Una rassegna state of art dell'opzione biochar come proposta per un ammendante carbon-balance compliant
di Francesco Vaccari IBIMET CNR
Istituto di Biometeorologia
f.vaccari@ibimet.cnr.it
Dopo la Green Revolution siamo di fronte alla Black Revolution? Il biochar una nuova rivoluzione nell’agricoltura
1. Dopo la Green Revolution siamo di fronte alla Black Revolution?
Il biochar una nuova rivoluzione nell’agricoltura
Francesco Primo Vaccari
Istituto di Biometeorologia (IBIMET)
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Via G. Caproni, 8
50139 Firenze
email f.vaccari@ibimet.cnr.it
tel. 0553033711
fax 055308910
Premessa
Dal 2009 un nuovo concetto è stato proposto come soluzione per la sicurezza alimentare globale e
limitare gli impatti ambientali dell'agricoltura, la “sustainable intensification” o “intensificazione
sostenibile”. La Royal Society(1) britannica ha definito l’intensificazione sostenibile come quel
processo produttivo agricolo dove i rendimenti delle colture agricole sono aumentate limitando
l’impatto ambientale dell’agricoltura. Il concetto prevede di non espandere l’agricoltura su nuovi
terreni e coinvolge tutti i settori produttivi per promuovere tecniche e tecnologie a più basso impatto
ambientale perseguendo allo stesso tempo l’incremento delle rese agricole. L’intensificazione
sostenibile è una possibile risposta alla dichiarazione FAO del 2008, dove si afferma che la
produzione alimentare globale deve essere raddoppiata per nutrire una popolazione mondiale che
raggiungerà i 9 miliardi nel 2050.
Il biochar o carbone vegetale è uno dei fattori che contribuirebbe all’intensificazione sostenibile in
quanto contribuisce all’incremento del carbonio nel suolo, coniugando l’incremento di fertilità e gli
effetti ammendanti con la produzione di energia rinnovabile. Questi aspetti stanno aprendo
interessanti prospettive sul ruolo che l’agricoltura potrebbe svolgere nella mitigazione dei
cambiamenti climatici e nell’apertura all’agricoltura del mercato dei crediti di carbonio.
(1)
Royal Society of London 2009. Reaping the Benefits: Science and the Sustainable Intensification of Global Agriculture (Royal Society,
London, 2009).
Introduzione
L’utilizzo del biochar in agricoltura è conosciuto da moltissimo tempo, come dimostrano i
ritrovamente archeologici in Amazzonia, ma è dai primi anni del 2000 che l’interesse sul biochar,
come ammendante e fertilizzante, cresce in modo esponenziale prima nel mondo scientifico e in
seguito in quello applicativo. Nonostante gli aspetti incoraggianti dall’uso del biochar in agricoltura,
restano ancora alcuni aspetti che devono essere studiati e approfonditi, per garantire sicurezza e
sostenibilità all’utilizzo del biochar in agricoltura e in particolare quella italiana. In quest’articolo si
presentano alcune esperienze di ricerca dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle
Ricerche (IBIMET – CNR) che è stata la prima istituzione scientifica che ha avviato sperimentazioni in
campo proprio per comprendere se “l’opzione biochar” possa essere applicata anche in Italia.
Biochar: dall’Amazzonia all’Emilia Romagna
Nell'Amazzonia brasiliana sono stati scoperti numerosi siti, dove il suolo presentava caratteristiche
assolutamente diverse dai terreni adiacenti, nonostante la mineralogia e la tessitura fossero le stesse.
Accanto ai suoli molto alterati, tipici della foresta amazzonica di colore rosso e poco fertili, gli
archeologi hanno scoperto dei suoli di colore nero, con un pH alcalino e particolarmente fertili,
denominati Terra Preta do Indios (Figura 1).
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2. Figura 1 Terra Preta do Indios (tratto da http://www.philipcoppens.com/terrapreta.html)
Questi suoli sono caratterizzati da un alto contenuto in materiale carbonioso, oltre settanta volte in
più dei suoli circostanti, derivanti dall’interramento, da parte delle popolazioni indigene in migliaia
di anni, dei residui carboniosi di fuochi. Anche secondo gli agricoltori locali le Terre Nere
amazzoniche sono molto più fertili dei terreni circostanti, dovuti alla ricchezza in carbonio, che
persiste anche dopo molti secoli.
Anche in Italia abbiamo esempi di suoli analoghi alle Terra Preta do Indios, rappresentati dalle
cosiddette TerreMare, antichi villaggi dell'età del bronzo dell'Emilia Romagna, lungo l’asse fluvale
del Po. Il nome TerraMare deriva dal dialetto emiliano che significa “terra grassa” con riferimento al
colore scuro. Nell'Ottocento i depositi delle TerraMare furono per la massima parte distrutte dalla
attività estrattiva per il recupero del terriccio, venduto come concime. Una delle TerraMare più
rappresentativa, oggi parco archeologico, è rappresentata da quella di Montale (Mo).
Figura 2 La cava di estrazione di TerraMare di Montale (tratto da http://www.parcomontale.it)
Il biochar
Il biochar o carbone vegetale è il prodotto del processo di carbonizzazione della biomassa vegetale,
in pratica una combustione in assenza di ossigeno o più tecnicamente, una decomposizione
termochimica in assenza di ossigeno. Il processo tipico per ottenere il carbone vegetale è stato per
molti anni quello delle carbonaie, cioè cumuli di legna coperti da terra per limitare l’apporto di
ossigeno. Recentemente sono stati realizzati impianti industriali per la produzione di energia
elettrica, sfruttando le biomasse, che utilizzano sistemi di pirolisi, gassificazione e pirogassificazione.
La pirolisi è un processo di degradazione termica in assenza di ossigeno della biomassa vegetale con
temperature di processo comprese tra 350 e 800 °C. I sottoprodotti del processo sono: un prodotto
solido, il biochar; un gas di sintesi e un prodotto liquido, il catrame. La gassificazione, invece, può
essere definita come la conversione termochimica ad alta temperatura (1.200 °C) di un combustibile
solido o liquido in un gas, attuata mediante la presenza di un agente gassificante e altri reagenti
(aria/ossigeno e/o acqua/vapore) conducendo a una sua parziale combustione. Il processo nel
complesso è formato concettualmente da tre fasi: una prima esotermica di combustione, una seconda
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3. di pirolisi ed infine la conversione del carbonio in gas (Monossido di carbonio (CO), Idrogeno (H2),
Metano (CH4). In entrambi i processi, il residuo solido che si ottiene è carbone vegetale o biochar
che secondo la legislazione italiana in atto è configurato come rifiuto da smaltire, non essendo
ancora riconosciuto come ammendante e/o fertilizzante. Ovviamente le caratteristiche fisicochimiche del biochar sono dipendenti dal tipo di biomassa usata in ingresso, dal tipo di processo
utilizzato e dalle condizioni di processo, come durata e temperatura. Il recente e rinnovato interesse
che ha suscitato il biochar, soprattutto a livello internazionale, è legato principalmente a questi
aspetti:
- è una sostanza che attualmente è uno scarto di produzione di impianti dedicati alla
produzione di energia elettrica;
- ha delle indubbie qualità fertilizzanti e ammendanti sia nei confronti delle colture agricole
che dei suoli agricoli;
- considerato la sua indecomposizione nel suolo, può rappresentare un sistema per aumentare
il sequestro dell’anidride carbonica atmosferica e contribuire a mitigare gli effetti del
cambiamento climatico.
Figura 3 Scansione al microscopio elettronico, del biochar (legno a sinistra; pula di riso a destra)
Proprietà ammendanti e fertilizzanti del biochar
La ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato che l’applicazione del biochar al suolo aumenta la
capacità di scambio cationico (CSC), trattiene e impedisce il dilavamento dell’ammonio e dei nitrati,
aumenta il pH, determinando delle condizioni che consentono di aumentare l'abitabilità da parte
delle piante, di assorbire il fosforo. Il biochar aiuta a mantenere una struttura del suolo, migliorando
le proprietà meccaniche e diminuendo la sforzo alla trazione delle macchine operatrici. Infine grazie
alla sua alta porosità aumenta notevolmente la capacità di ritenzione idrica del terreno. Un
importante aspetto dell’aggiunta del biochar è la sua interazione con i microrganismi del suolo
favorendo la formazione della sostanza organica e l’associazione simbiontica tra piante e micorrizze.
L’effetto fertilizzante, invece del biochar sulla produttività delle piante agrarie è principalmente dato
dalle capacità di assorbimento dei nutrienti da parte del biochar che rendono gli elementi nutriviti
più disponibili per le colture agrarie. Si riportano nella tabella seguente la lista degli esperimenti
aggiornati al 2010 dove si riportano gli incrementi di produttività delle colture agrarie applicando il
biochar.
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4. Stato della ricerca scientifica in Italia sul biochar
Per quanto la ricerca italiana conoscesse il biochar, come costituente del suolo, in Italia la ricerca
sull’applicazione del biochar in agricoltura è molto recente. L’Istituto di Biometeorologia del
Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 2007 ha iniziato per primo a valutare l’effetto del biochar
applicandolo direttamente in una serie di esperimenti di vaso e di campo.
Dai risultati delle prove sperimentali emerge che ci sono effetti positivi sull’uso del carbone vegetale
nella maggior parte delle sperimentazioni, ma in base alla tipologia di terreno si sono visti anche
effetti negativi. Nel 2007 sono stati fatti i primi esperimenti sul carbone vegetale. Il primo
esperimento effettuato in vaso è stato fatto su Lolium perenne L. (Loietto), lo scopo dell’esperimento è
stato quello di valutare se ci fosse una risposta dose/effetto sulla produzione del loietto. È stato scelto
il loietto perché coltura a rapido accrescimento. Le dosi scelte per la sperimentazione sono state 1030-60-100 e 120 t ha-1 di carbone vegetale. Il carbone vegetale è stato incorporato nel suolo ad una
profondità di 10 cm. Dai risultati della sperimentazione si evince che l'aggiunta di carbone vegetale
al suolo porta ad un significativo aumento della biomassa vegetale (del 20% rispetto al controllo) con
una dose di carbone vegetale di 30 t ha-1. A concentrazioni maggiori di 100 t ha-1 si è osservato una
diminuzione della produzione epigea (da 8% e il 30% in meno rispetto al controllo). Un secondo
esperimento, effettuato sempre in vaso sul loietto è stato fatto unendo un inoculo di micorrizze
arbuscolari e carbone vegetale al terreno. L’esperimento ha dato dei risultati positivi, aggiungendo
carbone vegetale e micorrizze si è notato un effetto positivo sulla produzione di biomassa (59%
maggiore rispetto al controllo), tuttavia l'effetto di stimolazione non era additivo. Infatti, la biomassa
è aumentata solo del 20% rispetto al controllo aggiungendo il carbone vegetale e del 50% rispetto al
controllo aggiungendo le micorrizze. Nel 2008 è iniziata la prima sperimentazione con lo scopo di
valutare l’effetto del carbone vegetale sulla produzione di grano duro (var. SOLEX) in termini di
biomassa e granella. La sperimentazione si è svolta ad Empoli. Sono stati aggiunti al terreno 10 t ha-1
di carbone vegetale in pre-semina e successivamente è stata fatta una fresatura di 5 cm. La raccolta è
stata effettuata nel mese di giugno e dai risultati si evince che il carbone vegetale ha svolto un’azione
di stimolazione sulla produzione sia in termini di biomassa secca sia in termini di granella. (23% e
4
5. 10% rispetto al controllo). Dall’analisi chimica della granella si è visto che non ci sono state
differenze nel contenuto di azoto nelle parcelle trattate e nelle parcelle non trattate. Da uno studio
effettuato nel 2009 sulla respirazione del suolo è stata osservata una lieve riduzione dell'attività di
nitrificazione nel suolo nelle parcelle trattate con il carbone vegetale, rispetto ai controlli. Questo
studio ha fornito prove convincenti che il carbone vegetale aggiunto al suolo ha un effetto benefico
sulla microflora del terreno ed ha solo leggermente aumentato la produzione di CO2 come
respirazione del suolo e quindi si conclude che il carbone vegetale, associato ad una corretta
gestione delle colture, può essere un’opzione soddisfacente per ridurre le emissioni di N2O in
agricoltura. Dalle sperimentazioni fatte in Italia, emerge, che i migliori risultati si hanno utilizzando
substrati neutri o meglio ancora acidi, in terreni sciolti o neutri tendenti all’alcalino si hanno risultati
contrastanti. Si evince, che servono ancora ricerche mirate e studiare i meccanismi di interazione del
carbone vegetale con le varie colture in base alla risposta produttiva. Risultati incoraggianti per uso
di carbone vegetale su piante ornamentali per ridurre gli effetti di acque di bassa qualità (saline) e per
diminuire la lisciviazione di N in sistemi orticoli (es. lattuga) sono stati notati in vari esperimenti.
L’uso del carbone vegetale come parziale sostituivo dei comuni substrati potrebbe aumentare la
sostenibilità del settore vivaistico, la cui criticità è legata allo sfruttamento delle torbe e dell’acqua
per l’irrigazione.
Conclusione
I numerosi benefici che la letteratura internazionale ci dimostra sull’uso del biochar in agricoltura
che spaziano dagli effetti ammendanti del suolo a quelli fertilizzanti, sono molto incoraggianti e
soprattutto fanno nascere l’idea che realmente il biochar possa rappresentare una soluzione efficace
in grado di coniugare l’agricoltura con il tema dell’energia e della mitigazione ai cambiamenti
climatici. Inoltre i risultati scientifici ci dimostrano come il tempo medio di permanenza del biochar
nel suolo sia dell’ordine delle migliaia di anni, rendendo il biochar, un mezzo efficace per
contribuire alla strategia di sequestrare in modo stabile il carbonio atmosferico, nel suolo. A fianco di
queste evidenze scientifiche, restano però alcuni aspetti che devono essere ancora studiati e
approfonditi per garantire la sicurezza e la sostenibilità dell’utilizzo del biochar per l’agricoltura
mediterranea e in particolare quella italiana. Infatti, se gli effetti positivi per la fertilità sono stati
riscontrati in gran parti degli esperimenti svolti nel mondo, alcuni interrogativi sono tuttora aperti sia
sull’applicabilità sui suoli e alle colture italiane sia per quanto riguarda gli eventuali ripercussioni che
l’utilizzo di questa strategia comporta, quali gli aspetti legati al bioaccumulo o i feedback sul sistema
climatico. Riguardo a quest’ultimo aspetto è noto che l’applicazione di biochar altera profondamente
l’albedo della superficie (rapporto tra radiazione diretta e riflessa) con delle ovvie conseguenze sulla
temperatura del suolo e ripercussioni ancora da valutare sul bilancio radiativo terrestre. A oggi in
Italia la mancanza di prove di lungo termine e su larga scala, impedisce di trarre delle conclusioni
definitive sulla opportunità di implementare la strategia basata sul biochar a scala territoriale. Un
esempio rappresentativo è stato recentemente pubblicato, presentando risultati di due anni di
applicazione di biochar a una coltura di grano duro, dimostrando come non ci sia un effetto additivo
della dose di biochar, anche se l’applicazione aveva incrementato la produzione di grano duro del
30%. La mancanza di prove di lungo termine inoltre impedisce di verificare l’esatta permanenza nel
suolo del biochar e quindi convalidare, anche alle nostre latitudini, l’efficacia del biochar come
opzione di mitigazione dell’aumento della concentrazione atmosferica di CO2.
Con tutte le cautele del caso, rappresentate dalle incertezze della possibile applicazione del biochar
in agricoltura, si ritiene che questo tema sia di indubbio interesse e possa contribuire in modo
sostanziale al riutilizzo delle biomasse di scarto dell’industria agricola, forestale e agroalimentare in
genere. Infatti non è proponibile un approccio del tipo, coltiviamo biomassa da carbonificare per
ottenere biochar, secondo l’approccio dei biofuels, ma potremmo solamente cercare di riutilizzare gli
attuali scarti di biomassa che ad oggi rappresentano un problema da smaltire.Quindi nessun campo
dovrà essere tolto dalla normale finalità agricola e nessuna foresta deve essere abbattuta per produrre
biochar, ma solo riutilizzare i residui. Per questo motivo si auspica che nel quadro normativo del
biochar una voce specifica circa la tracciabilità della biomassa sia esplicita, sia in termini di qualità
della biomassa che deve essere assente di inquinanti, ma anche di distanza percorsa dal luogo di
produzione al luogo di trasformazione in biochar.
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