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REDATTORE SOCIALE : 11/3/2011 VIOLENZA




Emilia-Romagna: 2.930 donne accolte dai Centri
antiviolenza
Le italiane sono 1.689, le straniere sono 1.239. Sono invece 196 le donne e 129 i
minori ospitati nelle Case rifugio. Oriani (Coordinamento centri ER): “Importante
aiutarle a raggiungere l'autonomia economica"

BOLOGNA – Sono in lieve aumento i dati relativi all’accoglienza di donne vittime di violenza nei 10 Centri
antiviolenza della regione Emilia-Romagna. Nel 2010 sono state, infatti, 2.930 le donne accolte e
sostenute nei percorsi di uscita dalla violenza e dal maltrattamento (nel 2009 erano state 2.897). Di
queste 1.689 sono italiane e 1.239 straniere. “C’è un centro quasi in ogni provincia e in alcuni casi ve ne
sono tre – spiega Antonella Oriani, presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-
Romagna – Più il territorio è presidiato, più le donne si sentono sicure”. I centri gestiti da associazioni
sono presenti a Bologna, Ferrara, Ravenna, Faenza (Ra), Lugo (Ra), Rimini, Modena, Piacenza, Reggio
Emilia e Parma (sono 113 in tutta Italia di cui 89 gestiti da associazioni di donne e 6 da servizi comunali).
Per quanto riguarda l’ospitalità nelle case rifugio sono state 196 le donne e 129 i minori ospitati nelle
strutture gestite dai centri (dati invariati rispetto al 2009). “Il problema per la violenza rimane comunque
l’emersione – chiarisce Oriani – ci vuole molto coraggio a chiedere aiuto e chi si rivolge ai centri ha già
fatto il 50% del percorso”.

Accoglienza e ospitalità. I Centri antiviolenza offrono alle donne vittime di violenza o maltrattate un punto
di ascolto a cui rivolgersi telefonicamente o direttamente e dove trovano operatrici e volontarie che le
supportano. L’ospitalità invece avviene all’interno di residenze protette nei casi in cui la donna ha bisogno
di allontanarsi dal maltrattante (si tratta di strutture a indirizzo segreto) e in cui lavorano operatrici e
volontarie specializzate anche nel supporto ai minori vittime di violenza assistita. In entrambi i casi le
donne iniziano un percorso di empowerment per ritrovare fiducia in se stesse. “In media le donne
rimangono nelle case rifugio per un periodo di 6 mesi – afferma Oriani – ma difficilmente le case
rimangono vuote, anzi i posti sono sicuramente inferiori alle richieste”. Durante questo periodo iniziano
un percorso che le aiuta a capire che sono portatrici di diritti che il maltrattante ha calpestato e a
ritrovare le proprie capacità. “L’obiettivo è aiutarle a essere economicamente indipendenti”.

Raggiungere l’autonomia economica. È questo uno dei passi fondamentali perché la donna riesca
effettivamente a uscire dalla violenza e dai maltrattamenti. È per questo che all’interno dei Centri
dell’Emilia-Romagna esiste uno sportello lavoro che offre un servizio di accompagnamento al lavoro per le
donne. “Non troviamo loro un lavoro, non siamo alternativi ai centri per l’impiego, – chiarisce Oriani – ma
le sosteniamo nella ricerca, aiutandole a capire quali sono le loro capacità e abilità”. L’ospitalità nelle case
rifugio è, dunque, un periodo di transizione in cui le donne vengono supportate nell’uscita dalla violenza e
nella riprogettazione della propria vita. “Poi le seguiamo per ciò di cui avranno bisogno – continua Oriani
– soprattutto supporto legale per le separazioni, l’affidamento dei figli o l’accesso ai servizi sociali”. Per
aiutare le donne che hanno subito violenze e maltrattamenti la Casa delle donne ha anche creato una
banca dati online (Comecitrovi) che raccoglie i centri antiviolenza che operano a livello nazionale, con una
mappa interattiva.

Secondo i dati raccolti dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna sono state 127 le donne
uccise in Italia nel 2010 (+6,7% rispetto all’anno precedente) e l’assassino è, nella maggior parte dei
casi, il partner, il marito o l’ex. Ciò significa che ogni due giorni in Italia viene assassinata una donna dal
partner o dall’ex. “Le donne non sanno da chi difendersi – conclude Oriani – Va sottolineato tra l’altro che
il femicidio in genere non è il risultato di un raptus ma l’epilogo di un percorso di violenza”. (lp)

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  • 1. REDATTORE SOCIALE : 11/3/2011 VIOLENZA Emilia-Romagna: 2.930 donne accolte dai Centri antiviolenza Le italiane sono 1.689, le straniere sono 1.239. Sono invece 196 le donne e 129 i minori ospitati nelle Case rifugio. Oriani (Coordinamento centri ER): “Importante aiutarle a raggiungere l'autonomia economica" BOLOGNA – Sono in lieve aumento i dati relativi all’accoglienza di donne vittime di violenza nei 10 Centri antiviolenza della regione Emilia-Romagna. Nel 2010 sono state, infatti, 2.930 le donne accolte e sostenute nei percorsi di uscita dalla violenza e dal maltrattamento (nel 2009 erano state 2.897). Di queste 1.689 sono italiane e 1.239 straniere. “C’è un centro quasi in ogni provincia e in alcuni casi ve ne sono tre – spiega Antonella Oriani, presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia- Romagna – Più il territorio è presidiato, più le donne si sentono sicure”. I centri gestiti da associazioni sono presenti a Bologna, Ferrara, Ravenna, Faenza (Ra), Lugo (Ra), Rimini, Modena, Piacenza, Reggio Emilia e Parma (sono 113 in tutta Italia di cui 89 gestiti da associazioni di donne e 6 da servizi comunali). Per quanto riguarda l’ospitalità nelle case rifugio sono state 196 le donne e 129 i minori ospitati nelle strutture gestite dai centri (dati invariati rispetto al 2009). “Il problema per la violenza rimane comunque l’emersione – chiarisce Oriani – ci vuole molto coraggio a chiedere aiuto e chi si rivolge ai centri ha già fatto il 50% del percorso”. Accoglienza e ospitalità. I Centri antiviolenza offrono alle donne vittime di violenza o maltrattate un punto di ascolto a cui rivolgersi telefonicamente o direttamente e dove trovano operatrici e volontarie che le supportano. L’ospitalità invece avviene all’interno di residenze protette nei casi in cui la donna ha bisogno di allontanarsi dal maltrattante (si tratta di strutture a indirizzo segreto) e in cui lavorano operatrici e volontarie specializzate anche nel supporto ai minori vittime di violenza assistita. In entrambi i casi le donne iniziano un percorso di empowerment per ritrovare fiducia in se stesse. “In media le donne rimangono nelle case rifugio per un periodo di 6 mesi – afferma Oriani – ma difficilmente le case rimangono vuote, anzi i posti sono sicuramente inferiori alle richieste”. Durante questo periodo iniziano un percorso che le aiuta a capire che sono portatrici di diritti che il maltrattante ha calpestato e a ritrovare le proprie capacità. “L’obiettivo è aiutarle a essere economicamente indipendenti”. Raggiungere l’autonomia economica. È questo uno dei passi fondamentali perché la donna riesca effettivamente a uscire dalla violenza e dai maltrattamenti. È per questo che all’interno dei Centri dell’Emilia-Romagna esiste uno sportello lavoro che offre un servizio di accompagnamento al lavoro per le donne. “Non troviamo loro un lavoro, non siamo alternativi ai centri per l’impiego, – chiarisce Oriani – ma le sosteniamo nella ricerca, aiutandole a capire quali sono le loro capacità e abilità”. L’ospitalità nelle case rifugio è, dunque, un periodo di transizione in cui le donne vengono supportate nell’uscita dalla violenza e nella riprogettazione della propria vita. “Poi le seguiamo per ciò di cui avranno bisogno – continua Oriani – soprattutto supporto legale per le separazioni, l’affidamento dei figli o l’accesso ai servizi sociali”. Per aiutare le donne che hanno subito violenze e maltrattamenti la Casa delle donne ha anche creato una banca dati online (Comecitrovi) che raccoglie i centri antiviolenza che operano a livello nazionale, con una mappa interattiva. Secondo i dati raccolti dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna sono state 127 le donne uccise in Italia nel 2010 (+6,7% rispetto all’anno precedente) e l’assassino è, nella maggior parte dei casi, il partner, il marito o l’ex. Ciò significa che ogni due giorni in Italia viene assassinata una donna dal partner o dall’ex. “Le donne non sanno da chi difendersi – conclude Oriani – Va sottolineato tra l’altro che il femicidio in genere non è il risultato di un raptus ma l’epilogo di un percorso di violenza”. (lp) © Copyright Redattore Sociale