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Relazione dell'On. Luisa Santolini
La famiglia nella società e nella politica
La situazioni delle famiglie in Italia:
alcuni dati statistici.....
Il 30 Gennaio 2012 scorso è stato presentato il Libro bianco 2011 sulla
salute dei bambini curato dall’ OsservaSalute dell’Università Cattolica e
dalla Società Italiana di Pediatria, una pubblicazione che è passata sotto
silenzio eppure avrebbe meritato maggiore attenzione, perché hanno reso
noti dati non nuovi, ma che ribadiscono quanto studiosi e tecnici dicono da
sempre inascoltati.
Il numero delle nascite è precipitato a livelli impensabili: in un secolo e
mezzo la natalità si è ridotta dei tre quarti.
La storia d’Italia unita è caratterizzata da una drammatico fenomeno di
crisi demografica, una lenta implosione che quasi tutti ignorano, una crisi
silenziosa ma sotto gli occhi di tutti, censurata, dimenticata, con le dovute
eccezioni che confermano la regola.
Tra il 1871 e il 2009, la natalità si è crollata fino a registrare un calo del
74,25% con il rovesciamento della piramide anagrafica che riversa ora sui
nonni l’onere di mantenere i nipoti senza lavoro.
Qualcuno ha scritto: L’ Italia si è desta ma si è anche ingrigita.
I nuovi nati sono appena 9,5 ogni mille abitanti rispetto ai 12,8 della Francia
e del Regno Unito, i 12 della Svezia e della Germania.
Perfino la Spagna è avanti a noi.
E non si vedono all’orizzonte segnali di una inversione di tendenza.
Più precisamente a partire dagli anni 70 la fecondità italiana è scesa a livelli
inimmaginabili.
Negli anni ’95, e il dato è essenzialmente stabile, il valore medio è di 1,18
figli per donna, cioè 118 figli per ogni 200 genitori.
E’ il valore più basso mai registrato nella storia della umanità per una
popolazione di grandi dimensioni; un declino annunciato perché 118 figli ogni
200 genitori comportano un declino della popolazione di circa il 40% a ogni
intervallo generazionale, cioè circa ogni 30 anni.
Calano i giovani, aumentano i vecchi anche per l’allungamento della vita
media e così l’Italia oggi si trova con la più bassa proporzione al mondo di
popolazione con meno di 15 anni (il 14% cioè 1 su 7), con la più alta
proporzione al mondo di popolazione over 60 (il 24% cioè 1 su 4), con il più
elevato rapporto al mondo tra anziani inattivi e forze di lavoro , quasi il
48%, valori destinati ad aumentare nel tempo.
2.11
Tutto questo comporta una enorme rivoluzione in tema di integrazione, di
lavoro, di casa, di salute, di scuola, di mobilità sociale, di pace sociale.
Un declino troppo marcato e rapido della popolazione

porta gravissimi

problemi per la società e l’economia, soprattutto in una situazione
comparativa internazionale.
Questi sono dati pubblicati dal World Population Prospects. The 2006
Revision. United Nations. NY 2007
Oecd Factbook 2008 (Organization Economic Cooperation and Development):
www.sourceoecd/factbook
Ebbene io non credo che possiamo a lungo ignorare questi dati e tutti siamo
interpellati per una risposta.
E’ vero che non è solo responsabilità delle mancate politiche familiari; è vero
che dietro a questi fenomeni ci sono aspetti culturali decisivi, che i giovani si
sposano meno, si separano di più o convivono di più per una caduta di valori,
per la mancanza di un progetto di vita, per una sorta di egoismo mescolato al
“tutto e subito”, per una debolezza e per una sfiducia profonda che colpiscono
i giovani, ma tutto questo non può rappresentare un alibi per la classe politica,
per le imprese e per i sindacati che sono chiamati a fare la propria parte e a
dare risposte serie ad un fenomeno che è davvero allarmante.
Secondo il Prof. Blangiardo (“La famiglia al centro” che pubblica gli atti di un
Convegno organizzato dalla sottoscritta l’anno scorso) nel 1981 i giovani under
19 erano più di 17 milioni, oggi sono poco più di 11 milioni, ovvero mancano
all’appello più di 6 milioni di giovani.
Di contro gli over 65 sono passati dai 5 milioni degli anni ’80 ai quasi 12 milioni
di oggi, con un aumento di oltre 6 milioni di individui.
Esiste dunque un gap in Italia per cui gli anziani sono in maggioranza rispetto
ai giovani,

la

piramide demografica è rovesciata e i nonni che devono

provvedere ai nipoti senza lavoro.
Pochi giorni fa il Corriere ha scritto “Ben venuti nel secolo dei nonni” e anche
giornali che si occupano di economia ogni tanto lanciano l’allarme, che rimane
senza risposta.....
Durante i giorni della crisi del Governo Berlusconi tutti erano preoccupati
perché la spread dei nostri Bot rispetto a quelli tedeschi aveva superato i
500 punti, inoltre il tasso di interesse dei Bot superiore al 7% era
considerato una sorta di punto di non ritorno oltre al quale c’era il default:
ebbene i demografi indicano in 1,3 il valore minimo di n° di figli per donna a
ridosso del quale si gioca la stessa esistenza della comunità nazionale nel giro
di pochi decenni.
3.11
Oggi l’Italia viaggia su 1,3 / 1,4 figli per donna e la media delle famiglie italiane
è costituita da 2,4 persone, cioè meno di “mezzo figlio a coppia”. Come si fa a
immaginare che cresca il Pil se siamo un Paese di anziani che da una parte
sostengono i pochi nipoti che non hanno lavoro e dall’altra costeranno sempre di
più a questi pochi nipoti a causa dell’allungamento della vita?
.......alcune considerazioni
Da tempo l’Italia oscilla attorno alla soglia del rischio ed è doveroso porsi e
porre il problema per trovare insieme soluzioni condivise, ma le soluzioni non
possono e non devono essere inique come quelle avvenute in passato: la riforma
delle pensioni del 1995 ha stabilito una riallocazione delle risorse per
contributi al fondo pensioni lavoratori dipendenti, passando da una aliquota del
27,5% al 32,7%.
Per non aumentare il costo del lavoro l’aliquota per gli assegno familiari passò
dal 6,2% al 2,4%, quella per la maternità dall’ 1,23% allo 0,6%: una diminuzione
in Euro di 4,6 miliardi per gli Assegni familiari, di 0,6 miliardi per la maternità,
di 1,4 miliardi per asili nido ed edilizia sociale. Scrive il libro “Il cambiamento
demografico” Edizioni Laterza che dal 1996 al 2010 la riallocazione delle
risorse destinate alle famiglia ha finanziato il sistema pensionistico per un
ammontare che, a prezzi 2008, corrisponde ad un volume finanziario pari a
circa 120 miliardi di Euro!!!!
Il premio Nobel per l’economia nel 2000 James J. Heckman afferma “contro la
crisi investiamo sui bambini.
Il risultato in termini non solo sociali e politici, ma anche economici sarà
eccellente”. Il Prof. Campiglio afferma “ Dobbiamo salvaguardare il presente,
ma non possiamo dimenticare il futuro che dipende dalle famiglie e dai bambini.
Invece il nostro Paese soffre in termini demografici ed economici per la
mancanza di tutele alla famiglia.” Gotti Tedeschi: “ Sulla correlazione tra
crescita e demografia, l’economia classica non ha mai avuto dubbi, tutti
conoscono questa realtà ma dagli anni 70 rifiutano di vederla”
Va cambiato l’approccio al tema famiglia con politiche serie e non con le parole,
con politiche ad ampio respiro e non solo di walfare ( che fino ad ora si è
appoggiato gratuitamente alla famiglia con un principio di sussidiarietà
declinato al contrario), con il passaggio dal walfare state, con uno stato che
tutto fa e a tutto provvede, ad una walfare community family friendly, nel
senso di coinvolgere anche le famiglie ed investendo su di esse nella
convinzione che quello che si “spende” per le famiglie è un vantaggio per l’intera
società.
4.11
La crisi è una crisi di tipo antropologico che sarà molto più difficile risolvere
rispetto alla crisi finanziaria di questi anni : la soluzione non sta nelle ferree
leggi del mercato e degli economisti, ma nella risposta che noi sapremo dare
alla domanda : che tipo di società vogliamo per i nostri figli?
Che tipo di Paese vogliamo costruire per il futuro a media scadenza e come ci
regoleremo di conseguenza ? per ora se non cambiamo tendenza, come ha
scritto The Wall Street Journal nel 2011, nel 2050 il 60% degli italiani non
avranno fratelli, sorelle, cugini, zii e zie.
La situazione in Europa.....
Se poi guardiamo quello che avviene nel resto dell’Europa la situazione
dell’Italia è ancora più allarmante: lo stato francese assiste economicamente le
madri sole e le giovani famiglie a basso reddito attraverso 123 Casse per i
sussidi familiari: il contributo si chiama “ prestazione di accoglienza del
neonato” e comprende un versamento di 1000 Euro alla nascita e un mensile di
178 Euro per i primi tre anni di vita del bambino, più due aiuti complementari a
scelta, o per pagare la baby sitter in caso di madre lavoratrice o per
compensare il mancato salario in caso di rinuncia al lavoro per assistere il
nuovo arrivato.
Ne hanno diritto tutti i genitori soli con un reddito inferiore ai 44.500 Euro
l’anno e le coppie monoreddito con introiti inferiori a 33.700 Euro l’anno.
In caso di altri figli le soglie di reddito aumentano in proporzione.
Sono previsti inoltre integratori al reddito come assegni familiari per coppie
con due figli o più, contributi per il pagamento dell’affitto, contributi erogati
dall’assistenza sociale per redditi bassi.
Comparazione di diversi sistemi fiscali (anno 2007):
Famiglia monoreddito di 4 persone con reddito inferiore a 25.000 Euro:
Italia: tasse per 1.725 Euro

Germania 700 Euro

Francia 52 Euro

Famiglia monoreddito di 4 persone con reddito entro 50.000 Euro
Italia: tasse per 13.000 Euro

Germania 7.200 Euro

Francia 2.500 Euro

Su 27 Paesi della UE l’ Italia è al 25° posto per la spesa per la famiglia
rispetto al Pil : si va dal 3,9 % della Danimarca al 3% di Svezia e Germania, al
2,5 % della Francia e Ungheria fino all’1% dell’ Italia e questo 1% non è
costituito da politiche prettamente familiari ma da una serie di provvidenze
che non fanno la differenza tra chi ha figli e chi non ne ha.
5.11
.......e in Italia
In Italia una donna su tre è “costretta” a non avere figli perché costano troppo,
cioè più che non volere figli le donne italiani non se li possono permettere come
rilevano tutti i sondaggi .
Il Italia il costo di un bambino oscilla tra gli 8.000 e i 18.000 Euro nel solo
primo anno di vita.
Una donna su due ritarda l’arrivo di un figlio fino a 5 anni dopo il matrimonio.
Il 57% delle donne ritiene responsabile lo Stato per le difficoltà della
maternità perché non prende soluzioni adeguate per proteggere e promuovere
la maternità.
Le altre ritengono responsabile la cultura dominante che spinge alla carriera, ai
soldi, al lavoro frenetico, oltre ad altre ragioni di tipo personale e psicologico.
In questi anni i genitori italiani si sono trasformati in soggetti economici ( le
principali azioni e decisioni di consumo investimento e risparmio vengono prese
in famiglia ) e di fronte alla rigidità del mercato si sono trasformati lentamente
ma inesorabilmente in formidabili ammortizzatori sociali: la fonte di reddito per
i giovani tra i 20 e i 30 anni e per il 77% proveniente dalla famiglia, contro il
45% della media europea ( il fenomeno della famiglia lunga tipico italiano),
mentre per il sostegno alla famiglia va solo 1% della spesa sociale che in Italia è
il 3,4 % del Pil contro il 69,9% delle pensioni.
In altre parole chi investe sui figli è punito con una pressione fiscale iniqua
tanto è vero che la povertà in Italia è correlata al numero dei figli se è vero che
la famiglie numerose sono percentualmente più povere delle famiglie con un
figlio solo. (dati Istat 2011)
Come appare chiaro le situazione è certamente complessa e non è sufficiente
prendersela con i Governi che si sono succeduti in Italia in tanti anni, Governi
che comunque hanno pesanti responsabilità.
Occorre individuare soluzioni condivise e occorre coinvolgere tanti soggetti
della scena pubblica per agire sulla scorta di un patto generazionale che può
dare una svolta decisiva al futuro della famiglia in Italia. Chi sono gli attori del
cambiamento?
Istituzioni, imprese e sindacati,

famiglie con le loro associazioni con ruoli

diversi ma complementari, che possono lavorare insieme come è successo in
alcune città d’ Italia che fanno da battistrada e come stanno facendo in
Germania da tempo.

6.11
E in questa sede non si può non denunciare quanto successo a Roma e a Parma
dove

le

muove

amministrazioni

succedute

alle

precedenti

stanno

sistematicamente smantellando quanto faticosamente costruito nel corso
degli anni e che era di esempio per tutti i 9.000 comuni italiani.
La famiglia soggetto sociale
Il primo attore è la stessa famiglia.
Dalla sua consapevolezza, dalla sua capacità di servizio, dalla qualità della vita
di relazione che sarà capace di instaurare al suo interno dipenderanno la
salvaguardia e la promozione dei più alti valori di cui la famiglia è portatrice o
la sostituzione di essa con forme le più diverse di precari, instabili e
fluttuanti rapporti, secondo gli stili di vita cari alla cultura individualistica e
radicale.
La famiglia è una realtà che precede e va oltre lo Stato: la famiglia, come la
persona, non deve la sua «soggettività» allo Stato e non trova in esso la
propria definizione. La famiglia è la prima e fondamentale forma di socialità e

a partire da essa devono essere in qualche modo pensate e strutturate tutte
le altre dimensioni della vita sociale.
È questo uno dei pilastri dell’insegnamento della Chiesa, illustrato nella
Familiaris consortio, dove, tra i quattro compiti fondamentali che competono
alla famiglia, viene annoverato quello di partecipare allo sviluppo della società
(cfr FC nn. 42-48).
Sembrano ormai maturi i tempi affinché le famiglie assumano il ruolo che
compete loro nella vita sociale, rafforzando notevolmente la propria
soggettività sociale attraverso l’associazionismo familiare che le rappresenta.
La mobilitazione delle famiglie è la prima condizione per riportare al centro
dell’attenzione sociale e del dibattito culturale e politico la necessità di
affrontare la “questione famiglia”.
Le famiglie infatti “devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le
istituzioni non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i
diritti e i doveri della famiglia", diventando così protagoniste della "politica
familiare" (cfr. Familiaris consortio n. 44).
L’associazionismo familiare è un autentico soggetto politico e la società e le
Istituzioni devono prenderne atto, dando ad esso piena cittadinanza e
sostenendolo nella sua azione con tutte le risorse possibili.
Proprio questa è la sfida dell’autonomia: sapranno le Istituzioni politiche fare
un passo indietro ed accettare una nuova complementarietà con dei partner
riconosciuti a pieno titolo nei vari ambiti delle politiche sociali?
E sapranno le associazioni trovarsi preparate ad assumere nuovi compiti e
nuove responsabilità ad affrontare tutti i rischi dell’autonomia?
7.11
Le istituzioni e le politiche “family friendly”
Il secondo attore è rappresentato dalle istituzioni e dai pubblici poteri, in
quanto produttori di legislazione, in quanto responsabili di scelte politiche
che ricadono positivamente o negativamente sulle famiglie, sia infine come
"produttori di cultura".
Si tratta di decidere se spingere ancora in direzione del riconoscimento dei
veri o presunti diritti individuali o di farsi invece carico dei diritti sociali, a
partire da quelli della famiglia.
Dall’uno o dall’altro orientamento dipenderà l’avvio di atti legislativi, di
interventi di politica sociale, di promozione della cultura che assumano come
punto di riferimento i singoli individui o piuttosto il "soggetto-famiglia".
Nel secondo caso per tutelare e promuovere la famiglia. è fondamentale
rispettare criteri corretti che vale la pena correttamente richiamare:
1. le politiche familiari non sono politiche di lotta alla povertà, pertanto,
almeno come tendenza, non possono essere legate al reddito e non devono
avere come scopo la ridistribuzione del reddito: esse sono per definizione
universalistiche proprio perché ogni famiglia è un bene comune.
2. Le politiche familiari devono in ogni occasione e ad ogni livello essere
applicate in chiave sussidiaria e non assistenziale. La solidarietà è fine
dell’azione politica ma non può mai essere disgiunta dalla sussidiarietà.
3. Le politiche familiari non possono essere declinate in chiave
individualistica, bensì devono sempre considerare la famiglia in quanto
tale, tenendo conto dei carichi familiari.
4. Le politiche familiari non devono essere indirette, bensì dirette: non una
politica del lavoro, della casa, della sanità intesa in modo generico ma una
politica della casa per la famiglia, del lavoro per la famiglia, della sanità
per la famiglia.
5. Le politiche familiari non riguardano i singoli soggetti deboli della famiglia
ma prendono in considerazione il nucleo familiare per se stesso e agendo
di conseguenza perché esso non sia penalizzato, ma anzi sia oggetto di
politiche eque e giuste..
6. Molte leggi e molti interventi delle Istituzioni impattano positivamente o
negativamente sulla famiglia. Le politiche familiari non riguardano solo
l’assistenza, la cura dei soggetti deboli, i servizi, bensì gli sgravi fiscali, la
scuola, la bioetica, il lavoro, i mass media ecc. Come dice il Santo Padre, “la
famiglia deve essere il prisma attraverso cui guardare l’intera società”,
altrimenti se lo Stato con una mano dà e con l’altra toglie, attuando
politiche contraddittorie o contrastanti, la vittima di questo strabismo
non sarà solo la famiglia, ma l’intera collettività.

8.11
Le imprese:
per ora sono poche le imprese che hanno assunto politiche aziendali familyfriendly.
Certo occorre distinguere tra piccole

medie e grandi imprese e occorre

ricordare che la stragrande maggioranza delle imprese in Italia sono piccole,
ma fatta questa doverosa precisazione non si può dire che l’attenzione alle
famiglie sia molto elevata, anche nel campo della pubblica amministrazione e
delle imprese gestite da enti statali, se è vero come è vero che una donna su
tre lascia il lavoro all’arrivo del primo figlio.
La compatibilità dei tempi della famiglia e dei tempi del lavoro è scarsissima e
non essendoci servizi di supporto la mobilitazione dei nonni sta diventando un
fatto sociale.
Perché ai Tavoli della contrattazione tra sindacati e imprese non si affronta il
problema? Bisogna riconoscere che esempi di buone pratiche in questo senso ci
sono (ad esempio la Bracco a Milano) ma proprio perché si citano indicano una
eccezione e non la regola.
Ancora: molte aziende pubblicano ormai il bilancio sociale e non c’è azienda che
non si vanti giustamente del proprio rendiconto di sostenibilità ambientale.
Ottima iniziativa che mostra quanto una azienda sia “virtuosa” nei confronti
dell’ambiente o delle condizioni lavorative dei propri dipendenti.
Perché, però,

non esiste un “bilancio familiare” in cui si diano informazioni

rispetto alla maternità e alla paternità di quella impresa?
La cultura corrente chiede alle aziende di non inquinare, di non danneggiare
l’ambiente, di non fare sperimentazione sugli animali, di non emettere CO2, di
ricorrere alle fonti energetiche alternative, di vietare il fumo, e chi fa queste
“buone pratiche” è molto apprezzato perché c’è una sorta di approvazione
collettiva in questa direzione, ma nessuno chiede alle aziende cosa hanno fatto
per favorire il desiderio di maternità e di paternità dei propri dipendenti.
Nessuno chiede quanti sono i contratti part time concessi o quanti congedi
parentali sono stati accordati ai lavoratori con figli.
Una impresa che rispetta l’ambiente è considerata amica della natura, ma
nessuno le chiede se è amica dell’uomo, magari garantendo alle sue dipendenti
di non licenziarle alla nascita del primo figlio, oppure garantendo una carriera
futura anche in presenza di due o più figli, se quella mamma si dimostra
all’altezza, oppure cambiando i propri parametri di giudizio, non considerando
solo la quantità del lavoro svolto alla scrivania, ma la qualità degli obiettivi
raggiunti .
9.11
Perché ?
Quanti sono i direttori del personale che considerano la maternità un problema?
Credo sia la maggioranza e questo denuncia un fatto prima di tutto culturale a
cui porre mano.
Non c’è disapprovazione sociale nei confronti di cattive pratiche familiari,
eppure le Aziende che hanno fatto della conciliazione dei tempi del lavoro e
della famiglia un proprio must, affermano che ne hanno tratto enormi benefici
in termini economici, in termini di fidelizzazione del personale, in termini di
attrazione delle migliori risorse e delle migliori “teste” del Paese: infatti si
contiene il turn over, si riducono le assenze per malattie, si evitano le
sostituzioni, si motivano i dipendenti che si affezionano all’azienda, si attirano
giovani capaci che scelgono Aziende che li rasserenano sul fronte del loro
futuro familiare.
Massimo Calvi sul “Sussidiario” ha scritto che si dovrebbe chiedere alle imprese
di passare dalla logica dell’ “impatto zero” alla logica dell’ “impatto mille” dove
per mille si può intendere tutto quello consideriamo futuro. Compresi i bambini.
Ecco, i concetti di responsabilità, di sostenibilità, di sviluppo non possono
trascurare le questioni

appena accennate e devono subire una urgente e

necessaria ridefinizione.
Conclusioni
Un quotidiano finanziario USA, il Wall Street Journal, definisce “apocalittico” il
crollo delle nascite in Europa ed in particolare in Italia e nonostante questo la
nostra società oscilla tra una idea nostalgica, prescrittiva ed idilliaca della
famiglia e la convinzione che la famiglia c’è sempre stata e sopravvivrà comunque,
qualunque cosa accada; invece il mondo evolve rapidamente, la società complessa
richiede risposte articolate che rivedano i canoni ed i criteri con cui si è agito
fino ad ora, tenendo presente che sempre di più solo gli interessi collettivi
saranno tutelati sulla scena politica nei prossimi anni.
Le famiglie non risolveranno i loro problemi stando chiuse nelle loro case
trasformate in cittadelle e in bastioni e che le famiglie dal focolare acceso e
dalle culle vuote saranno spazzate via se non si “sporcheranno la mani” nella polis
per il bene comune …..
Dobbiamo ragionare in termini di giustizia e di civiltà, con proposte non solo
rivendicativa ma propositiva di valori e ognuno deve fare la sua parte.

10.11
Da solo nessuno ce la farà ed è per questo che dobbiamo assumerci le
responsabilità che competono al nostro ruolo e al compito che ci è stato
affidato: sollevare il problema in tutte le sedi – Istituzioni pubbliche, famiglie,
imprese, banche, sindacati, società civile, Istituzioni ecclesiastiche - affinché
si ritrovino interno al capezzale della famiglia, nella convinzione che il salto di
qualità che tutti devono fare possa diventare uno degli elementi più decisivi
per il rilancio non solo dell’economia, ma dello sviluppo sociale e politico del
nostro Paese.

11.11

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Relazione dell'On. Luisa Santolini

  • 2. La famiglia nella società e nella politica La situazioni delle famiglie in Italia: alcuni dati statistici..... Il 30 Gennaio 2012 scorso è stato presentato il Libro bianco 2011 sulla salute dei bambini curato dall’ OsservaSalute dell’Università Cattolica e dalla Società Italiana di Pediatria, una pubblicazione che è passata sotto silenzio eppure avrebbe meritato maggiore attenzione, perché hanno reso noti dati non nuovi, ma che ribadiscono quanto studiosi e tecnici dicono da sempre inascoltati. Il numero delle nascite è precipitato a livelli impensabili: in un secolo e mezzo la natalità si è ridotta dei tre quarti. La storia d’Italia unita è caratterizzata da una drammatico fenomeno di crisi demografica, una lenta implosione che quasi tutti ignorano, una crisi silenziosa ma sotto gli occhi di tutti, censurata, dimenticata, con le dovute eccezioni che confermano la regola. Tra il 1871 e il 2009, la natalità si è crollata fino a registrare un calo del 74,25% con il rovesciamento della piramide anagrafica che riversa ora sui nonni l’onere di mantenere i nipoti senza lavoro. Qualcuno ha scritto: L’ Italia si è desta ma si è anche ingrigita. I nuovi nati sono appena 9,5 ogni mille abitanti rispetto ai 12,8 della Francia e del Regno Unito, i 12 della Svezia e della Germania. Perfino la Spagna è avanti a noi. E non si vedono all’orizzonte segnali di una inversione di tendenza. Più precisamente a partire dagli anni 70 la fecondità italiana è scesa a livelli inimmaginabili. Negli anni ’95, e il dato è essenzialmente stabile, il valore medio è di 1,18 figli per donna, cioè 118 figli per ogni 200 genitori. E’ il valore più basso mai registrato nella storia della umanità per una popolazione di grandi dimensioni; un declino annunciato perché 118 figli ogni 200 genitori comportano un declino della popolazione di circa il 40% a ogni intervallo generazionale, cioè circa ogni 30 anni. Calano i giovani, aumentano i vecchi anche per l’allungamento della vita media e così l’Italia oggi si trova con la più bassa proporzione al mondo di popolazione con meno di 15 anni (il 14% cioè 1 su 7), con la più alta proporzione al mondo di popolazione over 60 (il 24% cioè 1 su 4), con il più elevato rapporto al mondo tra anziani inattivi e forze di lavoro , quasi il 48%, valori destinati ad aumentare nel tempo. 2.11
  • 3. Tutto questo comporta una enorme rivoluzione in tema di integrazione, di lavoro, di casa, di salute, di scuola, di mobilità sociale, di pace sociale. Un declino troppo marcato e rapido della popolazione porta gravissimi problemi per la società e l’economia, soprattutto in una situazione comparativa internazionale. Questi sono dati pubblicati dal World Population Prospects. The 2006 Revision. United Nations. NY 2007 Oecd Factbook 2008 (Organization Economic Cooperation and Development): www.sourceoecd/factbook Ebbene io non credo che possiamo a lungo ignorare questi dati e tutti siamo interpellati per una risposta. E’ vero che non è solo responsabilità delle mancate politiche familiari; è vero che dietro a questi fenomeni ci sono aspetti culturali decisivi, che i giovani si sposano meno, si separano di più o convivono di più per una caduta di valori, per la mancanza di un progetto di vita, per una sorta di egoismo mescolato al “tutto e subito”, per una debolezza e per una sfiducia profonda che colpiscono i giovani, ma tutto questo non può rappresentare un alibi per la classe politica, per le imprese e per i sindacati che sono chiamati a fare la propria parte e a dare risposte serie ad un fenomeno che è davvero allarmante. Secondo il Prof. Blangiardo (“La famiglia al centro” che pubblica gli atti di un Convegno organizzato dalla sottoscritta l’anno scorso) nel 1981 i giovani under 19 erano più di 17 milioni, oggi sono poco più di 11 milioni, ovvero mancano all’appello più di 6 milioni di giovani. Di contro gli over 65 sono passati dai 5 milioni degli anni ’80 ai quasi 12 milioni di oggi, con un aumento di oltre 6 milioni di individui. Esiste dunque un gap in Italia per cui gli anziani sono in maggioranza rispetto ai giovani, la piramide demografica è rovesciata e i nonni che devono provvedere ai nipoti senza lavoro. Pochi giorni fa il Corriere ha scritto “Ben venuti nel secolo dei nonni” e anche giornali che si occupano di economia ogni tanto lanciano l’allarme, che rimane senza risposta..... Durante i giorni della crisi del Governo Berlusconi tutti erano preoccupati perché la spread dei nostri Bot rispetto a quelli tedeschi aveva superato i 500 punti, inoltre il tasso di interesse dei Bot superiore al 7% era considerato una sorta di punto di non ritorno oltre al quale c’era il default: ebbene i demografi indicano in 1,3 il valore minimo di n° di figli per donna a ridosso del quale si gioca la stessa esistenza della comunità nazionale nel giro di pochi decenni. 3.11
  • 4. Oggi l’Italia viaggia su 1,3 / 1,4 figli per donna e la media delle famiglie italiane è costituita da 2,4 persone, cioè meno di “mezzo figlio a coppia”. Come si fa a immaginare che cresca il Pil se siamo un Paese di anziani che da una parte sostengono i pochi nipoti che non hanno lavoro e dall’altra costeranno sempre di più a questi pochi nipoti a causa dell’allungamento della vita? .......alcune considerazioni Da tempo l’Italia oscilla attorno alla soglia del rischio ed è doveroso porsi e porre il problema per trovare insieme soluzioni condivise, ma le soluzioni non possono e non devono essere inique come quelle avvenute in passato: la riforma delle pensioni del 1995 ha stabilito una riallocazione delle risorse per contributi al fondo pensioni lavoratori dipendenti, passando da una aliquota del 27,5% al 32,7%. Per non aumentare il costo del lavoro l’aliquota per gli assegno familiari passò dal 6,2% al 2,4%, quella per la maternità dall’ 1,23% allo 0,6%: una diminuzione in Euro di 4,6 miliardi per gli Assegni familiari, di 0,6 miliardi per la maternità, di 1,4 miliardi per asili nido ed edilizia sociale. Scrive il libro “Il cambiamento demografico” Edizioni Laterza che dal 1996 al 2010 la riallocazione delle risorse destinate alle famiglia ha finanziato il sistema pensionistico per un ammontare che, a prezzi 2008, corrisponde ad un volume finanziario pari a circa 120 miliardi di Euro!!!! Il premio Nobel per l’economia nel 2000 James J. Heckman afferma “contro la crisi investiamo sui bambini. Il risultato in termini non solo sociali e politici, ma anche economici sarà eccellente”. Il Prof. Campiglio afferma “ Dobbiamo salvaguardare il presente, ma non possiamo dimenticare il futuro che dipende dalle famiglie e dai bambini. Invece il nostro Paese soffre in termini demografici ed economici per la mancanza di tutele alla famiglia.” Gotti Tedeschi: “ Sulla correlazione tra crescita e demografia, l’economia classica non ha mai avuto dubbi, tutti conoscono questa realtà ma dagli anni 70 rifiutano di vederla” Va cambiato l’approccio al tema famiglia con politiche serie e non con le parole, con politiche ad ampio respiro e non solo di walfare ( che fino ad ora si è appoggiato gratuitamente alla famiglia con un principio di sussidiarietà declinato al contrario), con il passaggio dal walfare state, con uno stato che tutto fa e a tutto provvede, ad una walfare community family friendly, nel senso di coinvolgere anche le famiglie ed investendo su di esse nella convinzione che quello che si “spende” per le famiglie è un vantaggio per l’intera società. 4.11
  • 5. La crisi è una crisi di tipo antropologico che sarà molto più difficile risolvere rispetto alla crisi finanziaria di questi anni : la soluzione non sta nelle ferree leggi del mercato e degli economisti, ma nella risposta che noi sapremo dare alla domanda : che tipo di società vogliamo per i nostri figli? Che tipo di Paese vogliamo costruire per il futuro a media scadenza e come ci regoleremo di conseguenza ? per ora se non cambiamo tendenza, come ha scritto The Wall Street Journal nel 2011, nel 2050 il 60% degli italiani non avranno fratelli, sorelle, cugini, zii e zie. La situazione in Europa..... Se poi guardiamo quello che avviene nel resto dell’Europa la situazione dell’Italia è ancora più allarmante: lo stato francese assiste economicamente le madri sole e le giovani famiglie a basso reddito attraverso 123 Casse per i sussidi familiari: il contributo si chiama “ prestazione di accoglienza del neonato” e comprende un versamento di 1000 Euro alla nascita e un mensile di 178 Euro per i primi tre anni di vita del bambino, più due aiuti complementari a scelta, o per pagare la baby sitter in caso di madre lavoratrice o per compensare il mancato salario in caso di rinuncia al lavoro per assistere il nuovo arrivato. Ne hanno diritto tutti i genitori soli con un reddito inferiore ai 44.500 Euro l’anno e le coppie monoreddito con introiti inferiori a 33.700 Euro l’anno. In caso di altri figli le soglie di reddito aumentano in proporzione. Sono previsti inoltre integratori al reddito come assegni familiari per coppie con due figli o più, contributi per il pagamento dell’affitto, contributi erogati dall’assistenza sociale per redditi bassi. Comparazione di diversi sistemi fiscali (anno 2007): Famiglia monoreddito di 4 persone con reddito inferiore a 25.000 Euro: Italia: tasse per 1.725 Euro Germania 700 Euro Francia 52 Euro Famiglia monoreddito di 4 persone con reddito entro 50.000 Euro Italia: tasse per 13.000 Euro Germania 7.200 Euro Francia 2.500 Euro Su 27 Paesi della UE l’ Italia è al 25° posto per la spesa per la famiglia rispetto al Pil : si va dal 3,9 % della Danimarca al 3% di Svezia e Germania, al 2,5 % della Francia e Ungheria fino all’1% dell’ Italia e questo 1% non è costituito da politiche prettamente familiari ma da una serie di provvidenze che non fanno la differenza tra chi ha figli e chi non ne ha. 5.11
  • 6. .......e in Italia In Italia una donna su tre è “costretta” a non avere figli perché costano troppo, cioè più che non volere figli le donne italiani non se li possono permettere come rilevano tutti i sondaggi . Il Italia il costo di un bambino oscilla tra gli 8.000 e i 18.000 Euro nel solo primo anno di vita. Una donna su due ritarda l’arrivo di un figlio fino a 5 anni dopo il matrimonio. Il 57% delle donne ritiene responsabile lo Stato per le difficoltà della maternità perché non prende soluzioni adeguate per proteggere e promuovere la maternità. Le altre ritengono responsabile la cultura dominante che spinge alla carriera, ai soldi, al lavoro frenetico, oltre ad altre ragioni di tipo personale e psicologico. In questi anni i genitori italiani si sono trasformati in soggetti economici ( le principali azioni e decisioni di consumo investimento e risparmio vengono prese in famiglia ) e di fronte alla rigidità del mercato si sono trasformati lentamente ma inesorabilmente in formidabili ammortizzatori sociali: la fonte di reddito per i giovani tra i 20 e i 30 anni e per il 77% proveniente dalla famiglia, contro il 45% della media europea ( il fenomeno della famiglia lunga tipico italiano), mentre per il sostegno alla famiglia va solo 1% della spesa sociale che in Italia è il 3,4 % del Pil contro il 69,9% delle pensioni. In altre parole chi investe sui figli è punito con una pressione fiscale iniqua tanto è vero che la povertà in Italia è correlata al numero dei figli se è vero che la famiglie numerose sono percentualmente più povere delle famiglie con un figlio solo. (dati Istat 2011) Come appare chiaro le situazione è certamente complessa e non è sufficiente prendersela con i Governi che si sono succeduti in Italia in tanti anni, Governi che comunque hanno pesanti responsabilità. Occorre individuare soluzioni condivise e occorre coinvolgere tanti soggetti della scena pubblica per agire sulla scorta di un patto generazionale che può dare una svolta decisiva al futuro della famiglia in Italia. Chi sono gli attori del cambiamento? Istituzioni, imprese e sindacati, famiglie con le loro associazioni con ruoli diversi ma complementari, che possono lavorare insieme come è successo in alcune città d’ Italia che fanno da battistrada e come stanno facendo in Germania da tempo. 6.11
  • 7. E in questa sede non si può non denunciare quanto successo a Roma e a Parma dove le muove amministrazioni succedute alle precedenti stanno sistematicamente smantellando quanto faticosamente costruito nel corso degli anni e che era di esempio per tutti i 9.000 comuni italiani. La famiglia soggetto sociale Il primo attore è la stessa famiglia. Dalla sua consapevolezza, dalla sua capacità di servizio, dalla qualità della vita di relazione che sarà capace di instaurare al suo interno dipenderanno la salvaguardia e la promozione dei più alti valori di cui la famiglia è portatrice o la sostituzione di essa con forme le più diverse di precari, instabili e fluttuanti rapporti, secondo gli stili di vita cari alla cultura individualistica e radicale. La famiglia è una realtà che precede e va oltre lo Stato: la famiglia, come la persona, non deve la sua «soggettività» allo Stato e non trova in esso la propria definizione. La famiglia è la prima e fondamentale forma di socialità e a partire da essa devono essere in qualche modo pensate e strutturate tutte le altre dimensioni della vita sociale. È questo uno dei pilastri dell’insegnamento della Chiesa, illustrato nella Familiaris consortio, dove, tra i quattro compiti fondamentali che competono alla famiglia, viene annoverato quello di partecipare allo sviluppo della società (cfr FC nn. 42-48). Sembrano ormai maturi i tempi affinché le famiglie assumano il ruolo che compete loro nella vita sociale, rafforzando notevolmente la propria soggettività sociale attraverso l’associazionismo familiare che le rappresenta. La mobilitazione delle famiglie è la prima condizione per riportare al centro dell’attenzione sociale e del dibattito culturale e politico la necessità di affrontare la “questione famiglia”. Le famiglie infatti “devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia", diventando così protagoniste della "politica familiare" (cfr. Familiaris consortio n. 44). L’associazionismo familiare è un autentico soggetto politico e la società e le Istituzioni devono prenderne atto, dando ad esso piena cittadinanza e sostenendolo nella sua azione con tutte le risorse possibili. Proprio questa è la sfida dell’autonomia: sapranno le Istituzioni politiche fare un passo indietro ed accettare una nuova complementarietà con dei partner riconosciuti a pieno titolo nei vari ambiti delle politiche sociali? E sapranno le associazioni trovarsi preparate ad assumere nuovi compiti e nuove responsabilità ad affrontare tutti i rischi dell’autonomia? 7.11
  • 8. Le istituzioni e le politiche “family friendly” Il secondo attore è rappresentato dalle istituzioni e dai pubblici poteri, in quanto produttori di legislazione, in quanto responsabili di scelte politiche che ricadono positivamente o negativamente sulle famiglie, sia infine come "produttori di cultura". Si tratta di decidere se spingere ancora in direzione del riconoscimento dei veri o presunti diritti individuali o di farsi invece carico dei diritti sociali, a partire da quelli della famiglia. Dall’uno o dall’altro orientamento dipenderà l’avvio di atti legislativi, di interventi di politica sociale, di promozione della cultura che assumano come punto di riferimento i singoli individui o piuttosto il "soggetto-famiglia". Nel secondo caso per tutelare e promuovere la famiglia. è fondamentale rispettare criteri corretti che vale la pena correttamente richiamare: 1. le politiche familiari non sono politiche di lotta alla povertà, pertanto, almeno come tendenza, non possono essere legate al reddito e non devono avere come scopo la ridistribuzione del reddito: esse sono per definizione universalistiche proprio perché ogni famiglia è un bene comune. 2. Le politiche familiari devono in ogni occasione e ad ogni livello essere applicate in chiave sussidiaria e non assistenziale. La solidarietà è fine dell’azione politica ma non può mai essere disgiunta dalla sussidiarietà. 3. Le politiche familiari non possono essere declinate in chiave individualistica, bensì devono sempre considerare la famiglia in quanto tale, tenendo conto dei carichi familiari. 4. Le politiche familiari non devono essere indirette, bensì dirette: non una politica del lavoro, della casa, della sanità intesa in modo generico ma una politica della casa per la famiglia, del lavoro per la famiglia, della sanità per la famiglia. 5. Le politiche familiari non riguardano i singoli soggetti deboli della famiglia ma prendono in considerazione il nucleo familiare per se stesso e agendo di conseguenza perché esso non sia penalizzato, ma anzi sia oggetto di politiche eque e giuste.. 6. Molte leggi e molti interventi delle Istituzioni impattano positivamente o negativamente sulla famiglia. Le politiche familiari non riguardano solo l’assistenza, la cura dei soggetti deboli, i servizi, bensì gli sgravi fiscali, la scuola, la bioetica, il lavoro, i mass media ecc. Come dice il Santo Padre, “la famiglia deve essere il prisma attraverso cui guardare l’intera società”, altrimenti se lo Stato con una mano dà e con l’altra toglie, attuando politiche contraddittorie o contrastanti, la vittima di questo strabismo non sarà solo la famiglia, ma l’intera collettività. 8.11
  • 9. Le imprese: per ora sono poche le imprese che hanno assunto politiche aziendali familyfriendly. Certo occorre distinguere tra piccole medie e grandi imprese e occorre ricordare che la stragrande maggioranza delle imprese in Italia sono piccole, ma fatta questa doverosa precisazione non si può dire che l’attenzione alle famiglie sia molto elevata, anche nel campo della pubblica amministrazione e delle imprese gestite da enti statali, se è vero come è vero che una donna su tre lascia il lavoro all’arrivo del primo figlio. La compatibilità dei tempi della famiglia e dei tempi del lavoro è scarsissima e non essendoci servizi di supporto la mobilitazione dei nonni sta diventando un fatto sociale. Perché ai Tavoli della contrattazione tra sindacati e imprese non si affronta il problema? Bisogna riconoscere che esempi di buone pratiche in questo senso ci sono (ad esempio la Bracco a Milano) ma proprio perché si citano indicano una eccezione e non la regola. Ancora: molte aziende pubblicano ormai il bilancio sociale e non c’è azienda che non si vanti giustamente del proprio rendiconto di sostenibilità ambientale. Ottima iniziativa che mostra quanto una azienda sia “virtuosa” nei confronti dell’ambiente o delle condizioni lavorative dei propri dipendenti. Perché, però, non esiste un “bilancio familiare” in cui si diano informazioni rispetto alla maternità e alla paternità di quella impresa? La cultura corrente chiede alle aziende di non inquinare, di non danneggiare l’ambiente, di non fare sperimentazione sugli animali, di non emettere CO2, di ricorrere alle fonti energetiche alternative, di vietare il fumo, e chi fa queste “buone pratiche” è molto apprezzato perché c’è una sorta di approvazione collettiva in questa direzione, ma nessuno chiede alle aziende cosa hanno fatto per favorire il desiderio di maternità e di paternità dei propri dipendenti. Nessuno chiede quanti sono i contratti part time concessi o quanti congedi parentali sono stati accordati ai lavoratori con figli. Una impresa che rispetta l’ambiente è considerata amica della natura, ma nessuno le chiede se è amica dell’uomo, magari garantendo alle sue dipendenti di non licenziarle alla nascita del primo figlio, oppure garantendo una carriera futura anche in presenza di due o più figli, se quella mamma si dimostra all’altezza, oppure cambiando i propri parametri di giudizio, non considerando solo la quantità del lavoro svolto alla scrivania, ma la qualità degli obiettivi raggiunti . 9.11
  • 10. Perché ? Quanti sono i direttori del personale che considerano la maternità un problema? Credo sia la maggioranza e questo denuncia un fatto prima di tutto culturale a cui porre mano. Non c’è disapprovazione sociale nei confronti di cattive pratiche familiari, eppure le Aziende che hanno fatto della conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia un proprio must, affermano che ne hanno tratto enormi benefici in termini economici, in termini di fidelizzazione del personale, in termini di attrazione delle migliori risorse e delle migliori “teste” del Paese: infatti si contiene il turn over, si riducono le assenze per malattie, si evitano le sostituzioni, si motivano i dipendenti che si affezionano all’azienda, si attirano giovani capaci che scelgono Aziende che li rasserenano sul fronte del loro futuro familiare. Massimo Calvi sul “Sussidiario” ha scritto che si dovrebbe chiedere alle imprese di passare dalla logica dell’ “impatto zero” alla logica dell’ “impatto mille” dove per mille si può intendere tutto quello consideriamo futuro. Compresi i bambini. Ecco, i concetti di responsabilità, di sostenibilità, di sviluppo non possono trascurare le questioni appena accennate e devono subire una urgente e necessaria ridefinizione. Conclusioni Un quotidiano finanziario USA, il Wall Street Journal, definisce “apocalittico” il crollo delle nascite in Europa ed in particolare in Italia e nonostante questo la nostra società oscilla tra una idea nostalgica, prescrittiva ed idilliaca della famiglia e la convinzione che la famiglia c’è sempre stata e sopravvivrà comunque, qualunque cosa accada; invece il mondo evolve rapidamente, la società complessa richiede risposte articolate che rivedano i canoni ed i criteri con cui si è agito fino ad ora, tenendo presente che sempre di più solo gli interessi collettivi saranno tutelati sulla scena politica nei prossimi anni. Le famiglie non risolveranno i loro problemi stando chiuse nelle loro case trasformate in cittadelle e in bastioni e che le famiglie dal focolare acceso e dalle culle vuote saranno spazzate via se non si “sporcheranno la mani” nella polis per il bene comune ….. Dobbiamo ragionare in termini di giustizia e di civiltà, con proposte non solo rivendicativa ma propositiva di valori e ognuno deve fare la sua parte. 10.11
  • 11. Da solo nessuno ce la farà ed è per questo che dobbiamo assumerci le responsabilità che competono al nostro ruolo e al compito che ci è stato affidato: sollevare il problema in tutte le sedi – Istituzioni pubbliche, famiglie, imprese, banche, sindacati, società civile, Istituzioni ecclesiastiche - affinché si ritrovino interno al capezzale della famiglia, nella convinzione che il salto di qualità che tutti devono fare possa diventare uno degli elementi più decisivi per il rilancio non solo dell’economia, ma dello sviluppo sociale e politico del nostro Paese. 11.11