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La retorica
                             antica

                                   Testo
                                   Testo




                        Classe IV A Liceo Scientifico
                            Majorana, Pozzuoli
lunedì 31 dicembre 12
indice
              la retorica in grecia

              I generi della retorica

              l’oratoria a roma

              le 5 parti della retorica

              le parti dell’orazione

              lisia

              isocrate

              demostene

              cicerone

              I grandi oratori della storia


lunedì 31 dicembre 12
Per retorica (dal greco rhetorikè
                        téchne, “arte del dire”), si intendono
                        l’arte e la tecnica del parlare e dello
                        scrivere con efficacia persuasiva,
                        secondo sistemi di regole espressive
                        varie a seconda delle epoche e delle
                        culture.
                        Essa assunse particolare rilevanza in
                        età antica, in Grecia e a Roma, dove
                        venne codificata e trasmessa ai posteri
                        come sistema di regole e di pratiche.




                    indice



lunedì 31 dicembre 12
La retorica in Grecia
                        L’uso della parola come forma di persuasione in campo politico e giudiziario, è
                        stato sempre applicato nel mondo greco, ma solo nel V secolo a.C. l’arte oratoria
                        assunse le sue caratteristiche definitive e finì per specializzarsi nei vari settori.
                        La retorica nacque a Siracusa, nel contesto delle lotte politiche del V secolo a.C.,
                        dopo la fine della tirannide di Trasibulo. La diffusione di quest’arte si dovette
                        alle particolari condizioni economiche, sociali e culturali in cui la Grecia si
                        trovava e alle condizioni e al tipo di vita che la città-stato consentiva: all’interno
                        della polis. Infatti il sistema politico e giudiziario quasi obbligavano il cittadino
                        ad un continuo confronto con la collettività.
                        Il primo a dare lezioni di eloquenza pare fosse il filosofo Empedocle di Agrigento,
                        subito imitato dai suoi allievi siracusani Tisia e Corace. Costoro sono considerati i
                        primi esponenti della retorica siciliana e scrissero numerosi manuali.
                        Nel corso del secolo, tuttavia, la retorica giunse, dalla Magna Grecia, all’Attica e
                        ad Atene, grazie al lavoro dei sofisti, tra i quali si distinsero, in particolare,
                        Gorgia di Leontini e Protagora di Abdera. Questi insegnarono a pagamento la
                        tecnica del corretto uso della parola e la tecnica dell’antilogia, che                è
                        l’esposizione di due tesi contrapposte, i cosiddetti “dissoi lògoi”; essi aprirono
                        numerose scuole e cominciarono ad utilizzare le tecniche retoriche non solo nei
                        tribunali e nelle assemblee pubbliche, ma anche in conferenze pubbliche e
                        discorsi celebrativi, facendone una vera e propria arte, imparentata in qualche
                        modo con la poesia.
                        I due più grandi filosofi dell’antichità, Platone e Aristotele, assegnarono una
                        funzione rilevante all’attività retorica.
                        Platone criticò il relativismo dei sofisti, sulla scorta di Socrate, e ne auspicò un
                        utilizzo dialettico in grado di guidare alla conoscenza del bene; in particolare,
                        nel dialogo “Gorgia”, auspicò una funzione educativa della retorica, che orienti
                        l’anima verso la giustizia e la verità. Aristotele, infine, diede un decisivo
                        contributo alla diffusione delle tecniche retoriche con il suo trattato appunto
                        sulla “Retorica”, in cui distinse le diverse parti del discorso retorico, indicando
                        le figure retoriche che abbelliscono e rendono efficace l’elocuzione.

                                   Aristotele                       Platone
     indice
                                                                                       Gorgia
lunedì 31 dicembre 12
I generi della Retorica

                        Oratoria Politica
                        L'oratoria politica riguardava quei discorsi pronunciati per prendere decisioni
                        politiche, nelle varie riunioni assembleari. I Greci individuarono un oratore di
                        riferimento per questo genere, quale Demostene: oratore vissuto nel IV secolo
                        a.C. Sostenitore della politica antimacedone, di cui si ricordano le “Filippiche”,
                        orazioni indirizzate contro il Re di Macedonia Filippo.

                        Oratoria Giudiziaria
                        Iudiciale, è con questo termine che a Roma venivano chiamati i discorsi giudiziari
                        pronunciati nei tribunali, per difesa o accusa di un imputato. In Grecia non veniva
                        pronunciato da un avvocato, ma dalla persona stessa impegnata nella causa,
                        aiutato da un retore professionista (logografo). L’oratore più abile di questo
                        genere fu Lisia, particolarmente apprezzato per la capacità di immedesimarsi nella
                        persona per cui scriveva il discorso.

                        Oratoria Epidittica
                        L’oratoria epidittica o celebrativa può trattare una vasta varietà di temi. Il
                        discorso è frutto di una lenta e meditata elaborazione. Spesso i discorsi
                        rimanevano in forma scritta, mai pronunciati e fatti circolare sotto forma di
                        opuscoli o pamphlet per una fruizione individuale. Può includere discorsi pubblici
                        in occasione di cerimonie o festività, sia per commemorare cittadini defunti, sia per
                        encomiare cittadini benemeriti, oppure per propagandare un’idea di interesse
                        generale. Campione di questo genere di retorica fu Isocrate, sofista vissuto tra il
       indice           V-IV secolo a.C. del quale ricordiamo il famoso discorso intitolato “Pace”,
                        pronunciato in occasione dei giochi olimpici nella stessa Olimpia nel 355 a.C.




lunedì 31 dicembre 12
L’oratoria a Roma (1ª parte)
         L’attività oratoria riveste un ruolo rilevante fin dalle
         origini della civiltà romana, sia in campo politico, che in
         quello epidittico, con le cosiddette laudationes funebres,
         discorsi commemorativi pronunciati durante i funerali dei
         grandi personaggi.
         Iniziatore della prosa oratoria latina è considerato  Appio
         Claudio Cieco il quale con un famoso discorso nel 280 a.C.
         convinse i Romani a non accettare le condizioni di pace
         offerte da Pirro. 
         La retorica romana nell'età della grande espansione
         territoriale è caratterizzata soprattutto dalla preminenza
         della figura di  Marco Porcio Catone, i cui discorsi sono
         caratterizzati da uno stile semplice e conciso e da frasi
         taglienti, debitrici dell'influsso greco, tanto attaccato
         dalla sua politica conservatrice.
         Tuttavia la retorica si diffonde come arte soprattutto
         quando, a seguito della  battaglia di Pidna  del  168 a.C., I
         Romani entrarono in più stretto contatto con la cultura
         ellenica, restandone fortemente influenzati. Alla fine del
         II secolo a.C. infatti le orazioni mostrano una sostanziale
         assimilazione delle teorie greche.
         Un alto livello viene raggiunto da  Marco Antonio  e Lucio
         Licinio Crasso, che individuano l'importanza dell'arte
         retorica nella vasta e raffinata cultura e nello stile
         utilizzato, cioè l'elocutio, la capacità di scegliere i termini
         per adattarli elegantemente nel testo. 




lunedì 31 dicembre 12
L’oratoria a Roma (2ª parte)
                        Tra il  150  e il 100 a.C.    circa si opposero tra loro le due scuole oratorie nate in
                        Grecia in età ellenistica, quella asiana e quella atticista.
                        L'ampollosità caratteristica dello stile asiano fu incarnata dall'oratore  Quinto
                        Ortensio Ortalo, rivale di Cicerone.
                        Tra gli oratori atticisti, uno dei più importanti fu certamente Cesare, anche se i suoi
                        discorsi sono andati perduti.
                        Accanto alla scuola attica e alla scuola asiana, vi era anche una terza scuola
                        retorica, detta rodiese, dall’isola di  Rodi  dove viveva il suo fondatore, Apollonio
                        Molone, che sosteneva una via mediana rispetto alle altre due scuole.
                        Esponente principale di questa scuola a Roma fu sicuramente
                        Cicerone, il più grande oratore latino.
                        Con il passaggio dalla Repubblica all’Impero, la retorica perse la sua
                        funzione politica e progressivamente diminuì di importanza, pur
                        rimanendo materia di studio. Molte informazioni sulla pratica e
                        l'insegnamento della retorica in questo periodo si devono all'opera
                        di Seneca il Vecchio.
                        Con la concessione della cittadinanza romana da parte di Cesare ai
                        maestri delle arti liberali, le scuole di retorica crebbero di numero:
                        qui i futuri retori dovevano esercitarsi nelle declamationes con tesi
                        e antitesi.
                        Queste esercitazioni a loro volta si differenziavano in  suasoriae,
                        nelle quali si immaginava di dover persuadere un personaggio storico
                        o mitico, e controversiae, che si collocavano sul terreno giudiziario
                        e prevedevano l'applicazione di un determinato principio legale.
                        Proprio nei primi anni dell'Impero (I secolo  d.C.) visse e operò Marco Fabio
                        Quintiliano, che teorizzò nella sua  “Insitutio Oratoria”  il percorso formativo che
                        doveva seguire un giovane per poter diventare un buon oratore ed essere quindi –
                        secondo la formula di Catone il Censore –  vir bonus dicendi peritus. Inoltre il
                        trattato sviluppa anche una serie di considerazioni sulla tecnica e la composizione: la
                        classificazione dei generi del discorso, le cinque fasi della composizione
    indice              (inventio,  dispositio,  elocutio,  memoria,  actio), le caratteristiche morali e culturali
                        che deve avere un buon oratore, il rapporto che il retore deve intrattenere con i
                        politici.
                        Oltre a Quintiliano altri retori ebbero una certa rilevanza in età imperiale, come
                        Publio Rutilio Lupo, Asinio Gallio, Larcio Licinio e Domizio Afro.


lunedì 31 dicembre 12
Le cinque parti della retorica
                   Un’orazione retorica viene codificata in 5 parti.
                   Le prime tre consistono nella realizzazione e organizzazione del
                   discorso e sono:
                   - Inventio: trovare gli argomenti del discorso, sostenendo una
                     tesi;
                   - Dispositio: organizzare e dare un ordine agli argomenti;
                   - Elocutio: scegliere lessico e stile del discorso.
                   Le ultime due attengono alla fase di esposizione e sono:
                   - Memoria: imparare a memoria il discorso attraverso particolari
                     tecniche;
                   - Actio: recitazione del discorso mediante cambiamenti di tonalità
                     della voce e ricorrendo ad una gestualità enfatica.




                    indice



lunedì 31 dicembre 12
L’inventio
         L’inventio caratterizza la via scelta dall’oratore per trovare gli argomenti per il suo discorso,
         sia che egli intenda convincere (fidem facere), sia che invece voglia scuotere gli animi dei suoi
         ascoltatori (animos impellere).
         Se il retore sceglie la prima strada, deve trovare le “prove” con cui spingere il pubblico a
         sostenere la propria tesi. Tali prove possono essere extra-tecniche (sono le testimonianze, le
         confessioni, le sentenze precedentemente emesse dal tribunale, e così via) oppure, ben più
         importanti, possono derivare dalla capacità argomentativa dell’oratore.
         n questo secondo caso vengono suddivise in exempla (ricavate per via induttiva) ed in argumenta
         (per via deduttiva): gli  argumenta  si fondano principalmente sulla forma logica del sillogismo,
         concepito non per condurre il pubblico al vero, quanto piuttosto al verisimile.




lunedì 31 dicembre 12
La Dispositio




         La dispositio é l’arte di collocare al posto più opportuno ciascuno dei termini che andranno
         a costituire il discorso, seguendo schemi studiati appositamente per evidenziare e
         nascondere a seconda della volontà dell’oratore stesso. Secondo Aristotele
         la  dispositio  si può suddividere in quattro parti: la prima e l’ultima – rispettivamente
         esordio ed epilogo – devono far leva sui sentimenti del pubblico, mentre le due parti
         intermedie, dette  narratio  (il momento espositivo) e  confirmatio  (dove l’oratore mostra
         veritiere le proprie prove), devono far leva sulla razionalità.
         L’esordio del discorso viene lasciato arbitrario e può essere a sua volta suddiviso nei
         momenti distinti della  captatio benevolentiae, in cui l’oratore cerca di accattivarsi le
         simpatie degli ascoltatori, e partitio, ovvero esposizione succinta dei temi che si andranno a
         trattare in seguito.

lunedì 31 dicembre 12
L’Elocutio




      indice


              Nell’elocutio i temi trovati e gli schemi scelti devono essere “trasformati in parole” per
              dar vita all’orazione vera e propria. Aristotele non dà peso eccessivo a questo momento, che
              invece, ripreso ed ampliato da Gorgia, divenne poi il cuore della retorica stessa.
              Di nuovo possiamo suddividere l’elocutio  in electio, cioè la scelta delle parole,
              e  compositio, cioè riunire le parole scelte in modo da comporre il periodare. Il momento
              dell’electio  sottintende che ogni vocabolo possa essere sostituito da un altro più
              opportuno. Gli strumenti a disposizione dell’oratore per realizzare questo scarto
              sono tropi, cioè “svolte” di espressioni da un contenuto ad un altro, per creare un effetto
              di straniamento (come accade per perifrasi, sineddoche, iperbole, metonimia e metafora),
              oppure  figure, ripartite in figure di pensiero (antitesi, ossimoro, chiasmo, similitudine,
              allegoria o apostrofe) e figure di parola (climax, anafora, endiadi, asindoto, anastrofe,
              iperbato).
              Il momento della  compositio, infine, consiste nell’inserire correttamente le parole scelte
              nella cornice della frase: l’oratore può optare per una costruzione geometrica, preferita
              da Cicerone, in cui il periodare viene ripartito in uno schema composto da commi (battute) e
              colon (membri), oppure per quella dinamica, preferita da Tacito.
lunedì 31 dicembre 12
Le parti dell’Orazione (1)

    exordium                    narratio                 argumentatio                    peroratio



      1. EXORDIUM

      L'exordium è la parte che apre l'orazione, in cui viene esposto l'oggetto di cui ci si intende
      occupare. Il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico (captatio benevolentiae) e
      annunciare le ripartizioni che si stanno per adottare nello svolgimento dell'orazione (partitio). 
      Inoltre, è importante rendere subito nota la struttura dell'orazione e l'ordine degli argomenti,
      così da rendere il pubblico partecipe dei termini del discorso ed evitare che sembri troppo lungo.

      2. NARRATIO

      La narratio è il resoconto succinto, chiaro e verisimile dei fatti che vengono affrontati, così che
      sia funzionale all'argomentazione. Due sono i generi di disposizione dei contenuti: l'ordo
      naturalis, che segue lo svolgimento  logico e  cronologico  degli eventi, e l'ordo artificialis,
      orientato più alla resa estetica tramite l'uso di figure retoriche, digressioni e altri procedimenti
      stilistici. Quest'ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del  tempo  per
      assecondare le esigenze della situazione e dell'argomento.
      Nell'esposizione dei fatti è inoltre necessario perseguire quello che è il «giusto mezzo», non
      essere troppo prolissi ma nemmeno tanto brevi da tralasciare qualcosa di importante. Bisogna poi
      ricordare che è essenziale la verosimiglianza dei fatti, i quali devono essere attendibili e devono
      essere disposti in maniera tale da assolvere alle tre funzioni della retorica:  docere,  movere  e
      delectare.




lunedì 31 dicembre 12
Le parti dell’Orazione (2)

        exordium                   narratio                 Argumentatio                    peroratio


      3. ARGUMENTATIO

      l’argumentatio è il cuore del discorso persuasivo, il resoconto delle prove a sostegno della
      tesi, che può prevedere anche un affondo contro le tesi avversarie.
      La sua struttura interna si compone di due parti: propositio e confirmatio, a cui può seguire una
      terza, l'altercatio.
      La propositio è una definizione ristretta della causa (o delle cause) da dibattere, subito seguita
      dalla  confirmatio, l'elenco delle ragioni a favore, dapprima quelle più forti, in seguito le più
      deboli e infine le più forti in assoluto. Talvolta la confirmatio  può essere interrotta
      dall'intervento di un avversario, come ad esempio un avvocato di parte opposta: in questo caso si
      parla di altercatio, un dialogo serrato tra il retore e il suo avversario.


      4. PERORATIO

      la peroratio è la parte conclusiva dell'orazione, e si muove su due livelli: riprende e riassume
      le cose dette (enumeratio  e  rerum repetitio), tocca le corde dei sentimenti (ratio posita in
      affectibus). Da un lato, il retore deve concludere dando un'idea d'insieme di quanto è stato
      detto e sostenuto, richiamando alla memoria i punti fondamentali; dall'altro, ha luogo la
      perorazione vera e propria, che fa leva sui sentimenti dell'uditorio ricorrendo a
      dei loci prestabiliti.


                                                                                               indice

lunedì 31 dicembre 12
I MODELLI: LISIA (1)
      la vita
      Lisia nasce ad Atene nel 445 a.C. Dopo la morte di suo padre nel
      430 a.C, si trasferì in Magna Grecia nella colonia di Thurii,
      accompagnato dal fratello Polemarco. Poi però, dopo il
      disastro Ateniese avvenuto in Sicilia durante la guerra del
      Peloponneso, nel 413 a.C, Lisia ritornò nella sua città
      d'origine e si dedicò alla retorica.
      Quando al potere c'erano i 30 Tiranni, Lisia dovette rifugiarsi a
      Megara perchè accusato di cospirazione. Insieme a lui fu
      incolpato anche il fratello, il quale fu poi ucciso, per questo
      motivo. Il vero motivo per cui i due fratelli erano stati
      accusati, era però un altro. Infatti i Trenta Tiranni, fecero ciò
      solo perchè volevano confiscare i loro beni.
      Quando salì al potere Trasibulo, nel 403 a.C., Lisia potè
      tornare ad Atene. Qui cercò di riprendersi i beni che gli erano
      stati tolti e anche di ottenere la cittadinanza, ma questo non
      fu possibile, anche se Trasibulo aveva chiesto all'assemblea di
      concedergliela poichè l'oratore aveva finanziato un esercito di
      300 mercenari per combattere i Trenta. Per tale motivo a circa
      sessanta anni, Lisia si dedicò all'attività di logografo, che era
      colui che a pagamento, scriveva orazioni giudiziare per conto di
      altri. Difatti in quel periodo ad Atene le persone non potevano
      essere difese in tribunale da qualcun altro, ma dovevano
      difendersi o dovevano accusare un imputato da sole.
      Anche per la fama guadagnatosi con questa attività ottenne
      infine la cittadinanza ateniese grazie all’appoggio di trasibulo,
      ma questa concessione fu poi annullata per vizio di forma e gli
      fu riconosciuta soltanto un’esenzione sulle tasse da pagare.
      Morì verso il 380.




lunedì 31 dicembre 12
I MODELLI: LISIA (2)
      A Lisia furono attribuite 425 orazioni, ma di queste solo 323 furono ritenute effettivamente sue
      già nell’antichità. Nel corso del tempo ci è giunto un corpus di circa 30 orazioni e, oltre a queste,
      alcuni frammenti.
      Le sue orazioni appartenevano tutte al genere giudiziario, lette cioè in tribunale per accusare o
      difendere un imputato.
      Solo due tra quelle del suo corpus erano di genere epidittico, ovvero l'Olimpico e l'Epitafio.
      Per Lisia la cosa più importante era quella di mettere in primo piano le ragioni del suo committente
      e di far coincidere lo stile dell’argomentazione con il carattere e la personalità del suo cliente.
      Questo richiama il principio greco dell’etopea, dal grego ethopoiìa, che significa rappresentazione
      del carattere.
      Le varie orazioni trattano temi diversi, in base alle varie cause che vengono presentate a Lisia.
      Queste possono essere: peculato, tradimento, corruzione, inadempienza agli obblighi militari,
      sacrilegio, diffamazione, ecc..
      Tra le molteplici ricordiamo: Per l'invalido (scritta per un cliente di modesta estrazione sociale
      che rivendicava una pensione), Per l'uccisione di Eratostene (scritta sulla legittimità
      dell’omicidio in un caso di flagrante adulterio), Contro i mercanti di grano (testimonianza molto
      importante per la ricostruzione della storia economica), Per l'olivo sacro,  Per il soldato e
      Contro Diogitone.
      All’interno del Corpus Lisiano ci sono soltanto due orazioni di tipo politico e sono: Contro
      Eratostene (da non confondere con quello di cui si parla nell’orazione sulla sua uccisione), che è
      una requisitoria drammatica contro il regime dei Trenta Tiranni ed è l’unica pronunciata dallo
      stesso autore; Contro Agorato, che era un emissario degli oligarchi, il quale aveva provocato la
      morte di alcuni esponenti del partito democratico.
      Le orazioni di Lisia seguivano sempre la stessa struttura: prefazione, esposizione del fatto,
      presentazione delle testimonianze e epilogo.
      La lingua da lui usata è un dialetto attico molto semplice e puro. Il logografo dimostrò ai suoi
      tempi, e con il passare degli anni, di avere una grande padronanza di stile ed è stato un punto di
      riferimento essenziale per tutta la prosa successiva, in particolare per l’ellenismo e l’atticismo.



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lunedì 31 dicembre 12
i modelli: isocrate (1)
         la vita
         Nato nel 436 in una famiglia agiata, Isocrate ricevette una ferrea educazione, seguendo le
         lezioni dei sofisti  Gorgia  e  Prodico; ancor giovane fu però costretto a svolgere per un
         decennio la professione di logografo a causa dei dissesti finanziari della famiglia durante
         la guerra del Peloponneso. Testimonianza di questa attività sono sei discorsi giudiziari
         datati tra il 400 a.C. e il 390 a.C. .
         Isocrate si sentì in primo luogo "Pedagogo", impegnato nella  formazione  culturale del
         cittadino di livello elevato, e pretese di essere considerato  filosofo; quindi rinnegò
         l'appellativo di  retore  (nonostante l'attività di logografo). I suoi testi coprono l'arco di
         quasi un secolo: dallo splendore di Pericle all'ascesa di Filippo II di Macedonia.
         Nel 390 a.C. aprì una  scuola  la cui importanza fu analoga all'Accademia  di  Platone. Con
         quest'ultimo, nonostante la diversità di  punti  di vista, Isocrate condivideva alcune
         concezioni:
         - coltivavano una profonda ammirazione per  Socrate, ma fastidio per i  Sofisti, che
            ritenevano si vendessero per denaro;
         - erano convinti che l'educazione base fosse quella dell'etica sociale;
         - mostravano sfiducia nella  democrazia  ateniese contemporanea, sulla base degli esiti da
            essa conseguiti alla fine del V secolo a.C.;
         - provavano spiccato interesse per la forma scritta e per lo stile;
         - programmavano di insegnare filosofia e proporre idee.
         La fama di Isocrate e della sua  scuola  fu grande in tutta l'Ellade. Egli si proponeva di
         istruire i propri allievi alla vita pubblica attraverso lo studio della retorica, intesa
         quale disciplina principe tra le arti, l'unica in grado di far sviluppare le doti necessarie
         per avere successo nella vita.
         Convinto sostenitore dell'importanza centrale di Atene e della sua democrazia nella
         politica greca, si fece promotore di una politica panellenica che prevedesse la
         collaborazione delle diverse  poleis  greche raccolte sotto la  guida  di Atene, così da
         opporsi all'esercito persiano. Atene, inoltre, avrebbe dovuto svolgere un importante ruolo
         civilizzatore presso le altre città greche, favorendo lo sviluppo di nuove società
         democratiche. Le sue speranze furono però deluse nel  338 a.C.  quando, al termine
         della  battaglia di Cheronea, la Grecia perse la propria indipendenza. Ormai
         ultranovantenne e affetto da vari mali, Isocrate si lasciò morire di inedia.



lunedì 31 dicembre 12
i modelli: isocrate (2)
             le opere
             Il  corpus  isocrateo, così come ci viene tramandato dalla tradizione, riporta
             oltre 60 titoli di orazioni. Al giorno d'oggi, sopravvivono solo ventuno
             orazioni, delle quali
             6 appartengono al genere giudiziario (le orazioni XVI-XXI)
             14 sono di genere epidittico (in ordine di datazione):
             1.
 Encomio di Elena (successiva al 390 a.C. circa)
             2.    Busiride
             3.    Contro i Sofisti
             4.
 Panegirico (380 a.C.)
             5.
 Plataico (371 a.C.)
             6.
 Evagora (tra il 370 e il 364 a.C.)
             7.
 Nicocle (368 a.C.)
             8.
 A Nicocle (370 a.C.)
             9.
 Archidamo (364 a.C.)
             10.
 Sulla pace (355 a.C.)
             11. Areopagitico
             12.
 Antidosi (di poco successivo al 354 a.C.)
             13.
 Filippo (346 a.C.)
             14.
 Panatenaico (339 a.C.)
             infine, lo scritto A Demonico è riconosciuto spurio.
             Lo stesso Isocrate ci informa che le sue orazioni epidittiche furono scritte per
             essere studiate dai discepoli della sua scuola: il retore infatti non pronunciò
             mai in pubblico tali orazioni, a causa della timidezza. Isocrate inoltre spese
             gran parte delle energie a rivedere i propri scritti, avendo sempre di mira la
             perfezione stilistica, la scorrevolezza e l'intensità emotiva: il risultato è una
             prosa elegante, temperata e sintatticamente corretta, scorrevole alla lettura,
             ma tuttavia monocorde, e carente delle coloriture tanto apprezzate in altri
             retori e scrittori.
             Egli offriva inoltre insegnamenti filosofici solo a chi ne avesse
             predisposizione, cioè a chi avesse l'ardire di parlare di fronte a una folla e       indice
             fosse in grado di apprendere dal maestro un sistema di idee. Attraverso le idee,
             infatti, si forma il discorso  politico, che aiuta a formare i caratteri. Il corso
             durava in media tre, quattro anni e l'insegnamento principale era la filosofia:
             l'oratoria e la filosofia permettevano di esprimersi in modo elevato.

lunedì 31 dicembre 12
i modelli: demostene (1)
                 la vita
                 Demostene nacque ad Atene da una facoltosa famiglia nel 384 a. C. e
                 si cimentò presto nell'eloquenza giudiziaria contro i tutori che lo
                 avevano derubato del patrimonio paterno. In seguito si dedicò
                 all'attività di logografo ottenendo un discreto successo ma
                 soprattutto la fama necessaria per cimentarsi nelle orazioni
                 pubbliche.
                 Sulle simmorie è la prima delle demegorie di Demostene a noi giunte e
                 risale al 354. In quest'orazione esprime già le proprie posizioni in
                 merito alla migliore condotta da tenere in ambito di politica estera,
                 riferendosi alla necessità della creazione di una flotta come
                 strumento di dissuasione da azioni di guerra contro la città. La
                 proposta fu bocciata per opera del suo oppositore Eubulo,
                 filomacedone, come ancora accadde poi in occasione della prima delle
                 4 Filippiche e in occasione delle 3 Olintiache.
                 Nella prima Filippica ancora esortava la cittadinanza a costruire una
                 flotta, mentre nelle Olintiache promuoveva un intervento armato
                 per sostenere la città di Olinto assediata dai macedoni. La seconda
                 Filippica consiste in una denuncia delle componenti filospartane e
                 filomacedoni della città. La terza Filippica è un compendio delle idee
                 di Demostene e una denuncia delle mire espansionistiche di Filippo. La
                 quarta Filippica, non attribuibile a lui, è una raccolta di più brani di
                 Demostene. Nel 338 partecipò alla battaglia di Cheronea, da cui fu
                 costretto a fuggire per avere salva la vita.
                 Nel 330 Ctesifonte propose di incoronare Demostene per meriti verso
                 la patria, ma Eschine, del partito di Eubulo, si oppose. Nel processo
                 Demostene pronunciò la sua orazione ‘’Per la corona’’, difendendo la
                 propria condotta e attribuendo la sventura alla sorte. Fu poi
                 coinvolto nella vicenda del tesoro di Arpalo e costretto a fuggire.
                 Dopo la morte di Alessandro del 323 ritornò ad Atene per tentare di
                 risollevarla, ma il macedone Antipatro si impadronì della città.
                 Demostene fu inseguito dai soldati del generale macedone e si suicidò
                 nell’isola di Calauria.



lunedì 31 dicembre 12
i modelli: demostene (2)
              Le 61 orazioni pervenute si possono dividere in gruppi tematici.

              Discorsi assembleari
              I-XVII: detti anche, con termine greco, demegorie (demos "popolo" + agoreuo
              "parlare"), coprono un arco di tempo che va dall'esordio di Demostene nel 354°.C.
              con l'orazione ‘’Sulle simmorie’’, su un progetto di riforma della flotta, al 336 a.C.
              quando l'oratore si scagliò contro una presunta violazione macedone dei patti
              stipulati da Alessandro con Atene.

              Discorsi giudiziari
              XVIII-XXVI: tra questi otto discorsi, va ricordato quello celeberrimo ‘’Sulla
              corona’’ dove Demostene ribatte alle accuse con una sorta di autobiografia politica
              che è al tempo stesso un appassionato atto di fede verso la patria.

              Discorsi privati
              XXVII-LIX: costituiscono il gruppo più nutrito del corpus demostenico (32 orazioni)
              e ci mostrano l'oratore calato nei conflitti interni dell'epoca più tormentata per
              Atene. Tra l'altro, le orazioni più antiche sono quelle “Contro Afobo” e “Contro
              Onetore”, suoi tutori, condotte nel processo del 364 a.C. per recuperare il proprio
              patrimonio. Inoltre, alcune orazioni spurie fanno luce su un oratore minore
              Apollodoro, figlio di Pasione, le cui orazioni sono giunte in questo corpus perché
              gli antichi le ritenevano scritte da Demostene.

              Orazioni epidittiche
              LX-LXI: su questo piccolo gruppo pesano forti sospetti di inautenticità,
              probabilmente nutriti anche dagli editori antichi.

              La potenza e il vigore dell’eloquenza demostenica fecero di lui il modello
              insuperabile, nella tradizione successiva, dell’oratoria politica, ammirato
              soprattutto per l’impeto veemente e la forza travolgente delle invettive e per la
              straordinaria abilità nel ricorso al pathos, cioè per la capacità di suscitare
              intense emozioni e viva commozione.

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lunedì 31 dicembre 12
Cicerone: la vita (1)
              Marco Tullio Cicerone è stato un politico, avvocato e scrittore, tra i maggiori della storia
              latina, in uno dei suoi momenti più critici: il passaggio dalla repubblica all’impero.
              Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino, nel basso Lazio, da una famiglia agiata del ceto
              equestre che però non aveva rappresentanti nella politica senatoria romana. Il padre di
              Cicerone, desideroso di avere un esponente della propria famiglia nella nobilitas,
              condusse il ragazzo a Roma per studiare retorica e giurisprudenza. Nell’Urbe il giovane
              Cicerone fu attratto anche dallo studio della poesia e della filosofia.
              L’esordio di Cicerone nell’avvocatura risale all’81 a.C., anno in cui egli pronunciò la sua
              prima orazione, la “Pro Quinctio”, anche se la prima che conteneva anche caratteri politici
              fu la “Pro Roscio” poiché Cicerone si schierò contro Crisogono, un liberto di Silla
              (all’epoca dei fatti dittatore). Dopo questo processo, temendo ritorsioni, dal 79 al 77 a.C.
              fece un viaggio in Grecia ove studiò e perfezionò la retorica grazie ad Apollonio Molone di
              Rodi. Alla morte di Silla ritornò a Roma.
              La sua carriera politica inizia nel 75 a.C. quando viene eletto questore e inviato in Sicilia.
              Lì ricevette molti consensi, al punto che i Siciliani nel 70 a.C. lo vollero come proprio
              difensore nel processo da loro intentato contro l’ex governatore Verre. Sotto il peso di
              prove schiaccianti e grazie alla grande abilità oratoria mostrata da Cicerone nelle
              “Verrinae”, già dalle orazioni preliminari, Verre, anche se difeso da uno dei più importanti
              oratori dell’epoca, Ortensio Ortalo, rinunciò alla difesa optando per un esilio volontario.
              Il processo all’ex governatore della Sicilia fu il trampolino di lancio per la carriera
              politica di Cicerone che dopo aver rivestito le cariche di edile (69) e pretore (66) nel 63
              a.C. raggiunse l’apice con il consolato, grazie ai consensi ottenuti dalla nobilitas romana
              e dal partito degli optimates, assieme ad Antonio Ibrida, a discapito di Catilina, membro
              della gens Sergia ed esponente dei populares.
              Quest’ultimo si presentò per le elezioni del 62 a.C. ma per i continui rinvii di Cicerone, fu
              ancora sconfitto.      Non riuscendo a conseguire il suo obiettivo tramite le elezioni,
              Catilina scelse di raggiungerlo tramite una congiura ai danni dei due consoli. Alcune voci
              fecero sì che Cicerone venisse a conoscenza del piano dell’esponente dei populares, e il
              console denunciò le intenzioni di Catilina in senato prima, e al popolo poi, ciò elevò
              Cicerone a “pater patriae”. Catilina, dopo essersi rifugiato in Etruria, fu ucciso in
              battaglia a Pistoia; a Roma altri congiurati furono catturati e giustiziati, senza possibilità
              d’appello per chiedere la grazia al popolo.



lunedì 31 dicembre 12
Cicerone: la vita (2)
         Il processo irregolare ai congiurati provocò dissapori tra Cicerone e Cesare e Crasso, che
         assieme a Pompeo instaurarono il primo triumvirato nel 60 a.C., e nel 58 a.C. fu causa del suo
         esilio, su proposta del tribuno Clodio Pulcro. Nel 57 a.C. su iniziativa di Pompeo poté tornare a
         Roma al costo di difendere e sostenere i seguaci e le proposte dei triumviri, avendo così un
         ruolo secondario sulla scena politica.
         Avversi al governo dei populares, esponenti della classe senatoria erano soliti scontrarsi per
         le strade di Roma contro le bande armate dei tribuni. In una di queste occasioni il filo-
         aristocratico Milone uccise il tribuno della plebe Clodio nel 52 a.C.. Cicerone si propose di
         difenderlo attraverso la “Pro Milone” ma gli schiamazzi dei sostenitori di Clodio all’esterno
         del tribunale gli impedirono di pronunciare l’orazione, così Milone fu esiliato.
         Nel 51 a.C. Cicerone fu inviato in Cilicia quale proconsole e al suo ritorno a Roma si era ormai
         alla guerra civile tra Cesare e Pompeo. Egli prese le parti di quest’ultimo seguendolo in Grecia.
         Dopo la vittoria di Cesare tornò nell’Urbe ottenendo il perdono del dittatore tramite la difesa
         dei partigiani di Pompeo in nome della clemenza di Cesare. La dittatura di Cesare costrinse
         Cicerone a dedicarsi a trattati filosofici e allontanarsi dalla scena politica, inoltre in questo
         periodo visse anche momenti personali difficili, dal divorzio dalla moglie Terenzia nel 46 a.C.
         per sposare la giovane ereditiera Pubilia da cui si separò nuovamente nel 45 a.C., alla morte
         della figlia Tullia nello stesso anno.
         L’anno della svolta è il 44 a.C., anno in cui Cesare viene assassinato in una congiura alle idi di
         marzo. Dopo la morte del dittatore a Roma si prospetta un nuovo scontro per definire il suo
         erede. I contendenti sono Marco Antonio, ex luogotenente di Cesare, ed Ottaviano, figlio
         adottivo del dittatore. Quest’ultimo, poco noto alla scena politica romana, adotta posizioni filo-
         senatoriali, guadagnandosi così l’appoggio di Cicerone.
         Colui che scrisse anni prima le Catilinariae, tra il 44 e il 43 a.C. pronuncia 14 orazioni
         “Antonianae” contro Marco Antonio, attirando le ire dell’ex luogotenente su di sé. Queste sono
         caratterizzate da una tale veemenza nelle accusa che rimandano alle orazioni di Demostene
         contro Filippo II di Macedonia, infatti sono altrimenti chiamate “Philippicae”. Nonostante il suo
         impegno a favore di Ottaviano, il giovane, una volta divenuto console - grazie anche all’appoggio
         di Cicerone - e salito al potere, stringe un patto per istituire il II triumvirato nel 43 a.C. con
         Marco Antonio e Lepido, ex generale di Cesare. La prima condizione che Marco Antonio pone ad
         Ottaviano è di inserire Cicerone come primo delle liste di proscrizione, così il 7 dicembre del 43
         a.C. viene assassinato a Formia dai sicari di Marco Antonio e la sua testa e le sue mani vengono
         esposte nel foro come segno di sfregio, ree di aver pensato, detto e scritto le Antonianae.
         Cicerone nonostante il suo grande ruolo politico, oggigiorno è ricordato maggiormente per le
         sue orazioni e il suo epistolario, poiché, essendo egli sprovvisto di un esercito in un’epoca in cui
         potere politico e militare erano strettamente legati, non ebbe il successo che desiderava.


lunedì 31 dicembre 12
Cicerone: le orazioni politiche
               Cicerone, uno dei più grandi autori della letteratura latina, scrisse un notevole numero
               di orazioni destinate ad essere pronunciate in svariati contesti e ad essere pubblicate.
               Già a venticinque anni sostenne il suo primo discorso (Pro Quinctio). Dopo un anno
               pronunciò la Pro Roscio Amerino, orazione in cui difendeva Roscio, accusato
               dell’omicidio del padre da Crisògono, liberto di Silla. Roscio fu assolto.
               Le orazioni dell’autore latino abbracciano principalmente l’ambito giudiziario e politico.

               Cicerone fu autore di numerose orazioni deliberative. Tra le più importanti si
               ricordano le Catilinariae e le Philippicae.
               Le Catilinariae sono quattro discorsi pronunciati nel 63 a.C. in occasione della
               scoperta della congiura di Catilina. Tramite la prima orazione, pronunciata in Senato
               davanti allo stesso Catilina, Cicerone dichiarava al Senato di essere a conoscenza della
               congiura e invitava Catilina ad abbandonare le sue intenzioni e ad allontanarsi da Roma;
               la seconda e la terza orazione venivano pronunciate davanti al popolo, rispettivamente,
               per denunciare la congiura e la malvagità di Catilina e per informare dell’arresto dei
               congiurati e della fine del pericolo. Nell’ultima orazione, pronunciata in Senato, si
               discuteva sulla sorte dei congiurati (condanna a morte o ad esilio) e Cicerone si mostrò
               a favore della pena di morte.
               Le Philippicae, note anche come “Antonianae”, sono quattordici orazioni pronunciate
               fra il 44 e il 43 a.C. per far dichiarare Antonio nemico di Roma. La quarta e la sesta
               orazione furono rivolte al popolo, 11 orazioni furono pronunciate in senato; la
               seconda orazione non fu mai pronunciata, ma solo successivamente fu pubblicata, in
               quanto la più violenta fra tutte.




lunedì 31 dicembre 12
Cicerone: le orazioni giudiziarie                                                     indice

    Cicerone fu autore di numerosi discorsi di genere giudiziario che vennero pronunciati e pubblicati
    nell’arco di tempo dell’intera sua vita. ne citiamo i principali.
    Le “Verrinae”, ovvero “discorsi contro Verre”, sono sette orazioni divise in 3 sezioni.
    La prima orazione è la “Divinatio in Caecilium”, pronunciata nel 70 a.C. con lo scopo di ottenere il
    diritto di sostenere l’accusa contro Verre, accusato dai siciliani di estorsioni, violenze e soprusi,
    contrapponendosi a Cecilio, amico di Ortensio Ortalo, difensore di Verre, il quale aveva presentato
    una falsa accusa, per perdere tempo e aspettare che Ortensio diventasse console e poter difendere
    Verre. Grazie a questo discorso assunse l’accusa e ottenne 110 giorni di tempo per compiere
    indagini.
    La seconda orazione è l’“Actio prima in Verrem”, la prima fase del processo, che spinse Verre a
    partire in un volontario esilio, in presenza di prove schiaccianti.
    La terza orazione, “Actio secunda in Verrem”, è costituita da cinque orazioni (mai pronunciate, ma
    soltanto pubblicate) contenenti la rielaborazione del materiale raccolto durante le indagini in
    Sicilia.
    La “Pro Archia” fu pronunciata nel 62 a.C. per difendere il poeta Archia, accusato di avere
    ottenuto illegalmente il diritto di cittadinanza romana. Cicerone approfittò del discorso per
    elogiare la poesia e la cultura affermando che, anche se Archia avesse ottenuto la cittadinanza
    illegalmente, la meriterebbe comunque in quanto poeta. Grazie a questo discorso Archia venne
    assolto.
    La Pro Sestio, del 56 a.C., venne pronunciata da Cicerone con lo scopo di difendere Sestio (tribuno
    che si era adoperato per ottenere il suo ritorno dall’esilio), accusato di aver organizzato bande
    armate contro Clodio: l’oratore difese l’accusato sostenendo che costui aveva agito per necessità,
    in quanto lo stato, secondo la propria opinione, era minacciato dai populares. Ne approfittò per
    lanciare il Consensus omnium bonorum o Concordia ordinum (rispettivamente, Alleanza di tutti i
    cittadini onesti o Concordia degli ordini) un’alleanza dei cittadini moderati, coalizzati contro i
    nemici populares in difesa del tradizionale sistema di governo romano. Sestio venne assolto.
    La Pro Caelio, venne pronunciata nel 56 a.C. per difendere Celio, accusato di aver rubato dei
    gioielli a Clodia e di aver tentato di avvelenarla. Cicerone manifestò il suo odio verso Clodio,
    attaccando la sorella Clodia, presentandola come una donna corrotta e dissoluta. Inoltre in
    questa orazione Cicerone auspica un allentamento degli aspetti più rigorosi del Mos Maiorum, che
    ormai appare incomprensibile ai giovani. Celio viene assolto.
    Infine la “Pro Milone”, scritta in difesa di Milone, accusato nel 54 a.C. della morte di Clodio, non
    fu mai pronunciata in quanto, durante il processo nel Foro, gli schiamazzi della folla impedirono a
    Cicerone di pronunciare il discorso. Nell’orazione l’autore sostiene la tesi della legittima difesa:
    Milone non ha premeditato l’omicidio ma ha agito soltanto per difendersi. L’imputato fu costretto
    all’esilio. la versione che abbiamo fu rivista e pubblicata da Cicerone due anni dopo il processo.

lunedì 31 dicembre 12
I grandi oratori della storia




            indice


lunedì 31 dicembre 12

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Retorica antica

  • 1. La retorica antica Testo Testo Classe IV A Liceo Scientifico Majorana, Pozzuoli lunedì 31 dicembre 12
  • 2. indice la retorica in grecia I generi della retorica l’oratoria a roma le 5 parti della retorica le parti dell’orazione lisia isocrate demostene cicerone I grandi oratori della storia lunedì 31 dicembre 12
  • 3. Per retorica (dal greco rhetorikè téchne, “arte del dire”), si intendono l’arte e la tecnica del parlare e dello scrivere con efficacia persuasiva, secondo sistemi di regole espressive varie a seconda delle epoche e delle culture. Essa assunse particolare rilevanza in età antica, in Grecia e a Roma, dove venne codificata e trasmessa ai posteri come sistema di regole e di pratiche. indice lunedì 31 dicembre 12
  • 4. La retorica in Grecia L’uso della parola come forma di persuasione in campo politico e giudiziario, è stato sempre applicato nel mondo greco, ma solo nel V secolo a.C. l’arte oratoria assunse le sue caratteristiche definitive e finì per specializzarsi nei vari settori. La retorica nacque a Siracusa, nel contesto delle lotte politiche del V secolo a.C., dopo la fine della tirannide di Trasibulo. La diffusione di quest’arte si dovette alle particolari condizioni economiche, sociali e culturali in cui la Grecia si trovava e alle condizioni e al tipo di vita che la città-stato consentiva: all’interno della polis. Infatti il sistema politico e giudiziario quasi obbligavano il cittadino ad un continuo confronto con la collettività. Il primo a dare lezioni di eloquenza pare fosse il filosofo Empedocle di Agrigento, subito imitato dai suoi allievi siracusani Tisia e Corace. Costoro sono considerati i primi esponenti della retorica siciliana e scrissero numerosi manuali. Nel corso del secolo, tuttavia, la retorica giunse, dalla Magna Grecia, all’Attica e ad Atene, grazie al lavoro dei sofisti, tra i quali si distinsero, in particolare, Gorgia di Leontini e Protagora di Abdera. Questi insegnarono a pagamento la tecnica del corretto uso della parola e la tecnica dell’antilogia, che è l’esposizione di due tesi contrapposte, i cosiddetti “dissoi lògoi”; essi aprirono numerose scuole e cominciarono ad utilizzare le tecniche retoriche non solo nei tribunali e nelle assemblee pubbliche, ma anche in conferenze pubbliche e discorsi celebrativi, facendone una vera e propria arte, imparentata in qualche modo con la poesia. I due più grandi filosofi dell’antichità, Platone e Aristotele, assegnarono una funzione rilevante all’attività retorica. Platone criticò il relativismo dei sofisti, sulla scorta di Socrate, e ne auspicò un utilizzo dialettico in grado di guidare alla conoscenza del bene; in particolare, nel dialogo “Gorgia”, auspicò una funzione educativa della retorica, che orienti l’anima verso la giustizia e la verità. Aristotele, infine, diede un decisivo contributo alla diffusione delle tecniche retoriche con il suo trattato appunto sulla “Retorica”, in cui distinse le diverse parti del discorso retorico, indicando le figure retoriche che abbelliscono e rendono efficace l’elocuzione. Aristotele Platone indice Gorgia lunedì 31 dicembre 12
  • 5. I generi della Retorica Oratoria Politica L'oratoria politica riguardava quei discorsi pronunciati per prendere decisioni politiche, nelle varie riunioni assembleari. I Greci individuarono un oratore di riferimento per questo genere, quale Demostene: oratore vissuto nel IV secolo a.C. Sostenitore della politica antimacedone, di cui si ricordano le “Filippiche”, orazioni indirizzate contro il Re di Macedonia Filippo. Oratoria Giudiziaria Iudiciale, è con questo termine che a Roma venivano chiamati i discorsi giudiziari pronunciati nei tribunali, per difesa o accusa di un imputato. In Grecia non veniva pronunciato da un avvocato, ma dalla persona stessa impegnata nella causa, aiutato da un retore professionista (logografo). L’oratore più abile di questo genere fu Lisia, particolarmente apprezzato per la capacità di immedesimarsi nella persona per cui scriveva il discorso. Oratoria Epidittica L’oratoria epidittica o celebrativa può trattare una vasta varietà di temi. Il discorso è frutto di una lenta e meditata elaborazione. Spesso i discorsi rimanevano in forma scritta, mai pronunciati e fatti circolare sotto forma di opuscoli o pamphlet per una fruizione individuale. Può includere discorsi pubblici in occasione di cerimonie o festività, sia per commemorare cittadini defunti, sia per encomiare cittadini benemeriti, oppure per propagandare un’idea di interesse generale. Campione di questo genere di retorica fu Isocrate, sofista vissuto tra il indice V-IV secolo a.C. del quale ricordiamo il famoso discorso intitolato “Pace”, pronunciato in occasione dei giochi olimpici nella stessa Olimpia nel 355 a.C. lunedì 31 dicembre 12
  • 6. L’oratoria a Roma (1ª parte) L’attività oratoria riveste un ruolo rilevante fin dalle origini della civiltà romana, sia in campo politico, che in quello epidittico, con le cosiddette laudationes funebres, discorsi commemorativi pronunciati durante i funerali dei grandi personaggi. Iniziatore della prosa oratoria latina è considerato  Appio Claudio Cieco il quale con un famoso discorso nel 280 a.C. convinse i Romani a non accettare le condizioni di pace offerte da Pirro.  La retorica romana nell'età della grande espansione territoriale è caratterizzata soprattutto dalla preminenza della figura di  Marco Porcio Catone, i cui discorsi sono caratterizzati da uno stile semplice e conciso e da frasi taglienti, debitrici dell'influsso greco, tanto attaccato dalla sua politica conservatrice. Tuttavia la retorica si diffonde come arte soprattutto quando, a seguito della  battaglia di Pidna  del  168 a.C., I Romani entrarono in più stretto contatto con la cultura ellenica, restandone fortemente influenzati. Alla fine del II secolo a.C. infatti le orazioni mostrano una sostanziale assimilazione delle teorie greche. Un alto livello viene raggiunto da  Marco Antonio  e Lucio Licinio Crasso, che individuano l'importanza dell'arte retorica nella vasta e raffinata cultura e nello stile utilizzato, cioè l'elocutio, la capacità di scegliere i termini per adattarli elegantemente nel testo.  lunedì 31 dicembre 12
  • 7. L’oratoria a Roma (2ª parte) Tra il  150  e il 100 a.C.    circa si opposero tra loro le due scuole oratorie nate in Grecia in età ellenistica, quella asiana e quella atticista. L'ampollosità caratteristica dello stile asiano fu incarnata dall'oratore  Quinto Ortensio Ortalo, rivale di Cicerone. Tra gli oratori atticisti, uno dei più importanti fu certamente Cesare, anche se i suoi discorsi sono andati perduti. Accanto alla scuola attica e alla scuola asiana, vi era anche una terza scuola retorica, detta rodiese, dall’isola di  Rodi  dove viveva il suo fondatore, Apollonio Molone, che sosteneva una via mediana rispetto alle altre due scuole. Esponente principale di questa scuola a Roma fu sicuramente Cicerone, il più grande oratore latino. Con il passaggio dalla Repubblica all’Impero, la retorica perse la sua funzione politica e progressivamente diminuì di importanza, pur rimanendo materia di studio. Molte informazioni sulla pratica e l'insegnamento della retorica in questo periodo si devono all'opera di Seneca il Vecchio. Con la concessione della cittadinanza romana da parte di Cesare ai maestri delle arti liberali, le scuole di retorica crebbero di numero: qui i futuri retori dovevano esercitarsi nelle declamationes con tesi e antitesi. Queste esercitazioni a loro volta si differenziavano in  suasoriae, nelle quali si immaginava di dover persuadere un personaggio storico o mitico, e controversiae, che si collocavano sul terreno giudiziario e prevedevano l'applicazione di un determinato principio legale. Proprio nei primi anni dell'Impero (I secolo  d.C.) visse e operò Marco Fabio Quintiliano, che teorizzò nella sua  “Insitutio Oratoria”  il percorso formativo che doveva seguire un giovane per poter diventare un buon oratore ed essere quindi – secondo la formula di Catone il Censore –  vir bonus dicendi peritus. Inoltre il trattato sviluppa anche una serie di considerazioni sulla tecnica e la composizione: la classificazione dei generi del discorso, le cinque fasi della composizione indice (inventio,  dispositio,  elocutio,  memoria,  actio), le caratteristiche morali e culturali che deve avere un buon oratore, il rapporto che il retore deve intrattenere con i politici. Oltre a Quintiliano altri retori ebbero una certa rilevanza in età imperiale, come Publio Rutilio Lupo, Asinio Gallio, Larcio Licinio e Domizio Afro. lunedì 31 dicembre 12
  • 8. Le cinque parti della retorica Un’orazione retorica viene codificata in 5 parti. Le prime tre consistono nella realizzazione e organizzazione del discorso e sono: - Inventio: trovare gli argomenti del discorso, sostenendo una tesi; - Dispositio: organizzare e dare un ordine agli argomenti; - Elocutio: scegliere lessico e stile del discorso. Le ultime due attengono alla fase di esposizione e sono: - Memoria: imparare a memoria il discorso attraverso particolari tecniche; - Actio: recitazione del discorso mediante cambiamenti di tonalità della voce e ricorrendo ad una gestualità enfatica. indice lunedì 31 dicembre 12
  • 9. L’inventio L’inventio caratterizza la via scelta dall’oratore per trovare gli argomenti per il suo discorso, sia che egli intenda convincere (fidem facere), sia che invece voglia scuotere gli animi dei suoi ascoltatori (animos impellere). Se il retore sceglie la prima strada, deve trovare le “prove” con cui spingere il pubblico a sostenere la propria tesi. Tali prove possono essere extra-tecniche (sono le testimonianze, le confessioni, le sentenze precedentemente emesse dal tribunale, e così via) oppure, ben più importanti, possono derivare dalla capacità argomentativa dell’oratore. n questo secondo caso vengono suddivise in exempla (ricavate per via induttiva) ed in argumenta (per via deduttiva): gli  argumenta  si fondano principalmente sulla forma logica del sillogismo, concepito non per condurre il pubblico al vero, quanto piuttosto al verisimile. lunedì 31 dicembre 12
  • 10. La Dispositio La dispositio é l’arte di collocare al posto più opportuno ciascuno dei termini che andranno a costituire il discorso, seguendo schemi studiati appositamente per evidenziare e nascondere a seconda della volontà dell’oratore stesso. Secondo Aristotele la  dispositio  si può suddividere in quattro parti: la prima e l’ultima – rispettivamente esordio ed epilogo – devono far leva sui sentimenti del pubblico, mentre le due parti intermedie, dette  narratio  (il momento espositivo) e  confirmatio  (dove l’oratore mostra veritiere le proprie prove), devono far leva sulla razionalità. L’esordio del discorso viene lasciato arbitrario e può essere a sua volta suddiviso nei momenti distinti della  captatio benevolentiae, in cui l’oratore cerca di accattivarsi le simpatie degli ascoltatori, e partitio, ovvero esposizione succinta dei temi che si andranno a trattare in seguito. lunedì 31 dicembre 12
  • 11. L’Elocutio indice Nell’elocutio i temi trovati e gli schemi scelti devono essere “trasformati in parole” per dar vita all’orazione vera e propria. Aristotele non dà peso eccessivo a questo momento, che invece, ripreso ed ampliato da Gorgia, divenne poi il cuore della retorica stessa. Di nuovo possiamo suddividere l’elocutio  in electio, cioè la scelta delle parole, e  compositio, cioè riunire le parole scelte in modo da comporre il periodare. Il momento dell’electio  sottintende che ogni vocabolo possa essere sostituito da un altro più opportuno. Gli strumenti a disposizione dell’oratore per realizzare questo scarto sono tropi, cioè “svolte” di espressioni da un contenuto ad un altro, per creare un effetto di straniamento (come accade per perifrasi, sineddoche, iperbole, metonimia e metafora), oppure  figure, ripartite in figure di pensiero (antitesi, ossimoro, chiasmo, similitudine, allegoria o apostrofe) e figure di parola (climax, anafora, endiadi, asindoto, anastrofe, iperbato). Il momento della  compositio, infine, consiste nell’inserire correttamente le parole scelte nella cornice della frase: l’oratore può optare per una costruzione geometrica, preferita da Cicerone, in cui il periodare viene ripartito in uno schema composto da commi (battute) e colon (membri), oppure per quella dinamica, preferita da Tacito. lunedì 31 dicembre 12
  • 12. Le parti dell’Orazione (1) exordium narratio argumentatio peroratio 1. EXORDIUM L'exordium è la parte che apre l'orazione, in cui viene esposto l'oggetto di cui ci si intende occupare. Il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico (captatio benevolentiae) e annunciare le ripartizioni che si stanno per adottare nello svolgimento dell'orazione (partitio).  Inoltre, è importante rendere subito nota la struttura dell'orazione e l'ordine degli argomenti, così da rendere il pubblico partecipe dei termini del discorso ed evitare che sembri troppo lungo. 2. NARRATIO La narratio è il resoconto succinto, chiaro e verisimile dei fatti che vengono affrontati, così che sia funzionale all'argomentazione. Due sono i generi di disposizione dei contenuti: l'ordo naturalis, che segue lo svolgimento  logico e  cronologico  degli eventi, e l'ordo artificialis, orientato più alla resa estetica tramite l'uso di figure retoriche, digressioni e altri procedimenti stilistici. Quest'ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del  tempo  per assecondare le esigenze della situazione e dell'argomento. Nell'esposizione dei fatti è inoltre necessario perseguire quello che è il «giusto mezzo», non essere troppo prolissi ma nemmeno tanto brevi da tralasciare qualcosa di importante. Bisogna poi ricordare che è essenziale la verosimiglianza dei fatti, i quali devono essere attendibili e devono essere disposti in maniera tale da assolvere alle tre funzioni della retorica:  docere,  movere  e delectare. lunedì 31 dicembre 12
  • 13. Le parti dell’Orazione (2) exordium narratio Argumentatio peroratio 3. ARGUMENTATIO l’argumentatio è il cuore del discorso persuasivo, il resoconto delle prove a sostegno della tesi, che può prevedere anche un affondo contro le tesi avversarie. La sua struttura interna si compone di due parti: propositio e confirmatio, a cui può seguire una terza, l'altercatio. La propositio è una definizione ristretta della causa (o delle cause) da dibattere, subito seguita dalla  confirmatio, l'elenco delle ragioni a favore, dapprima quelle più forti, in seguito le più deboli e infine le più forti in assoluto. Talvolta la confirmatio  può essere interrotta dall'intervento di un avversario, come ad esempio un avvocato di parte opposta: in questo caso si parla di altercatio, un dialogo serrato tra il retore e il suo avversario. 4. PERORATIO la peroratio è la parte conclusiva dell'orazione, e si muove su due livelli: riprende e riassume le cose dette (enumeratio  e  rerum repetitio), tocca le corde dei sentimenti (ratio posita in affectibus). Da un lato, il retore deve concludere dando un'idea d'insieme di quanto è stato detto e sostenuto, richiamando alla memoria i punti fondamentali; dall'altro, ha luogo la perorazione vera e propria, che fa leva sui sentimenti dell'uditorio ricorrendo a dei loci prestabiliti. indice lunedì 31 dicembre 12
  • 14. I MODELLI: LISIA (1) la vita Lisia nasce ad Atene nel 445 a.C. Dopo la morte di suo padre nel 430 a.C, si trasferì in Magna Grecia nella colonia di Thurii, accompagnato dal fratello Polemarco. Poi però, dopo il disastro Ateniese avvenuto in Sicilia durante la guerra del Peloponneso, nel 413 a.C, Lisia ritornò nella sua città d'origine e si dedicò alla retorica. Quando al potere c'erano i 30 Tiranni, Lisia dovette rifugiarsi a Megara perchè accusato di cospirazione. Insieme a lui fu incolpato anche il fratello, il quale fu poi ucciso, per questo motivo. Il vero motivo per cui i due fratelli erano stati accusati, era però un altro. Infatti i Trenta Tiranni, fecero ciò solo perchè volevano confiscare i loro beni. Quando salì al potere Trasibulo, nel 403 a.C., Lisia potè tornare ad Atene. Qui cercò di riprendersi i beni che gli erano stati tolti e anche di ottenere la cittadinanza, ma questo non fu possibile, anche se Trasibulo aveva chiesto all'assemblea di concedergliela poichè l'oratore aveva finanziato un esercito di 300 mercenari per combattere i Trenta. Per tale motivo a circa sessanta anni, Lisia si dedicò all'attività di logografo, che era colui che a pagamento, scriveva orazioni giudiziare per conto di altri. Difatti in quel periodo ad Atene le persone non potevano essere difese in tribunale da qualcun altro, ma dovevano difendersi o dovevano accusare un imputato da sole. Anche per la fama guadagnatosi con questa attività ottenne infine la cittadinanza ateniese grazie all’appoggio di trasibulo, ma questa concessione fu poi annullata per vizio di forma e gli fu riconosciuta soltanto un’esenzione sulle tasse da pagare. Morì verso il 380. lunedì 31 dicembre 12
  • 15. I MODELLI: LISIA (2) A Lisia furono attribuite 425 orazioni, ma di queste solo 323 furono ritenute effettivamente sue già nell’antichità. Nel corso del tempo ci è giunto un corpus di circa 30 orazioni e, oltre a queste, alcuni frammenti. Le sue orazioni appartenevano tutte al genere giudiziario, lette cioè in tribunale per accusare o difendere un imputato. Solo due tra quelle del suo corpus erano di genere epidittico, ovvero l'Olimpico e l'Epitafio. Per Lisia la cosa più importante era quella di mettere in primo piano le ragioni del suo committente e di far coincidere lo stile dell’argomentazione con il carattere e la personalità del suo cliente. Questo richiama il principio greco dell’etopea, dal grego ethopoiìa, che significa rappresentazione del carattere. Le varie orazioni trattano temi diversi, in base alle varie cause che vengono presentate a Lisia. Queste possono essere: peculato, tradimento, corruzione, inadempienza agli obblighi militari, sacrilegio, diffamazione, ecc.. Tra le molteplici ricordiamo: Per l'invalido (scritta per un cliente di modesta estrazione sociale che rivendicava una pensione), Per l'uccisione di Eratostene (scritta sulla legittimità dell’omicidio in un caso di flagrante adulterio), Contro i mercanti di grano (testimonianza molto importante per la ricostruzione della storia economica), Per l'olivo sacro,  Per il soldato e Contro Diogitone. All’interno del Corpus Lisiano ci sono soltanto due orazioni di tipo politico e sono: Contro Eratostene (da non confondere con quello di cui si parla nell’orazione sulla sua uccisione), che è una requisitoria drammatica contro il regime dei Trenta Tiranni ed è l’unica pronunciata dallo stesso autore; Contro Agorato, che era un emissario degli oligarchi, il quale aveva provocato la morte di alcuni esponenti del partito democratico. Le orazioni di Lisia seguivano sempre la stessa struttura: prefazione, esposizione del fatto, presentazione delle testimonianze e epilogo. La lingua da lui usata è un dialetto attico molto semplice e puro. Il logografo dimostrò ai suoi tempi, e con il passare degli anni, di avere una grande padronanza di stile ed è stato un punto di riferimento essenziale per tutta la prosa successiva, in particolare per l’ellenismo e l’atticismo. indice lunedì 31 dicembre 12
  • 16. i modelli: isocrate (1) la vita Nato nel 436 in una famiglia agiata, Isocrate ricevette una ferrea educazione, seguendo le lezioni dei sofisti  Gorgia  e  Prodico; ancor giovane fu però costretto a svolgere per un decennio la professione di logografo a causa dei dissesti finanziari della famiglia durante la guerra del Peloponneso. Testimonianza di questa attività sono sei discorsi giudiziari datati tra il 400 a.C. e il 390 a.C. . Isocrate si sentì in primo luogo "Pedagogo", impegnato nella  formazione  culturale del cittadino di livello elevato, e pretese di essere considerato  filosofo; quindi rinnegò l'appellativo di  retore  (nonostante l'attività di logografo). I suoi testi coprono l'arco di quasi un secolo: dallo splendore di Pericle all'ascesa di Filippo II di Macedonia. Nel 390 a.C. aprì una  scuola  la cui importanza fu analoga all'Accademia  di  Platone. Con quest'ultimo, nonostante la diversità di  punti  di vista, Isocrate condivideva alcune concezioni: - coltivavano una profonda ammirazione per  Socrate, ma fastidio per i  Sofisti, che ritenevano si vendessero per denaro; - erano convinti che l'educazione base fosse quella dell'etica sociale; - mostravano sfiducia nella  democrazia  ateniese contemporanea, sulla base degli esiti da essa conseguiti alla fine del V secolo a.C.; - provavano spiccato interesse per la forma scritta e per lo stile; - programmavano di insegnare filosofia e proporre idee. La fama di Isocrate e della sua  scuola  fu grande in tutta l'Ellade. Egli si proponeva di istruire i propri allievi alla vita pubblica attraverso lo studio della retorica, intesa quale disciplina principe tra le arti, l'unica in grado di far sviluppare le doti necessarie per avere successo nella vita. Convinto sostenitore dell'importanza centrale di Atene e della sua democrazia nella politica greca, si fece promotore di una politica panellenica che prevedesse la collaborazione delle diverse  poleis  greche raccolte sotto la  guida  di Atene, così da opporsi all'esercito persiano. Atene, inoltre, avrebbe dovuto svolgere un importante ruolo civilizzatore presso le altre città greche, favorendo lo sviluppo di nuove società democratiche. Le sue speranze furono però deluse nel  338 a.C.  quando, al termine della  battaglia di Cheronea, la Grecia perse la propria indipendenza. Ormai ultranovantenne e affetto da vari mali, Isocrate si lasciò morire di inedia. lunedì 31 dicembre 12
  • 17. i modelli: isocrate (2) le opere Il  corpus  isocrateo, così come ci viene tramandato dalla tradizione, riporta oltre 60 titoli di orazioni. Al giorno d'oggi, sopravvivono solo ventuno orazioni, delle quali 6 appartengono al genere giudiziario (le orazioni XVI-XXI) 14 sono di genere epidittico (in ordine di datazione): 1. Encomio di Elena (successiva al 390 a.C. circa) 2. Busiride 3. Contro i Sofisti 4. Panegirico (380 a.C.) 5. Plataico (371 a.C.) 6. Evagora (tra il 370 e il 364 a.C.) 7. Nicocle (368 a.C.) 8. A Nicocle (370 a.C.) 9. Archidamo (364 a.C.) 10. Sulla pace (355 a.C.) 11. Areopagitico 12. Antidosi (di poco successivo al 354 a.C.) 13. Filippo (346 a.C.) 14. Panatenaico (339 a.C.) infine, lo scritto A Demonico è riconosciuto spurio. Lo stesso Isocrate ci informa che le sue orazioni epidittiche furono scritte per essere studiate dai discepoli della sua scuola: il retore infatti non pronunciò mai in pubblico tali orazioni, a causa della timidezza. Isocrate inoltre spese gran parte delle energie a rivedere i propri scritti, avendo sempre di mira la perfezione stilistica, la scorrevolezza e l'intensità emotiva: il risultato è una prosa elegante, temperata e sintatticamente corretta, scorrevole alla lettura, ma tuttavia monocorde, e carente delle coloriture tanto apprezzate in altri retori e scrittori. Egli offriva inoltre insegnamenti filosofici solo a chi ne avesse predisposizione, cioè a chi avesse l'ardire di parlare di fronte a una folla e indice fosse in grado di apprendere dal maestro un sistema di idee. Attraverso le idee, infatti, si forma il discorso  politico, che aiuta a formare i caratteri. Il corso durava in media tre, quattro anni e l'insegnamento principale era la filosofia: l'oratoria e la filosofia permettevano di esprimersi in modo elevato. lunedì 31 dicembre 12
  • 18. i modelli: demostene (1) la vita Demostene nacque ad Atene da una facoltosa famiglia nel 384 a. C. e si cimentò presto nell'eloquenza giudiziaria contro i tutori che lo avevano derubato del patrimonio paterno. In seguito si dedicò all'attività di logografo ottenendo un discreto successo ma soprattutto la fama necessaria per cimentarsi nelle orazioni pubbliche. Sulle simmorie è la prima delle demegorie di Demostene a noi giunte e risale al 354. In quest'orazione esprime già le proprie posizioni in merito alla migliore condotta da tenere in ambito di politica estera, riferendosi alla necessità della creazione di una flotta come strumento di dissuasione da azioni di guerra contro la città. La proposta fu bocciata per opera del suo oppositore Eubulo, filomacedone, come ancora accadde poi in occasione della prima delle 4 Filippiche e in occasione delle 3 Olintiache. Nella prima Filippica ancora esortava la cittadinanza a costruire una flotta, mentre nelle Olintiache promuoveva un intervento armato per sostenere la città di Olinto assediata dai macedoni. La seconda Filippica consiste in una denuncia delle componenti filospartane e filomacedoni della città. La terza Filippica è un compendio delle idee di Demostene e una denuncia delle mire espansionistiche di Filippo. La quarta Filippica, non attribuibile a lui, è una raccolta di più brani di Demostene. Nel 338 partecipò alla battaglia di Cheronea, da cui fu costretto a fuggire per avere salva la vita. Nel 330 Ctesifonte propose di incoronare Demostene per meriti verso la patria, ma Eschine, del partito di Eubulo, si oppose. Nel processo Demostene pronunciò la sua orazione ‘’Per la corona’’, difendendo la propria condotta e attribuendo la sventura alla sorte. Fu poi coinvolto nella vicenda del tesoro di Arpalo e costretto a fuggire. Dopo la morte di Alessandro del 323 ritornò ad Atene per tentare di risollevarla, ma il macedone Antipatro si impadronì della città. Demostene fu inseguito dai soldati del generale macedone e si suicidò nell’isola di Calauria. lunedì 31 dicembre 12
  • 19. i modelli: demostene (2) Le 61 orazioni pervenute si possono dividere in gruppi tematici. Discorsi assembleari I-XVII: detti anche, con termine greco, demegorie (demos "popolo" + agoreuo "parlare"), coprono un arco di tempo che va dall'esordio di Demostene nel 354°.C. con l'orazione ‘’Sulle simmorie’’, su un progetto di riforma della flotta, al 336 a.C. quando l'oratore si scagliò contro una presunta violazione macedone dei patti stipulati da Alessandro con Atene. Discorsi giudiziari XVIII-XXVI: tra questi otto discorsi, va ricordato quello celeberrimo ‘’Sulla corona’’ dove Demostene ribatte alle accuse con una sorta di autobiografia politica che è al tempo stesso un appassionato atto di fede verso la patria. Discorsi privati XXVII-LIX: costituiscono il gruppo più nutrito del corpus demostenico (32 orazioni) e ci mostrano l'oratore calato nei conflitti interni dell'epoca più tormentata per Atene. Tra l'altro, le orazioni più antiche sono quelle “Contro Afobo” e “Contro Onetore”, suoi tutori, condotte nel processo del 364 a.C. per recuperare il proprio patrimonio. Inoltre, alcune orazioni spurie fanno luce su un oratore minore Apollodoro, figlio di Pasione, le cui orazioni sono giunte in questo corpus perché gli antichi le ritenevano scritte da Demostene. Orazioni epidittiche LX-LXI: su questo piccolo gruppo pesano forti sospetti di inautenticità, probabilmente nutriti anche dagli editori antichi. La potenza e il vigore dell’eloquenza demostenica fecero di lui il modello insuperabile, nella tradizione successiva, dell’oratoria politica, ammirato soprattutto per l’impeto veemente e la forza travolgente delle invettive e per la straordinaria abilità nel ricorso al pathos, cioè per la capacità di suscitare intense emozioni e viva commozione. indice lunedì 31 dicembre 12
  • 20. Cicerone: la vita (1) Marco Tullio Cicerone è stato un politico, avvocato e scrittore, tra i maggiori della storia latina, in uno dei suoi momenti più critici: il passaggio dalla repubblica all’impero. Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino, nel basso Lazio, da una famiglia agiata del ceto equestre che però non aveva rappresentanti nella politica senatoria romana. Il padre di Cicerone, desideroso di avere un esponente della propria famiglia nella nobilitas, condusse il ragazzo a Roma per studiare retorica e giurisprudenza. Nell’Urbe il giovane Cicerone fu attratto anche dallo studio della poesia e della filosofia. L’esordio di Cicerone nell’avvocatura risale all’81 a.C., anno in cui egli pronunciò la sua prima orazione, la “Pro Quinctio”, anche se la prima che conteneva anche caratteri politici fu la “Pro Roscio” poiché Cicerone si schierò contro Crisogono, un liberto di Silla (all’epoca dei fatti dittatore). Dopo questo processo, temendo ritorsioni, dal 79 al 77 a.C. fece un viaggio in Grecia ove studiò e perfezionò la retorica grazie ad Apollonio Molone di Rodi. Alla morte di Silla ritornò a Roma. La sua carriera politica inizia nel 75 a.C. quando viene eletto questore e inviato in Sicilia. Lì ricevette molti consensi, al punto che i Siciliani nel 70 a.C. lo vollero come proprio difensore nel processo da loro intentato contro l’ex governatore Verre. Sotto il peso di prove schiaccianti e grazie alla grande abilità oratoria mostrata da Cicerone nelle “Verrinae”, già dalle orazioni preliminari, Verre, anche se difeso da uno dei più importanti oratori dell’epoca, Ortensio Ortalo, rinunciò alla difesa optando per un esilio volontario. Il processo all’ex governatore della Sicilia fu il trampolino di lancio per la carriera politica di Cicerone che dopo aver rivestito le cariche di edile (69) e pretore (66) nel 63 a.C. raggiunse l’apice con il consolato, grazie ai consensi ottenuti dalla nobilitas romana e dal partito degli optimates, assieme ad Antonio Ibrida, a discapito di Catilina, membro della gens Sergia ed esponente dei populares. Quest’ultimo si presentò per le elezioni del 62 a.C. ma per i continui rinvii di Cicerone, fu ancora sconfitto. Non riuscendo a conseguire il suo obiettivo tramite le elezioni, Catilina scelse di raggiungerlo tramite una congiura ai danni dei due consoli. Alcune voci fecero sì che Cicerone venisse a conoscenza del piano dell’esponente dei populares, e il console denunciò le intenzioni di Catilina in senato prima, e al popolo poi, ciò elevò Cicerone a “pater patriae”. Catilina, dopo essersi rifugiato in Etruria, fu ucciso in battaglia a Pistoia; a Roma altri congiurati furono catturati e giustiziati, senza possibilità d’appello per chiedere la grazia al popolo. lunedì 31 dicembre 12
  • 21. Cicerone: la vita (2) Il processo irregolare ai congiurati provocò dissapori tra Cicerone e Cesare e Crasso, che assieme a Pompeo instaurarono il primo triumvirato nel 60 a.C., e nel 58 a.C. fu causa del suo esilio, su proposta del tribuno Clodio Pulcro. Nel 57 a.C. su iniziativa di Pompeo poté tornare a Roma al costo di difendere e sostenere i seguaci e le proposte dei triumviri, avendo così un ruolo secondario sulla scena politica. Avversi al governo dei populares, esponenti della classe senatoria erano soliti scontrarsi per le strade di Roma contro le bande armate dei tribuni. In una di queste occasioni il filo- aristocratico Milone uccise il tribuno della plebe Clodio nel 52 a.C.. Cicerone si propose di difenderlo attraverso la “Pro Milone” ma gli schiamazzi dei sostenitori di Clodio all’esterno del tribunale gli impedirono di pronunciare l’orazione, così Milone fu esiliato. Nel 51 a.C. Cicerone fu inviato in Cilicia quale proconsole e al suo ritorno a Roma si era ormai alla guerra civile tra Cesare e Pompeo. Egli prese le parti di quest’ultimo seguendolo in Grecia. Dopo la vittoria di Cesare tornò nell’Urbe ottenendo il perdono del dittatore tramite la difesa dei partigiani di Pompeo in nome della clemenza di Cesare. La dittatura di Cesare costrinse Cicerone a dedicarsi a trattati filosofici e allontanarsi dalla scena politica, inoltre in questo periodo visse anche momenti personali difficili, dal divorzio dalla moglie Terenzia nel 46 a.C. per sposare la giovane ereditiera Pubilia da cui si separò nuovamente nel 45 a.C., alla morte della figlia Tullia nello stesso anno. L’anno della svolta è il 44 a.C., anno in cui Cesare viene assassinato in una congiura alle idi di marzo. Dopo la morte del dittatore a Roma si prospetta un nuovo scontro per definire il suo erede. I contendenti sono Marco Antonio, ex luogotenente di Cesare, ed Ottaviano, figlio adottivo del dittatore. Quest’ultimo, poco noto alla scena politica romana, adotta posizioni filo- senatoriali, guadagnandosi così l’appoggio di Cicerone. Colui che scrisse anni prima le Catilinariae, tra il 44 e il 43 a.C. pronuncia 14 orazioni “Antonianae” contro Marco Antonio, attirando le ire dell’ex luogotenente su di sé. Queste sono caratterizzate da una tale veemenza nelle accusa che rimandano alle orazioni di Demostene contro Filippo II di Macedonia, infatti sono altrimenti chiamate “Philippicae”. Nonostante il suo impegno a favore di Ottaviano, il giovane, una volta divenuto console - grazie anche all’appoggio di Cicerone - e salito al potere, stringe un patto per istituire il II triumvirato nel 43 a.C. con Marco Antonio e Lepido, ex generale di Cesare. La prima condizione che Marco Antonio pone ad Ottaviano è di inserire Cicerone come primo delle liste di proscrizione, così il 7 dicembre del 43 a.C. viene assassinato a Formia dai sicari di Marco Antonio e la sua testa e le sue mani vengono esposte nel foro come segno di sfregio, ree di aver pensato, detto e scritto le Antonianae. Cicerone nonostante il suo grande ruolo politico, oggigiorno è ricordato maggiormente per le sue orazioni e il suo epistolario, poiché, essendo egli sprovvisto di un esercito in un’epoca in cui potere politico e militare erano strettamente legati, non ebbe il successo che desiderava. lunedì 31 dicembre 12
  • 22. Cicerone: le orazioni politiche Cicerone, uno dei più grandi autori della letteratura latina, scrisse un notevole numero di orazioni destinate ad essere pronunciate in svariati contesti e ad essere pubblicate. Già a venticinque anni sostenne il suo primo discorso (Pro Quinctio). Dopo un anno pronunciò la Pro Roscio Amerino, orazione in cui difendeva Roscio, accusato dell’omicidio del padre da Crisògono, liberto di Silla. Roscio fu assolto. Le orazioni dell’autore latino abbracciano principalmente l’ambito giudiziario e politico. Cicerone fu autore di numerose orazioni deliberative. Tra le più importanti si ricordano le Catilinariae e le Philippicae. Le Catilinariae sono quattro discorsi pronunciati nel 63 a.C. in occasione della scoperta della congiura di Catilina. Tramite la prima orazione, pronunciata in Senato davanti allo stesso Catilina, Cicerone dichiarava al Senato di essere a conoscenza della congiura e invitava Catilina ad abbandonare le sue intenzioni e ad allontanarsi da Roma; la seconda e la terza orazione venivano pronunciate davanti al popolo, rispettivamente, per denunciare la congiura e la malvagità di Catilina e per informare dell’arresto dei congiurati e della fine del pericolo. Nell’ultima orazione, pronunciata in Senato, si discuteva sulla sorte dei congiurati (condanna a morte o ad esilio) e Cicerone si mostrò a favore della pena di morte. Le Philippicae, note anche come “Antonianae”, sono quattordici orazioni pronunciate fra il 44 e il 43 a.C. per far dichiarare Antonio nemico di Roma. La quarta e la sesta orazione furono rivolte al popolo, 11 orazioni furono pronunciate in senato; la seconda orazione non fu mai pronunciata, ma solo successivamente fu pubblicata, in quanto la più violenta fra tutte. lunedì 31 dicembre 12
  • 23. Cicerone: le orazioni giudiziarie indice Cicerone fu autore di numerosi discorsi di genere giudiziario che vennero pronunciati e pubblicati nell’arco di tempo dell’intera sua vita. ne citiamo i principali. Le “Verrinae”, ovvero “discorsi contro Verre”, sono sette orazioni divise in 3 sezioni. La prima orazione è la “Divinatio in Caecilium”, pronunciata nel 70 a.C. con lo scopo di ottenere il diritto di sostenere l’accusa contro Verre, accusato dai siciliani di estorsioni, violenze e soprusi, contrapponendosi a Cecilio, amico di Ortensio Ortalo, difensore di Verre, il quale aveva presentato una falsa accusa, per perdere tempo e aspettare che Ortensio diventasse console e poter difendere Verre. Grazie a questo discorso assunse l’accusa e ottenne 110 giorni di tempo per compiere indagini. La seconda orazione è l’“Actio prima in Verrem”, la prima fase del processo, che spinse Verre a partire in un volontario esilio, in presenza di prove schiaccianti. La terza orazione, “Actio secunda in Verrem”, è costituita da cinque orazioni (mai pronunciate, ma soltanto pubblicate) contenenti la rielaborazione del materiale raccolto durante le indagini in Sicilia. La “Pro Archia” fu pronunciata nel 62 a.C. per difendere il poeta Archia, accusato di avere ottenuto illegalmente il diritto di cittadinanza romana. Cicerone approfittò del discorso per elogiare la poesia e la cultura affermando che, anche se Archia avesse ottenuto la cittadinanza illegalmente, la meriterebbe comunque in quanto poeta. Grazie a questo discorso Archia venne assolto. La Pro Sestio, del 56 a.C., venne pronunciata da Cicerone con lo scopo di difendere Sestio (tribuno che si era adoperato per ottenere il suo ritorno dall’esilio), accusato di aver organizzato bande armate contro Clodio: l’oratore difese l’accusato sostenendo che costui aveva agito per necessità, in quanto lo stato, secondo la propria opinione, era minacciato dai populares. Ne approfittò per lanciare il Consensus omnium bonorum o Concordia ordinum (rispettivamente, Alleanza di tutti i cittadini onesti o Concordia degli ordini) un’alleanza dei cittadini moderati, coalizzati contro i nemici populares in difesa del tradizionale sistema di governo romano. Sestio venne assolto. La Pro Caelio, venne pronunciata nel 56 a.C. per difendere Celio, accusato di aver rubato dei gioielli a Clodia e di aver tentato di avvelenarla. Cicerone manifestò il suo odio verso Clodio, attaccando la sorella Clodia, presentandola come una donna corrotta e dissoluta. Inoltre in questa orazione Cicerone auspica un allentamento degli aspetti più rigorosi del Mos Maiorum, che ormai appare incomprensibile ai giovani. Celio viene assolto. Infine la “Pro Milone”, scritta in difesa di Milone, accusato nel 54 a.C. della morte di Clodio, non fu mai pronunciata in quanto, durante il processo nel Foro, gli schiamazzi della folla impedirono a Cicerone di pronunciare il discorso. Nell’orazione l’autore sostiene la tesi della legittima difesa: Milone non ha premeditato l’omicidio ma ha agito soltanto per difendersi. L’imputato fu costretto all’esilio. la versione che abbiamo fu rivista e pubblicata da Cicerone due anni dopo il processo. lunedì 31 dicembre 12
  • 24. I grandi oratori della storia indice lunedì 31 dicembre 12