5. Anno della Fede 2012‐2013
Presentazione introduttiva
dell’itinerario diocesano
Con il Motu proprio “Porta Fidei” dell’11 ottobre 2011, papa Benedetto
XVI ha indetto l’Anno della Fede per il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La
nostra Arcidiocesi di Pescara‐Penne intende proporre a tutte le parrocchie e
le realtà ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede.
L’intenzione è di attingere ai due pilastri della nostra fede: la Sacra Scrittura
e la Tradizione. Riguardo alla tradizione, non dimentichiamo il contributo
del Concilio Vaticano II, ricorrendo il 50° dalla sua apertura.
Il cammino annuale è un cammino comune e al tempo stesso elastico,
adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, affinché venga rispettato il
carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso in 6 tappe, che ricalcano i
momenti specifici dell’anno liturgico (ottobre‐novembre; tempo di Avvento
e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate).
Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni
di incontro e comunione per tutta la diocesi. In questo modo abbiamo
cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno.
Il quadro d’insieme di tutto l’anno è affidato all’Icona Biblica della
moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17.
10a
Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che
avevano fatto. 10bAllora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città
chiamata Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono. 11bEgli le
accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano
bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si
avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle
campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona
deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi
risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non
andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C'erano infatti
circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi
1
6. Anno della Fede 2012‐2013
di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i
cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la
benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
17
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici
ceste.
Questo brano è stato diviso anch’esso in 6 parti, ciascuna di esse
corrisponde ad una tappa del cammino annuale, come indicato nello
schema che segue:
1. prima tappa: ttobre‐novembre (Lc 9,10a.11a)
o
2. seconda tappa: tempo di Avvento e Natale (Lc 9,10b)
3. terza tappa: ennaio‐febbraio (Lc 9,11b)
g
4. quarta tappa: empo di Quaresima (Lc 9,12‐13)
t
5. quinta tappa: empo di Pasqua (Lc 9,14‐16)
t
6. sesta tappa: state (Lc 9,17)
e
Il cammino diocesano sulla fede e questo sussidio sono il frutto del
lavoro di tutti gli uffici della nostra diocesi. È possibile, per qualsiasi
necessità, contattare alcuni dei sacerdoti responsabili del progetto ai
seguenti numeri:
‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale) 329.68.14.898
‐ don Domenico (Pastorale Giovanile) 340.67.06.645
‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria) 380.36.18.590
‐ don Nando (Pastorale Biblica) 327.88.56.338
2
7. Anno della Fede 2012‐2013
Il sussidio
Anche per questo terzo volumetto del nostro sussidio diocesano vi
proponiamo una breve presentazione dei suoi contenuti. In esso vi sono:
1. tre moduli biblico‐catechetici che tratteggiano un possibile itinerario
per questa terza tappa del cammino annuale;
2. un approfondimento dal titolo “Sulla soglia del credere” che pone la
questione della fede dal punto di vista di chi ne è alla ricerca,
affrontando non poche difficoltà legittime;
3. un contributo per l’animazione liturgica domenicale per aiutarci a
celebrare le nostre messe domenicali avendo sempre uno sguardo
rivolto verso la questione della fede.
I tre testi biblici che caratterizzano ogni tappa sono da intendersi come
dei “moduli”. Nel senso che ogni gruppo di parrocchia, movimento o
associazione potrà scegliere se e come utilizzarli: possono essere utilizzati
tutti consecutivamente (visto che hanno una loro continuità) o possono
anche essere presi singolarmente o parzialmente (avendo comunque
ciascun modulo un senso compiuto per se stesso). In questo modo, ognuno
potrà costruirsi un itinerario ad hoc in base alle necessità della realtà nella
quale opera, rispettando le proprie specificità e contemporaneamente non
perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi.
Il percorso viene presentato tappa per tappa e anche questa volta, ogni
modulo è corredato di alcune piste di approfondimento e attualizzazione:
a. la spiegazione esegetica guida ad una maggior comprensione del
testo biblico;
b. il filo rosso, che offrendo elementi di crescita umana e spirituale
presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;
c. riflessione diretta ai giovani;
d. spunti per la vita di coppia;
e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e
ai malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro;
f. spunti per attività di catechesi sul tema;
g. proposte celebrative a sfondo vocazionale.
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8. Anno della Fede 2012‐2013
LA TERZA TAPPA
La fede sperimentata
Moduli biblico‐catechetici di approfondimento
della Terza Tappa (gennaio‐febbraio)
Introduzione
11b
Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire
quanti avevano bisogno di cure.
Nella nostra icona biblica annuale di riferimento, al versetto 11b viene
presentata la cura che Gesù ha delle folle che tanto lo avevano cercato.
Esse hanno un tale bisogno di Gesù da non lasciarlo stare in disparte con i
suoi discepoli, come aveva scelto inizialmente di fare.
L’agire di Gesù nei loro confronti è un agire salvifico. È una anticipazione
dell’instaurazione del Regno di Dio. Gesù parla a loro del Regno e lo realizza
concretamente nei loro cuori, nei loro corpi, nelle loro vite. L’incontro con
Gesù, in effetti, è esso stesso l’instaurazione del Regno dei Cieli! L’azione
salvifica che Dio opera in noi passa attraverso una relazione assolutamente
intima e oggettiva, personale e comunitaria al tempo stesso.
In questa terza tappa che stiamo per cominciare, vogliamo anche noi
come le folle di quel tempo metterci in gioco pienamente, per vivere la
fede come relazione salvifica con la persona di Gesù nel nostro
quotidiano.
Quella fede che abbiamo cercato nella prima tappa e che abbiamo
ricevuto in dono nella seconda, ora ci si propone come una possibilità di
salvezza da cogliere nella nostra vita ordinaria. Nel Natale la fede ci è stata
presentata come la possibilità di una rapporto, una relazione interpersonale
con Dio. Egli si rende presente nella nostra storia e nella nostra esistenza e
noi abbiamo la possibilità di entrare in questa relazione. Cosa significa
entrare in relazione con Lui? Quali caratteristiche ha questa “relazione” che
Lui mi propone? Come tendo a vivermela e a starci? Queste sono le
domande che resteranno nello sfondo di questa terza tappa.
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9. Anno della Fede 2012‐2013
1. Primo modulo. La tristezza per la relazione rifiutata
Lc 18, 18‐30
18
E un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che cosa devo fare per
avere in eredità la vita eterna?». 19Gesù gli rispose: «Perché mi chiami
buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 20Tu conosci i comandamenti:
Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il
falso, onora tuo padre e tua madre». 21Costui disse: «Tutte queste cose le ho
osservate fin dalla giovinezza». 22Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora
ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro
nei cieli; e vieni! Seguimi!». 23Ma quello, udite queste parole, divenne assai
triste perché era molto ricco.
24
Quando Gesù lo vide così triste, disse «Quanto è difficile, per quelli che
possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. 25È più facile infatti per un
cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno
di Dio!». 26Quelli che l’ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?».
27
Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». 28Pietro
allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». 29Ed
egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o
moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, 30che non riceva molto di
più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».
a. Approfondimento esegetico
Siamo quasi alla fine della sezione del viaggio (Lc 9,51‐19,27). In essa
Gesù è presentato come il maestro che insegna con parole e opere la via
della vita. Negli Atti degli Apostoli, anch’essi opera di Luca, il Cristianesimo
viene detto “la Via” (At 9,2; 18,26; 24,22) e i Cristiani sono quelli che
seguono la via di Dio, la via della salvezza insegnata da Cristo.
Possiamo dividere il nostro brano in due parti: il dialogo tra Gesù e il
notabile (vv. 18‐23) e l’insegnamento sulla ricchezza (vv. 24‐30). Il testo dice
che un notabile, letteralmente “un capo”, interroga Gesù: «Maestro buono,
che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna». Il termine greco
tradotto con “notabile” può indicare un capo religioso. La domanda è
uguale (in greco le parole sono identiche) a quella che nel capitolo 10 gli
aveva rivolto uno scriba. E anche la prima parte della risposta di Gesù
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10. Anno della Fede 2012‐2013
coincide: se vuoi la vita eterna, osserva la legge. D’altra parte lo scopo della
Legge è proprio la vita (si può vedere, ad esempio, Dt 5,32‐33).
Vediamo nel dettaglio la risposta di Gesù. Innanzitutto egli ricorda al
notabile che se lo ha chiamato “buono” significa che riconosce che Dio è
all’origine del suo ministero. Se nel capitolo 10 la Legge viene riassunta nei
due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo, nel nostro
brano la risposta di Gesù menziona alcuni precetti che riguardano l’amore
del prossimo: «Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non
testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». Il notabile tutte queste
cose le ha osservate fin dalla sua giovinezza. Luca non dice che era un
giovane, a differenza di Matteo (Marco parla genericamente di “un tale”;
Mt 19, 16‐30; Mc 10,17‐31), ma che era un capo religioso, un autorità in
materia religiosa. Egli ha sempre osservato la Legge.
A questo punto abbiamo la svolta. Gesù non gli dice: «quello che fai è
sufficiente, continua così» ma «una cosa ancora ti manca: vendi tutto
quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni!
Seguimi!». L’invito a dare i propri beni in elemosina non è nuovo nel
Vangelo di Luca: Gesù l’aveva già detto, anche se di sfuggita, ai farisei
(11,41); con molta più insistenza l’aveva ripetuto ai discepoli (12,33; 14,23‐
25). Il capitolo 14 è significativo perché lì Gesù pone come condizione
ineludibile per chi voglia essere suo discepolo il distacco dalle cose e dagli
affetti.
Gesù, quindi, chiama il notabile a essere suo discepolo. Il messaggio del
brano evangelico a questo punto è chiaro. Per avere in eredità la vita eterna
1
bisogna seguire Gesù, anteporre lui a tutto (come direbbe San Benedetto )
e farne il centro della propria esistenza. Seguire Gesù significa anche
adottare uno stile di vita fatto di sollecitudine per coloro che sono nel
bisogno (la prima cosa che Gesù chiede al notabile è vendere i suoi beni per
distribuirli ai poveri). Risulta altresì chiaro che osserva pienamente i
comandamenti chi prende sul serio la parola di Gesù «Fidati di me. Metti la
tua vita nelle mie mani» (è questo il senso dell’appello di Gesù «Seguimi!»).
1
San Benedetto ha espresso questo concetto in termini negativi, con un’affermazione
perentoria: «Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà
alla vita eterna» (RB 72,2). Si noti il binomio primato di Cristo/vita eterna.
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11. Anno della Fede 2012‐2013
Qual è la reazione del notabile? L’evangelista Luca sottolinea la tristezza
dell’uomo ricco: «Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste
perché era molto ricco». A differenza di Matteo e di Marco non aggiunge
che se ne andò; è il volto triste del notabile che fa dire a Gesù: «Quanto è
difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio».
Segue a questo punto un’iperbole (è più facile… regno di Dio, v. 25) che ha
lo scopo di rafforzare quanto detto nel versetto precedente: è molto
difficile per un ricco entrare nel regno di Dio. Gesù nel brano precedente
(vv. 15‐17) aveva affermato che solo chi accoglie il regno di Dio come lo
accoglie un bambino può entrare in esso. La vita del bambino dipende da
un altro ed egli si fida dell’adulto che si prende cura di lui. Chi dispone di
ricchezze, al contrario, non si sente bisognoso. Le sue ricchezze provvedono
a lui, egli non si fida se non delle sue ricchezze. È molto difficile che il ricco
diventi bambino. Questo vuole dire Gesù.
La domanda di Pietro (v. 26), il portavoce degli apostoli, scaturisce dalle
aspettative sociali e religiose, che vedevano nei beni terreni, un segno
sicuro della benedizione di Dio sia in questo mondo che nell’altro. La
risposta di Gesù ci riporta al capitolo 1, al brano dell’Annunciazione, quando
l’angelo aveva detto a Maria: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Uno
studioso americano commenta: «Anche i ricchi possono essere salvati da
Dio; Dio può spezzare il fascino che la ricchezza esercita su di essi». D’altra
parte il Vangelo di Luca fin dall’inizio afferma che la salvezza del povero
come quella del ricco è opera della grazia.
La constatazione di Pietro, «noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti
abbiamo seguito», offre a Gesù la possibilità di annunciare la ricompensa:
non è solo un lasciare ora per sperare qualcosa nella vita eterna; è già un
arricchimento. È uno dei tanti paradossi evangelici: perdere per avere di
più. E nel tempo che verrà la vita eterna. Il brano si era aperto con la
domanda del notabile sulla vita eterna. Si chiude con la promessa di essa a
coloro che fanno di Gesù la gioia del loro cuore e la pienezza delle loro
2
aspirazioni , come direbbe il Concilio. Il notabile non l’ha accolta ed è
2
Uno dei testi più famosi del Concilio Vaticano II è il numero 45 della Gaudium et Spes:
«Il Signore è il fine della storia, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro
del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni».
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12. Anno della Fede 2012‐2013
scomparso nell’anonimato (in nessun Vangelo compare il suo nome), gli
apostoli invece si sono fidati e su di essi Gesù ha costruito la Chiesa.
b. Il filo rosso
Ripercorrendo l’incontro del notabile con Gesù, cerchiamo di cogliere le
dinamiche sottese al loro dialogo. L’intento è di individuare alcuni tra
bisogni, atteggiamenti e valori in gioco, per confrontarli con il nostro modo
di vivere il nostro rapporto con Dio.
Seguiamo allora quest’uomo che si avvicina a Gesù. L’assenza del suo
nome è un presagio nefasto della sua incapacità ad entrare in relazione
uscendo dall’anonimato. Sappiamo di lui che è abituato al comando (un
capo) e che riconosce in Gesù non più di un maestro. È molto lusinghiero
nei suoi confronti, infatti lo chiama buono. Inoltre le sue parole tradiscono
la sua idea di una vita eterna3 della quale avere il possesso, come se si
trattasse di un bene di proprietà. E quando con prontezza sottolinea che
tutte queste cose le ha osservate fin dalla giovinezza sembra dare
l’impressione del primo della classe, molto attento alla sua performance, ai
suoi risultati e alla sua bravura.
Ci sembra di ritrovare in lui alcuni nostri pensieri. Almeno una volta ci
sarà capitato di cedere all’idea che, nella vita, ogni cosa ha un prezzo e che
tutto si compra. Magari anche che è meglio contare su se stessi, per non
essere delusi o traditi dagli altri. O ancora, che per essere riconosciuti e
stimati dobbiamo mostrare le nostre capacità.
Gesù, dal canto suo, da bravo pedagogo qual è, per prima cosa lo
stuzzica dicendo che solo Dio è buono …Che ironia bonaria nelle parole di
Gesù! Lui che è vero Dio, è l’unico davvero buono! Ma il punto è che il
notabile questo non lo sa! Gesù gli risponde quasi stizzito (perché mi chiami
buono? Nessuno è buono, se non Dio solo), infatti il notabile lo ha chiamato
così per carpire la sua benevolenza e non certo perché ne ha riconosciuto
quell’autentica bontà che è prerogativa divina! Ma quando Gesù cerca di
mettergli la pulce all’orecchio, egli è troppo centrato su di sé da non riuscire
ad ascoltare davvero il suo interlocutore, neanche se questi è il Figlio di Dio
in persona.
3
Al contrario la vita eterna è relazione con la persona di Cristo. «Vivere in cielo è essere
con Cristo»: Catechismo della Chiesa Cattolica, 1025.
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13. Anno della Fede 2012‐2013
La seconda provocazione pedagogica Gesù la lancia quando gli elenca
tutti i comandamenti che il tale ha sicuramente saputo rispettare. Nella lista
elencata da Gesù, il nono e il decimo comandamento possono essere
riassunti nel non commettere adulterio e nel non rubare, mentre restano
mancanti proprio i tre comandamenti che riguardano il rapporto con Dio. Si
solleva spontaneamente nell’ascoltatore la domanda su dove siano andati a
finire i comandamenti mancanti. Gesù così vuole creare lo spazio per un
ripensamento da parte del notabile: i comandamenti mancanti sono quelli
che lui trascura evitando la relazione. Eppure il tale sembra così centrato
sulla sua performance da non cogliere il “tra le righe”. Peccato! Perché quel
“non detto” di Gesù sarebbe lo spazio per la sua crescita, per il suo auto‐
superamento, in definitiva per la sua salvezza.
Alla fine Gesù svela la questione centrale: gli mostra il suo punto debole
(ti manca ancora una cosa) forse sperando che sia proprio la sua attenzione
alla performance a portarlo dentro la relazione personale con Gesù (vieni e
seguimi). Ma proprio a questo punto si concretizza quel presagio nefasto
accennato all’inizio, quest’uomo se ne va solo e …triste. Il problema è che
per quanto triste, egli non riesce a concepirsi senza i suoi beni, come
fossero una sorta di prolungamento di sé, una schiavitù dalla quale non c’è
possibilità di riscatto.
Se in quest’uomo abbiamo riconosciuto alcuni tratti del nostro modo di
pensare e di comportarci, forse ascoltandoci dentro, potremo sentire
risuonare la sua stessa tristezza. Ci ritroviamo tristi anche noi, se per la
paura di non essere amati, ci concentriamo tanto sul fare bene le cose, da
trascurare la persona che abbiamo davanti e che – non ce ne accorgiamo –
ci ama già; oppure se per mancanza di fiducia in Dio, ci convinciamo che
bastiamo a noi stessi e non ci affidiamo a Lui; o ancora, quando per evitare
il rischio di un fallimento, non proviamo a coinvolgerci in un progetto di vita
e di amore. In tal modo la nostra vita si appiattisce e noi perdiamo le nostre
motivazioni e ci spegniamo pian piano.
In conclusione, in questa terza tappa vogliamo sottolineare che il Regno
di Dio si realizza nell’incontro con la persona stessa di Gesù4. Incontro che ci
mette in gioco in modo intimo e profondo. In questo primo modulo
4
Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2053: «La legge non è abolita, ma l’uomo è
invitato a ritrovarla nella Persona del suo Maestro, che ne è il compimento perfetto».
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14. Anno della Fede 2012‐2013
abbiamo voluto presentare un’esperienza di incontro fallito tristemente.
Ciò nella speranza di riconoscere anche in noi quello che potrebbe andare a
sabotare il nostro rapporto con Gesù, così da impedirci di spogliarci di noi
stessi e consegnarci a Lui con fiducia.
Alcune domande per la riflessione personale.
• Ho mai pensato che potrei – magari inconsapevolmente –
essere centrato molto su di me e poco sugli altri? So mettermi
in ascolto attento dell’altro? Quanto sono disposto a essere
meno efficiente nelle mie cose, per essere più efficace
nell’accogliere gli altri?
• Ci sono delle cose delle quali non sono capace di fare a meno?
Quali mie sicurezze personali ripongo in esse? Sarei disposto a
metterle in gioco per vivere la mia amicizia con una persona
importante della mia vita, o magari con Gesù stesso?
c. Giovani
La vicenda di questo notabile si ricollega all’inizio del nostro percorso,
le tentazioni di Gesù. Questa persona pone la sua sicurezza nei beni, usa i
beni esclusivamente per sé ed è soddisfatto del suo fare religioso che lo fa
autoreferenziale; non è in Dio e nella ricchezza del cuore il senso della sua
vita, la sua relazione con gli altri non è nella solidarietà ma nella difesa dei
propri beni. In realtà non ha arricchito il suo essere che lo rende capace di
aprirsi a relazioni vere con se stesso, con Dio e con i fratelli. E la tristezza è il
risultato di una vita sbagliata, incapace di scelte vere e coraggiose e quanto
spesso queste è il nostro stato d’animo di giovani o annoiati, o frustrati, o
che si lanciano in avventure alienanti pensando di soddisfare i loro bisogni.
In questa situazione il notabile (e con lui noi) ha bisogno di un profondo
cambiamento, di una profonda liberazione, di una conversione che può
essere solo opera di Dio.
A Natale abbiamo celebrato il Mistero di Dio che in Gesù Cristo si è
spogliato del suo potere, si è fatto bambino, povero, ultimo, ci ha indicato
la via della nuova umanità. Se lo abbiamo incontrato e accolto, allora egli
può operare in noi questa liberazione dalle nostre schiavitù e renderci
capaci di scoprire la nostra vera dignità, di instaurare relazioni autentiche e
di impostare la nostra vita su un cammino di liberazione e di solidarietà.
10
15. Anno della Fede 2012‐2013
La domanda degli apostoli ci dice che Gesù, quando li ha chiamati, non
ha chiesto loro la maturità di fede o di conoscenza di lui, qualità particolari
o esperienze particolari, ma solo un gesto di coraggio che diventa così la
premessa per lasciare tutto e seguire lui, e diventare veri discepoli e
testimoni del Cristo.
A questo punto del nostro percorso, trovandoci di fronte a questa
persona che ha potere e ricchezze, e noi giovani magari il potere e le
ricchezze le sogniamo, le abbiamo come progetto di vita, e il momento di
domandarci che capacità abbiamo di fare scelte, atti di fiducia nel Signore,
buttarci su percorsi che ci disarmano, che ci creano critiche nell’ambiente.
Abbiamo bisogno di sperimentare nel Signore la libertà dai
condizionamenti, sia quelli interiori, sia quelli ambientali.
Interroghiamoci se questo Natale ci ha aiutato a trovare in noi questo
coraggio e la volontà di seguire Gesù.
Il Signore ci dice che questa via di libertà è il presupposto per la felicità,
per la vita eterna.
E perché non aiutarci a sperimentare la gioia proprio nella capacità di
liberarci dalle cose quando diventano il senso della nostra vita?
d. Coppie
L’uomo che interroga Gesù non ha un nome, è anonimo, di lui si sa che
osserva da sempre i comandamenti, è un capo, un religioso, un
perfezionista, pieno di sé, pronto a manipolare l’altro perché funzionale al
raggiungimento dei propri obiettivi (maestro buono). Questo suo essere
troppo pieno di sé e certo di fare ed essere nel giusto non gli permettono di
entrare in relazione con Gesù. Non è disponibile all’ascolto, non si mette in
gioco, non sceglie di attuare un cambiamento: svuotarsi di sè per accogliere
l’altro, per andargli incontro, per fargli posto…..così l’incontro non si
realizza, la relazione non avviene. Il sentimento che si palesa in lui alla fine,
quando Gesù gli fa l’invito chiaro alla relazione “vieni e seguimi” è la
tristezza, perché lui era troppo ricco, troppo pieno di sé.
Quanto è bello sapere invece che noi abbiamo un nome, chi ci ha amato
per primi, i nostri genitori ci hanno dato un nome e noi da bambini abbiamo
iniziato a conoscerci e riconoscerci grazie a questo nome, abbiamo iniziato a
formare la nostra identità. Anche nel giorno del matrimonio gli sposi si
11
16. Anno della Fede 2012‐2013
chiamano per nome, riconoscono l’identità, l’unicità dell’altro e l’accolgono.
Inizia, da questo scegliersi, una relazione che strada facendo porterà alla
conoscenza profonda e intima dell’altro, all’accoglienza incondizionata
dell’altro così come egli è. Questo tipo di relazione implica un presupposto
fondamentale, che l’uomo che ha interrogato Gesù non ha voluto mettere
in pratica: morire a se stessi ogni giorno, imparare a fare spazio dentro di
se, smussare gli angoli, per far entrare l’altro nella nostra vita, nel nostro
cuore. Per fare questo è necessario fidarsi dell’altro e affidarsi, non a caso
l’anello nuziale che gli sposi si scambiano è chiamato fede, vuole dire infatti
io mi fido di te!!!!.
Quando nella coppia ognuno vive concentrato su di se, sulla
soddisfazione dei propri bisogni, dei propri desideri, aspettative,
nell’autocompiacimento: «…..però io pensavo fossi diverso!....non me
l’aspettavo che saresti diventato così!....sognavo che sarebbe stato tutto
bellissimo come il primo giorno!......io faccio, mi do da fare e tu pensi solo a
te!.....» il sentimento dominante non è più l’amore, ma è la tristezza perché
così si vive nella insoddisfazione, nella solitudine, nel vuoto. Si è ingabbiati,
prigionieri di se stessi, non si vede l’altro che ci è di fronte, non lo si ascolta.
Un ascolto vero, profondo, intimo è il segno che l’incontro con l’altro sta
divenendo relazione autentica, dono reciproco, crescita, progressione
personale, arricchimento.
Gesù vuole entrare in relazione con quell’uomo, lo invita a seguirlo, gli
indica la strada per la felicità, Lui ha fiducia, ma l’altro non vuole la libertà,
sceglie di rimanere legato alle sue “ricchezze”, la conseguenza è la tristezza.
Se abbiamo riconosciuto Gesù nel nostro coniuge proviamo a fidarci di
lui e ad affidarci a lui, liberiamoci delle nostre certezze, del nostro grosso e
ingombrante IO, e cominceremo sicuramente a scoprire quanto è bello
accogliere, ascoltare, amare l’altro per quello che è. Scopriremo così che la
tristezza svanisce e al suo posto iniziamo a sperimentare la gioia e la
speranza.
e. Carità e testimonianza
Molte volte anche noi ci poniamo nella posizione del notabile, ossia ci
sentiamo giusti, perché “rispettiamo i comandamenti”, e rischiamo di
cadere nell’inganno di volerci conquistare la vita eterna con le nostre forze,
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17. Anno della Fede 2012‐2013
con il nostro servizio, con le nostre opere buone. Siamo incapaci di
abbandonarci veramente nelle mani di Dio, affidandoci alla sua bontà di
Padre, ogni volta che, pur mettendoci al servizio dell’altro, ce ne serviamo
per soddisfare il nostro ego, per sentirci ricompensati da uno sguardo, da
un sorriso o da un abbraccio. A volte il nostro servizio manca di incontrare
veramente l’altro e di accoglierlo per quello che è, senza volerlo cambiare.
Spesso, convinti di fare il bene, ci serviamo del bene, senza sperimentare
davvero quella eredità di amore che il Signore ci ha consegnato e attraverso
cui possiamo lasciare tutto e seguirlo. L’incontro con Cristo e il suo ascolto,
ci manifesta anche noi stessi, chiamandoci ad accogliere le nostre debolezze
e lasciarci pervadere dalla sua grazia, affinché siano trasformate per il
servizio al prossimo.
Quando mi sento nei panni del notabile? Mi capita di sentirmi giusto,
perché mi pongo al servizio di chi ha bisogno? Provo a ripensare quelle
occasioni e a capire come fare diversamente.
Ho mai pensato che il servizio possa essere un’occasione di crescita per
me e non solo per la persona/le persone cui mi rivolgo? Riesco ad
incontrare il povero, lo straniero, il non credente, come compagno con cui
condividere il cammino? Come potrei accostarmi al servizio in maniera
diversa? Nel servizio mi offro totalmente, oppure ho paura di perdere
qualcosa?
f. Spunti per attività
Attività n. 1. Un racconto…
Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via
cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava
una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. “Ti ho
preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile, ti ho preso la bustina
dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?”.
“Prendimi la mano” rispose il bambino.
(da: Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole)
Attività n. 2. Pro e contro della ricchezza e della povertà
• Dividere i ragazzi in gruppetti (tre/quattro elementi per gruppo),
consegnare un foglietto bianco in cima la quale c’è scritto “Ricco”
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18. Anno della Fede 2012‐2013
oppure ”Povero”. In un tempo definito (5 minuti) ciascun gruppo deve
pensare alle caratteristiche del ricco o povero. Raccogliere i fogli senza
commentare né leggerli.
• Il catechista legge il brano evangelico del giovane ricco insistendo sul
fatto che “…andò via triste”.
• Riprendere i foglietti e verificare se le idee emerse erano in linea con il
brano evangelico.
Per riflettere
• Perché la ricchezza è pericolosa? Perché diventa un idolo, fa sentire più
importanti e fa disprezzare gli altri, ma non rende felici come promette
se non è condivisa (infatti il giovane se ne va via “triste”…)
• Perché la povertà può anche rendere felici? Perché lascia liberi dalla
schiavitù delle cose. Facilita a capire l’importanza di aspetti della vita
che danno più gioia, quali la stima e l’affetto delle persone che ci
vogliono bene e che noi amiamo. …Tutte cose che non si possono
comprare!
Attività n. 3. Mini cineforum
Film: “INTO THE WILD” ‐ Nelle terre selvagge USA 2007 Regia: Sean
Penn Durata: h 2.28 [Tratto dal libro “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer]
Si possono vedere alcune sequenze selezionate del seguente film (la
visione integrale risulta per i ragazzi troppo lunga).
La storia.
Nel film viene raccontata la storia vera di Christopher Mc Candless,
giovane figlio di benestanti proveniente dal West Virginia che appena
laureato, con un brillante futuro davanti, stanco della società in cui vive e
pieno di domande esistenziali a cui non riesce a dare risposta, decide di
lasciarsi tutto dietro e compiere un viaggio alla ricerca di risposte. Rinuncia
alla sua vita privilegiata per partire all’avventura. Regala tutti i sui risparmi
ad un ente, abbandona la famiglia ed intraprende un lungo viaggio di due
anni in autostop attraverso gli Stati Uniti, fino a raggiungere le terre
sconfinate dell’Alaska in cerca di un esistenza a contatto con la natura
selvaggia. Lo attendono incontri, esperienze formative e un crudele destino.
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19. Anno della Fede 2012‐2013
Riflessione sul film.
Il protagonista intraprende il suo viaggio per sfuggire ad una società
consumistica e capitalista in cui non riesce più a vivere. La sua inquietudine
lo porta a viaggiare e durante il viaggio farà incontri ed esperienze che lo
porteranno a comprendere che la felicità è nella piena condivisione e
nell’incontro incondizionato con l’altro. Impara anche ad avere un
approccio più umile e riconciliato con il mondo e con la sua famiglia.
Attività n. 4. Ispirazioni dalla letteratura
Leggere e riflettere insieme ai ragazzi “La roba” di Giovanni Verga di cui
viene riportata qui solo la parte finale:
«Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e
la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio,
che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba,
quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete
lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle
mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli
occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli
oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un
ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un
asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e
borbottava: “Guardate chi ha i giorni lunghi! Costui che non ha
niente!”. Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua
roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo,
barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue
anitre e i suoi tacchini, e strillava: “Roba mia, vientene con me!”».
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20. Anno della Fede 2012‐2013
g. Momento celebrativo
ESAME DI COSCIENZA INDIVIDUALE
Per questo primo modulo proponiamo un momento di preghiera molto
personale, individuale: l’esame di coscienza (= EC).
Prima di addentrarci nella riflessione vogliamo spiegare cos’è. Non è un
elenco sterile delle azioni compiute durante la giornata, spesso la nostra
vita segue degli schemi e si adagia nella routine, l’EC diventerebbe allora
molto pesante e monotono. L’EC invece è un prendere “in mano” la propria
coscienza, passare da una vita passiva, dove supinamente si “subiscono” i
fatti, ad una vita scelta, consapevole e responsabile davanti al Signore e al
prossimo. L’EC serve per scoprire ciò che è avvenuto dentro di noi, nel nostro
intimo, durante la giornata, dove incontriamo, in modo diretto, e senza
intermediari il Signore.
Come fare l’Esame di Coscienza?
È bene fare l’EC di sera per riconsiderare tutta la giornata e scoprire
come si è “impressa” sul nostro animo.
Il primo passo da compiere è quello di immedesimarsi nell’amore che
Dio ha per ciascuno.
Dio mi guarda con amore, con attenzione, mi devo abituare a guardarmi
come Lui mi guarda perché io sono come Lui mi vede. Devo sostituire il mio
giudizio e quello altrui con quello del Signore: il che è molto conveniente.
Inoltre, nel ricordare ciò che si è vissuto, bisogna usare amore ed
intelligenza per non cadere in una memoria distorta. Questa mi porterebbe
a considerare i fatti passati in modo sbagliato, come gli ebrei che nella fame
del deserto avevano già dimenticato come erano schiavi in Egitto e
rimpiangevano il passato. (cfr Es 16,2 ss e 17,1ss)
Nel secondo momento chiedo la grazia di conoscere i miei peccati ed
eliminarli.
Illuminati dall’amore di Dio i miei “occhi” interiori, come quelli di una
sentinella, possono scrutare anche nel buio della vita senza orrore. La
conoscenza dei peccati diventa il modo concreto per rendermi conto della
grandezza dell’amore di Dio e della sua grazia. Scopro i peccati, dunque,
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21. Anno della Fede 2012‐2013
non per condannarmi ma per magnificare la misericordia e l’amore di Dio.
Elimino i peccati non grazie ai mie sforzi, inutili, ma per mezzo della sua
grazia.
Passo poi ad esaminare i pensieri. Le azioni, come abbiamo detto,
spesso sono le stesse. I sentimenti profondi che ci abitano, gioia, tristezza,
ricordo o dimenticanza, gratitudine o orgoglio, delusione o entusiasmo in
Dio sono invece sempre numerosissimi e mutevoli. Bisogna perciò
concentrarsi non sul fare ma sul modo, sulla motivazione dell’agire. Passo
poi all’esame delle parole e quindi delle relazioni che stabilisco proprio con
le parole. Quanti peccati con le parole? (cfr. Gc 3,4) Infine le azioni:
corrispondono alle mie intenzioni?
L’EC usa la parte negativa della mia vita per farmi incontrare il Signore
della vita. In questo modo divento contemplativo nell’azione, sono sempre
alla sua presenza perché Lui è nella mia vita.
A questo punto chiedo perdono al Signore e così lo “incontro” e
propongo di migliorarmi e concludo con la preghiera del Padre Nostro.
Sulle orme del notabile ricco
Adesso prendo in considerazione il testo di Luca 18,18‐23, l’incontro tra
Gesù ed un capo (Lc 18,18), leggendo e meditando l’esegesi e il “filo rosso”
del primo modulo.
L’analisi del brano attraverso l’esegesi e il “filo rosso” ci spiegano in
modo molto chiaro che si tratta di un fallimento, Gesù propone a
quest’uomo la sequela, ma le supponenti qualità sfoggiate da questo
innominato e il suo attaccamento ad esse, diventano l’ostacolo insuperabile
per seguire Gesù. Il suo attaccamento ai beni e alle proprie attività fanno
saltare un incontro eccezionale e totale.
La riflessione che ti propongo è questa: a cosa sono legato
particolarmente? Sono capace di approfittare dei miei difetti per incontrare
il Signore oppure questi diventano un muro insormontabile? Ho vergogna
dei miei peccati? Penso che essi possono impedire al Signore di amarmi?
Con umiltà ammetto le mie difficoltà e chiedo aiuto al “medico”?
L’EC ci aiuta a rispondere bene a queste domande perché ci fa scoprire
meglio l’amore che il Signore ha per noi.
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22. Anno della Fede 2012‐2013
2. Secondo modulo. La lode per la relazione accolta
Lc 18,35‐43
35
Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a
mendicare.
36
Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37Gli
annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». 38Allora gridò dicendo: «Gesù,
figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39Quelli che camminavano avanti lo
rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di
Davide, abbi pietà di me!». 40Gesù allora si fermò e ordinò che lo
conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: 41«Che cosa vuoi che io
faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo». 42E Gesù gli
disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
43
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo, glorificando Dio. E tutto il
popolo, vedendo, diede lode a Dio.
a. Approfondimento esegetico
Questo è l’ultimo miracolo della sezione del viaggio. Rispetto ai racconti
di miracoli che si incontrano a partire da Lc 9,51 (inizio della sezione del
viaggio), questo è l’unico in cui non c’è discussione o polemica. Assomiglia
di più ai miracoli di Cafarnao. È come se si tornasse al ministero di Gesù in
Galilea. C’è un’altra cosa che ci fa pensare alla Galilea: come era già
accaduto in alcuni casi nei primi capitoli del Vangelo, l’ammalato o chi lo
accompagna (come nel caso del paralitico, Lc 5) incontra una difficoltà; per
poter ottenere la guarigione deve insistere, non si deve arrendere di fronte
agli ostacoli.
Vediamo il nostro brano. Questo episodio lo troviamo in tutti e tre i
sinottici. In Matteo (20,29‐34) e Marco (10, 46‐52) Gesù sta uscendo dalla
città di Gerico, in Luca invece Gesù vi sta entrando. In Matteo i ciechi sono
due (egli è solito raddoppiare i personaggi). La versione di Marco è quella
più ricca, per questo nel nostro commento faremo riferimento anche al suo
testo.
Il viaggio verso Gerusalemme sta per concludersi: siamo alle porte di
Gerico. Da qui in una giornata si arrivava alla città santa (sono più o meno
18
23. Anno della Fede 2012‐2013
25 km). Dopo aver detto che Gesù si sta avvicinando a Gerico, l’evangelista
afferma che un cieco è seduto lungo la strada a mendicare (v. 35). Da
questa informazione veniamo a sapere che il cieco è povero ed emarginato.
Mendicare era causa di vergogna nel mondo antico quanto lo è ai nostri
giorni. L’amministratore disonesto della parabola di Lc 16, quando riflette
sulla sua situazione, dice: «mendicare, mi vergogno». Nel vangelo di Marco
il cieco ha anche un nome: «il figlio di Timeo, Bartimeo» (Mc 10,46).
Incuriosito dal passaggio della gente, chiede che cosa stia accadendo. La
risposta, impersonale, è: «Passa Gesù, il Nazareno!» (vv. 36‐37). Occorre
dire che Luca qui usa la forma nazoraios e non la forma nazarenos,
quest’ultima chiaro riferimento al paese di origine di Gesù e che
l’evangelista usa altrove (4,34 e 24,19). L’assonanza con il termine “nazireo”
(che significa “consacrato a Dio”) e con nezer (germoglio, cfr. Is 11: il
germoglio che deve spuntare dalla radice di Iesse) fa pensare a un richiamo
della messianicità di Gesù. L’appellativo con cui Gesù è chiamato dal cieco
lo confermerebbe: «Figlio di Davide».
La brevità della risposta fa capire al lettore l’importanza del momento.
Gesù per la gente è un profeta; la fama dei suoi miracoli e della sua
predicazione si è diffusa e oramai lo precede. Il cieco sa che l’uomo che sta
passando può guarirlo; non è detto che avrà un’altra possibilità di
incontrarlo. Ecco perché grida e perché, quando lo rimproverano per farlo
tacere, grida ancora più forte. Niente riesce a impedire che il suo grido
giunga agli orecchi del Messia. È la prima volta che nel Vangelo di Luca si
usa l’appellativo «Figlio di Davide» anche se in altri testi, soprattutto nei
Vangeli dell’infanzia, è sottinteso (v. 38).
Poco prima, nella parabola del giudice iniquo e della vedova importuna,
Gesù aveva detto: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano
giorno e notte verso di lui?» (18,7). Ora Gesù “fa giustizia” al cieco: si ferma
e ordina che glielo conducano (v. 40). Quando se lo trova davanti, gli rivolge
una domanda che sorprende il lettore: «Che cosa vuoi che io faccia per te?»
(v 41). Che cosa può volere un cieco che grida se non la guarigione?
L’evangelista Marco racconta la reazione del cieco quando gli dicono che
Gesù lo vuole incontrare. Bartimeo getta via il suo mantello e balza in
piedi.(Mc 10,50). Il mantello è tutto quello che ha: gettandolo via egli lascia
le sue sicurezze. Con la sua domanda Gesù intende mettere il cieco di
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24. Anno della Fede 2012‐2013
fronte alla verità: cosa vuole davvero? vuole veramente guarire? è disposto
a entrare nella condizione di vedente, con tutto quello che comporta, in
primis non mendicare più?
Il cieco fin dall’inizio era determinato a chiedere la guarigione, tornare a
vedere era il suo desiderio più grande, e lo dice a Gesù: «Signore, che io
veda di nuovo!» (v. 41). Il verbo greco significa “riottenere la vista” e indica
che il cieco una volta ci vedeva. Quindi egli sa che significa vedere, ha
nostalgia della luce che in passato ha conosciuto. È anche questa nostalgia a
condurlo da Gesù per chiedergli la guarigione.
Il testo ci dice a questo punto che Gesù lo esaudisce e che è stata la
fede a salvarlo (v. 42). L’uso del verbo salvare indica che ciò che il cieco ha
ottenuto è più grande della guarigione fisica. Ha riconosciuto in Gesù il
Messia, l’inviato definitivo di Dio e ha fatto di tutto per potergli rivolgere la
sua preghiera. La fede del cieco ormai guarito è dimostrata anche dal fatto
che egli diventa discepolo di Gesù (v. 43). E Gesù, come abbiamo detto
all’inizio, sta per entrare a Gerusalemme dove sarà rifiutato e messo a
morte. Proprio in prossimità della sua morte si usa per la prima volta
l’appellativo «Figlio di Davide»: Gesù è il Messia crocifisso e il discepolo è
tale se lo segue sulla via della croce. Il testo ci dice anche che il discepolo di
Gesù è un vedente, un illuminato, e la fede è la luce che permette all’uomo
di vedere. È forse opportuno ricordare che nel Vangelo di Giovanni
“vedere” è sinonimo di “credere”. La fede in Gesù, Figlio di Dio, fa
conoscere all’uomo il senso della sua esistenza e gli apre le porte della
5
salvezza .
b. Il filo rosso
Anche in questo modulo ripercorriamo i momenti dell’incontro tra il
cieco e Gesù per cogliere alcuni aspetti importanti della relazione alla quale
Dio ci chiama e verificarci su di essi.
Il cieco di Gerico è avvolto nel suo buio sul ciglio della strada. La strada
rappresenta la vita e il camminare è immagine del vivere. Si tratta allora di
5
Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1701 afferma: «Cristo, proprio
rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo e gli fa
nota la sua altissima vocazione». Vocazione che, secondo Gaudium et Spes 22 è una sola,
quella divina.
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25. Anno della Fede 2012‐2013
un uomo sconfitto dalla vita (lungo la strada a mendicare) e che, forse per
questo, ora rinuncia a viverla (era seduto), rimanendone ai margini.
Dal Vangelo di Marco sappiamo che il cieco si chiama Bartimeo, in
ebraico “figlio di Timeo”. Il nome Timeo ha una doppia possibile origine: in
greco (lingua nella quale sono stati scritti i vangeli) significa “onorare”, con
particolare riferimento a Dio. In aramaico, invece, il nome Timeo deriva da
una radice che vuol dire “impuro”. In effetti, Bartimeo ha questa doppia
possibilità come ognuno di noi. Da un lato vivere alla presenza di Dio e
onorarlo all’interno di una relazione speciale con Lui, dall’altro
estromettere Dio dalla propria vita rinunciando alla sua luce.
Secondo la mentalità biblica, la cecità di Bartimeo è il suo essersi
lasciato rabbuiare dal male, perdendo la sua propensione alla relazione con
Dio. Ma non appena viene a sapere che sta passando Gesù, non esita a
lanciare il suo grido di aiuto. Cerca il figlio di Davide, l’atteso Messia che
avrebbe instaurato il Regno di Dio6 e grida pietà. Con questo grido chiede
che Gesù veda il male dal quale è colpito e si com‐muova con lui nel suo
dolore: ha bisogno che Gesù condivida con lui i suoi moti interiori di dolore!
Tutti noi sappiamo quanto sia angosciante il buio della solitudine che ci
è stata procurata dal male. Questa esperienza chiaramente negativa può
essere stata causa di sofferenza, ma può anche averci fatto comprendere
quanto benefici siano gli effetti della preziosa e insostituibile presenza di
Gesù. Diamo per scontato molte cose della nostra fede. Quando siamo
vicini al perderla, comprendiamo che senza Dio non potremmo fare nulla,
perderemmo luce e senso alla nostra vita!
A questo punto interviene Gesù, che gli pone una domanda
pedagogicamente preziosissima (Cosa vuoi che faccia per te?). Essa ha forse
una risposta scontata, ma dà la possibilità al cieco di prendere contatto con
il suo bisogno e di esprimerlo (che io veda di nuovo). La domanda che Gesù
gli fa è una possibilità per il cieco di ascolto di se stesso e di espressione del
suo desiderio più sano. Importante e terapeutico per ciascuno di noi è saper
dare un nome al male che ci oscura e, in forza della presenza amorevole di
Cristo in noi, saper esprimere il desiderio positivo che portiamo ancora
dentro di noi di fare luce.
6
«Gesù accompagna le sue parole con numerosi miracoli, prodigi e segni, i quali
manifestano che in lui il Regno è presente»: Catechismo Chiesa Cattolica, 547ss.
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26. Anno della Fede 2012‐2013
Ecco dunque il punto culminante! Il momento salvifico non è stato
magicamente il proferimento da parte di Gesù di parole guaritrici (Abbi di
nuovo la vista!). Esse semmai hanno sancito ufficialmente la veridicità della
salvezza realizzata. Ma salvifico è stato il contatto che si è instaurato tra i
due, nel momento in cui sono stati l’uno di fronte all’altro, faccia a faccia,
cuore a cuore. Alla presenza di Gesù il cieco è stato messo di fronte anche a
se stesso e ha potuto scegliere. “Fede” e “fiducia” hanno la stessa radice
etimologica: quest’uomo ha avuto fede in Gesù concretamente quando si è
fidato e ha affidato a Lui il suo male senza riserve (la tua fede ti ha salvato)!
A questo punto il cieco vive la sua svolta, Cristo accolto e riconosciuto
Signore è di nuovo presenza luminosa nella sua vita7. Lo risolleva e lo fa
tornare a camminare nella via della vita dietro a lui da vero discepolo (e
cominciò a seguirlo). Prorompe in lui inarrestabile la lode (glorificando Dio),
che significativamente si estende a tutto il popolo, costituito da coloro che,
come il cieco guarito, proprio vedendo possono dare lode a Dio.
Auguriamoci di essere anche noi tra loro!
In definitiva, in questo modulo abbiamo assistito ad un incontro riuscito
positivamente tra Gesù e il cieco di Gerico. A differenza del notabile ricco
che presumeva di bastare a se stesso, egli è un bisognoso che sa di avere
bisogno e quindi è umilmente in ricerca. Ma mentre il primo si congeda da
Gesù solo e triste, il secondo segue Gesù glorificando Dio.
Alcune domande possono aiutarci a riflettere su noi stessi.
• Qual è la mia cecità più grande? So darle un nome? Quando vivo
il mio buio interiore so capire da cosa mi è provocato?
• Riesco a gridare a Dio nel mio buio o resto chiuso in me stesso?
Ho speranza che Gesù possa avere pietà di me e quanto penso
che la sua misericordia sia salvifica per me?
• È presente la lode nella mia vita? Dio è motivo di lode in me?
c. Giovani
Il Signore, come al cieco, chiede anche a noi che cosa vogliamo che egli
faccia per noi. Abbiamo bisogno di vivere il disagio del buio, di quel buio che
7
«Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da
lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui siamo diretti»: Lumen Gentium, 3.
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27. Anno della Fede 2012‐2013
non ci fa capire chi siamo e quanto Dio ci ama, e di quel buio che ci imbriglia
nelle nostre schiavitù e noi nostri limiti e ci mette bloccati ai bordi della
strada chiedendo agli altri qualcosa per vivere.
Da quel buio deve venire il bisogno di trovare un senso alla vita e
gridare questo bisogno al Signore. Ma troppo spesso quelli che ci stanno
attorno: l’ambiente, la famiglia, le amicizie, come la folla per questo cieco,
hanno cercato di soffocare le nostre sane aspirazioni.
La grazia è gridare la nostra fiducia nel Signore e chiedere a lui con
insistenza di aver pietà di noi. Allora possiamo sperimentare che lui viene
incontro a questo nostro desiderio di verità, di bene, di vita, allora
scopriamo che lui è luce e vita.
Dai bordi della strada, dalla nostra cecità, possiamo non solo avere il
dono della vista ma anche seguire il Signore.
Per prima cosa domandiamoci che coscienza abbiamo della nostra
cecità che rende insignificante, infruttuosa e dipendente la nostra vita?
Abbiamo mai gridato nella preghiera il nostro bisogno del Signore,
insistendo anche quando gli altri volevano soffocare la nostra sana
aspirazione?
d. Coppie
L’uomo di questo racconto ha un nome, Bartimeo, figlio di Timeo, che
significa “onorare” Dio. È predisposto all’apertura a Dio anche se è cieco e si
ritrova seduto ai bordi della strada a fare l’elemosina. È un uomo ormai
sconfitto dalla vita (chiedeva l’elemosina), che ha rinunciato a viverla
(seduto), rimane ai margini (sul bordo della strada). Il sentimento
prevalente di questo personaggio all’inizio del racconto è la paura, che lo
blocca, lo paralizza.
Con la celebrazione del matrimonio inizia il cammino degli sposi, quello
non è il punto di arrivo, come molti fidanzati erroneamente pensano, ma è
la partenza, l’inizio. Si comincia a vedere davvero com’è l’altro, chi è nel
quotidiano, nella condivisione della vita, della casa, degli spazi, delle cose e
qui ci si può trovare davanti a qualcuno che è completamente diverso da
come l’avevamo visto quando eravamo innamorati potrebbe non piacerci
più, potrebbe non essere più la persona che avevamo sognato, desiderato,
immaginato … diventa quella che è davvero!!! La fine dell’innamoramento
23
28. Anno della Fede 2012‐2013
potrebbe rappresentare per la coppia un peso insostenibile, qualcosa che la
schiaccia a terra e le toglie la forza di continuare a camminare, che la rende
cieca perché non vedere le garantisce di proteggersi da una realtà
inaspettatamente faticosa, ci si potrebbe sentire sconfitti e non più capaci
di giocarsi la vita con l’altro anche se ci si è promessi accoglienza
incondizionata, impegno a “onorare” l’altro per sempre.
Il cieco appena saputo che chi sta passando è Gesù grida e quando le
persone che gli stanno intorno lo rimproverano e cercano di azzittirlo, lui
grida ancora più forte perché sente di non voler perdere l’occasione di
quell’incontro, nel suo cuore esplodono la speranza e la fiducia, vuole
incontrare Gesù, perché sente che da quell’incontro potrebbe venire una
direzione nuova alla sua vita, potrebbe essere un’occasione di rinascita, di
crescita, di ripartenza. Così grida ancora più forte.
Nella coppia a volte per varie ragioni legate alla storia personale di
ognuno dei coniugi, alle fatiche della vita quotidiana, alle difficoltà nel
dialogo, ci si sente schiacciati, messi a terra, ci si allontana o ci si arrabbia
fino ad arrivare a ferirsi, o ci si chiude nel silenzio del proprio dolore
tenendo fuori dal proprio cuore l’altro. Se non si pone rimedio subito a
tutto questo si passa inevitabilmente dalla paura che blocca, schiaccia, non
fa progredire sulla strada della vita, alla rabbia, al rancore che distruggono
e uccidono la vita propria e delle persone che ci circondano. Allora fare
memoria dei momenti positivi, dell’amore che ci ha fatti scegliere all’inizio,
della grazia che viene dal Sacramento del matrimonio, ci deve far ritrovare
la speranza e darci la forza di gridare forte ciò che sentiamo, il nostro
dolore, la nostra paura all’altro, certi che saremo ascoltati, visti abbracciati,
accolti. Perché quando abbiamo occasione di prendere contatto con i nostri
sentimenti più profondi e il coraggio di condividerli con il coniuge,
esprimergli ciò che sentiamo nasce un nuovo incontro che ci apre ad una
relazione nuova, una relazione autentica che va all’intimo, alla profondità
del cuore, dove dimostriamo all’altro di avere fiducia di lui perché gli stiamo
affidando il nostro SE più vero.
Il cieco recupera la vista perché si è fidato, la fiducia gli ha ridato
speranza, coraggio che lo hanno portato a esprimere a Gesù il suo bisogno,
e l’autenticità della relazione che ne è scaturita fa si che la vista gli venga
restituita e che egli possa riprendere il suo cammino nella vita.
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29. Anno della Fede 2012‐2013
Le occasioni d’incontro con Gesù nella vita sono molteplici, Egli ci si
manifesta nelle persone che incontriamo e per noi coppie c’è un luogo
privilegiato dove possiamo cercarlo, vederlo, incontrarlo, accoglierlo,
abbracciarlo, amarlo, entrare in relazione intima, profonda e autentica con
Lui, questo luogo è una persona il nostro coniuge. Godiamo della grazia
potente che viene dal Sacramento che abbiamo celebrato avendo cura ogni
giorno dell’altro, di ciò che sente, di come sta nel profondo, coltiviamo una
relazione autentica nella fiducia reciproca e la paura svanirà.
e. Carità e testimonianza
La prima cosa che fa Gesù dopo essersi trovato davanti al cieco é
chiedergli: «Cosa vuoi che io faccia per te?». Quando noi incontriamo
qualcuno che grida (a volte senza più voce) per avere aiuto, ci capita di
offrire subito le soluzioni, senza “perdere tempo” nell’ascoltare la richiesta
dell’altro. «Sei povero, ecco due euro! Sei immigrato, ecco un letto nel
centro di accoglienza! Sei malato, ecco le medicine! Sei ateo, ecco una
toccante celebrazione». E se quella persona avesse bisogno di altro? Ancora
una volta dobbiamo riconoscere che siamo pronti nell’agire e meno
nell’ascoltare: ma nella carità, nell’amore, questo non basta. La domanda di
Gesù apre orizzonti nuovi al cieco che si sente accogliere come salvato, il
suo cuore è libero di vedere davvero. Non è solo una guarigione fisica,
quella di cui ha bisogno e Gesù, che lo ha ascoltato, gli dona quanto
richiesto.
Sono attento a chi ho accanto, oppure penso sempre che la mia
soluzione, la mia risposta sia quella di cui la persona ha bisogno? Quali passi
potrei fare per essere più accogliente e ascoltare le “grida” di quanti mi
chiedono aiuto?
Ho mai pensato che il “continuo agire” possa essere sterile se poco
attento? In quali occasioni potrei sperimentare un modo diverso di fare?
Provo a pensare dei modi concreti.
Come potrei essere d’aiuto, e non di ostacolo, alle tante persone che sul
ciglio della strada gridano aiuto, ma sono zittite dalla folla? Mi trovo anche
io dalla parte della folla che zittisce? In quali occasioni e perché?
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30. Anno della Fede 2012‐2013
f. Spunti per attività
Attività n. 1. Sull’idea che abbiamo di Dio
Obiettivi: capire quale idea i giovanissimi hanno di Gesù uomo,
invitando a confrontarsi su di essa. Bartimeo non ha mai incontrato Gesù,
eppure quando sente che sta passando per la strada in cui lui era solito
mendicare, reagisce. Reagisce perché a quest’uomo ha associato un idea,
un’immagine, nata dai racconti e dalla testimonianza che molti avevano
portato alle sue orecchie.
Incontro
Due possibili modalità.
La prima modalità consiste nel provare, tutti insieme o divisi in piccoli
gruppi, a compilare un identikit di Gesù cercando di soffermarsi sul suo
essere vero uomo, come noi. L’identikit potrebbe contenere informazioni
semplici come nome, estrazione sociale, livello scolastico, nucleo familiare,
provenienza, eccetera. Il resto dovrebbe essere a discrezione dei
giovanissimi, in modo che l’idea di Gesù che emergerà non sia vincolata da
domande troppo precise. Terminata questa parte si prova a pensare all’idea
che il cieco aveva di Gesù, quindi si prova a fare un ulteriore identikit
calandosi nei panni di Bartimeo. Alla fine si confrontano i due identikit.
Un’altra possibile modalità, magari più adatta a ragazzi più esperti, è
quella di provare a turno, bendati, ad elencare una serie di caratteristiche
(non fisiche) e le emozioni che suscita l’incontro con un proprio amico
scelto dal gruppo. Quindi scrivere su un cartellone ciò che viene detto. Al
termine provare a fare lo stesso con Gesù, cercando di limitare il proprio
pensiero al Gesù uomo. L’educatore invita poi a confrontare i due casi. Lo
scopo di queste tecniche è quello di provare a far emergere dai giovanissimi
l’idea che hanno di Gesù invitandoli a confrontarsi su di essa.
Domande
Nel caso dell’identikit possiamo provare a porre alcune domande: In
cosa differiscono i due identikit? Su cosa mi sono basato per il mio identikit
di Gesù? Su cosa mi sono basato per quello di Bartimeo? Dal mio identikit
emerge l’umanità di Gesù? Perché diciamo che Gesù era vero uomo?
Nel caso invece si volesse provare una terza modalità si può provare a
porre direttamente la domanda: Qual è l’idea che ho di Gesù? Da cosa
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questa idea è influenzata? Su cosa mi sono basato per parlare del mio
amico? Su cosa mi sono basato per parlare di Gesù? Dalla mia descrizione
emerge l’umanità di
Gesù? Perché diciamo che Gesù era vero uomo?
Per i più esperti
Nel caso della seconda tecnica, per i ragazzi più grandi si potrebbe
scegliere, anziché un loro amico, un personaggio storico che con la sua vita
ha contribuito (nel bene o nel male) alla storia dell’umanità. Anche se non si
è credenti non ci si può esimere dal confrontarsi prima o poi con la figura di
Gesù, che come nessun altro ha influenzato la nostra storia. Quali sono le
differenze tra Lui e gli altri?
Attività n. 2. Non farsi condizionare dalla folla
Obiettivi: Far prendere consapevolezza ai giovanissimi verso dove va il
mondo e verso dove li attira e seduce. Far riflettere sull’esistenza della folla
nella loro vita e capire le diverse tipologie di grida: cosa hanno intorno, cosa
“grida la folla” intorno loro, cosa gli viene proposto, cosa li distrae, verso chi
prestano ascolto, cosa cercano nella loro quotidianità.
Incontro
Tre possibili modalità:
1. Si organizza un gioco in cui un ragazzo del gruppo viene bendato e,
partendo da un lato della stanza in cui ci si ritrova, deve raggiungere un
compagno in un punto opposto; per raggiungerlo egli dovrà attraversare la
stanza o un percorso, in cui verranno disposti degli ostacoli e, per non finirci
contro, dovrà seguire le indicazioni date dal compagno da raggiungere. Gli
altri ragazzi del gruppo hanno il ruolo dei “disturbatori” e devono
confondere il ragazzo bendato, cercando di non fargli capire le indicazioni
provenienti del ragazzo da raggiungere. Il gioco può essere svolto ad “alti
volumi” con il ragazzo da raggiungere che detta le mosse e i movimenti da
attuare per evitare gli ostacoli, “avanti! destra! sinistra! fermo!” e gli altri
ragazzi che per disturbare possono urlare, cercando di coprire con le loro
voci le indicazioni; o nel caso non si possano alzare i toni, attuare la stessa
modalità ma con indicazioni da seguire sulla base di un codice (un battito
di mani, uno schioccare di dita = destra; due = sinistra… inventate un codice
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e tutti gli altri ragazzi di gruppo dovranno cercare di disturbare il suono allo
stesso modo…)
2. L’educatore procura un insieme di slogan pubblicitari, ad esempio
spot televisivi, messaggi dei cartelloni in strada, messaggi che si trovano
sugli stessi prodotti alimentari o di consumo tipo vestiario bellezza, banner
internet. Si chiede ai ragazzi anche di richiamare alla mente i principali
messaggi che ricevono dai media: non occorre rifletterci troppo, deve
essere proprio un richiamo immediato. Una volta visionato tutto il
materiale si ragiona sui richiami valoriali che quelle frasi nascondono es. la
crema antirughe xy – “non invecchierai mai, sarai sempre giovane e
bellissima”.
3. Facendo riferimento ai principali telefilm/serie TV che i ragazzi
guardano, si chiede loro di dividersi in due gruppi: una parte si metterà nei
panni di qualche personaggio particolarmente carismatico, l’altra nella
“controparte”. Ciascuno di loro dovrà argomentare i consigli che vorranno
fornire per specifiche situazioni di vita, ad esempio: non ho voglia di
studiare, ma domani sicuramente mi interroga; litigo in continuazione con
mia madre perché non mi lascia uscire; sono molto attratta da quella
ragazza, ma sono in questa discoteca soltanto questa sera; devo fare solo
una fermata del pullman, non so se comprare il biglietto; e situazioni simili
senza sottolineare il risvolto “moralista”, ma semplicemente facendo
emergere la mentalità corrente, quella più comune, che si sente in giro più
spesso.
Le varie attività cercano di riproporre la situazione raccontata nel brano
di Vangelo: ritrovarsi in una folla urlante, confusi dal caos circostante,
sicuramente un po’ trainati dal mondo intorno, mentre cerchiamo di
ottenere qualcosa. In questo scenario, attualizzare la situazione e
focalizzare come i ragazzi vivono la loro quotidianità: come Gerico nel
brano, città affollata, confusa, in cui è difficile capire cosa succede, anche i
ragazzi vivono giornate piene “di cose da fare”, piene di persone incontrate,
attività, proposte, che possono distrarre se non portarci “a distanza” dal
Signore. Sentono anche loro a volte questa dimensione di “confusione”?
Cosa riempie le loro giornate? Cosa gli propone il mondo?
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La folla cioè gli altri, le cose da fare, verso cosa li fa tendere? Il mondo
intorno noi, la televisione, la pubblicità, le riviste, ci mostrano un mondo
“ideale” che dobbiamo raggiungere a tutti i costi.
Domande
Quali sono i valori e gli atteggiamenti che contraddistinguono questo
mondo? Li sentono propri? Li condividono? Li riconoscono nelle altre
persone intorno loro? Quali strade/stili seguono le persone che hanno
intorno? Si rispecchiano negli altri? Di chi si fidano, da chi si fanno
convincere? Chi e cosa attira la loro attenzione? Sentono addosso la
pressione di diventare, fare, comprare?
Per i più esperti
Si può aggiungere un approfondimento su Dio. Rispetto a tutto questo
che si è detto, dove si posizionano Dio, il Vangelo ed il suo messaggio? Ho
mai pensato che la voce del Signore potrebbe essere schiacciata? Dove mi
trovo, dove mi metto?
[da: Diocesi Torino, Sussidio cammino giovanissimi 2011‐2012]
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g. Momento celebrativo a sfondo vocazionale
Momento introduttivo
Lettore (L) Abbiamo bisogno che il Signore ci liberi dalle nostre cecità,
dalle miopie che ci impediscono di riconoscere il suo volto dentro la vita dei
fratelli. Come il cieco sulla via di Gerico, anche noi oggi gli diciamo: «Figlio di
Davide, abbi pietà di me!». Fa’, o Signore, che possiamo tornare a vedere
ed ad alzare i nostri occhi verso il tuo volto! Fa che possiamo metterci alla
tua presenza, vera luce che illumina il cammino della nostra vita.
Canto iniziale e saluto del celebrante
Celebrante (C) Siamo cercatori di Dio, cercatori e adoratori del volto di
Dio. La sua presenza riempie la terra, la luce dei suoi occhi illumina ogni
uomo, la sua Parola di vita dona salvezza a chi gli va incontro con cuore
rinnovato.
Assemblea (A) A tutti i cercatori del tuo volto mostrati, o Signore. A
tutti i pellegrini dell’Assoluto vieni incontro, o Signore. Con quanti si
mettono in cammino e non sanno dove andare cammina, o Signore.
C. «Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono» dice il profeta
Isaia (42,15). Queste vie ignote sono quelle percorse dal Figlio di Dio,
salvezza per ogni uomo. «Chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma
avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Incontriamo il cieco alle porte di Gerico e
incamminiamoci con lui nell’avventura della fede. La fede inizia dall’ascolto,
passa attraverso l’informazione e giunge all’invocazione del Nome. La fede
che salva ha orecchi per udire, bocca per chiedere e invocare, occhi per
vedere, piedi per camminare, mani per toccare, e allarga il cuore per amare.
Lettura del Vangelo (Lc 18,35‐43)
Esposizione del Santissimo Sacramento e canto (“Fissa gli occhi
in Gesù”)
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Primo momento meditativo:
«Signore, abbi pietà di me!»
Lettura per la meditazione personale
«Era seduto a mendicare lungo la strada». Quanta gente come il cieco
è all’angolo della strada, seduta a mendicare qualcosa, un po’ di attenzione,
un briciolo di amore... fuori dalla via, ai margini della vita! Tanti uomini
come il cieco vivono la loro vita senza poterne vedere la luce, il senso, senza
poterla gustare appieno. Signore, dammi la fede del cieco, voglio vedere la
luce! Voglio incontrarti e vederti negli occhi! Finora sono appartenuto alla
folla: essa mi ha guidato, essa mi ha aiutato... Ma mi ha anche calpestato,
deriso... Signore, sento la tua voce, ma voglio vederti con i miei occhi, voglio
essere io a riconoscerti, voglio essere io a vivere la vita! Voglio incontrarti,
Signore, e vivere con te la mia vita! «Che vuoi che io faccia per te? ‐ Signore,
che abbia di nuovo la vista!». Gesù viene a chiamare gli esseri dalle tenebre
alla luce della fede, dal buio del dubbio e dell’errore alla luce della certezza
e della verità. Egli viene a darci la fiducia di poter vedere bene, di poter
vivere nella luce, di poter camminare senza inciampare, senza paura del
buio e dei suoi fantasmi. Ci aiuta ad alzare bene lo sguardo verso di lui,
anche quando il peso del peccato ci opprime.
Invocazioni
L. Adoriamo Gesù che passa tra di noi e invochiamo il suo aiuto.
RIT. Uomo di Galilea che passando vai.
1. Ti prego di guardarmi, ti prego di guardarmi e io sarò guarito. RIT.
2. Ti prego di toccarmi, ti prego di toccarmi e io… RIT.
3. Ti prego di perdonarmi, ti prego di perdonarmi e io ... RIT.
4. Ti prego di liberarmi, ti prego di liberarmi e io... RIT.
Silenzio…
C. Facciamo nostre le parole del salmo 31. Immenso Creatore, dinanzi a
tè sappiamo appena balbettare il mistero della vita che è in noi e attorno a
noi. Ogni persona è un palpito unico e irripetibile del tuo cuore. Noi
sappiamo che ci hai fatti per te e il nostro cuore non trova pace finché non
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riposa in Te! È meraviglioso abitare con te e restare alla tua presenza
per sempre.
Rit. Confitemini Domino quoniam Bonus,
Confitemini Domino Alleluia
Signore, quanto è grande la tua bontà!
La riservi per coloro che ti temono,
ne ricolmi chi in te si rifugia davanti agli occhi di tutti. Rit.
Tu li nascondi al riparo del tuo volto,
lontano dagli intrighi degli uomini;
li metti al sicuro nella tua tenda,
lontano dalla rissa delle lingue. Rit.
Io dicevo con sgomento:
«Sono escluso dalla tua presenza».
Tu invece hai ascoltato la voce
della mia preghiera quando a te gridavo aiuto. Rit.
Amate il Signore, voi tutti suoi santi;
il Signore protegge i suoi fedeli
e ripaga oltre misura l’orgoglioso.
Siate forti, riprendete coraggio,
o voi tutti che sperate nel Signore. Rit.
Secondo momento meditativo:
«Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo,
glorificando Dio»
Lettura per la meditazione personale
O Signore, o Dio Verbo, che sei la luce per la quale la luce fu fatta; che
sei la Via, la Verità, la Vita, nel quale non sono le tenebre, né errore, né
vanità né morte; luce, senza la quale non ci sono che tenebre, Via, fuori
della quale non vi è che errore, Verità, senza la quale non vi è che vanità,
Vita, senza la quale non vi è che morte: dì una parola, dì, o Signore: «Sia
fatta la luce», perché io veda la luce ed eviti le tenebre, veda la Via ed eviti
ogni deviazione, veda la Verità ed eviti la vanità, veda la Vita ed eviti la
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morte. Illuminami, Signore, mia luce, mio splendore e salvezza, Signore,
Padre mio che amerò, Sposo mio al quale solo mi consacrerò. Illumina, o
luce, questo cieco che siede nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigi i
suoi passi sulla via della pace, per la quale entrerò nel tabernacolo
ammirabile fino alla casa del Signore con canti di esultanza e di lode. Tu,
luce della mia vita: Tu sei la vera Via della vita. Amen. (Sant’Agostino, Libro
dei soliloqui dell’anima con Dio, IV)
Silenzio
C. Dopo aver invocato la misericordia di Gesù, immergiamoci nella lode
con le parole del salmo 147. Lodare Dio non è come ringraziarlo per un suo
dono: significa cantare la gioia per la sua presenza salvifica. La lode, che ci
fa partecipare del bene e delle gioie degli altri, è l’espressione più alta
dell’amore.
Rit. Laudate, omnes gentes, laudate Dominum!
Laudate, omnes gentes, laudate Dominum!
L. Lodate il Signore: è bello cantare al nostro
Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene. Rit.
L. Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi di Israele.
Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite;
egli conta i numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome. Rit.
L. Grande è il Signore, onnipotente,
la sua sapienza non ha confini.
Il Signore sostiene gli umili
ma abbassa fino a terra gli empi.
Cantate al Signore un canto di grazie,
intonate sulla cetra inni al nostro Dio. Rit.
L. Egli copre il cielo di nubi,
prepara la pioggia per la terra,
fa germogliare l’erba sui monti.
Provvede il cibo al bestiame,
ai piccoli del corvo che gridano a lui. Rit.
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L. Non fa conto del vigore del cavallo,
non apprezza l’agile corsa dell’uomo.
Il Signore si compiace di chi lo teme,
di chi spera nella sua grazia. Rit.
Momento conclusivo
Padre nostro
C. «Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza
essere migliore e più contento. Sii l’espressione della bontà di Dio. Bontà sul
tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini,
ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre
un sorriso gioioso. Dà loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore».
(Madre Teresa di Calcutta)
A. Quanto Tu, Signore, ci hai detto, noi lo faremo. Tu. O Cristo, che
percorri le strade del mondo per incontrare i più lontani e per avvicinarti a
chi si trova ai margini della vita, fermati ancora una volta per incontrarci.
Aprici il cuore alla speranza. Donaci la gioia di seguirti e di camminare
con te.
BENEDIZIONE EUCARISTICA e Canto finale
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39. Anno della Fede 2012‐2013
3. Terzo modulo. La gioia del cambiamento
Lc 19,1‐10.
1
Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un
uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi
era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla; perché era piccolo di
statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro,
perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo
e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
6
Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia.
7
Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
8
Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò
che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte
tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché
anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e
a salvare ciò che era perduto».
a. Approfondimento esegetico
Secondo il vangelo di Luca l’incontro con Zaccheo è l’ultimo prima
dell’ingresso di Gesù e degli apostoli a Gerusalemme. Esso avviene nella
città di Gerico, ultima tappa del viaggio verso la città santa. Il brano, che è
specifico di Luca, si può dividere in due parti: i vv. 1‐6, la presentazione di
Zaccheo e l’incontro con Gesù; i vv. 7‐10, Gesù nella casa di Zaccheo.
Luca descrive Zaccheo in modo molto accurato, cosa insolita per il terzo
evangelista. Di lui sappiamo il nome, il lavoro, lo status sociale e la statura.
Il nome Zaccheo significa «puro», ma di fatto è impuro, visto che è un
pubblicano, anzi un capo di pubblicani. Appartiene a una categoria di
persone odiate dal popolo perché si arricchiscono approfittando
dell’oppressore romano. I pubblicani, infatti, riscuotevano le tasse per
conto dei Romani e spesso esigevano più di quanto stabilito dalla legge.
Giovanni Battista, ai pubblicani che sono accorsi al suo battesimo di
penitenza e che gli hanno chiesto che cosa devono fare, risponde: «Non
esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (3,12‐13). Zaccheo è
qualificato come capo di pubblicani, non stupisce pertanto che sia
molto ricco.
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