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Lettura dei "Nove saggi danteschi"
       di Jorge Luis Borges




      “Immaginiamo, in una biblioteca orientale, un’illustrazione di
      molti secoli fa. (…) Nel tumulto delle sue forme, qualcuna – un
      albero che somiglia a un cono capovolto, minareti color
      vermiglio oltre un muro di ferro – richiama la nostra
      attenzione, poi da questa passiamo ad altre. Declina il giorno,
      si attenua la luce, e man mano che penetriamo nell’incisione
      comprendiamo che non c’è cosa sulla terra che non sia anche
      lì. Ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà, la storia del passato e
      quella del futuro, le cose che ho avuto e quelle che avrò, tutto
      questo ci aspetta in qualche angolo di quel tranquillo
      labirinto… Ho immaginato un’opera magica, un’illustrazione
      che sia anche un microcosmo; il poema di Dante è questa
      illustrazione di vastità universale”.
Questo sguardo originalissimo eppure così azzeccato sulla Commedia di
Dante non è sguardo di critico è sguardo di poeta e scrittore, infatti chi
presenta in questo modo il poema dantesco è Jorge Luis Borges, visionario e
grandissimo scrittore argentino, ammiratore della Commedia di Dante. Il
brano testè riportato è nel preambolo di un suo agile, ma importante libro,
pubblicato presso Adelphi, che si intitola “Nove saggi danteschi”.



Nonostante il titolo,
più che di saggi
parlerei di
illuminazioni, anche
illuminazioni
perché tali “saggi”
sono brevissimi e più
che descrivere una tesi
critica, illuminano e
danno luce sempre
diversa ai già cangianti
versi danteschi.
Nell’affrontare il compito di presentare questo libro, mi sono resa conto di
essere come una collina che tenta di raggiungere l’altezza del Monte Rosa, il
quale a sua volta guarda con ammirazione la cima più alta dell’Everest.
Borges non si adonterà del paragone, perché, come vedremo, nutre quasi
una venerazione per l’opera dantesca, che più volte definisce il miglior libro
di letteratura mai scritto.
Nonostante ciò ho intrapreso anch’io un piccolo folle volo ed eccomi qui a
invitare alla lettura del libro di Borges.
Già l’incontro tra Dante e Borges è particolare: nessuna biblioteca,
nemmeno studi universitari; Borges inizia a leggere la Divina Commedia
nel lento e solitario tragitto in tranvai tra la sua casa e la biblioteca in cui
lavora. Si trovò in tasca, erano piccoli e maneggevoli, quei tre volumi, la
Commedia tradotta in inglese, con testo italiano a fronte.
Borges non si limita a leggere il testo inglese, ma prima legge in inglese una
terzina, poi la stessa in italiano e così fino alla fine del canto. Quindi dopo
aver letto il canto intero in inglese, lo rilegge in italiano, rendendosi conto
della insufficienza delle traduzioni, il che è abbastanza ovvio, ma anche
che, nel momento in cui Dante è abbandonato da Virgilio, proprio lì Borges
riesce a leggere direttamente il testo in italiano.
Dice infatti: “A dire il vero non conosco l’italiano, non conosco altro italiano
che quello che mi ha insegnato Dante e quello che mi ha insegnato Ariosto,
quando, più tardi, ho letto il Furioso”.
Da allora Borges afferma di avere letto più volte la Commedia, divertendosi
anche a confrontare i diversi commenti; dunque i versi di Dante sono in qualche
modo entrati in lui, sono diventati parte di lui, della sua storia e della sua opera
letteraria, tanto che questi nove saggi sono stati scritti per lo più negli anni ’40,
ma sono stati pubblicati e riuniti in un volume molti anni dopo, poco prima della
morte di Borges, quasi come un testamento.
Ho già detto che più che alle corpose critiche cui siamo un po’ tutti abituati,
questi saggi assomigliano a illuminazioni, brevi e intense… come ottiene Borges
tale risultato?

Innanzitutto commenta sempre o brani
molto brevi o addirittura si ferma su terzine
quando non su singoli versi. In questo,
direi, ricalca una caratteristica eccezionale
di Dante che Borges aveva già descritto nel
preambolo dove, dopo la metafora della
stampa orientale, afferma che però quello
che colpisce nella Commedia di primo
acchito non è tanto la grandiosità quanto la
“varia e felice invenzione di dettagli
precisi” e qui cita alcune memorabili
similitudini dantesche…
Innanzitutto commenta sempre o brani molto brevi o addirittura si ferma su
terzine quando non su singoli versi. In questo, direi, ricalca una caratteristica
eccezionale di Dante che Borges aveva già descritto nel preambolo dove, dopo la
metafora della stampa orientale, afferma che però quello che colpisce nella
Commedia di primo acchito non è tanto la grandiosità quanto la “varia e felice
invenzione di dettagli precisi” e qui cita alcune memorabili similitudini
dantesche…
Inoltre si avvicina anche alla straordinaria facoltà della poesia della Commedia
che descrive un personaggio, lo inquadra, lo regala intero al lettore solo con
pochi tratti: il personaggio travalica le scarne terzine in cui è contenuto e ci
appare a tutto tondo, là dove il romanzo contemporaneo ha bisogno spesso di
pagine e pagine.
Borges si serve anche di una sua peculiarità cioè il collegamento, spesso originale
e inaspettato, con altri testi letterari, con altre situazioni, che mostrano sia la sua
raffinatissima cultura, sia la profondità con cui ha compreso e fatto suo il sacro
poema…
D’altra parte proprio la Commedia è una summa della cultura medievale e Dante
ha usato di tutte le fonti in suo possesso, spesso migliorandole, comunque
sempre trasformandole e adattandole ai suoi fini letterari e non.
Infine mi sembra che Borges, poeta lui stesso non dimentichiamolo, dia ascolto
più che alla cultura, al suo sentimento, al suo pathos; nei punti ove si sente più
coinvolto, ove il pathos è più palpabile, ove l’emozione stride con il contenuto e
magari porta più lontano della lettera, lì c’è da indagare: e così ecco i riferimenti a
Virgilio, ai poeti antichi, a Paolo e Francesca, a Ugolino, a Ulisse, ma soprattutto a
Beatrice!
Nell’esaminare il testo dantesco, a mio avviso, Borges pone l’accento su un fatto
fondamentale: Dante credeva a quanto scriveva? Insomma per Dante l’aldilà era
proprio così?
Giustamente Borges rileva che la Commedia è tanto convincente e coinvolgente
che il lettore la sente come reale, come se l’esperienza dantesca fosse un fatto
veramente avvenuto.
Questo è sicuramente un merito dell’intensità della scrittura dantesca la quale,
però, non deve far dimenticare che Dante stesso e i commentatori più antichi
ponevano l’accento non sulla realtà, ma sulla visione, sull’aspetto metaforico,
allegorico del racconto.
Nella Lettera a Can Grande della Scala,
Dante stesso ha scritto che la Commedia
può essere interpretata come la vicenda
dell’uomo che, per i suoi meriti o demeriti,
si fa creditore dei castighi o delle
ricompense divine; il viaggio è allegoria
del viaggio di ciascun uomo nella sua vita.
Addirittura il figlio di Dante, Jacopo nel
suo commento disse che suo padre voleva
mostrare la vita dei peccatori attraverso
l’immagine dell’inferno, la vita dei
penitenti attraverso l’immagine del
purgatorio e la vita dei giusti attraverso
l’immagine del paradiso.
Altro elemento da sottolineare per comprendere meglio l’approccio di Borges
è la figura di Dante personaggio. Questa prodigiosa trovata di Dante, che fa
                      personaggio
di sé un personaggio le cui reazioni psichiche, convinzioni, emozioni e
sentimenti spesso contrastano con il Dante autore e soprattutto con l’Altro
grande protagonista dell’opera che è Dio, questa originale soluzione permette
a Dante di risolvere molte contraddizioni che probabilmente aveva proprio
dentro di sé e offre a Borges un fertile terreno d’indagine. Infatti lo scrittore
argentino va proprio a indagare, come ho già detto, dove i sentimenti
danteschi stridono con il giudizio divino (dantesco) presente nella
Commedia.
Invece di ripercorrere i nove saggi così come appaiono nel libro, poiché
questo breve testo è un invito alla lettura dell’opera, farò dei cenni agli
elementi più significativi e originali.
Innanzitutto, a mio avviso, i saggi si possono suddividere in tre gruppi:
         - quelli che analizzano un singolo verso;
2.      - quelli che analizzano brani più lunghi con un particolare pathos sia
per Dante che per il lettore;
3.       - quelli che collegano la Commedia ad opere di altre e diverse
culture.
Due sono i saggi che si occupano di un singolo verso.
Il primo è il verso 75 del XXXIII canto dell’Inferno: “Poscia più che ‘l dolor
potè ‘l digiuno”. Si tratta qui della vicenda di Ugolino, il verso in questione è
        digiuno
uno dei punti più controversi della Commedia. La critica contemporanea si è
esercitata nella contesa se tale verso faccia intendere da parte di Ugolino un
atto tremendo di cannibalismo o no. Per Borges questo è un falso problema,
lo afferma proprio nel titolo del saggio. Innanzi tutto è un problema
“recente”, i commentatori antichi non erano infatti sfiorati dal dubbio del
cannibalismo, per loro Ugolino era morto di fame più che di dolore!
In secondo luogo, e qui sta l'illuminazione di Borges, il problema non è tanto
storico (irrisolvibile, nessuno è sopravvissuto nella terribile torre per
raccontare come è andata), quanto estetico e letterario; la vera accezione del
problema è “Dante ha voluto che pensassimo che Ugolino si sia dato al
cannibalismo? (…) Dante ha voluto non che lo pensassimo, ma che lo
sospettassimo” questa è l’idea di Borges, infatti negare o affermare il terribile
fatto è meno tremendo che intravederlo.
Dante di Ugolino non sapeva molto di più di quanto traspare dalle sue
terzine. Nella storia reale Ugolino ha fatto una volta per tutte una scelta
precisa, scartando le altre. Nella poesia dantesca no, egli è fermato per
l’eterno alle soglie di ciascuna possibilità: è questo un tema molto caro a
Borges, la possibilità di molte scelte e molte vite…”Con due possibili agonie
lo ha sognato Dante e così lo sogneranno le generazioni future!”
Il secondo verso preso in considerazione non colpisce Borges per la sua
ambiguità, per il suo “doppio” essere, ma per un gioco di specchi, di scatole
cinesi che racchiude. Anche questo è un tema ricorrente nell’opera del grande
scrittore argentino. Siamo in un’atmosfera tutt’affatto diversa, nel I canto del
Purgatorio, verso 13: “Dolce color d’oriental zaffiro”, che Borges dice di avere
                                              zaffiro
sempre presente nella sua memoria.
Innanzi tutto bisogna pronunciarlo lentamente e, aggiungerei io, con una
certa indolente pensosità tutta orientale; infatti qui Dante suggerisce il colore
dell’oriente attraverso la metafora dello zaffiro che, però, era considerato una
pietra tipicamente orientale. Quindi nel suo nome c’è già l’oriente,
quell’oriente delle "Mille e una notte" che Dante, pur senza averne
conoscenza, ci fa intuire con la forza del verso. In questo modo si avvia un
gioco reciproco di specchi che può ben essere infinito e che Borges confronta
con altri due esempi.
Un verso di Byron “She walks in beauty/ like the night” (“Ella in beltà
incede/ come la notte): qui il lettore deve immaginare una donna alta e bruna
che incede come la notte, che a sua volta è una donna alta e bruna ecc.
Infine un verso di Browning in cui il poeta dice che la sua donna, ormai
morta, è metà uccello e metà angelo; ma un angelo è gia metà uccello e così si
propone una suddivisione che può essere interminabile…
Il secondo gruppo di saggi riguarda brani più estesi caratterizzati da un
particolare pathos che, provato da Dante personaggio, si estende anche al
lettore, in particolare a un lettore raffinato e finissimo quale Borges.
È appena iniziato il temerario viaggio di Dante, da poco, quindi, si è unito a
lui come guida il poeta latino Virgilio, con cui il poeta toscano intreccerà un
rapporto complesso. Se infatti Dante considera Virgilio sua guida e maestro
di poesia, questi è tuttavia inferiore al più giovane poeta in quanto non ha
conosciuto Cristo ed è quindi condannato al Limbo, cioè a un’esistenza senza
Dio. Proprio questo luogo suscita in Borges e nel lettore una particolare
emozione, perché?
Innanzi tutto, se l’Inferno dantesco non è un luogo di per sé atroce, ma è un
luogo dove avvengono fatti atroci, paradossalmente proprio nel tranquillo
Limbo il luogo l’ambiente acquista un che di terribile. Borges definisce il IV
canto dell’Inferno e il castello del Limbo un caso perfetto di “orrore tranquillo
e silenzioso”. L’orrore è infatti aggravato dal silenzio, in cui pesa la coscienza
di essere esclusi per l’eternità da Dio. A Borges questo castello fa venire in
mente un “penoso museo delle cere”, felicissima definizione!
Ma tutto questo non basta a rendere l’orrore della situazione; il punto sta
nella interiorità del personaggio Dante: il nostro orrore è anche il suo. Egli si
trova in elevatissima compagnia, con Virgilio, Omero, Orazio, Lucano e
Ovidio; per Borges questi poeti sono anche proiezioni o figurazioni di Dante
che si sapeva non inferiore a loro “in atto o in potenza”.
E dunque?
Ecco l’illuminazione inaspettata di Borges. Questi poeti sono “maestri
nell’esercizio della loro arte e tuttavia sono nell’inferno perché Beatrice li
dimentica”.

Che è come dire che Dante, perduta
Beatrice senza alcuna speranza di
riaverla (e non l’ha mai avuta!), si
sente nell’orrore dell’abbandono, nel
silenzio, nell’assenza dell’essere
amato che è come Dio.
In effetti il tema dell’amore dantesco
per Beatrice riaffiora in altri tre saggi
di Borges, il primo è naturalmente
quello di Paolo e Francesca.
A questa coppia d’amanti Borges dedicò un poesia, eccola:
Inferno, V, 129
(soli eravamo e senza alcun sospetto)
Lasciano cadere il libro, ormai già sanno
Che sono i personaggi del libro.
(Lo saranno di un altro, l’eccelso,
ma ciò ad essi non importa.)
Adesso sono Paolo e Francesca
Non due amici che dividono
Il sapore di una favola.
Si guardano con incredulo stupore.
Le mani non si toccano.
Hanno scoperto l’unico tesoro:
hanno incontrato l’altro.
Non tradiscono Malatesta
Perché il tradimento richiede un terzo
ed esistono solo loro due al mondo.
Sono Paolo e Francesca
ma anche la regina e il suo amante
e tutti gli amanti esistiti
dal tempo di Adamo e la sua Eva
nel parto del Paradiso.
Un libro, un sogno li avverte
che sono forme di un sogno già sognato
nelle terre di Bretagna.
Altro libro farà che gli uomini,
sogni essi pure, li sognino.
Sia nella poesia che nel saggio il centro della riflessione di Borges sta sia nel
fatto che Paolo e Francesca sono veramente uno, sono uniti per l’eternità; sia
nella loro sostanza non tanto di essere reali quanto di sogni, cioè di
personaggi poetici di un libro, anzi di almeno due libri: quello che stanno
leggendo e quello di cui saranno veri protagonisti, cioè la Commedia.
In effetti qualsiasi lettore percepisce, a mio parere, almeno due dissonanze
nel canto. In primo luogo non sembra, nonostante tutto, che la loro sia una
vera pena dal momento che comunque sono uniti per l’eternità: e chi è
innamorato sa che tutto ciò che si desidera è la compagnia dell’amato in
qualsiasi condizione. In secondo luogo colpisce la sofferenza di Dante, la
sua accorata partecipazione che addirittura gli procura un malessere fisico
“caddi come corpo morto cade” che però stride con la condanna eterna cui i
                            cade
due sono sottoposti.
Ora a queste disarmonie molti hanno tentato di dare le più diverse risposte.
Borges nella sua insiste soprattutto sulla sofferenza di Dante, sul vero
motivo della sua partecipazione emotiva che si trasmette anche al lettore.
La risposta a questo problema non è però in questo saggio, bensì in quello
sull’incontro tra Dante e Beatrice nel Paradiso Terrestre: Dante di fronte alla
donna amata che, come vedremo è troppo severa e sfuggente, non può non
ripensare con invidia ai due amanti che sono nell’inferno, ma sono uniti, mentre
lui sente l’inferno della separazione dalla donna amata proprio quando sta per
entrare con lei a visitare il Paradiso.
Riguardo alla compassione di Dante che stride con la sua condanna è soprattutto
interessante il confronto che Borges stabilisce con la figura di Raskol’nikov,
personaggio di Dostoevskij.

Chiunque legga il libro di Dostoevskij si rende
conto che il suo protagonista, pur colpevole di
assassinio, non ha agito liberamente in quanto, il
suo atto è il risultato di una serie di circostanze e
così per ogni azione umana, anche per quella di
Paolo e Francesca. Dante comprende questo fatto,
capisce che ogni punizione ha in sé una
ingiustizia, ma giudica i due amanti e li
condanna. Per Borges, Dante risolve questo
dilemma aldilà della logica; non capì, ma
piuttosto “sentì” che le azioni degli uomini sono
necessarie come pure l’eternità di beatitudine o
di perdizione!
Gli ultimi due saggi di Borges sono dedicati alla figura di Beatrice, a due
                                                                     Beatrice
momenti fondamentali nel rapporto tra Dante e la sua amata: cioè il primo e
l’ultimo incontro. È questa la parte che più mi ha colpito per la novità del punto
di vista. In primo luogo anche Beatrice, come gli altri personaggi danteschi, non
ha perso nella sua trasfigurazione allegorica, la sua realtà storica di donna amata
vanamente e poi addirittura perduta dal poeta.
Quando Dante giunge alle soglie del Paradiso Terrestre e si volge per chiedere il
consueto sostegno di Virgilio, non trova il caro amico, ritornato per sempre nel
Limbo, ma vede la donna amata, Beatrice. Qualche critico ha affermato che, in
realtà, questo incontro nel Paradiso Terrestre fosse il nucleo del poema; Borges
va oltre e immagina che, perduta Beatrice, Dante giocò con la finzione per
ritrovarla, per mitigare la tristezza, insomma Dante avrebbe “edificato la triplice
architettura del suo poema per introdurre questo incontro”.
In questo incontro però vari elementi sono stridenti ed è proprio da questi che
Borges parte per condurre la sua analisi.
In primo luogo, Dante viene subito umiliato da Beatrice.
In secondo luogo la processione che accompagna la donna amata e che Dante
voleva bella è francamente brutta e complicata.
Infine Beatrice si comporta con eccessiva severità.
Perché queste disarmonie che trasformano il sogno di Dante in un incubo,
proprio alle soglie del Paradiso?
L’illuminazione di Borges è che Dante, rifiutato per sempre da Beatrice, sogna sì
Beatrice, ma severissima, ma inaccessibile, collocata in una processione brutta e
strana. Dal penoso contrasto tra i sentimenti di Dante e quelli di Beatrice
nascono dunque gli stridori della visione. Proprio qui Borges, e probabilmente
Dante, non può fare a meno di pensare a due amanti ben più fortunati,
nonostante la condanna eterna, Paolo e Francesca.
Del XXXI canto del paradiso, Borges scrive che vi sono i versi più "patetici" mai
prodotti dalla letteratura.

Con angoscia Dante ancora una volta cambia
la sua guida, ancora una volta si volge e non
vede più l’amato viso di Beatrice, ma
l’amabile volto di un vegliardo, San
Bernardo, sua ultima guida. Con angoscia,
nonostante si trovi in paradiso, cerca
Beatrice e finalmente la scorge in alto in
mezzo agli altri beati, mentre per l’ultima
volta gli sorride, sempre più lontana.
Così orai; e quella, sì lontana
Come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornò all’etterna fontana.
                         fontana
Borges si chiede qual è il vero senso di questo sorriso. Di nuovo lo scrittore
argentino sostiene la sua idea che Dante abbia creato il suo poema per
introdurvi alcuni incontri con la donna amata.
Il sentimento che prova secondo Borges è ben espresso da una poesia di
Chesterton in cui si parla di “incubi di piacere”.


                                  Insomma Dante “aveva immaginato questa
                                  scena, ma la consapevolezza che l’incontro
                                  era immaginario, alterò la visione”.
                                  L’addio di Beatrice avviene dunque in
                                  circostanze atroci, tanto più infernali perché
                                  si trovano nell’Empireo.
L’ultimo saggio che analizza quasi un intero canto è centrato sulla figura di
Ulisse, la cui vicenda è stata interpretata nei modi più diversi, non solo molti
Ulisse
critici si sono cimentati intorno alla figura dell’Ulisse dantesco (un esempio può
essere lo studioso russo Lotman), ma anche molti poeti si sono ispirati all’eroe
greco, passando attraverso il mito omerico e la lettura di Dante (un esempio
italiano è Umberto Saba).
Proprio per questo mi incuriosiva vedere quale altro tassello si potesse
aggiungere a tale mosaico di studi.


Mi sembra che l’illuminazione di Borges
non deluda: va da sé che un capolavoro
come la Commedia non può non
stimolare sempre nuove letture e
riflessioni; lo stesso Borges, nel saggio
finale del suo libro, afferma che “Sono
tanti anni che la Commedia mi
accompagna, e so che se la leggerò domani
vi troverò cose che finora non ho visto. So
che questo libro durerà ben oltre la mia
veglia e le vostre veglie”.
Anche in questo caso Borges parte dal forte impatto emotivo che percorre tutta la
vicenda di Ulisse e si pone la consueta domanda: perché Ulisse è condannato?
Perché consigliere fraudolento o perché intraprese il folle viaggio? Lo scrittore
argentino più che rispondere alla giusta domanda insiste sul sentimento del
protagonista Dante.
È certo che Ulisse ha intrapreso un viaggio folle, impossibile, ma l’angoscia, la
partecipazione palese di Dante sono quasi troppo profonde e intime. Dante non
è l’anti-Ulisse, anche se è colui che, al contrario dell’eroe greco, fa un viaggio
“folle”, ma autorizzato da Dio. Per Borges, Dante è Ulisse: il folle volo del poeta
                                                      Ulisse
toscano è la scrittura del libro! Dante era teologo: chissà quante volte la stesura
della commedia gli sarà sembrata più pericolosa del viaggio di Ulisse!
Che Dante sentisse il peso della scrittura di un libro così ardito è testimoniato in
più parti della Commedia ad esempio nel discorso iniziale di Virgilio sulla
necessità di intraprendere il viaggio e nel dialogo con Cacciaguida sulla
pubblicazione del libro; questi episodi adombrano il conflitto mentale di Dante,
anzi per Borges, consciamente o no, anche il canto di Ulisse simboleggia tale
conflitto, per questo la vicenda ha una tale tremenda forza.
Dante sentì di essere lo specchio di Ulisse
              e anche lui avrebbe meritato un simile
              castigo. “Aveva scritto il poema, ma aveva
              anche infranto le misteriose leggi della
              notte, di Dio, della Divinità”.




Vengo ora al terzo gruppo di saggi in cui Borges mette a contatto la
Commedia con testi di culture diverse, in realtà in tutti i brani
troviamo queste corrispondenze, non ultimo l’Ulisse dantesco messo
in relazione con capitano Achab, protagonista di Moby Dick; però in
due saggi il tema prevalente è proprio questo confronto.
Nel primo, Borges analizza alcune visioni ultraterrene che precedono
quella di Dante e che presentano numerose e impressionanti analogie
col testo dantesco. Su questo argomento un bellissimo libro è “La
nascita del Purgatorio” di Jacques Le Goff. Attraverso la sua analisi
Borges semplicemente ci fa riflettere sul fatto che un grande libro
come la Commedia non è l’isolato e casuale capriccio di un individuo,
per quanto geniale sia.
Nel secondo, Borges parte dai canti XVIII e XIX del Paradiso ove appare
l’aquila simbolo dell’impero composta, però, da migliaia di re giusti. L’aquila
parla con una sola voce e dice “io”, invece che “noi”. L’idea astratta d’un
essere composto di altri esseri, oltre alla memorabile creazione dantesca, ne ha
prodotto un’altra forse addirittura superiore.
Si tratta di un’opera scritta, intorno al 1100/1200, da Farid al-Din Attar,
persiano, di religione Sufi che, abbandonata la ricchezza, dopo diversi
pellegrinaggi, si diede alla contemplazione di Dio e alla composizione
letteraria. In un poema immagina la ricerca da parte di numerosi uccelli del
famoso re degli uccelli chiamato Simurg, il cui nome significa 30 uccelli. La
loro ricerca è difficilissima e quando finalmente soltanto trenta, purificati
dalle fatiche, trovano il Simurg si accorgono che essi stessi sono il Simurg e
questo è ciascuno di loro e tutti loro.
Le differenze fra queste due creazioni sono interessanti:


                                     aquila
Gli individui non si perdono in essa
Simbolo momentaneo, coloro che tracciano il simbolo non smettono di essere
chi sono
Dietro l’aquila c’è il Dio individuale
                                     simurg


Gli uccelli che guardano il Simurg sono anche il Simurg
L’ubiquo Simurg è inestricabile
Dietro il Simurg c’è il panteismo
Vorrei concludere quest’avventura indicando due o tre piste didattiche per
docenti alle prese con un testo dantesco meraviglioso, ma non sempre capito
da studenti talvolta un po’ troppo soffocati da pareri critici e spiegazioni
pignole; se crediamo nella potenza della poesia e soprattutto della poesia
dantesca potremmo seguire i suggerimenti di Borges.


In primo luogo Borges si definisce un lettore edonistico: insomma legge per
puro godimento, in modo quasi ingenuo; ha letto prima il testo e poi
commenti e critiche.
Non so quanto ciò sia possibile, ma far accostare un giovane alla Commedia
come un semplice lettore sarebbe già un buon risultato.
In secondo luogo, per affascinare il lettore, bisogna insistere sulla forza
              luogo
narrativa della Commedia; il poema dantesco infatti racconta delle vicende
inserite nella più grande vicenda del viaggio; sospendere a metà certi canti
può davvero creare suspence e attesa, e dunque voglia di continuare la lettura!
In terzo luogo bisognerebbe far leggere ai giovani i versi danteschi a voce alta,
perché come dice Borges “Un buon verso non si lascia leggere a bassa voce o in
silenzio. (…) Il verso esige di essere declamato. Il verso non dimentica di essere
stato un’arte orale prima di essere un’arte scritta, non dimentica di essere stato
un canto”.
Concluderei il mio invito alla lettura di Borges che invita a leggere Dante con
le parole dello scrittore argentino:
”La Commedia è un libro che tutti dobbiamo leggere. Non farlo significa
provarci del dono più grande che la letteratura può offrirci, significa
condannarci a uno strano ascetismo”.

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Dante letto da Borges

  • 1. Lettura dei "Nove saggi danteschi" di Jorge Luis Borges “Immaginiamo, in una biblioteca orientale, un’illustrazione di molti secoli fa. (…) Nel tumulto delle sue forme, qualcuna – un albero che somiglia a un cono capovolto, minareti color vermiglio oltre un muro di ferro – richiama la nostra attenzione, poi da questa passiamo ad altre. Declina il giorno, si attenua la luce, e man mano che penetriamo nell’incisione comprendiamo che non c’è cosa sulla terra che non sia anche lì. Ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà, la storia del passato e quella del futuro, le cose che ho avuto e quelle che avrò, tutto questo ci aspetta in qualche angolo di quel tranquillo labirinto… Ho immaginato un’opera magica, un’illustrazione che sia anche un microcosmo; il poema di Dante è questa illustrazione di vastità universale”.
  • 2. Questo sguardo originalissimo eppure così azzeccato sulla Commedia di Dante non è sguardo di critico è sguardo di poeta e scrittore, infatti chi presenta in questo modo il poema dantesco è Jorge Luis Borges, visionario e grandissimo scrittore argentino, ammiratore della Commedia di Dante. Il brano testè riportato è nel preambolo di un suo agile, ma importante libro, pubblicato presso Adelphi, che si intitola “Nove saggi danteschi”. Nonostante il titolo, più che di saggi parlerei di illuminazioni, anche illuminazioni perché tali “saggi” sono brevissimi e più che descrivere una tesi critica, illuminano e danno luce sempre diversa ai già cangianti versi danteschi.
  • 3. Nell’affrontare il compito di presentare questo libro, mi sono resa conto di essere come una collina che tenta di raggiungere l’altezza del Monte Rosa, il quale a sua volta guarda con ammirazione la cima più alta dell’Everest. Borges non si adonterà del paragone, perché, come vedremo, nutre quasi una venerazione per l’opera dantesca, che più volte definisce il miglior libro di letteratura mai scritto. Nonostante ciò ho intrapreso anch’io un piccolo folle volo ed eccomi qui a invitare alla lettura del libro di Borges.
  • 4. Già l’incontro tra Dante e Borges è particolare: nessuna biblioteca, nemmeno studi universitari; Borges inizia a leggere la Divina Commedia nel lento e solitario tragitto in tranvai tra la sua casa e la biblioteca in cui lavora. Si trovò in tasca, erano piccoli e maneggevoli, quei tre volumi, la Commedia tradotta in inglese, con testo italiano a fronte. Borges non si limita a leggere il testo inglese, ma prima legge in inglese una terzina, poi la stessa in italiano e così fino alla fine del canto. Quindi dopo aver letto il canto intero in inglese, lo rilegge in italiano, rendendosi conto della insufficienza delle traduzioni, il che è abbastanza ovvio, ma anche che, nel momento in cui Dante è abbandonato da Virgilio, proprio lì Borges riesce a leggere direttamente il testo in italiano. Dice infatti: “A dire il vero non conosco l’italiano, non conosco altro italiano che quello che mi ha insegnato Dante e quello che mi ha insegnato Ariosto, quando, più tardi, ho letto il Furioso”.
  • 5. Da allora Borges afferma di avere letto più volte la Commedia, divertendosi anche a confrontare i diversi commenti; dunque i versi di Dante sono in qualche modo entrati in lui, sono diventati parte di lui, della sua storia e della sua opera letteraria, tanto che questi nove saggi sono stati scritti per lo più negli anni ’40, ma sono stati pubblicati e riuniti in un volume molti anni dopo, poco prima della morte di Borges, quasi come un testamento. Ho già detto che più che alle corpose critiche cui siamo un po’ tutti abituati, questi saggi assomigliano a illuminazioni, brevi e intense… come ottiene Borges tale risultato? Innanzitutto commenta sempre o brani molto brevi o addirittura si ferma su terzine quando non su singoli versi. In questo, direi, ricalca una caratteristica eccezionale di Dante che Borges aveva già descritto nel preambolo dove, dopo la metafora della stampa orientale, afferma che però quello che colpisce nella Commedia di primo acchito non è tanto la grandiosità quanto la “varia e felice invenzione di dettagli precisi” e qui cita alcune memorabili similitudini dantesche…
  • 6. Innanzitutto commenta sempre o brani molto brevi o addirittura si ferma su terzine quando non su singoli versi. In questo, direi, ricalca una caratteristica eccezionale di Dante che Borges aveva già descritto nel preambolo dove, dopo la metafora della stampa orientale, afferma che però quello che colpisce nella Commedia di primo acchito non è tanto la grandiosità quanto la “varia e felice invenzione di dettagli precisi” e qui cita alcune memorabili similitudini dantesche… Inoltre si avvicina anche alla straordinaria facoltà della poesia della Commedia che descrive un personaggio, lo inquadra, lo regala intero al lettore solo con pochi tratti: il personaggio travalica le scarne terzine in cui è contenuto e ci appare a tutto tondo, là dove il romanzo contemporaneo ha bisogno spesso di pagine e pagine. Borges si serve anche di una sua peculiarità cioè il collegamento, spesso originale e inaspettato, con altri testi letterari, con altre situazioni, che mostrano sia la sua raffinatissima cultura, sia la profondità con cui ha compreso e fatto suo il sacro poema… D’altra parte proprio la Commedia è una summa della cultura medievale e Dante ha usato di tutte le fonti in suo possesso, spesso migliorandole, comunque sempre trasformandole e adattandole ai suoi fini letterari e non.
  • 7. Infine mi sembra che Borges, poeta lui stesso non dimentichiamolo, dia ascolto più che alla cultura, al suo sentimento, al suo pathos; nei punti ove si sente più coinvolto, ove il pathos è più palpabile, ove l’emozione stride con il contenuto e magari porta più lontano della lettera, lì c’è da indagare: e così ecco i riferimenti a Virgilio, ai poeti antichi, a Paolo e Francesca, a Ugolino, a Ulisse, ma soprattutto a Beatrice! Nell’esaminare il testo dantesco, a mio avviso, Borges pone l’accento su un fatto fondamentale: Dante credeva a quanto scriveva? Insomma per Dante l’aldilà era proprio così? Giustamente Borges rileva che la Commedia è tanto convincente e coinvolgente che il lettore la sente come reale, come se l’esperienza dantesca fosse un fatto veramente avvenuto. Questo è sicuramente un merito dell’intensità della scrittura dantesca la quale, però, non deve far dimenticare che Dante stesso e i commentatori più antichi ponevano l’accento non sulla realtà, ma sulla visione, sull’aspetto metaforico, allegorico del racconto.
  • 8. Nella Lettera a Can Grande della Scala, Dante stesso ha scritto che la Commedia può essere interpretata come la vicenda dell’uomo che, per i suoi meriti o demeriti, si fa creditore dei castighi o delle ricompense divine; il viaggio è allegoria del viaggio di ciascun uomo nella sua vita. Addirittura il figlio di Dante, Jacopo nel suo commento disse che suo padre voleva mostrare la vita dei peccatori attraverso l’immagine dell’inferno, la vita dei penitenti attraverso l’immagine del purgatorio e la vita dei giusti attraverso l’immagine del paradiso.
  • 9. Altro elemento da sottolineare per comprendere meglio l’approccio di Borges è la figura di Dante personaggio. Questa prodigiosa trovata di Dante, che fa personaggio di sé un personaggio le cui reazioni psichiche, convinzioni, emozioni e sentimenti spesso contrastano con il Dante autore e soprattutto con l’Altro grande protagonista dell’opera che è Dio, questa originale soluzione permette a Dante di risolvere molte contraddizioni che probabilmente aveva proprio dentro di sé e offre a Borges un fertile terreno d’indagine. Infatti lo scrittore argentino va proprio a indagare, come ho già detto, dove i sentimenti danteschi stridono con il giudizio divino (dantesco) presente nella Commedia. Invece di ripercorrere i nove saggi così come appaiono nel libro, poiché questo breve testo è un invito alla lettura dell’opera, farò dei cenni agli elementi più significativi e originali. Innanzitutto, a mio avviso, i saggi si possono suddividere in tre gruppi: - quelli che analizzano un singolo verso; 2. - quelli che analizzano brani più lunghi con un particolare pathos sia per Dante che per il lettore; 3. - quelli che collegano la Commedia ad opere di altre e diverse culture.
  • 10. Due sono i saggi che si occupano di un singolo verso. Il primo è il verso 75 del XXXIII canto dell’Inferno: “Poscia più che ‘l dolor potè ‘l digiuno”. Si tratta qui della vicenda di Ugolino, il verso in questione è digiuno uno dei punti più controversi della Commedia. La critica contemporanea si è esercitata nella contesa se tale verso faccia intendere da parte di Ugolino un atto tremendo di cannibalismo o no. Per Borges questo è un falso problema, lo afferma proprio nel titolo del saggio. Innanzi tutto è un problema “recente”, i commentatori antichi non erano infatti sfiorati dal dubbio del cannibalismo, per loro Ugolino era morto di fame più che di dolore!
  • 11. In secondo luogo, e qui sta l'illuminazione di Borges, il problema non è tanto storico (irrisolvibile, nessuno è sopravvissuto nella terribile torre per raccontare come è andata), quanto estetico e letterario; la vera accezione del problema è “Dante ha voluto che pensassimo che Ugolino si sia dato al cannibalismo? (…) Dante ha voluto non che lo pensassimo, ma che lo sospettassimo” questa è l’idea di Borges, infatti negare o affermare il terribile fatto è meno tremendo che intravederlo. Dante di Ugolino non sapeva molto di più di quanto traspare dalle sue terzine. Nella storia reale Ugolino ha fatto una volta per tutte una scelta precisa, scartando le altre. Nella poesia dantesca no, egli è fermato per l’eterno alle soglie di ciascuna possibilità: è questo un tema molto caro a Borges, la possibilità di molte scelte e molte vite…”Con due possibili agonie lo ha sognato Dante e così lo sogneranno le generazioni future!” Il secondo verso preso in considerazione non colpisce Borges per la sua ambiguità, per il suo “doppio” essere, ma per un gioco di specchi, di scatole cinesi che racchiude. Anche questo è un tema ricorrente nell’opera del grande scrittore argentino. Siamo in un’atmosfera tutt’affatto diversa, nel I canto del Purgatorio, verso 13: “Dolce color d’oriental zaffiro”, che Borges dice di avere zaffiro sempre presente nella sua memoria.
  • 12. Innanzi tutto bisogna pronunciarlo lentamente e, aggiungerei io, con una certa indolente pensosità tutta orientale; infatti qui Dante suggerisce il colore dell’oriente attraverso la metafora dello zaffiro che, però, era considerato una pietra tipicamente orientale. Quindi nel suo nome c’è già l’oriente, quell’oriente delle "Mille e una notte" che Dante, pur senza averne conoscenza, ci fa intuire con la forza del verso. In questo modo si avvia un gioco reciproco di specchi che può ben essere infinito e che Borges confronta con altri due esempi. Un verso di Byron “She walks in beauty/ like the night” (“Ella in beltà incede/ come la notte): qui il lettore deve immaginare una donna alta e bruna che incede come la notte, che a sua volta è una donna alta e bruna ecc. Infine un verso di Browning in cui il poeta dice che la sua donna, ormai morta, è metà uccello e metà angelo; ma un angelo è gia metà uccello e così si propone una suddivisione che può essere interminabile…
  • 13. Il secondo gruppo di saggi riguarda brani più estesi caratterizzati da un particolare pathos che, provato da Dante personaggio, si estende anche al lettore, in particolare a un lettore raffinato e finissimo quale Borges. È appena iniziato il temerario viaggio di Dante, da poco, quindi, si è unito a lui come guida il poeta latino Virgilio, con cui il poeta toscano intreccerà un rapporto complesso. Se infatti Dante considera Virgilio sua guida e maestro di poesia, questi è tuttavia inferiore al più giovane poeta in quanto non ha conosciuto Cristo ed è quindi condannato al Limbo, cioè a un’esistenza senza Dio. Proprio questo luogo suscita in Borges e nel lettore una particolare emozione, perché? Innanzi tutto, se l’Inferno dantesco non è un luogo di per sé atroce, ma è un luogo dove avvengono fatti atroci, paradossalmente proprio nel tranquillo Limbo il luogo l’ambiente acquista un che di terribile. Borges definisce il IV canto dell’Inferno e il castello del Limbo un caso perfetto di “orrore tranquillo e silenzioso”. L’orrore è infatti aggravato dal silenzio, in cui pesa la coscienza di essere esclusi per l’eternità da Dio. A Borges questo castello fa venire in mente un “penoso museo delle cere”, felicissima definizione!
  • 14. Ma tutto questo non basta a rendere l’orrore della situazione; il punto sta nella interiorità del personaggio Dante: il nostro orrore è anche il suo. Egli si trova in elevatissima compagnia, con Virgilio, Omero, Orazio, Lucano e Ovidio; per Borges questi poeti sono anche proiezioni o figurazioni di Dante che si sapeva non inferiore a loro “in atto o in potenza”. E dunque? Ecco l’illuminazione inaspettata di Borges. Questi poeti sono “maestri nell’esercizio della loro arte e tuttavia sono nell’inferno perché Beatrice li dimentica”. Che è come dire che Dante, perduta Beatrice senza alcuna speranza di riaverla (e non l’ha mai avuta!), si sente nell’orrore dell’abbandono, nel silenzio, nell’assenza dell’essere amato che è come Dio. In effetti il tema dell’amore dantesco per Beatrice riaffiora in altri tre saggi di Borges, il primo è naturalmente quello di Paolo e Francesca.
  • 15. A questa coppia d’amanti Borges dedicò un poesia, eccola: Inferno, V, 129 (soli eravamo e senza alcun sospetto) Lasciano cadere il libro, ormai già sanno Che sono i personaggi del libro. (Lo saranno di un altro, l’eccelso, ma ciò ad essi non importa.) Adesso sono Paolo e Francesca Non due amici che dividono Il sapore di una favola. Si guardano con incredulo stupore. Le mani non si toccano. Hanno scoperto l’unico tesoro: hanno incontrato l’altro.
  • 16. Non tradiscono Malatesta Perché il tradimento richiede un terzo ed esistono solo loro due al mondo. Sono Paolo e Francesca ma anche la regina e il suo amante e tutti gli amanti esistiti dal tempo di Adamo e la sua Eva nel parto del Paradiso. Un libro, un sogno li avverte che sono forme di un sogno già sognato nelle terre di Bretagna. Altro libro farà che gli uomini, sogni essi pure, li sognino.
  • 17. Sia nella poesia che nel saggio il centro della riflessione di Borges sta sia nel fatto che Paolo e Francesca sono veramente uno, sono uniti per l’eternità; sia nella loro sostanza non tanto di essere reali quanto di sogni, cioè di personaggi poetici di un libro, anzi di almeno due libri: quello che stanno leggendo e quello di cui saranno veri protagonisti, cioè la Commedia. In effetti qualsiasi lettore percepisce, a mio parere, almeno due dissonanze nel canto. In primo luogo non sembra, nonostante tutto, che la loro sia una vera pena dal momento che comunque sono uniti per l’eternità: e chi è innamorato sa che tutto ciò che si desidera è la compagnia dell’amato in qualsiasi condizione. In secondo luogo colpisce la sofferenza di Dante, la sua accorata partecipazione che addirittura gli procura un malessere fisico “caddi come corpo morto cade” che però stride con la condanna eterna cui i cade due sono sottoposti. Ora a queste disarmonie molti hanno tentato di dare le più diverse risposte. Borges nella sua insiste soprattutto sulla sofferenza di Dante, sul vero motivo della sua partecipazione emotiva che si trasmette anche al lettore.
  • 18. La risposta a questo problema non è però in questo saggio, bensì in quello sull’incontro tra Dante e Beatrice nel Paradiso Terrestre: Dante di fronte alla donna amata che, come vedremo è troppo severa e sfuggente, non può non ripensare con invidia ai due amanti che sono nell’inferno, ma sono uniti, mentre lui sente l’inferno della separazione dalla donna amata proprio quando sta per entrare con lei a visitare il Paradiso. Riguardo alla compassione di Dante che stride con la sua condanna è soprattutto interessante il confronto che Borges stabilisce con la figura di Raskol’nikov, personaggio di Dostoevskij. Chiunque legga il libro di Dostoevskij si rende conto che il suo protagonista, pur colpevole di assassinio, non ha agito liberamente in quanto, il suo atto è il risultato di una serie di circostanze e così per ogni azione umana, anche per quella di Paolo e Francesca. Dante comprende questo fatto, capisce che ogni punizione ha in sé una ingiustizia, ma giudica i due amanti e li condanna. Per Borges, Dante risolve questo dilemma aldilà della logica; non capì, ma piuttosto “sentì” che le azioni degli uomini sono necessarie come pure l’eternità di beatitudine o di perdizione!
  • 19. Gli ultimi due saggi di Borges sono dedicati alla figura di Beatrice, a due Beatrice momenti fondamentali nel rapporto tra Dante e la sua amata: cioè il primo e l’ultimo incontro. È questa la parte che più mi ha colpito per la novità del punto di vista. In primo luogo anche Beatrice, come gli altri personaggi danteschi, non ha perso nella sua trasfigurazione allegorica, la sua realtà storica di donna amata vanamente e poi addirittura perduta dal poeta. Quando Dante giunge alle soglie del Paradiso Terrestre e si volge per chiedere il consueto sostegno di Virgilio, non trova il caro amico, ritornato per sempre nel Limbo, ma vede la donna amata, Beatrice. Qualche critico ha affermato che, in realtà, questo incontro nel Paradiso Terrestre fosse il nucleo del poema; Borges va oltre e immagina che, perduta Beatrice, Dante giocò con la finzione per ritrovarla, per mitigare la tristezza, insomma Dante avrebbe “edificato la triplice architettura del suo poema per introdurre questo incontro”. In questo incontro però vari elementi sono stridenti ed è proprio da questi che Borges parte per condurre la sua analisi. In primo luogo, Dante viene subito umiliato da Beatrice. In secondo luogo la processione che accompagna la donna amata e che Dante voleva bella è francamente brutta e complicata. Infine Beatrice si comporta con eccessiva severità.
  • 20. Perché queste disarmonie che trasformano il sogno di Dante in un incubo, proprio alle soglie del Paradiso? L’illuminazione di Borges è che Dante, rifiutato per sempre da Beatrice, sogna sì Beatrice, ma severissima, ma inaccessibile, collocata in una processione brutta e strana. Dal penoso contrasto tra i sentimenti di Dante e quelli di Beatrice nascono dunque gli stridori della visione. Proprio qui Borges, e probabilmente Dante, non può fare a meno di pensare a due amanti ben più fortunati, nonostante la condanna eterna, Paolo e Francesca. Del XXXI canto del paradiso, Borges scrive che vi sono i versi più "patetici" mai prodotti dalla letteratura. Con angoscia Dante ancora una volta cambia la sua guida, ancora una volta si volge e non vede più l’amato viso di Beatrice, ma l’amabile volto di un vegliardo, San Bernardo, sua ultima guida. Con angoscia, nonostante si trovi in paradiso, cerca Beatrice e finalmente la scorge in alto in mezzo agli altri beati, mentre per l’ultima volta gli sorride, sempre più lontana.
  • 21. Così orai; e quella, sì lontana Come parea, sorrise e riguardommi; poi si tornò all’etterna fontana. fontana Borges si chiede qual è il vero senso di questo sorriso. Di nuovo lo scrittore argentino sostiene la sua idea che Dante abbia creato il suo poema per introdurvi alcuni incontri con la donna amata. Il sentimento che prova secondo Borges è ben espresso da una poesia di Chesterton in cui si parla di “incubi di piacere”. Insomma Dante “aveva immaginato questa scena, ma la consapevolezza che l’incontro era immaginario, alterò la visione”. L’addio di Beatrice avviene dunque in circostanze atroci, tanto più infernali perché si trovano nell’Empireo.
  • 22. L’ultimo saggio che analizza quasi un intero canto è centrato sulla figura di Ulisse, la cui vicenda è stata interpretata nei modi più diversi, non solo molti Ulisse critici si sono cimentati intorno alla figura dell’Ulisse dantesco (un esempio può essere lo studioso russo Lotman), ma anche molti poeti si sono ispirati all’eroe greco, passando attraverso il mito omerico e la lettura di Dante (un esempio italiano è Umberto Saba). Proprio per questo mi incuriosiva vedere quale altro tassello si potesse aggiungere a tale mosaico di studi. Mi sembra che l’illuminazione di Borges non deluda: va da sé che un capolavoro come la Commedia non può non stimolare sempre nuove letture e riflessioni; lo stesso Borges, nel saggio finale del suo libro, afferma che “Sono tanti anni che la Commedia mi accompagna, e so che se la leggerò domani vi troverò cose che finora non ho visto. So che questo libro durerà ben oltre la mia veglia e le vostre veglie”.
  • 23. Anche in questo caso Borges parte dal forte impatto emotivo che percorre tutta la vicenda di Ulisse e si pone la consueta domanda: perché Ulisse è condannato? Perché consigliere fraudolento o perché intraprese il folle viaggio? Lo scrittore argentino più che rispondere alla giusta domanda insiste sul sentimento del protagonista Dante. È certo che Ulisse ha intrapreso un viaggio folle, impossibile, ma l’angoscia, la partecipazione palese di Dante sono quasi troppo profonde e intime. Dante non è l’anti-Ulisse, anche se è colui che, al contrario dell’eroe greco, fa un viaggio “folle”, ma autorizzato da Dio. Per Borges, Dante è Ulisse: il folle volo del poeta Ulisse toscano è la scrittura del libro! Dante era teologo: chissà quante volte la stesura della commedia gli sarà sembrata più pericolosa del viaggio di Ulisse! Che Dante sentisse il peso della scrittura di un libro così ardito è testimoniato in più parti della Commedia ad esempio nel discorso iniziale di Virgilio sulla necessità di intraprendere il viaggio e nel dialogo con Cacciaguida sulla pubblicazione del libro; questi episodi adombrano il conflitto mentale di Dante, anzi per Borges, consciamente o no, anche il canto di Ulisse simboleggia tale conflitto, per questo la vicenda ha una tale tremenda forza.
  • 24. Dante sentì di essere lo specchio di Ulisse e anche lui avrebbe meritato un simile castigo. “Aveva scritto il poema, ma aveva anche infranto le misteriose leggi della notte, di Dio, della Divinità”. Vengo ora al terzo gruppo di saggi in cui Borges mette a contatto la Commedia con testi di culture diverse, in realtà in tutti i brani troviamo queste corrispondenze, non ultimo l’Ulisse dantesco messo in relazione con capitano Achab, protagonista di Moby Dick; però in due saggi il tema prevalente è proprio questo confronto. Nel primo, Borges analizza alcune visioni ultraterrene che precedono quella di Dante e che presentano numerose e impressionanti analogie col testo dantesco. Su questo argomento un bellissimo libro è “La nascita del Purgatorio” di Jacques Le Goff. Attraverso la sua analisi Borges semplicemente ci fa riflettere sul fatto che un grande libro come la Commedia non è l’isolato e casuale capriccio di un individuo, per quanto geniale sia.
  • 25. Nel secondo, Borges parte dai canti XVIII e XIX del Paradiso ove appare l’aquila simbolo dell’impero composta, però, da migliaia di re giusti. L’aquila parla con una sola voce e dice “io”, invece che “noi”. L’idea astratta d’un essere composto di altri esseri, oltre alla memorabile creazione dantesca, ne ha prodotto un’altra forse addirittura superiore. Si tratta di un’opera scritta, intorno al 1100/1200, da Farid al-Din Attar, persiano, di religione Sufi che, abbandonata la ricchezza, dopo diversi pellegrinaggi, si diede alla contemplazione di Dio e alla composizione letteraria. In un poema immagina la ricerca da parte di numerosi uccelli del famoso re degli uccelli chiamato Simurg, il cui nome significa 30 uccelli. La loro ricerca è difficilissima e quando finalmente soltanto trenta, purificati dalle fatiche, trovano il Simurg si accorgono che essi stessi sono il Simurg e questo è ciascuno di loro e tutti loro.
  • 26. Le differenze fra queste due creazioni sono interessanti: aquila Gli individui non si perdono in essa Simbolo momentaneo, coloro che tracciano il simbolo non smettono di essere chi sono Dietro l’aquila c’è il Dio individuale simurg Gli uccelli che guardano il Simurg sono anche il Simurg L’ubiquo Simurg è inestricabile Dietro il Simurg c’è il panteismo
  • 27. Vorrei concludere quest’avventura indicando due o tre piste didattiche per docenti alle prese con un testo dantesco meraviglioso, ma non sempre capito da studenti talvolta un po’ troppo soffocati da pareri critici e spiegazioni pignole; se crediamo nella potenza della poesia e soprattutto della poesia dantesca potremmo seguire i suggerimenti di Borges. In primo luogo Borges si definisce un lettore edonistico: insomma legge per puro godimento, in modo quasi ingenuo; ha letto prima il testo e poi commenti e critiche. Non so quanto ciò sia possibile, ma far accostare un giovane alla Commedia come un semplice lettore sarebbe già un buon risultato. In secondo luogo, per affascinare il lettore, bisogna insistere sulla forza luogo narrativa della Commedia; il poema dantesco infatti racconta delle vicende inserite nella più grande vicenda del viaggio; sospendere a metà certi canti può davvero creare suspence e attesa, e dunque voglia di continuare la lettura!
  • 28. In terzo luogo bisognerebbe far leggere ai giovani i versi danteschi a voce alta, perché come dice Borges “Un buon verso non si lascia leggere a bassa voce o in silenzio. (…) Il verso esige di essere declamato. Il verso non dimentica di essere stato un’arte orale prima di essere un’arte scritta, non dimentica di essere stato un canto”. Concluderei il mio invito alla lettura di Borges che invita a leggere Dante con le parole dello scrittore argentino: ”La Commedia è un libro che tutti dobbiamo leggere. Non farlo significa provarci del dono più grande che la letteratura può offrirci, significa condannarci a uno strano ascetismo”.