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BOLLETTINO UFFICIALE
   DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA
           DI PESCARA-PENNE




ANNO LX                       MMVIII - 1
Periodico                                                   Sede Legale:
della Diocesi di Pescara                                    Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne
Anno LX - N° 1
                                                            Piazza Spirito Santo, 5
Presidente:                                                 65121 PESCARA
S. E. R. Mons. Tommaso VALENTINETTI

Direttore:                                                  Fotocomposizione e Stampa:
Dott.ssa Lidia BASTI                                        Tipografia MAX PRINT
lidia.basti@poste.it
                                                            65016 MONTESILVANO (PE)
Direttore Responsabile:
Dott. Ernesto GRIPPO
                                                            Rivista Diocesana
Amministratore:                                             C.C.P. n° 16126658
Can. Antonio DI GIULIO                                      Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara

Editore:                                                    al n° 11/95 in data 24.05.1995
Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne             Spedizione in abb. postale 50% PESCARA



                                           CURIA METROPOLITANA
                 Piazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-4222571 - Fax 085-4213149

                                              ARCIVESCOVADO
                           Piazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-2058897
SOMMARIO

LA PAROLA DEL PAPA


  Messaggio per la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace ................................. pag.                                         6

  Omelia nella solennità di Maria SS.ma Madre di Dio - XLI Giornata Mondiale della Pace ...... “                                                 14

  Omelia nella solennità della Epifania del Signore ............................................................... “                            18

  Messaggio per la XVI Giornata Mondiale del malato ......................................................... “                                  22

  Messaggio per la Quaresima 2008 ....................................................................................... “                      26

  Messaggio Urbi et Orbi - Pasqua 2008 ................................................................................ “                        30

  Messaggio per la XLV Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni ........................... “                                             33

  Messaggio per la XLII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ............................ “                                             38

  Messaggio alla Conferenza di alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale promossa dalla FAO ..... “                                       42



VITA DIOCESANA


  NOMINE e DECRETI

      Nomine e Ordinazioni ................................................................................................................. “   48

      Unità Pastorale tra le parrocchie di San Panfilo Vescovo
      e della Assunzione della Beata Vergine Maria in Spoltore .................................................... “                            51


  VARIE

      A proposito di Medjugorije ........................................................................................................ “      56

      Necrologio del Sac. Don Giustino Britti .................................................................................. “               60


  AMMINISTRAZIONE

      Resoconto Missionario in cifre - Anno 2007 .......................................................................... “                    65

      Bilancio Consuntivo al 31.12.2007 .......................................................................................... “             83


                                                                MMVIII - 1
4
LA PAROLA DEL PAPA
MESSAGGIO PER LA CELEBRAZIONE DELLA
         GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
                               1 gennaio 2008

              FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE


1. All’inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio
di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle
donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il te-
ma con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuo-
re: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunio-
ne tra persone è quella che l’amore suscita tra un uomo e una donna decisi
ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i
popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà
e di collaborazione, quali s’addicono a membri dell’unica famiglia umana:
« Tutti i popoli — ha sentenziato il Concilio Vaticano II — formano una so-
la comunità, hanno un’unica origine, perché Dio ha fatto abitare l’intero ge-
nere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26), ed hanno anche un
solo fine ultimo, Dio »(1).

Famiglia, società e pace
2. La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d’amore, fondata
sul matrimonio tra un uomo e una donna(2), costituisce « il luogo primario
dell’“umanizzazione” della persona e della società »(3), la « culla della vita
e dell’amore »(4). A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la pri-
ma società naturale, « un’istituzione divina che sta a fondamento della vita
delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale »(5).
3. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti
fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la fun-
zione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più
deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità
della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonar-
lo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace.
Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia perce-

                                       6
pita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la
famiglia è « la prima e vitale cellula della società »(6), si dice qualcosa di
essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché
permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comu-
nità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove
mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il « sapore »
genuino della pace meglio che nel « nido » originario che la natura gli pre-
para? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sem-
pre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei lin-
guaggi, la società non può perdere il riferimento a quella « grammatica »
che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà,
prima ancora che dalle loro parole.
4. La famiglia, poiché ha il dovere di educare i suoi membri, è titolare di
specifici diritti. La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, che
costituisce un’acquisizione di civiltà giuridica di valore veramente univer-
sale, afferma che « la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della so-
cietà e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato »(7). Da parte
sua, la Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla
famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si
legge: « I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell’individuo,
hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua
nativa e vitale espressione »(8). I diritti enunciati nella Carta sono espres-
sione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore dell’essere
umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione o anche la restrizione
dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull’uomo, minaccia gli stessi
fondamenti della pace.
5. Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare rende
fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché inde-
bolisce quella che, di fatto, è la principale « agenzia » di pace. È questo un
punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebo-
lire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che di-
rettamente o indirettamente ne frena la disponibilità all’accoglienza respon-
sabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima re-
sponsabile dell’educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento
sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giu-
sto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i fi-

                                       7
gli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica
non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un’es-
senziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunica-
zione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una
speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illu-
strarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza.

L’umanità è una grande famiglia
6. Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai
valori su cui si regge la comunità familiare. Questo vale per le comunità lo-
cali come per quelle nazionali; vale anzi per la stessa comunità dei popoli,
per la famiglia umana che vive in quella casa comune che è la terra. In
questa prospettiva, però, non si può dimenticare che la famiglia nasce dal «
sì » responsabile e definitivo di un uomo e di una donna e vive del « sì »
consapevole dei figli che vengono via via a farne parte. La comunità fami-
liare per prosperare ha bisogno del consenso generoso di tutti i suoi mem-
bri. È necessario che questa consapevolezza diventi convinzione condivisa
anche di quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana. Occor-
re saper dire il proprio « sì » a questa vocazione che Dio ha inscritto nella
stessa nostra natura. Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo
tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e
sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita
in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sor-
gente originaria della propria, come dell’altrui, esistenza. È risalendo a que-
sto supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di
ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l’edificazio-
ne di un’umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la so-
cietà è solo un’aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle,
chiamati a formare una grande famiglia.

Famiglia, comunità umana e ambiente
7. La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui in-
tessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la terra,
l’ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e
responsabilità. Dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso è stato affidato al-
l’uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo

                                       8
sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L’essere umano, ovviamen-
te, ha un primato di valore su tutto il creato. Rispettare l’ambiente non vuol
dire considerare la natura materiale o animale più importante dell’uomo.
Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione
dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di
trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà respon-
sabile che rivendichiamo per noi. Né vanno dimenticati i poveri, esclusi in
molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato. Oggi l’umanità
teme per il futuro equilibrio ecologico. È bene che le valutazioni a questo
riguardo si facciano con prudenza, nel dialogo tra esperti e saggi, senza ac-
celerazioni ideologiche verso conclusioni affrettate e soprattutto concertan-
do insieme un modello di sviluppo sostenibile, che garantisca il benessere
di tutti nel rispetto degli equilibri ecologici. Se la tutela dell’ambiente com-
porta dei costi, questi devono essere distribuiti con giustizia, tenendo conto
delle diversità di sviluppo dei vari Paesi e della solidarietà con le future ge-
nerazioni. Prudenza non significa non assumersi le proprie responsabilità e
rimandare le decisioni; significa piuttosto assumere l’impegno di decidere
assieme e dopo aver ponderato responsabilmente la strada da percorrere,
con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che
deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e
verso il quale siamo in cammino.
8. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra ca-
sa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada
del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali. Si possono aumentare,
se necessario, i luoghi istituzionali a livello internazionale, per affrontare
insieme il governo di questa nostra « casa »; ciò che più conta, tuttavia, è
far maturare nelle coscienze la convinzione della necessità di collaborare
responsabilmente. I problemi che si presentano all’orizzonte sono com-
plessi e i tempi stringono. Per far fronte in modo efficace alla situazione,
bisogna agire concordi. Un ambito nel quale sarebbe, in particolare, neces-
sario intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle ri-
sorse energetiche del pianeta. Una duplice urgenza, a questo riguardo, si
pone ai Paesi tecnologicamente avanzati: occorre rivedere, da una parte, gli
elevati standard di consumo dovuti all’attuale modello di sviluppo, e prov-
vedere, dall’altra, ad adeguati investimenti per la differenziazione delle
fonti di energia e per il miglioramento del suo utilizzo. I Paesi emergenti

                                       9
hanno fame di energia, ma talvolta questa fame viene saziata ai danni dei
Paesi poveri i quali, per l’insufficienza delle loro infrastrutture, anche tec-
nologiche, sono costretti a svendere le risorse energetiche in loro possesso.
A volte, la loro stessa libertà politica viene messa in discussione con forme
di protettorato o comunque di condizionamento, che appaiono chiaramente
umilianti.

Famiglia, comunità umana ed economia
9. Condizione essenziale per la pace nelle singole famiglie è che esse poggi-
no sul solido fondamento di valori spirituali ed etici condivisi. Occorre però
aggiungere che la famiglia fa un’autentica esperienza di pace quando a nes-
suno manca il necessario, e il patrimonio familiare — frutto del lavoro di
alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti — è bene
gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Per la pace familiare
è dunque necessaria, da una parte, l’apertura ad un patrimonio trascenden-
te di valori, ma al tempo stesso non è priva di importanza, dall’altra, la sag-
gia gestione sia dei beni materiali che delle relazioni tra le persone. Il venir
meno di questa componente ha come conseguenza l’incrinarsi della fiducia
reciproca a motivo delle incerte prospettive che minacciano il futuro del nu-
cleo familiare.
10. Un discorso simile va fatto per quell’altra grande famiglia che è l’uma-
nità nel suo insieme. Anche la famiglia umana, oggi ulteriormente unificata
dal fenomeno della globalizzazione, ha bisogno, oltre che di un fondamento
di valori condivisi, di un’economia che risponda veramente alle esigenze di
un bene comune a dimensioni planetarie. Il riferimento alla famiglia natura-
le si rivela, anche da questo punto di vista, singolarmente suggestivo. Oc-
corre promuovere corrette e sincere relazioni tra i singoli esseri umani e tra
i popoli, che permettano a tutti di collaborare su un piano di parità e di giu-
stizia. Al tempo stesso, ci si deve adoperare per una saggia utilizzazione
delle risorse e per un’equa distribuzione della ricchezza. In particolare, gli
aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economi-
ca, evitando sprechi che risultino in definitiva funzionali soprattutto al man-
tenimento di costosi apparati burocratici. Occorre anche tenere in debito
conto l’esigenza morale di far sì che l’organizzazione economica non ri-
sponda solo alle crude leggi del guadagno immediato, che possono risultare
disumane.

                                      10
Famiglia, comunità umana e legge morale
11. Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad
una norma comune: è questa ad impedire l’individualismo egoistico e a le-
gare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l’operosità
finalizzata. Il criterio, in sé ovvio, vale anche per le comunità più ampie: da
quelle locali, a quelle nazionali, fino alla stessa comunità internazionale.
Per avere la pace c’è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad es-
sere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio, e che protegga il debole dal
sopruso del più forte. Nella famiglia dei popoli si verificano molti compor-
tamenti arbitrari, sia all’interno dei singoli Stati sia nelle relazioni degli Sta-
ti tra loro. Non mancano poi tante situazioni in cui il debole deve piegare la
testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha
più mezzi di lui. Occorre ribadirlo: la forza va sempre disciplinata dalla leg-
ge e ciò deve avvenire anche nei rapporti tra Stati sovrani.
12. Sulla natura e la funzione della legge la Chiesa si è pronunciata molte
volte: la norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disci-
plinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i tra-
sgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose.
La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esi-
genze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta al-
l’origine di tutte le cose. Questa norma morale deve regolare le scelte delle
coscienze e guidare tutti i comportamenti degli esseri umani. Esistono nor-
me giuridiche per i rapporti tra le Nazioni che formano la famiglia umana?
E se esistono, sono esse operanti? La risposta è: sì, le norme esistono, ma
per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale na-
turale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta in balia di
fragili e provvisori consensi.
13. La conoscenza della norma morale naturale non è preclusa all’uomo che
rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga cir-
ca la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere.
Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle
sue linee essenziali, questa legge morale comune che, al di là delle differen-
ze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più
importanti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. È indispensabile
risalire a questa legge fondamentale impegnando in questa ricerca le nostre
migliori energie intellettuali, senza lasciarci scoraggiare da equivoci e frain-
tendimenti. Di fatto, valori radicati nella legge naturale sono presenti, anche

                                        11
se in forma frammentata e non sempre coerente, negli accordi internaziona-
li, nelle forme di autorità universalmente riconosciute, nei principi del dirit-
to umanitario recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli
Organismi internazionali. L’umanità non è « senza legge ». È tuttavia ur-
gente proseguire nel dialogo su questi temi, favorendo il convergere anche
delle legislazioni dei singoli Stati verso il riconoscimento dei diritti umani
fondamentali. La crescita della cultura giuridica nel mondo dipende, tra l’al-
tro, dall’impegno di sostanziare sempre le norme internazionali di contenu-
to profondamente umano, così da evitare il loro ridursi a procedure facil-
mente aggirabili per motivi egoistici o ideologici.

Superamento dei conflitti e disarmo
14. L’umanità vive oggi, purtroppo, grandi divisioni e forti conflitti che get-
tano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del pianeta sono coinvolte in ten-
sioni crescenti, mentre il pericolo che si moltiplichino i Paesi detentori del-
l’arma nucleare suscita motivate apprensioni in ogni persona responsabile.
Sono ancora in atto molte guerre civili nel Continente africano, sebbene in
esso non pochi Paesi abbiano fatto progressi nella libertà e nella democra-
zia. Il Medio Oriente è tuttora teatro di conflitti e di attentati, che influenza-
no anche Nazioni e regioni limitrofe, rischiando di coinvolgerle nella spira-
le della violenza. Su un piano più generale, si deve registrare con rammari-
co l’aumento del numero di Stati coinvolti nella corsa agli armamenti: per-
sino Nazioni in via di sviluppo destinano una quota importante del loro ma-
gro prodotto interno all’acquisto di armi. In questo funesto commercio le
responsabilità sono molte: vi sono i Paesi del mondo industrialmente svi-
luppato che traggono lauti guadagni dalla vendita di armi e vi sono le oli-
garchie dominanti in tanti Paesi poveri che vogliono rafforzare la loro situa-
zione mediante l’acquisto di armi sempre più sofisticate. È veramente ne-
cessaria in tempi tanto difficili la mobilitazione di tutte le persone di buona
volontà per trovare concreti accordi in vista di un’efficace smilitarizzazione,
soprattutto nel campo delle armi nucleari. In questa fase in cui il processo di
non proliferazione nucleare sta segnando il passo, sento il dovere di esortare
le Autorità a riprendere con più ferma determinazione le trattative in vista
dello smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari
esistenti. Nel rinnovare questo appello, so di farmi eco dell’auspicio condi-
viso da quanti hanno a cuore il futuro dell’umanità.
15. Sessant’anni or sono l’Organizzazione delle Nazioni Unite rendeva pub-

                                       12
blica in modo solenne la Dichiarazione universale dei diritti umani
(1948–2008). Con quel documento la famiglia umana reagiva agli orrori
della Seconda Guerra Mondiale, riconoscendo la propria unità basata sulla
pari dignità di tutti gli uomini e ponendo al centro della convivenza umana
il rispetto dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli: fu quello un passo
decisivo nel difficile e impegnativo cammino verso la concordia e la pace.
Uno speciale pensiero merita anche la ricorrenza del 25° anniversario del-
l’adozione da parte della Santa Sede della Carta dei diritti della famiglia
(1983–2008), come pure il 40° anniversario della celebrazione della prima
Giornata Mondiale della Pace (1968–2008). Frutto di una provvidenziale
intuizione di Papa Paolo VI, ripresa con grande convinzione dal mio amato
e venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, la celebrazione di questa
Giornata ha offerto nel corso degli anni la possibilità di sviluppare, attraver-
so i Messaggi pubblicati per la circostanza, un’illuminante dottrina da parte
della Chiesa a favore di questo fondamentale bene umano. È proprio alla lu-
ce di queste significative ricorrenze che invito ogni uomo e ogni donna a
prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica fa-
miglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi
sempre di più questa convinzione da cui dipende l’instaurazione di una pace
vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il
grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare
all’intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne
per la salvezza dell’intera umanità, è Madre comune.
A tutti l’augurio di un lieto Anno nuovo!

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2007


(1) Dich. Nostra aetate, 1.
(2) Cfr. Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.
(3) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 40: AAS 81 (1989) 469.
(4) Ibidem.
(5) Pont. Cons. della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale del-
    la Chiesa, n. 211.
(6) Conc. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11.
(7) Art. 16/3.
(8) Pontificio Consiglio per la Famiglia, Carta dei diritti della famiglia, 24 no-
    vembre 1983, Preambolo, A.

                                        13
OMELIA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
        XLI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

                              Basilica Vaticana
                           Martedì, 1 gennaio 2008


Cari fratelli e sorelle!

Iniziamo quest’oggi un nuovo anno e ci prende per mano la speranza cri-
stiana; lo iniziamo invocando su di esso la benedizione divina ed imploran-
do, per intercessione di Maria, Madre di Dio, il dono della pace: per le no-
stre famiglie, per le nostre città, per il mondo intero. Con questo auspicio
saluto tutti voi qui presenti ad iniziare dagli illustri Ambasciatori del Corpo
Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, convenuti a questa celebra-
zione in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Saluto il Cardinale
Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, il Cardinale Renato Raffaele Mar-
tino e tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pa-
ce. Ad essi sono particolarmente grato per il loro impegno nel diffondere il
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come te-
ma: “Famiglia umana, comunità di pace”.

La pace. Nella prima Lettura, tratta dal Libro dei Numeri, abbiamo ascoltato
l’invocazione: “Il Signore ti conceda pace” (6,26); il Signore doni pace a
ciascuno di voi, alle vostre famiglie, al mondo intero. Tutti aspiriamo a vi-
vere nella pace, ma la pace vera, quella annunciata dagli angeli nella notte
di Natale, non è semplice conquista dell’uomo o frutto di accordi politici; è
innanzitutto dono divino da implorare costantemente e, allo stesso tempo,
impegno da portare avanti con pazienza restando sempre docili ai comandi
del Signore. Quest’anno, nel Messaggio per l’odierna Giornata Mondiale
della Pace, ho voluto porre in luce lo stretto rapporto che esiste tra la fami-
glia e la costruzione della pace nel mondo. La famiglia naturale, fondata sul
matrimonio tra un uomo e una donna, è “culla della vita e dell’amore” e “la
prima e insostituibile educatrice alla pace”. Proprio per questo la famiglia è
“la principale ‘agenzia’ di pace” e “la negazione o anche la restrizione dei
diritti della famiglia, oscurando la verità dell’uomo, minaccia gli stessi fon-
damenti della pace” (cfr nn. 1-5). Poiché poi l’umanità è una “grande fami-

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glia”, se vuole vivere in pace non può non ispirarsi a quei valori sui quali si
fonda e si regge la comunità familiare. La provvidenziale coincidenza di va-
rie ricorrenze ci sprona quest’anno ad uno sforzo ancor più sentito per rea-
lizzare la pace nel mondo. Sessant’anni or sono, nel 1948, l’Assemblea Ge-
nerale delle Nazioni Unite rese pubblica la “Dichiarazione universale dei di-
ritti dell’uomo”; quarant’anni fa il mio venerato Predecessore Paolo VI ce-
lebrò la prima Giornata Mondiale della Pace; quest’anno inoltre ricordere-
mo il 25° anniversario dell’adozione da parte della Santa Sede della “Carta
dei diritti della famiglia”. “Alla luce di queste significative ricorrenze – ri-
prendo qui quanto ho scritto proprio a conclusione del Messaggio – invito
ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune
appartenenza all’unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la conviven-
za sulla terra rispecchi sempre più questa convinzione da cui dipende l’in-
staurazione di una pace vera e duratura”.

Il nostro pensiero si volge ora naturalmente alla Madonna, che oggi invo-
chiamo come Madre di Dio. Fu il Papa Paolo VI a trasferire al primo gen-
naio la festa della Divina Maternità di Maria, che un tempo cadeva l’11 di
ottobre. Prima infatti della riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II,
nel primo giorno dell’anno si celebrava la memoria della circoncisione di
Gesù nell’ottavo giorno dopo la sua nascita - come segno della sottomissio-
ne alla legge, il suo inserimento ufficiale nel popolo eletto - e la domenica
seguente si celebrava la festa del nome di Gesù. Di queste ricorrenze scor-
giamo qualche traccia nella pagina evangelica che è stata poco fa proclama-
ta, in cui san Luca riferisce che otto giorni dopo la nascita il Bambino venne
circonciso e gli fu posto il nome di Gesù, “come era stato chiamato dall’an-
gelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2,21). Quella
odierna pertanto, oltre che essere una quanto mai significativa festa maria-
na, conserva pure un contenuto fortemente cristologico, perché, potremmo
dire, prima della Madre, riguarda proprio il Figlio, Gesù vero Dio e vero
Uomo.

Al mistero della divina maternità di Maria, la Theotokos, fa riferimento l’a-
postolo Paolo nella Lettera ai Galati. “Quando venne la pienezza del tempo,
- egli scrive - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge”
(4,4). In poche parole troviamo sintetizzati il mistero dell’incarnazione del

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Verbo eterno e la divina maternità di Maria: il grande privilegio della Vergi-
ne sta proprio nell’essere Madre del Figlio che è Dio. A otto giorni dal Na-
tale trova pertanto la sua più logica e giusta collocazione questa festa maria-
na. Infatti, nella notte di Betlemme, quando “diede alla luce il suo figlio pri-
mogenito” (Lc 2,7), si compirono le profezie concernenti il Messia. “Una
Vergine concepirà e partorirà un figlio”, aveva preannunciato Isaia (7,14);
“ecco concepirai nel seno e partorirai un figlio”, disse a Maria l’angelo Ga-
briele (Lc 1,31); e ancora un angelo del Signore - narra l’evangelista Matteo
-, apparendo in sogno a Giuseppe, lo rassicurò dicendogli: “non temere di
prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene
dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio”(Mt 1,20-21).

Il titolo di Madre di Dio è il fondamento di tutti gli altri titoli con cui la Ma-
donna è stata venerata e continua ad essere invocata di generazione in gene-
razione, in Oriente e in Occidente. Al mistero della sua divina maternità
fanno riferimento tanti inni e tante preghiere della tradizione cristiana, come
ad esempio un’antifona mariana del tempo natalizio, l’Alma Redemptoris
mater con la quale così preghiamo: “Tu quae genuisti, natura mirante, tuum
sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius – Tu, nello stupore di tutto il
creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine”. Cari fratelli e
sorelle, contempliamo quest’oggi Maria, madre sempre vergine del Figlio
unigenito del Padre; impariamo da Lei ad accogliere il Bambino che per noi
è nato a Betlemme. Se nel Bimbo nato da Lei riconosciamo il Figlio eterno
di Dio e lo accogliamo come il nostro unico Salvatore, possiamo essere detti
e lo siamo realmente figli di Dio: figli nel Figlio. Scrive l’Apostolo: “Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro
che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4).

L’evangelista Luca ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa su
questi eventi straordinari nei quali Iddio l’aveva coinvolta. Lo abbiamo
ascoltato anche nel breve brano evangelico che quest’oggi la liturgia ci ri-
propone. “Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).
Il verbo greco usato “sumbállousa” letteralmente significa “mettere insie-
me” e fa pensare a un mistero grande da scoprire poco a poco. Il Bambino
che vagisce nella mangiatoia, pur apparentemente simile a tutti i bimbi del
mondo, è al tempo stesso del tutto differente: è il Figlio di Dio, è Dio, vero

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Dio e vero uomo. Questo mistero – l’incarnazione del Verbo e la divina ma-
ternità di Maria – è grande e certamente non facile da comprendere con la
sola umana intelligenza.

Alla scuola di Maria però possiamo cogliere con il cuore quello che gli oc-
chi e la mente non riescono da soli a percepire, né possono contenere. Si
tratta, infatti, di un dono così grande che solo nella fede ci è dato accogliere
pur senza tutto comprendere. Ed è proprio in questo cammino di fede che
Maria ci viene incontro, ci è sostegno e guida. Lei è madre perché ha gene-
rato nella carne Gesù; lo è perché ha aderito totalmente alla volontà del Pa-
dre. Scrive sant’Agostino: “Di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa
divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sor-
te più fortunata di quando lo concepì nella carne” (De sancta Virginitate,
3,3). E nel suo cuore Maria continuò a conservare, a “mettere insieme” gli
eventi successivi di cui sarà testimone e protagonista, sino alla morte in cro-
ce e alla risurrezione del suo Figlio Gesù.

Cari fratelli e sorelle, solo conservando nel cuore, mettendo cioè insieme e
trovando un’unità di tutto ciò che viviamo, possiamo addentrarci, seguendo
Maria, nel mistero di un Dio che per amore si è fatto uomo e ci chiama a se-
guirlo sulla strada dell’amore; amore da tradurre ogni giorno in un generoso
servizio ai fratelli. Possa il nuovo anno, che oggi fiduciosi iniziamo, essere
un tempo nel quale avanzare in quella conoscenza del cuore, che è la sa-
pienza dei santi. Preghiamo perché, come abbiamo ascoltato nella prima
Lettura, il Signore “faccia brillare il suo volto” su di noi, ci “sia propizio”
(cfr Nm 6,24-7), e ci benedica. Possiamo esserne certi: se non ci stanchiamo
di ricercare il suo volto, se non cediamo alla tentazione dello scoraggiamen-
to e del dubbio, se pur fra le tante difficoltà che incontriamo restiamo sem-
pre ancorati a Lui, sperimenteremo la potenza del suo amore e della sua mi-
sericordia. Il fragile Bambino che la Vergine quest’oggi mostra al mondo, ci
renda operatori di pace, testimoni di Lui, Principe della pace. Amen!




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OMELIA NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE
                              Basilica Vaticana
                           Domenica, 6 gennaio 2008


Cari fratelli e sorelle,

celebriamo oggi Cristo, Luce del mondo, e la sua manifestazione alle genti.
Nel giorno di Natale il messaggio della liturgia suonava così: “Hodie de-
scendit lux magna super terram – Oggi una grande luce discende sulla ter-
ra” (Messale Romano). A Betlemme, questa “grande luce” apparve a un
piccolo nucleo di persone, un minuscolo “resto d’Israele”: la Vergine Maria,
il suo sposo Giuseppe e alcuni pastori. Una luce umile, come è nello stile
del vero Dio; una fiammella accesa nella notte: un fragile neonato, che vagi-
sce nel silenzio del mondo… Ma accompagnava quella nascita nascosta e
sconosciuta l’inno di lode delle schiere celesti, che cantavano gloria e pace
(cfr Lc 2,13-14).

Così quella luce, pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con
potenza nei cieli: la nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorge-
re di una stella, visibile da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “al-
cuni Magi”, giunti da oriente a Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù,
al tempo del re Erode (cfr Mt 2,1-2). Ancora una volta si richiamano e si ri-
spondono il cielo e la terra, il cosmo e la storia. Le antiche profezie trovano
riscontro nel linguaggio degli astri. “Una stella spunta da Giacobbe / e uno
scettro sorge da Israele” (Nm 24,17), aveva annunciato il veggente pagano
Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse
perché – gli rivelò Dio – “quel popolo è benedetto” (Nm 22,12). Cromazio
di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione
Balaam con i Magi; scrive: “Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto;
costoro lo scorsero con gli occhi della fede”. E aggiunge un’osservazione
importante: “La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il sen-
so. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non
tutti lo hanno accolto” (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospetti-
va storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso espri-

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me la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata
ad estendersi a tutti i popoli della terra.

L’avvenimento evangelico che ricordiamo nell’Epifania – la visita dei Magi
al Bambino Gesù a Betlemme – ci rimanda così alle origini della storia del
popolo di Dio, cioè alla chiamata di Abramo. Siamo al capitolo 12° del Li-
bro della Genesi. I primi 11 capitoli sono come grandi affreschi che rispon-
dono ad alcune domande fondamentali dell’umanità: qual è l’origine dell’u-
niverso e del genere umano? Da dove viene il male? Perché ci sono diverse
lingue e civiltà? Tra i racconti iniziali della Bibbia, compare una prima “al-
leanza”, stabilita da Dio con Noè, dopo il diluvio. Si tratta di un’alleanza
universale, che riguarda tutta l’umanità: il nuovo patto con la famiglia di
Noè è insieme patto con “ogni carne”. Poi, prima della chiamata di Abramo
si trova un altro grande affresco molto importante per capire il senso dell’E-
pifania: quello della torre di Babele. Afferma il testo sacro che in origine
“tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gn 11,1). Poi gli uo-
mini dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi
il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn
11,4). La conseguenza di questa colpa di orgoglio, analoga a quella di Ada-
mo ed Eva, fu la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità su
tutta la terra (cfr Gn 11,7-8). Questo significa “Babele”, e fu una sorta di
maledizione, simile alla cacciata dal paradiso terrestre.

A questo punto inizia la storia della benedizione, con la chiamata di Abra-
mo: incomincia il grande disegno di Dio per fare dell’umanità una famiglia,
mediante l’alleanza con un popolo nuovo, da Lui scelto perché sia una be-
nedizione in mezzo a tutte le genti (cfr Gn 12,1-3). Questo piano divino è
tuttora in corso e ha avuto il suo momento culminante nel mistero di Cristo.
Da allora sono iniziati gli “ultimi tempi”, nel senso che il disegno è stato
pienamente rivelato e realizzato in Cristo, ma chiede di essere accolto dalla
storia umana, che rimane sempre storia di fedeltà da parte di Dio e purtrop-
po anche di infedeltà da parte di noi uomini. La stessa Chiesa, depositaria
della benedizione, è santa e composta di peccatori, segnata dalla tensione
tra il “già” e il “non ancora”. Nella pienezza dei tempi Gesù Cristo è venuto
a portare a compimento l’alleanza: Lui stesso, vero Dio e vero uomo, è il
Sacramento della fedeltà di Dio al suo disegno di salvezza per l’intera uma-
nità, per tutti noi.

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L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è
il segno della manifestazione del Re universale ai popoli e a tutti gli uomini
che cercano la verità. E’ l’inizio di un movimento opposto a quello di Babe-
le: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione alla riconciliazio-
ne. Scorgiamo così un legame tra l’Epifania e la Pentecoste: se il Natale di
Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo
nei Magi i popoli che si aggregano al resto d’Israele, preannunciando il
grande segno della “Chiesa poliglotta”, attuato dallo Spirito Santo cinquanta
giorni dopo la Pasqua. L’amore fedele e tenace di Dio, che mai viene meno
alla sua alleanza di generazione in generazione. E’ il “mistero” di cui parla
san Paolo nelle sue Lettere, anche nel brano della Lettera agli Efesini
poc’anzi proclamato: l’Apostolo afferma che tale mistero “gli è stato fatto
conoscere per rivelazione” (Ef 3,3) e lui è incaricato di farlo conoscere.

Questo “mistero” della fedeltà di Dio costituisce la speranza della storia.
Certo, esso è contrastato da spinte di divisione e di sopraffazione, che lace-
rano l’umanità a causa del peccato e del conflitto di egoismi. La Chiesa è,
nella storia, al servizio di questo “mistero” di benedizione per l’intera uma-
nità. In questo mistero della fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua
missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è
di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell’autentico progresso.
Infatti resta sempre valida la parola di Dio rivelata per mezzo del profeta
Isaia: “… le tenebre ricoprono la terra, / nebbia fitta avvolge le nazioni; /
ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te” (Is 60,2).
Quanto il profeta annuncia a Gerusalemme, si compie nella Chiesa di Cri-
sto: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorge-
re” (Is 60,3).

Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla
Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l’intera
umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi vero quanto diceva il
profeta: “nebbia fitta avvolge le nazioni” e la nostra storia. Non si può dire
infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I
conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse ener-
getiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti,
ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C’è bi-

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sogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune
di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. “Questa grande speranza
può essere solo Dio … non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un
volto umano” (Enc. Spe salvi n. 31): il Dio che si è manifestato nel Bambi-
no di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto. Se c’è una grande speranza, si può
perseverare nella sobrietà. Se manca la vera speranza, si cerca la felicità
nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo.
La moderazione non è allora solo una regola ascetica, ma anche una via di
salvezza per l’umanità. È ormai evidente che soltanto adottando uno stile di
vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione del-
le ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sosteni-
bile. Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e
possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un
lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti ad
un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi. Abbiamo tutti bisogno di questo
coraggio, ancorato a una salda speranza. Ce lo ottenga Maria, accompa-
gnandoci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua materna protezione.
Amen!




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MESSAGGIO PER LA XVI GIORNATA MONDIALE
                              DEL MALATO


Cari fratelli e sorelle!

1. L’11 febbraio, memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, si celebra
la Giornata Mondiale del Malato, occasione propizia per riflettere sul senso
del dolore e sul dovere cristiano di farsene carico in qualunque situazione
esso si presenti. Quest’anno tale significativa ricorrenza si collega a due
eventi importanti per la vita della Chiesa, come si comprende già dal tema
scelto “L’Eucaristia, Lourdes e la cura pastorale dei malati”: il 150° anni-
versario delle apparizioni dell’Immacolata a Lourdes, e la celebrazione del
Congresso Eucaristico Internazionale a Québec, in Canada. In tal modo vie-
ne offerta una singolare opportunità per considerare la stretta connessione
che esiste tra il Mistero eucaristico, il ruolo di Maria nel progetto salvifico e
la realtà del dolore e della sofferenza dell’uomo.

I 150 anni dalle apparizioni di Lourdes ci invitano a volgere lo sguardo ver-
so la Vergine Santa, la cui Immacolata Concezione costituisce il dono subli-
me e gratuito di Dio ad una donna, perché potesse aderire pienamente ai di-
segni divini con fede ferma e incrollabile, nonostante le prove e le sofferen-
ze che avrebbe dovuto affrontare. Per questo Maria è modello di totale ab-
bandono alla volontà di Dio: ha accolto nel cuore il Verbo eterno e lo ha
concepito nel suo grembo verginale; si è fidata di Dio e, con l’anima trafitta
dalla spada del dolore (cfr Lc 2,35), non ha esitato a condividere la passione
del suo Figlio rinnovando sul Calvario ai piedi della Croce il “sì” dell’An-
nunciazione. Meditare sull’Immacolata Concezione di Maria è pertanto la-
sciarsi attrarre dal «sì» che l’ha congiunta mirabilmente alla missione di
Cristo, redentore dell’umanità; è lasciarsi prendere e guidare per mano da
Lei, per pronunciare a propria volta il “fiat” alla volontà di Dio con tutta l’e-
sistenza intessuta di gioie e tristezze, di speranze e delusioni, nella consape-
volezza che le prove, il dolore e la sofferenza rendono ricco di senso il no-
stro pellegrinaggio sulla terra.

2. Non si può contemplare Maria senza essere attratti da Cristo e non si può
guardare a Cristo senza avvertire subito la presenza di Maria. Esiste un le-

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game inscindibile tra la Madre e il Figlio generato nel suo seno per opera
dello Spirito Santo, e questo legame lo avvertiamo, in maniera misteriosa,
nel Sacramento dell’Eucaristia, come sin dai primi secoli i Padri della Chie-
sa e i teologi hanno messo in luce. “La carne nata da Maria, venendo dallo
Spirito Santo, è il pane disceso dal cielo”, afferma sant’Ilario di Poitiers,
mentre nel Sacramentario Bergomense, del sec. IX, leggiamo: “Il suo grem-
bo ha fatto fiorire un frutto, un pane che ci ha riempito di angelico dono.
Maria ha restituito alla salvezza ciò che Eva aveva distrutto con la sua col-
pa”. Osserva poi san Pier Damiani: “Quel corpo che la beatissima Vergine
ha generato, ha nutrito nel suo grembo con cura materna, quel corpo dico,
senza dubbio e non un altro, ora lo riceviamo dal sacro altare, e ne beviamo
il sangue come sacramento della nostra redenzione. Questo ritiene la fede
cattolica, questo fedelmente insegna la santa Chiesa”. Il legame della Vergi-
ne Santa con il Figlio, Agnello immolato che toglie i peccati del mondo, si
estende alla Chiesa Corpo mistico di Cristo. Maria - nota il Servo di Dio
Giovanni Paolo II - è “donna eucaristica” con l’intera sua vita per cui la
Chiesa, guardando a Lei come a suo modello, “è chiamata ad imitarla anche
nel suo rapporto con questo Mistero santissimo” (Enc. Ecclesia de Euchari-
stia, 53). In questa ottica si comprende ancor più perché a Lourdes al culto
della Beata Vergine Maria si unisce un forte e costante richiamo all’Eucari-
stia con quotidiane Celebrazioni eucaristiche, con l’adorazione del Santissi-
mo Sacramento e la benedizione dei malati, che costituisce uno dei momen-
ti più forti della sosta dei pellegrini presso la grotta di Massabielles.

La presenza a Lourdes di molti pellegrini ammalati e di volontari che li ac-
compagnano aiuta a riflettere sulla materna e tenera premura che la Vergine
manifesta verso il dolore e le sofferenza dell’uomo. Associata al Sacrificio
di Cristo, Maria, Mater Dolorosa, che ai piedi della Croce soffre con il suo
divin Figlio, viene sentita particolarmente vicina dalla comunità cristiana
che si raccoglie attorno ai suoi membri sofferenti, i quali recano i segni del-
la passione del Signore. Maria soffre con coloro che sono nella prova, con
essi spera ed è loro conforto sostenendoli con il suo materno aiuto. E non è
forse vero che l’esperienza spirituale di tanti ammalati spinge a comprende-
re sempre più che “il divin Redentore vuole penetrare nell’animo di ogni
sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice
di tutti i redenti”? (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris, 26).

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3. Se Lourdes ci conduce a meditare sull’amore materno della Vergine Im-
macolata per i suoi figli malati e sofferenti, il prossimo Congresso Eucaristi-
co Internazionale sarà occasione per adorare Gesù Cristo presente nel Sacra-
mento dell’altare, a Lui affidarci come a Speranza che non delude, Lui ac-
cogliere quale farmaco dell’immortalità che sana il fisico e lo spirito. Gesù
Cristo ha redento il mondo con la sua sofferenza, con la sua morte e risurre-
zione e ha voluto restare con noi quale “pane della vita” nel nostro pellegri-
naggio terreno. “L’Eucaristia dono di Dio per la vita del mondo”: questo è
il tema del Congresso Eucaristico che sottolinea come l’Eucaristia sia il do-
no che il Padre fa al mondo del proprio unico Figlio, incarnato e crocifisso.
E’ Lui che ci raduna intorno alla mensa eucaristica, suscitando nei suoi di-
scepoli un’attenzione amorevole per i sofferenti e gli ammalati, nei quali la
comunità cristiana riconosce il volto del suo Signore. Come ho rilevato nel-
l’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, “le nostre co-
munità, quando celebrano l’Eucaristia, devono prendere sempre più co-
scienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge
ogni credente in Lui a farsi ‘pane spezzato’ per gli altri” (n. 88). Siamo così
incoraggiati ad impegnarci in prima persona a servire i fratelli, specialmente
quelli in difficoltà, poiché la vocazione di ogni cristiano è veramente quella
di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo.

4. Appare pertanto chiaro che proprio dall’Eucaristia la pastorale della salu-
te deve attingere la forza spirituale necessaria a soccorrere efficacemente
l’uomo e ad aiutarlo a comprendere il valore salvifico della propria soffe-
renza. Come ebbe a scrivere il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella già cita-
ta Lettera apostolica Salvifici doloris, la Chiesa vede nei fratelli e nelle so-
relle sofferenti quasi molteplici soggetti della forza soprannaturale di Cristo
(cfr n. 27). Unito misteriosamente a Cristo, l’uomo che soffre con amore e
docile abbandono alla volontà divina diventa offerta vivente per la salvezza
del mondo. L’amato mio Predecessore affermava ancora che “quanto più
l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del
peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che
la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di
ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo”
(ibid.). Se pertanto a Québec si contempla il mistero dell’Eucaristia dono di
Dio per la vita del mondo, nella Giornata Mondiale del Malato, in un ideale
parallelismo spirituale, non solo si celebra l’effettiva partecipazione della

                                      24
sofferenza umana all’opera salvifica di Dio, ma se ne possono godere, in
certo senso, i preziosi frutti promessi a coloro che credono. Così il dolore,
accolto con fede, diventa la porta per entrare nel mistero della sofferenza re-
dentrice di Gesù e per giungere con Lui alla pace e alla felicità della sua Ri-
surrezione.

5. Mentre rivolgo il mio saluto cordiale a tutti gli ammalati e a quanti se ne
prendono cura in diversi modi, invito le comunità diocesane e parrocchiali a
celebrare la prossima Giornata Mondiale del Malato valorizzando appieno
la felice coincidenza tra il 150° anniversario delle apparizioni di Nostra Si-
gnora a Lourdes e il Congresso Eucaristico Internazionale. Sia occasione
per sottolineare l’importanza della Santa Messa, dell’Adorazione eucaristica
e del culto dell’Eucaristia, facendo in modo che le Cappelle nei Centri sani-
tari diventino il cuore pulsante in cui Gesù si offre incessantemente al Padre
per la vita dell’umanità. Anche la distribuzione ai malati dell’Eucaristia, fat-
ta con decoro e spirito di preghiera, è vero conforto per chi soffre afflitto da
ogni forma di infermità.

La prossima Giornata Mondiale del Malato sia inoltre propizia circostanza
per invocare, in modo speciale, la materna protezione di Maria su quanti so-
no provati dalla malattia, sugli agenti sanitari e sugli operatori della pastora-
le sanitaria. Penso, in particolare, ai sacerdoti impegnati in questo campo,
alle religiose e ai religiosi, ai volontari e a chiunque con fattiva dedizione si
occupa di servire, nel corpo e nell’anima, gli ammalati e i bisognosi. Affido
tutti a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, Immacolata Concezione. Sia
Lei ad aiutare ciascuno nel testimoniare che l’unica valida risposta al dolore
e alla sofferenza umana è Cristo, il quale risorgendo ha vinto la morte e ci
ha donato la vita che non conosce fine. Con questi sentimenti, di cuore im-
parto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 11 gennaio 2008




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MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2008
                 “Cristo si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9)



Cari fratelli e sorelle!

1. Ogni anno, la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per ap-
profondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a risco-
prire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericor-
diosi verso i fratelli. Nel tempo quaresimale la Chiesa si preoccupa di pro-
porre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in
questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno
e l’elemosina. Quest’anno, nel consueto Messaggio quaresimale, desidero
soffermarmi a riflettere sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un mo-
do concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un eser-
cizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. Quanto sia forte
la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la no-
stra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria:
“Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). L’elemosina ci aiuta a
vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle neces-
sità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina posse-
diamo. A questo mirano le collette speciali a favore dei poveri, che in Qua-
resima vengono promosse in molte parti del mondo. In tal modo, alla purifi-
cazione interiore si aggiunge un gesto di comunione ecclesiale, secondo
quanto avveniva già nella Chiesa primitiva. San Paolo ne parla nelle sue
Lettere a proposito della colletta a favore della comunità di Gerusalemme
(cfr 2 Cor 8-9; Rm 15,25-27).

2. Secondo l’insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì am-
ministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati co-
me esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama
ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo. Co-
me ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, i beni materiali rivestono
una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale
(cfr n. 2404).

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Nel Vangelo è chiaro il monito di Gesù verso chi possiede e utilizza solo per
sé le ricchezze terrene. Di fronte alle moltitudini che, carenti di tutto, pati-
scono la fame, acquistano il tono di un forte rimprovero le parole di san
Giovanni: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratel-
lo in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di
Dio?” (1 Gv 3,17). Con maggiore eloquenza risuona il richiamo alla condi-
visione nei Paesi la cui popolazione è composta in maggioranza da cristiani,
essendo ancor più grave la loro responsabilità di fronte alle moltitudini che
soffrono nell’indigenza e nell’abbandono. Soccorrerle è un dovere di giusti-
zia prima ancora che un atto di carità.

3. Il Vangelo pone in luce una caratteristica tipica dell’elemosina cristiana:
deve essere nascosta. “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, di-
ce Gesù, “perché la tua elemosina resti segreta” (Mt 6,3-4). E poco prima
aveva detto che non ci si deve vantare delle proprie buone azioni, per non
rischiare di essere privati della ricompensa celeste (cfr Mt 6,1-2). La preoc-
cupazione del discepolo è che tutto vada a maggior gloria di Dio. Gesù am-
monisce: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano
le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt
5,16). Tutto deve essere dunque compiuto a gloria di Dio e non nostra. Que-
sta consapevolezza accompagni, cari fratelli e sorelle, ogni gesto di aiuto al
prossimo evitando che si trasformi in un mezzo per porre in evidenza noi
stessi. Se nel compiere una buona azione non abbiamo come fine la gloria
di Dio e il vero bene dei fratelli, ma miriamo piuttosto ad un ritorno di inte-
resse personale o semplicemente di plauso, ci poniamo fuori dell’ottica
evangelica. Nella moderna società dell’immagine occorre vigilare attenta-
mente, poiché questa tentazione è ricorrente. L’elemosina evangelica non è
semplice filantropia: è piuttosto un’espressione concreta della carità, virtù
teologale che esige l’interiore conversione all’amore di Dio e dei fratelli, ad
imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per
noi. Come non ringraziare Dio per le tante persone che nel silenzio, lontano
dai riflettori della società mediatica, compiono con questo spirito azioni ge-
nerose di sostegno al prossimo in difficoltà? A ben poco serve donare i pro-
pri beni agli altri, se per questo il cuore si gonfia di vanagloria: ecco perché
non cerca un riconoscimento umano per le opere di misericordia che compie
chi sa che Dio “vede nel segreto” e nel segreto ricompenserà.

                                      27
4. Invitandoci a considerare l’elemosina con uno sguardo più profondo, che
trascenda la dimensione puramente materiale, la Scrittura ci insegna che c’è
più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Quando agiamo con amore
esprimiamo la verità del nostro essere: siamo stati infatti creati non per noi
stessi, ma per Dio e per i fratelli (cfr 2 Cor 5,15). Ogni volta che per amore
di Dio condividiamo i nostri beni con il prossimo bisognoso, sperimentiamo
che la pienezza di vita viene dall’amore e tutto ci ritorna come benedizione
in forma di pace, di interiore soddisfazione e di gioia. Il Padre celeste ri-
compensa le nostre elemosine con la sua gioia. E c’è di più: san Pietro cita
tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati. “La carità - egli
scrive - copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Come spesso ripete la
liturgia quaresimale, Iddio offre a noi peccatori la possibilità di essere per-
donati. Il fatto di condividere con i poveri ciò che possediamo ci dispone a
ricevere tale dono. Penso, in questo momento, a quanti avvertono il peso del
male compiuto e, proprio per questo, si sentono lontani da Dio, timorosi e
quasi incapaci di ricorrere a Lui. L’elemosina, avvicinandoci agli altri, ci
avvicina a Dio e può diventare strumento di autentica conversione e riconci-
liazione con Lui e con i fratelli.

5. L’elemosina educa alla generosità dell’amore. San Giuseppe Benedetto
Cottolengo soleva raccomandare: “Non contate mai le monete che date, per-
ché io dico sempre così: se nel fare l’elemosina la mano sinistra non ha da
sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa
medesima” (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201). Al riguardo, è quanto mai si-
gnificativo l’episodio evangelico della vedova che, nella sua miseria, getta
nel tesoro del tempio “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). La sua
piccola e insignificante moneta diviene un simbolo eloquente: questa vedo-
va dona a Dio non del suo superfluo, non tanto ciò che ha, ma quello che è.
Tutta se stessa.

Questo episodio commovente si trova inserito nella descrizione dei giorni
che precedono immediatamente la passione e morte di Gesù, il quale, come
nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2 Cor
8,9); ha dato tutto se stesso per noi. La Quaresima, anche attraverso la prati-
ca dell’elemosina ci spinge a seguire il suo esempio. Alla sua scuola possia-
mo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a
renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì

                                      28
noi stessi. L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento
della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mez-
zo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente of-
fre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a detta-
re le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è
dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le
condizioni di ciascuno.

6. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita ad “allenarci” spiritualmente,
anche mediante la pratica dell’elemosina, per crescere nella carità e ricono-
scere nei poveri Cristo stesso. Negli Atti degli Apostoli si racconta che l’a-
postolo Pietro allo storpio che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio
disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome
di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (At 3,6). Con l’elemosina regaliamo
qualcosa di materiale, segno del dono più grande che possiamo offrire agli
altri con l’annuncio e la testimonianza di Cristo, nel Cui nome c’è la vita
vera. Questo periodo sia pertanto caratterizzato da uno sforzo personale e
comunitario di adesione a Cristo per essere testimoni del suo amore. Maria,
Madre e Serva fedele del Signore, aiuti i credenti a condurre il “combatti-
mento spirituale” della Quaresima armati della preghiera, del digiuno e del-
la pratica dell’elemosina, per giungere alle celebrazioni delle Feste pasquali
rinnovati nello spirito. Con questi voti imparto volentieri a tutti l’Apostolica
Benedizione.

Dal Vaticano, 30 ottobre 2007




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MESSAGGIO URBI ET ORBI - PASQUA 2008


“Resurrexi, et adhuc tecum sum. Alleluia! - Sono risorto, sono sempre con
te. Alleluia!”. Cari fratelli e sorelle, Gesù crocifisso e risorto ci ripete oggi
quest’annuncio di gioia: è l’annuncio pasquale. Accogliamolo con intimo
stupore e gratitudine!

“Resurrexi et adhuc tecum sum - Sono risorto e sono ancora e sempre con
te”. Queste parole, tratte da un’antica versione del Salmo 138 (v. 18b), ri-
suonano all’inizio dell’odierna Santa Messa. In esse, al sorgere del sole di
Pasqua, la Chiesa riconosce la voce stessa di Gesù che, risorgendo da morte,
si rivolge al Padre colmo di felicità e d’amore ed esclama: Padre mio, ecco-
mi! Sono risorto, sono ancora con te e lo sarò per sempre; il tuo Spirito non
mi ha mai abbandonato. Possiamo così comprendere in modo nuovo anche
altre espressioni del Salmo: “Se salgo in cielo, là tu sei, / se scendo negli in-
feri, eccoti. / ... / Nemmeno le tenebre per te sono oscure, / e la notte è chia-
ra come il giorno; / per te le tenebre sono come luce” (Sal 138, 8.12). È ve-
ro: nella solenne veglia di Pasqua le tenebre diventano luce, la notte cede il
passo al giorno che non conosce tramonto. La morte e risurrezione del Ver-
bo di Dio incarnato è un evento di amore insuperabile, è la vittoria dell’A-
more che ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. Ha cambia-
to il corso della storia, infondendo un indelebile e rinnovato senso e valore
alla vita dell’uomo.

“Sono risorto e sono ancora e sempre con te”. Queste parole ci invitano a
contemplare Cristo risorto, facendone risuonare nel nostro cuore la voce.
Con il suo sacrificio redentore Gesù di Nazareth ci ha resi figli adottivi di
Dio, così che ora possiamo inserirci anche noi nel dialogo misterioso tra Lui
e il Padre. Ritorna alla mente quanto un giorno Egli ebbe a dire ai suoi
ascoltatori: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio
se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il
Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). In questa prospettiva, avvertiamo che
l’affermazione rivolta oggi da Gesù risorto al Padre, - “Sono ancora e sem-
pre con te” - riguarda come di riflesso anche noi, “figli di Dio e coeredi di
Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare alla
sua gloria” (cfr Rm 8,17). Grazie alla morte e risurrezione di Cristo, pure

                                       30
noi quest’oggi risorgiamo a vita nuova, ed unendo la nostra alla sua voce
proclamiamo di voler restare per sempre con Dio, Padre nostro infinitamen-
te buono e misericordioso.

Entriamo così nella profondità del mistero pasquale. L’evento sorprendente
della risurrezione di Gesù è essenzialmente un evento d’amore: amore del
Padre che consegna il Figlio per la salvezza del mondo; amore del Figlio
che si abbandona al volere del Padre per tutti noi; amore dello Spirito che ri-
suscita Gesù dai morti nel suo corpo trasfigurato. Ed ancora: amore del Pa-
dre che “riabbraccia” il Figlio avvolgendolo nella sua gloria; amore del Fi-
glio che con la forza dello Spirito ritorna al Padre rivestito della nostra uma-
nità trasfigurata. Dall’odierna solennità, che ci fa rivivere l’esperienza asso-
luta e singolare della risurrezione di Gesù, ci viene dunque un appello a
convertirci all’Amore; ci viene un invito a vivere rifiutando l’odio e l’egoi-
smo e a seguire docilmente le orme dell’Agnello immolato per la nostra sal-
vezza, a imitare il Redentore “mite e umile di cuore”, che è “ristoro per le
nostre anime” (cfr Mt 11,29).

Fratelli e sorelle cristiani di ogni parte del mondo, uomini e donne di animo
sinceramente aperto alla verità! Che nessuno chiuda il cuore all’onnipotenza
di questo amore che redime! Gesù Cristo è morto e risorto per tutti: Egli è la
nostra speranza! Speranza vera per ogni essere umano. Oggi, come fece con
i suoi discepoli in Galilea prima di tornare al Padre, Gesù risorto invia an-
che noi dappertutto come testimoni della sua speranza e ci rassicura: Io sono
con voi sempre, tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). Fis-
sando lo sguardo dell’animo nelle piaghe gloriose del suo corpo trasfigura-
to, possiamo capire il senso e il valore della sofferenza, possiamo lenire le
tante ferite che continuano ad insanguinare l’umanità anche ai nostri giorni.
Nelle sue piaghe gloriose riconosciamo i segni indelebili della misericordia
infinita del Dio di cui parla il profeta: Egli è colui che risana le ferite dei
cuori spezzati, che difende i deboli e proclama la libertà degli schiavi, che
consola tutti gli afflitti e dispensa loro olio di letizia invece dell’abito da lut-
to, un canto di lode invece di un cuore mesto (cfr Is 61,1.2.3). Se con umile
confidenza ci accostiamo a Lui, incontriamo nel suo sguardo la risposta al-
l’anelito più profondo del nostro cuore: conoscere Dio e stringere con Lui
una relazione vitale, che colmi del suo stesso amore la nostra esistenza e le
nostre relazioni interpersonali e sociali. Per questo l’umanità ha bisogno di
Cristo: in Lui, nostra speranza, “noi siamo stati salvati” (cfr Rm 8,24).

                                        31
Quante volte le relazioni tra persona e persona, tra gruppo e gruppo, tra po-
polo e popolo, invece che dall’amore, sono segnate dall’egoismo, dall’in-
giustizia, dall’odio, dalla violenza! Sono le piaghe dell’umanità, aperte e
doloranti in ogni angolo del pianeta, anche se spesso ignorate e talvolta vo-
lutamente nascoste; piaghe che straziano anime e corpi di innumerevoli no-
stri fratelli e sorelle. Esse attendono di essere lenite e guarite dalle piaghe
gloriose del Signore risorto (cfr 1 Pt 2,24-25) e dalla solidarietà di quanti,
sulle sue orme e in suo nome, pongono gesti d’amore, si impegnano fattiva-
mente per la giustizia e spargono intorno a sé segni luminosi di speranza nei
luoghi insanguinati dai conflitti e dovunque la dignità della persona umana
continua ad essere vilipesa e conculcata. L’auspicio è che proprio là si mol-
tiplichino le testimonianze di mitezza e di perdono!

Cari fratelli e sorelle, lasciamoci illuminare dalla luce sfolgorante di questo
Giorno solenne; apriamoci con sincera fiducia a Cristo risorto, perché la for-
za rinnovatrice del Mistero pasquale si manifesti in ciascuno di noi, nelle
nostre famiglie, nelle nostre città e nelle nostre Nazioni. Si manifesti in ogni
parte del mondo. Come non pensare in questo momento, in particolare, ad
alcune regioni africane, quali il Darfur e la Somalia, al martoriato Medio-
riente, e specialmente alla Terrasanta, all’Iraq, al Libano, e infine al Tibet,
regioni per le quali incoraggio la ricerca di soluzioni che salvaguardino il
bene e la pace! Invochiamo la pienezza dei doni pasquali, per intercessione
di Maria che, dopo aver condiviso le sofferenze della passione e crocifissio-
ne del suo Figlio innocente, ha sperimentato anche la gioia inesprimibile
della sua risurrezione. Associata alla gloria di Cristo, sia Lei a proteggerci e
a guidarci sulla via della fraterna solidarietà e della pace. Sono questi i miei
auguri pasquali, che rivolgo a voi qui presenti e agli uomini e alle donne di
ogni nazione e continente a noi uniti attraverso la radio e la televisione.
Buona Pasqua!




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MESSAGGIO PER LA XLV GIORNATA MONDIALE
          DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
                   13 aprile 2008 - IV Domenica di Pasqua

          Tema: « Le vocazioni al servizio della Chiesa-missione»



Cari fratelli e sorelle!

1. Per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che sarà celebrata
il 13 aprile 2008, ho scelto il tema: Le vocazioni al servizio della Chiesa-
missione. Agli Apostoli Gesù risorto affidò il mandato: “Andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo” (Mt 28,19), assicurando: “Ecco io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La Chiesa è missionaria nel
suo insieme e in ogni suo membro. Se in forza dei sacramenti del Battesimo
e della Confermazione ogni cristiano è chiamato a testimoniare e ad annun-
ciare il Vangelo, la dimensione missionaria è specialmente e intimamente
legata alla vocazione sacerdotale. Nell’alleanza con Israele, Dio affidò a uo-
mini prescelti, chiamati da Lui ed inviati al popolo in suo nome, la missione
di essere profeti e sacerdoti. Così fece, ad esempio, con Mosè: “Ora va’! -
gli disse Jahvé - Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popo-
lo ... quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su que-
sto monte” (Es 3,10.12). Ugualmente avvenne con i profeti.

2. Le promesse fatte ai padri si realizzarono appieno in Gesù Cristo. Affer-
ma in proposito il Concilio Vaticano II: “È venuto quindi il Figlio, mandato
dal Padre, il quale in Lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci
ha predestinati ad essere adottati come figli ... Perciò Cristo, per adempiere
la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ce ne ha rive-
lato il mistero, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione” (Cost.
dogm. Lumen gentium, 3). E Gesù si scelse, come stretti collaboratori nel
ministero messianico, dei discepoli già nella vita pubblica, durante la predi-
cazione in Galilea. Ad esempio, in occasione della moltiplicazione dei pani,
quando disse agli Apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16),
stimolandoli così a farsi carico del bisogno delle folle, a cui voleva offrire il

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cibo per sfamarsi, ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv
6,27). Era mosso a compassione verso la gente, perché mentre percorreva le
città ed i villaggi, incontrava folle stanche e sfinite, “come pecore senza pa-
store” (cfr Mt 9,36). Da questo sguardo di amore sgorgava il suo invito ai
discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nel-
la sua messe” (Mt 9,38), e inviò i Dodici prima “alle pecore perdute della
casa d’Israele”, con precise istruzioni. Se ci soffermiamo a meditare questa
pagina del Vangelo di Matteo, che viene solitamente chiamata “discorso
missionario”, notiamo tutti quegli aspetti che caratterizzano l’attività mis-
sionaria di una comunità cristiana, che voglia restare fedele all’esempio e
all’insegnamento di Gesù. Corrispondere alla chiamata del Signore compor-
ta affrontare con prudenza e semplicità ogni pericolo e persino le persecu-
zioni, giacché “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più
del suo padrone” (Mt 10,24). Diventati una cosa sola con il Maestro, i disce-
poli non sono più soli ad annunciare il Regno dei cieli, ma è lo stesso Gesù
ad agire in essi: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie
colui che mi ha mandato” (Mt 10,40). Ed inoltre, come veri testimoni, “rive-
stiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49), essi predicano “la conversione e il per-
dono dei peccati” (Lc 24,47) a tutte le genti.

3. Proprio perché inviati dal Signore, i Dodici prendono il nome di “aposto-
li”, destinati a percorrere le vie del mondo annunciando il Vangelo come te-
stimoni della morte e risurrezione di Cristo. Scrive san Paolo ai cristiani di
Corinto: “Noi – cioè gli Apostoli – predichiamo Cristo crocifisso” (1 Cor
1,23). Il Libro degli Atti degli Apostoli attribuisce un ruolo molto importan-
te, in questo processo di evangelizzazione, anche ad altri discepoli, la cui
vocazione missionaria scaturisce da circostanze provvidenziali, talvolta do-
lorose, come l’espulsione dalla propria terra in quanto seguaci di Gesù (cfr
8,1-4). Lo Spirito Santo permette di trasformare questa prova in occasione
di grazia, e di trarne spunto perché il nome del Signore sia annunciato ad al-
tre genti e si allarghi in tal modo il cerchio della Comunità cristiana. Si trat-
ta di uomini e donne che, come scrive Luca nel Libro degli Atti, “hanno vo-
tato la loro vita al nome del Signore nostro Gesù Cristo” (15,26). Primo tra
tutti, chiamato dal Signore stesso sì da essere un vero Apostolo, è senza
dubbio Paolo di Tarso. La storia di Paolo, il più grande missionario di tutti i
tempi, fa emergere, sotto molti punti di vista, quale sia il nesso tra vocazio-
ne e missione. Accusato dai suoi avversari di non essere autorizzato all’apo-

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stolato, egli fa appello ripetutamente proprio alla vocazione ricevuta diretta-
mente dal Signore (cfr Rm 1,1; Gal 1,11-12.15-17).

4. All’inizio, come in seguito, a “spingere” gli Apostoli (cfr 2 Cor 5,14) è
sempre “l’amore di Cristo”. Quali fedeli servitori della Chiesa, docili all’a-
zione dello Spirito Santo, innumerevoli missionari, nel corso dei secoli,
hanno seguito le orme dei primi discepoli. Osserva il Concilio Vaticano II:
“Benché l’impegno di diffondere la fede cada su qualsiasi discepolo di Cri-
sto in proporzione delle sue possibilità, Cristo Signore chiama sempre dalla
moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, perché siano con lui e
per inviarli a predicare alle genti (cfr Mc 3,13-15)” (Decr. Ad gentes, 23).
L’amore di Cristo, infatti, va comunicato ai fratelli con gli esempi e le paro-
le; con tutta la vita. “La vocazione speciale dei missionari ad vitam – ebbe a
scrivere il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II - conserva tutta la
sua validità: essa rappresenta il paradigma dell’impegno missionario della
Chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e totali, di impulsi nuo-
vi e arditi” (Enc. Redemptoris missio, 66).

5. Tra le persone che si dedicano totalmente al servizio del Vangelo vi sono
in particolar modo sacerdoti chiamati a dispensare la Parola di Dio, ammini-
strare i sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la Riconciliazione, votati al
servizio dei più piccoli, dei malati, dei sofferenti, dei poveri e di quanti at-
traversano momenti difficili in regioni della terra dove vi sono, talora, mol-
titudini che ancora oggi non hanno avuto un vero incontro con Gesù Cristo.
Ad esse i missionari recano il primo annuncio del suo amore redentivo. Le
statistiche testimoniano che il numero dei battezzati aumenta ogni anno gra-
zie all’azione pastorale di questi sacerdoti, interamente consacrati alla sal-
vezza dei fratelli. In questo contesto, speciale riconoscenza va data “ai pre-
sbiteri fidei donum, che con competenza e generosa dedizione edificano la
comunità annunciandole la Parola di Dio e spezzando il Pane della vita,
senza risparmiare energie nel servizio alla missione della Chiesa. Occorre
ringraziare Dio per i tanti sacerdoti che hanno sofferto fino al sacrificio del-
la vita per servire Cristo … Si tratta di testimonianze commoventi che pos-
sono ispirare tanti giovani a seguire a loro volta Cristo e a spendere la loro
vita per gli altri, trovando proprio così la vita vera” (Esort. ap. Sacramen-
tum caritatis, 26). Attraverso i suoi sacerdoti, Gesù dunque si rende presen-
te fra gli uomini di oggi, sino agli angoli più remoti della terra.

                                      35
6. Da sempre nella Chiesa ci sono poi non pochi uomini e donne che, mossi
dall’azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il Vangelo in modo radi-
cale, professando i voti di castità, povertà ed obbedienza. Questa schiera di
religiosi e di religiose, appartenenti a innumerevoli Istituti di vita contem-
plativa ed attiva, ha “tuttora una parte importantissima nell’evangelizzazio-
ne del mondo” (Decr. Ad gentes, 40). Con la loro preghiera continua e co-
munitaria, i religiosi di vita contemplativa intercedono incessantemente per
tutta l’umanità; quelli di vita attiva, con la loro multiforme azione caritativa,
recano a tutti la testimonianza viva dell’amore e della misericordia di Dio.
Quanto a questi apostoli del nostro tempo, il Servo di Dio Paolo VI ebbe a
dire: “Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza vo-
lontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino
ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso
contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammira-
zione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed as-
sumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, ve-
ramente, la Chiesa deve molto a loro” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 69).

7. Inoltre, perché la Chiesa possa continuare a svolgere la missione affidata-
le da Cristo e non manchino gli evangelizzatori di cui il mondo ha bisogno,
è necessario che nelle comunità cristiane non venga mai meno una costante
educazione alla fede dei fanciulli e degli adulti; è necessario mantenere vivo
nei fedeli un attivo senso di responsabilità missionaria e di partecipazione
solidale con i popoli della terra. Il dono della fede chiama tutti i cristiani a
cooperare all’evangelizzazione. Questa consapevolezza va alimentata attra-
verso la predicazione e la catechesi, la liturgia e una costante formazione al-
la preghiera; va incrementata con l’esercizio dell’accoglienza, della carità,
dell’accompagnamento spirituale, della riflessione e del discernimento, co-
me pure con una progettazione pastorale, di cui parte integrante sia l’atten-
zione alle vocazioni.

8. Solo in un terreno spiritualmente ben coltivato fioriscono le vocazioni al
sacerdozio ministeriale ed alla vita consacrata. Infatti, le comunità cristiane,
che vivono intensamente la dimensione missionaria del mistero della Chie-
sa, mai saranno portate a ripiegarsi su se stesse. La missione, come testimo-
nianza dell’amore divino, diviene particolarmente efficace quando è condi-
visa in modo comunitario, “perché il mondo creda” (cfr Gv 17,21). Quello

                                       36
delle vocazioni è il dono che la Chiesa invoca ogni giorno dallo Spirito
Santo. Come ai suoi inizi, raccolta attorno alla Vergine Maria, Regina degli
Apostoli, la Comunità ecclesiale apprende da lei ad implorare dal Signore la
fioritura di nuovi apostoli che sappiano vivere in sé quella fede e quell’a-
more che sono necessari per la missione.

9. Mentre affido questa riflessione a tutte le Comunità ecclesiali, affinché le
facciano proprie e soprattutto ne traggano spunto per la preghiera, incorag-
gio l’impegno di quanti operano con fede e generosità al servizio delle vo-
cazioni e di cuore invio ai formatori, ai catechisti e a tutti, specialmente ai
giovani in cammino vocazionale, una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 3 dicembre 2007




                                      37
MESSAGGIO PER LA XLII GIORNATA MONDIALE
        DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
                           Domenica, 4 maggio 2008

  I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio.
                   Cercare la verità per condividerla



Cari fratelli e sorelle!

1. Il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali -
“I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio.
Cercare la verità per condividerla” – pone in luce quanto importante sia il
ruolo di questi strumenti nella vita delle persone e della società. Non c’è in-
fatti ambito dell’esperienza umana, specialmente se consideriamo il vasto
fenomeno della globalizzazione, in cui i media non siano diventati parte co-
stitutiva delle relazioni interpersonali e dei processi sociali, economici, poli-
tici e religiosi. In proposito, scrivevo nel Messaggio per la Giornata della
Pace dello scorso 1° gennaio: “I mezzi della comunicazione sociale, per le
potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità
nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illustrarne le attese e i diritti,
nel metterne in evidenza la bellezza” (n. 5).

2. Grazie ad una vorticosa evoluzione tecnologica, questi mezzi hanno ac-
quisito potenzialità straordinarie, ponendo nello stesso tempo nuovi ed ine-
diti interrogativi e problemi. È innegabile l’apporto che essi possono dare
alla circolazione delle notizie, alla conoscenza dei fatti e alla diffusione del
sapere: hanno contribuito, ad esempio, in maniera decisiva all’alfabetizza-
zione e alla socializzazione, come pure allo sviluppo della democrazia e del
dialogo tra i popoli. Senza il loro apporto sarebbe veramente difficile favori-
re e migliorare la comprensione tra le nazioni, dare respiro universale ai dia-
loghi di pace, garantire all’uomo il bene primario dell’informazione, assicu-
rando, nel contempo, la libera circolazione del pensiero in ordine soprattutto
agli ideali di solidarietà e di giustizia sociale. Sì! I media, nel loro insieme,
non sono soltanto mezzi per la diffusione delle idee, ma possono e devono
essere anche strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale. Non

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manca, purtroppo, il rischio che essi si trasformino invece in sistemi volti a
sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momen-
to. E’ il caso di una comunicazione usata per fini ideologici o per la colloca-
zione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pre-
testo di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre
modelli distorti di vita personale, familiare o sociale. Inoltre, per favorire gli
ascolti, la cosiddetta audience, a volte non si esita a ricorrere alla trasgres-
sione, alla volgarità e alla violenza. Vi è infine la possibilità che, attraverso i
media, vengano proposti e sostenuti modelli di sviluppo che aumentano an-
ziché ridurre il divario tecnologico tra i paesi ricchi e quelli poveri.

3. L’umanità si trova oggi di fronte a un bivio. Anche per i media vale quan-
to ho scritto nell’Enciclica Spe salvi circa l’ambiguità del progresso, che of-
fre inedite possibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali
di male che prima non esistevano (cfr n. 22). Occorre pertanto chiedersi se
sia saggio lasciare che gli strumenti della comunicazione sociale siano as-
serviti a un protagonismo indiscriminato o finiscano in balia di chi se ne av-
vale per manipolare le coscienze. Non sarebbe piuttosto doveroso far sì che
restino al servizio della persona e del bene comune e favoriscano “la forma-
zione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore” (ibid.)? La loro
straordinaria incidenza nella vita delle persone e della società è un dato lar-
gamente riconosciuto, ma va posta oggi in evidenza la svolta, direi anzi la
vera e propria mutazione di ruolo, che essi si trovano ad affrontare. Oggi, in
modo sempre più marcato, la comunicazione sembra avere talora la pretesa
non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla
forza di suggestione che possiede. Si costata, ad esempio, che su talune vi-
cende i media non sono utilizzati per un corretto ruolo di informazione, ma
per “creare” gli eventi stessi. Questo pericoloso mutamento della loro fun-
zione è avvertito con preoccupazione da molti Pastori. Proprio perché si
tratta di realtà che incidono profondamente su tutte le dimensioni della vita
umana (morale, intellettuale, religiosa, relazionale, affettiva, culturale), po-
nendo in gioco il bene della persona, occorre ribadire che non tutto ciò che è
tecnicamente possibile è anche eticamente praticabile. L’impatto degli stru-
menti della comunicazione sulla vita dell’uomo contemporaneo pone per-
tanto questioni non eludibili, che attendono scelte e risposte non più rinvia-
bili.

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4. Il ruolo che gli strumenti della comunicazione sociale hanno assunto nel-
la società va ormai considerato parte integrante della questione antropologi-
ca, che emerge come sfida cruciale del terzo millennio. In maniera non dis-
simile da quanto accade sul fronte della vita umana, del matrimonio e della
famiglia, e nell’ambito delle grandi questioni contemporanee concernenti la
pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, anche nel settore delle comu-
nicazioni sociali sono in gioco dimensioni costitutive dell’uomo e della sua
verità. Quando la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al con-
trollo sociale, finisce per non tenere più in conto la centralità e la dignità in-
violabile dell’uomo, rischiando di incidere negativamente sulla sua coscien-
za, sulle sue scelte, e di condizionare in definitiva la libertà e la vita stessa
delle persone. Ecco perché è indispensabile che le comunicazioni sociali di-
fendano gelosamente la persona e ne rispettino appieno la dignità. Più di
qualcuno pensa che sia oggi necessaria, in questo ambito, un’“info-etica”
così come esiste la bio-etica nel campo della medicina e della ricerca scien-
tifica legata alla vita.

5. Occorre evitare che i media diventino il megafono del materialismo eco-
nomico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo. Essi possono
e devono invece contribuire a far conoscere la verità sull’uomo, difendendo-
la davanti a coloro che tendono a negarla o a distruggerla. Si può anzi dire
che la ricerca e la presentazione della verità sull’uomo costituiscono la vo-
cazione più alta della comunicazione sociale. Utilizzare a questo fine tutti i
linguaggi, sempre più belli e raffinati di cui i media dispongono, è un com-
pito esaltante affidato in primo luogo ai responsabili ed agli operatori del
settore. E’ un compito che tuttavia, in qualche modo, ci riguarda tutti, per-
ché tutti, nell’epoca della globalizzazione, siamo fruitori e operatori di co-
municazioni sociali. I nuovi media, telefonia e internet in particolare, stanno
modificando il volto stesso della comunicazione e, forse, è questa un’occa-
sione preziosa per ridisegnarlo, per rendere meglio visibili, come ebbe a di-
re il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, i lineamenti essenziali e
irrinunciabili della verità sulla persona umana (cfr Lett. ap. Il rapido svilup-
po, 10).

6. L’uomo ha sete di verità, è alla ricerca della verità; lo dimostrano anche
l’attenzione e il successo registrati da tanti prodotti editoriali, programmi o
fiction di qualità, in cui la verità, la bellezza e la grandezza della persona,

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inclusa la sua dimensione religiosa, sono riconosciute e ben rappresentate.
Gesù ha detto: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32).
La verità che ci rende liberi è Cristo, perché solo Lui può rispondere piena-
mente alla sete di vita e di amore che è nel cuore dell’uomo. Chi lo ha in-
contrato e si appassiona al suo messaggio sperimenta il desiderio inconteni-
bile di condividere e comunicare questa verità: “Ciò che era fin da princi-
pio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri oc-
chi – scrive san Giovanni -, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le
nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita […], noi lo annunziamo
anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comu-
nione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo,
perché la nostra gioia sia perfetta” (1Gv 1, 1-3).

Invochiamo lo Spirito Santo, perché non manchino comunicatori coraggiosi
e autentici testimoni della verità che, fedeli alla consegna di Cristo e appas-
sionati del messaggio della fede, “sappiano farsi interpreti delle odierne
istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione
non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso
per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e
i popoli” (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Parabole mediatiche, 9
novembre 2002).

Con questo auspicio a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2008, Festa di San Francesco di Sales.




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MESSAGGIO ALLA CONFERENZA DI ALTO LIVELLO
  SULLA SICUREZZA ALIMENTARE MONDIALE
           PROMOSSA DALLA FAO

                          ROMA, 3-5 giugno 2008


Signor Presidente della Repubblica italiana,
Illustri Capi di Stato e di Governo,
Signor Direttore Generale della FAO,
Signor Segretario Generale dell’ONU,
Signore e Signori!

Sono lieto di porgere il mio deferente e cordiale saluto a Voi, che, a diverso
titolo, rappresentate le varie componenti della famiglia umana e vi siete riu-
niti a Roma per concordare soluzioni idonee ad affrontare il problema della
fame e della malnutrizione.

Al Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, ho chiesto di parte-
ciparVi la particolare attenzione con cui seguo il vostro lavoro e di assicu-
rarVi che attribuisco grande importanza all’arduo compito che Vi attende. A
Voi guardano milioni di uomini e donne, mentre nuove insidie minacciano
la loro sopravvivenza e preoccupanti situazioni mettono a rischio la sicurez-
za dei loro Paesi. Infatti, la crescente globalizzazione dei mercati non sem-
pre favorisce la disponibilità di alimenti ed i sistemi produttivi sono spesso
condizionati da limiti strutturali, nonché da politiche protezionistiche e da
fenomeni speculativi che relegano intere popolazioni ai margini dei processi
di sviluppo. Alla luce di tale situazione, occorre ribadire con forza che la
fame e la malnutrizione sono inaccettabili in un mondo che, in realtà, dispo-
ne di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti per mettere
fine a tali drammi ed alle loro conseguenze. La grande sfida di oggi è quel-
la di “globalizzare non solo gli interessi economici e commerciali, ma anche
le attese di solidarietà, nel rispetto e nella valorizzazione dell’apporto di
ogni componente umana» (Discorso alla Fondazione Centesimus Annus pro
Pontifice, 31 maggio 2008).

                                      42
Alla FAO ed al suo Direttore Generale va, pertanto, il mio apprezzamento e
la mia gratitudine, per aver nuovamente attirato l’attenzione della comunità
internazionale su quanto ostacola la lotta contro la fame e per averla solleci-
tata ad un’azione che, per risultare efficace, dovrà essere unitaria e coordi-
nata.

In tale spirito, alle alte Personalità che partecipano a questo Vertice desidero
rinnovare l’auspicio che ho formulato durante la mia recente visita alla sede
dell’ONU: è urgente superare il “paradosso di un consenso multilaterale che
continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di
pochi” (Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, 18 aprile 2008). Inol-
tre, mi permetto d’invitarVi a collaborare in maniera sempre più trasparente
con le organizzazioni della società civile impegnate a colmare il crescente
divario tra ricchezza e povertà. Vi esorto ancora a proseguire in quelle rifor-
me strutturali che, a livello nazionale, sono indispensabili per affrontare con
successo i problemi del sottosviluppo, di cui la fame e la malnutrizione so-
no dirette conseguenze. So quanto tutto ciò sia arduo e complesso!

Tuttavia, come si può rimanere insensibili agli appelli di coloro che, nei di-
versi continenti, non riescono a nutrirsi a sufficienza per vivere? Povertà e
malnutrizione non sono una mera fatalità, provocata da situazioni ambienta-
li avverse o da disastrose calamità naturali. D’altra parte, le considerazioni
di carattere esclusivamente tecnico o economico non debbono prevalere sui
doveri di giustizia verso quanti soffrono la fame. Il diritto all’alimentazione
“risponde principalmente ad una motivazione etica: ‘dare da mangiare agli
affamati’ (cfr Mt 25, 35), che spinge a condividere i beni materiali quale se-
gno dell’amore di cui tutti abbiamo bisogno […] Questo diritto primario al-
l’alimentazione è intrinsecamente vincolato alla tutela e alla difesa della vi-
ta umana, roccia salda e inviolabile sui cui si fonda tutto l’edificio dei diritti
umani» (Discorso al nuovo Ambasciatore del Guatemala, 31 maggio 2008).
Ogni persona ha diritto alla vita: pertanto, è necessario promuovere l’effetti-
va attuazione di tale diritto e si debbono aiutare le popolazioni che soffrono
per la mancanza di cibo a divenire gradualmente capaci di soddisfare le pro-
prie esigenze di un’alimentazione sufficiente e sana.

In questo particolare momento, che vede la sicurezza alimentare minacciata
dal rincaro dei prodotti agricoli, vanno poi elaborate nuove strategie di lotta

                                       43
alla povertà e di promozione dello sviluppo rurale. Ciò deve avvenire anche
attraverso processi di riforme strutturali, che consentano di affrontare le sfi-
de della medesima sicurezza e dei cambiamenti climatici; inoltre, occorre
incrementare la disponibilità del cibo valorizzando l’industriosità dei piccoli
agricoltori e garantendone l’accesso al mercato. L’aumento globale della
produzione agricola potrà, tuttavia, essere efficace, solo se sarà accompa-
gnato dall’effettiva distribuzione di tale produzione e se essa sarà destinata
primariamente alla soddisfazione dei bisogni essenziali. Si tratta di un
cammino certamente non facile, ma che consentirebbe, fra l’altro, di risco-
prire il valore della famiglia rurale: essa non si limita a preservare la tra-
smissione, dai genitori ai figli, dei sistemi di coltivazione, di conservazione
e di distribuzione degli alimenti, ma è soprattutto un modello di vita, di
educazione, di cultura e di religiosità. Inoltre, sotto il profilo economico,
assicura un’attenzione efficace ed amorevole ai più deboli e, in forza del
principio di sussidiarietà, può assumere un ruolo diretto nella catena di di-
stribuzione e di commercializzazione dei prodotti agricoli destinati all’ali-
mentazione, riducendo i costi dell’intermediazione e favorendo la produ-
zione su piccola scala.

Signore e Signori,

Le difficoltà odierne mostrano come le moderne tecnologie, da sole, non
siano sufficienti per sopperire alla carenza alimentare, come non lo sono i
calcoli statistici e, nelle situazioni di emergenza, l’invio di aiuti alimentari.
Tutto ciò certamente ha grande rilievo, tuttavia deve essere completato ed
orientato da un’azione politica che, ispirata a quei principi della legge natu-
rale che sono iscritti nel cuore degli uomini, protegga la dignità della perso-
na. In tal modo, anche l’ordine della creazione viene rispettato e si ha “co-
me criterio orientatore il bene di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondia-
le della Pace, 1° gennaio 2008, n. 7). Solo la tutela della persona, dunque,
consente di combattere la causa principale della fame, cioè quella chiusura
dell’essere umano nei confronti dei propri simili che dissolve la solidarietà,
giustifica i modelli di vita consumistici e disgrega il tessuto sociale, preser-
vando, se non addirittura approfondendo, il solco di ingiusti equilibri e tra-
scurando le più profonde esigenze del bene (cfr. Lettera Enciclica Deus ca-
ritas est, n. 28). Se, pertanto, il rispetto della dignità umana fosse fatto vale-
re sul tavolo del negoziato, delle decisioni e della loro attuazione, si potreb-

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  • 1. BOLLETTINO UFFICIALE DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA DI PESCARA-PENNE ANNO LX MMVIII - 1
  • 2. Periodico Sede Legale: della Diocesi di Pescara Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne Anno LX - N° 1 Piazza Spirito Santo, 5 Presidente: 65121 PESCARA S. E. R. Mons. Tommaso VALENTINETTI Direttore: Fotocomposizione e Stampa: Dott.ssa Lidia BASTI Tipografia MAX PRINT lidia.basti@poste.it 65016 MONTESILVANO (PE) Direttore Responsabile: Dott. Ernesto GRIPPO Rivista Diocesana Amministratore: C.C.P. n° 16126658 Can. Antonio DI GIULIO Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara Editore: al n° 11/95 in data 24.05.1995 Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne Spedizione in abb. postale 50% PESCARA CURIA METROPOLITANA Piazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-4222571 - Fax 085-4213149 ARCIVESCOVADO Piazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-2058897
  • 3. SOMMARIO LA PAROLA DEL PAPA Messaggio per la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace ................................. pag. 6 Omelia nella solennità di Maria SS.ma Madre di Dio - XLI Giornata Mondiale della Pace ...... “ 14 Omelia nella solennità della Epifania del Signore ............................................................... “ 18 Messaggio per la XVI Giornata Mondiale del malato ......................................................... “ 22 Messaggio per la Quaresima 2008 ....................................................................................... “ 26 Messaggio Urbi et Orbi - Pasqua 2008 ................................................................................ “ 30 Messaggio per la XLV Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni ........................... “ 33 Messaggio per la XLII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ............................ “ 38 Messaggio alla Conferenza di alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale promossa dalla FAO ..... “ 42 VITA DIOCESANA NOMINE e DECRETI Nomine e Ordinazioni ................................................................................................................. “ 48 Unità Pastorale tra le parrocchie di San Panfilo Vescovo e della Assunzione della Beata Vergine Maria in Spoltore .................................................... “ 51 VARIE A proposito di Medjugorije ........................................................................................................ “ 56 Necrologio del Sac. Don Giustino Britti .................................................................................. “ 60 AMMINISTRAZIONE Resoconto Missionario in cifre - Anno 2007 .......................................................................... “ 65 Bilancio Consuntivo al 31.12.2007 .......................................................................................... “ 83 MMVIII - 1
  • 4. 4
  • 6. MESSAGGIO PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1 gennaio 2008 FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE 1. All’inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il te- ma con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuo- re: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunio- ne tra persone è quella che l’amore suscita tra un uomo e una donna decisi ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione, quali s’addicono a membri dell’unica famiglia umana: « Tutti i popoli — ha sentenziato il Concilio Vaticano II — formano una so- la comunità, hanno un’unica origine, perché Dio ha fatto abitare l’intero ge- nere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26), ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio »(1). Famiglia, società e pace 2. La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna(2), costituisce « il luogo primario dell’“umanizzazione” della persona e della società »(3), la « culla della vita e dell’amore »(4). A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la pri- ma società naturale, « un’istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale »(5). 3. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la fun- zione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonar- lo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia perce- 6
  • 7. pita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è « la prima e vitale cellula della società »(6), si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comu- nità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il « sapore » genuino della pace meglio che nel « nido » originario che la natura gli pre- para? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sem- pre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei lin- guaggi, la società non può perdere il riferimento a quella « grammatica » che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole. 4. La famiglia, poiché ha il dovere di educare i suoi membri, è titolare di specifici diritti. La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, che costituisce un’acquisizione di civiltà giuridica di valore veramente univer- sale, afferma che « la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della so- cietà e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato »(7). Da parte sua, la Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si legge: « I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell’individuo, hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua nativa e vitale espressione »(8). I diritti enunciati nella Carta sono espres- sione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore dell’essere umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace. 5. Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché inde- bolisce quella che, di fatto, è la principale « agenzia » di pace. È questo un punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebo- lire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che di- rettamente o indirettamente ne frena la disponibilità all’accoglienza respon- sabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima re- sponsabile dell’educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giu- sto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i fi- 7
  • 8. gli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un’es- senziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunica- zione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illu- strarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza. L’umanità è una grande famiglia 6. Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare. Questo vale per le comunità lo- cali come per quelle nazionali; vale anzi per la stessa comunità dei popoli, per la famiglia umana che vive in quella casa comune che è la terra. In questa prospettiva, però, non si può dimenticare che la famiglia nasce dal « sì » responsabile e definitivo di un uomo e di una donna e vive del « sì » consapevole dei figli che vengono via via a farne parte. La comunità fami- liare per prosperare ha bisogno del consenso generoso di tutti i suoi mem- bri. È necessario che questa consapevolezza diventi convinzione condivisa anche di quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana. Occor- re saper dire il proprio « sì » a questa vocazione che Dio ha inscritto nella stessa nostra natura. Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sor- gente originaria della propria, come dell’altrui, esistenza. È risalendo a que- sto supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l’edificazio- ne di un’umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la so- cietà è solo un’aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia. Famiglia, comunità umana e ambiente 7. La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui in- tessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la terra, l’ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e responsabilità. Dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso è stato affidato al- l’uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo 8
  • 9. sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L’essere umano, ovviamen- te, ha un primato di valore su tutto il creato. Rispettare l’ambiente non vuol dire considerare la natura materiale o animale più importante dell’uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà respon- sabile che rivendichiamo per noi. Né vanno dimenticati i poveri, esclusi in molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato. Oggi l’umanità teme per il futuro equilibrio ecologico. È bene che le valutazioni a questo riguardo si facciano con prudenza, nel dialogo tra esperti e saggi, senza ac- celerazioni ideologiche verso conclusioni affrettate e soprattutto concertan- do insieme un modello di sviluppo sostenibile, che garantisca il benessere di tutti nel rispetto degli equilibri ecologici. Se la tutela dell’ambiente com- porta dei costi, questi devono essere distribuiti con giustizia, tenendo conto delle diversità di sviluppo dei vari Paesi e della solidarietà con le future ge- nerazioni. Prudenza non significa non assumersi le proprie responsabilità e rimandare le decisioni; significa piuttosto assumere l’impegno di decidere assieme e dopo aver ponderato responsabilmente la strada da percorrere, con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino. 8. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra ca- sa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali. Si possono aumentare, se necessario, i luoghi istituzionali a livello internazionale, per affrontare insieme il governo di questa nostra « casa »; ciò che più conta, tuttavia, è far maturare nelle coscienze la convinzione della necessità di collaborare responsabilmente. I problemi che si presentano all’orizzonte sono com- plessi e i tempi stringono. Per far fronte in modo efficace alla situazione, bisogna agire concordi. Un ambito nel quale sarebbe, in particolare, neces- sario intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle ri- sorse energetiche del pianeta. Una duplice urgenza, a questo riguardo, si pone ai Paesi tecnologicamente avanzati: occorre rivedere, da una parte, gli elevati standard di consumo dovuti all’attuale modello di sviluppo, e prov- vedere, dall’altra, ad adeguati investimenti per la differenziazione delle fonti di energia e per il miglioramento del suo utilizzo. I Paesi emergenti 9
  • 10. hanno fame di energia, ma talvolta questa fame viene saziata ai danni dei Paesi poveri i quali, per l’insufficienza delle loro infrastrutture, anche tec- nologiche, sono costretti a svendere le risorse energetiche in loro possesso. A volte, la loro stessa libertà politica viene messa in discussione con forme di protettorato o comunque di condizionamento, che appaiono chiaramente umilianti. Famiglia, comunità umana ed economia 9. Condizione essenziale per la pace nelle singole famiglie è che esse poggi- no sul solido fondamento di valori spirituali ed etici condivisi. Occorre però aggiungere che la famiglia fa un’autentica esperienza di pace quando a nes- suno manca il necessario, e il patrimonio familiare — frutto del lavoro di alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti — è bene gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Per la pace familiare è dunque necessaria, da una parte, l’apertura ad un patrimonio trascenden- te di valori, ma al tempo stesso non è priva di importanza, dall’altra, la sag- gia gestione sia dei beni materiali che delle relazioni tra le persone. Il venir meno di questa componente ha come conseguenza l’incrinarsi della fiducia reciproca a motivo delle incerte prospettive che minacciano il futuro del nu- cleo familiare. 10. Un discorso simile va fatto per quell’altra grande famiglia che è l’uma- nità nel suo insieme. Anche la famiglia umana, oggi ulteriormente unificata dal fenomeno della globalizzazione, ha bisogno, oltre che di un fondamento di valori condivisi, di un’economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie. Il riferimento alla famiglia natura- le si rivela, anche da questo punto di vista, singolarmente suggestivo. Oc- corre promuovere corrette e sincere relazioni tra i singoli esseri umani e tra i popoli, che permettano a tutti di collaborare su un piano di parità e di giu- stizia. Al tempo stesso, ci si deve adoperare per una saggia utilizzazione delle risorse e per un’equa distribuzione della ricchezza. In particolare, gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economi- ca, evitando sprechi che risultino in definitiva funzionali soprattutto al man- tenimento di costosi apparati burocratici. Occorre anche tenere in debito conto l’esigenza morale di far sì che l’organizzazione economica non ri- sponda solo alle crude leggi del guadagno immediato, che possono risultare disumane. 10
  • 11. Famiglia, comunità umana e legge morale 11. Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad una norma comune: è questa ad impedire l’individualismo egoistico e a le- gare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l’operosità finalizzata. Il criterio, in sé ovvio, vale anche per le comunità più ampie: da quelle locali, a quelle nazionali, fino alla stessa comunità internazionale. Per avere la pace c’è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad es- sere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio, e che protegga il debole dal sopruso del più forte. Nella famiglia dei popoli si verificano molti compor- tamenti arbitrari, sia all’interno dei singoli Stati sia nelle relazioni degli Sta- ti tra loro. Non mancano poi tante situazioni in cui il debole deve piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di lui. Occorre ribadirlo: la forza va sempre disciplinata dalla leg- ge e ciò deve avvenire anche nei rapporti tra Stati sovrani. 12. Sulla natura e la funzione della legge la Chiesa si è pronunciata molte volte: la norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disci- plinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i tra- sgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose. La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esi- genze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta al- l’origine di tutte le cose. Questa norma morale deve regolare le scelte delle coscienze e guidare tutti i comportamenti degli esseri umani. Esistono nor- me giuridiche per i rapporti tra le Nazioni che formano la famiglia umana? E se esistono, sono esse operanti? La risposta è: sì, le norme esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale na- turale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta in balia di fragili e provvisori consensi. 13. La conoscenza della norma morale naturale non è preclusa all’uomo che rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga cir- ca la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere. Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle sue linee essenziali, questa legge morale comune che, al di là delle differen- ze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. È indispensabile risalire a questa legge fondamentale impegnando in questa ricerca le nostre migliori energie intellettuali, senza lasciarci scoraggiare da equivoci e frain- tendimenti. Di fatto, valori radicati nella legge naturale sono presenti, anche 11
  • 12. se in forma frammentata e non sempre coerente, negli accordi internaziona- li, nelle forme di autorità universalmente riconosciute, nei principi del dirit- to umanitario recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli Organismi internazionali. L’umanità non è « senza legge ». È tuttavia ur- gente proseguire nel dialogo su questi temi, favorendo il convergere anche delle legislazioni dei singoli Stati verso il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. La crescita della cultura giuridica nel mondo dipende, tra l’al- tro, dall’impegno di sostanziare sempre le norme internazionali di contenu- to profondamente umano, così da evitare il loro ridursi a procedure facil- mente aggirabili per motivi egoistici o ideologici. Superamento dei conflitti e disarmo 14. L’umanità vive oggi, purtroppo, grandi divisioni e forti conflitti che get- tano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del pianeta sono coinvolte in ten- sioni crescenti, mentre il pericolo che si moltiplichino i Paesi detentori del- l’arma nucleare suscita motivate apprensioni in ogni persona responsabile. Sono ancora in atto molte guerre civili nel Continente africano, sebbene in esso non pochi Paesi abbiano fatto progressi nella libertà e nella democra- zia. Il Medio Oriente è tuttora teatro di conflitti e di attentati, che influenza- no anche Nazioni e regioni limitrofe, rischiando di coinvolgerle nella spira- le della violenza. Su un piano più generale, si deve registrare con rammari- co l’aumento del numero di Stati coinvolti nella corsa agli armamenti: per- sino Nazioni in via di sviluppo destinano una quota importante del loro ma- gro prodotto interno all’acquisto di armi. In questo funesto commercio le responsabilità sono molte: vi sono i Paesi del mondo industrialmente svi- luppato che traggono lauti guadagni dalla vendita di armi e vi sono le oli- garchie dominanti in tanti Paesi poveri che vogliono rafforzare la loro situa- zione mediante l’acquisto di armi sempre più sofisticate. È veramente ne- cessaria in tempi tanto difficili la mobilitazione di tutte le persone di buona volontà per trovare concreti accordi in vista di un’efficace smilitarizzazione, soprattutto nel campo delle armi nucleari. In questa fase in cui il processo di non proliferazione nucleare sta segnando il passo, sento il dovere di esortare le Autorità a riprendere con più ferma determinazione le trattative in vista dello smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari esistenti. Nel rinnovare questo appello, so di farmi eco dell’auspicio condi- viso da quanti hanno a cuore il futuro dell’umanità. 15. Sessant’anni or sono l’Organizzazione delle Nazioni Unite rendeva pub- 12
  • 13. blica in modo solenne la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948–2008). Con quel documento la famiglia umana reagiva agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, riconoscendo la propria unità basata sulla pari dignità di tutti gli uomini e ponendo al centro della convivenza umana il rispetto dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli: fu quello un passo decisivo nel difficile e impegnativo cammino verso la concordia e la pace. Uno speciale pensiero merita anche la ricorrenza del 25° anniversario del- l’adozione da parte della Santa Sede della Carta dei diritti della famiglia (1983–2008), come pure il 40° anniversario della celebrazione della prima Giornata Mondiale della Pace (1968–2008). Frutto di una provvidenziale intuizione di Papa Paolo VI, ripresa con grande convinzione dal mio amato e venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, la celebrazione di questa Giornata ha offerto nel corso degli anni la possibilità di sviluppare, attraver- so i Messaggi pubblicati per la circostanza, un’illuminante dottrina da parte della Chiesa a favore di questo fondamentale bene umano. È proprio alla lu- ce di queste significative ricorrenze che invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica fa- miglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre di più questa convinzione da cui dipende l’instaurazione di una pace vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare all’intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne per la salvezza dell’intera umanità, è Madre comune. A tutti l’augurio di un lieto Anno nuovo! Dal Vaticano, 8 Dicembre 2007 (1) Dich. Nostra aetate, 1. (2) Cfr. Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48. (3) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 40: AAS 81 (1989) 469. (4) Ibidem. (5) Pont. Cons. della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale del- la Chiesa, n. 211. (6) Conc. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11. (7) Art. 16/3. (8) Pontificio Consiglio per la Famiglia, Carta dei diritti della famiglia, 24 no- vembre 1983, Preambolo, A. 13
  • 14. OMELIA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO XLI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE Basilica Vaticana Martedì, 1 gennaio 2008 Cari fratelli e sorelle! Iniziamo quest’oggi un nuovo anno e ci prende per mano la speranza cri- stiana; lo iniziamo invocando su di esso la benedizione divina ed imploran- do, per intercessione di Maria, Madre di Dio, il dono della pace: per le no- stre famiglie, per le nostre città, per il mondo intero. Con questo auspicio saluto tutti voi qui presenti ad iniziare dagli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, convenuti a questa celebra- zione in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Saluto il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, il Cardinale Renato Raffaele Mar- tino e tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pa- ce. Ad essi sono particolarmente grato per il loro impegno nel diffondere il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come te- ma: “Famiglia umana, comunità di pace”. La pace. Nella prima Lettura, tratta dal Libro dei Numeri, abbiamo ascoltato l’invocazione: “Il Signore ti conceda pace” (6,26); il Signore doni pace a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, al mondo intero. Tutti aspiriamo a vi- vere nella pace, ma la pace vera, quella annunciata dagli angeli nella notte di Natale, non è semplice conquista dell’uomo o frutto di accordi politici; è innanzitutto dono divino da implorare costantemente e, allo stesso tempo, impegno da portare avanti con pazienza restando sempre docili ai comandi del Signore. Quest’anno, nel Messaggio per l’odierna Giornata Mondiale della Pace, ho voluto porre in luce lo stretto rapporto che esiste tra la fami- glia e la costruzione della pace nel mondo. La famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, è “culla della vita e dell’amore” e “la prima e insostituibile educatrice alla pace”. Proprio per questo la famiglia è “la principale ‘agenzia’ di pace” e “la negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità dell’uomo, minaccia gli stessi fon- damenti della pace” (cfr nn. 1-5). Poiché poi l’umanità è una “grande fami- 14
  • 15. glia”, se vuole vivere in pace non può non ispirarsi a quei valori sui quali si fonda e si regge la comunità familiare. La provvidenziale coincidenza di va- rie ricorrenze ci sprona quest’anno ad uno sforzo ancor più sentito per rea- lizzare la pace nel mondo. Sessant’anni or sono, nel 1948, l’Assemblea Ge- nerale delle Nazioni Unite rese pubblica la “Dichiarazione universale dei di- ritti dell’uomo”; quarant’anni fa il mio venerato Predecessore Paolo VI ce- lebrò la prima Giornata Mondiale della Pace; quest’anno inoltre ricordere- mo il 25° anniversario dell’adozione da parte della Santa Sede della “Carta dei diritti della famiglia”. “Alla luce di queste significative ricorrenze – ri- prendo qui quanto ho scritto proprio a conclusione del Messaggio – invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la conviven- za sulla terra rispecchi sempre più questa convinzione da cui dipende l’in- staurazione di una pace vera e duratura”. Il nostro pensiero si volge ora naturalmente alla Madonna, che oggi invo- chiamo come Madre di Dio. Fu il Papa Paolo VI a trasferire al primo gen- naio la festa della Divina Maternità di Maria, che un tempo cadeva l’11 di ottobre. Prima infatti della riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, nel primo giorno dell’anno si celebrava la memoria della circoncisione di Gesù nell’ottavo giorno dopo la sua nascita - come segno della sottomissio- ne alla legge, il suo inserimento ufficiale nel popolo eletto - e la domenica seguente si celebrava la festa del nome di Gesù. Di queste ricorrenze scor- giamo qualche traccia nella pagina evangelica che è stata poco fa proclama- ta, in cui san Luca riferisce che otto giorni dopo la nascita il Bambino venne circonciso e gli fu posto il nome di Gesù, “come era stato chiamato dall’an- gelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2,21). Quella odierna pertanto, oltre che essere una quanto mai significativa festa maria- na, conserva pure un contenuto fortemente cristologico, perché, potremmo dire, prima della Madre, riguarda proprio il Figlio, Gesù vero Dio e vero Uomo. Al mistero della divina maternità di Maria, la Theotokos, fa riferimento l’a- postolo Paolo nella Lettera ai Galati. “Quando venne la pienezza del tempo, - egli scrive - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (4,4). In poche parole troviamo sintetizzati il mistero dell’incarnazione del 15
  • 16. Verbo eterno e la divina maternità di Maria: il grande privilegio della Vergi- ne sta proprio nell’essere Madre del Figlio che è Dio. A otto giorni dal Na- tale trova pertanto la sua più logica e giusta collocazione questa festa maria- na. Infatti, nella notte di Betlemme, quando “diede alla luce il suo figlio pri- mogenito” (Lc 2,7), si compirono le profezie concernenti il Messia. “Una Vergine concepirà e partorirà un figlio”, aveva preannunciato Isaia (7,14); “ecco concepirai nel seno e partorirai un figlio”, disse a Maria l’angelo Ga- briele (Lc 1,31); e ancora un angelo del Signore - narra l’evangelista Matteo -, apparendo in sogno a Giuseppe, lo rassicurò dicendogli: “non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio”(Mt 1,20-21). Il titolo di Madre di Dio è il fondamento di tutti gli altri titoli con cui la Ma- donna è stata venerata e continua ad essere invocata di generazione in gene- razione, in Oriente e in Occidente. Al mistero della sua divina maternità fanno riferimento tanti inni e tante preghiere della tradizione cristiana, come ad esempio un’antifona mariana del tempo natalizio, l’Alma Redemptoris mater con la quale così preghiamo: “Tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius – Tu, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine”. Cari fratelli e sorelle, contempliamo quest’oggi Maria, madre sempre vergine del Figlio unigenito del Padre; impariamo da Lei ad accogliere il Bambino che per noi è nato a Betlemme. Se nel Bimbo nato da Lei riconosciamo il Figlio eterno di Dio e lo accogliamo come il nostro unico Salvatore, possiamo essere detti e lo siamo realmente figli di Dio: figli nel Figlio. Scrive l’Apostolo: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4). L’evangelista Luca ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa su questi eventi straordinari nei quali Iddio l’aveva coinvolta. Lo abbiamo ascoltato anche nel breve brano evangelico che quest’oggi la liturgia ci ri- propone. “Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Il verbo greco usato “sumbállousa” letteralmente significa “mettere insie- me” e fa pensare a un mistero grande da scoprire poco a poco. Il Bambino che vagisce nella mangiatoia, pur apparentemente simile a tutti i bimbi del mondo, è al tempo stesso del tutto differente: è il Figlio di Dio, è Dio, vero 16
  • 17. Dio e vero uomo. Questo mistero – l’incarnazione del Verbo e la divina ma- ternità di Maria – è grande e certamente non facile da comprendere con la sola umana intelligenza. Alla scuola di Maria però possiamo cogliere con il cuore quello che gli oc- chi e la mente non riescono da soli a percepire, né possono contenere. Si tratta, infatti, di un dono così grande che solo nella fede ci è dato accogliere pur senza tutto comprendere. Ed è proprio in questo cammino di fede che Maria ci viene incontro, ci è sostegno e guida. Lei è madre perché ha gene- rato nella carne Gesù; lo è perché ha aderito totalmente alla volontà del Pa- dre. Scrive sant’Agostino: “Di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sor- te più fortunata di quando lo concepì nella carne” (De sancta Virginitate, 3,3). E nel suo cuore Maria continuò a conservare, a “mettere insieme” gli eventi successivi di cui sarà testimone e protagonista, sino alla morte in cro- ce e alla risurrezione del suo Figlio Gesù. Cari fratelli e sorelle, solo conservando nel cuore, mettendo cioè insieme e trovando un’unità di tutto ciò che viviamo, possiamo addentrarci, seguendo Maria, nel mistero di un Dio che per amore si è fatto uomo e ci chiama a se- guirlo sulla strada dell’amore; amore da tradurre ogni giorno in un generoso servizio ai fratelli. Possa il nuovo anno, che oggi fiduciosi iniziamo, essere un tempo nel quale avanzare in quella conoscenza del cuore, che è la sa- pienza dei santi. Preghiamo perché, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Signore “faccia brillare il suo volto” su di noi, ci “sia propizio” (cfr Nm 6,24-7), e ci benedica. Possiamo esserne certi: se non ci stanchiamo di ricercare il suo volto, se non cediamo alla tentazione dello scoraggiamen- to e del dubbio, se pur fra le tante difficoltà che incontriamo restiamo sem- pre ancorati a Lui, sperimenteremo la potenza del suo amore e della sua mi- sericordia. Il fragile Bambino che la Vergine quest’oggi mostra al mondo, ci renda operatori di pace, testimoni di Lui, Principe della pace. Amen! 17
  • 18. OMELIA NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE Basilica Vaticana Domenica, 6 gennaio 2008 Cari fratelli e sorelle, celebriamo oggi Cristo, Luce del mondo, e la sua manifestazione alle genti. Nel giorno di Natale il messaggio della liturgia suonava così: “Hodie de- scendit lux magna super terram – Oggi una grande luce discende sulla ter- ra” (Messale Romano). A Betlemme, questa “grande luce” apparve a un piccolo nucleo di persone, un minuscolo “resto d’Israele”: la Vergine Maria, il suo sposo Giuseppe e alcuni pastori. Una luce umile, come è nello stile del vero Dio; una fiammella accesa nella notte: un fragile neonato, che vagi- sce nel silenzio del mondo… Ma accompagnava quella nascita nascosta e sconosciuta l’inno di lode delle schiere celesti, che cantavano gloria e pace (cfr Lc 2,13-14). Così quella luce, pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con potenza nei cieli: la nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorge- re di una stella, visibile da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “al- cuni Magi”, giunti da oriente a Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù, al tempo del re Erode (cfr Mt 2,1-2). Ancora una volta si richiamano e si ri- spondono il cielo e la terra, il cosmo e la storia. Le antiche profezie trovano riscontro nel linguaggio degli astri. “Una stella spunta da Giacobbe / e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17), aveva annunciato il veggente pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse perché – gli rivelò Dio – “quel popolo è benedetto” (Nm 22,12). Cromazio di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione Balaam con i Magi; scrive: “Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede”. E aggiunge un’osservazione importante: “La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il sen- so. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non tutti lo hanno accolto” (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospetti- va storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso espri- 18
  • 19. me la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi a tutti i popoli della terra. L’avvenimento evangelico che ricordiamo nell’Epifania – la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme – ci rimanda così alle origini della storia del popolo di Dio, cioè alla chiamata di Abramo. Siamo al capitolo 12° del Li- bro della Genesi. I primi 11 capitoli sono come grandi affreschi che rispon- dono ad alcune domande fondamentali dell’umanità: qual è l’origine dell’u- niverso e del genere umano? Da dove viene il male? Perché ci sono diverse lingue e civiltà? Tra i racconti iniziali della Bibbia, compare una prima “al- leanza”, stabilita da Dio con Noè, dopo il diluvio. Si tratta di un’alleanza universale, che riguarda tutta l’umanità: il nuovo patto con la famiglia di Noè è insieme patto con “ogni carne”. Poi, prima della chiamata di Abramo si trova un altro grande affresco molto importante per capire il senso dell’E- pifania: quello della torre di Babele. Afferma il testo sacro che in origine “tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gn 11,1). Poi gli uo- mini dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn 11,4). La conseguenza di questa colpa di orgoglio, analoga a quella di Ada- mo ed Eva, fu la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità su tutta la terra (cfr Gn 11,7-8). Questo significa “Babele”, e fu una sorta di maledizione, simile alla cacciata dal paradiso terrestre. A questo punto inizia la storia della benedizione, con la chiamata di Abra- mo: incomincia il grande disegno di Dio per fare dell’umanità una famiglia, mediante l’alleanza con un popolo nuovo, da Lui scelto perché sia una be- nedizione in mezzo a tutte le genti (cfr Gn 12,1-3). Questo piano divino è tuttora in corso e ha avuto il suo momento culminante nel mistero di Cristo. Da allora sono iniziati gli “ultimi tempi”, nel senso che il disegno è stato pienamente rivelato e realizzato in Cristo, ma chiede di essere accolto dalla storia umana, che rimane sempre storia di fedeltà da parte di Dio e purtrop- po anche di infedeltà da parte di noi uomini. La stessa Chiesa, depositaria della benedizione, è santa e composta di peccatori, segnata dalla tensione tra il “già” e il “non ancora”. Nella pienezza dei tempi Gesù Cristo è venuto a portare a compimento l’alleanza: Lui stesso, vero Dio e vero uomo, è il Sacramento della fedeltà di Dio al suo disegno di salvezza per l’intera uma- nità, per tutti noi. 19
  • 20. L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re universale ai popoli e a tutti gli uomini che cercano la verità. E’ l’inizio di un movimento opposto a quello di Babe- le: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione alla riconciliazio- ne. Scorgiamo così un legame tra l’Epifania e la Pentecoste: se il Natale di Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo nei Magi i popoli che si aggregano al resto d’Israele, preannunciando il grande segno della “Chiesa poliglotta”, attuato dallo Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua. L’amore fedele e tenace di Dio, che mai viene meno alla sua alleanza di generazione in generazione. E’ il “mistero” di cui parla san Paolo nelle sue Lettere, anche nel brano della Lettera agli Efesini poc’anzi proclamato: l’Apostolo afferma che tale mistero “gli è stato fatto conoscere per rivelazione” (Ef 3,3) e lui è incaricato di farlo conoscere. Questo “mistero” della fedeltà di Dio costituisce la speranza della storia. Certo, esso è contrastato da spinte di divisione e di sopraffazione, che lace- rano l’umanità a causa del peccato e del conflitto di egoismi. La Chiesa è, nella storia, al servizio di questo “mistero” di benedizione per l’intera uma- nità. In questo mistero della fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell’autentico progresso. Infatti resta sempre valida la parola di Dio rivelata per mezzo del profeta Isaia: “… le tenebre ricoprono la terra, / nebbia fitta avvolge le nazioni; / ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te” (Is 60,2). Quanto il profeta annuncia a Gerusalemme, si compie nella Chiesa di Cri- sto: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorge- re” (Is 60,3). Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l’intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi vero quanto diceva il profeta: “nebbia fitta avvolge le nazioni” e la nostra storia. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse ener- getiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C’è bi- 20
  • 21. sogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. “Questa grande speranza può essere solo Dio … non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano” (Enc. Spe salvi n. 31): il Dio che si è manifestato nel Bambi- no di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto. Se c’è una grande speranza, si può perseverare nella sobrietà. Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. La moderazione non è allora solo una regola ascetica, ma anche una via di salvezza per l’umanità. È ormai evidente che soltanto adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione del- le ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sosteni- bile. Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti ad un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi. Abbiamo tutti bisogno di questo coraggio, ancorato a una salda speranza. Ce lo ottenga Maria, accompa- gnandoci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua materna protezione. Amen! 21
  • 22. MESSAGGIO PER LA XVI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO Cari fratelli e sorelle! 1. L’11 febbraio, memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, si celebra la Giornata Mondiale del Malato, occasione propizia per riflettere sul senso del dolore e sul dovere cristiano di farsene carico in qualunque situazione esso si presenti. Quest’anno tale significativa ricorrenza si collega a due eventi importanti per la vita della Chiesa, come si comprende già dal tema scelto “L’Eucaristia, Lourdes e la cura pastorale dei malati”: il 150° anni- versario delle apparizioni dell’Immacolata a Lourdes, e la celebrazione del Congresso Eucaristico Internazionale a Québec, in Canada. In tal modo vie- ne offerta una singolare opportunità per considerare la stretta connessione che esiste tra il Mistero eucaristico, il ruolo di Maria nel progetto salvifico e la realtà del dolore e della sofferenza dell’uomo. I 150 anni dalle apparizioni di Lourdes ci invitano a volgere lo sguardo ver- so la Vergine Santa, la cui Immacolata Concezione costituisce il dono subli- me e gratuito di Dio ad una donna, perché potesse aderire pienamente ai di- segni divini con fede ferma e incrollabile, nonostante le prove e le sofferen- ze che avrebbe dovuto affrontare. Per questo Maria è modello di totale ab- bandono alla volontà di Dio: ha accolto nel cuore il Verbo eterno e lo ha concepito nel suo grembo verginale; si è fidata di Dio e, con l’anima trafitta dalla spada del dolore (cfr Lc 2,35), non ha esitato a condividere la passione del suo Figlio rinnovando sul Calvario ai piedi della Croce il “sì” dell’An- nunciazione. Meditare sull’Immacolata Concezione di Maria è pertanto la- sciarsi attrarre dal «sì» che l’ha congiunta mirabilmente alla missione di Cristo, redentore dell’umanità; è lasciarsi prendere e guidare per mano da Lei, per pronunciare a propria volta il “fiat” alla volontà di Dio con tutta l’e- sistenza intessuta di gioie e tristezze, di speranze e delusioni, nella consape- volezza che le prove, il dolore e la sofferenza rendono ricco di senso il no- stro pellegrinaggio sulla terra. 2. Non si può contemplare Maria senza essere attratti da Cristo e non si può guardare a Cristo senza avvertire subito la presenza di Maria. Esiste un le- 22
  • 23. game inscindibile tra la Madre e il Figlio generato nel suo seno per opera dello Spirito Santo, e questo legame lo avvertiamo, in maniera misteriosa, nel Sacramento dell’Eucaristia, come sin dai primi secoli i Padri della Chie- sa e i teologi hanno messo in luce. “La carne nata da Maria, venendo dallo Spirito Santo, è il pane disceso dal cielo”, afferma sant’Ilario di Poitiers, mentre nel Sacramentario Bergomense, del sec. IX, leggiamo: “Il suo grem- bo ha fatto fiorire un frutto, un pane che ci ha riempito di angelico dono. Maria ha restituito alla salvezza ciò che Eva aveva distrutto con la sua col- pa”. Osserva poi san Pier Damiani: “Quel corpo che la beatissima Vergine ha generato, ha nutrito nel suo grembo con cura materna, quel corpo dico, senza dubbio e non un altro, ora lo riceviamo dal sacro altare, e ne beviamo il sangue come sacramento della nostra redenzione. Questo ritiene la fede cattolica, questo fedelmente insegna la santa Chiesa”. Il legame della Vergi- ne Santa con il Figlio, Agnello immolato che toglie i peccati del mondo, si estende alla Chiesa Corpo mistico di Cristo. Maria - nota il Servo di Dio Giovanni Paolo II - è “donna eucaristica” con l’intera sua vita per cui la Chiesa, guardando a Lei come a suo modello, “è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo” (Enc. Ecclesia de Euchari- stia, 53). In questa ottica si comprende ancor più perché a Lourdes al culto della Beata Vergine Maria si unisce un forte e costante richiamo all’Eucari- stia con quotidiane Celebrazioni eucaristiche, con l’adorazione del Santissi- mo Sacramento e la benedizione dei malati, che costituisce uno dei momen- ti più forti della sosta dei pellegrini presso la grotta di Massabielles. La presenza a Lourdes di molti pellegrini ammalati e di volontari che li ac- compagnano aiuta a riflettere sulla materna e tenera premura che la Vergine manifesta verso il dolore e le sofferenza dell’uomo. Associata al Sacrificio di Cristo, Maria, Mater Dolorosa, che ai piedi della Croce soffre con il suo divin Figlio, viene sentita particolarmente vicina dalla comunità cristiana che si raccoglie attorno ai suoi membri sofferenti, i quali recano i segni del- la passione del Signore. Maria soffre con coloro che sono nella prova, con essi spera ed è loro conforto sostenendoli con il suo materno aiuto. E non è forse vero che l’esperienza spirituale di tanti ammalati spinge a comprende- re sempre più che “il divin Redentore vuole penetrare nell’animo di ogni sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice di tutti i redenti”? (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris, 26). 23
  • 24. 3. Se Lourdes ci conduce a meditare sull’amore materno della Vergine Im- macolata per i suoi figli malati e sofferenti, il prossimo Congresso Eucaristi- co Internazionale sarà occasione per adorare Gesù Cristo presente nel Sacra- mento dell’altare, a Lui affidarci come a Speranza che non delude, Lui ac- cogliere quale farmaco dell’immortalità che sana il fisico e lo spirito. Gesù Cristo ha redento il mondo con la sua sofferenza, con la sua morte e risurre- zione e ha voluto restare con noi quale “pane della vita” nel nostro pellegri- naggio terreno. “L’Eucaristia dono di Dio per la vita del mondo”: questo è il tema del Congresso Eucaristico che sottolinea come l’Eucaristia sia il do- no che il Padre fa al mondo del proprio unico Figlio, incarnato e crocifisso. E’ Lui che ci raduna intorno alla mensa eucaristica, suscitando nei suoi di- scepoli un’attenzione amorevole per i sofferenti e gli ammalati, nei quali la comunità cristiana riconosce il volto del suo Signore. Come ho rilevato nel- l’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, “le nostre co- munità, quando celebrano l’Eucaristia, devono prendere sempre più co- scienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge ogni credente in Lui a farsi ‘pane spezzato’ per gli altri” (n. 88). Siamo così incoraggiati ad impegnarci in prima persona a servire i fratelli, specialmente quelli in difficoltà, poiché la vocazione di ogni cristiano è veramente quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo. 4. Appare pertanto chiaro che proprio dall’Eucaristia la pastorale della salu- te deve attingere la forza spirituale necessaria a soccorrere efficacemente l’uomo e ad aiutarlo a comprendere il valore salvifico della propria soffe- renza. Come ebbe a scrivere il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella già cita- ta Lettera apostolica Salvifici doloris, la Chiesa vede nei fratelli e nelle so- relle sofferenti quasi molteplici soggetti della forza soprannaturale di Cristo (cfr n. 27). Unito misteriosamente a Cristo, l’uomo che soffre con amore e docile abbandono alla volontà divina diventa offerta vivente per la salvezza del mondo. L’amato mio Predecessore affermava ancora che “quanto più l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo” (ibid.). Se pertanto a Québec si contempla il mistero dell’Eucaristia dono di Dio per la vita del mondo, nella Giornata Mondiale del Malato, in un ideale parallelismo spirituale, non solo si celebra l’effettiva partecipazione della 24
  • 25. sofferenza umana all’opera salvifica di Dio, ma se ne possono godere, in certo senso, i preziosi frutti promessi a coloro che credono. Così il dolore, accolto con fede, diventa la porta per entrare nel mistero della sofferenza re- dentrice di Gesù e per giungere con Lui alla pace e alla felicità della sua Ri- surrezione. 5. Mentre rivolgo il mio saluto cordiale a tutti gli ammalati e a quanti se ne prendono cura in diversi modi, invito le comunità diocesane e parrocchiali a celebrare la prossima Giornata Mondiale del Malato valorizzando appieno la felice coincidenza tra il 150° anniversario delle apparizioni di Nostra Si- gnora a Lourdes e il Congresso Eucaristico Internazionale. Sia occasione per sottolineare l’importanza della Santa Messa, dell’Adorazione eucaristica e del culto dell’Eucaristia, facendo in modo che le Cappelle nei Centri sani- tari diventino il cuore pulsante in cui Gesù si offre incessantemente al Padre per la vita dell’umanità. Anche la distribuzione ai malati dell’Eucaristia, fat- ta con decoro e spirito di preghiera, è vero conforto per chi soffre afflitto da ogni forma di infermità. La prossima Giornata Mondiale del Malato sia inoltre propizia circostanza per invocare, in modo speciale, la materna protezione di Maria su quanti so- no provati dalla malattia, sugli agenti sanitari e sugli operatori della pastora- le sanitaria. Penso, in particolare, ai sacerdoti impegnati in questo campo, alle religiose e ai religiosi, ai volontari e a chiunque con fattiva dedizione si occupa di servire, nel corpo e nell’anima, gli ammalati e i bisognosi. Affido tutti a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, Immacolata Concezione. Sia Lei ad aiutare ciascuno nel testimoniare che l’unica valida risposta al dolore e alla sofferenza umana è Cristo, il quale risorgendo ha vinto la morte e ci ha donato la vita che non conosce fine. Con questi sentimenti, di cuore im- parto a tutti una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 11 gennaio 2008 25
  • 26. MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2008 “Cristo si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9) Cari fratelli e sorelle! 1. Ogni anno, la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per ap- profondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a risco- prire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericor- diosi verso i fratelli. Nel tempo quaresimale la Chiesa si preoccupa di pro- porre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Quest’anno, nel consueto Messaggio quaresimale, desidero soffermarmi a riflettere sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un mo- do concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un eser- cizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. Quanto sia forte la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la no- stra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria: “Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). L’elemosina ci aiuta a vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle neces- sità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina posse- diamo. A questo mirano le collette speciali a favore dei poveri, che in Qua- resima vengono promosse in molte parti del mondo. In tal modo, alla purifi- cazione interiore si aggiunge un gesto di comunione ecclesiale, secondo quanto avveniva già nella Chiesa primitiva. San Paolo ne parla nelle sue Lettere a proposito della colletta a favore della comunità di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15,25-27). 2. Secondo l’insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì am- ministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati co- me esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo. Co- me ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale (cfr n. 2404). 26
  • 27. Nel Vangelo è chiaro il monito di Gesù verso chi possiede e utilizza solo per sé le ricchezze terrene. Di fronte alle moltitudini che, carenti di tutto, pati- scono la fame, acquistano il tono di un forte rimprovero le parole di san Giovanni: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratel- lo in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17). Con maggiore eloquenza risuona il richiamo alla condi- visione nei Paesi la cui popolazione è composta in maggioranza da cristiani, essendo ancor più grave la loro responsabilità di fronte alle moltitudini che soffrono nell’indigenza e nell’abbandono. Soccorrerle è un dovere di giusti- zia prima ancora che un atto di carità. 3. Il Vangelo pone in luce una caratteristica tipica dell’elemosina cristiana: deve essere nascosta. “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, di- ce Gesù, “perché la tua elemosina resti segreta” (Mt 6,3-4). E poco prima aveva detto che non ci si deve vantare delle proprie buone azioni, per non rischiare di essere privati della ricompensa celeste (cfr Mt 6,1-2). La preoc- cupazione del discepolo è che tutto vada a maggior gloria di Dio. Gesù am- monisce: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Tutto deve essere dunque compiuto a gloria di Dio e non nostra. Que- sta consapevolezza accompagni, cari fratelli e sorelle, ogni gesto di aiuto al prossimo evitando che si trasformi in un mezzo per porre in evidenza noi stessi. Se nel compiere una buona azione non abbiamo come fine la gloria di Dio e il vero bene dei fratelli, ma miriamo piuttosto ad un ritorno di inte- resse personale o semplicemente di plauso, ci poniamo fuori dell’ottica evangelica. Nella moderna società dell’immagine occorre vigilare attenta- mente, poiché questa tentazione è ricorrente. L’elemosina evangelica non è semplice filantropia: è piuttosto un’espressione concreta della carità, virtù teologale che esige l’interiore conversione all’amore di Dio e dei fratelli, ad imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per noi. Come non ringraziare Dio per le tante persone che nel silenzio, lontano dai riflettori della società mediatica, compiono con questo spirito azioni ge- nerose di sostegno al prossimo in difficoltà? A ben poco serve donare i pro- pri beni agli altri, se per questo il cuore si gonfia di vanagloria: ecco perché non cerca un riconoscimento umano per le opere di misericordia che compie chi sa che Dio “vede nel segreto” e nel segreto ricompenserà. 27
  • 28. 4. Invitandoci a considerare l’elemosina con uno sguardo più profondo, che trascenda la dimensione puramente materiale, la Scrittura ci insegna che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Quando agiamo con amore esprimiamo la verità del nostro essere: siamo stati infatti creati non per noi stessi, ma per Dio e per i fratelli (cfr 2 Cor 5,15). Ogni volta che per amore di Dio condividiamo i nostri beni con il prossimo bisognoso, sperimentiamo che la pienezza di vita viene dall’amore e tutto ci ritorna come benedizione in forma di pace, di interiore soddisfazione e di gioia. Il Padre celeste ri- compensa le nostre elemosine con la sua gioia. E c’è di più: san Pietro cita tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati. “La carità - egli scrive - copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Come spesso ripete la liturgia quaresimale, Iddio offre a noi peccatori la possibilità di essere per- donati. Il fatto di condividere con i poveri ciò che possediamo ci dispone a ricevere tale dono. Penso, in questo momento, a quanti avvertono il peso del male compiuto e, proprio per questo, si sentono lontani da Dio, timorosi e quasi incapaci di ricorrere a Lui. L’elemosina, avvicinandoci agli altri, ci avvicina a Dio e può diventare strumento di autentica conversione e riconci- liazione con Lui e con i fratelli. 5. L’elemosina educa alla generosità dell’amore. San Giuseppe Benedetto Cottolengo soleva raccomandare: “Non contate mai le monete che date, per- ché io dico sempre così: se nel fare l’elemosina la mano sinistra non ha da sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa medesima” (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201). Al riguardo, è quanto mai si- gnificativo l’episodio evangelico della vedova che, nella sua miseria, getta nel tesoro del tempio “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). La sua piccola e insignificante moneta diviene un simbolo eloquente: questa vedo- va dona a Dio non del suo superfluo, non tanto ciò che ha, ma quello che è. Tutta se stessa. Questo episodio commovente si trova inserito nella descrizione dei giorni che precedono immediatamente la passione e morte di Gesù, il quale, come nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9); ha dato tutto se stesso per noi. La Quaresima, anche attraverso la prati- ca dell’elemosina ci spinge a seguire il suo esempio. Alla sua scuola possia- mo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì 28
  • 29. noi stessi. L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mez- zo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente of- fre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a detta- re le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno. 6. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita ad “allenarci” spiritualmente, anche mediante la pratica dell’elemosina, per crescere nella carità e ricono- scere nei poveri Cristo stesso. Negli Atti degli Apostoli si racconta che l’a- postolo Pietro allo storpio che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (At 3,6). Con l’elemosina regaliamo qualcosa di materiale, segno del dono più grande che possiamo offrire agli altri con l’annuncio e la testimonianza di Cristo, nel Cui nome c’è la vita vera. Questo periodo sia pertanto caratterizzato da uno sforzo personale e comunitario di adesione a Cristo per essere testimoni del suo amore. Maria, Madre e Serva fedele del Signore, aiuti i credenti a condurre il “combatti- mento spirituale” della Quaresima armati della preghiera, del digiuno e del- la pratica dell’elemosina, per giungere alle celebrazioni delle Feste pasquali rinnovati nello spirito. Con questi voti imparto volentieri a tutti l’Apostolica Benedizione. Dal Vaticano, 30 ottobre 2007 29
  • 30. MESSAGGIO URBI ET ORBI - PASQUA 2008 “Resurrexi, et adhuc tecum sum. Alleluia! - Sono risorto, sono sempre con te. Alleluia!”. Cari fratelli e sorelle, Gesù crocifisso e risorto ci ripete oggi quest’annuncio di gioia: è l’annuncio pasquale. Accogliamolo con intimo stupore e gratitudine! “Resurrexi et adhuc tecum sum - Sono risorto e sono ancora e sempre con te”. Queste parole, tratte da un’antica versione del Salmo 138 (v. 18b), ri- suonano all’inizio dell’odierna Santa Messa. In esse, al sorgere del sole di Pasqua, la Chiesa riconosce la voce stessa di Gesù che, risorgendo da morte, si rivolge al Padre colmo di felicità e d’amore ed esclama: Padre mio, ecco- mi! Sono risorto, sono ancora con te e lo sarò per sempre; il tuo Spirito non mi ha mai abbandonato. Possiamo così comprendere in modo nuovo anche altre espressioni del Salmo: “Se salgo in cielo, là tu sei, / se scendo negli in- feri, eccoti. / ... / Nemmeno le tenebre per te sono oscure, / e la notte è chia- ra come il giorno; / per te le tenebre sono come luce” (Sal 138, 8.12). È ve- ro: nella solenne veglia di Pasqua le tenebre diventano luce, la notte cede il passo al giorno che non conosce tramonto. La morte e risurrezione del Ver- bo di Dio incarnato è un evento di amore insuperabile, è la vittoria dell’A- more che ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. Ha cambia- to il corso della storia, infondendo un indelebile e rinnovato senso e valore alla vita dell’uomo. “Sono risorto e sono ancora e sempre con te”. Queste parole ci invitano a contemplare Cristo risorto, facendone risuonare nel nostro cuore la voce. Con il suo sacrificio redentore Gesù di Nazareth ci ha resi figli adottivi di Dio, così che ora possiamo inserirci anche noi nel dialogo misterioso tra Lui e il Padre. Ritorna alla mente quanto un giorno Egli ebbe a dire ai suoi ascoltatori: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). In questa prospettiva, avvertiamo che l’affermazione rivolta oggi da Gesù risorto al Padre, - “Sono ancora e sem- pre con te” - riguarda come di riflesso anche noi, “figli di Dio e coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare alla sua gloria” (cfr Rm 8,17). Grazie alla morte e risurrezione di Cristo, pure 30
  • 31. noi quest’oggi risorgiamo a vita nuova, ed unendo la nostra alla sua voce proclamiamo di voler restare per sempre con Dio, Padre nostro infinitamen- te buono e misericordioso. Entriamo così nella profondità del mistero pasquale. L’evento sorprendente della risurrezione di Gesù è essenzialmente un evento d’amore: amore del Padre che consegna il Figlio per la salvezza del mondo; amore del Figlio che si abbandona al volere del Padre per tutti noi; amore dello Spirito che ri- suscita Gesù dai morti nel suo corpo trasfigurato. Ed ancora: amore del Pa- dre che “riabbraccia” il Figlio avvolgendolo nella sua gloria; amore del Fi- glio che con la forza dello Spirito ritorna al Padre rivestito della nostra uma- nità trasfigurata. Dall’odierna solennità, che ci fa rivivere l’esperienza asso- luta e singolare della risurrezione di Gesù, ci viene dunque un appello a convertirci all’Amore; ci viene un invito a vivere rifiutando l’odio e l’egoi- smo e a seguire docilmente le orme dell’Agnello immolato per la nostra sal- vezza, a imitare il Redentore “mite e umile di cuore”, che è “ristoro per le nostre anime” (cfr Mt 11,29). Fratelli e sorelle cristiani di ogni parte del mondo, uomini e donne di animo sinceramente aperto alla verità! Che nessuno chiuda il cuore all’onnipotenza di questo amore che redime! Gesù Cristo è morto e risorto per tutti: Egli è la nostra speranza! Speranza vera per ogni essere umano. Oggi, come fece con i suoi discepoli in Galilea prima di tornare al Padre, Gesù risorto invia an- che noi dappertutto come testimoni della sua speranza e ci rassicura: Io sono con voi sempre, tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). Fis- sando lo sguardo dell’animo nelle piaghe gloriose del suo corpo trasfigura- to, possiamo capire il senso e il valore della sofferenza, possiamo lenire le tante ferite che continuano ad insanguinare l’umanità anche ai nostri giorni. Nelle sue piaghe gloriose riconosciamo i segni indelebili della misericordia infinita del Dio di cui parla il profeta: Egli è colui che risana le ferite dei cuori spezzati, che difende i deboli e proclama la libertà degli schiavi, che consola tutti gli afflitti e dispensa loro olio di letizia invece dell’abito da lut- to, un canto di lode invece di un cuore mesto (cfr Is 61,1.2.3). Se con umile confidenza ci accostiamo a Lui, incontriamo nel suo sguardo la risposta al- l’anelito più profondo del nostro cuore: conoscere Dio e stringere con Lui una relazione vitale, che colmi del suo stesso amore la nostra esistenza e le nostre relazioni interpersonali e sociali. Per questo l’umanità ha bisogno di Cristo: in Lui, nostra speranza, “noi siamo stati salvati” (cfr Rm 8,24). 31
  • 32. Quante volte le relazioni tra persona e persona, tra gruppo e gruppo, tra po- polo e popolo, invece che dall’amore, sono segnate dall’egoismo, dall’in- giustizia, dall’odio, dalla violenza! Sono le piaghe dell’umanità, aperte e doloranti in ogni angolo del pianeta, anche se spesso ignorate e talvolta vo- lutamente nascoste; piaghe che straziano anime e corpi di innumerevoli no- stri fratelli e sorelle. Esse attendono di essere lenite e guarite dalle piaghe gloriose del Signore risorto (cfr 1 Pt 2,24-25) e dalla solidarietà di quanti, sulle sue orme e in suo nome, pongono gesti d’amore, si impegnano fattiva- mente per la giustizia e spargono intorno a sé segni luminosi di speranza nei luoghi insanguinati dai conflitti e dovunque la dignità della persona umana continua ad essere vilipesa e conculcata. L’auspicio è che proprio là si mol- tiplichino le testimonianze di mitezza e di perdono! Cari fratelli e sorelle, lasciamoci illuminare dalla luce sfolgorante di questo Giorno solenne; apriamoci con sincera fiducia a Cristo risorto, perché la for- za rinnovatrice del Mistero pasquale si manifesti in ciascuno di noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nelle nostre Nazioni. Si manifesti in ogni parte del mondo. Come non pensare in questo momento, in particolare, ad alcune regioni africane, quali il Darfur e la Somalia, al martoriato Medio- riente, e specialmente alla Terrasanta, all’Iraq, al Libano, e infine al Tibet, regioni per le quali incoraggio la ricerca di soluzioni che salvaguardino il bene e la pace! Invochiamo la pienezza dei doni pasquali, per intercessione di Maria che, dopo aver condiviso le sofferenze della passione e crocifissio- ne del suo Figlio innocente, ha sperimentato anche la gioia inesprimibile della sua risurrezione. Associata alla gloria di Cristo, sia Lei a proteggerci e a guidarci sulla via della fraterna solidarietà e della pace. Sono questi i miei auguri pasquali, che rivolgo a voi qui presenti e agli uomini e alle donne di ogni nazione e continente a noi uniti attraverso la radio e la televisione. Buona Pasqua! 32
  • 33. MESSAGGIO PER LA XLV GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI 13 aprile 2008 - IV Domenica di Pasqua Tema: « Le vocazioni al servizio della Chiesa-missione» Cari fratelli e sorelle! 1. Per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che sarà celebrata il 13 aprile 2008, ho scelto il tema: Le vocazioni al servizio della Chiesa- missione. Agli Apostoli Gesù risorto affidò il mandato: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19), assicurando: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La Chiesa è missionaria nel suo insieme e in ogni suo membro. Se in forza dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione ogni cristiano è chiamato a testimoniare e ad annun- ciare il Vangelo, la dimensione missionaria è specialmente e intimamente legata alla vocazione sacerdotale. Nell’alleanza con Israele, Dio affidò a uo- mini prescelti, chiamati da Lui ed inviati al popolo in suo nome, la missione di essere profeti e sacerdoti. Così fece, ad esempio, con Mosè: “Ora va’! - gli disse Jahvé - Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popo- lo ... quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su que- sto monte” (Es 3,10.12). Ugualmente avvenne con i profeti. 2. Le promesse fatte ai padri si realizzarono appieno in Gesù Cristo. Affer- ma in proposito il Concilio Vaticano II: “È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale in Lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha predestinati ad essere adottati come figli ... Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ce ne ha rive- lato il mistero, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione” (Cost. dogm. Lumen gentium, 3). E Gesù si scelse, come stretti collaboratori nel ministero messianico, dei discepoli già nella vita pubblica, durante la predi- cazione in Galilea. Ad esempio, in occasione della moltiplicazione dei pani, quando disse agli Apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16), stimolandoli così a farsi carico del bisogno delle folle, a cui voleva offrire il 33
  • 34. cibo per sfamarsi, ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Era mosso a compassione verso la gente, perché mentre percorreva le città ed i villaggi, incontrava folle stanche e sfinite, “come pecore senza pa- store” (cfr Mt 9,36). Da questo sguardo di amore sgorgava il suo invito ai discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nel- la sua messe” (Mt 9,38), e inviò i Dodici prima “alle pecore perdute della casa d’Israele”, con precise istruzioni. Se ci soffermiamo a meditare questa pagina del Vangelo di Matteo, che viene solitamente chiamata “discorso missionario”, notiamo tutti quegli aspetti che caratterizzano l’attività mis- sionaria di una comunità cristiana, che voglia restare fedele all’esempio e all’insegnamento di Gesù. Corrispondere alla chiamata del Signore compor- ta affrontare con prudenza e semplicità ogni pericolo e persino le persecu- zioni, giacché “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone” (Mt 10,24). Diventati una cosa sola con il Maestro, i disce- poli non sono più soli ad annunciare il Regno dei cieli, ma è lo stesso Gesù ad agire in essi: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40). Ed inoltre, come veri testimoni, “rive- stiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49), essi predicano “la conversione e il per- dono dei peccati” (Lc 24,47) a tutte le genti. 3. Proprio perché inviati dal Signore, i Dodici prendono il nome di “aposto- li”, destinati a percorrere le vie del mondo annunciando il Vangelo come te- stimoni della morte e risurrezione di Cristo. Scrive san Paolo ai cristiani di Corinto: “Noi – cioè gli Apostoli – predichiamo Cristo crocifisso” (1 Cor 1,23). Il Libro degli Atti degli Apostoli attribuisce un ruolo molto importan- te, in questo processo di evangelizzazione, anche ad altri discepoli, la cui vocazione missionaria scaturisce da circostanze provvidenziali, talvolta do- lorose, come l’espulsione dalla propria terra in quanto seguaci di Gesù (cfr 8,1-4). Lo Spirito Santo permette di trasformare questa prova in occasione di grazia, e di trarne spunto perché il nome del Signore sia annunciato ad al- tre genti e si allarghi in tal modo il cerchio della Comunità cristiana. Si trat- ta di uomini e donne che, come scrive Luca nel Libro degli Atti, “hanno vo- tato la loro vita al nome del Signore nostro Gesù Cristo” (15,26). Primo tra tutti, chiamato dal Signore stesso sì da essere un vero Apostolo, è senza dubbio Paolo di Tarso. La storia di Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi, fa emergere, sotto molti punti di vista, quale sia il nesso tra vocazio- ne e missione. Accusato dai suoi avversari di non essere autorizzato all’apo- 34
  • 35. stolato, egli fa appello ripetutamente proprio alla vocazione ricevuta diretta- mente dal Signore (cfr Rm 1,1; Gal 1,11-12.15-17). 4. All’inizio, come in seguito, a “spingere” gli Apostoli (cfr 2 Cor 5,14) è sempre “l’amore di Cristo”. Quali fedeli servitori della Chiesa, docili all’a- zione dello Spirito Santo, innumerevoli missionari, nel corso dei secoli, hanno seguito le orme dei primi discepoli. Osserva il Concilio Vaticano II: “Benché l’impegno di diffondere la fede cada su qualsiasi discepolo di Cri- sto in proporzione delle sue possibilità, Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, perché siano con lui e per inviarli a predicare alle genti (cfr Mc 3,13-15)” (Decr. Ad gentes, 23). L’amore di Cristo, infatti, va comunicato ai fratelli con gli esempi e le paro- le; con tutta la vita. “La vocazione speciale dei missionari ad vitam – ebbe a scrivere il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II - conserva tutta la sua validità: essa rappresenta il paradigma dell’impegno missionario della Chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e totali, di impulsi nuo- vi e arditi” (Enc. Redemptoris missio, 66). 5. Tra le persone che si dedicano totalmente al servizio del Vangelo vi sono in particolar modo sacerdoti chiamati a dispensare la Parola di Dio, ammini- strare i sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la Riconciliazione, votati al servizio dei più piccoli, dei malati, dei sofferenti, dei poveri e di quanti at- traversano momenti difficili in regioni della terra dove vi sono, talora, mol- titudini che ancora oggi non hanno avuto un vero incontro con Gesù Cristo. Ad esse i missionari recano il primo annuncio del suo amore redentivo. Le statistiche testimoniano che il numero dei battezzati aumenta ogni anno gra- zie all’azione pastorale di questi sacerdoti, interamente consacrati alla sal- vezza dei fratelli. In questo contesto, speciale riconoscenza va data “ai pre- sbiteri fidei donum, che con competenza e generosa dedizione edificano la comunità annunciandole la Parola di Dio e spezzando il Pane della vita, senza risparmiare energie nel servizio alla missione della Chiesa. Occorre ringraziare Dio per i tanti sacerdoti che hanno sofferto fino al sacrificio del- la vita per servire Cristo … Si tratta di testimonianze commoventi che pos- sono ispirare tanti giovani a seguire a loro volta Cristo e a spendere la loro vita per gli altri, trovando proprio così la vita vera” (Esort. ap. Sacramen- tum caritatis, 26). Attraverso i suoi sacerdoti, Gesù dunque si rende presen- te fra gli uomini di oggi, sino agli angoli più remoti della terra. 35
  • 36. 6. Da sempre nella Chiesa ci sono poi non pochi uomini e donne che, mossi dall’azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il Vangelo in modo radi- cale, professando i voti di castità, povertà ed obbedienza. Questa schiera di religiosi e di religiose, appartenenti a innumerevoli Istituti di vita contem- plativa ed attiva, ha “tuttora una parte importantissima nell’evangelizzazio- ne del mondo” (Decr. Ad gentes, 40). Con la loro preghiera continua e co- munitaria, i religiosi di vita contemplativa intercedono incessantemente per tutta l’umanità; quelli di vita attiva, con la loro multiforme azione caritativa, recano a tutti la testimonianza viva dell’amore e della misericordia di Dio. Quanto a questi apostoli del nostro tempo, il Servo di Dio Paolo VI ebbe a dire: “Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza vo- lontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammira- zione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed as- sumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, ve- ramente, la Chiesa deve molto a loro” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 69). 7. Inoltre, perché la Chiesa possa continuare a svolgere la missione affidata- le da Cristo e non manchino gli evangelizzatori di cui il mondo ha bisogno, è necessario che nelle comunità cristiane non venga mai meno una costante educazione alla fede dei fanciulli e degli adulti; è necessario mantenere vivo nei fedeli un attivo senso di responsabilità missionaria e di partecipazione solidale con i popoli della terra. Il dono della fede chiama tutti i cristiani a cooperare all’evangelizzazione. Questa consapevolezza va alimentata attra- verso la predicazione e la catechesi, la liturgia e una costante formazione al- la preghiera; va incrementata con l’esercizio dell’accoglienza, della carità, dell’accompagnamento spirituale, della riflessione e del discernimento, co- me pure con una progettazione pastorale, di cui parte integrante sia l’atten- zione alle vocazioni. 8. Solo in un terreno spiritualmente ben coltivato fioriscono le vocazioni al sacerdozio ministeriale ed alla vita consacrata. Infatti, le comunità cristiane, che vivono intensamente la dimensione missionaria del mistero della Chie- sa, mai saranno portate a ripiegarsi su se stesse. La missione, come testimo- nianza dell’amore divino, diviene particolarmente efficace quando è condi- visa in modo comunitario, “perché il mondo creda” (cfr Gv 17,21). Quello 36
  • 37. delle vocazioni è il dono che la Chiesa invoca ogni giorno dallo Spirito Santo. Come ai suoi inizi, raccolta attorno alla Vergine Maria, Regina degli Apostoli, la Comunità ecclesiale apprende da lei ad implorare dal Signore la fioritura di nuovi apostoli che sappiano vivere in sé quella fede e quell’a- more che sono necessari per la missione. 9. Mentre affido questa riflessione a tutte le Comunità ecclesiali, affinché le facciano proprie e soprattutto ne traggano spunto per la preghiera, incorag- gio l’impegno di quanti operano con fede e generosità al servizio delle vo- cazioni e di cuore invio ai formatori, ai catechisti e a tutti, specialmente ai giovani in cammino vocazionale, una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 3 dicembre 2007 37
  • 38. MESSAGGIO PER LA XLII GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI Domenica, 4 maggio 2008 I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla Cari fratelli e sorelle! 1. Il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - “I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla” – pone in luce quanto importante sia il ruolo di questi strumenti nella vita delle persone e della società. Non c’è in- fatti ambito dell’esperienza umana, specialmente se consideriamo il vasto fenomeno della globalizzazione, in cui i media non siano diventati parte co- stitutiva delle relazioni interpersonali e dei processi sociali, economici, poli- tici e religiosi. In proposito, scrivevo nel Messaggio per la Giornata della Pace dello scorso 1° gennaio: “I mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell’illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza” (n. 5). 2. Grazie ad una vorticosa evoluzione tecnologica, questi mezzi hanno ac- quisito potenzialità straordinarie, ponendo nello stesso tempo nuovi ed ine- diti interrogativi e problemi. È innegabile l’apporto che essi possono dare alla circolazione delle notizie, alla conoscenza dei fatti e alla diffusione del sapere: hanno contribuito, ad esempio, in maniera decisiva all’alfabetizza- zione e alla socializzazione, come pure allo sviluppo della democrazia e del dialogo tra i popoli. Senza il loro apporto sarebbe veramente difficile favori- re e migliorare la comprensione tra le nazioni, dare respiro universale ai dia- loghi di pace, garantire all’uomo il bene primario dell’informazione, assicu- rando, nel contempo, la libera circolazione del pensiero in ordine soprattutto agli ideali di solidarietà e di giustizia sociale. Sì! I media, nel loro insieme, non sono soltanto mezzi per la diffusione delle idee, ma possono e devono essere anche strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale. Non 38
  • 39. manca, purtroppo, il rischio che essi si trasformino invece in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momen- to. E’ il caso di una comunicazione usata per fini ideologici o per la colloca- zione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pre- testo di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale. Inoltre, per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience, a volte non si esita a ricorrere alla trasgres- sione, alla volgarità e alla violenza. Vi è infine la possibilità che, attraverso i media, vengano proposti e sostenuti modelli di sviluppo che aumentano an- ziché ridurre il divario tecnologico tra i paesi ricchi e quelli poveri. 3. L’umanità si trova oggi di fronte a un bivio. Anche per i media vale quan- to ho scritto nell’Enciclica Spe salvi circa l’ambiguità del progresso, che of- fre inedite possibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male che prima non esistevano (cfr n. 22). Occorre pertanto chiedersi se sia saggio lasciare che gli strumenti della comunicazione sociale siano as- serviti a un protagonismo indiscriminato o finiscano in balia di chi se ne av- vale per manipolare le coscienze. Non sarebbe piuttosto doveroso far sì che restino al servizio della persona e del bene comune e favoriscano “la forma- zione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore” (ibid.)? La loro straordinaria incidenza nella vita delle persone e della società è un dato lar- gamente riconosciuto, ma va posta oggi in evidenza la svolta, direi anzi la vera e propria mutazione di ruolo, che essi si trovano ad affrontare. Oggi, in modo sempre più marcato, la comunicazione sembra avere talora la pretesa non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla forza di suggestione che possiede. Si costata, ad esempio, che su talune vi- cende i media non sono utilizzati per un corretto ruolo di informazione, ma per “creare” gli eventi stessi. Questo pericoloso mutamento della loro fun- zione è avvertito con preoccupazione da molti Pastori. Proprio perché si tratta di realtà che incidono profondamente su tutte le dimensioni della vita umana (morale, intellettuale, religiosa, relazionale, affettiva, culturale), po- nendo in gioco il bene della persona, occorre ribadire che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente praticabile. L’impatto degli stru- menti della comunicazione sulla vita dell’uomo contemporaneo pone per- tanto questioni non eludibili, che attendono scelte e risposte non più rinvia- bili. 39
  • 40. 4. Il ruolo che gli strumenti della comunicazione sociale hanno assunto nel- la società va ormai considerato parte integrante della questione antropologi- ca, che emerge come sfida cruciale del terzo millennio. In maniera non dis- simile da quanto accade sul fronte della vita umana, del matrimonio e della famiglia, e nell’ambito delle grandi questioni contemporanee concernenti la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, anche nel settore delle comu- nicazioni sociali sono in gioco dimensioni costitutive dell’uomo e della sua verità. Quando la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al con- trollo sociale, finisce per non tenere più in conto la centralità e la dignità in- violabile dell’uomo, rischiando di incidere negativamente sulla sua coscien- za, sulle sue scelte, e di condizionare in definitiva la libertà e la vita stessa delle persone. Ecco perché è indispensabile che le comunicazioni sociali di- fendano gelosamente la persona e ne rispettino appieno la dignità. Più di qualcuno pensa che sia oggi necessaria, in questo ambito, un’“info-etica” così come esiste la bio-etica nel campo della medicina e della ricerca scien- tifica legata alla vita. 5. Occorre evitare che i media diventino il megafono del materialismo eco- nomico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo. Essi possono e devono invece contribuire a far conoscere la verità sull’uomo, difendendo- la davanti a coloro che tendono a negarla o a distruggerla. Si può anzi dire che la ricerca e la presentazione della verità sull’uomo costituiscono la vo- cazione più alta della comunicazione sociale. Utilizzare a questo fine tutti i linguaggi, sempre più belli e raffinati di cui i media dispongono, è un com- pito esaltante affidato in primo luogo ai responsabili ed agli operatori del settore. E’ un compito che tuttavia, in qualche modo, ci riguarda tutti, per- ché tutti, nell’epoca della globalizzazione, siamo fruitori e operatori di co- municazioni sociali. I nuovi media, telefonia e internet in particolare, stanno modificando il volto stesso della comunicazione e, forse, è questa un’occa- sione preziosa per ridisegnarlo, per rendere meglio visibili, come ebbe a di- re il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana (cfr Lett. ap. Il rapido svilup- po, 10). 6. L’uomo ha sete di verità, è alla ricerca della verità; lo dimostrano anche l’attenzione e il successo registrati da tanti prodotti editoriali, programmi o fiction di qualità, in cui la verità, la bellezza e la grandezza della persona, 40
  • 41. inclusa la sua dimensione religiosa, sono riconosciute e ben rappresentate. Gesù ha detto: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). La verità che ci rende liberi è Cristo, perché solo Lui può rispondere piena- mente alla sete di vita e di amore che è nel cuore dell’uomo. Chi lo ha in- contrato e si appassiona al suo messaggio sperimenta il desiderio inconteni- bile di condividere e comunicare questa verità: “Ciò che era fin da princi- pio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri oc- chi – scrive san Giovanni -, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita […], noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comu- nione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (1Gv 1, 1-3). Invochiamo lo Spirito Santo, perché non manchino comunicatori coraggiosi e autentici testimoni della verità che, fedeli alla consegna di Cristo e appas- sionati del messaggio della fede, “sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli” (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Parabole mediatiche, 9 novembre 2002). Con questo auspicio a tutti imparto con affetto la mia Benedizione. Dal Vaticano, 24 gennaio 2008, Festa di San Francesco di Sales. 41
  • 42. MESSAGGIO ALLA CONFERENZA DI ALTO LIVELLO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE MONDIALE PROMOSSA DALLA FAO ROMA, 3-5 giugno 2008 Signor Presidente della Repubblica italiana, Illustri Capi di Stato e di Governo, Signor Direttore Generale della FAO, Signor Segretario Generale dell’ONU, Signore e Signori! Sono lieto di porgere il mio deferente e cordiale saluto a Voi, che, a diverso titolo, rappresentate le varie componenti della famiglia umana e vi siete riu- niti a Roma per concordare soluzioni idonee ad affrontare il problema della fame e della malnutrizione. Al Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, ho chiesto di parte- ciparVi la particolare attenzione con cui seguo il vostro lavoro e di assicu- rarVi che attribuisco grande importanza all’arduo compito che Vi attende. A Voi guardano milioni di uomini e donne, mentre nuove insidie minacciano la loro sopravvivenza e preoccupanti situazioni mettono a rischio la sicurez- za dei loro Paesi. Infatti, la crescente globalizzazione dei mercati non sem- pre favorisce la disponibilità di alimenti ed i sistemi produttivi sono spesso condizionati da limiti strutturali, nonché da politiche protezionistiche e da fenomeni speculativi che relegano intere popolazioni ai margini dei processi di sviluppo. Alla luce di tale situazione, occorre ribadire con forza che la fame e la malnutrizione sono inaccettabili in un mondo che, in realtà, dispo- ne di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti per mettere fine a tali drammi ed alle loro conseguenze. La grande sfida di oggi è quel- la di “globalizzare non solo gli interessi economici e commerciali, ma anche le attese di solidarietà, nel rispetto e nella valorizzazione dell’apporto di ogni componente umana» (Discorso alla Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice, 31 maggio 2008). 42
  • 43. Alla FAO ed al suo Direttore Generale va, pertanto, il mio apprezzamento e la mia gratitudine, per aver nuovamente attirato l’attenzione della comunità internazionale su quanto ostacola la lotta contro la fame e per averla solleci- tata ad un’azione che, per risultare efficace, dovrà essere unitaria e coordi- nata. In tale spirito, alle alte Personalità che partecipano a questo Vertice desidero rinnovare l’auspicio che ho formulato durante la mia recente visita alla sede dell’ONU: è urgente superare il “paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi” (Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, 18 aprile 2008). Inol- tre, mi permetto d’invitarVi a collaborare in maniera sempre più trasparente con le organizzazioni della società civile impegnate a colmare il crescente divario tra ricchezza e povertà. Vi esorto ancora a proseguire in quelle rifor- me strutturali che, a livello nazionale, sono indispensabili per affrontare con successo i problemi del sottosviluppo, di cui la fame e la malnutrizione so- no dirette conseguenze. So quanto tutto ciò sia arduo e complesso! Tuttavia, come si può rimanere insensibili agli appelli di coloro che, nei di- versi continenti, non riescono a nutrirsi a sufficienza per vivere? Povertà e malnutrizione non sono una mera fatalità, provocata da situazioni ambienta- li avverse o da disastrose calamità naturali. D’altra parte, le considerazioni di carattere esclusivamente tecnico o economico non debbono prevalere sui doveri di giustizia verso quanti soffrono la fame. Il diritto all’alimentazione “risponde principalmente ad una motivazione etica: ‘dare da mangiare agli affamati’ (cfr Mt 25, 35), che spinge a condividere i beni materiali quale se- gno dell’amore di cui tutti abbiamo bisogno […] Questo diritto primario al- l’alimentazione è intrinsecamente vincolato alla tutela e alla difesa della vi- ta umana, roccia salda e inviolabile sui cui si fonda tutto l’edificio dei diritti umani» (Discorso al nuovo Ambasciatore del Guatemala, 31 maggio 2008). Ogni persona ha diritto alla vita: pertanto, è necessario promuovere l’effetti- va attuazione di tale diritto e si debbono aiutare le popolazioni che soffrono per la mancanza di cibo a divenire gradualmente capaci di soddisfare le pro- prie esigenze di un’alimentazione sufficiente e sana. In questo particolare momento, che vede la sicurezza alimentare minacciata dal rincaro dei prodotti agricoli, vanno poi elaborate nuove strategie di lotta 43
  • 44. alla povertà e di promozione dello sviluppo rurale. Ciò deve avvenire anche attraverso processi di riforme strutturali, che consentano di affrontare le sfi- de della medesima sicurezza e dei cambiamenti climatici; inoltre, occorre incrementare la disponibilità del cibo valorizzando l’industriosità dei piccoli agricoltori e garantendone l’accesso al mercato. L’aumento globale della produzione agricola potrà, tuttavia, essere efficace, solo se sarà accompa- gnato dall’effettiva distribuzione di tale produzione e se essa sarà destinata primariamente alla soddisfazione dei bisogni essenziali. Si tratta di un cammino certamente non facile, ma che consentirebbe, fra l’altro, di risco- prire il valore della famiglia rurale: essa non si limita a preservare la tra- smissione, dai genitori ai figli, dei sistemi di coltivazione, di conservazione e di distribuzione degli alimenti, ma è soprattutto un modello di vita, di educazione, di cultura e di religiosità. Inoltre, sotto il profilo economico, assicura un’attenzione efficace ed amorevole ai più deboli e, in forza del principio di sussidiarietà, può assumere un ruolo diretto nella catena di di- stribuzione e di commercializzazione dei prodotti agricoli destinati all’ali- mentazione, riducendo i costi dell’intermediazione e favorendo la produ- zione su piccola scala. Signore e Signori, Le difficoltà odierne mostrano come le moderne tecnologie, da sole, non siano sufficienti per sopperire alla carenza alimentare, come non lo sono i calcoli statistici e, nelle situazioni di emergenza, l’invio di aiuti alimentari. Tutto ciò certamente ha grande rilievo, tuttavia deve essere completato ed orientato da un’azione politica che, ispirata a quei principi della legge natu- rale che sono iscritti nel cuore degli uomini, protegga la dignità della perso- na. In tal modo, anche l’ordine della creazione viene rispettato e si ha “co- me criterio orientatore il bene di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondia- le della Pace, 1° gennaio 2008, n. 7). Solo la tutela della persona, dunque, consente di combattere la causa principale della fame, cioè quella chiusura dell’essere umano nei confronti dei propri simili che dissolve la solidarietà, giustifica i modelli di vita consumistici e disgrega il tessuto sociale, preser- vando, se non addirittura approfondendo, il solco di ingiusti equilibri e tra- scurando le più profonde esigenze del bene (cfr. Lettera Enciclica Deus ca- ritas est, n. 28). Se, pertanto, il rispetto della dignità umana fosse fatto vale- re sul tavolo del negoziato, delle decisioni e della loro attuazione, si potreb- 44