sue
conseguenze in zona, che aprono la porta agli studi scientifici sul sito di Serro Mandi, alias Hyporon,
l'oppidum brettio che dovette costituire un vero e proprio cuneo italico posto tra le chorai di Rhegion e
Lokroi, da Dionisio I almeno fino alla sua conquista da parte della guarnigione ribelle di Reggio
durante la Guerra Pirrica. A ben vedere, il marchio di Reggio nella monetazione di Hyporon (una sola
serie articolata su due nominali) è evidente. Basti pensare alla tipologia scelta per questa emissione
assolutamente eccezionale, battuta a nome di Hyporon e Mystia, le due città brettie sottratte a Pirro
dalla guarnigione ribelle di Rhegion: i regginissimi tipi della testa di Apollo e del tripode delfico.
La mole di lavoro che i due Autori hanno profuso, profittando proficuamente dell'imponente lavoro di
segnalazione di siti, va giustamente sottolineata, come anche la grande capacità di inserire nel loro
contesto storico siti e reperti. La lettura diacronica del materiale permette di comprendere appieno le
dinamiche insediative della zona e i punti di frizione, soggetti a contesa, anche bellica. Il quadro che ne
emerge è quello di una rottura di un continuum, fatto di eventi determinati ora dai Reggini ora dai
Locresi nel corso del VI e V sec. a.C., ad opera dell'inserzione di un gruppo di italici, che occuparono
prima Hyporon e poi, pensiamo noi, Bova, creando uno stato autonomo che fu difficilmente riassorbito
dalle due poleis greche.
In conclusione, tutto l'impianto dell'opera, assolutamente godibile, è certamente innovativo, e non
mancherà di rilanciare gli studi sulla Magna Grecia meridionale, in cui le questioni scientifiche ancora
irrisolte sono numerose, ed il compito di archeologi, numismatici e storici è arduo. Buon lavoro!
                                                                              Daniele Castrizio

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Cordiano

  • 1. Ricerche storico-topografiche sulle aree confinarie dell'antica chora di Rhegion, a cura di G. CORDIANO - S. ACCARDO, Edizioni ETS, Pisa 2004, 148 pp., 11 tavv., € 25,00. Premetto che, per me, trattare dell'argomento di questo bel libro rappresenta una forte emozione, per moltissimi motivi legati al mio personale curriculum. Negli anni 1989 e 1990, infatti, mi ritrovai, con due cari colleghi giovani archeologi, a svolgere, per conto della Soprintendenza Archeologica della Calabria, un lavoro di verifica delle segnalazioni archeologiche nel territorio tra Reggio e Bianco, nella Locride, mentre il nostro gruppo effettuava ricerche su porti ed approdi in epoca antica e medievale nella zona indicata. Raramente nella vita capita di svolgere un compito più appassionante e coinvolgente. Per me si è trattato di un vero e proprio discrimen, ed i segnalatori che allora conobbi, gli ispettori onorari ed i colleghi occupano un posto speciale all'interno dei miei affetti. In quei giorni ci capitò di essere testimoni della scrittura ex novo della storia della Ionica reggina, grazie alla caparbia dei segnalatori, tra cui spiccavano (e spiccano ancora!) Luigi Saccà e Sebastiano Stranges, equipe formidabile, che ha regalato all'archeologia calabrese centinaia di nuovi siti, tra cui vari choria, necropoli, fortezze, fornaci, villaggi preistorici, grotte di monaci, etc. Qualche anno dopo, per comprendere la portata di quelle scoperte, che avrebbero permesso di intendere l'intero sistema abitativo della Ionica reggina dall'epoca preistorica fino al medioevo ed all'età moderna, in sede di discussione di tesi di dottorato in Storia antica, a Roma, un cattedratico (peraltro reggino!) mi contestò il tentativo di storicizzazione di questi dati archeologici, affermando, cito testualmente, “tanto si sa che la Ionica reggina è un deserto archeologico”. Certamente, in un altro contesto sociale, e con altri funzionari di Soprintendenza, i dati raccolti avrebbero aperto una proficua stagione di ricerche, ma nulla accadde allora, e quel poco (che sta man mano diventando molto: basta guardare su internet i risultati degli scavi preistorici di John Robb nell'area grecanica della Bovesia) che c'è stato si è dovuto alla proverbiale testardaggine dei Calabresi. Ma i tempi cambiano, e ciò che è stato precluso agli studiosi locali (ma solo agli universitari, non agli eruditi ed ai giovani non strutturati!), è stato fortunatamente concesso ad altri. L'ingresso di Giuseppe Cordiano e dei suoi collaboratori ha rappresentato la svolta che tutti aspettavamo. Il contatto con i segnalatori, che non si sono lasciati scoraggiare dalla cronica mancanza di fondi e di progetti della locale Soprintendenza, si è rivelato ancora una volta proficuo, ma, stavolta, i risultati sono stati offerti alla comunità scientifica internazionale: il “deserto archeologico”, mi si passi la metafora, è ora un giardino fiorito. Prima di entrare nello specifico della pubblicazione, devo però tributare un ultimo ricordo al passato, rammentando un piccolo ma significativo aneddoto, di 15 anni fa. Sebastiano Stranges aveva condotto la nostra piccola equipe (con me Benedetto Carroccio ed Antonella Monetti, autori di una tesina sugli insediamenti della Ionica reggina per la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Roma, ampiamente citata nel presente volume) a verificare una segnalazione di cocci, che si rivelarono parti di anforoni da trasporto corinzi del VI sec. a.C., in località Serro Mandi, presso Capo Spartivento. Arrivati sul posto, ci accorgemmo subito di allineamenti di massi e della presenza di un agger, e subito cominciammo a correre per raggiungere il punto più alto e tentare di cogliere l'intero giro del vallo, tutto intorno al pianoro dai bordi scoscesi. Sebastiano ci vide salire di corsa, urlare di felicità sulla sommità, ridiscendere al pianoro gridando la gioia di avere visto l'intero agger con un colpo d'occhio. Dopo vari anni, incontrando Sebastiano casualmente, ho avuto la gioia di ascoltare un racconto parallelo, con protagonista stavolta Giuseppe Cordiano, che, stando all'amico ispettore onorario, avrebbe fatto le stesse mosse di noi tre, correndo sulla cima della collina, urlando e così via. Il libro, che si presenta come il primo, e quindi preliminare, rapporto sulle ricerche condotte nell'intera area, è diviso in due sezioni. La prima parte, intitolata La zona liminare a S del Metauros sul versante tirrenico, contiene un solo capitolo, a firma di G. Cordiano, il cui oggetto è il populus dei Tauriani. Si tratta di un gruppo di Oschi insediatisi nella prima metà del IV sec. a.C. nella parte settentrionale del territorio reggino, nell'area dei sette fiumi che formavano il bacino del Metauros, e che durante la II
  • 2. guerra punica facevano parte dei XII popoli bruttii. Dal punto di vista scientifico, a nostro avviso, mancano ancora alcuni importanti tasselli per arrivare alla comprensione storica di questo populus. In particolare, rimangono aperte due questioni: 1) se i Tauriani siano, o meno, i mercenari oschi insediati da Dionisio I dopo la conquista di Rhegion del 387/6 a.C. nell'ambito della sua chora ormai destrutturata (Daniele Castrizio, Reggio Ellenistica, Roma 1995), e poi ribellatisi a Dionisio II verso il 346 a.C., come pare che confermino anche gli scavi di Contrada Palazzo di Oppido Mamertina; 2) se il centro principale del populus dei Tauriani fosse Taisia, che poi mutò il suo nome in Taurianum, oppure se questa polis sia da localizzare altrove nell'ambito della provincia di Reggio. Rispetto a queste due questioni ci sembra che l'A. sostanzialmente non prenda posizione per quanto riguarda la prima, ma proponga una soluzione alternativa per un famoso passo di Catone in cui lo storico romano afferma che Thes(e)unti Tauriani vocantur de fluvio, qui propter fluit. A nostro tempo, noi interpretammo il Thes(e)unti come un errore dei copisti dovuti ad una assonanza con il nome Theseus, e proponemmo di restituire un Taesiati (o meglio, direi, Taesiani), cioè l'etnico dei cittadini di Taisia. Contro questa proposta, che ci sembra riuscisse a tenere conto di tutti dati ed a non entrare in contraddizione con alcuno, si è avuta quella, ingegnosa ma francamente improponibile, di Felice Costabile, che ha proposto Mamertini al posto di Thes(e)unti, ed ora quella di Giuseppe Cordiano, con la “probabile latinizzazione del greco” theteuontes-theseu(o)ntes, dal significato di salariati, teti appunto, che ci sembra inverosimile anche solo in base alla considerazione che i lettori romani non avrebbero assolutamente capito il senso della frase. Ma il Cordiano, nel paragrafo, sposta giustamente l'attenzione sulla identità Taisia-Taurianum, ribadendo le considerazioni che lo hanno portato anni or sono a rifiutare la mia proposta, e che si possono sintetizzare nell'idea che Taisia si trovi nell'area ionica reggina. In questa idea si ritrova tutto il peso della tradizione degli studi locali, di Carmelo Turano in primis, che, in periodi di “deserto archeologico”, battezzarono gli scarni ritrovamenti nel comune di Motta San Giovanni con l'aulico nome di Taisia, non percependo che, storicamente, non c'è posto per una polis indipendente così vicina a Reggio, e, soprattutto, facendosi fuorviare dalla lista delle città visitate dai thearodokoi di Delfi, in cui, dopo Locri, c'è Taisia e poi Rhegion, come se si trattasse della rotta della nave che li portò, lungo lo Ionio, fino allo Stretto. Ma i thearodokoi, come poi fecero in Sicilia, si spostarono percorrendo itinerari terrestri, e quindi, da Locri, dovettero imboccare la via Istmica e, quindi, arrivare prima nella Piana di Gioia ed a Taisia e solo dopo a Rhegion. Oltre queste sottigliezze, però, che Taisia sia sul Tirreno lo dimostrano due cose: 1) la marcia forzata di Annibale per riconquistare la polis caduta preda della guarnigione romana di Reggio nel corso della II guerra punica, che, come ha argomentato il Givigliano, avvenne sicuramente sul Tirreno; 2) il fatto incontestabile che per ben due volte eserciti invasori nell'attuale Calabria tentarono di prendere Reggio, per poi attaccare Taisia, solo allo scopo di traghettare in Sicilia, cosa francamente impossibile se non presso l'unico buon approdo dell'intera area dello stretto sul versante italico oltre Reggio, che è, non a caso, Taurianum. Il tutto senza considerare che, se fosse stata tra Reggio e Locri, avremmo avuto, in Appiano, qualche traccia dei Locresi e del presidio cartaginese della polis nell'ambito delle vicende del 213-211 a.C. La seconda sezione del libro, intitolata Tra Reggino e Locride: il comprensorio dell'Halex lungo lo Ionio, è diviso, a sua volta in due capitoli. Il primo, a firma integrale di Giuseppe Cordiano, tratta della lotta tra Eracle ed il brigante Cicno, proposto dall'A. come metafora della guerra tra Rhegion e Locri. La tesi, tutta da leggere, a nostro avviso è molto interessante, e porta argomenti nuovi di convalida alla nostra proposta di identificare Eracle quale divinità tutelare dei confini di Reggio. Il secondo capitolo, dal titolo Prime anticipazioni storico-topografiche sulla zona confinaria tra le chorai di Rhegion e Lokroi Epizephyrioi (dall'età preistorica all'epoca romano-imperiale), rappresenta il piatto forte dell'intero volume, e si compone di 5 paragrafi, tre dei quali redatti da Giuseppe Cordiano ed i due rimanenti da Simona Accardo, giovane e promettente archeologa reggina, spesso preziosa
  • 3. collaboratrice della funzionaria archeologa dell'area della città di Reggio. Nei citati cinque paragrafi i due autori affrontano l'ardua impresa di dare conto e di riconnettere storicamente le centinaia di segnalazioni e di scoperte effettuate dal 1989 ad oggi nell'area che funse da confine tra Rhegion e Lokroi, divise un tempo dal fiume Halex, di cui ora, giustamente, Cordiano ribadisce l'identificazione nella fiumara Palizzi, che, alla sorgente, ancora oggi si chiama Halica (notiamo: accusativo di Halex con iotacismo). Come comprenderà il lettore, gli spunti di intervento nei paragrafi in questione sarebbero molteplici, e, difatti, la confezione delle teorie è redatta con spirito tale da interessare anche coloro che non sono specialisti della materia. Ci sembra, infatti, che la ricostruzione operata da Cordiano sul sistema complessivo e sulla antica linea di confine, custodita da torri e piccole fortezze, sia un paradigma esportabile per acribia e acutezza di interpretazioni. Di più, ci piace sottolineare anche quello che l'A. non ha dichiarato esplicitamente, ma ci ha permesso di intuire, e che sarà materia di indagine e di ricerca per gli storici greci per gli anni a venire. Ci ha favorevolmente impressionato la ricostruzione degli scontri tra Reggini e Ateniesi alleati contro i Locresi, anche se non crediamo a qualche interpretazione (come lo sbarco della fanteria ateniese dalle navi a poche decine di metri dall'Halex nel 426-425 a.C., quando, invece, l'azione dovette essere stata condotta più in profondità nel territorio di Lokroi). Ci saremmo anche aspettati l'aition dell'intera vicenda, troppo spesso presentata dagli storici moderni come un “regalo” degli Ateniesi ai Reggini, alleati nella Guerra del Peloponneso, senza tenere minimamente in considerazione che gli interessi in gioco non fossero solo i pochi metri di spiaggia o il chorion Kaikinos, ma il possesso dei due porti del Promontorio di Eracle, odierno Capo Spartivento, straordinariamente importanti per la sicurezza delle rotte commerciali e militari verso l'Occidente. Sottovalutare il confine del Kaikinos (presso Brancaleone?) o addirittura negare la storicità di un limes tra Rhegion e Lokroi più favorevole per i Reggini è, a nostro avviso, un grave errore storico, che impedisce la comprensione della politica delle due poleis italiote per tutta l'epoca classica. A cosa mirava Kleophron, figlio del tiranno di Reggio Anaxilaos quando marciò nella Locride? Cosa ottenne in cambio del ritiro delle truppe reggine? Particolarmente importanti e ben curati ci sono parsi anche i paragrafi su Le novità insediative d'epoca alto-ellenistica, e quello intitolato Dal 218 al 31 a.C.: la Guerra Annibalica e le sue conseguenze in zona, che aprono la porta agli studi scientifici sul sito di Serro Mandi, alias Hyporon, l'oppidum brettio che dovette costituire un vero e proprio cuneo italico posto tra le chorai di Rhegion e Lokroi, da Dionisio I almeno fino alla sua conquista da parte della guarnigione ribelle di Reggio durante la Guerra Pirrica. A ben vedere, il marchio di Reggio nella monetazione di Hyporon (una sola serie articolata su due nominali) è evidente. Basti pensare alla tipologia scelta per questa emissione assolutamente eccezionale, battuta a nome di Hyporon e Mystia, le due città brettie sottratte a Pirro dalla guarnigione ribelle di Rhegion: i regginissimi tipi della testa di Apollo e del tripode delfico. La mole di lavoro che i due Autori hanno profuso, profittando proficuamente dell'imponente lavoro di segnalazione di siti, va giustamente sottolineata, come anche la grande capacità di inserire nel loro contesto storico siti e reperti. La lettura diacronica del materiale permette di comprendere appieno le dinamiche insediative della zona e i punti di frizione, soggetti a contesa, anche bellica. Il quadro che ne emerge è quello di una rottura di un continuum, fatto di eventi determinati ora dai Reggini ora dai Locresi nel corso del VI e V sec. a.C., ad opera dell'inserzione di un gruppo di italici, che occuparono prima Hyporon e poi, pensiamo noi, Bova, creando uno stato autonomo che fu difficilmente riassorbito dalle due poleis greche. In conclusione, tutto l'impianto dell'opera, assolutamente godibile, è certamente innovativo, e non mancherà di rilanciare gli studi sulla Magna Grecia meridionale, in cui le questioni scientifiche ancora irrisolte sono numerose, ed il compito di archeologi, numismatici e storici è arduo. Buon lavoro! Daniele Castrizio