1. (RISCHIO CHIMICO)
(lucido n° 1)
INTRODUZIONE
La "sicurezza" nei luoghi di lavoro è correlata all'atteggiamento
mentale con cui il lavoratore esplica la propria attività, nell'osservanza
continua della propria integrità fisica e nella salvaguardia
dell'ambiente esterno dagli eventuali danni che l'attività può
provocare.
Essa è attuabile con l'applicazione da parte dei lavoratori delle
norme di buona tecnica, le quali si apprendono con la pratica e con
una mentalità tesa al rispetto di se stesso e degli altri.
In termini generali si può dire che la sicurezza, in una specifica
situazione lavorativa, da un lato tende alla individuazione ed alla
attuazione delle misure che sono necessarie e sufficienti per tutelare
l'integrità fisica delle persone e dall'altra al rispetto dei parametri di
qualità che il legislatore ha stabilito per l'ambiente esterno.
In particolare devono diventare pratica sociale l'art. 32 della
Costituzione che tutela la salute del cittadino come bene primario
della società; l'art. 437 del Codice Penale che condanna il datore di
lavoro che non solo determina il danno alla salute dei lavoratori
dipendenti, ma che soltanto determina un rischio nella organizzazione
2. del lavoro; l'art. 2087 del Codice Civile che obbliga il datore di lavoro
a mettere in atto tutti i sistemi di prevenzione tecnicamente
disponibili; l'art. 5 del Codice Civile che vieta ai lavoratori atti di
disposizione del proprio corpo, configurando l'ipotesi di reato per quei
lavoratori che accettino di sottoporsi a lavorazioni nocive.
Tutto questo è possibile solo attraverso l'applicazione del D.Lgs.
del 19 settembre 1994 n. 626, sulla tutela della salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro. Tale provvedimento viene ad incidere
profondamente sul vecchio sistema normativo basato sui decreti degli
anni 50, per la prevenzione degli infortuni.
L'applicazione di tale norma prevede misure generali di tutela
per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori, nonché
obblighi per il datore di lavoro e per il lavoratore.
3. INFORMAZIONE E FORMAZIONE
(lucido n° 2)
Cominciamo il nostro percorso formativo ponendoci le domande
che ciascun lavoratore e datore di lavoro deve porsi per dare seguito
agli obbiettivi previsti dal D.Lgs. 626/64.
1) Secondo la nostra esperienza, è vero che il lavoro ha la
potenzialità di arrecare un danno alla salute?
2) Se abbiamo risposto “SI” ed è molto probabile che questa sia la
nostra risposta; riteniamo che non vi siano possibilità per evitare
l’incresciosa evenienza?
3) Siamo in grado di indicare almeno tre valide motivazioni a
suffragio della nostra affermazione, dimostrando di non aver
risposto per una pur giustificabile suggestione?
4) Se riteniamo che il lavoro possa produrre effetti negativi sulla
salute, ma che la portata del fenomeno possa essere contenuta
almeno in parte; siamo in grado di indicare i metodi principali
utili al contenimento del danno?
4. 5) Siamo certi di conoscere le “regole” del lavoro sicuro?
6) Nell’espletamento della nostra attività, siamo certi di assumere
atteggiamenti e comportamenti che non compromettono la
possibilità di realizzare un lavoro sicuro?
I quesiti a queste domande trovano adeguate risposte negli
obblighi di informazione e formazione del lavoratore previsti da tutte
le leggi Italiane di tutela della salute in rapporto con il lavoro, dal
Decreto Presidenziale n° 303 del 1956 sino al Decreto Legislativo n°
626 del 1994 e successive integrazioni e modifiche.
In particolare, per la prevenzione dei danni di natura chimica,
secondo quanto sancito dalle norme vigenti, i produttori di sostanze
chimiche, i datori di lavoro e i lavoratori, devono rispettare precise
regole comportamentali.
5. OBBLIGHI DELLE AZIENDE PRODUTTRICI
(lucido n° 3)
In base alla normativa vigente, tutte le sostanze chimiche
devono essere accompagnate da una scheda tecnica di sicurezza e
riportando in etichetta le seguenti informazioni:
• Il nome commerciale e chimico del prodotto.
• Le principali caratteristiche chimiche e fisiche (punto di
ebollizione, densità, grado di purezza, ecc.).
• Le frasi di rischio sono costituite dalla lettere “R” seguite da un
numero. Ad ogni “R” corrisponde un rischio specifico (Es.: R49
può provocare il cancro per inalazione).
• Le frasi relative ai suggerimenti sono indicate con la lettera “S”
seguita da un numero. Ad ogni “S” corrisponde un consiglio per
contenere il rischio (Es.: S37 usare guanti adatti).
6. OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO
(lucido n° 4)
I datori di lavoro oltre all’obbligo di fornire al lavoratore una
adeguata informazione e formazione sui rischi specifici derivanti
dall’attività svolta, devono:
• Fare utilizzare solo prodotti chimici legali forniti di etichette
identificative con le frasi “R” ed “S”.
• Istituire un archivio delle schede tecniche di sicurezza.
• Redigere un eventuale schedario accessorio semplificato.
• Fare rispettare le procedure di sicurezza durante l’utilizzo dei
prodotti chimici.
• Mettere a disposizione dei lavoratori esposti i Dispositivi di
Protezione necessari a ridurre il rischio.
OBBLIGHI DEI LAVORATORI
7. (lucido n° 5)
I lavoratori sono tenuti a partecipare a tutti i programmi di
informazione e formazione organizzati dal datore di lavoro, nonché a
rispettare precise regole comportamentali che si possono riassumere
come segue:.
• Verificare sempre la legalità dei prodotti chimici utilizzati.
• Attenersi ai modi operativi suggeriti dalle schede di sicurezza.
• Prima di iniziare ad utilizzare le sostanze chimiche, verificare
l’efficienza dei Dispositivi di Protezione richiesti.
• Conservare i prodotti chimici in maniera congrua, secondo
quanto indicato dai consigli di prudenza (frasi S).
• Evitare di stoccare scorte di prodotti chimici in quantità
eccedenti i bisogni.
• Verificare periodicamente la stabilità dei prodotti stoccati.
8. Alcune sostanze, tra cui l’acido formico, se conservati per lunghi
periodi di tempo dopo la scadenza, possono far esplodere il
contenitore in vetro.
• Evitare tutte le azioni in grado di estendere le sedi del pericolo.
Operazioni non corrette in caso di stravaso di sostanze chimiche
pericolose possono determinare la diffusione di vapori in
ambienti adiacenti aumentando il rischio di esposizione. Inoltre,
alcune sostanze chimiche liberano vapori infiammabili e
possono formare miscele esplosive con l’aria. L’accensione di
tali miscele può realizzarsi a seguito di per azioni non corrette
del lavoratore o addirittura autoinnescarsi per contatto con altre
sostanze chimiche fortemente ossidanti o con alcuni acidi forti
concentrati.
• Smaltire i prodotti chimici secondo i criteri indicati nelle schede
di sicurezza e, comunque, sempre nel rispetto delle normative
vigenti.
• Consultare le schede di sicurezza in caso di incidente.
9. PERICOLO E RISCHIO CHIMICO
(lucido n° 6)
A questo punto per proseguire nel nostro percorso formativo è
necessario introdurre i concetti di “pericolo” e di “rischio”.
Il pericolo è la capacità intrinseca di una sostanza di determinare
un danno per azione indiretta o diretta sull’organismo umano.
La pericolosità indiretta si realizza per azione sull’ambiente
attraverso la catena alimentare. In questo caso, le sostanze chimiche
utilizzate, se smaltite in maniera non corretta, possono determinare
l’inquinamento degli ecosistemi con conseguente accumulo negli
organismi vegetali ed animali di cui si nutre anche l’uomo.
La pericolosità diretta si realizza per intimo contatto della
sostanza chimica con cute e mucose superficiali o attraverso la via
respiratoria, per inalazione, digestiva, per ingestione.
(lucido n° 7)
10. Il contatto degli agenti chimici con cute e mucose può avvenire
allo stato solido, liquido o aeriforme. Tra le sostanze solide capaci di
provocare un danno ritroviamo soprattutto alcuni alcali utilizzati in
laboratorio come l’idrossido di sodio e di potassio, mentre tra i liquidi
ricordiamo le soluzioni acide e basiche, numerosi solventi organici
alogenati e non alogenati, alcuni disinfettanti come la glutaraldeide, la
formaldeide, ecc.. Allo stato aeriforme, invece, ritroviamo
numerosissime sostanze che in forma di gas, vapori, polveri, nebbie o
fumi possono venire a contatto con la cute e le mucose superficiali
determinando lesioni irritative soprattutto a livello della congiuntiva.
Attraverso la via respiratoria le sostanze chimiche aerodisperse
possono raggiungere il torrente circolatorio e determinare effetti
sistemici interessando numerosi organi ed apparati. Gli effetti
determinati in questi casi possono essere di tipo acuto o cronico. I
primi si manifestano per esposizioni di breve durata ad elevate
concentrazioni ambientali di sostanze tossiche o irritanti, gli effetti
cronici, invece, si determinano per esposizioni prolungate a
concentrazioni più basse di quelle responsabili degli effetti acuti ma,
comunque, capaci di determinare patologie professionali.
11. L’ingestione accidentale o volontaria di sostanze chimiche può
determinare effetti locali a livello della mucosa digestiva o sistemici a
livello di numerosi organi o apparati. Anche se sembrerà strano,
l’ingestione accidentale di sostanze chimiche si verifica più
frequentemente nei laboratoristi esperti che non nei principianti.
L’esperienza comporta, in alcuni casi, una eccessiva sicurezza e
disinvoltura nell’esecuzione di operazioni pericolose tra cui il
pipettare con la bocca un acido non volatile come l’acido solforico.
12. CLASSIFICAZIONE DEI PERICOLI
(lucido n° 8)
In base al tipo di pericolo le sostanze chimiche possono essere
classificate in:
ESPLOSIVE
Sostanze che possono esplodere per effetto della fiamma o per
attrito o per urti.
Il metano può formare miscele esplosive con l’aria.
COMBURENTI
Sostanze o preparati che a contatto con altre sostanze ne
favoriscono l'infiammabilità con sviluppo di reazioni altamente
esotermiche.
L’ossigeno e il protossido d’azoto, gas diffusamente utilizzati
nelle strutture sanitarie, oltre ad essere ottimi comburenti, ad elevate
concentrazioni possono determinare effetti negativi sulla salute
umana. Quando in un ambiente la concentrazione di ossigeno
supera il tenore naturale del gas nell'aria peri al 21%, si è di fronte al
13. fenomeno noto col termine di sovraossigenazione; cioè
l'arricchimento in ossigeno dell'aria ambiente determinato da a fughe
di gas da una tubazione, da una valvola, da un riduttore, etc..
In un ambiente sovraossigenato con concentrazione di ossigeno
superiore al 23%, l'atmosfera deve essere considerata
particolarmente pericolosa per la salute umana.
Infine, l'ossigeno, pur non essendo infiammabile, in un ambiente
confinato può concentrarsi favorendo la combustione dei materiali
infiammabili. L’effetto comburente dell’ossigeno dipende dalla
concentrazione e dalla pressione; condizioni che si realizzano nelle
camere iperbariche per il trattamento di pazienti affetti da gangrena
gassosa o altre patologie che si giovano di un simile trattamento.
Inoltre, il contatto dell'ossigeno con oli e grassi può provocare
accensioni spontanee all'interno dei circuiti che convogliano il gas e,
in presenza di altri gas e vapori combustibili può formare miscele
esplosive.
Il protossido d’azoto è gassoso al di sopra 36.5°C pertanto, il
superamento di tale temperatura aumenta rapidamente la pressione
all'interno della bombola con il rischio di esplosione.
Come l’ossigeno, il protossido d’azoto, è un ottimo comburente
che in presenza di gas e vapori infiammabili può formare miscele
esplosive, e, per contatto con oli e grassi può provocare accensioni
spontanee all'interno dei circuiti di trasporto del gas stesso. Infine,
14. l'apertura rapida di una valvola ad alta pressione può provocare
l’accensione spontanea del riduttore di una bombola.
(lucido n° 9)
FACILMENTE INFIAMMABILI
1. Sostanze e preparati che a contatto con l'aria bruciano a
temperatura ambiente;
2. Sostanze o prodotti solidi che si accendono facilmente per
innesco (sorgente di accensione) e che continuano a bruciare
anche dopo l'allontanamento della sorgente che ha prodotto
l'accensione;
3. Sostanze e preparati liquidi con punto d'accensione inferiore a 21
°C;
4. Sostanze gassose che si infiammano a pressione e temperatura
atmosferica al solo contatto con l'aria;
5. Sostanze o composti che a contatto con l'acqua l'aria umida
sviluppano gas facilmente infiammabili.
15. INFIAMMABILI
Sostanze o composti liquidi con punto di accensione compreso
tra 21 e 55 °C.
(lucido n° 10)
NOCIVE
Sostanze che per inalazione, ingestione o contatto possono
comportare rischi di gravità limitata.
In ambito sanitario si utilizzano molto spesso sostanze nocive
tra cui numerosi disinfettanti diluiti.
TOSSICHE
Sostanze che per inalazione, ingestione o contatto possono
causare conseguenze gravi acute e croniche, nonché la morte.
Tra le sostanze tossiche utilizzate in ambito sanitario è doveroso
ricordare la formaldeide, la glutaraldeide, i gas e vapori anestetici,
alcuni coloranti e reagenti per la ricerca.
IRRITANTI
Sostanze che per contatto immediato o ripetuto con la cute e le
mucose, determina o può determinare reazioni di tipo infiammatorio.
16. Tra queste sostanze rientrano alcuni acidi e basi corrosive
fortemente diluiti in acqua.
CORROSIVE
Sostanze che per contatto con i tessuti per inalazione, ingestione
o contatto hanno un forte potere distruttivo.
Sono corrosivi numerosi acidi e basi usati allo stato puro o in
soluzione acquosa ad elevate concentrazioni, Alcune di queste
sostanze oltre all’azione corrosiva, a contatto con l’acqua dei tessuti,
danno origine a reazioni fortemente esotermiche con sviluppo di
calore e conseguente ustione dei tessuti..
Esistono, infine, sostanze che normalmente non hanno alcun effetto
nocivo sia sull'uomo che sugli animali, ma che possono determinare,
per contatto ripetuto, reazioni allergiche di diversa gravità.
17. RISCHIO CHIMICO
(lucido n° 11)
Il rischio è la probabilità che un pericolo di natura chimica si
traduca in danno per il lavoratore esposto.
Il pericolo risponde alla domanda PERCHE’?
Il rischio risponde alle domande:
CHI?
DOVE?
COME?
QUANDO?
(lucido n° 12)
CHI?
Quali sono lavoratori a carico dei quali un pericolo potenziale ha
probabilità, assolute o maggiori, di determinare l'insorgenza di un
danno?
In pratica, la risposta alla domanda "CHI?" consente di
distinguere coloro che hanno una specifica esposizione lavorativa al
pericolo (fattore di rischio specifico) da coloro che non hanno questa
18. esposizione o la realizzano per eventi accidentali e per periodi brevi.
DOVE?
Quali sono i luoghi di lavoro in cui sono riscontrabili i diversi
tipi di percolo?
La risposta a questa domanda consente di identificare la
pericolosità degli ambienti di lavoro in differenti situazioni lavorative.
In pratica, “DOVE?” consente di identificare il grado ed i tipi di
pericolosità per mansioni differenti.
(lucido n° 13)
COME?
Quali sono le cause che rendono possibile il passaggio da una
condizione solo potenziale di danno ad un'altra, in cui il danno si
realizza?
La risposta alla domanda definisce i fattori causali del rischio:
• Intensità dell'esposizione
• Durata dell'esposizione
• Modalità d'esposizione
19. QUANDO?
Quale è la prevedibilità del rischio?
La risposta alla domanda identifica il momento critico, in cui la
potenzialità del danno si trasforma in attualità.
In pratica, corrisponde alla definizione dell’evento singolo o del
cumulo di eventi, che condizionano la realizzazione del danno.
INDICE DI RISCHIO
(lucido n° 14)
L’indice di rischio ovvero la probabilità di insorgenza dei danni,
è direttamente proporzionale all’intensità e al tempo di esposizione, ed
è inversamente proporzionale alle modalità di esposizione.
I×T
IR = ----------
M
IR = Indice di Rischio
T = Tempo di Esposizione
I = Intensità dell’Esposizione
M = Modalità d’Esposizione (uso di dispositivi di protezione)
20. Figura n° 1
RAPPORTI TRA I PARAMETRI
Intensità Indice di Rischio
Durata Indice di Rischio
Modalità d’Esposizione Indice di Rischio
Come si evidenzia nella figura 1, relativamente ai rapporti
parametrici, l’indice di rischio, aumenta col progredire dell’intensità e
della durata dell’esposizione all’agente chimico e diminuisce con il
migliorare delle misure di protezione organizzative, ambientali e
personali.
21. CRITERI PER LA DEFINIZIONE DELL’INTENSITÀ
DI ESPOSIZIONE
(lucido n° 15)
Uno dei problemi più difficili da affrontare nella valutazione del
rischio, è la definizione del fattore “intensità dell’esposizione”.
L’entità di esposizione di un lavoratore ad un agente chimico
può essere valutata con metodi diretti ed indiretti.
METODO DIRETTO
Il metodo diretto per valutare l’intensità di esposizione di un
lavoratore ad un agente chimico prevede la ponderazione del grado di
inquinamento dell’aria nell’ambiente di lavoro.
I risultati ottenuti dalla misura degli inquinanti chimici aerodispersi,
vanno confrontati con i limiti previsti dall'ACGIH (American Conference
of Governmental Industrial Hygenists) ed adottati dall'Associazione degli
Igienisti Industriali Italiani.
I valori limite sono divisi in tre classi:
1) I limiti TLV - TWA rappresentano le concentrazioni medie degli
inquinanti, presenti nell'aria dell'ambiente lavorativo, alle quali si
presume, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, che la quasi
22. totalità dei lavoratori possa trovarsi giornalmente esposta senza
risentirne effetti genericamente nocivi. Tali limiti non escludono
temporanee escursioni delle concentrazioni ambientali al di sopra del
loro valore, purché compensate da equivalenti escursioni al di sotto di
tale valore.
2) I limiti TLV - STEL rappresentano le concentrazioni che possono
essere raggiunte dai vari inquinanti, per un periodo di tempo massimo
non superiore ai 15', e comunque, per non più di 4 volte al giorno e
con un intervallo tra ognuna di loro di almeno 60'.
3) I limiti TLV - CEILING corrispondono alla massima concentrazione
ammissibile (MAC) e rappresentano le concentrazioni che non
devono mai essere superate dalle sostanze che esplicano effetti acuti
sulla salute del lavoratore.
Nel caso della contemporanea presenza di più sostanze
inquinanti è necessario prendere in considerazione il loro effetto
cumulativo che può essere calcolato attraverso la sommatoria dei
rapporti tra le concentrazioni misurate ed i rispettivi limiti con la
seguente formula.
23. C1 C2 Cn
------ + ------ + ........... + ------ < 1
T1 T2 Tn
Dove:
C = concentrazione ambientale singole sostanze
T = valore limite di soglia.
Se la somma dei rapporti di concentrazione/limiti risulta
superiore all’unità, il lavoratore risulta professionalmente esposto
anche se nessuna delle sostanze monitorate ha superato il rispettivo
limite di sicurezza.
(lucido n° 16)
A titolo di esempio, nella seguente tabella n° 1, viene riportata
l’esposizione contemporanea a più sostanze chimiche presenti
contemporaneamente nell’ambiente di lavoro. Come si può osservare,
le concentrazioni delle singole sostanze, misurate in ppm, non
superano i rispettivi limiti, ma, siccome la sommatoria dei rapporti
concentrazione/limite supera notevolmente l’unità il lavoratore che
opera in un simile ambiente deve, comunque, ritenersi
professionalmente esposto.
24. Tabella n° 1
INQUINANTE RISULTATO VALORE LIMITE
PPM PPM
C1) PROTOSSIDO D’AZOTO 35 50
C2) FORMALDEIDE 0,2 0,3
C1 C2
------ + ------ 1,36 <1
T1 T2
Il metodo diretto è applicabile solo per le sostanze
aerodiffusibili assorbite per via inalatoria. Quando una sostanza può
essere assorbita anche attraverso la cute e le mucose superficiali, oltre
al monitoraggio ambientale è necessario effettuare la ricerca di
eventuali indicatori biochimici d’esposizione nei liquidi biologici o
nell’aria alveolare.
25. METODO INDIRETTO
(lucido n° 17)
Il metodo indiretto si fonda sul criterio aritmetico di
moltiplicazione tra indicatori selezionati specificamente rappresentati
da:
• quantità di prodotti chimici consumati in periodi di tempo definiti;
• quantità manipolate nelle singole operazioni;
• la frequenza delle attività con singoli prodotti chimici;
• la durata delle operazioni svolte con singoli prodotti chimici;
• contemporaneità d’uso di più prodotti chimici, anche da parte di
operatori diversi.
Questo tipo di approccio risulta molto utile quando il rischio
deve essere valutato per sostanze usate sporadicamente o che non
determinano inquinamento dell’aria o che non sono assorbite per la
via inalatoria.
26. DEFINIZIONE DELLA CLASSE DI RISCHI
La classe di rischio corrisponde al prodotto tra l’indice di
pericolo IP e l’indice di rischio IR.
L’indice di pericolo è funzione della gravità degli effetti attesi e
dipende dalle proprietà della sostanza adoperata.
L’indice di rischio dipende, come abbiamo visto
precedentemente, dall’intensità, dalla durata dell’esposizione e dalle
modalità d’uso.
GRADUAZIONE DEI PERICOLI
(lucido n° 18)
In tabella n° 2 sono elencate le classi di pericolo in base alla
gravità degli effetti prodotti dalle sostanze chimiche.
Come si può osservare alla Classe IV appartengono tutte quelle
sostanze ritenute cancerogene, teratogene, mutagene e sostanze dotate
di tossicità e cumulabilità particolarmente elevata.
Alla classe III appartengono tutte le sostanze altamente tossiche
utilizzati in ambito sanitario, nonché i gas e vapori anestetici.
27. Alle ultime due classi di pericolo appartengono, rispettivamente,
le sostanze chimiche tossiche, come alcuni disinfettanti impiegati in
ambito sanitario, e nocive.
Tabella n° 2
GRADUAZIONE DEI PERICOLI SECONDO LA
CLASSE DI APPARTENENZA
Classe Tipo di sostanza adoperata
Sostanze cancerogene R45 – R49
IV Sostanze teratogene R46 – R47 da R60 a R64
Farmaci citostatici (sospetti cancerogeni)
Sostanze altamente tossiche da R26 a R29,
III R32 – R33, da R39 a R41, R48
Gas e vapori anestetici
Sostanze tossiche da R23 a R25, R31 – R34 -
II
R35 – R42 – R43
I Sostanze nocive da R20 a R22, da R36 a R38
MISURA DEL RISCHIO
(lucido n° 19)
28. La definizione della classe di rischio è la condizione essenziale
alla realizzazione del contenimento del rischio.
In rapporto diretto con la progressione delle classi di rischio,
diventa necessario dotare gli ambienti di lavoro e i lavoratori di
dispositivi di contenimento più sofisticati ed efficaci.
Nella tabella n°3 sono elencate quattro classi di rischio
individuate in base al tipo di sostanza utilizzata, ai consumi ed alla
durata dell’esposizione.
Come si può osservare, le sostanze cancerogene, teratogene e/o
mutagene sono inserite in classe IV a prescindere dai consumi e dalla
durata dell’esposizione in quanto per tali sostanze anche da sola
esposizione può derivarne un danno al lavoratore. Le sostanze
altamente tossiche e i gas anestetici sono inseriti in IV classe solo per
se l’esposizione è continua e si realizza a concentrazioni elevate,
altrimenti, sono inquadrati nella classe III se i consumi sono medi e
l’esposizione discontinua.
Alla classe II appartengono le sostanze altamente tossiche e i gas
anestetici se i consumi sono bassi e l’esposizione sporadica, mentre le
sostanze tossiche e nocive sono incluse in classe II per consumi,
rispettivamente medi e molto alti con esposizione discontinua, nel
primo caso, e continua, nell’altro.
In classe I sono inserite le sostanze tossiche, se poco utilizzate, e
le sostanze nocive.
29. Tabella n° 3
Classe Tipo di sostanza adoperata Consumi Esposizione
• Sostanze cancerogene R45 – R49
• Sostanze teratogene R46 – R47
da R60 a R64 Indifferente Indifferente
• Farmaci citostatici (sospetti
IV cancerogeni)
• Sostanze altamente tossiche da
R26 a R29, R32 – R33, da R39 a
Alti Continua
R41, R48
• Gas e vapori anestetici
• Sostanze altamente tossiche da
R26 a R29, R32 – R33, da R39 a
Medi Discontinua
R41, R48
III • Gas e vapori anestetici
• Sostanze tossiche da R23 a R25,
Alti Continua
R31 – R34 - R35 – R42 – R43
• Sostanze altamente tossiche da
R26 a R29, R32 – R33, da R39 a
Bassi Sporadica
R41, R48
• Gas e vapori anestetici
II • Sostanze tossiche da R23 a R25,
Medi Discontinua
R31 – R34 - R35 – R42 – R43
• Sostanze nocive da R20 a R22,
Molto alti Continua
da R36 a R38
• Sostanze tossiche da R23 a R25,
Bassi Sporadica
R31 – R34 - R35 – R42 – R43
I • Sostanze nocive da R20 a R22,
Medi Discontinua
da R36 a R38
RISCHIO RESIDUO
30. (lucido n° 20)
Il rischio residuo è la percentuale di rischio che permane,
nonostante l’uso di misure di contenimento, oppure la percentuale di
rischio che scaturisce dall’insufficienza delle misure richieste.
MISURE DI CONTENIMENTO
Sono dispositivi utilizzati al fine di contenere l’impatto dei rischi
sull’uomo e sull’ambiente.
La riduzione del rischio negli ambienti di lavoro, può essere
realizzata rafforzando tutti i dispositivi di protezione utilizzali dal
lavoratore.
(lucido n° 21)
Le misure di contenimento, sintetizzate in tabella n° 4, sono
classificabili in:
• Dispositivi che riguardano l’organizzazione del lavoro e che
hanno un’efficacia di circa il 33%;
• Dispositivi di Protezione Ambientale che comportando una
riduzione del rischio di oltre il 50%, rappresentano le misure di
contenimento più efficaci.
• Dispositivi di Protezione Individuale capaci di ridurre il rischio
del 17%;
31. Tabella n° 4 MISURE DI CONTENIMENTO
Misura Efficacia
1.Organizzazione del lavoro 33 %
2. Dispositivi di protezione
50 %
ambientale
3.Dispositivi di protezione 17 %
individuale
GESTIONE DEL RISCHIO
Dalla corretta individuazione ed applicazione delle misure di
contenimento è possibile realizzare un sistema efficiente per la
corretta gestione del rischio consistente:
1) Nella individuazione delle misure di sicurezza richieste in
rapporto con le classi di rischio.
32. 2) Nella richiesta e nell’approvvigionamento costante di quanto
richiesto per l’attuazione delle misure di sicurezza.
3) Nella verifica del corretto uso dei sistemi di protezione.
MISURE DI CONTENIMENTO DEL RISCHIO
MISURE ORGANIZZATIVE
(lucido n° 22)
Le misure di contenimento del rischio si attuano mediante
Dispositivi di Protezione Organizzativi, Ambientali e Personali, In
33. tabella 5 sono riportate le misure di contenimento organizzative da
attuare in rapporto alle classi di rischio,
Come si può osservare in tabella n° 5 l’eliminazione delle
sostanze cancerogene è la misura organizzativa cui devono tendere gli
interventi correttivi. Essa richiede l’uso di sostanze con analoghe
caratteristiche di resa, ma prive di una dimostrata azione cancerogena.
Qualora la misura sia in concreto non realizzabile, è necessario
mettere in atto tutte le misure di contenimento previste.
Relativamente alle schede di sicurezza è necessario che esse
contengano tutte le notizie previste dalle ultime Normative in materia
di sicurezza. In particolare, devono riportare chiaramente le specifiche
circa la natura chimica delle sostanze, le frasi di rischio “R” e i
consigli “S”, le indicazioni sulla tossicità acuta e cronica, i rimedi di
pronto soccorso da porre in atto in caso di contatti accidentali, le
modalità di trattamento e decontaminazione in caso di imbrattamento
accidentale dei luoghi di lavoro e le modalità di stoccaggio ed
eliminazione come rifiuto.
Per esposizione a rischio in classe IV è necessario allestire un
registro degli esposti dandone comunicazione all’ASL territorialmente
competente, nonché all’Ispettorato Provinciale del Lavoro.
Nei laboratori chimici, a prescindere dall’entità del rischio,
l’accesso delle persone non addette deve essere regolamentato ed in
alcuni casi vietato.
34. I locali a “rischio chimico” vanno indicati con apposita
segnaletica di sicurezza delimitando le zone in classe I e II o
confinando quelle in classe superiore.
Utile è la vigilanza, mediante ispezioni periodiche, del rispetto
delle norme di buona prassi da parte personale di laboratorio che deve
necessariamente utilizzare i dispositivi di protezione messi a loro
disposizione.
Tabella n° 5
NECESSITÀ
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
ORGANIZZATIVI
Classi di rischio
IV III II I
Eliminazione dell’uso di sostanze
cancerogene
SI
Schede di sicurezza delle sostanze SI SI SI SI
• Registro degli esposti SI
• Individuazione degli esposti SI SI SI
Regolamentazione degli afflussi dei non SI SI SI SI
35. addetti
Etichettatura dei locali SI SI SI SI
Segnaletica di pericolo SI SI SI SI
• Confinamento della zona a rischio SI SI
• Delimitazione della zona a rischio SI SI
Vigilanza sulle norme comportamentali SI SI SI SI
Smaltimento corretto dei rifiuti SI SI SI SI
Informazione/formazione e gestione del
rischio
SI SI SI SI
(lucido n° 23)
Lo smaltimento dei rifiuti di laboratorio deve avvenire nel
rispetto di quanto previsto D.Leg.vo n° 22 del 5 febbraio 1997
“Attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti; 91/689/CEE sui
rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di
imballaggio”.
I rifiuti che con la vecchia normativa venivano classificati come
Tossici e Nocivi sono definiti, dal Decreto Ronchi, come pericolosi.
36. I rifiuti potenzialmente pericolosi, prodotti in ambiente sanitario,
derivano quasi esclusivamente dai laboratori di analisi e/o di ricerca.
Per tali tipologie di rifiuto occorre procedere rispettando precise
regolo comportamentali a tutela del lavoratore e di coloro che sono
addetti alla raccolta, al trasporto ed allo smaltimento dei liquidi di
laboratorio.
Di seguito si riportano le principali procedure da adottare per il
corretto stoccaggio ed allontanamento dei rifiuti potenzialmente
pericolosi:
1. I rifiuti (liquidi) vanno raccolti in appositi contenitori rigidi da 5,
10 o 25 lt tenuti all'interno del laboratorio in luogo protetto da
eventuali rischi;
2. Ogni contenitore deve essere contrassegnato con il segnale di
rischio chimico e con il codice europeo rifiuto;
3. E’ vietato miscelare categorie diverse di rifiuto o rifiuti
pericolosi con non pericolosi. La Regione può in alcuni casi
autorizzare la miscelazione dei rifiuti;
4. Il Deposito Temporaneo dei rifiuti pericolosi (ex stoccaggio
provvisorio) è consentito alle seguenti condizioni:
37. a) I rifiuti non devono contenere PCDD, PCDF in concentrazione
superiore a 2.5 ppm o PCB' s e PCT in concentrazione superiore
a 25 ppm.
b) La durata massima di deposito è di due mesi e, in ogni caso, il
volume di rifiuto accumulato non deve superare i 10 mc;
c) Il deposito deve essere effettuato per tipi omogenei di rifiuto.
5. Le strutture che producono rifiuti pericolosi devono dotarsi di
registro di caico/scarico rifiuti;
6. La cadenza minima di annotazione sul registro deve essere
settimanale; la registrazione va, comunque effettuata, in
occasione di ogni movimentazione.
7. Il registro va conservato per almeno 5 anni dall'ultima
annotazione.
Il formulario di identificazione, controfirmato e datato in arrivo
dal destinatario deve essere ricevuto entro tre mesi dalla data di
conferimento del rifiuto al trasportatore. In caso contrario, la
Direzione Sanitaria, deve comunicare alla Regione la mancata
38. ricezione del formulario, in tal modo la struttura, produttrice del
rifiuto, si solleva da ogni responsabilità (art. 10) del Decreto Ronchi.
MISURE DI CONTENIMENTO AMBENTALI
(lucido n° 24)
Le misure di contenimento ambientali in rapporto alla classe di
rischio sono elencate in Tabella N° 6.
Come si può osservare il ciclo di lavoro chiuso costituisce
l’intervento ambientale, cui corrisponde l’azzeramento del rischio è
39. riservato esclusivamente ai laboratori che utilizzano sostanze
cancerogene.
L’uso di cappe a flusso laminare è richiesto in classe di rischio
IV, durante la preparazione di farmaci antiblastici, oppure in classe III
durante l’uso di reattivi altamente tossici.
Le cappe aspiranti chimiche sono previste per la classe di rischio
II, mentre nella classe I è sufficiente una buona aerazione forzata dei
locali mediante l’applicazione di una o più ventole alle finestre.
Per la sicurezza collettiva è, inoltre, dotare i laboratori di un
numero sufficiente di docce, lavabi, boccette lava-occhi e lavabi.
Lo stoccaggio dei reattivi deve essere effettuato in ambienti a
totale ricambio d’aria o in armadi con aerazione forzata per le sostanze
molto tossiche, cancerogene, mutagene e/o teratogene, mentre è
necessario uno stoccaggio compatibile per gli altri reagenti.
Lo “stoccaggio compatibile” è una misura relativamente
semplice, consistente nella fruibilità di locali o armadi di deposito, in
cui si conservano separatamente sostanze chimiche in grado di reagire
tra loro dando luogo alla formazione di miscele infiammabili o
addirittura esplosive.
Le superfici dei locali adibiti a laboratorio e i piani di lavoro
devono essere resistenti agli agenti fisici, come il calore o la fiamma
diretta, e agli agenti chimici, come solventi, acidi ed alcali, utilizzati
40. dagli operatori; inoltre tutte le superfici devono essere lisce e
facilmente decontaminabili.
Il monitoraggio ambientale è sicuramente uno dei punti più
importanti per l’applicazione di altre misure di contenimento
individuali, organizzative ed ambientali. La misura dell’inquinamento
dell’aria negli ambienti di lavoro è indispensabile per le sostanze
volatili ed appartenenti alle classi di pericolo più elevate.
Tale misura non è indispensabile per le classi di rischio più basse
come la I e la II.
Tabella n° 6
NECESSITÀ
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
AMBIENTALI
Classi di rischio
IV III II I
Ciclo di lavorazione chiuso SI
41. • Cappe a flusso laminare SI SI
• Cappe aspiranti SI
• Aspiratori a finestra SI
• Stoccaggio in ambienti a totale
ricambio d’aria oppure in armadi con SI SI
aspirazione
• Stoccaggio separato o compatibile SI SI
Superfici di lavoro, pareti e pavimenti
resistenti ad acidi, alcali e solventi
SI SI SI SI
Ponderazione del grado di inquinamento
interno
SI SI SI* SI*
* Non indispensabile
MISURE DI CONTENIMENTO INDIVIDUALI
(lucido n° 25)
L'informazione preventiva circa i rischi legati al tipo di attività
ed alle operazioni che vengono normalmente effettuate ha importanza
42. rilevante circa la scelta delle misure preventive da porre in atto per
ridurre gli incidenti sul lavoro.
Oggi la tecnologia mette a disposizione dei lavoratori materiali
resistenti contemporaneamente a più insulti di natura chimica. In
particolare, è possibile contenere il rischio con l’uso di idonei
dispositivi di protezione. Come si evidenzia in tabella n° 7, è possibile
proteggersi dalle sostanze molto tossiche, cancerogene e altamente
corrosive con sovracamici e camici costituiti da tessuti di materiali
speciali altamente resistenti agli agenti chimici. Analogamente sono
disponibili idonei calzari per la protezione di piedi e gambe, occhiali
dotati di barriera laterale, schermi protettivi e guanti
antiacido/antisolvente. Inoltre, sono disponibili maschere dotate di
uno o più filtri chimici a carboni attivi a differente livello di
protezione.
In particolare, i dispositivi di protezione devono essere garantiti
dalle aziende produttrici e devono fornire, al lavoratore, una
protezione adeguata senza incidere negativamente sulla sua possibilità
di movimento.
I Dispositivi di Protezione della cute e delle mucose, destinati a
evitare contatti superficiali di tutto il corpo o di una parte di esso con
sostanze pericolose, devono impedire la penetrazione o la diffusione
di tali sostanze attraverso l'involucro di protezione nelle condizioni
prevedibili d'impiego.
43. A tal fine, i materiali costituenti e gli altri componenti di questo
tipo di DPI devono essere scelti o concepiti e combinati in modo da
garantire per quanto possibile una chiusura ermetica totale che ne
consenta, se necessario, un uso quotidiano eventualmente prolungato
o, in caso contrario, una chiusura stagna limitata con conseguente
limitazione della durata d'impiego.
I DPI destinati a proteggere le vie respiratorie devono fornire
all'utilizzatore aria respirabile quando è esposto ad un'atmosfera
inquinata.
L'aria respirabile fornita all'utilizzatore dal DPI è ottenuta
generalmente mediante filtrazione dell'aria inquinata attraverso filtri
per l’eliminazione delle particelle sospese e/o carboni attivi per
trattenere vapori tossici.
I materiali costitutivi dei componenti di questi Dispositivi di
Protezione Individuali, devono essere scelti o progettati e strutturati in
modo che la funzione e l'igiene delle vie respiratorie dell'utilizzatore
siano assicurate durante tutto il periodo di utilizzazione, nelle
condizioni prevedibili di impiego.
Tutti i Dispositivi di Protezione Individuale devono possedere
un marchio d'identificazione del fabbricante e un'etichetta con le
caratteristiche di ciascun tipo di dispositivo in modo tale da permettere
44. a qualsiasi utilizzatore qualificato, con l'ausilio delle istruzioni per
l'uso, di farne un impiego appropriato.
Oltre ai suddetti Mezzi di Protezione Individuale è necessaria la
presenza di cassette di pronto soccorso poste in posizione facilmente
accessibile, nonché di idonei mezzi estinguenti, coperte antifiamma e
segnaletica di sicurezza adeguata alla normativa vigente.
Tabella n° 7
45. NECESSITÀ
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
INDIVIDUALI
Classi di rischio
IV III II I
Sovracamici monouso SI SI
• Camici impermeabili acido-resistenti SI SI
• Camici specifici da lavoro SI SI
• Scarpe impermeabili, antiacido o
antisolvente SI SI
• Scarpe da divisa SI SI
• Guanti antiacido ed antisolvente SI SI
• Guanti impermeabili SI SI
• Mascherine filtranti a doppia
filtrazione chimica SI
• Mascherine filtranti a filtrazione SI SI
chimica
• Mascherine filtranti semplici SI
• Occhiali di protezione con barriere
laterali SI SI
• Occhiali di protezione SI SI
IL RISCHIO CHIMICO NELLE STRUTTURE
SANITARIE
(lucido n° 26)
46. A questo punto è bene proseguire il nostro cammino formativo
con degli esempi relativi al rischio in alcune attività che si svolgono in
ambito sanitario.
Come abbiamo visto, nei laboratori di ricerca, in alcuni servizi di
diagnosi e cura e nelle chirurgie si utilizzano sostanze chimiche nei
diversi stati fisici di solido, liquido e aeriforme. In particolare,
possiamo distinguere:
Sostanze molto tossiche o potenzialmente cancerogene, come
alcuni coloranti, impiegati nei servizi di anatomia patologica; i
farmaci citostatici utilizzati nei reparti di oncologia.
(lucido n° 27)
Sostanze tossiche come alcuni disinfettanti, utilizzati per la
disinfezione di presidi medico-chirurgici o dell’ambiente, reattivi di
laboratori di ricerca e le sostanze impiegate per l’anestesia inalatoria.
PERICOLOSITÀ DELLE SOSTANZE
UTILIZZATE IN AMBIENTE SANITARIO E
CATEGORIE INTERESSATE
47. • Sostanze molto tossiche
• Sostanze potenzialmente cancerogene
Coloranti in laboratori
di Anatomia Patologica Farmaci antitumorali
e Istologia
Personale addetto Infermieri addetti alla
alle colorazioni preparazione ed alla
PERICOLOSITÀ DELLEsomministrazione
SOSTANZE
UTILIZZATE IN AMBIENTE SANITARIO E
CATEGORIE INTERESSATE
Sostanze tossiche
48. Anestetici Disinfettanti e Reattivi chimici
volatili Sterilizzanti: di laboratorio
• glutaraldeide
• benzalconio cloruro
• perossido d'idrogeno
• ossido di etilene
• clorexidina
• ipoclorito di sodio
• aldeide formica
Anestesisti • Chirurghi Tecnici di
Chirurghi • Infermieri laboratorio
Infermieri di S.O. • Tecnici
RISCHIO CHIMICO DA ANESTETICI VOLATILI
(lucido n° 28)
Le sostanze impiegate per l’anestesia inalatoria, riportate in
tabella n° 8, sono costituite da sostanze volatili a temperatura
49. ambiente come l’isoflurano, l’enflurano, l’alotano o il più recente
sevoflurano.
Le principali vie di contaminazione del lavoratore sono costituite,
oltre alla via inalatoria, anche dal contatto cutaneo/mucoso e dalla via
digestiva per ingestione volontaria a scopo di suicidio.
L’altro anestetico inalatorio, il protossido d’azoto, è un gas a
temperatura ambiente, pertanto, viene assorbito ed è tossico, solo
attraverso la via respiratoria.
Tabella n° 8 GAS E VAPORI ANESTETICI
ANESTETICO VIE DI CONTAMINAZIONE
Vapori alogenati Inalazione (vapori e aerosol)
• Isoflurano Contatto cutaneo
• Enflurano Contatto con le mucose
50. • Alitano
Ingestione
• Sevoflurano
Gas anestetici
Inalazione
• Protossido d’azoto
Gli anestetici gassosi, come riportato in tabella n° 9, sono dotati
di tossicità parenchimale imputabile al grado di biodegradazione,
differente per ciascun composto, ed alla possibile formazione di
radicali liberi, nonché di metaboliti intermedi reattivi.
Le principali patologie segnalate in letteratura vanno da lievi
sintomatologie (astenia, sonnolenza, nausea e cefalea) fino a
disfunzioni organiche che, anche se non ancora ben correlate, vengono
verosimilmente assimilate a danni epatobiliari, malattie del sistema
reticoloendoteliale e diminuzione delle difese immunitarie.
Tabella n° 9 Effetti tossici da gas e vapori anestetici
Sintomatologia lieve Tossicità parenchimale
• Astenia
• Sonnolenza • Danni epatobiliari
51. • Nausea
• Cefalea • Malattie del sistema
reticoloendoteliale
• Riduzione delle
capacità cognitive, • Riduzione delle difese
percettive e motorie immunitarie
(lucido n° 29)
Il contenimento del rischio chimico nelle sale operatorie,
essendo gli anestetici sostanze aerodiffusibili, è legato essenzialmente
all’efficienza dei sistemi di aspirazione e ricambio dell’aria.
L'ambiente chimico delle sale operatorie è quindi strettamente
correlato con la ventilazione ed al conseguente numero di ricambi
d'aria.
Lo standard igienistico che tradizionalmente viene utilizzato
come indice di qualità, è l'indice antracometrico basato sulla stima
della CO2 raggiungibile nell'ambiente in piena attività. Il limite di
riferimento è di 1000 ppm, anche se oggi ci si orienta su valori non
superiori allo 0.08% pari a 800 ppm.
La qualità dell'aria nelle sale operatorie, oltre alla percentuale di
anidride carbonica, è, come abbiamo più volte ribadito,
prevalentemente correlata alla dispersione di contaminanti ambientali
tra cui, i più importanti, sono i gas anestetici. La loro dispersione
52. nell'ambiente è funzione di numerosi fattori inerenti le caratteristiche
delle apparecchiature, il tipo di anestesia, la durata dell'intervento, il
comportamento dell'èquipe anestesiologica, l'efficienza del sistema di
condizionamento ed in particolare il numero di ricambi d'aria orari.
(lucido n° 30)
Le concentrazioni limite per gas anestetici nelle sale operatorie,
sono basati, oltre che sulla tossicità delle singole sostanze, anche sulla
possibilità tecnologica di contenere al massimo l’inquinamento
ambientale. Come si può osservare nel seguente lucido, per le sale
operatorie più vecchie, antecedenti alla Circolare Ministeriale n° 5/89
dell’allora Ministero della Sanità, i limiti sono basati sulla tossicità
delle singole sostanze; infatti, i limiti sono quelli dell’ACGIH di 100
ppm, per il protossido d’azoto, e 50 ppm per gli anestetici alogenati.
Nel caso, invece, di sale operatorie costruite o ristrutturate dopo
il 1998 il limite, questa volta tecnico, è di 50 ppm, per il protossido
d’azoto, e 2 ppm per gli anestetici alogenati.
Oltre ai limiti la Circolare n° 5/89 del Ministero della Sanità
definisce i criteri di campionamento ed analisi degli inquinanti
nell'aria delle sale operatorie, nonché la frequenza, almeno semestrale,
dei controlli.
53. La metodologia più idonea per seguire l'andamento nel tempo
degli inquinanti in sala operatoria è quella che prevede l'uso di
analizzatori portatili capaci di campionamento ed analisi in continuo.
(lucido n° 31)
Tra le diverse tecniche di rilevamento, utilizzabili da analizzatori
portatili, quelle che presentano maggiore affidabilità sono: La
spettrofotometria IR per assorbimento molecolare, la spettrofotometria
fotoacustica ad infrarossi e la gas-cromatografia capillare con detector
a termoconducibilità.
La spettrofotometria IR in assorbimento molecolare e la gas-
cromatografia capillare consentono di dosare i gas e vapori anestetici
con una sensibilità non inferiore ad 1 ppm, mentre con la tecnica
fotoacustica in IR la sensibilità scende a circa 0.01 ppm.
Una maggiore sensibilità, se richiesta, è possibile con la tecnica
gas-cromatografica, utilizzando un detector del tipo ECD che, stando
alle norme vigenti, non può essere impiegato su apparecchiature
portatili in quanto dotato di una sorgente radioattiva di Ni63
Con tali apparecchiature, oltre alla misura del TWA è possibile
valutare la variazione di concentrazione degli inquinanti ad intervalli
prestabiliti, da 5 ad un massimo di 15 minuti, ottenendo un grafico dal
cui esame è possibile desumere le seguenti informazioni:
54. • Numero delle induzioni desumibile dal numero dei picchi registrati
• Efficienza del sistema di ventilazione desumibile dalla pendenza del
picco che indica la caduta di concentrazione dell'anestetico.
In sintesi possiamo dire che nel controllo delle sale operatorie è
consigliabile procedere secondo i seguenti punti:
1) controllo della tenuta del gruppo anestesiologico, mediante la
rilevazione della presenza di perdite di gas anestetici (il protossido
di azoto si usa come indicatore).
2) Controllo, almeno semestrale, dell'inquinamento ambientale
mediante:
• Rilevamento e dosaggio contaminanti aerodispersi
• Rilevamento e valutazione dell'esposizione ai contaminanti
aerodispersi in espirato, sangue e/o urine del personale esposto.
Il controllo dell'ambiente chimico si può realizzare mediante:
1. Metodi diretti di campionamento ed analisi, che prevedono la
misura diretta della concentrazione dei gas anestetici nell'aria
55. utilizzando analizzatori portatili quali spettrofotometri IR o
gascromatografi dotati di detector a termoconducibilità.
2. Metodi indiretti che prevedono il campionamento degli
inquinanti aerodispersi nelle sale operatorie e la successiva
analisi in laboratorio. In tal caso si impiegano campionatori
personali attivi e passivi per l’adsorbimento su carboni attivi o
altri adsorbenti degli anestetici gassosi.
3. Monitoraggio in continuo mediante l'installazione nella sala
operatoria di un rivelatore automatico che misura istante per
istante la concentrazione del solo protossido d’azoto. Tale
sistema è utile per segnalare agli operatori il superamento della
concentrazione limite.
4. Il monitoraggio biologico dei gas anestetici si effettua mediante
analisi della concentrazione dei gas anestetici nelle urine e
nell'aria alveolare del personale di sala operatoria.
(lucido n° 32)
È consigliato effettuare tale controllo almeno una volta ogni 6
mesi, soprattutto se si superano i limiti ambientali previsti dalla
Circolare n0 5/89. Il dosaggio si può effettuare al termine
dell'attività (almeno 4 ore) giornaliera e/o all'inizio dell'attività set-
56. timanale ed alla fine.
In tabella n° 10 sono riportati i valori di riferimento per
l’alotano alveolare (0,5 ppm), per l’isoflurano urinario 18 nM/l e
per il protossido d’azoto urinario.
Tabella n° 10 VALORI DI RIFERIMENTO (Circ. Min. n°
5/89)
PARAMETRO LIMITI
Alotano alveolare 0.5 ppm
Isoflurano urinario 18 nMoli/l
Protossido d’Azoto urinario 27 mcg/l*
Protossido d’Azoto urinario 55 mcg/l**
* SALE OPERATORIE COSTRUITE DOPO il 1989
** SALE OPERATORIE COSTRUITE PRIMA DEL 1989
RISCHIO CHIMICO DA FARMACI ANTIBLASTICI
L'esposizione del personale ospedaliero a farmaci antiblastici è,
ormai, riconosciuta come un potenziale fattore di rischio sulla base
57. della documentata capacità di questi farmaci di indurre effetti tossici
acuti anche a piccole dosi, quali reazioni di tipo infiammatorio
allergico a carico della cute, delle mucose delle prime vie aeree, della
congiuntiva e, nelle forme più gravi, anche asma bronchiale e shock
anafilattico.
Oltre agli effetti acuti è stata evidenziata un'associazione,
statisticamente significativa, tra esposizione a farmaci citostatici nel
1° trimestre di gravidanza ed aumento degli aborti, mentre non
esistono ancora, in letteratura, risultati definitivi sulle associazioni tra
manipolazioni di antiblastici ed aumentata frequenza di malformazioni
congenite e sugli effetti mutageni che tali sostanze potrebbero indurre
negli esposti.
E' importante sottolineare che, nell'ultimo decennio,
l'introduzione di nuovi protocolli terapeutici che prescrivono l'uso di
antiblastici ad alte dosi ha comportato un notevole incremento nel
consumo degli stessi.
La contaminazione dell’operatore interessa le diverse fasi della
manipolazione del farmaco e può avvenire con i seguenti meccanismi:
• Inalazione di aerosol, polveri, vapori
• Contatto cutaneo
• Contatto mucoso e delle congiuntive
58. • Ingestione
Le prime tre modalità di contaminazione sono le più frequenti,
mentre ingestione, da intendersi accidentale, può essere legata
all’assunzione di cibi e bevande contaminate o in seguito a tentativi di
suicidio.
In particolare, durante la preparazione delle soluzioni iniettabili,
può aversi contaminazione dell'addetto per formazione di vapori,
aerosol, deflussione di gocce o versamenti (per es. durante l'apertura
delle fiale, il riempimento della siringa, la rimozione dell'ago dai
flaconcini dei farmaci, il trasferimento del farmaco nel flacone per
fleboclisi).
Un rischio elevato di contatto accidentale con i farmaci
antiblastici è possibile nella fase di somministrazione durante
l’espulsione dell'aria dalla siringa oppure nelle operazioni di
smaltimento dei residui e del materiale utilizzato per la preparazione e
la somministrazione.
I principali gruppi di chemioterapici utilizzati nella terapia
antitumorale sono rappresentati da:
• agenti alchilanti (ciclofosfamide, cisplatino, carboplatino, ecc.)
59. • antimetaboliti (azatiopirina, fluorouraci le, methotrexate, ecc.)
• antimitotici (vincristina, vinblastina)
• antibiotici (actinomicina, adnamicina, bleomicina, daunomicina)
• enzimi (L-asparaginasi).
La maggior parte di queste sostanze é risultata mutagena
cancerogena e teratogena in sistemi sperimentali. Inoltre, molti
farmaci antineoplastici sono dotati in generale di potere irritante a
carico della cute e delle mucose e possono provocare effetti tossici
locali (flebiti, allergie, necrosi dei tessuti) e sistemici (allergie,
tossicità su organi).
In tabella 1 sono indicati gli effetti locali di alcuni farmaci
antiblastici in caso di stravaso e contatto con la cute e le mucose
dell'operatore.
Tabella n° 1: Effetti locali di alcuni farmaci antiblastici
NON IRRITANTI VESCICANTI
VESCICANTI
60. NON IRRITANTI
L-Asparaginasi Carmustina Doxorubicina
Ciclofosfamide Cisplatino Etoposide
Bleomicina 5-Fluorouracile Mitomicina C
Methotrexate Dacarbazina Mitoxantrone
Vincristina
Vinblastina
Vindesina