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Giacomo Leopardi




  Un Poeta
“Incompreso”?
La nostra idea di Leopardi
Leopardi, anzi Giacomo, a noi ci appare come un
   vecchio poeta da studiare, la solita “muffa”
letteraria. Un poeta un po’ depresso, abbastanza
malaticcio e che non si è goduto per nulla la vita:
è davvero così? Oppure attraverso i sue versi, le
  sue parole ci ha voluto raccontare i colori e le
         sfumature della sua esistenza?
A se stesso.
                                                METRO: endecasillabi e settenari variamente
Or POSERAI per sempre,                          alternati. Le prime due strofe, costituite da 5 versi
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,         ciascuna, hanno uno schema metrico delineato (7-
                                                11-11-7-11) mentre l’ultima strofa contiene un
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,        verso in più (endecasillabo) che tende a colpire il
In noi di cari inganni,                         lettore con la sua potenza, rappresentando il fulcro
                                                della poesia.
 Non che la speme, il desiderio è spento.
POSA per sempre. Assai                          NUCLEI DELLA POESIA: ogni strofa è composta da 3
                                                nuclei che si ripetono sempre nella poesia e, una
Palpitasti. Non val cosa nessuna                volta individuati, ci aiutano a comprendere meglio il
I moti tuoi, né di sospiri è degna              significato della poesia:
                                                •Invocazione al cuore del poeta.
La terra. Amaro e noia
                                                •Causa dell’invocazione, il perché
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.   •La costatazione della morte dell’amore, ultima
T'ACQUETA omai. DISPERA                         illusione.
L'ultima volta. Al gener nostro il fato         LESSICO: Per “scovare” altri aspetti della poesia, è
                                                necessario analizzare il lessico usato: si può notare il
Non donò che il morire. Omai DISPREZZA          climax ascendente formato da “POSERAI-POSA-
Te, la natura, il brutto                        T’ACQUETA” e da “DISPERA-DISPREZZA” e dal loro
Poter che, ascoso, a comun danno impera,        rapporto sinonimico.
                                                RITMO: è spezzato e franto, e salta subito agli
 E l'infinita vanità del tutto.                 occhi; è ben studiato, infatti si notano 8 pause, 12
                                                periodi e ben 8 enjambement.
Breve biografia.
Giacomo Leopardi nacque a Recanati, il 29 giugno 1798 dal        Nel giugno 1827 si stabilisce a Firenze, dove
conte Monaldo Leopardi e da Adelaide Antici. Trascorse la        frequenta il “Gabinetto Vieusseaux”; conosce
sua adolescenza studiando sui numerosi libri della biblioteca    Antonio Ranieri e Alessandro Manzoni. L’anno
della famiglia. Nel 1817 s’innamorò della cugina Geltrude per    successivo si trasferisce a Pisa, dove compone “A
la quale scrisse “Il primo amore”. Il 2 marzo scrive al suo      Silvia”, “Le Ricordanze”, etc. Nel 1830, ritorna a
amico Pietro Giordani: <<Io mi sono rovinato con sette anni      Firenze, dove conosce Fanny Targioni Tozzetti,
di studio matto e disperatissimo >>.                             della quale si innamora. Nel settembre inizia il
                                                                 sodalizio con Ranieri.Nel 1831, nell’aprile, esce
                                                                 l’edizione fiorentina de “I Canti”; scrive “Il
Nel 1819 comincia a scrivere i “Piccoli idilli” ma comincia a
                                                                 pensiero dominante”, la poesia che dà inizio al
soffrire di una grave malattia agli occhi; nel luglio progetta
                                                                 “Ciclo di Aspasia”.
di fuggire da Recanati ma il padre scopre i preparativi
segreti e il piano fallisce; a settembre scrive “L’Infinito” e
l’idillio “Alla Luna”.                                           Nel 1833, i due giungono a Napoli. Nel 1835
Tra il 1820/21 compone l’idillio “La sera del dì di festa” a
cui segue “Il Sogno” e “La Vita Solitaria”. L’anno successivo    esce una nuova edizione dei “Canti”, che sarà
si stabilisce a Roma, ma rimane deluso dalla città.              sequestrata dal governo borbonico. Nel 1836,
                                                                 per sfuggire al colera, va ad abitare con Ranieri
Nel 1824 inizia a scrivere “Le operette morali”, opere tra       e con la sorella Paolina nella villa Ferrigni presso
letteratura e filosofia; si stabilisce a Bologna, dove conosce   Torre del Greco. Compone “La Ginestra”.
il conte Carlo Pepoli a cui dedica il canto “Al Conte Carlo
                                                                 Si spegne il 14 giugno 1837 a Napoli.
Pepoli”, ma rientra dopo poco a Recanati.
Leopardi e il Desiderio di Morte.
     “La volontà di morte è l’effetto di un’illusione a cui l’immaginazione si affeziona, mentre nel fondo
     del cuore rimane la realtà della speranza e del desiderio di una vita: il discorso di morte, anche se
     esagerato, nasconde (anche al poeta ) qualcosa che egli indica intanto così, come inconscio
     desiderio e voglia di vivere” ( A Giordani)

Così Leopardi esordisce sulla Morte in una lettera al suo confidente più intimo, Pietro Giordani,
che più volte li rimprovera queste amare parole: ma perché arrivò a volere la morte, a
desiderarla? Dobbiamo fare un flashback e tornare al 1803-4, anni della fanciullezza del poeta.
Prima di ciò, dobbiamo sottolineare l’importanza del RICORDO, RIMEMBRANZA per Leopardi, da
cui però si ricava solo un vago piacere. La fanciullezza, che hanno caratterizzato il suo linguaggio
opaco e non chiaro e le sue sensazioni politiche, lo portano ad una negazione del realismo
poetico ed a non avere una congiunzione con il mondo esterno. Le radici della sua poetica non si
difendono dal dimenticare che lo porta ad un’inconsapevolezza dei suoi comportamenti (Il
passero solitario/Amore e Morte).
Leopardi definisce la fanciullezza come “un benedetto e beato tempo” ma anche come “il tempo
della delusione e della sofferenza”. Lui deve ricercare qui le origini della sua poetica, in
quest’immagine oscura dove veleggiano vecchi fantasmi che il poeta riporta involontariamente
nei suoi scritti.
Infanzia e Fanciullezza
      “Perché seco dovea sí dolce affetto/ recar tanto desio, tanto dolore?” (Il primo Amore)
Per Leopardi l’infanzia è un’immagine Antica, ed è comparata all’età primitiva perché:


        è più propizia alla           MA                  è rovinata dalla cognizione del vero,
        poesia ed alla felicità                           da affrontare con il coraggio Antico.


L’infanzia è paragonabile alla Fanciullezza, luogo di invasione profondissima. La felicità adesso è
Un’illusione delusa ed una speranza perduta; nell’adolescenza del Poeta ritroveremo questa
ambiguità e questo conflitto tra Infanzia e Fanciullezza.



La poetica leopardiana risentirà molto di questo periodo: attraverso la Poesia infatti ci sarà la
risoluzione al conflitto tra la primitiva felicità e l’innocenza perduta, ritrovate nel pianto, come
“isfogo dell’anima”. Leopardi risolverà anche l’opposizione tra lingua e sentimento.
L’epistolario leopardiano, il racconto
              del suo cuore
 Le lettere che Leopardi scrive ai suoi confidenti sono un collegamento tra la sua poesia e il suo
cuore. Le lettere a Pietro Giordani, il suo amico più intimo, sono definite “la sua prima poesia, la
prima rivelazione della sua vita intima”, ma è proprio nelle lettere scambiate tra i due nascono le
                   idee di morte, a causa dell’infelicità familiare e di sé stesso.

      Lui si delinea come SOGGETTO INQUIETO. Ma non malinconico e pessimista: attraverso
         l’incorretta interpretazione di queste lettere, si attribuiscono l’estrema malinconia e il
                 pessimismo “ultrafilosofico”. Due esperti leopardiani lo definiscono così:
   Francesco De Sanctis                                                Benedetto Croce
Attribuisce tutto alla crudeltà                        “Se un raggio di sole *..+ l’avesse fatto bello e
della fortuna, alla giovinezza                         degno di un amore di donna, egli sarebbe
sparita e alla mancanza di uno                         sorto subito in piedi [..] ed avrebbe
sguardo femminile.                                     guardato il mondo con occhi nuovi”


  Ma Leopardi, in una lettera a Luigi de Sinner nel 1832, smentisce la sua fama di malinconico e
                    pessimista attribuitali dalla rivista francese “Hesperur”:
  “*..+ nella rivista Hesperur i miei mali sono stati un po’ esagerati e non è stato che per la viltà
     degli uomini che le mie opinioni filosofiche sono considerate come il risultato delle mie
                                       particolari sofferenze*..+”
Il contenuto delle lettere
Il motivo che spinge il giovane Leopardi a scrivere lettere è la voglia di farsi conoscere e di avere
contatti con il mondo epistolare.

Lui parla della sua vita con Giordani, delle sue sofferenze e della sua malinconia: nelle sue
lettere si può delineare un autoritratto veritiero del Poeta. Si sente “stomacato e scoraggiato
dalla mediocrità che lo assedia e lo affoga” . Per la prima volta parlerà della morte “A me non
mi va di dar la vita per questi pochissimi, né di rinunziare a tutto per vivere e morire a pro loro
in una tana *..+ qui è tutto morto.”

Riconosce le sue virtù, i suoi pregi che però vengono soppiantati dal comportamento della sua
famiglia che lo tratta come un “vero e pretto ragazzo”.

Oltre a sentire in lui un eroismo negativo secondario, si cominciano a svegliare in lui nuovi
fuochi, il desiderio amoroso: a Giordani confida provare un desiderio erotico, sessuale “Ho
bisogno di amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita” che però provocherà solo sofferenza
perché non contraccambiato e perché osteggiato da Recanati e dalla sua famiglia (probabile
origine della sua infelicità).

La cosa curiosa in Leopardi è che, pur avendo dentro questo desiderio che lo brucia, si ostenta a
evitare il Gentil sesso a causa di Recanati, della sua malferma salute, della sua “bruttezza” e
della natura maligna che riversa colpe su tutti.
La malinconia Leopardiana
 Cos’è -> Pensiero solitario e micidiale, non razionale che tortura l’individuo nel tempo.
 Leopardi attribuisce il suo “essere malinconico” al suo fisico malato (ricordiamo che, secondo gli
 studiosi, aveva la scoliosi, derivata dalle lunghe sedute di studio, problemi neurologici alle gambe
 e alla vista, e probabilmente era affetto dal Morbo di Pott, ma è incerto).
 L’ostentazione dei suoi mali viene riportata nella sua poetica e nel suo epistolario, in cui, grazie ad
 esso, sembra reagire alla malinconia che infine lo pervaderà totalmente.
 Secondo il Poeta, per recuperare l’innocenza antica è ineluttabile sottoporsi al lavoro
 malinconico che rende la sua penna inquietante e pericolosa.
 La malinconia è quasi un lutto che continuerà anche fuori da Recanati “Malinconia derivata dalla
 necessaria solitudine”; ma c’è una netta differenza tra Malinconia e Lutto:

           Malinconia                                                                    Lutto

  È la perdita iniziale, la privazione della coscienza.         Invece nulla di ciò che riguarda la perdita è
Essa fa fuggire dall’amore e fa venir meno l’interesse          inconscio. Quando parlava di malinconia e
 verso il mondo esterno; si vuole fuggire, ma si è in           lutto, Leopardi scriveva “la malinconia,
                 balía della malinconia.                        <quasi> un lutto” perché non si riferiva alla
                                                                perdita di qualcuno, ma di qualcosa: l’amore.
Leopardi e la morte
  “Credimi: tutto questo mondo non è altro che un immenso male. Che ci possiam noi, piccoli e ( che peggio
  è) buoni? Non possiamo altro che patir insieme ed amarci; e questo si faccia sino all’ultima ora; che a me e
  a te (come infelicissimo ed amatissimo) auguro non lontana.” (Pietro Giordani a Leopardi)

  “Mentre io stava disgustatissimo della vita, e privo affatto di speranza, e così desideroso della morte *..+ mi
  giunge una lettera di quel mio amico, che m’avea sempre confortato nel sperare, e pregato a vivere [..] E
  pure, quella lettera non mi avea detto nulla ch’io non mi dicessi già tuttogiorno, e conveniva né più né
  meno con la mia opinione” (Zibaldone)

Con la Morte, Leopardi è immaginario ed esagerato, ma con questa figura così
eloquente, esprime l’opposto: il desiderio di vita.
Questa figura deriva da un desiderio colpevolizzato che lo attanaglia fin dalla
fanciullezza, ossia l’Istanza Primaria, che accentua i mali ed inibisce i piaceri ed esalta
il desiderio di morte.
Con ciò, il Poeta, essendo già figura lirica e sofferta ed eroe martire, diviene anche
FIGURA CENTRALE DELLA SUA POESIA, che riconosciamo attraverso il suo linguaggio
mortale ed indefinito, nella teoria “universale” dello Zibaldone e nella funebre
allegrezza delle “Operette morali”.
Le donne Leopardiane

Nelle “memorie del primo amore” (1817), Leopardi analizza il suo primo amore per la
     cugina in modo freddo e distaccato, perché il Desiderio d’amore è impedito dalle
           sue virtù che lo portano a scegliere lo “studio matto e disperatissimo”.
Inoltre è un amore difficile perché innanzitutto è una sua parente consanguinea, è più
     anziana di lui ed oltretutto è anche sposata. Difatti, l’elegia “Il primo amore” non
           parla di Amore, ma parla del distacco, della partenza dell’innamorata.
 Questo distacco, questa perdita, richiama subito l’idea di Morte che ci perviene da “I
         canti”; le donne de “I canti” sono parte di questo lutto e sono vagamente
    autobiografiche, come la donna de “La sera del dì di Festa”, o quella di “A Silvia” o
                                       “Alla sua Donna”.
 Esse partecipano all’infelicità del Poeta, che vuole morire con loro, ma è consapevole
                                    che sono solo FINZIONI.
Il conflitto tra Leopardi e sé stesso ha origine lontana, risale
   addirittura alla nascita dove si delineano la sua impotenza, la
           sua ostentata malinconia e l’istanza autocritica
(la coscienza morale) che gli ha fatto preferire lo studio sopra ogni
     altra cosa, e che adesso gli fa preferire l’immaginazione della
                                   morte.
 Le sue donne raffigurano l’amore perduto, nascosto al Cuore: l’età
  antica può essere recuperata solo attraverso un immagine poetica
                                   vaga.
Ora la poesia può restituire Catarticamente, attraverso la pietà, il
                  diletto perduto della fanciullezza.
Progetto realizzato da:
        Chiara Paolini
       Sulla base dell’opera
«Leopardi. L’immagine antica.» di
       Bonifazi Neuro.

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Giacomo Leopardi: un Poeta incompreso?

  • 1. Giacomo Leopardi Un Poeta “Incompreso”?
  • 2. La nostra idea di Leopardi Leopardi, anzi Giacomo, a noi ci appare come un vecchio poeta da studiare, la solita “muffa” letteraria. Un poeta un po’ depresso, abbastanza malaticcio e che non si è goduto per nulla la vita: è davvero così? Oppure attraverso i sue versi, le sue parole ci ha voluto raccontare i colori e le sfumature della sua esistenza?
  • 3. A se stesso. METRO: endecasillabi e settenari variamente Or POSERAI per sempre, alternati. Le prime due strofe, costituite da 5 versi Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo, ciascuna, hanno uno schema metrico delineato (7- 11-11-7-11) mentre l’ultima strofa contiene un Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento, verso in più (endecasillabo) che tende a colpire il In noi di cari inganni, lettore con la sua potenza, rappresentando il fulcro della poesia. Non che la speme, il desiderio è spento. POSA per sempre. Assai NUCLEI DELLA POESIA: ogni strofa è composta da 3 nuclei che si ripetono sempre nella poesia e, una Palpitasti. Non val cosa nessuna volta individuati, ci aiutano a comprendere meglio il I moti tuoi, né di sospiri è degna significato della poesia: •Invocazione al cuore del poeta. La terra. Amaro e noia •Causa dell’invocazione, il perché La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. •La costatazione della morte dell’amore, ultima T'ACQUETA omai. DISPERA illusione. L'ultima volta. Al gener nostro il fato LESSICO: Per “scovare” altri aspetti della poesia, è necessario analizzare il lessico usato: si può notare il Non donò che il morire. Omai DISPREZZA climax ascendente formato da “POSERAI-POSA- Te, la natura, il brutto T’ACQUETA” e da “DISPERA-DISPREZZA” e dal loro Poter che, ascoso, a comun danno impera, rapporto sinonimico. RITMO: è spezzato e franto, e salta subito agli E l'infinita vanità del tutto. occhi; è ben studiato, infatti si notano 8 pause, 12 periodi e ben 8 enjambement.
  • 4. Breve biografia. Giacomo Leopardi nacque a Recanati, il 29 giugno 1798 dal Nel giugno 1827 si stabilisce a Firenze, dove conte Monaldo Leopardi e da Adelaide Antici. Trascorse la frequenta il “Gabinetto Vieusseaux”; conosce sua adolescenza studiando sui numerosi libri della biblioteca Antonio Ranieri e Alessandro Manzoni. L’anno della famiglia. Nel 1817 s’innamorò della cugina Geltrude per successivo si trasferisce a Pisa, dove compone “A la quale scrisse “Il primo amore”. Il 2 marzo scrive al suo Silvia”, “Le Ricordanze”, etc. Nel 1830, ritorna a amico Pietro Giordani: <<Io mi sono rovinato con sette anni Firenze, dove conosce Fanny Targioni Tozzetti, di studio matto e disperatissimo >>. della quale si innamora. Nel settembre inizia il sodalizio con Ranieri.Nel 1831, nell’aprile, esce l’edizione fiorentina de “I Canti”; scrive “Il Nel 1819 comincia a scrivere i “Piccoli idilli” ma comincia a pensiero dominante”, la poesia che dà inizio al soffrire di una grave malattia agli occhi; nel luglio progetta “Ciclo di Aspasia”. di fuggire da Recanati ma il padre scopre i preparativi segreti e il piano fallisce; a settembre scrive “L’Infinito” e l’idillio “Alla Luna”. Nel 1833, i due giungono a Napoli. Nel 1835 Tra il 1820/21 compone l’idillio “La sera del dì di festa” a cui segue “Il Sogno” e “La Vita Solitaria”. L’anno successivo esce una nuova edizione dei “Canti”, che sarà si stabilisce a Roma, ma rimane deluso dalla città. sequestrata dal governo borbonico. Nel 1836, per sfuggire al colera, va ad abitare con Ranieri Nel 1824 inizia a scrivere “Le operette morali”, opere tra e con la sorella Paolina nella villa Ferrigni presso letteratura e filosofia; si stabilisce a Bologna, dove conosce Torre del Greco. Compone “La Ginestra”. il conte Carlo Pepoli a cui dedica il canto “Al Conte Carlo Si spegne il 14 giugno 1837 a Napoli. Pepoli”, ma rientra dopo poco a Recanati.
  • 5. Leopardi e il Desiderio di Morte. “La volontà di morte è l’effetto di un’illusione a cui l’immaginazione si affeziona, mentre nel fondo del cuore rimane la realtà della speranza e del desiderio di una vita: il discorso di morte, anche se esagerato, nasconde (anche al poeta ) qualcosa che egli indica intanto così, come inconscio desiderio e voglia di vivere” ( A Giordani) Così Leopardi esordisce sulla Morte in una lettera al suo confidente più intimo, Pietro Giordani, che più volte li rimprovera queste amare parole: ma perché arrivò a volere la morte, a desiderarla? Dobbiamo fare un flashback e tornare al 1803-4, anni della fanciullezza del poeta. Prima di ciò, dobbiamo sottolineare l’importanza del RICORDO, RIMEMBRANZA per Leopardi, da cui però si ricava solo un vago piacere. La fanciullezza, che hanno caratterizzato il suo linguaggio opaco e non chiaro e le sue sensazioni politiche, lo portano ad una negazione del realismo poetico ed a non avere una congiunzione con il mondo esterno. Le radici della sua poetica non si difendono dal dimenticare che lo porta ad un’inconsapevolezza dei suoi comportamenti (Il passero solitario/Amore e Morte). Leopardi definisce la fanciullezza come “un benedetto e beato tempo” ma anche come “il tempo della delusione e della sofferenza”. Lui deve ricercare qui le origini della sua poetica, in quest’immagine oscura dove veleggiano vecchi fantasmi che il poeta riporta involontariamente nei suoi scritti.
  • 6. Infanzia e Fanciullezza “Perché seco dovea sí dolce affetto/ recar tanto desio, tanto dolore?” (Il primo Amore) Per Leopardi l’infanzia è un’immagine Antica, ed è comparata all’età primitiva perché: è più propizia alla MA è rovinata dalla cognizione del vero, poesia ed alla felicità da affrontare con il coraggio Antico. L’infanzia è paragonabile alla Fanciullezza, luogo di invasione profondissima. La felicità adesso è Un’illusione delusa ed una speranza perduta; nell’adolescenza del Poeta ritroveremo questa ambiguità e questo conflitto tra Infanzia e Fanciullezza. La poetica leopardiana risentirà molto di questo periodo: attraverso la Poesia infatti ci sarà la risoluzione al conflitto tra la primitiva felicità e l’innocenza perduta, ritrovate nel pianto, come “isfogo dell’anima”. Leopardi risolverà anche l’opposizione tra lingua e sentimento.
  • 7. L’epistolario leopardiano, il racconto del suo cuore Le lettere che Leopardi scrive ai suoi confidenti sono un collegamento tra la sua poesia e il suo cuore. Le lettere a Pietro Giordani, il suo amico più intimo, sono definite “la sua prima poesia, la prima rivelazione della sua vita intima”, ma è proprio nelle lettere scambiate tra i due nascono le idee di morte, a causa dell’infelicità familiare e di sé stesso. Lui si delinea come SOGGETTO INQUIETO. Ma non malinconico e pessimista: attraverso l’incorretta interpretazione di queste lettere, si attribuiscono l’estrema malinconia e il pessimismo “ultrafilosofico”. Due esperti leopardiani lo definiscono così: Francesco De Sanctis Benedetto Croce Attribuisce tutto alla crudeltà “Se un raggio di sole *..+ l’avesse fatto bello e della fortuna, alla giovinezza degno di un amore di donna, egli sarebbe sparita e alla mancanza di uno sorto subito in piedi [..] ed avrebbe sguardo femminile. guardato il mondo con occhi nuovi” Ma Leopardi, in una lettera a Luigi de Sinner nel 1832, smentisce la sua fama di malinconico e pessimista attribuitali dalla rivista francese “Hesperur”: “*..+ nella rivista Hesperur i miei mali sono stati un po’ esagerati e non è stato che per la viltà degli uomini che le mie opinioni filosofiche sono considerate come il risultato delle mie particolari sofferenze*..+”
  • 8. Il contenuto delle lettere Il motivo che spinge il giovane Leopardi a scrivere lettere è la voglia di farsi conoscere e di avere contatti con il mondo epistolare. Lui parla della sua vita con Giordani, delle sue sofferenze e della sua malinconia: nelle sue lettere si può delineare un autoritratto veritiero del Poeta. Si sente “stomacato e scoraggiato dalla mediocrità che lo assedia e lo affoga” . Per la prima volta parlerà della morte “A me non mi va di dar la vita per questi pochissimi, né di rinunziare a tutto per vivere e morire a pro loro in una tana *..+ qui è tutto morto.” Riconosce le sue virtù, i suoi pregi che però vengono soppiantati dal comportamento della sua famiglia che lo tratta come un “vero e pretto ragazzo”. Oltre a sentire in lui un eroismo negativo secondario, si cominciano a svegliare in lui nuovi fuochi, il desiderio amoroso: a Giordani confida provare un desiderio erotico, sessuale “Ho bisogno di amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita” che però provocherà solo sofferenza perché non contraccambiato e perché osteggiato da Recanati e dalla sua famiglia (probabile origine della sua infelicità). La cosa curiosa in Leopardi è che, pur avendo dentro questo desiderio che lo brucia, si ostenta a evitare il Gentil sesso a causa di Recanati, della sua malferma salute, della sua “bruttezza” e della natura maligna che riversa colpe su tutti.
  • 9. La malinconia Leopardiana Cos’è -> Pensiero solitario e micidiale, non razionale che tortura l’individuo nel tempo. Leopardi attribuisce il suo “essere malinconico” al suo fisico malato (ricordiamo che, secondo gli studiosi, aveva la scoliosi, derivata dalle lunghe sedute di studio, problemi neurologici alle gambe e alla vista, e probabilmente era affetto dal Morbo di Pott, ma è incerto). L’ostentazione dei suoi mali viene riportata nella sua poetica e nel suo epistolario, in cui, grazie ad esso, sembra reagire alla malinconia che infine lo pervaderà totalmente. Secondo il Poeta, per recuperare l’innocenza antica è ineluttabile sottoporsi al lavoro malinconico che rende la sua penna inquietante e pericolosa. La malinconia è quasi un lutto che continuerà anche fuori da Recanati “Malinconia derivata dalla necessaria solitudine”; ma c’è una netta differenza tra Malinconia e Lutto: Malinconia Lutto È la perdita iniziale, la privazione della coscienza. Invece nulla di ciò che riguarda la perdita è Essa fa fuggire dall’amore e fa venir meno l’interesse inconscio. Quando parlava di malinconia e verso il mondo esterno; si vuole fuggire, ma si è in lutto, Leopardi scriveva “la malinconia, balía della malinconia. <quasi> un lutto” perché non si riferiva alla perdita di qualcuno, ma di qualcosa: l’amore.
  • 10. Leopardi e la morte “Credimi: tutto questo mondo non è altro che un immenso male. Che ci possiam noi, piccoli e ( che peggio è) buoni? Non possiamo altro che patir insieme ed amarci; e questo si faccia sino all’ultima ora; che a me e a te (come infelicissimo ed amatissimo) auguro non lontana.” (Pietro Giordani a Leopardi) “Mentre io stava disgustatissimo della vita, e privo affatto di speranza, e così desideroso della morte *..+ mi giunge una lettera di quel mio amico, che m’avea sempre confortato nel sperare, e pregato a vivere [..] E pure, quella lettera non mi avea detto nulla ch’io non mi dicessi già tuttogiorno, e conveniva né più né meno con la mia opinione” (Zibaldone) Con la Morte, Leopardi è immaginario ed esagerato, ma con questa figura così eloquente, esprime l’opposto: il desiderio di vita. Questa figura deriva da un desiderio colpevolizzato che lo attanaglia fin dalla fanciullezza, ossia l’Istanza Primaria, che accentua i mali ed inibisce i piaceri ed esalta il desiderio di morte. Con ciò, il Poeta, essendo già figura lirica e sofferta ed eroe martire, diviene anche FIGURA CENTRALE DELLA SUA POESIA, che riconosciamo attraverso il suo linguaggio mortale ed indefinito, nella teoria “universale” dello Zibaldone e nella funebre allegrezza delle “Operette morali”.
  • 11. Le donne Leopardiane Nelle “memorie del primo amore” (1817), Leopardi analizza il suo primo amore per la cugina in modo freddo e distaccato, perché il Desiderio d’amore è impedito dalle sue virtù che lo portano a scegliere lo “studio matto e disperatissimo”. Inoltre è un amore difficile perché innanzitutto è una sua parente consanguinea, è più anziana di lui ed oltretutto è anche sposata. Difatti, l’elegia “Il primo amore” non parla di Amore, ma parla del distacco, della partenza dell’innamorata. Questo distacco, questa perdita, richiama subito l’idea di Morte che ci perviene da “I canti”; le donne de “I canti” sono parte di questo lutto e sono vagamente autobiografiche, come la donna de “La sera del dì di Festa”, o quella di “A Silvia” o “Alla sua Donna”. Esse partecipano all’infelicità del Poeta, che vuole morire con loro, ma è consapevole che sono solo FINZIONI.
  • 12. Il conflitto tra Leopardi e sé stesso ha origine lontana, risale addirittura alla nascita dove si delineano la sua impotenza, la sua ostentata malinconia e l’istanza autocritica (la coscienza morale) che gli ha fatto preferire lo studio sopra ogni altra cosa, e che adesso gli fa preferire l’immaginazione della morte. Le sue donne raffigurano l’amore perduto, nascosto al Cuore: l’età antica può essere recuperata solo attraverso un immagine poetica vaga. Ora la poesia può restituire Catarticamente, attraverso la pietà, il diletto perduto della fanciullezza.
  • 13. Progetto realizzato da: Chiara Paolini Sulla base dell’opera «Leopardi. L’immagine antica.» di Bonifazi Neuro.