1. La retorica
antica
Testo
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Classe IV A Liceo Scientifico
Majorana, Pozzuoli
lunedì 31 dicembre 12
2. indice
la retorica in grecia
I generi della retorica
l’oratoria a roma
le 5 parti della retorica
le parti dell’orazione
lisia
isocrate
demostene
cicerone
I grandi oratori della storia
lunedì 31 dicembre 12
3. Per retorica (dal greco rhetorikè
téchne, “arte del dire”), si intendono
l’arte e la tecnica del parlare e dello
scrivere con efficacia persuasiva,
secondo sistemi di regole espressive
varie a seconda delle epoche e delle
culture.
Essa assunse particolare rilevanza in
età antica, in Grecia e a Roma, dove
venne codificata e trasmessa ai posteri
come sistema di regole e di pratiche.
indice
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4. La retorica in Grecia
L’uso della parola come forma di persuasione in campo politico e giudiziario, è
stato sempre applicato nel mondo greco, ma solo nel V secolo a.C. l’arte oratoria
assunse le sue caratteristiche definitive e finì per specializzarsi nei vari settori.
La retorica nacque a Siracusa, nel contesto delle lotte politiche del V secolo a.C.,
dopo la fine della tirannide di Trasibulo. La diffusione di quest’arte si dovette
alle particolari condizioni economiche, sociali e culturali in cui la Grecia si
trovava e alle condizioni e al tipo di vita che la città-stato consentiva: all’interno
della polis. Infatti il sistema politico e giudiziario quasi obbligavano il cittadino
ad un continuo confronto con la collettività.
Il primo a dare lezioni di eloquenza pare fosse il filosofo Empedocle di Agrigento,
subito imitato dai suoi allievi siracusani Tisia e Corace. Costoro sono considerati i
primi esponenti della retorica siciliana e scrissero numerosi manuali.
Nel corso del secolo, tuttavia, la retorica giunse, dalla Magna Grecia, all’Attica e
ad Atene, grazie al lavoro dei sofisti, tra i quali si distinsero, in particolare,
Gorgia di Leontini e Protagora di Abdera. Questi insegnarono a pagamento la
tecnica del corretto uso della parola e la tecnica dell’antilogia, che è
l’esposizione di due tesi contrapposte, i cosiddetti “dissoi lògoi”; essi aprirono
numerose scuole e cominciarono ad utilizzare le tecniche retoriche non solo nei
tribunali e nelle assemblee pubbliche, ma anche in conferenze pubbliche e
discorsi celebrativi, facendone una vera e propria arte, imparentata in qualche
modo con la poesia.
I due più grandi filosofi dell’antichità, Platone e Aristotele, assegnarono una
funzione rilevante all’attività retorica.
Platone criticò il relativismo dei sofisti, sulla scorta di Socrate, e ne auspicò un
utilizzo dialettico in grado di guidare alla conoscenza del bene; in particolare,
nel dialogo “Gorgia”, auspicò una funzione educativa della retorica, che orienti
l’anima verso la giustizia e la verità. Aristotele, infine, diede un decisivo
contributo alla diffusione delle tecniche retoriche con il suo trattato appunto
sulla “Retorica”, in cui distinse le diverse parti del discorso retorico, indicando
le figure retoriche che abbelliscono e rendono efficace l’elocuzione.
Aristotele Platone
indice
Gorgia
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5. I generi della Retorica
Oratoria Politica
L'oratoria politica riguardava quei discorsi pronunciati per prendere decisioni
politiche, nelle varie riunioni assembleari. I Greci individuarono un oratore di
riferimento per questo genere, quale Demostene: oratore vissuto nel IV secolo
a.C. Sostenitore della politica antimacedone, di cui si ricordano le “Filippiche”,
orazioni indirizzate contro il Re di Macedonia Filippo.
Oratoria Giudiziaria
Iudiciale, è con questo termine che a Roma venivano chiamati i discorsi giudiziari
pronunciati nei tribunali, per difesa o accusa di un imputato. In Grecia non veniva
pronunciato da un avvocato, ma dalla persona stessa impegnata nella causa,
aiutato da un retore professionista (logografo). L’oratore più abile di questo
genere fu Lisia, particolarmente apprezzato per la capacità di immedesimarsi nella
persona per cui scriveva il discorso.
Oratoria Epidittica
L’oratoria epidittica o celebrativa può trattare una vasta varietà di temi. Il
discorso è frutto di una lenta e meditata elaborazione. Spesso i discorsi
rimanevano in forma scritta, mai pronunciati e fatti circolare sotto forma di
opuscoli o pamphlet per una fruizione individuale. Può includere discorsi pubblici
in occasione di cerimonie o festività, sia per commemorare cittadini defunti, sia per
encomiare cittadini benemeriti, oppure per propagandare un’idea di interesse
generale. Campione di questo genere di retorica fu Isocrate, sofista vissuto tra il
indice V-IV secolo a.C. del quale ricordiamo il famoso discorso intitolato “Pace”,
pronunciato in occasione dei giochi olimpici nella stessa Olimpia nel 355 a.C.
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6. L’oratoria a Roma (1ª parte)
L’attività oratoria riveste un ruolo rilevante fin dalle
origini della civiltà romana, sia in campo politico, che in
quello epidittico, con le cosiddette laudationes funebres,
discorsi commemorativi pronunciati durante i funerali dei
grandi personaggi.
Iniziatore della prosa oratoria latina è considerato Appio
Claudio Cieco il quale con un famoso discorso nel 280 a.C.
convinse i Romani a non accettare le condizioni di pace
offerte da Pirro.
La retorica romana nell'età della grande espansione
territoriale è caratterizzata soprattutto dalla preminenza
della figura di Marco Porcio Catone, i cui discorsi sono
caratterizzati da uno stile semplice e conciso e da frasi
taglienti, debitrici dell'influsso greco, tanto attaccato
dalla sua politica conservatrice.
Tuttavia la retorica si diffonde come arte soprattutto
quando, a seguito della battaglia di Pidna del 168 a.C., I
Romani entrarono in più stretto contatto con la cultura
ellenica, restandone fortemente influenzati. Alla fine del
II secolo a.C. infatti le orazioni mostrano una sostanziale
assimilazione delle teorie greche.
Un alto livello viene raggiunto da Marco Antonio e Lucio
Licinio Crasso, che individuano l'importanza dell'arte
retorica nella vasta e raffinata cultura e nello stile
utilizzato, cioè l'elocutio, la capacità di scegliere i termini
per adattarli elegantemente nel testo.
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7. L’oratoria a Roma (2ª parte)
Tra il 150 e il 100 a.C. circa si opposero tra loro le due scuole oratorie nate in
Grecia in età ellenistica, quella asiana e quella atticista.
L'ampollosità caratteristica dello stile asiano fu incarnata dall'oratore Quinto
Ortensio Ortalo, rivale di Cicerone.
Tra gli oratori atticisti, uno dei più importanti fu certamente Cesare, anche se i suoi
discorsi sono andati perduti.
Accanto alla scuola attica e alla scuola asiana, vi era anche una terza scuola
retorica, detta rodiese, dall’isola di Rodi dove viveva il suo fondatore, Apollonio
Molone, che sosteneva una via mediana rispetto alle altre due scuole.
Esponente principale di questa scuola a Roma fu sicuramente
Cicerone, il più grande oratore latino.
Con il passaggio dalla Repubblica all’Impero, la retorica perse la sua
funzione politica e progressivamente diminuì di importanza, pur
rimanendo materia di studio. Molte informazioni sulla pratica e
l'insegnamento della retorica in questo periodo si devono all'opera
di Seneca il Vecchio.
Con la concessione della cittadinanza romana da parte di Cesare ai
maestri delle arti liberali, le scuole di retorica crebbero di numero:
qui i futuri retori dovevano esercitarsi nelle declamationes con tesi
e antitesi.
Queste esercitazioni a loro volta si differenziavano in suasoriae,
nelle quali si immaginava di dover persuadere un personaggio storico
o mitico, e controversiae, che si collocavano sul terreno giudiziario
e prevedevano l'applicazione di un determinato principio legale.
Proprio nei primi anni dell'Impero (I secolo d.C.) visse e operò Marco Fabio
Quintiliano, che teorizzò nella sua “Insitutio Oratoria” il percorso formativo che
doveva seguire un giovane per poter diventare un buon oratore ed essere quindi –
secondo la formula di Catone il Censore – vir bonus dicendi peritus. Inoltre il
trattato sviluppa anche una serie di considerazioni sulla tecnica e la composizione: la
classificazione dei generi del discorso, le cinque fasi della composizione
indice (inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio), le caratteristiche morali e culturali
che deve avere un buon oratore, il rapporto che il retore deve intrattenere con i
politici.
Oltre a Quintiliano altri retori ebbero una certa rilevanza in età imperiale, come
Publio Rutilio Lupo, Asinio Gallio, Larcio Licinio e Domizio Afro.
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8. Le cinque parti della retorica
Un’orazione retorica viene codificata in 5 parti.
Le prime tre consistono nella realizzazione e organizzazione del
discorso e sono:
- Inventio: trovare gli argomenti del discorso, sostenendo una
tesi;
- Dispositio: organizzare e dare un ordine agli argomenti;
- Elocutio: scegliere lessico e stile del discorso.
Le ultime due attengono alla fase di esposizione e sono:
- Memoria: imparare a memoria il discorso attraverso particolari
tecniche;
- Actio: recitazione del discorso mediante cambiamenti di tonalità
della voce e ricorrendo ad una gestualità enfatica.
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9. L’inventio
L’inventio caratterizza la via scelta dall’oratore per trovare gli argomenti per il suo discorso,
sia che egli intenda convincere (fidem facere), sia che invece voglia scuotere gli animi dei suoi
ascoltatori (animos impellere).
Se il retore sceglie la prima strada, deve trovare le “prove” con cui spingere il pubblico a
sostenere la propria tesi. Tali prove possono essere extra-tecniche (sono le testimonianze, le
confessioni, le sentenze precedentemente emesse dal tribunale, e così via) oppure, ben più
importanti, possono derivare dalla capacità argomentativa dell’oratore.
n questo secondo caso vengono suddivise in exempla (ricavate per via induttiva) ed in argumenta
(per via deduttiva): gli argumenta si fondano principalmente sulla forma logica del sillogismo,
concepito non per condurre il pubblico al vero, quanto piuttosto al verisimile.
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10. La Dispositio
La dispositio é l’arte di collocare al posto più opportuno ciascuno dei termini che andranno
a costituire il discorso, seguendo schemi studiati appositamente per evidenziare e
nascondere a seconda della volontà dell’oratore stesso. Secondo Aristotele
la dispositio si può suddividere in quattro parti: la prima e l’ultima – rispettivamente
esordio ed epilogo – devono far leva sui sentimenti del pubblico, mentre le due parti
intermedie, dette narratio (il momento espositivo) e confirmatio (dove l’oratore mostra
veritiere le proprie prove), devono far leva sulla razionalità.
L’esordio del discorso viene lasciato arbitrario e può essere a sua volta suddiviso nei
momenti distinti della captatio benevolentiae, in cui l’oratore cerca di accattivarsi le
simpatie degli ascoltatori, e partitio, ovvero esposizione succinta dei temi che si andranno a
trattare in seguito.
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11. L’Elocutio
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Nell’elocutio i temi trovati e gli schemi scelti devono essere “trasformati in parole” per
dar vita all’orazione vera e propria. Aristotele non dà peso eccessivo a questo momento, che
invece, ripreso ed ampliato da Gorgia, divenne poi il cuore della retorica stessa.
Di nuovo possiamo suddividere l’elocutio in electio, cioè la scelta delle parole,
e compositio, cioè riunire le parole scelte in modo da comporre il periodare. Il momento
dell’electio sottintende che ogni vocabolo possa essere sostituito da un altro più
opportuno. Gli strumenti a disposizione dell’oratore per realizzare questo scarto
sono tropi, cioè “svolte” di espressioni da un contenuto ad un altro, per creare un effetto
di straniamento (come accade per perifrasi, sineddoche, iperbole, metonimia e metafora),
oppure figure, ripartite in figure di pensiero (antitesi, ossimoro, chiasmo, similitudine,
allegoria o apostrofe) e figure di parola (climax, anafora, endiadi, asindoto, anastrofe,
iperbato).
Il momento della compositio, infine, consiste nell’inserire correttamente le parole scelte
nella cornice della frase: l’oratore può optare per una costruzione geometrica, preferita
da Cicerone, in cui il periodare viene ripartito in uno schema composto da commi (battute) e
colon (membri), oppure per quella dinamica, preferita da Tacito.
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12. Le parti dell’Orazione (1)
exordium narratio argumentatio peroratio
1. EXORDIUM
L'exordium è la parte che apre l'orazione, in cui viene esposto l'oggetto di cui ci si intende
occupare. Il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico (captatio benevolentiae) e
annunciare le ripartizioni che si stanno per adottare nello svolgimento dell'orazione (partitio).
Inoltre, è importante rendere subito nota la struttura dell'orazione e l'ordine degli argomenti,
così da rendere il pubblico partecipe dei termini del discorso ed evitare che sembri troppo lungo.
2. NARRATIO
La narratio è il resoconto succinto, chiaro e verisimile dei fatti che vengono affrontati, così che
sia funzionale all'argomentazione. Due sono i generi di disposizione dei contenuti: l'ordo
naturalis, che segue lo svolgimento logico e cronologico degli eventi, e l'ordo artificialis,
orientato più alla resa estetica tramite l'uso di figure retoriche, digressioni e altri procedimenti
stilistici. Quest'ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del tempo per
assecondare le esigenze della situazione e dell'argomento.
Nell'esposizione dei fatti è inoltre necessario perseguire quello che è il «giusto mezzo», non
essere troppo prolissi ma nemmeno tanto brevi da tralasciare qualcosa di importante. Bisogna poi
ricordare che è essenziale la verosimiglianza dei fatti, i quali devono essere attendibili e devono
essere disposti in maniera tale da assolvere alle tre funzioni della retorica: docere, movere e
delectare.
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13. Le parti dell’Orazione (2)
exordium narratio Argumentatio peroratio
3. ARGUMENTATIO
l’argumentatio è il cuore del discorso persuasivo, il resoconto delle prove a sostegno della
tesi, che può prevedere anche un affondo contro le tesi avversarie.
La sua struttura interna si compone di due parti: propositio e confirmatio, a cui può seguire una
terza, l'altercatio.
La propositio è una definizione ristretta della causa (o delle cause) da dibattere, subito seguita
dalla confirmatio, l'elenco delle ragioni a favore, dapprima quelle più forti, in seguito le più
deboli e infine le più forti in assoluto. Talvolta la confirmatio può essere interrotta
dall'intervento di un avversario, come ad esempio un avvocato di parte opposta: in questo caso si
parla di altercatio, un dialogo serrato tra il retore e il suo avversario.
4. PERORATIO
la peroratio è la parte conclusiva dell'orazione, e si muove su due livelli: riprende e riassume
le cose dette (enumeratio e rerum repetitio), tocca le corde dei sentimenti (ratio posita in
affectibus). Da un lato, il retore deve concludere dando un'idea d'insieme di quanto è stato
detto e sostenuto, richiamando alla memoria i punti fondamentali; dall'altro, ha luogo la
perorazione vera e propria, che fa leva sui sentimenti dell'uditorio ricorrendo a
dei loci prestabiliti.
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14. I MODELLI: LISIA (1)
la vita
Lisia nasce ad Atene nel 445 a.C. Dopo la morte di suo padre nel
430 a.C, si trasferì in Magna Grecia nella colonia di Thurii,
accompagnato dal fratello Polemarco. Poi però, dopo il
disastro Ateniese avvenuto in Sicilia durante la guerra del
Peloponneso, nel 413 a.C, Lisia ritornò nella sua città
d'origine e si dedicò alla retorica.
Quando al potere c'erano i 30 Tiranni, Lisia dovette rifugiarsi a
Megara perchè accusato di cospirazione. Insieme a lui fu
incolpato anche il fratello, il quale fu poi ucciso, per questo
motivo. Il vero motivo per cui i due fratelli erano stati
accusati, era però un altro. Infatti i Trenta Tiranni, fecero ciò
solo perchè volevano confiscare i loro beni.
Quando salì al potere Trasibulo, nel 403 a.C., Lisia potè
tornare ad Atene. Qui cercò di riprendersi i beni che gli erano
stati tolti e anche di ottenere la cittadinanza, ma questo non
fu possibile, anche se Trasibulo aveva chiesto all'assemblea di
concedergliela poichè l'oratore aveva finanziato un esercito di
300 mercenari per combattere i Trenta. Per tale motivo a circa
sessanta anni, Lisia si dedicò all'attività di logografo, che era
colui che a pagamento, scriveva orazioni giudiziare per conto di
altri. Difatti in quel periodo ad Atene le persone non potevano
essere difese in tribunale da qualcun altro, ma dovevano
difendersi o dovevano accusare un imputato da sole.
Anche per la fama guadagnatosi con questa attività ottenne
infine la cittadinanza ateniese grazie all’appoggio di trasibulo,
ma questa concessione fu poi annullata per vizio di forma e gli
fu riconosciuta soltanto un’esenzione sulle tasse da pagare.
Morì verso il 380.
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15. I MODELLI: LISIA (2)
A Lisia furono attribuite 425 orazioni, ma di queste solo 323 furono ritenute effettivamente sue
già nell’antichità. Nel corso del tempo ci è giunto un corpus di circa 30 orazioni e, oltre a queste,
alcuni frammenti.
Le sue orazioni appartenevano tutte al genere giudiziario, lette cioè in tribunale per accusare o
difendere un imputato.
Solo due tra quelle del suo corpus erano di genere epidittico, ovvero l'Olimpico e l'Epitafio.
Per Lisia la cosa più importante era quella di mettere in primo piano le ragioni del suo committente
e di far coincidere lo stile dell’argomentazione con il carattere e la personalità del suo cliente.
Questo richiama il principio greco dell’etopea, dal grego ethopoiìa, che significa rappresentazione
del carattere.
Le varie orazioni trattano temi diversi, in base alle varie cause che vengono presentate a Lisia.
Queste possono essere: peculato, tradimento, corruzione, inadempienza agli obblighi militari,
sacrilegio, diffamazione, ecc..
Tra le molteplici ricordiamo: Per l'invalido (scritta per un cliente di modesta estrazione sociale
che rivendicava una pensione), Per l'uccisione di Eratostene (scritta sulla legittimità
dell’omicidio in un caso di flagrante adulterio), Contro i mercanti di grano (testimonianza molto
importante per la ricostruzione della storia economica), Per l'olivo sacro, Per il soldato e
Contro Diogitone.
All’interno del Corpus Lisiano ci sono soltanto due orazioni di tipo politico e sono: Contro
Eratostene (da non confondere con quello di cui si parla nell’orazione sulla sua uccisione), che è
una requisitoria drammatica contro il regime dei Trenta Tiranni ed è l’unica pronunciata dallo
stesso autore; Contro Agorato, che era un emissario degli oligarchi, il quale aveva provocato la
morte di alcuni esponenti del partito democratico.
Le orazioni di Lisia seguivano sempre la stessa struttura: prefazione, esposizione del fatto,
presentazione delle testimonianze e epilogo.
La lingua da lui usata è un dialetto attico molto semplice e puro. Il logografo dimostrò ai suoi
tempi, e con il passare degli anni, di avere una grande padronanza di stile ed è stato un punto di
riferimento essenziale per tutta la prosa successiva, in particolare per l’ellenismo e l’atticismo.
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16. i modelli: isocrate (1)
la vita
Nato nel 436 in una famiglia agiata, Isocrate ricevette una ferrea educazione, seguendo le
lezioni dei sofisti Gorgia e Prodico; ancor giovane fu però costretto a svolgere per un
decennio la professione di logografo a causa dei dissesti finanziari della famiglia durante
la guerra del Peloponneso. Testimonianza di questa attività sono sei discorsi giudiziari
datati tra il 400 a.C. e il 390 a.C. .
Isocrate si sentì in primo luogo "Pedagogo", impegnato nella formazione culturale del
cittadino di livello elevato, e pretese di essere considerato filosofo; quindi rinnegò
l'appellativo di retore (nonostante l'attività di logografo). I suoi testi coprono l'arco di
quasi un secolo: dallo splendore di Pericle all'ascesa di Filippo II di Macedonia.
Nel 390 a.C. aprì una scuola la cui importanza fu analoga all'Accademia di Platone. Con
quest'ultimo, nonostante la diversità di punti di vista, Isocrate condivideva alcune
concezioni:
- coltivavano una profonda ammirazione per Socrate, ma fastidio per i Sofisti, che
ritenevano si vendessero per denaro;
- erano convinti che l'educazione base fosse quella dell'etica sociale;
- mostravano sfiducia nella democrazia ateniese contemporanea, sulla base degli esiti da
essa conseguiti alla fine del V secolo a.C.;
- provavano spiccato interesse per la forma scritta e per lo stile;
- programmavano di insegnare filosofia e proporre idee.
La fama di Isocrate e della sua scuola fu grande in tutta l'Ellade. Egli si proponeva di
istruire i propri allievi alla vita pubblica attraverso lo studio della retorica, intesa
quale disciplina principe tra le arti, l'unica in grado di far sviluppare le doti necessarie
per avere successo nella vita.
Convinto sostenitore dell'importanza centrale di Atene e della sua democrazia nella
politica greca, si fece promotore di una politica panellenica che prevedesse la
collaborazione delle diverse poleis greche raccolte sotto la guida di Atene, così da
opporsi all'esercito persiano. Atene, inoltre, avrebbe dovuto svolgere un importante ruolo
civilizzatore presso le altre città greche, favorendo lo sviluppo di nuove società
democratiche. Le sue speranze furono però deluse nel 338 a.C. quando, al termine
della battaglia di Cheronea, la Grecia perse la propria indipendenza. Ormai
ultranovantenne e affetto da vari mali, Isocrate si lasciò morire di inedia.
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17. i modelli: isocrate (2)
le opere
Il corpus isocrateo, così come ci viene tramandato dalla tradizione, riporta
oltre 60 titoli di orazioni. Al giorno d'oggi, sopravvivono solo ventuno
orazioni, delle quali
6 appartengono al genere giudiziario (le orazioni XVI-XXI)
14 sono di genere epidittico (in ordine di datazione):
1.
Encomio di Elena (successiva al 390 a.C. circa)
2. Busiride
3. Contro i Sofisti
4.
Panegirico (380 a.C.)
5.
Plataico (371 a.C.)
6.
Evagora (tra il 370 e il 364 a.C.)
7.
Nicocle (368 a.C.)
8.
A Nicocle (370 a.C.)
9.
Archidamo (364 a.C.)
10.
Sulla pace (355 a.C.)
11. Areopagitico
12.
Antidosi (di poco successivo al 354 a.C.)
13.
Filippo (346 a.C.)
14.
Panatenaico (339 a.C.)
infine, lo scritto A Demonico è riconosciuto spurio.
Lo stesso Isocrate ci informa che le sue orazioni epidittiche furono scritte per
essere studiate dai discepoli della sua scuola: il retore infatti non pronunciò
mai in pubblico tali orazioni, a causa della timidezza. Isocrate inoltre spese
gran parte delle energie a rivedere i propri scritti, avendo sempre di mira la
perfezione stilistica, la scorrevolezza e l'intensità emotiva: il risultato è una
prosa elegante, temperata e sintatticamente corretta, scorrevole alla lettura,
ma tuttavia monocorde, e carente delle coloriture tanto apprezzate in altri
retori e scrittori.
Egli offriva inoltre insegnamenti filosofici solo a chi ne avesse
predisposizione, cioè a chi avesse l'ardire di parlare di fronte a una folla e indice
fosse in grado di apprendere dal maestro un sistema di idee. Attraverso le idee,
infatti, si forma il discorso politico, che aiuta a formare i caratteri. Il corso
durava in media tre, quattro anni e l'insegnamento principale era la filosofia:
l'oratoria e la filosofia permettevano di esprimersi in modo elevato.
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18. i modelli: demostene (1)
la vita
Demostene nacque ad Atene da una facoltosa famiglia nel 384 a. C. e
si cimentò presto nell'eloquenza giudiziaria contro i tutori che lo
avevano derubato del patrimonio paterno. In seguito si dedicò
all'attività di logografo ottenendo un discreto successo ma
soprattutto la fama necessaria per cimentarsi nelle orazioni
pubbliche.
Sulle simmorie è la prima delle demegorie di Demostene a noi giunte e
risale al 354. In quest'orazione esprime già le proprie posizioni in
merito alla migliore condotta da tenere in ambito di politica estera,
riferendosi alla necessità della creazione di una flotta come
strumento di dissuasione da azioni di guerra contro la città. La
proposta fu bocciata per opera del suo oppositore Eubulo,
filomacedone, come ancora accadde poi in occasione della prima delle
4 Filippiche e in occasione delle 3 Olintiache.
Nella prima Filippica ancora esortava la cittadinanza a costruire una
flotta, mentre nelle Olintiache promuoveva un intervento armato
per sostenere la città di Olinto assediata dai macedoni. La seconda
Filippica consiste in una denuncia delle componenti filospartane e
filomacedoni della città. La terza Filippica è un compendio delle idee
di Demostene e una denuncia delle mire espansionistiche di Filippo. La
quarta Filippica, non attribuibile a lui, è una raccolta di più brani di
Demostene. Nel 338 partecipò alla battaglia di Cheronea, da cui fu
costretto a fuggire per avere salva la vita.
Nel 330 Ctesifonte propose di incoronare Demostene per meriti verso
la patria, ma Eschine, del partito di Eubulo, si oppose. Nel processo
Demostene pronunciò la sua orazione ‘’Per la corona’’, difendendo la
propria condotta e attribuendo la sventura alla sorte. Fu poi
coinvolto nella vicenda del tesoro di Arpalo e costretto a fuggire.
Dopo la morte di Alessandro del 323 ritornò ad Atene per tentare di
risollevarla, ma il macedone Antipatro si impadronì della città.
Demostene fu inseguito dai soldati del generale macedone e si suicidò
nell’isola di Calauria.
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19. i modelli: demostene (2)
Le 61 orazioni pervenute si possono dividere in gruppi tematici.
Discorsi assembleari
I-XVII: detti anche, con termine greco, demegorie (demos "popolo" + agoreuo
"parlare"), coprono un arco di tempo che va dall'esordio di Demostene nel 354°.C.
con l'orazione ‘’Sulle simmorie’’, su un progetto di riforma della flotta, al 336 a.C.
quando l'oratore si scagliò contro una presunta violazione macedone dei patti
stipulati da Alessandro con Atene.
Discorsi giudiziari
XVIII-XXVI: tra questi otto discorsi, va ricordato quello celeberrimo ‘’Sulla
corona’’ dove Demostene ribatte alle accuse con una sorta di autobiografia politica
che è al tempo stesso un appassionato atto di fede verso la patria.
Discorsi privati
XXVII-LIX: costituiscono il gruppo più nutrito del corpus demostenico (32 orazioni)
e ci mostrano l'oratore calato nei conflitti interni dell'epoca più tormentata per
Atene. Tra l'altro, le orazioni più antiche sono quelle “Contro Afobo” e “Contro
Onetore”, suoi tutori, condotte nel processo del 364 a.C. per recuperare il proprio
patrimonio. Inoltre, alcune orazioni spurie fanno luce su un oratore minore
Apollodoro, figlio di Pasione, le cui orazioni sono giunte in questo corpus perché
gli antichi le ritenevano scritte da Demostene.
Orazioni epidittiche
LX-LXI: su questo piccolo gruppo pesano forti sospetti di inautenticità,
probabilmente nutriti anche dagli editori antichi.
La potenza e il vigore dell’eloquenza demostenica fecero di lui il modello
insuperabile, nella tradizione successiva, dell’oratoria politica, ammirato
soprattutto per l’impeto veemente e la forza travolgente delle invettive e per la
straordinaria abilità nel ricorso al pathos, cioè per la capacità di suscitare
intense emozioni e viva commozione.
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20. Cicerone: la vita (1)
Marco Tullio Cicerone è stato un politico, avvocato e scrittore, tra i maggiori della storia
latina, in uno dei suoi momenti più critici: il passaggio dalla repubblica all’impero.
Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino, nel basso Lazio, da una famiglia agiata del ceto
equestre che però non aveva rappresentanti nella politica senatoria romana. Il padre di
Cicerone, desideroso di avere un esponente della propria famiglia nella nobilitas,
condusse il ragazzo a Roma per studiare retorica e giurisprudenza. Nell’Urbe il giovane
Cicerone fu attratto anche dallo studio della poesia e della filosofia.
L’esordio di Cicerone nell’avvocatura risale all’81 a.C., anno in cui egli pronunciò la sua
prima orazione, la “Pro Quinctio”, anche se la prima che conteneva anche caratteri politici
fu la “Pro Roscio” poiché Cicerone si schierò contro Crisogono, un liberto di Silla
(all’epoca dei fatti dittatore). Dopo questo processo, temendo ritorsioni, dal 79 al 77 a.C.
fece un viaggio in Grecia ove studiò e perfezionò la retorica grazie ad Apollonio Molone di
Rodi. Alla morte di Silla ritornò a Roma.
La sua carriera politica inizia nel 75 a.C. quando viene eletto questore e inviato in Sicilia.
Lì ricevette molti consensi, al punto che i Siciliani nel 70 a.C. lo vollero come proprio
difensore nel processo da loro intentato contro l’ex governatore Verre. Sotto il peso di
prove schiaccianti e grazie alla grande abilità oratoria mostrata da Cicerone nelle
“Verrinae”, già dalle orazioni preliminari, Verre, anche se difeso da uno dei più importanti
oratori dell’epoca, Ortensio Ortalo, rinunciò alla difesa optando per un esilio volontario.
Il processo all’ex governatore della Sicilia fu il trampolino di lancio per la carriera
politica di Cicerone che dopo aver rivestito le cariche di edile (69) e pretore (66) nel 63
a.C. raggiunse l’apice con il consolato, grazie ai consensi ottenuti dalla nobilitas romana
e dal partito degli optimates, assieme ad Antonio Ibrida, a discapito di Catilina, membro
della gens Sergia ed esponente dei populares.
Quest’ultimo si presentò per le elezioni del 62 a.C. ma per i continui rinvii di Cicerone, fu
ancora sconfitto. Non riuscendo a conseguire il suo obiettivo tramite le elezioni,
Catilina scelse di raggiungerlo tramite una congiura ai danni dei due consoli. Alcune voci
fecero sì che Cicerone venisse a conoscenza del piano dell’esponente dei populares, e il
console denunciò le intenzioni di Catilina in senato prima, e al popolo poi, ciò elevò
Cicerone a “pater patriae”. Catilina, dopo essersi rifugiato in Etruria, fu ucciso in
battaglia a Pistoia; a Roma altri congiurati furono catturati e giustiziati, senza possibilità
d’appello per chiedere la grazia al popolo.
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21. Cicerone: la vita (2)
Il processo irregolare ai congiurati provocò dissapori tra Cicerone e Cesare e Crasso, che
assieme a Pompeo instaurarono il primo triumvirato nel 60 a.C., e nel 58 a.C. fu causa del suo
esilio, su proposta del tribuno Clodio Pulcro. Nel 57 a.C. su iniziativa di Pompeo poté tornare a
Roma al costo di difendere e sostenere i seguaci e le proposte dei triumviri, avendo così un
ruolo secondario sulla scena politica.
Avversi al governo dei populares, esponenti della classe senatoria erano soliti scontrarsi per
le strade di Roma contro le bande armate dei tribuni. In una di queste occasioni il filo-
aristocratico Milone uccise il tribuno della plebe Clodio nel 52 a.C.. Cicerone si propose di
difenderlo attraverso la “Pro Milone” ma gli schiamazzi dei sostenitori di Clodio all’esterno
del tribunale gli impedirono di pronunciare l’orazione, così Milone fu esiliato.
Nel 51 a.C. Cicerone fu inviato in Cilicia quale proconsole e al suo ritorno a Roma si era ormai
alla guerra civile tra Cesare e Pompeo. Egli prese le parti di quest’ultimo seguendolo in Grecia.
Dopo la vittoria di Cesare tornò nell’Urbe ottenendo il perdono del dittatore tramite la difesa
dei partigiani di Pompeo in nome della clemenza di Cesare. La dittatura di Cesare costrinse
Cicerone a dedicarsi a trattati filosofici e allontanarsi dalla scena politica, inoltre in questo
periodo visse anche momenti personali difficili, dal divorzio dalla moglie Terenzia nel 46 a.C.
per sposare la giovane ereditiera Pubilia da cui si separò nuovamente nel 45 a.C., alla morte
della figlia Tullia nello stesso anno.
L’anno della svolta è il 44 a.C., anno in cui Cesare viene assassinato in una congiura alle idi di
marzo. Dopo la morte del dittatore a Roma si prospetta un nuovo scontro per definire il suo
erede. I contendenti sono Marco Antonio, ex luogotenente di Cesare, ed Ottaviano, figlio
adottivo del dittatore. Quest’ultimo, poco noto alla scena politica romana, adotta posizioni filo-
senatoriali, guadagnandosi così l’appoggio di Cicerone.
Colui che scrisse anni prima le Catilinariae, tra il 44 e il 43 a.C. pronuncia 14 orazioni
“Antonianae” contro Marco Antonio, attirando le ire dell’ex luogotenente su di sé. Queste sono
caratterizzate da una tale veemenza nelle accusa che rimandano alle orazioni di Demostene
contro Filippo II di Macedonia, infatti sono altrimenti chiamate “Philippicae”. Nonostante il suo
impegno a favore di Ottaviano, il giovane, una volta divenuto console - grazie anche all’appoggio
di Cicerone - e salito al potere, stringe un patto per istituire il II triumvirato nel 43 a.C. con
Marco Antonio e Lepido, ex generale di Cesare. La prima condizione che Marco Antonio pone ad
Ottaviano è di inserire Cicerone come primo delle liste di proscrizione, così il 7 dicembre del 43
a.C. viene assassinato a Formia dai sicari di Marco Antonio e la sua testa e le sue mani vengono
esposte nel foro come segno di sfregio, ree di aver pensato, detto e scritto le Antonianae.
Cicerone nonostante il suo grande ruolo politico, oggigiorno è ricordato maggiormente per le
sue orazioni e il suo epistolario, poiché, essendo egli sprovvisto di un esercito in un’epoca in cui
potere politico e militare erano strettamente legati, non ebbe il successo che desiderava.
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22. Cicerone: le orazioni politiche
Cicerone, uno dei più grandi autori della letteratura latina, scrisse un notevole numero
di orazioni destinate ad essere pronunciate in svariati contesti e ad essere pubblicate.
Già a venticinque anni sostenne il suo primo discorso (Pro Quinctio). Dopo un anno
pronunciò la Pro Roscio Amerino, orazione in cui difendeva Roscio, accusato
dell’omicidio del padre da Crisògono, liberto di Silla. Roscio fu assolto.
Le orazioni dell’autore latino abbracciano principalmente l’ambito giudiziario e politico.
Cicerone fu autore di numerose orazioni deliberative. Tra le più importanti si
ricordano le Catilinariae e le Philippicae.
Le Catilinariae sono quattro discorsi pronunciati nel 63 a.C. in occasione della
scoperta della congiura di Catilina. Tramite la prima orazione, pronunciata in Senato
davanti allo stesso Catilina, Cicerone dichiarava al Senato di essere a conoscenza della
congiura e invitava Catilina ad abbandonare le sue intenzioni e ad allontanarsi da Roma;
la seconda e la terza orazione venivano pronunciate davanti al popolo, rispettivamente,
per denunciare la congiura e la malvagità di Catilina e per informare dell’arresto dei
congiurati e della fine del pericolo. Nell’ultima orazione, pronunciata in Senato, si
discuteva sulla sorte dei congiurati (condanna a morte o ad esilio) e Cicerone si mostrò
a favore della pena di morte.
Le Philippicae, note anche come “Antonianae”, sono quattordici orazioni pronunciate
fra il 44 e il 43 a.C. per far dichiarare Antonio nemico di Roma. La quarta e la sesta
orazione furono rivolte al popolo, 11 orazioni furono pronunciate in senato; la
seconda orazione non fu mai pronunciata, ma solo successivamente fu pubblicata, in
quanto la più violenta fra tutte.
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23. Cicerone: le orazioni giudiziarie indice
Cicerone fu autore di numerosi discorsi di genere giudiziario che vennero pronunciati e pubblicati
nell’arco di tempo dell’intera sua vita. ne citiamo i principali.
Le “Verrinae”, ovvero “discorsi contro Verre”, sono sette orazioni divise in 3 sezioni.
La prima orazione è la “Divinatio in Caecilium”, pronunciata nel 70 a.C. con lo scopo di ottenere il
diritto di sostenere l’accusa contro Verre, accusato dai siciliani di estorsioni, violenze e soprusi,
contrapponendosi a Cecilio, amico di Ortensio Ortalo, difensore di Verre, il quale aveva presentato
una falsa accusa, per perdere tempo e aspettare che Ortensio diventasse console e poter difendere
Verre. Grazie a questo discorso assunse l’accusa e ottenne 110 giorni di tempo per compiere
indagini.
La seconda orazione è l’“Actio prima in Verrem”, la prima fase del processo, che spinse Verre a
partire in un volontario esilio, in presenza di prove schiaccianti.
La terza orazione, “Actio secunda in Verrem”, è costituita da cinque orazioni (mai pronunciate, ma
soltanto pubblicate) contenenti la rielaborazione del materiale raccolto durante le indagini in
Sicilia.
La “Pro Archia” fu pronunciata nel 62 a.C. per difendere il poeta Archia, accusato di avere
ottenuto illegalmente il diritto di cittadinanza romana. Cicerone approfittò del discorso per
elogiare la poesia e la cultura affermando che, anche se Archia avesse ottenuto la cittadinanza
illegalmente, la meriterebbe comunque in quanto poeta. Grazie a questo discorso Archia venne
assolto.
La Pro Sestio, del 56 a.C., venne pronunciata da Cicerone con lo scopo di difendere Sestio (tribuno
che si era adoperato per ottenere il suo ritorno dall’esilio), accusato di aver organizzato bande
armate contro Clodio: l’oratore difese l’accusato sostenendo che costui aveva agito per necessità,
in quanto lo stato, secondo la propria opinione, era minacciato dai populares. Ne approfittò per
lanciare il Consensus omnium bonorum o Concordia ordinum (rispettivamente, Alleanza di tutti i
cittadini onesti o Concordia degli ordini) un’alleanza dei cittadini moderati, coalizzati contro i
nemici populares in difesa del tradizionale sistema di governo romano. Sestio venne assolto.
La Pro Caelio, venne pronunciata nel 56 a.C. per difendere Celio, accusato di aver rubato dei
gioielli a Clodia e di aver tentato di avvelenarla. Cicerone manifestò il suo odio verso Clodio,
attaccando la sorella Clodia, presentandola come una donna corrotta e dissoluta. Inoltre in
questa orazione Cicerone auspica un allentamento degli aspetti più rigorosi del Mos Maiorum, che
ormai appare incomprensibile ai giovani. Celio viene assolto.
Infine la “Pro Milone”, scritta in difesa di Milone, accusato nel 54 a.C. della morte di Clodio, non
fu mai pronunciata in quanto, durante il processo nel Foro, gli schiamazzi della folla impedirono a
Cicerone di pronunciare il discorso. Nell’orazione l’autore sostiene la tesi della legittima difesa:
Milone non ha premeditato l’omicidio ma ha agito soltanto per difendersi. L’imputato fu costretto
all’esilio. la versione che abbiamo fu rivista e pubblicata da Cicerone due anni dopo il processo.
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