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La rivoluzione del linguaggio nel teatro black British:

        Stoning Mary di debbie tucker green



        Traduzione e saggio introduttivo

                  di Sara Viscione

              sara.viscione@gmail.com

                     3284422854




                                                          1
Premessa




       L’attenzione della critica per il teatro black British è cresciuta negli

ultimi decenni, dopo che un numero sempre più cospicuo di suoi testi è

stato rappresentato. Ancora oggi manca tuttavia una indagine ampia e

storicamente contestualizzata del teatro black British, nonostante la sua

presenza significativa nel panorama culturale già a partire dagli anni

‘50.

       Tra le drammaturghe black British affermatesi in Gran Bretagna a

partire dagli ultimi decenni del XX secolo spicca debbie tucker green, di

origini afro-caraibiche. Questa autrice irrompe nella scena teatrale

inglese nella primavera del 2003 con due opere, Born Bad e Dirty

Butterfly, entrambe rappresentate al ‚Soho Theatre‛ di Londra con

grande plauso della critica. Il teatro di tucker green offre la prospettiva

di una donna nera del XXI secolo che abita spazi multiculturali: in esso

la drammaturga affronta questioni complesse come quella della razza e

pone urgenti domande sulla violenza che caratterizza la società

contemporanea e che si manifesta soprattutto nei contesti familiari.

       Ho scelto di trattare l’opera di debbie tucker green per il

profondo interesse che essa ha suscitato in me trattandosi di un teatro

violento e appassionato, caratterizzato però nel contempo da una

delicata leggerezza per l’intensa poeticità del suo linguaggio. In

un’epoca come quella contemporanea, crudele e nichilista, il teatro di

tucker green trasmette la disperazione dell’uomo contemporaneo che,

sottratto alla vita solidale della comunità, si percepisce solo in un

mondo individualista. Eppure l’atmosfera sospesa, poetica di questo



                                                                             2
teatro introduce lo spettatore in un mondo intatto e senza tempo, antico,

lasciando intravedere, tra le crepe della ruvida e tagliente superficie

della realtà, la luce della speranza. Nell’opera di debbie tucker green la

poesia si mescola a dialoghi crudeli squarciando la veste spietata del

mondo attuale, di una società meccanica e aliena che ci aliena da noi

stessi. La drammaturgia di questa autrice accompagna il pubblico

attraverso un percorso di sofferenza ponendolo di fronte alle

problematiche di questa società innaturale, ma gli lascia intravedere

l’altra faccia, luminosa, di quella desolata ormai familiare all’uomo

contemporaneo: una luce di speranza, resistenza a un capitalismo che ha

sposato le leggi innaturali del mercato forzando l’uomo al ritmo

disumano della logica della produzione.

         Nella scena finale di Stoning Mary (2005), ad esempio, si potrebbe

cogliere il senso di una rinascita: la protagonista MARY rappresenterebbe

il punto finale della spirale di violenza descritta nell’opera, la speranza.

La colpa dell’uomo è lavata via dal sangue di MARY, il suo sangue è

lavato via dalla pioggia, dall’acqua, origine della vita, acqua del grembo

materno e origine della Terra.

         Ho trovato molto stimolante realizzare uno studio su un’autrice

ancora poco conosciuta in Italia, poiché esso mi ha aperto un nuovo

orizzonte culturale a contatto con nuovi aspetti della cultura black British

e   la    sua    storia,   segnata   dalla   dolorosa   esperienza    della

marginalizzazione. Si sono rivelati seminali per il mio lavoro gli studi

sul teatro black British di Lynette Goddard e Deirdre Osborne che ho

consultato presso la biblioteca dell’Università di Warwick, dove ho

avuto modo di approfondire anche le tematiche del postcolonialismo

frequentando i corsi di letteratura postcoloniale del centro di ricerca



                                                                          3
‚Centre for Translation and Comparative Cultural Studies‛. Inoltre

presso la ‚Openbare Bibliotheek‛ di Amsterdam ho potuto reperire

numerosi testi che mi hanno dato spunti interessanti per la mia tesi. Per

la traduzione in lingua italiana dell'opera Stoning Mary mi sono avvalsa

dell'aiuto dello studioso e scrittore spagnolo Joan Espasa che mi ha

inviato la sua traduzione, in lingua spagnola, inedita dello spettacolo

Lapidando a María, realizzato a Madrid presso il ‚Teatro Pradillo‛

nell’Ottobre del 2008. Il suo testo si è rivelato molto utile per

l’interpretazione delle parti più complesse e criptiche dell'opera.

Importante è stata anche la collaborazione con i miei colleghi

madrelingua inglesi dell'agenzia di traduzione di Dublino presso cui ho

svolto un periodo di tirocinio, i quali mi hanno confermato le difficoltà

nella comprensione dei significati del testo e la complessità dell'opera.

Mi sono avvalsa, inoltre, del video dello spettacolo Stoning Mary

realizzato presso ‚The Pleasance Theatre‛ di Londra dagli studenti di

‚The London Metropolitan University‛ nel Maggio 2007 e che l’attore

Sam Quinn (che nello spettacolo interpreta il ruolo del PADRE) mi ha

gentilmente inviato. Questo video mi ha aiutato a comprendere il senso

dei dialoghi dei personaggi grazie all’osservazione del loro linguaggio

gestuale, della mimica e della prossemica. Mi sembra opportuno, infine,

ricordare anche l’intervista radiofonica di Holly Wallis, giornalista di

Three Weeks, a Kiran Gill, regista e produttore di Stoning Mary, che sono

riuscita a reperire su Internet e che ho trascritto e tradotto in italiano.

       Questo studio è diviso in due capitoli: nel primo si descrive il

contesto socio-culturale in cui opera debbie tucker green, facendo

riferimento al dibattito culturale sulle nozioni di identità, cultura,

appartenenza nazionale e razziale e più specificamente di Englishness,



                                                                              4
Britishness e blackness che, a seguito delle migrazioni diasporiche, sono

entrate in crisi. A partire dalla fine del XX secolo emerge, infatti, nel

cuore dell’ ex-impero una nuova identità British e al tempo stesso black,

che mette in crisi la cultura dominante e il concetto stesso di Occidente.

       Nel secondo capitolo, dopo un breve excursus sulla storia del

teatro black British degli ultimi vent’anni, si analizza l’opera di debbie

tucker green con particolare attenzione al suo linguaggio ibrido.

       Infine si esamina l’opera Stoning Mary, di cui viene proposta per

la prima volta la traduzione in lingua italiana, illustrando le strategie

traduttive adottate e le difficoltà linguistico-culturali incontrate.




                                                                             5
Introduzione




        In ogni società periodicamente si diffondono mode che, oltre a

cambiare il costume e le abitudini sociali, danno vita a nuovi modelli di

pensiero, nuovi concetti o modi di rappresentare la realtà che diventano

vere e proprie parole d’ordine, la lente attraverso cui guardare ed

interpretare le dinamiche socio-culturali contemporanee. È ciò che è

avvenuto alla fine degli anni ’60 quando, con l’affermarsi delle teorie

post-strutturaliste, le nozioni di ibridità, creolizzazione, identità, cultura,

nazione, razza si configurano come categorie rappresentative del nuovo

contesto postmoderno, come punto di riferimento per interpretare le

forme e gli spazi culturali dell’attuale società transnazionale e

globalizzata. Queste nozioni chiave infatti entrano in gioco nell’analisi

dei fenomeni socio-culturali contemporanei, dalle arti visive al cinema,

dalla letteratura alla musica metropolitana, dagli studi culturali agli

studi    sulle    migrazioni.       Nell’attuale      clima     caratterizzato      dalla

contaminazione e dalla fluidità, in questa società post-nazionale1 in cui il

rigido dualismo tipico della modernità è ormai eroso, si corre il rischio

1 A proposito dell’attuale crisi della nazione nell’opera Modernità in polvere (2001) Arjun
Appadurai scrive: ‚lo stato nazionale sta entrando in una crisi definitiva *<+ *: oggi si
assiste all’+ emergere di un mondo politico postnazionale. *<+ Può darsi benissimo che
l’ordine postnazionale che sta emergendo si riveli essere non tanto un sistema di
elementi omogenei (così com’è nell’attuale sistema degli stati nazionali) ma piuttosto
un sistema basato su relazioni tra elementi eterogenei: movimenti sociali, gruppi di
persone, corpi professionali, organizzazioni non governative *<+. Riuscirà questa
eterogeneità a combinarsi con alcune convenzioni minime sulle norme e sui valori, che
non richiedano una stretta adesione al contratto sociale liberale della modernità
occidentale? *<+ Nel breve periodo, come possiamo già vedere, sarà probabilmente un
mondo caratterizzato da sempre maggior barbarie e violenza. Sul lungo periodo, una
volta liberate dalle costrizioni della forma nazionale, potremo forse scoprire che la
libertà culturale e la giustizia nel mondo non presuppongono l’esistenza uniforme e
generale dello stato nazionale.‛



                                                                                         6
di recidere in modo troppo netto il legame di continuità tra la post-

modernità e la modernità, collocando quest’ultima in un passato ormai

culturalmente e ideologicamente superato essendo essa dominata da

rigide concezioni, quali l’identità fissa e stabile, il mito della purezza, le

grandi narrazioni e ideologie. Una cesura così netta non terrebbe conto

delle contraddizioni e delle ambivalenze, delle discontinuità e rotture

che invece caratterizzano ogni periodo storico-culturale e che sono causa

della problematicità dell’epoca attuale in cui emergono nuove forme di

razzismo e di discriminazione. La contaminazione culturale tipica della

società contemporanea se da un lato ha comportato l’erosione delle

rigide categorie della modernità, dall’altro potrebbe generare un nuovo

sistema di controllo simile a quello della dialettica coloniale. Infatti

limitarsi ad esaltare questa contaminazione culturale unicamente come

momento positivo di superamento della logica binaria classica della

modernità, tralasciando quindi la conflittualità insita in ogni contesto

storico-sociale, può produrre una mercificazione dell’alterità culturale. Il

post-colonialismo diventerebbe così ambiguamente sostenitore e

avversario al tempo stesso della ‚alterity industry‛2: l’altro viene

nuovamente addomesticato con l’esaltazione semplicista, pacificata ed

2 In The Postcolonial Exotic. Marketing the Margins (2001) Graham Huggan afferma:
‚Postcolonial studies, it could be argued, has capitalised on its perceived marginality
while helping turn marginality itself into valuable intellectual commodity.‛ A
proposito del processo di addomesticamento dell’altro, dell’esotico lo studioso
sostiene: ‚*<+ exoticism may be understood conventionally as an aestheticising
process through which the cultural other is translated, relayed back through the
familiar *<+; exoticism describes *<+ a particular mode of aesthetic perception – one
which renders people, objects and places strange even as it domesticates them, and
which effectively manufactures otherness even as it claims to surrender to its
immanent mystery. *<+ The postcolonial exotic is, to some extent, a pathology of
cultural representation under late capitalism – a result of the spiralling
commodification of cultural difference, and of responses to it, that is characteristic of
the (post)modern, market-driven societies in which many of us currently live‛.




                                                                                       7
esotica della contaminazione culturale. L’altro però non può venire del

tutto addomesticato: si tratta infatti di un sistema imperfetto in cui si

percepiscono ambivalenze e rotture su cui la critica culturale può

lavorare.

        Ed è proprio il ruolo della critica ad assumere una valenza

centrale nella società contemporanea. Significativa è infatti la critica

mossa dagli studiosi postcoloniali all’idea ‚essenzialista‛ della cultura,

concepita come tradizione e rigida continuità con un passato condiviso

da una comunità. Questa concezione della                             cultura rischia di

promuoverne un’idea divisionista: l’umanità appare come un mosaico, i

cui molteplici frammenti diversi non sono in relazione tra loro, ma

separati gli uni dagli altri. Questa visione del mondo, intesa come un

insieme di culture ed etnie diverse non comunicanti tra loro e per questo

destinate     inevitabilmente         a    scontrarsi,     favorisce      la    nascita     di

fondamentalismi e integralismi identitari.

        Oggi si sta delineando una rigida contrapposizione tra due tipi di

pensiero: il relativismo e l’universalismo 3, tra le nozioni locale e globale 4, e


3 La diffusione a livello mondiale dei mezzi di comunicazione di massa ha portato ad
un processo di unificazione delle varie culture, ne è un esempio l'uso diffuso di certe
espressioni linguistiche della cultura dominante da parte di popoli dalle culture più
diverse. Questo universalismo culturale è evidente soprattutto nell'adozione, talora solo
esteriore, di certi modelli di vita propagandati come migliori. Si tratta di un fenomeno
di omologazione culturale che tende ad uniformare modi di pensare e stili di vita per
la necessità economica del mercato unitario. All’universalismo culturale si contrappone il
relativismo culturale secondo cui invece ogni cultura ha una valenza unica e
incommensurabile rispetto alle altre e deve essere rispettata nella sua diversità ed
unicità.
4 In Globalizzazione e localismi tra antropologia e sociologia contenuto in Dialegesthai (2003)

Mimmo Pesare scrive: ‚«Locale», *<+ da intendersi come «localismo», *<+ *è+ la
dimensione «teoretica» che si oppone a quella globale all'interno di una riflessione sul
«territorio», o meglio, sulla cultura e sull'identità di un territorio. *<+ La
rivendicazione dell'aspetto del «locale» deve intendersi oggi come «la questione» del
globale, vale a dire come la sua intrinseca aporia‛. Riguardo alla globalizzazione e al
localismo i filosofi Angelo Bolaffi e Giacomo Marramao in Frammento e sistema (2001)



                                                                                             8
di fronte a questo irrigidimento di posizioni gli studiosi postcoloniali

propongono un ‚contro-discorso‛: le figure marginali e dinamiche dei

migranti vengono esaltate poiché incarnano quella

                energia liberatoria, senza patria, decentrata, espressione
         dell’esilio *<+ la cui coscienza è rappresentata dall’intellettuale e
         dall’artista in esilio; ovvero da una figura politica che si colloca tra
         più territori, tra più forme, tra più case, tra più lingue *<+

         *e che attua una liberazione con la+ resistenza e *<+ *l’+opposizione
         alle costrizioni e ai saccheggi dell’imperialismo. 5


       Per la sua contraddittorietà l’attuale società transnazionale e

globalizzata      può       quindi       essere      definita      ‚glocale‛,       ossia

contemporaneamente globale e locale; con i flussi migratori del novecento

le civiltà sono diventate sempre più complesse e la continua mobilità ha

fatto sì che le persone conoscessero culture e luoghi diversi da quelli

natii con il deterioramento dei vecchi stereotipi. Se da un lato le società

attuali si presentano fluide e porose, dall’altro sono caratterizzate da

razzismi e discriminazioni sorti in nome di una cittadinanza natia ormai

messa in crisi e che sfociano in taluni casi nel fanatismo e nel

fondamentalismo per i quali la problematicità della contemporaneità si

riduce ad un mero ‚scontro tra Oriente e Occidente‛.

       Il clima di diffidenza e paura che si vive oggi in Italia e che spesso

porta a rinfocolare le divisioni spingendo le persone ad unirsi contro i

non italiani è stato già vissuto da altri paesi non lontani né meno

occidentali.    Attualmente         infatti    in    Inghilterra      vi    sono    forti

contraddizioni e si vive in modo pacifico e turbolento al tempo stesso la

sostengono inoltre che ‚una spinta alla globalizzazione che non trovi adeguate forme
istituzionali di governo e di controllo del proprio movimento spontaneo produce
inevitabilmente una disseminazione incontrollata di localismi identitari ed esclusivi,
irrimediabilmente segnati dal marchio xenofobo.‛
5 Edward Said, Cultura e Imperialismo, Roma, Gamberetti Editrice, 1998, p. 364.




                                                                                       9
multietnicità e la multirazzialità peculiari di questo Paese.6 Nella città di

Londra, dove convivono comunità transnazionali e convinti difensori

dell’identità nazionale, difatti non mancano odi e razzismi. In questo

scenario sempre più instabile e metamorfico cresce la consapevolezza

che non esistono più identità ferme e luoghi per costruirle.

          Lo scopo del lavoro qui proposto è pertanto l’analisi di alcuni

aspetti     della   globalizzazione        contemporanea          osservata      da     una

prospettiva che si pone a metà strada tra due o più culture.

Focalizzando questo studio sull’analisi del teatro della drammaturga di

origini afro-caraibiche debbie tucker green si vuole porre l’attenzione

sulle complesse problematiche della società contemporanea: come figura

‚migrante‛, infatti, debbie tucker green incarna a pieno le problematiche

globali, o meglio ‚glocali‛, di appartenenza. La sua identità ibrida, il suo

essere in-between, tra due mondi e due diversi stili di vita, quelli afro-

caraibici delle sue origini e quelli inglesi del presente, rendono la sua

opera particolarmente significativa nel più ampio dibattito culturale

6 Francesca Giommi in Black British e Black Italian: antinomie della modernità, centralità
delle culture e delle identità dei margini (2009) sostiene: ‚la Gran Bretagna, una tra le più
grandi potenze coloniali di tutti i tempi, è stata *<+ una delle nazioni moderne
maggiormente coinvolte *<+ *dal+ fenomeno di spostamento dei confini, di
centralizzazione della marginalità [conseguente alle ondate migratorie dalle ex colonie
verso la madre patria che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo.] Culla e
centro propulsore degli studi culturali dagli anni ’60, *la Gran Bretagna è il Paese in
cui, grazie all’+ opera di teorici del calibro di Stuart Hall, Paul Gilroy, Salman Rushdie
e Homi Bhabha, *si sviluppa la riflessione+ *<+ sulla dislocazione e sulla marginalità
degli immigrati e delle loro culture. Hall, Gilroy, Rushdie e Bhabha hanno contribuito
all’enunciazione di una nuova identità ibrida e diasporica, *<+ *nata+ da esperienze
coloniali, migrazioni di popoli e ri-definizione di confini. *<+ *Le nuove+ realtà ed
identità transnazionali si collocano per lo più in centri urbani metropolitani, dove
maggiore è il flusso migratorio, così come molteplici sono le possibilità di attuare
pratiche alternative di territorializzazione e ricavare spazi di appartenenza pubblici e
privati, mettendo in evidenza negli ultimi anni un’ambigua contrapposizione tra
marginalizzazione sociale e centralità culturale. La stessa pratica di contro-
colonizzazione del centro metropolitano, e di conseguente ibridazione e meticciato, sta
prendendo piede anche in Italia a qualche decennio di distanza‛.



                                                                                          10
sulle questioni della razza, dell’identità, del multiculturalismo e della

nazione. Studiare il teatro di tucker green significa dunque esaminare la

tensione esistente tra globalismo e localismo.

        Si è scelto di analizzare in particolare il linguaggio adoperato da

debbie tucker green, poiché il linguaggio, in quanto pratica sociale, ha

un ruolo centrale nella costruzione dell’identità, individuale e della

comunità. L’identità7, ‚intesa come relazione, cioè concepita sempre dal

punto di vista dell’alterità”8, e il suo rapporto con il linguaggio è infatti

l’oggetto di studio di questo lavoro. Tale rapporto non viene considerato

qui come una corrispondenza biunivoca tra la modalità del parlare e

una soggettività fissa e definita, l’identità del soggetto non va intesa

come qualcosa di preesistente, di cui il linguaggio rappresenta il

‚riflesso‛, né viceversa: è infatti attraverso il linguaggio che si costruisce

l’identità, la quale si modifica e si realizza in rapporto all’alterità.

        Nell’attuale epoca della globalizzazione, del multiculturalismo e

dell’interculturalità, in cui cadono i confini, culturali e nazionali, l’identità

si    presenta       pertanto       fluida,     instabile,      dinamica.        Tuttavia

paradossalmente in quest’epoca si sono accentuati gli integralismi:

infatti proprio la caduta del più grande simbolo del confine tra le culture,

il muro di Berlino, ha portato l’esplosione di conflitti sociali latenti,

rimasti fino ad allora nell’ombra. La caduta del muro nel 1989, momento

della celebrazione della fratellanza tra i popoli, è stata invece

accompagnata dalla rinascita di idee e di movimenti che promuovono

7  Il concetto di identità che si propone in questo studio non ha a che fare con
l’‛identificazione‛, ma riguarda una costitutiva dialogicità interculturale,
interlinguistica, intersemiotica, aperta verso molteplici direzioni (v. Augusto Ponzio,
Patrizia Calefato, Susan Petrilli, Fondamenti di filosofia del linguaggio, Bari, Laterza,
1999).
8 Patrizia Calefato, Europa fenicia: identità linguistica, comunità, linguaggio come pratica

sociale, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 10.



                                                                                         11
una nuova delimitazione dei confini, delle identità e delle etnie e che

trovano la loro manifestazione più estrema nella ‚pulizia etnica‛. Negli

ultimi anni l’Europa è stata investita da un’ondata conservatrice

diventando teatro di vicende come il dramma della ex-Jugoslavia e del

revanchismo neonazista e neofascista in Germania e in Italia. In questo

clima perciò diventa cruciale il ruolo della ‚comunicazione‛, non intesa

                nella forma alienata del totalitarismo instauratosi oggi nelle
          comunicazioni di massa, *<+ ma nel recupero di una idea
          regolativa di ‚umanità‛ che sia soprattutto l’estrinsecazione del
          bisogno umano ‚ricco‛ dell’altro uomo/dell’altra donna come fine e
          non come mezzo. Il linguaggio ha un ruolo essenziale in questo
          progetto, *<+*esso è infatti] costitutivamente, naturalmente,
          dialogico e polifonico.9


Oggi l’Europa è una ‚nuova Babele‛, attraversata da migrazioni, grandi

movimenti di popoli, lingue e saperi che comportano il rimescolamento

e una vera e propria rivoluzione del continente, che da troppo tempo,

forse, ha dimenticato di provenire anch’esso ‚di fuori‛, ‚dall’altro

mondo‛10.

9 Ivi, p. 11.
10 Nel testo Europa fenicia: identità linguistica, comunità, linguaggio come pratica sociale
(1994) Patrizia Calefato scrive: ‚In un articolo a due voci pubblicato in un numero
dell'Espresso del dicembre 1992, Jean Daniel *<+ e Umberto Eco *<+ si interrogavano
sul destino dell'’Europa di fine secolo, la nuova Babele, come la definivano. Nuova
Babele perché attraversata da rinnovate frantumazioni etniche e nazionali, e perché
percorsa da migrazioni che oggi rappresentano, a parere di Eco, un fenomeno storico
di portata ben più ampia delle tradizionali immigrazioni. Come nel mito di Babele,
l’Europa è solcata oggi da una molteplicità di lingue nazionali, di idiomi, di culture, le
cui specificità e particolarità convivono insieme a una tensione comune verso il
cosmopolitismo e verso l’idea di un’Europa che non sia soltanto quella del mercato e
degli accordi monetari. *<+ La condanna biblica sembra però essere oggi non quella di
un’Europa dove si parlerebbero troppe lingue – ché anzi questa è da sempre una
caratteristica del continente – bensì quella di un’Europa in cui sempre più spesso nelle
lingue si stratificano, si trasmettono e si rigenerano pregiudizi verso il diverso.
Paradossalmente, la crescente pluralità di lingue che percorrono oggi l’Europa si
accompagna spesso a forme di oppressione, sfruttamento, e reificazione dell'altro, che
si realizzano nel linguaggio e nei modelli di rappresentazione e comunicazione non
meno che nella sfera economica e politica‛.



                                                                                         12
Capitolo 1



       Identità, cultura e liminalità nell’estetica black British




         Culture as a strategy of survival is both transnational and translational. It is
transnational because contemporary postcolonial discourses are rooted in specific histories of
cultural displacement, whether they are the middle passage of slaver and indenture, [...] the
fraught accommodation of Third World migration to the West after the Second World War,
or the traffic of economic and political refugees within and outside the Third World. Culture is
translational because such spatial histories of displacement […] make the question of how
culture signifies […]. The transnational dimension of cultural transformation - migration,
diaspora, displacement, relocation - makes the process of cultural translation a complex form of
signification. The natural(ized), unifying discourse of nation, peoples, or authentic folk
tradition, those embedded myths of cultures particularity, cannot be readily referenced. The
great, though unsettling, advantage of this position is that it makes you increasingly aware of
the construction of culture and the invention of tradition.

                                                  Homi Bhabha, “Redrawing the Boundaries‛




         It is in the emergence of the interstices - the overlap and displacement of domains of
difference - that the intersubjective and collective experiences of nationness, community
interest, or cultural value are negotiated. […] Terms of cultural engagement, whether
antagonistic or affiliative, are produced performatively. The representation of difference must
not be hastily read as the reflection of pre-given ethnic or cultural traits set in the fixed tablet of
tradition. The social articulation of difference, from the minority perspective, is a complex, on-
going negotiation that seeks to authorize cultural hybridities that emerge in moments of
historical transformation.


                                                      Homi Bhabha, ‚The Location of Culture‛




                                                                                                   13
1 Ibridità e transnazionalità nella nuovo teatro black British


        Nell’attuale società transnazionale le nozioni di cultura, identità,

appartenenza nazionale e razziale e più specificamente di Englishness,

Britishness e blackness sono entrate in crisi: con le migrazioni diasporiche

nuovi soggetti ‚marginali‛11 giungono in Gran Bretagna dove con la

loro presenza alterano l’omogeneità di questa ‚comunità immaginata e

condivisa‛12 rendendone labili e ambivalenti i confini, culturali e

nazionali. Lo spazio, la nazione, che accoglie i soggetti migranti si

trasforma in uno spazio ‚liminale‛13: esso è il luogo dello scambio tra le

diverse     culture      e    identità     che     incontrandosi        si   plasmano

vicendevolmente. In questo


                passaggio interstiziale fra identificazioni fisse [si] apre la
          possibilità di un’ibridità culturale che accetta la differenza senza
          una gerarchia accolta o imposta. 14




11 L’espressione ‚soggetti marginali‛ si riferisce naturalmente alle popolazioni non
europee colonizzate che con le migrazioni diasporiche postcoloniali si spostano dai
margini al centro dell’impero.
12 Nel testo Imagined Communities del 1991 Benedict Anderson introduce l’espressione

‚comunità immaginata‛ per descrivere l’idea di stato-nazione. Secondo Anderson
infatti la nazione può essere definita una comunità per il forte senso di appartenenza e
di condivisione di sentimenti, scopi e storia di coloro che ne fanno parte. Il senso di
comunità all’interno della nazione non si fonda sulle relazioni personali come in una
normale comunità: non è necessario che ogni membro della comunità-nazione conosca
tutte le persone che vivono in essa, basta che questi sia in grado di immaginarne
l’esistenza. Pertanto per ‚comunità immaginata‛ Anderson intende lo stato-nazione
che nasce a partire dalla creazione di uno spazio simbolico condiviso.
13 Nell’opera The Location of Culture (1994) di Homi Bhabha vi sono riflessioni di

fondamentale importanza per la comprensione delle nuove dinamiche e formazioni
identitarie ibride del nuovo millennio, come i concetti di ‚liminalità‛, di ‚terzo spazio‛
e di in-betweenness, rappresentative delle posizioni ambigue, ai confini, e proprio per
questa ragione molto fluide, aperte e creative.
14 Homi Bhabha, I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001, p. 15.




                                                                                       14
Ed è proprio in questo spazio di transito attraverso confini di identità

stabili che si determina una dinamica ambivalente di ‚traduzione‛.

Infatti come scrive Salman Rushdie in Patrie Immaginarie:


                la parola traduzione deriva etimologicamente dal latino
         portare di là. Poiché *<+ *i migranti sono+ persone portate di là dal
         mondo, *<+ *sono+ individui tradotti. Si ritiene solitamente che
         qualcosa dell’originale si perda in una traduzione, *<+ *in realtà si
         può] guadagnare qualcosa. 15

               La migrazione *<+ ci offre una delle più ricche metafore del
         nostro tempo. Lo stesso termine metafora, le cui radici risalgono al
         termine greco per trasportare, descrive una sorta di migrazione, la
         migrazione delle idee in immagini. I migranti – individui
         trasportati – sono esseri metaforici nella loro stessa essenza; e la
         migrazione, vista come metafora, è dappertutto intorno a noi – tutti
         attraversiamo delle frontiere: in questo senso tutti siamo
         emigranti.16



Pertanto la ‚traduzione‛ assume un ruolo di primaria importanza

configurandosi come transculturazione 17, ossia ‚processo di negoziazione

e selezione interculturale‛18 che consente di trasportare da un luogo

all’altro non soltanto parole, bensì anche la cultura.

       Come afferma Homi Bhabha in The Location of Culture, le ‚culture

della diaspora‛ che abitano gli spazi di frontiera, in-between, mettono in

atto una politica della differenza destabilizzando il binarismo su cui si è

fondata la cultura dell’Occidente. Il ‚centro‛ è ormai abitato da coloro




15 Salman Rushdie, Patrie Immaginarie, Milano, Mondadori, 1991, p. 23 (corsivo mio).
16 Ivi, p. 278 (corsivo mio).
17 Il neologismo transculturazione è adottato da Nancy Morejón in Nación y mestizaje en

Nicolás Guillén (1982) per descrivere l’interazione e la trasmutazione tra diverse
componenti culturali che portano ad una terza, nuova ed indipendente, entità
culturale. L’incontro tra queste diverse componenti determina infatti una mediazione
attiva, non una vittimizzazione passiva.
18 Ania Loomba, Colonialismo/postcolonialismo, Roma, Meltemi Editore, 2000, p. 79.




                                                                                    15
che vivevano ai suoi ‚margini‛19 e questo provoca lo stravolgimento

della tradizionale visione/costruzione dell’identità culturale. In questo

caos-mondo, come Édouard Glissant nell’opera Poetica del diverso (1998)

definisce il fenomeno di continua messa a confronto di culture diverse,

si va verso il superamento del multiculturalismo (coesistenza separata

delle varie culture con reciproco patto di non mescolanza) e si approda

invece ad una logica dell’interculturalità, ossia alla convivenza di culture

differenti che si confrontano, si formano e si modificano reciprocamente.

         Tutti   questi     fermenti      politico-socio-culturali       caratteristici

dell’interculturalità si riflettono significativamente nel campo letterario:

la letteratura prodotta dalla black Britain, che negli anni ’90 conosce la

massima fioritura, è espressione paradigmatica della realtà ibrida della

Gran Bretagna. La nazione e la metropoli oggi infatti sono raccontate da

scrittori che un tempo ne abitavano le zone marginali: questi soggetti

ibridi    creano    delle    ‚contronarrazioni‛,        scardinando       il   discorso

ideologico che è alla base delle narrazioni canoniche, come afferma

Bhabha nel celebre saggio DissemiNation. Time, narrative and the margins

of the modern nation (1994). Con la letteratura black British inizia la




19 A partire dall’epoca postcoloniale la critica problematizza il binarismo del mondo
coloniale: con il consolidamento dell’impero si stabilisce una relazione di tipo
gerarchico tra il colonizzato, l’altro, e il colonizzatore, tra selvaggio e civilizzato.
L’Europa imperiale si configura come centro, mentre il resto del mondo viene
considerato ai margini della cultura, del potere e della civilizzazione. Tale concetto di
margine si presenta però ambivalente: se è vero che il margine, come delimitazione e
bordo, si situa al di fuori del centro, è anche vero che esso lo avvolge. Ciò implica
pertanto l’idea di ‚esclusione nella prossimità‛ che caratterizza le culture della
diaspora, idea che può essere intesa sia in senso negativo come non-conformità alle
regole e non-integrazione (emarginazione), sia in senso positivo come libertà di scelta
(alter-nativa).



                                                                                      16
decostruzione del canone Occidentale20, in particolare di quello

britannico, e la scoperta di nuovi canoni.

        Questa contro-letteratura, nel contrapporsi al canone britannico,

si proclama britannica occupando una posizione di assoluta centralità.

Infatti a partire dalla fine del XX secolo emerge nel cuore dell’ ex-impero

una nuova identità British, e al tempo stesso black, che mette in crisi la

cultura dominante e il concetto stesso di Occidente. In epoca coloniale

con black si identifica il soggetto ‚eccentrico‛, ex-centric, ossia fuori dal

‚centro‛, che si contrappone a British che caratterizza invece quello

‚bianco‛, posto nel ‚centro‛; queste identità black e British mescolandosi

tra loro hanno creato un nuovo soggetto ‚ibrido‛ black British. La Gran

Bretagna oggi infatti si configura come lo spazio postmoderno e

postcoloniale per eccellenza, nell’accezione di Homi Bhabha21 e Stuart

Hall22: uno spazio ibrido e creativo, dove le culture si formano e si

evolvono rivoluzionando il concetto stesso di ‚centro‛, di identità e di

canone, finora ad esso associati.

        Perciò la generazione black British supera la ‚mimicry o

imitazione ironica‛23, che secondo Homi Bhabha caratterizza il



20 Come sostiene Maria Renata Dolce in Letterature in inglese e il canone (2004), il canone
Occidentale, e significativamente quello britannico, per lungo tempo ha svolto il ruolo
determinante di ‚mediatore della cultura nazionale *<+ *rispondendo+ a
quell’aspirazione all’omogeneità nazionale che caratterizza una Englishness nutrita dal
sogno dell’espansione coloniale‛.
21 Cfr. Homi Bhabha, ‚DissemiNazione: tempo, narrativa e limiti della nazione

moderna‛ in I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001.
22 Cfr. Stuart Hall, ‚Nuove Etnicità‛ in Il soggetto e la differenza. Per un'archeologia degli

studi culturali e postcoloniali, Roma, Meltemi, 2006.
23 Nel testo Of Mimicry and Man: the Ambivalence of Colonial Discourse (1994) Homi

Bhabha sostiene che ‚l'atto mimetico del colonizzato è essenzialmente ironico e [che]
quindi la sua ripetizione degli atti dei colonizzatori è un momento di libertà parodica
con cui il sottoposto ottiene dei vantaggi, ma attraverso il quale sviluppa anche la sua
personalità individuale distinta da quella originariamente espressa nell'atto



                                                                                           17
colonizzato, essendo essa ormai la mescolanza di Britishness e di

blackness, di sameness e di otherness. L’Altro si è fatto inglese, sovvertendo

così la nozione stessa di Britishness. Questa ibridità, che trova la

massima espressione nella letteratura black British, viene percepita come

pericolosa per il suo grande potenziale sovversivo: sfidando la purezza

della tradizione, essa mette in discussione la superiorità della cultura

dominante.24

        Dalle considerazioni finora fatte si deduce che la letteratura black

British ‚ha funzioni performative che sconfinano oltre il testo‛25, come

afferma Mark Stein in Black British Literature, Novels of Transformation

(2004): essa provoca un cambiamento nella stessa cultura, inglese, che la

genera e la ospita.26 Gli scrittori black British, quindi, attraverso la

scrittura realizzano una negoziazione identitaria e spaziale rivendicando

così la legittimità di appartenenza alla cultura e società inglesi per se

stessi e per la generazione che essi rappresentano.



parodiato‛. Questa imitazione ironica, o mimicry, porta quindi alla creazione di identità
ibride o meticce e non alla perdita di sé.
24 Francesca Giommi, Identità e appartenenze nella narrativa Black British di origine afro-

caraibica, Tesi di Dottorato in Letterature e Culture dei Paesi di Lingua Inglese,
Università di Bologna, 2007, p. 5.
25 Ivi, p. 52.

26 Nell’opera Black British Literature, Novels of Transformation (2004) Mark Stein afferma:

‚*the black British novel of transformation is] characterized by performative functions
and *<+ *it reaches+ beyond the text. *<+ The novelistic transformation of Britain *<+ is
accomplished through the redefinition of Britishness, the modification of the image of
Britain. The novel of transformation not only portrays changing Britain but, crucially,
it is also partly responsible for bringing about change. *<+ The black British novel of
transformation is not only about the character formation of its protagonists, it is at
once about the transformation and reformation of British cultures. These processes of
transformation and reformation are not only represented in the texts; they are at once
purveyed by them. *<+ The performative functions of the novel of transformation *<+
involve the construction of new subject positions, the reimagination and redress of the
images of Britain including the transgression of national boundaries, the depiction of
racism, and, most importantly, the representation, exertion, and normalization of black
British cultural power.‛



                                                                                        18
La funzione ‚performativa‛ della letteratura black British è

particolarmente evidente nel genere teatrale: raccogliendo l’eredità della

tradizione brechtiana, adottando tecniche di straniamento 27, il testo

teatrale black British stimola il destinatario a compiere un complesso

lavoro interpretativo. Pertanto il teatro black British, nel rendere attivo il

ruolo del destinatario, induce questi a mettere in discussione le verità

acquisite in quella stessa cultura, inglese, che ha generato il testo: in tal

modo la cultura si modifica venendo introdotti all’interno di essa nuovi

elementi e ciò conferma la funzione performativa di questo teatro. A tal

proposito significativa è l’affermazione di Patrice Pavis nell’opera

L’analisi degli spettacoli del 2004: il ‚nuovo nasce dalla creolizzazione‛;

infatti il teatro black British, essendo il prodotto della creolizzazione delle

culture dovuta al fenomeno delle migrazioni di massa dalle ex-colonie

alla Gran Bretagna, diventa il luogo dello scambio culturale tra le forme

del teatro tradizionale britannico e quelle delle culture e delle tradizioni

africane e caraibiche28, così che nascono nuovi stili, tematiche e

27 Nel saggio Alienation and alienation effects in Winsome Pinnock’s Talking in Tongues
(2007) Meenakshi Ponnuswami sostiene: ‚most black playwrights in Britain readily
acknowledge *Bertold Brecht’s influence+ *<+ in their work. *<+ Brechtian social
realism *<+ was a basically realist theatre that featured some of the staple mechanisms
of epic theatre practice for effecting critical distance in audiences, to save them from
the stranglehold of emotional identification and catharsis: e.g., episodic narratives;
alienation effects such as projections; musical accompaniment; and other distancing
techniques designed to encourage critical awareness and questioning in audiences.‛
28 A proposito della tradizione teatrale black nell’Introduzione a Black Theatre: Ritual

Performance in the African Diaspora (2003) Victor Leo Walker scrive: ‚The terms theatre
and drama *<+ *, when referred to black culture, have to be considered as] inclusive of
ritual, ceremony, *<+ rites of passage, the blues, improvisation, Negro spirituals,
spoken word, hip-hop, storytelling, and other performative modes of expression rooted
in the ancestral ethos of black Africans in the Diaspora. *<+ Most black Africans in the
Diaspora who create performative rituals do so to reaffirm the life force of the
community by engaging the community in an experience that reinforces the collective
worldview *<+. Theatre and drama of the African Diaspora is communal‛. Come
afferma Wole Soyinka in Myth, Literature and the African World (1976): ‚The difference
*<+ between European and African Drama *<+ *is the+ difference between one culture



                                                                                     19
linguaggi. Dunque il teatro black British assume un ruolo chiave per

comprendere la realtà interculturale della Gran Bretagna, e della società

contemporanea più in generale, dove culture differenti convivono

confrontandosi, formandosi e modificandosi reciprocamente.

        Il teatro black British è transculturale, senza confini e si inscrive in

uno spazio ibrido, un ‚terzo spazio‛, secondo l’accezione di Bhabha. Il

teorico indiano nel suo saggio DissemiNation nel volume Nation and

Narration (1990), considerando il concetto di nazione nel mondo

postcoloniale, sostiene che a seguito delle migrazioni diasporiche

cadono i confini intesi in senso tradizionale dal punto di vista geografico

e storico e si ha l’emergere di zone liminali, di spazi di attraversamento.

Bhabha afferma che nella ‚narrazione‛ si ha l’allargamento dello spazio

della nazione per l’integrazione culturale di nuovi elementi e che la

‚presenza performativa delle persone‛29 svolge un ruolo determinante

per una nuova definizione culturale di nazione. Il teatro black British,

come il teatro in generale, ha una valenza significativa proprio per la

presenza performativa30 degli attori sulla scena che realizzano la loro


whose very artifacts are evidence of a cohesive understanding of irreducible truths and
another, whose creative impulses are directed by period dialectics. So, to begin with,
we must jettison that fashionable distinction which tends to encapsulate Western
drama as a form of esoteric enterprise spied upon by fee-paying strangers, as
contrasted with a communal evolution of the dramatic mode of expression, this latter
being African. Of far greater importance is the fact that Western dramatic criticism
habitually reflects the abandonment of a belief in culture as defined within man’s
knowledge of fundamental, unchanging relationships between himself and society and
within the larger context of the observable universe.‛
29 Homi Bhabha, ‚DissemiNation‛ in Nation and Narration, New York, London,

Routledge, 1994, p. 299.
30 In Il queer, la trasformazione dello spazio pubblico e il concetto filosofico di performatività

(2010) Monica Pasquino scrive: ‚La performatività riveste un ruolo centrale
*nell’analisi+ *<+ del meccanismo con cui le norme sociali agiscono sulle soggettività
individuali e nelle trame della coscienza collettiva. In particolare, Judith Butler
propone un’estensione del concetto di atto linguistico performativo al di là del suo
consueto ambito di applicazione *<+, accogliendo la critica alla teoria degli atti



                                                                                              20
performance in uno spazio liminale, astorico e senza confini. Come

afferma Keir Elam in Semiotica del teatro (1999), ‚l’azione si svolge in un

perpetuo presente e sul palcoscenico è sempre adesso‛31: infatti nel

teatro black British, come in ogni testo teatrale, l’enunciato è inscritto

costantemente nel presente. Anche Bhabha parla di enunciazione

inscritta nel presente, in relazione alla nozione di cultura, ed in The

Location of Culture (1994) scrive:
               My shift from the cultural as an epistemological object to
         culture as an enactive, enunciatory site opens up possibilities for
         other ‚times‛ of cultural meaning (retroactive, prefigurative) and
         other narrative spaces (fantasmic, metaphorical). My purpose in
         specifying the enunciative present in articulation of culture is to
         provide a process by which objectified others may be turned into
         subjects of their history and experience.32

        La nuova concezione della cultura di Bhabha, intesa come spazio

di enunciazione performativa, potrebbe pertanto concretizzarsi nel fatto

teatrale, dato che esso si realizza in un enunciato sempre al presente. 33



linguistici di Austin (1962) formulata da Derrida in Signature event context *<+ (1971).
*<+ La performatività è per Butler un’occasione per riflettere sulla intrinseca politicità
del dire *<+. La funzione performativa del discorso contribuisce a delimitare i confini
di ciò che appare degno di essere mostrato nello spazio pubblico, tuttavia le parole
istituiscono confini che sono sempre instabili e vacillanti, per questo motivo una
risignificazione imprevista e uno slittamento di senso possono diventare gli strumenti
con cui aprire crepe, contraddizioni e insinuare il cambiamento nella lingua e nello
spazio pubblico.‛
31 Keir Elam, Semiotica del teatro, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 122.

32 Homi Bhabha, The Location of Culture, cit., p. 255.

33 ‚The performative *<+ is for Bhabha the a priori condition of theory per se. And the

performative a priori that grounds Bhabha’s work suggests that history as such is for
him a question a priori of performance. Terms of cultural engagement *<+ are
produced performatively. *<+ In the linguistic sense a performative act brings about
some state of affairs by simply being uttered (as with a promise). But such acts can also
be performed in the dramatic sense – i.e. one can act out the performative in a
performance (in theatre). *<+ So when Bhabha writes of the performative production
of the terms of cultural engagement he is describing cultural engagements as situations
made possible by the fact that every (linguistic or non-linguistic) sign functions as such
because it can be cited (e.g. in a dramatic or poetic performance). *<+ Bhabha’s notion
of performativity is thus intended to *<+ produce an agency that exploits the iterability



                                                                                       21
Perciò studiare il teatro black British significa indagare sull’attuale

concetto di cultura, che nel mondo transnazionale e globalizzato

contemporaneo non è più considerata come un’entità esterna e

superiore all’individuo, conchiusa in se stessa, ma è caratterizzata dalla

soggettività, dalla flessibilità e dalla dinamicità, in un‘epoca in cui la

globalizzazione erode i confini culturali, politici e geografici. Ed è

proprio per comprendere la nuova realtà interculturale e multiculturale

della società contemporanea che si è scelto in questo lavoro di analizzare

il teatro black British.




or (which is the same thing) the openness to-the-other of cultural signs‛(v. Steve Clark,
Travel Writing and Empire: Postcolonial Theory in Transit, London, Zed Books Ltd., 1999).



                                                                                      22
Capitolo 2



     Testualità, identità e rivoluzione nel nuovo teatro black

                         British di debbie tucker green




         To use black culture and experience to further enrich British theatre. To provide high
quality productions that reflect the significant creative role that black theatre plays within the
national and international arena. To enlarge theatre audiences from the black community.

                                                                    Talawa Theatre Company




          Language as symbolic function constitutes itself at the cost of repressing instinctual
drive and continuous relation to the mother. On the contrary, the unsettled and questionable
subject of poetic language (for whom the word is never uniquely sign) maintains itself at the
cost of reactivating this repressed instinctual, maternal element.

                                                         Julia Kristeva, ‚Desire in Language‛




          Like the repressed, the semiotic can return in/as irruptions within the symbolic. It
manifests itself as an interruption, a dissonance, a rhythm unsubsumable in the text’s rational
logic or controlled narrative. The semiotic is thus both the precondition of symbolic functioning
and its uncontrollable excess. It is used by discourses but cannot be articulated by them.

                                Elizabeth Grosz, ‚Jacques Lacan. A feminist introduction‛




                                                                                              23
1 Il nuovo teatro black British di debbie tucker green


       L’attenzione della critica per il teatro black British è cresciuta negli

ultimi decenni, dopo che un numero sempre più cospicuo di suoi testi è

stato rappresentato. Il maggiore interesse per la drammaturgia black

British è venuto dalle studiose del teatro femminista, non sorprende

quindi che le due monografie su questo teatro, Contemporary Black and

Asian Women Playwrights in Britain (2003) di Gabriele Griffin e Staging

Black Feminism: Identity, Politics, Performance (2007) di Lynette Goddard,

riguardino le opere delle drammaturghe black British. Ancora oggi

manca una indagine ampia e storicamente contestualizzata del teatro

black British, nonostante la sua presenza significativa nel panorama

culturale già a partire dagli anni ‘50. Questo teatro infatti viene

considerato più un’appendice che una parte integrante della letteratura

black British, anche se drammaturghi come Wole Soyinka, Mustapha

Matura, Caryl Phillips, Barry Reckord erano già presenti nel panorama

teatrale inglese negli anni ’60.34

       A partire dagli anni ’80 si assiste al fiorire di una consapevolezza

nera e alla nascita di compagnie teatrali black, favorita da politiche

culturali di sostegno e promozione della ‚cultural diversity‛ con i

finanziamenti dell’Arts Council.35 Ed è proprio in questi anni che le


34Meenakshi Ponnuswami, "Alienation and Alienation Effects in Winsome Pinnock’s
Talking in Tongues‛ in Black British Aesthetics Today, Newcastle upon Tyne, Cambridge
Scholars Publishing, 2007, pp. 206-207.
35 Come scrive Lynette Goddard in Staging Black Feminisms: Identity, Politics,

Performance (2007) : ‚the year 1979 marked *<+ *a+ sea-change that has had a lasting
effect on black theatre production in Britain. In 1979 Margaret Thatcher led the
Conservative Party to a General Election victory where they remained for four terms
until 1997. The Conservative government initiated shifts in thinking about cultural
identity that impacted on the funding of minority theatres. *<+ Lasting Thatcherite
motifs and legacies included the complementary ideas of freedom and choice,



                                                                                  24
drammaturghe nere britanniche riescono a trovare il loro spazio, con

l’affermarsi degli studi culturali e femministi. La difficoltà di

rappresentare le proprie opere teatrali ha riguardato anche le autrici

bianche britanniche ancor prima delle drammaturghe black British.

Mentre le autrici bianche inglesi per la loro affermazione si sono

avvantaggiate più facilmente del movimento di liberazione delle donne

degli anni ’70 - ’80, le autrici nere, nonostante il principio di ‚Sorellanza

Universale‛ del movimento femminista, non si sono sentite spesso

rappresentate dagli scritti delle loro sorelle bianche: l’oppressione delle

donne bianche infatti era basata sul genere e sulla classe, quella delle

donne nere includeva anche la categoria di razza.36

      Tra le drammaturghe black British affermatesi in Gran Bretagna a

partire dagli ultimi decenni del XX secolo spicca debbie tucker green, di

origini afro-caraibiche. Ispirandosi ad autrici come l’afro-americana

Ntozake Shange37 e la poetessa giamaicana Louise Bennett38, influenzata



independence and individual worth *<+. Thatcher’s political rhetoric engaged a shift
away from ideas of discrete collective identities towards concepts of the self that came
from a collapsing of ideas of differences between class, race and gender. *<+ Under
Thatcherite principles there is no need for a separate black women’s theatre as black
women are simply individuals along with everyone else.‛
36 ‚A survey of British theatre in the second half of the twentieth century highlights the

marginalisation of black women as topics of drama *<+. Class was emphasised as the
primary site of difference and racial issues were of no concern to the New British
Theatre. *<+ Black plays of the period were almost all written by male dramatists,
such as *<+ Wole Soyinka, Derek Walcott and Edgar White, and the few plays by black
women tended to be by African-American playwrights. Theatre initially seemed to be
an out-of-bounds arena for the black female migrants to Britain *<+.‛ (v. Lynette
Goddard, Staging Black Feminisms: Identity, Politics, Performance, Basingstoke, Palgrave
Macmillan, 2007).
37 Ntozake Shange, dammaturga e poetessa, è nata nel 1948 a Trenton, New Jersey. Il

suo primo lavoro di successo, For Coloured Girls Who Have Considered Suicide When The
Rainbow Is Enuf del 1975, dramma poetico-musicale, è diventato un testo-culto degli
anni ’70: in esso l’autrice racconta l’estraniamento, la violenza, la follia delle donne di
colore, ma anche la sensualità, la forza che nasce dall’espressione e dalla
manifestazione della propria creatività. Questo testo rappresenta il primo atto di



                                                                                        25
dalla musica di cantautrici come le afro-americane Jill Scott e Lauryn

Hill, debbie tucker green si distingue per l’originalità del suo teatro: la

drammaturga ha trovato nuovi modi per raccontare vecchie storie,

storie di dislocazione urbana e di violenza, storie domestiche di abusi.

Nell’intervista al Guardian del 2005 tucker green afferma infatti che:

                 the people who influence me are the people who do their
         own thing, people who don’t look left or right to check if they are
         doing the right thing, but who write what they think and what they
         feel. I don’t write for critics. It is written for people who will feel it.
         It’s for the people who come out saying ‚That’s just like my aunty‛
         or ‚That’s just like me‛.39

       Questa autrice irrompe nella scena teatrale inglese nella

primavera del 2003 con due opere, Born Bad e Dirty Butterfly, entrambe

rappresentate al ‚Soho Theatre‛ di Londra con grande plauso della

critica: Born Bad è premiata nel 2004 con il ‚Lawrence Olivier Award for

Most Promising Newcomer‛ e Dirty Butterfly viene definita dal critico

Sam Marlowe ‚a very striking piece of work‛40.

       Il teatro di tucker green offre la prospettiva di una donna nera del

XXI secolo che abita spazi multiculturali: in esso la drammaturga

affronta questioni complesse come quella della razza e pone urgenti

domande sulla violenza che caratterizza la società contemporanea e che

si manifesta soprattutto nei contesti familiari. Mescolando abilmente gli

stili, le tematiche e i linguaggi delle tradizioni euroamericane con quelle

africane e caraibiche, debbie tucker green propone un interessante e

denuncia nei confronti del maschio di colore e a partire da esso ha origine il fenomeno
di ribellione nero-femminista.
38 Louise Bennett (1919-2006) è una figura di grande rilievo in Giamaica. La sua

produzione poetica rappresenta il primo tentativo di recupero della tradizione africana
e del creolo nei Caraibi anglofoni.
39 Lyn Gardiner, ‚I was messing about‛ in The Guardian, London, 30 March 2005.

40 Sam Marlowe, ‚Review‛ of Dirty Butterfly in What’s On, 26 February - 5 March 2003,

p. 52.



                                                                                       26
nuovo modo di fare teatro in Gran Bretagna diventando così una figura

di rilievo nel panorama teatrale black British contemporaneo.




1.1 La rivoluzione del linguaggio: “Stoning Mary” di debbie tucker green


                 L’ospitalità *che abita+ *<+ un dialogo ha la stessa natura
          dello scarto, del clinamen alla Epicuro, del differire di una caduta, di
          un venir meno: mancare che non è mancanza di qualcosa, ma
          mancare come si dice che si manca un bersaglio. *<+ *Il+ rapporto
          dell’io con l’origine del suo discorso [si può definire pertanto
          segreto].41

        È così che Gianfranco Dalmasso in A partire da Jacques Derrida.

Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità (2007) riassume la

concezione del ‚discorso‛ di Derrida: per questi la lingua è dell’Altro -

non rispetto alla proprietà, ma alla provenienza – e il soggetto nel

rapportarsi all’origine del suo discorso, che è segreta, si rapporta in realtà

a se stesso. Il soggetto è dunque segreto a se stesso, nel suo discorso

infatti esso è ‚coinvolto, generato insieme al significato che pensa, cioè

*nell’usare il linguaggio esso+ *<+ non controlla, all’origine, il punto

sorgivo, il movimento del pensare‛.42 Il segreto quindi non è altro che ‚la

generazione stessa dell’io come singolarità e alterità irriducibile del non

identico a sé‛43. Tale segreto divide radicalmente il soggetto, il quale

potrà liberarsi da esso, secondo Derrida, soltanto quando si libererà

dalla grammatica. La libertà, come intesa da Derrida, è
                accoglienza che ospita originariamente la natura dell’io *<+
          [e che] costituisce una sorta di divisione non distruttiva, ma

41 AA. VV., A partire da Jacques Derrida. Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità,
Milano, Jaca Book, 2007, p. 10.
42 Gianfranco Dalmasso, ‚Jacques Derrida e la genesi del significato‛ in Metafisica e

violenza: atti del convegno, Milano, Vita e Pensiero, 2008, p. 224.
43 Paolo D’Alessandro, Andrea Potestio, Su Jacques Derrida. Scrittura filosofica e pratica di

decostruzione, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2008, p. 83.



                                                                                            27
rimandante ad un’origine altra, tutt’altra, ma insieme costitutiva
          dell’io. Questo crinale sottile è *<+ il segreto, rapporto dell’io con
          l’origine del suo discorso. Questo segreto opera dentro l’azione
          dell’io, *nel suo linguaggio+ *<+, in un testo che implica, oltre la
          nozione di io, anche la nozione di Dio, in cui l’essere umano, come
          avverte Nietzsche, non può liberarsi finché non si libera dalla
          grammatica.44


        Le considerazioni di Derrida sul rapporto tra il soggetto e il suo

discorso, nel quale esso si genera, richiamano le affermazioni di Émile

Benveniste il quale nel testo La soggettività del linguaggio contenuto in

Semiotica in nuce: Teoria del discorso (2001) sostiene:
                 il linguaggio sta nella natura dell’uomo che non l’ha
          fabbricato, *<+ è nel linguaggio e mediante il linguaggio che l'uomo
          si costituisce come soggetto; poiché solo il linguaggio fonda nella
          realtà, nella sua realtà che è quella dell'essere, il concetto di ‚ego‛.
          *<+ La coscienza di sé è possibile solo per contrasto. Io non uso
          ‚io‛ se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia allocuzione
          sarà un ‚tu‛. *<+ Cadono *<+ le vecchie antinomie dell' ‚io‛ e
          dell'‚altro‛*<+. Dualità che è illegittimo ed erroneo ridurre ad un
          unico termine originario, *<+ l'‚io‛, che dovrebbe essere insediato
          nella sua propria coscienza per aprirsi poi a quella del
          ‚prossimo‛*<+. E' in una realtà dialettica che ingloba i due termini
          e li definisce mediante una reciproca relazione che si scopre il
          fondamento linguistico della soggettività.45

        È a partire dagli assunti di Benveniste che il filosofo Jacques

Lacan elabora la sua riflessione teorica sul soggetto umano come ‚in

processo‛, come ‚soggetto parlante‛ che si costruisce attraverso le

pratiche significanti della Legge46. Secondo il filosofo francese l’identità


44 AA. VV., A partire da Jacques Derrida. Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità,
cit., p.10.
45 Émile Benveniste, ‚La soggettività del linguaggio‛ in Semiotica in nuce/Teoria del

discorso, Roma, Meltemi, 2001, pp. 21-22 (corsivo mio).
46 In Introduzione a Lacan contenuto in Nilalienum (2004) Luigi Anepeta riassume il

pensiero di Jacques Lacan: ‚il fondamento della teoria di Lacan è lo sviluppo della
personalità, la quale riconosce tre tappe precoci. La prima comporta un'indistinzione
totale tra il bambino e il mondo esterno, in particolare la madre. La seconda, la fase
dello specchio, che va dal sesto al diciottesimo mese, è caratterizzata dal fatto che
specchiandosi nell'immagine che la madre ha di lui il bambino se ne appropria e
definisce la sua identità in funzione di essa. Si tratta dunque di un'identità



                                                                                            28
del soggetto si forma nell’ordine ‚simbolico‛ del linguaggio, sulla base

delle ‚differenze‛ e delle ‚somiglianze‛: la Legge del Padre impone

infatti un sistema di esclusioni, essa istituisce i significati permettendone

alcuni ed escludendone altri. Da tali considerazioni, secondo la studiosa

americana Judith Butler, si deduce che la Legge ha un carattere

performativo: infatti in Corpi che contano. I limiti discorsivi del «sesso» (1995)

la filosofa statunitense scrive,
                 nell’istituzione delle categorie disponibili alle identificazioni
          la Legge non descrive delle posizioni già esistenti, ma produce,
          materializza, quelle stesse categorie, fissando caratteristiche e
          norme che delimitino in un significato stabile il senso di ciascuna
          categoria all’interno del discorso. *<+ La Legge quindi non crea
          solo zone di senso disponibili all’identificazione, ma ne esclude
          altre, anzi, le relega nel campo dell’impensabile, al di fuori della
          simbolizzazione, della lingua: l’Altro, il residuo della significazione
          grazie al quale essa può avere luogo.47

        Partendo dalle tesi di Lacan Judith Butler teorizza la performatività

del linguaggio e, opponendosi all’idea che l’alterità debba essere relegata

come a-normale e ‚abietta‛ nell’ambito dell’immaginario, promuove

una concezione di identità instabile, non fissa e dinamica, che riconosce

ciò che sta ‚fuori‛ come una nuova possibilità di riarticolazione della

Legge diventando così spazio di identificazione e negoziazione. Sul

concetto di ‚abiezione‛ ha lavorato a lungo la filosofa Julia Kristeva la

quale, in Poteri dell’Orrore (1981), definisce ‚abietto‛ ciò che viene



immaginaria, in conseguenza della quale il bambino desidera essere ciò che la madre
desidera ch'egli sia, vale a dire ciò che ad essa manca (il Fallo). *<+ La terza tappa -
quella edipica - è caratterizzata dall'intervento del padre che, separando il bambino
dalla madre, lo introduce nell'ordine simbolico della Legge e del Linguaggio. Questa
terza tappa è *<+ la più importante *<+. Il padre in questione *<+ non è quello reale.
Questi incarna una funzione paterna, ricondotta da Lacan al Nome del Padre - che,
reprimendo il desiderio del bambino di rimanere assoggettato al desiderio della
madre, promuove l'accesso all'ordine simbolico del Linguaggio‛.
47 Judith Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del «sesso», Milano, Feltrinelli, 1996,

p. 95.



                                                                                             29
ripudiato, che non viene semplicemente escluso dal simbolico

dominante, ma che è ritenuto insignificante, senza una possibile

decifrazione. Kristeva colloca l’‛abietto‛ in uno spazio pre-simbolico, in

un legame arcaico con il materno prima dell’ingresso nel simbolico: la

dimensione       pre-simbolica,       dell’Immaginario48,        per    questa     filosofa

coincide con il Semiotico (pre-verbale), il quale si contrappone al

Simbolico, espressione della Legge del Padre. Il Simbolico può essere

superato, ‚rotto‛ dall’Immaginario-semiotico-materno, come infatti scrive

Elizabeth Grosz in Jacques Lacan. A feminist introduction (1990):

                like the repressed, the semiotic can return in/as irruptions
          within the symbolic. It manifests itself as an interruption, a
          dissonance, a rhythm unsubsumable in the text’s rational logic or
          controlled narrative. The semiotic is thus both the precondition of
          symbolic functioning and its uncontrollable excess. It is used by
          discourses but cannot be articulated by them. 49


Ed è nel linguaggio poetico che secondo Kristeva ‚il Semiotico funziona

come risultato di una trasgressione al Simbolico, come ritorno al corpo

materno da cui la ‚legge del Padre‛ stabilisce invece la distanza‛50, come

‚momento d’irruzione della pulsione nel linguaggio, nel ritmo, nel

senso.‛51 È pertanto il linguaggio poetico, caratterizzato dalla


48  Come afferma Giovanni Bottiroli nel testo Letteratura e Psicoanalisi (2000), nel
panorama critico degli ultimi trent’anni Julia Kristeva rappresenta una figura centrale:
la teorica ha compiuto il ‚tentativo più ambizioso di inserire il lacanismo nella teoria
letteraria. Con La rivoluzione del linguaggio poetico (1974), Julia Kristeva offre
un’immagine conflittuale e ibrida della letteratura in quanto linguaggio abitato e
conteso da due regimi, il semiotico e il simbolico. Il semiotico è il regno delle pulsioni,
ma sulla via di diventare ‚significanti‛; esso tende a imporre la propria logica
(spostamento, condensazione, ma anche frammentazione) al Simbolico, cioè alla sfera
delle istituzioni e della cultura.‛
49 Elizabeth Grosz, Jacques Lacan. A feminist introduction, London, Routledge, 1990, p.

152.
50 Patrizia Calefato, Europa fenicia: identità linguistica, comunità, linguaggio come pratica

sociale, cit., p. 26 (corsivo mio).
51 Julia Kristeva, La rivoluzione del linguaggio poetico, Milano, Spirali, 2006, p. 72.




                                                                                          30
destrutturazione della sintassi e della semantica, quello che meglio

potrebbe incarnare la ‚libertà‛ (accoglienza che ospita originariamente

la natura dell’io) che secondo Derrida può liberare l’uomo dal segreto

che lo divide radicalmente.

        È proprio il linguaggio poetico quello che debbie tucker green usa

nel suo teatro e che è l’oggetto di questo studio. Il suo linguaggio infatti

è pervaso da un ritmo musicale: in esso la ‚vocalità‛52 che si libera nel

significante linguistico emerge sulla superficie modificando il senso. Il

testo teatrale di tucker green è caratterizzato da una ritmicità semiotica

che irrompe nel sistema semiotico della lingua, ne supera i confini

pervadendolo dei suoi godimenti fonici: esso corrisponde all’écriture

féminine53 teorizzata da Hélèn Cixous, scrittura che riecheggia i ritmi

pulsionali e incontrollabili della ‚voce‛. La ‚voce‛ (il suono, il canto) va

qui intesa secondo l’accezione proposta dal teorico Roland Barthes come

il luogo primario della tessitura musicale e fonica da cui nasce la lingua

e l’originaria eccedenza54 della ‚parola‛: questa concezione si pone in

52 Nel testo A più voci: filosofia dell’espressione vocale (2003) Adriana Cavarero scrive:
‚Materia di un godimento acustico originario, la voce precede e rende possibile un
linguaggio che ne porta sempre le tracce. Sfera di generazione e di destabilizzazione, la
vocalità semiotica è dunque, nello stesso tempo, la precondizione della funzione
semantica e il suo incontrollabile eccesso. Quando questo difficile controllo cede
apertamente alla riemergenza del godimento vocalico, si ha allora il testo poetico. Il
poeta non fa che indulgere a un piacere antico e assecondare le onde ritmiche che
movimentano il linguaggio, vivificandolo‛.
53 Nel suo celebre saggio Il riso della Medusa (1975) Hélène Cixous teorizza l’écriture

féminine: ‚bisogna che la donna scriva il suo corpo, che inventi la lingua inafferrabile
che faccia saltare le pareti, le classi e le scuole di retorica, le ordinanze e i codici, che
sommerga, trapassi, valichi il discorso-con-riserva ultima, ivi compreso quello *<+ che,
mirando all’impossibile, si ferma di botto davanti alla parola ‘impossibile’ e la scriva
come ‘fine’‛. Si tratta di una scrittura che non è necessariamente collegata
biologicamente all’essere femmina, quanto piuttosto alla scrittura ‚che annulla la
distanza fra corpo e parola‛ (v. Paola Bono, ‚Scritture del corpo‛ in Scritture del corpo –
Hélène Cixous variazioni su un tema, Roma, Luca Sossella, 2000, p. 7).
54 In La voce e gli scarti della trascendenza contenuto in Kainos (2004) Vincenzo Cuomo

afferma: ‚il fenomeno della voce fa comprendere che non c’è che gli scarti. Ci fa capire



                                                                                          31
antitesi con la prospettiva logocentrica secondo la quale la ‚voce‛ ha

valore solo quando è in funzione della ‚parola‛, e quando non è

destinata ad essa è un resto insignificante, eccedenza all’insensato,

mancanza. Per la sua natura corporea e fisica la ‚voce‛ viene definita da

Barthes, in L’ovvio e l’ottuso (2001), come la ‚corporeità del parlare, *essa+

*<+ si situa nell’articolazione del corpo e del discorso‛55. Ed è proprio la

corporalità la caratteristica del linguaggio del teatro di debbie tucker

green, la cui pulsione ritmica non è semplice sonorità o resto, e che si

identifica con l’écriture féminine di Cixous: la lingua materna di debbie

tucker green infatti eccede il codice linguistico e rappresenta quella

lingua che
                 *ciascuno di noi parla+, o che *<+ *ci+ parla, in tutte le lingue.
          Una lingua, al tempo stesso unica e universale, che risuona in ogni
          lingua nazionale quando sono i poeti a parlarla. In ogni lingua
          fluisce latte e miele. E in questa lingua *<+ *noi non abbiamo+
          bisogno di entrarci: essa sgorga da *<+ *noi+, fluisce, è il latte
          dell’amore, il miele del *<+ *nostro+ inconscio. 56

Il linguaggio di questa drammaturga afferisce a una dimensione

inconscia e pulsionale e corrisponde alla chora semiotica57 teorizzata da


che il vivere/esistere *<+ non consiste che nello scarto: è singolarità, eccentricità, scarto
assoluto, è insensata e impersonale originalità *<+. Scarto dell’essere, la voce è anche
*<+ scarto da sé, gesto che si espone, trascendendo la sua propria immanenza. È
l’anima e il corpo, è la mancanza e la pienezza *<+. C’è voce laddove una piega
dell’essere reagisce al suo stesso accadere, sentendo ed esponendo l’insensatezza del
suo accadere, lo stupore e l’angoscia, la gioia e il dolore che la fanno scarto.‛
55 Roland Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi, 2001, p. 247.

56 Hélène Cixous, Entre l’écriture, Paris, Des femmes, 1986, p.31.

57 Come afferma Vincenzo Cuomo nel testo La voce e gli scarti della trascendenza

contenuto in Kainos (2004): ‚ogni lingua, *<+ fondandosi su di un sistema fonematico,
strutturalmente esclude vaste gamme di sonorità vocali e, quindi, si fonda su di uno
scarto vocale. Secondo la Kristeva, la vocalità è espressione di una chora semiotica
materna in cui l’infans sperimenta creativamente tutte le possibili sonorità, per poi
imparare ad utilizzare un codice fonematico determinato che ne esclude la maggior
parte. *<+ *Il+ bambino sin dalla nascita è immerso in mille discorsi articolati tanto che
ad un certo punto gli è dato di fraseggiare in modo articolato. Il suo bisogno di
comunicare lo spinge ad entrare in un sistema fonematico, acquisendone



                                                                                          32
Kristeva: è una scrittura debordante, ritmica, caratterizzata dalla

destrutturazione della sintassi e che rompe le regole della Legge; è una

scrittura musicale, un canto, è godimento senza confini né bordi, essa

proviene dalla fonte vocalica della Madre, eccede e precede i codici della

Legge del Padre. I testi di debbie tucker green assomigliano infatti a

delle partiture musicali in cui i ritmi vocali guidano il movimento del

testo, la sua tessitura: in essi vi è una moltiplicazione del senso il quale

fluisce dal movimento che unisce le parole secondo il ritmo e la sonorità,

il significato dunque non è regolato dal dominio fallo-logocentrico. E

infatti nei testi di tucker green il suono di una parola ne richiama

un’altra e la sostituzione o l’inserimento di una parola o di una lettera

genera parole diverse, nuovi significati: 58 questo è ben evidente

nell’opera Stoning Mary (2005) rappresentata per la prima volta presso il

‚Royal Court Theatre Downstairs‛ nel 2005 e che si è scelto di tradurre e

analizzare in questo studio per il suo valore esemplificativo della

produzione letteraria di questa drammaturga. Si prenda ad esempio la

quarta scena in cui la MADRE, ricordando il figlio perduto, recita:


                 MUM              <To watch... to watch him.
                                  Lovin that. Lovin doin that.
                                  Doing that.
                                  Er.
                                  Hold.
                                  To hold him – his hands his fingers –
                                  Fingertips, onto him, onto his gaze – into
                                  his gaze his any-little-bit-a-him, to hold
                                  that – onto that – to have that, into that,
                                  to have and to hold that. To have that to


progressivamente padronanza. La vocalità espansa in cui l’infans è avvolto è così
abbandonata – ma potrà essere ripresa, ricorda Kristeva, nel gioco glossolalico o nella
poesia *<+. Il discorso articolato si fonda, quindi, sempre sullo scarto della vocalità.‛
58 Adriana Cavarero, A più voci: filosofia dell’espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2003,

pp. 155-156.



                                                                                           33
hold<
                               Having that to hold on to.
                               Having that.
                               Doing that.
                               Miss that.
                               <To smell. Have his smell. Smell his
                               smell, smell his smell of him – smell his
                               smell on me. The never-get-used-to-that,
                               the never-get-enough-of-that – the after-
                               bath-aroma, the first thing of a morning –
                               the just-come-in-from-out wanting more
                               of that smell. The smell – lovin that the
                               smell of lovin that – lovin smellin that.
                               Me doin that.
                               Waiting for that.
                               That smell.
                               That.
                               His. Him.
                               Doin that.
                               Me.
                               Miss it.
                               Umm<
                               Touch.
                               Touch him. Doin that – 59

e tradotto in italiano:

         MADRE                 ******************************
                               ******************************
                               ******************************
                               ******************************
                               ******************************
                               ******************************
                               ******************************
                               ******************************



Nelle parole della MADRE, qui prese in esame, sono presenti in modo

evidente le caratteristiche fondamentali della scrittura di tucker green:

l’intensa poeticità del linguaggio 60, l’uso di frasi spezzate il cui



59debbie tucker green, Stoning Mary, London, Nick Hern Books, 2005, pp. 18-19.
60In Passionate, Poetic and Powerful contenuto in The Sydney Morning Herald (2008) Mark
Hopkins sostiene: ‚*in her plays+ tucker green achieves a poetic intensity of language.
[In Stoning Mary] familiar words and half-sentences reveal new meanings and



                                                                                    34
significato viene rivelato di volta in volta con l’aggiunta di nuove parole

affidando così allo spettatore il compito di ricostruire la storia del testo. I

personaggi di Stoning Mary parlano nel dialetto Cockney e nell’Estuary

English con discorsi interrotti, soffocati, dal ritmo veloce che

conferiscono al testo l’andamento di una poesia rap; le loro parole si

sovrappongono continuamente e il testo sembra una partitura musicale,

una musica ripetitiva il cui ritmo suggerisce un andamento circolare. Il

testo infatti ruota idealmente intorno a piccoli cerchi immaginari, in

modo ossessivo, con frasi che si ripetono ciclicamente secondo una

struttura ad anello: poche parole cambiano dall’inizio alla fine

dell’opera. La struttura testuale di Stoning Mary è caratterizzata dalla

‚ripetizione‛ e dalla ‚differenza‛61: ripetendo ogni volta le parole

dell’altro con accento e pronuncia diversi, girando intorno ad una

singola parola in modo maniacale e rilanciandola in ogni verso, i


audiences are trusted to construct an emotionally intelligent understanding of Africa
and our relationship with the people there, seeing them in us‛.
61 Nella Prefazione a Differenza e Ripetizione (1971) Gilles Deleuze scrive: ‚L’argomento

qui trattato è manifestamente nell’aria e se ne possono rilevare i segni: l’orientamento
sempre più deciso di Heidegger verso una filosofia della Differenza ontologica;
l’esercizio dello strutturalismo fondato su una distribuzione di caratteri differenziali in
uno spazio di coesistenza; l’arte del romanzo contemporaneo che gira attorno alla
differenza e alla ripetizione *<+; la scoperta nei più svariati campi di un potere proprio
di ripetizione, che sarebbe di fatto il potere dell’inconscio, del linguaggio, dell’arte.
Tutti questi segni possono essere ricondotti a un antihegelismo generalizzato; la
differenza e la ripetizione hanno preso il posto dell’identico e del negativo,
dell’identità e della contraddizione. Infatti la differenza non implica il negativo, e non
si lascia portare sino alla contraddizione, se non nella misura in cui si continua a
subordinarla all’identico. Il primato dell’identità, comunque sia essa concepita,
definisce il mondo della rappresentazione. Ma il pensiero moderno nasce dal
fallimento della rappresentazione, come dalla perdita delle identità, e dalla scoperta di
tutte le forze che agiscono sotto la rappresentazione dell’identico. Il mondo moderno è
il mondo dei simulacri. *<+ Tutte le identità non sono che simulate, prodotte come un
‚effetto‛ ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello della differenza e della
ripetizione. Noi vogliamo pensare la differenza in sé, e il rapporto del differente col
differente, indipendentemente dalle forme della rappresentazione che li riconducono
allo Stesso e li fanno passare per il negativo. ‚



                                                                                        35
personaggi conferiscono a ogni parola nuovi significati di volta in volta.

Ogni personaggio prende le parole dell’altro facendole rimbalzare l’una

contro l’altra così che lo spettatore, come nel gioco del ping pong, viene

colpito dal contenuto di ogni verso e dalla ripetizione delle parole, per

poi essere colpito di nuovo: l’esperienza è violenta. La circolarità di

Stoning Mary interessa non solo il livello delle proposizioni e delle frasi,

ma l’intera architettura dell’opera: le ultima scene riecheggiano infatti le

prime sia per il contenuto che per il linguaggio, come ad esempio nella

scena quattordici in cui la coppia costituita dalla SORELLA MAGGIORE e

dal FIDANZATO litiga su chi dei due debba avere le cure per guarire

dall’AIDS nello stesso modo della coppia ammalata di AIDS delle prime

scene. Questa circolarità, la ripetizione continua e instancabile delle

parole, è un espediente che debbie tucker green utilizza per trasmettere

allo spettatore il forte senso di oppressione e di angoscia dei personaggi

i quali, non potendo sfuggire ai loro drammi senza soluzione, non

possono che ribadire continuamente i loro problemi. La storia di Stoning

Mary è una storia di sofferenze: nel testo due parole, ‚dying‛ e

‚disease‛, evocano i drammi dell’Africa ed il problema dell’AIDS, anche

se non vi è alcun riferimento esplicito al luogo in cui le vicende dei

personaggi si svolgono. L’opera racconta tre storie collegate tra loro:

quella di una coppia sposata ammalata di AIDS che non può permettersi

di pagare la cura per entrambi, quella di due genitori spaventati perché

il loro figlio è diventato un bambino soldato e quella di MARY, una

giovane donna condannata alla lapidazione per aver ucciso il bambino

soldato che ha assassinato i suoi genitori. La struttura circolare di

Stoning Mary pertanto esprime bene l’immobilità dei personaggi che non

hanno alcuna via d’uscita dalla condizione tragica in cui si trovano: la



                                                                         36
figura geometrica del cerchio, in cui non c’è inizio né fine, ma solo un

continuo ritornare indietro, è la rappresentazione grafica e simbolica

della loro paralisi e del loro disorientamento e perciò viene scelta da

tucker green come correlativo ideale dello stato d’angoscia 62 dei

personaggi di Stoning Mary.

        L’angoscia e la sofferenza, fisica e psicologica, dominano dunque

l’opera e sono l’elemento comune alle tre storie narrate: intrappolati nei

loro drammi senza soluzione, i personaggi di Stoning Mary si mostrano

egoisti, cinici e spietati. Così la coppia ammalata di AIDS delle prime

scene litiga crudelmente su chi dei due debba avere la cura per l’AIDS

(quattro attori interpretano i ruoli della MOGLIE, del MARITO e dei loro

ego, espediente questo che serve a mettere in scena i pensieri repressi

dei personaggi e la diffidenza dell’uno verso l’altro); l’altra coppia,

costituita dal PADRE e dalla MADRE, litiga su chi dei due sia più amato

dal FIGLIO (il BAMBINO SOLDATO) e su chi sia responsabile del fatto che il

bambino sia diventato un soldato; infine nella coppia composta dalla

SORELLA MAGGIORE e dalla SORELLA MINORE (MARY) queste esprimono la

loro rabbia e il loro disagio, la prima accusando MARY di ricevere cure

migliori per la sua salute e mostrando indifferenza per la sua tragica

condizione, la seconda scagliandosi contro le donne che non hanno

firmato la petizione che avrebbe salvato la sua vita. Stoning Mary

descrive quindi rapporti crudeli e spietati, come, ad esempio, nel


62 Come scrive Lorenzo Licciardi in Ein Landarzt di Kafka: lo spazio, la scrittura, la
traduzione (2007): ‚il moto periodico, ovvero il moto descritto in un’oscillazione, è *<+
una forma di immobilità, nella sua costante ripetizione. Funziona sull’inerzia (ossia, in
fisica, la tendenza a rimanere nel proprio stato di quiete o di moto) e su una forza di
richiamo (che tende a riportare il corpo in una condizione di quiete), contiene perciò il
germe della staticità. *<+ Superare il disagio esistenziale significa superare l’antitesi fra
stasi e moto.‛




                                                                                          37
confronto tra il MARITO e la MOGLIE nella terza scena che rivela quanto il

vincolo del matrimonio possa essere distruttivo:

             HUSBAND EGO            Eyes to the floorin it like I’ve done her
                                    something. Playin powerless
             WIFE EGO               play powerless
             HUSBAND EGO            playin powerless badly.
             WIFE                   ‘What if I wanna look after you?’
             HUSBAND                ‘What if I wanna live lookin after you?
                                    (I’d) look after you and love it.’
             WIFE EGO               Liar.
             HUSBAND EGO            Liar.63

e tradotto in italiano:


             EGO DEL MARITO         **************
             EGO DELLA MOGLIE       **************
             EGO DEL MARITO         **************
             MOGLIE                 **************
             MARITO                 **************
             EGO DELLA MOGLIE       **************
             EGO DEL MARITO         **************

Il loro rapporto riecheggia quello drammatico dell’altra coppia sposata

dell’opera, il PADRE e la MADRE: nella quarta scena si evidenzia ad

esempio la misoginia che sembra essere alla base dell’istituzione della

famiglia tutelata dalla Legge del Padre. Il legame tra il PADRE ed il

FIGLIO, tra maschio e maschio, viene usato dal PADRE per minare

l’autostima della MADRE, un modo questo per rompere quell’originaria

unione tra la MADRE ed il FIGLIO iniziata già durante la gestazione:


                   MUM              His time.
                   DAD              Doin / that.
                   MUM              His time he’d / spend.
                   DAD              Laughin like that
                   MUM              his time he’d spend with me –
                   DAD              laughing at you like that
                   MUM              the time he’d make to / spend with me

63   debbie tucker green, Stoning Mary, cit., p. 16.



                                                                                38
DAD             laughin at your smell.
                   MUM             The time he did spend with me.
                   DAD             Laughin at y’you and your smell, with
                                   me, like that.
                                   We did.
                                   That.
                                   Doin that.
                                   Miss that.
                                   Miss that of him.
                                   I do.
                   MUM
                   MUM
                   DAD
                   MUM             I wear it cos he bought it.
                   DAD             He bought it for a joke.
                   MUM
                   DAD
                   MUM             I wear it because he liked it.
                   DAD             He liked it for a joke.
                   MUM             <It reminds me of / him.
                   DAD             You are a joke.64


e in italiano:


                   MADRE           ***************
                   PADRE           ***************
                   MADRE           ***************
                   PADRE           ***************
                   MADRE           ***************
                   PADRE           ***************
                   MADRE
                   PADRE
                   MADRE
                   PADRE
                   MADRE
                   MADRE
                   PADRE
                   MADRE
                   PADRE
                   MADRE
                   PADRE
                   MADRE
                   PADRE
                   MADRE


64   debbie tucker green, Stoning Mary, pp. 25-26.



                                                                           39
PADRE



        debbie tucker green rappresenta così gli aspetti disturbanti del

comportamento umano in uno stile poetico. I personaggi sono egoisti ed

ossessionati da se stessi, rifiutano di empatizzare con la sofferenza degli

altri e con indifferenza vivono eventi drammatici. I mariti e le mogli

sono in guerra tra loro, le sorelle di sangue si accusano l’un l’altra e le

donne rifiutano di aiutarsi a vicenda. In Stoning Mary si rappresentano

le interazioni esplosive dei membri della famiglia con un linguaggio

caratterizzato da interruzioni, silenzi e sovrapposizioni in uno stile

poetico pieno di giochi di parole. La drammaturga erode la sintassi

convenzionale con una scrittura suggestiva e polifonica nella quale

crudezza e intensità poetica si mescolano in modo unico. Stoning Mary

descrive gli aspetti sgradevoli della vita contemporanea con dialoghi

abilmente costruiti per trasmettere la rabbia, il risentimento dei

personaggi che sono in competizione tra loro.

        Nella traduzione di Stoning Mary in lingua italiana proposta in

questo studio si è cercato di conservare lo stile poetico e ripetitivo di

debbie tucker green: come nel testo originale, poche parole cambiano

dall’inizio alla fine dell’opera e queste sono legate tra loro secondo un

ritmo musicale. Lo slang metropolitano caratteristico di Stoning Mary è

stato reso in italiano con l’uso di termini semplici e diretti e non tradotto

in un particolare gergo italiano per evitare di connotare il testo da un

punto di vista geografico: le varie parlate gergali italiane sono infatti

ristrette al luogo e al gruppo sociale che le hanno originate.65 Nella


65‚La parola gergo viene dall’antico italiano gorgone *<+ che ha origine probabilmente
dal francese jargon, che significava «gorgheggio degli uccelli», nel senso di una lingua
incomprensibile. *<+ È un termine usato *<+ per definire le varietà di lingua che



                                                                                     40
versione italiana si è scelto di usare un linguaggio astratto e surreale che

esprime l’atmosfera sospesa dell’opera ambientata in una sorta di ‚no

man’s land‛, in una terra di nessuno desolata e alienante in cui i

personaggi si muovono come imprigionati in un recinto immaginario, in

un’ambientazione neutra che rimanda ad un qualsiasi luogo del mondo

eppure a nessuno e che lo spettatore riempie con i propri significati

identitari, razziali, di genere.66

        Nella traduzione in italiano si è cercato poi di rispettare il più

possibile la disposizione che debbie tucker green ha dato ai versi poiché

essa ha un ruolo importante nell’economia dell’opera: il tortuoso

percorso testuale, fatto di salti improvvisi (spazi bianchi, silenzi),

brusche frenate (interruzioni) e veloci riprese (il flusso di accuse che i

personaggi si gettano addosso vicendevolmente), rispecchia il tormento

interiore dei protagonisti di Stoning Mary i cui discorsi ossessivi e pieni

di risentimento rappresentano l’unico sfogo possibile per la loro

disperazione. Nel testo assumono inoltre un valore significativo alcuni



vengono utilizzate da specifici gruppi di persone che si sono sensibilmente allontanate
dalla lingua o dal dialetto parlato normalmente in zona. *<+ *Si tratta di una+ forma di
linguaggio propria di un determinato gruppo sociale, usata per non farsi capire da
persone estranee al gruppo.‛(v. Hossam El Sherbiny, Il gergo giovanile in italiano –
Analisi lessicale, morfosintattica ed i problemi di traduzione in lingua araba in “Jack Frusciante
è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi ed “Esco a fare due passi” di Fabio Volo, il Cairo,
Universita` di Ain Shams, 2008).
66 Nell’intervista di Emily McLaughlin per il Royal Court Young Writers Programme

2005 debbie tucker green afferma: ‚obviously I’m a black woman, so I know the
conversations I’ve had with my friends. With Zimbabwe, we were like, «You know
what, if it was them, they’d make sure it was on the news, they would make sure it
was flagged up 24/7 if it was white people». So that’s from my standpoint, but
obviously my standpoint is different to somebody else’s standpoint, maybe a white
person’s standpoint. *<+ Younger people might feel differently about the play to older
people, black different to white, Asian different to black, so from my point of view
what’s important is to get people through the door, then you’ve answered your
question. Let the people know it’s on, and if they want to come, let them make their
choice.‛



                                                                                              41
espedienti tipografici che fungono da chiavi interpretative dell’opera

guidando il lettore e l’attore lungo l’accidentato percorso testuale: ad

esempio, il segno ‚/‛ indica la sovrapposizione dei dialoghi e si ritrova

con la stessa funzione e nella stessa posizione nel verso nella traduzione

italiana, le virgolette hanno la funzione di disorientare il lettore

sconvolgendo la sua lettura del testo, e i trattini servono ad accelerare il

ritmo del discorso. Un esempio significativo dell’uso che debbie tucker

green fa di questi espedienti tipografici si trova nella quarta scena in cui,

nel ricordare il figlio perduto, la MADRE usa l’espressione ‚any-little-bit-

a-him‛ per riferirsi alle parti del corpo del bambino e che lei connota di

una forte valenza affettiva: la sua traduzione in italiano, ‚ogni-parte-di-

lui-pur piccola che sia‛, purtroppo perde inevitabilmente la rapidità

della forma originale in cui invece l’espressione si presenta ben più

stringata,   ma   tuttavia   ne   conserva    la   connotazione     affettiva

trasmettendo la corporalità del legame profondo tra la MADRE ed il

FIGLIO. Altre espressioni di questo tipo usate da tucker green sono: ‚the

never-get-used-to-that‛, ‚the never-get-enough-of-that–the after-bath-

aroma‛ e ‚the first thing of a morning –the just-come-in-from-out

wanting more of that smell‛, tradotte in italiano con ‚il mai-abituarsi-a-

questo‛, ‚il mai-averne-abbastanza – l’aroma-dopo-il bagno‛ e ‚la

prima cosa della mattina – il rientrare-subito-desiderando quell’odore

ancora‛ il cui ritmo musicale trasmette bene la poeticità della scena. In

Stoning Mary debbie tucker green gioca continuamente con la lingua,

con la polisemia delle parole: ad esempio, il termine ‚smell‛, ripetuto

molte volte nella quarta scena, viene usato sia con la funzione di verbo,

‚odorare‛, che di sostantivo, ‚odore‛: nella versione italiana questo

gioco di parole è reso solo in parte poiché, per tradurre la parola ‚smell‛



                                                                          42
nella funzione di verbo, si è dovuto ricorrere all’aggiunta del suffisso ‚–

are‛.

        Nel testo Stoning Mary vi sono alcune espressioni creolo-

caraibiche, ad esempio le parole ‚ent‛ e ‚doan‛, che corrispondono

rispettivamente alle forme di inglese standard ‚am not/is not/are

not/has not/have not‛ e ‚does not/do not‛: nella versione italiana

purtroppo si perde la connotazione vernacolare di queste parole che

sono tradotte con espressioni più neutre, ma che tuttavia rappresentano

un buon compromesso per rendere in una lingua altra termini che

invece sono ristretti al territorio e alla cultura che li ha originati. L’opera

è inoltre ricca di termini metropolitani, come ad esempio ‚yourn‛,

‚yer‛, ‚arse‛, ‚wanna‛, ‚gotta‛, ‚cos‛, etc. e di espressioni volgari di

uso comune come ‚piss me off‛, ‚motherfuckin‛, ‚shit‛, ‚fucking‛, etc.

che mescolati allo stile poetico e al creolismo linguistico del testo gli

danno un carattere di ibridità.

        Ed è proprio questa ibridità linguistica a caratterizzare l’opera di

debbie tucker green come ‚rivoluzionaria‛: essa destabilizza l’autorità

della lingua e del teatro inglese in Inghilterra decentrando l’egemonia

imperiale della cultura inglese. Per questa sua ibridità il teatro di tucker

green
                fractures temporality and rehistoricizes, remapping spatial
         epistemologies and interrogating notions of linearity which are part
         of the conventions of realism even as it conveys entire audiences –
         via the theatrical spaces of imagination – into unviolated ‘pre-
         contact’ spaces, in strategies of de-construction which implode
         dominant western theatre practice. 67




 Dimple Godiwala, Alternatives Within the Mainstream:British Black and Asian Theatre,
67

Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2006, p. 107.



                                                                                  43
Sara Viscione La rivoluzione del linguaggio nel teatro black British: Stoning Mary di debbie tucker green
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  • 1. La rivoluzione del linguaggio nel teatro black British: Stoning Mary di debbie tucker green Traduzione e saggio introduttivo di Sara Viscione sara.viscione@gmail.com 3284422854 1
  • 2. Premessa L’attenzione della critica per il teatro black British è cresciuta negli ultimi decenni, dopo che un numero sempre più cospicuo di suoi testi è stato rappresentato. Ancora oggi manca tuttavia una indagine ampia e storicamente contestualizzata del teatro black British, nonostante la sua presenza significativa nel panorama culturale già a partire dagli anni ‘50. Tra le drammaturghe black British affermatesi in Gran Bretagna a partire dagli ultimi decenni del XX secolo spicca debbie tucker green, di origini afro-caraibiche. Questa autrice irrompe nella scena teatrale inglese nella primavera del 2003 con due opere, Born Bad e Dirty Butterfly, entrambe rappresentate al ‚Soho Theatre‛ di Londra con grande plauso della critica. Il teatro di tucker green offre la prospettiva di una donna nera del XXI secolo che abita spazi multiculturali: in esso la drammaturga affronta questioni complesse come quella della razza e pone urgenti domande sulla violenza che caratterizza la società contemporanea e che si manifesta soprattutto nei contesti familiari. Ho scelto di trattare l’opera di debbie tucker green per il profondo interesse che essa ha suscitato in me trattandosi di un teatro violento e appassionato, caratterizzato però nel contempo da una delicata leggerezza per l’intensa poeticità del suo linguaggio. In un’epoca come quella contemporanea, crudele e nichilista, il teatro di tucker green trasmette la disperazione dell’uomo contemporaneo che, sottratto alla vita solidale della comunità, si percepisce solo in un mondo individualista. Eppure l’atmosfera sospesa, poetica di questo 2
  • 3. teatro introduce lo spettatore in un mondo intatto e senza tempo, antico, lasciando intravedere, tra le crepe della ruvida e tagliente superficie della realtà, la luce della speranza. Nell’opera di debbie tucker green la poesia si mescola a dialoghi crudeli squarciando la veste spietata del mondo attuale, di una società meccanica e aliena che ci aliena da noi stessi. La drammaturgia di questa autrice accompagna il pubblico attraverso un percorso di sofferenza ponendolo di fronte alle problematiche di questa società innaturale, ma gli lascia intravedere l’altra faccia, luminosa, di quella desolata ormai familiare all’uomo contemporaneo: una luce di speranza, resistenza a un capitalismo che ha sposato le leggi innaturali del mercato forzando l’uomo al ritmo disumano della logica della produzione. Nella scena finale di Stoning Mary (2005), ad esempio, si potrebbe cogliere il senso di una rinascita: la protagonista MARY rappresenterebbe il punto finale della spirale di violenza descritta nell’opera, la speranza. La colpa dell’uomo è lavata via dal sangue di MARY, il suo sangue è lavato via dalla pioggia, dall’acqua, origine della vita, acqua del grembo materno e origine della Terra. Ho trovato molto stimolante realizzare uno studio su un’autrice ancora poco conosciuta in Italia, poiché esso mi ha aperto un nuovo orizzonte culturale a contatto con nuovi aspetti della cultura black British e la sua storia, segnata dalla dolorosa esperienza della marginalizzazione. Si sono rivelati seminali per il mio lavoro gli studi sul teatro black British di Lynette Goddard e Deirdre Osborne che ho consultato presso la biblioteca dell’Università di Warwick, dove ho avuto modo di approfondire anche le tematiche del postcolonialismo frequentando i corsi di letteratura postcoloniale del centro di ricerca 3
  • 4. ‚Centre for Translation and Comparative Cultural Studies‛. Inoltre presso la ‚Openbare Bibliotheek‛ di Amsterdam ho potuto reperire numerosi testi che mi hanno dato spunti interessanti per la mia tesi. Per la traduzione in lingua italiana dell'opera Stoning Mary mi sono avvalsa dell'aiuto dello studioso e scrittore spagnolo Joan Espasa che mi ha inviato la sua traduzione, in lingua spagnola, inedita dello spettacolo Lapidando a María, realizzato a Madrid presso il ‚Teatro Pradillo‛ nell’Ottobre del 2008. Il suo testo si è rivelato molto utile per l’interpretazione delle parti più complesse e criptiche dell'opera. Importante è stata anche la collaborazione con i miei colleghi madrelingua inglesi dell'agenzia di traduzione di Dublino presso cui ho svolto un periodo di tirocinio, i quali mi hanno confermato le difficoltà nella comprensione dei significati del testo e la complessità dell'opera. Mi sono avvalsa, inoltre, del video dello spettacolo Stoning Mary realizzato presso ‚The Pleasance Theatre‛ di Londra dagli studenti di ‚The London Metropolitan University‛ nel Maggio 2007 e che l’attore Sam Quinn (che nello spettacolo interpreta il ruolo del PADRE) mi ha gentilmente inviato. Questo video mi ha aiutato a comprendere il senso dei dialoghi dei personaggi grazie all’osservazione del loro linguaggio gestuale, della mimica e della prossemica. Mi sembra opportuno, infine, ricordare anche l’intervista radiofonica di Holly Wallis, giornalista di Three Weeks, a Kiran Gill, regista e produttore di Stoning Mary, che sono riuscita a reperire su Internet e che ho trascritto e tradotto in italiano. Questo studio è diviso in due capitoli: nel primo si descrive il contesto socio-culturale in cui opera debbie tucker green, facendo riferimento al dibattito culturale sulle nozioni di identità, cultura, appartenenza nazionale e razziale e più specificamente di Englishness, 4
  • 5. Britishness e blackness che, a seguito delle migrazioni diasporiche, sono entrate in crisi. A partire dalla fine del XX secolo emerge, infatti, nel cuore dell’ ex-impero una nuova identità British e al tempo stesso black, che mette in crisi la cultura dominante e il concetto stesso di Occidente. Nel secondo capitolo, dopo un breve excursus sulla storia del teatro black British degli ultimi vent’anni, si analizza l’opera di debbie tucker green con particolare attenzione al suo linguaggio ibrido. Infine si esamina l’opera Stoning Mary, di cui viene proposta per la prima volta la traduzione in lingua italiana, illustrando le strategie traduttive adottate e le difficoltà linguistico-culturali incontrate. 5
  • 6. Introduzione In ogni società periodicamente si diffondono mode che, oltre a cambiare il costume e le abitudini sociali, danno vita a nuovi modelli di pensiero, nuovi concetti o modi di rappresentare la realtà che diventano vere e proprie parole d’ordine, la lente attraverso cui guardare ed interpretare le dinamiche socio-culturali contemporanee. È ciò che è avvenuto alla fine degli anni ’60 quando, con l’affermarsi delle teorie post-strutturaliste, le nozioni di ibridità, creolizzazione, identità, cultura, nazione, razza si configurano come categorie rappresentative del nuovo contesto postmoderno, come punto di riferimento per interpretare le forme e gli spazi culturali dell’attuale società transnazionale e globalizzata. Queste nozioni chiave infatti entrano in gioco nell’analisi dei fenomeni socio-culturali contemporanei, dalle arti visive al cinema, dalla letteratura alla musica metropolitana, dagli studi culturali agli studi sulle migrazioni. Nell’attuale clima caratterizzato dalla contaminazione e dalla fluidità, in questa società post-nazionale1 in cui il rigido dualismo tipico della modernità è ormai eroso, si corre il rischio 1 A proposito dell’attuale crisi della nazione nell’opera Modernità in polvere (2001) Arjun Appadurai scrive: ‚lo stato nazionale sta entrando in una crisi definitiva *<+ *: oggi si assiste all’+ emergere di un mondo politico postnazionale. *<+ Può darsi benissimo che l’ordine postnazionale che sta emergendo si riveli essere non tanto un sistema di elementi omogenei (così com’è nell’attuale sistema degli stati nazionali) ma piuttosto un sistema basato su relazioni tra elementi eterogenei: movimenti sociali, gruppi di persone, corpi professionali, organizzazioni non governative *<+. Riuscirà questa eterogeneità a combinarsi con alcune convenzioni minime sulle norme e sui valori, che non richiedano una stretta adesione al contratto sociale liberale della modernità occidentale? *<+ Nel breve periodo, come possiamo già vedere, sarà probabilmente un mondo caratterizzato da sempre maggior barbarie e violenza. Sul lungo periodo, una volta liberate dalle costrizioni della forma nazionale, potremo forse scoprire che la libertà culturale e la giustizia nel mondo non presuppongono l’esistenza uniforme e generale dello stato nazionale.‛ 6
  • 7. di recidere in modo troppo netto il legame di continuità tra la post- modernità e la modernità, collocando quest’ultima in un passato ormai culturalmente e ideologicamente superato essendo essa dominata da rigide concezioni, quali l’identità fissa e stabile, il mito della purezza, le grandi narrazioni e ideologie. Una cesura così netta non terrebbe conto delle contraddizioni e delle ambivalenze, delle discontinuità e rotture che invece caratterizzano ogni periodo storico-culturale e che sono causa della problematicità dell’epoca attuale in cui emergono nuove forme di razzismo e di discriminazione. La contaminazione culturale tipica della società contemporanea se da un lato ha comportato l’erosione delle rigide categorie della modernità, dall’altro potrebbe generare un nuovo sistema di controllo simile a quello della dialettica coloniale. Infatti limitarsi ad esaltare questa contaminazione culturale unicamente come momento positivo di superamento della logica binaria classica della modernità, tralasciando quindi la conflittualità insita in ogni contesto storico-sociale, può produrre una mercificazione dell’alterità culturale. Il post-colonialismo diventerebbe così ambiguamente sostenitore e avversario al tempo stesso della ‚alterity industry‛2: l’altro viene nuovamente addomesticato con l’esaltazione semplicista, pacificata ed 2 In The Postcolonial Exotic. Marketing the Margins (2001) Graham Huggan afferma: ‚Postcolonial studies, it could be argued, has capitalised on its perceived marginality while helping turn marginality itself into valuable intellectual commodity.‛ A proposito del processo di addomesticamento dell’altro, dell’esotico lo studioso sostiene: ‚*<+ exoticism may be understood conventionally as an aestheticising process through which the cultural other is translated, relayed back through the familiar *<+; exoticism describes *<+ a particular mode of aesthetic perception – one which renders people, objects and places strange even as it domesticates them, and which effectively manufactures otherness even as it claims to surrender to its immanent mystery. *<+ The postcolonial exotic is, to some extent, a pathology of cultural representation under late capitalism – a result of the spiralling commodification of cultural difference, and of responses to it, that is characteristic of the (post)modern, market-driven societies in which many of us currently live‛. 7
  • 8. esotica della contaminazione culturale. L’altro però non può venire del tutto addomesticato: si tratta infatti di un sistema imperfetto in cui si percepiscono ambivalenze e rotture su cui la critica culturale può lavorare. Ed è proprio il ruolo della critica ad assumere una valenza centrale nella società contemporanea. Significativa è infatti la critica mossa dagli studiosi postcoloniali all’idea ‚essenzialista‛ della cultura, concepita come tradizione e rigida continuità con un passato condiviso da una comunità. Questa concezione della cultura rischia di promuoverne un’idea divisionista: l’umanità appare come un mosaico, i cui molteplici frammenti diversi non sono in relazione tra loro, ma separati gli uni dagli altri. Questa visione del mondo, intesa come un insieme di culture ed etnie diverse non comunicanti tra loro e per questo destinate inevitabilmente a scontrarsi, favorisce la nascita di fondamentalismi e integralismi identitari. Oggi si sta delineando una rigida contrapposizione tra due tipi di pensiero: il relativismo e l’universalismo 3, tra le nozioni locale e globale 4, e 3 La diffusione a livello mondiale dei mezzi di comunicazione di massa ha portato ad un processo di unificazione delle varie culture, ne è un esempio l'uso diffuso di certe espressioni linguistiche della cultura dominante da parte di popoli dalle culture più diverse. Questo universalismo culturale è evidente soprattutto nell'adozione, talora solo esteriore, di certi modelli di vita propagandati come migliori. Si tratta di un fenomeno di omologazione culturale che tende ad uniformare modi di pensare e stili di vita per la necessità economica del mercato unitario. All’universalismo culturale si contrappone il relativismo culturale secondo cui invece ogni cultura ha una valenza unica e incommensurabile rispetto alle altre e deve essere rispettata nella sua diversità ed unicità. 4 In Globalizzazione e localismi tra antropologia e sociologia contenuto in Dialegesthai (2003) Mimmo Pesare scrive: ‚«Locale», *<+ da intendersi come «localismo», *<+ *è+ la dimensione «teoretica» che si oppone a quella globale all'interno di una riflessione sul «territorio», o meglio, sulla cultura e sull'identità di un territorio. *<+ La rivendicazione dell'aspetto del «locale» deve intendersi oggi come «la questione» del globale, vale a dire come la sua intrinseca aporia‛. Riguardo alla globalizzazione e al localismo i filosofi Angelo Bolaffi e Giacomo Marramao in Frammento e sistema (2001) 8
  • 9. di fronte a questo irrigidimento di posizioni gli studiosi postcoloniali propongono un ‚contro-discorso‛: le figure marginali e dinamiche dei migranti vengono esaltate poiché incarnano quella energia liberatoria, senza patria, decentrata, espressione dell’esilio *<+ la cui coscienza è rappresentata dall’intellettuale e dall’artista in esilio; ovvero da una figura politica che si colloca tra più territori, tra più forme, tra più case, tra più lingue *<+ *e che attua una liberazione con la+ resistenza e *<+ *l’+opposizione alle costrizioni e ai saccheggi dell’imperialismo. 5 Per la sua contraddittorietà l’attuale società transnazionale e globalizzata può quindi essere definita ‚glocale‛, ossia contemporaneamente globale e locale; con i flussi migratori del novecento le civiltà sono diventate sempre più complesse e la continua mobilità ha fatto sì che le persone conoscessero culture e luoghi diversi da quelli natii con il deterioramento dei vecchi stereotipi. Se da un lato le società attuali si presentano fluide e porose, dall’altro sono caratterizzate da razzismi e discriminazioni sorti in nome di una cittadinanza natia ormai messa in crisi e che sfociano in taluni casi nel fanatismo e nel fondamentalismo per i quali la problematicità della contemporaneità si riduce ad un mero ‚scontro tra Oriente e Occidente‛. Il clima di diffidenza e paura che si vive oggi in Italia e che spesso porta a rinfocolare le divisioni spingendo le persone ad unirsi contro i non italiani è stato già vissuto da altri paesi non lontani né meno occidentali. Attualmente infatti in Inghilterra vi sono forti contraddizioni e si vive in modo pacifico e turbolento al tempo stesso la sostengono inoltre che ‚una spinta alla globalizzazione che non trovi adeguate forme istituzionali di governo e di controllo del proprio movimento spontaneo produce inevitabilmente una disseminazione incontrollata di localismi identitari ed esclusivi, irrimediabilmente segnati dal marchio xenofobo.‛ 5 Edward Said, Cultura e Imperialismo, Roma, Gamberetti Editrice, 1998, p. 364. 9
  • 10. multietnicità e la multirazzialità peculiari di questo Paese.6 Nella città di Londra, dove convivono comunità transnazionali e convinti difensori dell’identità nazionale, difatti non mancano odi e razzismi. In questo scenario sempre più instabile e metamorfico cresce la consapevolezza che non esistono più identità ferme e luoghi per costruirle. Lo scopo del lavoro qui proposto è pertanto l’analisi di alcuni aspetti della globalizzazione contemporanea osservata da una prospettiva che si pone a metà strada tra due o più culture. Focalizzando questo studio sull’analisi del teatro della drammaturga di origini afro-caraibiche debbie tucker green si vuole porre l’attenzione sulle complesse problematiche della società contemporanea: come figura ‚migrante‛, infatti, debbie tucker green incarna a pieno le problematiche globali, o meglio ‚glocali‛, di appartenenza. La sua identità ibrida, il suo essere in-between, tra due mondi e due diversi stili di vita, quelli afro- caraibici delle sue origini e quelli inglesi del presente, rendono la sua opera particolarmente significativa nel più ampio dibattito culturale 6 Francesca Giommi in Black British e Black Italian: antinomie della modernità, centralità delle culture e delle identità dei margini (2009) sostiene: ‚la Gran Bretagna, una tra le più grandi potenze coloniali di tutti i tempi, è stata *<+ una delle nazioni moderne maggiormente coinvolte *<+ *dal+ fenomeno di spostamento dei confini, di centralizzazione della marginalità [conseguente alle ondate migratorie dalle ex colonie verso la madre patria che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo.] Culla e centro propulsore degli studi culturali dagli anni ’60, *la Gran Bretagna è il Paese in cui, grazie all’+ opera di teorici del calibro di Stuart Hall, Paul Gilroy, Salman Rushdie e Homi Bhabha, *si sviluppa la riflessione+ *<+ sulla dislocazione e sulla marginalità degli immigrati e delle loro culture. Hall, Gilroy, Rushdie e Bhabha hanno contribuito all’enunciazione di una nuova identità ibrida e diasporica, *<+ *nata+ da esperienze coloniali, migrazioni di popoli e ri-definizione di confini. *<+ *Le nuove+ realtà ed identità transnazionali si collocano per lo più in centri urbani metropolitani, dove maggiore è il flusso migratorio, così come molteplici sono le possibilità di attuare pratiche alternative di territorializzazione e ricavare spazi di appartenenza pubblici e privati, mettendo in evidenza negli ultimi anni un’ambigua contrapposizione tra marginalizzazione sociale e centralità culturale. La stessa pratica di contro- colonizzazione del centro metropolitano, e di conseguente ibridazione e meticciato, sta prendendo piede anche in Italia a qualche decennio di distanza‛. 10
  • 11. sulle questioni della razza, dell’identità, del multiculturalismo e della nazione. Studiare il teatro di tucker green significa dunque esaminare la tensione esistente tra globalismo e localismo. Si è scelto di analizzare in particolare il linguaggio adoperato da debbie tucker green, poiché il linguaggio, in quanto pratica sociale, ha un ruolo centrale nella costruzione dell’identità, individuale e della comunità. L’identità7, ‚intesa come relazione, cioè concepita sempre dal punto di vista dell’alterità”8, e il suo rapporto con il linguaggio è infatti l’oggetto di studio di questo lavoro. Tale rapporto non viene considerato qui come una corrispondenza biunivoca tra la modalità del parlare e una soggettività fissa e definita, l’identità del soggetto non va intesa come qualcosa di preesistente, di cui il linguaggio rappresenta il ‚riflesso‛, né viceversa: è infatti attraverso il linguaggio che si costruisce l’identità, la quale si modifica e si realizza in rapporto all’alterità. Nell’attuale epoca della globalizzazione, del multiculturalismo e dell’interculturalità, in cui cadono i confini, culturali e nazionali, l’identità si presenta pertanto fluida, instabile, dinamica. Tuttavia paradossalmente in quest’epoca si sono accentuati gli integralismi: infatti proprio la caduta del più grande simbolo del confine tra le culture, il muro di Berlino, ha portato l’esplosione di conflitti sociali latenti, rimasti fino ad allora nell’ombra. La caduta del muro nel 1989, momento della celebrazione della fratellanza tra i popoli, è stata invece accompagnata dalla rinascita di idee e di movimenti che promuovono 7 Il concetto di identità che si propone in questo studio non ha a che fare con l’‛identificazione‛, ma riguarda una costitutiva dialogicità interculturale, interlinguistica, intersemiotica, aperta verso molteplici direzioni (v. Augusto Ponzio, Patrizia Calefato, Susan Petrilli, Fondamenti di filosofia del linguaggio, Bari, Laterza, 1999). 8 Patrizia Calefato, Europa fenicia: identità linguistica, comunità, linguaggio come pratica sociale, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 10. 11
  • 12. una nuova delimitazione dei confini, delle identità e delle etnie e che trovano la loro manifestazione più estrema nella ‚pulizia etnica‛. Negli ultimi anni l’Europa è stata investita da un’ondata conservatrice diventando teatro di vicende come il dramma della ex-Jugoslavia e del revanchismo neonazista e neofascista in Germania e in Italia. In questo clima perciò diventa cruciale il ruolo della ‚comunicazione‛, non intesa nella forma alienata del totalitarismo instauratosi oggi nelle comunicazioni di massa, *<+ ma nel recupero di una idea regolativa di ‚umanità‛ che sia soprattutto l’estrinsecazione del bisogno umano ‚ricco‛ dell’altro uomo/dell’altra donna come fine e non come mezzo. Il linguaggio ha un ruolo essenziale in questo progetto, *<+*esso è infatti] costitutivamente, naturalmente, dialogico e polifonico.9 Oggi l’Europa è una ‚nuova Babele‛, attraversata da migrazioni, grandi movimenti di popoli, lingue e saperi che comportano il rimescolamento e una vera e propria rivoluzione del continente, che da troppo tempo, forse, ha dimenticato di provenire anch’esso ‚di fuori‛, ‚dall’altro mondo‛10. 9 Ivi, p. 11. 10 Nel testo Europa fenicia: identità linguistica, comunità, linguaggio come pratica sociale (1994) Patrizia Calefato scrive: ‚In un articolo a due voci pubblicato in un numero dell'Espresso del dicembre 1992, Jean Daniel *<+ e Umberto Eco *<+ si interrogavano sul destino dell'’Europa di fine secolo, la nuova Babele, come la definivano. Nuova Babele perché attraversata da rinnovate frantumazioni etniche e nazionali, e perché percorsa da migrazioni che oggi rappresentano, a parere di Eco, un fenomeno storico di portata ben più ampia delle tradizionali immigrazioni. Come nel mito di Babele, l’Europa è solcata oggi da una molteplicità di lingue nazionali, di idiomi, di culture, le cui specificità e particolarità convivono insieme a una tensione comune verso il cosmopolitismo e verso l’idea di un’Europa che non sia soltanto quella del mercato e degli accordi monetari. *<+ La condanna biblica sembra però essere oggi non quella di un’Europa dove si parlerebbero troppe lingue – ché anzi questa è da sempre una caratteristica del continente – bensì quella di un’Europa in cui sempre più spesso nelle lingue si stratificano, si trasmettono e si rigenerano pregiudizi verso il diverso. Paradossalmente, la crescente pluralità di lingue che percorrono oggi l’Europa si accompagna spesso a forme di oppressione, sfruttamento, e reificazione dell'altro, che si realizzano nel linguaggio e nei modelli di rappresentazione e comunicazione non meno che nella sfera economica e politica‛. 12
  • 13. Capitolo 1 Identità, cultura e liminalità nell’estetica black British Culture as a strategy of survival is both transnational and translational. It is transnational because contemporary postcolonial discourses are rooted in specific histories of cultural displacement, whether they are the middle passage of slaver and indenture, [...] the fraught accommodation of Third World migration to the West after the Second World War, or the traffic of economic and political refugees within and outside the Third World. Culture is translational because such spatial histories of displacement […] make the question of how culture signifies […]. The transnational dimension of cultural transformation - migration, diaspora, displacement, relocation - makes the process of cultural translation a complex form of signification. The natural(ized), unifying discourse of nation, peoples, or authentic folk tradition, those embedded myths of cultures particularity, cannot be readily referenced. The great, though unsettling, advantage of this position is that it makes you increasingly aware of the construction of culture and the invention of tradition. Homi Bhabha, “Redrawing the Boundaries‛ It is in the emergence of the interstices - the overlap and displacement of domains of difference - that the intersubjective and collective experiences of nationness, community interest, or cultural value are negotiated. […] Terms of cultural engagement, whether antagonistic or affiliative, are produced performatively. The representation of difference must not be hastily read as the reflection of pre-given ethnic or cultural traits set in the fixed tablet of tradition. The social articulation of difference, from the minority perspective, is a complex, on- going negotiation that seeks to authorize cultural hybridities that emerge in moments of historical transformation. Homi Bhabha, ‚The Location of Culture‛ 13
  • 14. 1 Ibridità e transnazionalità nella nuovo teatro black British Nell’attuale società transnazionale le nozioni di cultura, identità, appartenenza nazionale e razziale e più specificamente di Englishness, Britishness e blackness sono entrate in crisi: con le migrazioni diasporiche nuovi soggetti ‚marginali‛11 giungono in Gran Bretagna dove con la loro presenza alterano l’omogeneità di questa ‚comunità immaginata e condivisa‛12 rendendone labili e ambivalenti i confini, culturali e nazionali. Lo spazio, la nazione, che accoglie i soggetti migranti si trasforma in uno spazio ‚liminale‛13: esso è il luogo dello scambio tra le diverse culture e identità che incontrandosi si plasmano vicendevolmente. In questo passaggio interstiziale fra identificazioni fisse [si] apre la possibilità di un’ibridità culturale che accetta la differenza senza una gerarchia accolta o imposta. 14 11 L’espressione ‚soggetti marginali‛ si riferisce naturalmente alle popolazioni non europee colonizzate che con le migrazioni diasporiche postcoloniali si spostano dai margini al centro dell’impero. 12 Nel testo Imagined Communities del 1991 Benedict Anderson introduce l’espressione ‚comunità immaginata‛ per descrivere l’idea di stato-nazione. Secondo Anderson infatti la nazione può essere definita una comunità per il forte senso di appartenenza e di condivisione di sentimenti, scopi e storia di coloro che ne fanno parte. Il senso di comunità all’interno della nazione non si fonda sulle relazioni personali come in una normale comunità: non è necessario che ogni membro della comunità-nazione conosca tutte le persone che vivono in essa, basta che questi sia in grado di immaginarne l’esistenza. Pertanto per ‚comunità immaginata‛ Anderson intende lo stato-nazione che nasce a partire dalla creazione di uno spazio simbolico condiviso. 13 Nell’opera The Location of Culture (1994) di Homi Bhabha vi sono riflessioni di fondamentale importanza per la comprensione delle nuove dinamiche e formazioni identitarie ibride del nuovo millennio, come i concetti di ‚liminalità‛, di ‚terzo spazio‛ e di in-betweenness, rappresentative delle posizioni ambigue, ai confini, e proprio per questa ragione molto fluide, aperte e creative. 14 Homi Bhabha, I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001, p. 15. 14
  • 15. Ed è proprio in questo spazio di transito attraverso confini di identità stabili che si determina una dinamica ambivalente di ‚traduzione‛. Infatti come scrive Salman Rushdie in Patrie Immaginarie: la parola traduzione deriva etimologicamente dal latino portare di là. Poiché *<+ *i migranti sono+ persone portate di là dal mondo, *<+ *sono+ individui tradotti. Si ritiene solitamente che qualcosa dell’originale si perda in una traduzione, *<+ *in realtà si può] guadagnare qualcosa. 15 La migrazione *<+ ci offre una delle più ricche metafore del nostro tempo. Lo stesso termine metafora, le cui radici risalgono al termine greco per trasportare, descrive una sorta di migrazione, la migrazione delle idee in immagini. I migranti – individui trasportati – sono esseri metaforici nella loro stessa essenza; e la migrazione, vista come metafora, è dappertutto intorno a noi – tutti attraversiamo delle frontiere: in questo senso tutti siamo emigranti.16 Pertanto la ‚traduzione‛ assume un ruolo di primaria importanza configurandosi come transculturazione 17, ossia ‚processo di negoziazione e selezione interculturale‛18 che consente di trasportare da un luogo all’altro non soltanto parole, bensì anche la cultura. Come afferma Homi Bhabha in The Location of Culture, le ‚culture della diaspora‛ che abitano gli spazi di frontiera, in-between, mettono in atto una politica della differenza destabilizzando il binarismo su cui si è fondata la cultura dell’Occidente. Il ‚centro‛ è ormai abitato da coloro 15 Salman Rushdie, Patrie Immaginarie, Milano, Mondadori, 1991, p. 23 (corsivo mio). 16 Ivi, p. 278 (corsivo mio). 17 Il neologismo transculturazione è adottato da Nancy Morejón in Nación y mestizaje en Nicolás Guillén (1982) per descrivere l’interazione e la trasmutazione tra diverse componenti culturali che portano ad una terza, nuova ed indipendente, entità culturale. L’incontro tra queste diverse componenti determina infatti una mediazione attiva, non una vittimizzazione passiva. 18 Ania Loomba, Colonialismo/postcolonialismo, Roma, Meltemi Editore, 2000, p. 79. 15
  • 16. che vivevano ai suoi ‚margini‛19 e questo provoca lo stravolgimento della tradizionale visione/costruzione dell’identità culturale. In questo caos-mondo, come Édouard Glissant nell’opera Poetica del diverso (1998) definisce il fenomeno di continua messa a confronto di culture diverse, si va verso il superamento del multiculturalismo (coesistenza separata delle varie culture con reciproco patto di non mescolanza) e si approda invece ad una logica dell’interculturalità, ossia alla convivenza di culture differenti che si confrontano, si formano e si modificano reciprocamente. Tutti questi fermenti politico-socio-culturali caratteristici dell’interculturalità si riflettono significativamente nel campo letterario: la letteratura prodotta dalla black Britain, che negli anni ’90 conosce la massima fioritura, è espressione paradigmatica della realtà ibrida della Gran Bretagna. La nazione e la metropoli oggi infatti sono raccontate da scrittori che un tempo ne abitavano le zone marginali: questi soggetti ibridi creano delle ‚contronarrazioni‛, scardinando il discorso ideologico che è alla base delle narrazioni canoniche, come afferma Bhabha nel celebre saggio DissemiNation. Time, narrative and the margins of the modern nation (1994). Con la letteratura black British inizia la 19 A partire dall’epoca postcoloniale la critica problematizza il binarismo del mondo coloniale: con il consolidamento dell’impero si stabilisce una relazione di tipo gerarchico tra il colonizzato, l’altro, e il colonizzatore, tra selvaggio e civilizzato. L’Europa imperiale si configura come centro, mentre il resto del mondo viene considerato ai margini della cultura, del potere e della civilizzazione. Tale concetto di margine si presenta però ambivalente: se è vero che il margine, come delimitazione e bordo, si situa al di fuori del centro, è anche vero che esso lo avvolge. Ciò implica pertanto l’idea di ‚esclusione nella prossimità‛ che caratterizza le culture della diaspora, idea che può essere intesa sia in senso negativo come non-conformità alle regole e non-integrazione (emarginazione), sia in senso positivo come libertà di scelta (alter-nativa). 16
  • 17. decostruzione del canone Occidentale20, in particolare di quello britannico, e la scoperta di nuovi canoni. Questa contro-letteratura, nel contrapporsi al canone britannico, si proclama britannica occupando una posizione di assoluta centralità. Infatti a partire dalla fine del XX secolo emerge nel cuore dell’ ex-impero una nuova identità British, e al tempo stesso black, che mette in crisi la cultura dominante e il concetto stesso di Occidente. In epoca coloniale con black si identifica il soggetto ‚eccentrico‛, ex-centric, ossia fuori dal ‚centro‛, che si contrappone a British che caratterizza invece quello ‚bianco‛, posto nel ‚centro‛; queste identità black e British mescolandosi tra loro hanno creato un nuovo soggetto ‚ibrido‛ black British. La Gran Bretagna oggi infatti si configura come lo spazio postmoderno e postcoloniale per eccellenza, nell’accezione di Homi Bhabha21 e Stuart Hall22: uno spazio ibrido e creativo, dove le culture si formano e si evolvono rivoluzionando il concetto stesso di ‚centro‛, di identità e di canone, finora ad esso associati. Perciò la generazione black British supera la ‚mimicry o imitazione ironica‛23, che secondo Homi Bhabha caratterizza il 20 Come sostiene Maria Renata Dolce in Letterature in inglese e il canone (2004), il canone Occidentale, e significativamente quello britannico, per lungo tempo ha svolto il ruolo determinante di ‚mediatore della cultura nazionale *<+ *rispondendo+ a quell’aspirazione all’omogeneità nazionale che caratterizza una Englishness nutrita dal sogno dell’espansione coloniale‛. 21 Cfr. Homi Bhabha, ‚DissemiNazione: tempo, narrativa e limiti della nazione moderna‛ in I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001. 22 Cfr. Stuart Hall, ‚Nuove Etnicità‛ in Il soggetto e la differenza. Per un'archeologia degli studi culturali e postcoloniali, Roma, Meltemi, 2006. 23 Nel testo Of Mimicry and Man: the Ambivalence of Colonial Discourse (1994) Homi Bhabha sostiene che ‚l'atto mimetico del colonizzato è essenzialmente ironico e [che] quindi la sua ripetizione degli atti dei colonizzatori è un momento di libertà parodica con cui il sottoposto ottiene dei vantaggi, ma attraverso il quale sviluppa anche la sua personalità individuale distinta da quella originariamente espressa nell'atto 17
  • 18. colonizzato, essendo essa ormai la mescolanza di Britishness e di blackness, di sameness e di otherness. L’Altro si è fatto inglese, sovvertendo così la nozione stessa di Britishness. Questa ibridità, che trova la massima espressione nella letteratura black British, viene percepita come pericolosa per il suo grande potenziale sovversivo: sfidando la purezza della tradizione, essa mette in discussione la superiorità della cultura dominante.24 Dalle considerazioni finora fatte si deduce che la letteratura black British ‚ha funzioni performative che sconfinano oltre il testo‛25, come afferma Mark Stein in Black British Literature, Novels of Transformation (2004): essa provoca un cambiamento nella stessa cultura, inglese, che la genera e la ospita.26 Gli scrittori black British, quindi, attraverso la scrittura realizzano una negoziazione identitaria e spaziale rivendicando così la legittimità di appartenenza alla cultura e società inglesi per se stessi e per la generazione che essi rappresentano. parodiato‛. Questa imitazione ironica, o mimicry, porta quindi alla creazione di identità ibride o meticce e non alla perdita di sé. 24 Francesca Giommi, Identità e appartenenze nella narrativa Black British di origine afro- caraibica, Tesi di Dottorato in Letterature e Culture dei Paesi di Lingua Inglese, Università di Bologna, 2007, p. 5. 25 Ivi, p. 52. 26 Nell’opera Black British Literature, Novels of Transformation (2004) Mark Stein afferma: ‚*the black British novel of transformation is] characterized by performative functions and *<+ *it reaches+ beyond the text. *<+ The novelistic transformation of Britain *<+ is accomplished through the redefinition of Britishness, the modification of the image of Britain. The novel of transformation not only portrays changing Britain but, crucially, it is also partly responsible for bringing about change. *<+ The black British novel of transformation is not only about the character formation of its protagonists, it is at once about the transformation and reformation of British cultures. These processes of transformation and reformation are not only represented in the texts; they are at once purveyed by them. *<+ The performative functions of the novel of transformation *<+ involve the construction of new subject positions, the reimagination and redress of the images of Britain including the transgression of national boundaries, the depiction of racism, and, most importantly, the representation, exertion, and normalization of black British cultural power.‛ 18
  • 19. La funzione ‚performativa‛ della letteratura black British è particolarmente evidente nel genere teatrale: raccogliendo l’eredità della tradizione brechtiana, adottando tecniche di straniamento 27, il testo teatrale black British stimola il destinatario a compiere un complesso lavoro interpretativo. Pertanto il teatro black British, nel rendere attivo il ruolo del destinatario, induce questi a mettere in discussione le verità acquisite in quella stessa cultura, inglese, che ha generato il testo: in tal modo la cultura si modifica venendo introdotti all’interno di essa nuovi elementi e ciò conferma la funzione performativa di questo teatro. A tal proposito significativa è l’affermazione di Patrice Pavis nell’opera L’analisi degli spettacoli del 2004: il ‚nuovo nasce dalla creolizzazione‛; infatti il teatro black British, essendo il prodotto della creolizzazione delle culture dovuta al fenomeno delle migrazioni di massa dalle ex-colonie alla Gran Bretagna, diventa il luogo dello scambio culturale tra le forme del teatro tradizionale britannico e quelle delle culture e delle tradizioni africane e caraibiche28, così che nascono nuovi stili, tematiche e 27 Nel saggio Alienation and alienation effects in Winsome Pinnock’s Talking in Tongues (2007) Meenakshi Ponnuswami sostiene: ‚most black playwrights in Britain readily acknowledge *Bertold Brecht’s influence+ *<+ in their work. *<+ Brechtian social realism *<+ was a basically realist theatre that featured some of the staple mechanisms of epic theatre practice for effecting critical distance in audiences, to save them from the stranglehold of emotional identification and catharsis: e.g., episodic narratives; alienation effects such as projections; musical accompaniment; and other distancing techniques designed to encourage critical awareness and questioning in audiences.‛ 28 A proposito della tradizione teatrale black nell’Introduzione a Black Theatre: Ritual Performance in the African Diaspora (2003) Victor Leo Walker scrive: ‚The terms theatre and drama *<+ *, when referred to black culture, have to be considered as] inclusive of ritual, ceremony, *<+ rites of passage, the blues, improvisation, Negro spirituals, spoken word, hip-hop, storytelling, and other performative modes of expression rooted in the ancestral ethos of black Africans in the Diaspora. *<+ Most black Africans in the Diaspora who create performative rituals do so to reaffirm the life force of the community by engaging the community in an experience that reinforces the collective worldview *<+. Theatre and drama of the African Diaspora is communal‛. Come afferma Wole Soyinka in Myth, Literature and the African World (1976): ‚The difference *<+ between European and African Drama *<+ *is the+ difference between one culture 19
  • 20. linguaggi. Dunque il teatro black British assume un ruolo chiave per comprendere la realtà interculturale della Gran Bretagna, e della società contemporanea più in generale, dove culture differenti convivono confrontandosi, formandosi e modificandosi reciprocamente. Il teatro black British è transculturale, senza confini e si inscrive in uno spazio ibrido, un ‚terzo spazio‛, secondo l’accezione di Bhabha. Il teorico indiano nel suo saggio DissemiNation nel volume Nation and Narration (1990), considerando il concetto di nazione nel mondo postcoloniale, sostiene che a seguito delle migrazioni diasporiche cadono i confini intesi in senso tradizionale dal punto di vista geografico e storico e si ha l’emergere di zone liminali, di spazi di attraversamento. Bhabha afferma che nella ‚narrazione‛ si ha l’allargamento dello spazio della nazione per l’integrazione culturale di nuovi elementi e che la ‚presenza performativa delle persone‛29 svolge un ruolo determinante per una nuova definizione culturale di nazione. Il teatro black British, come il teatro in generale, ha una valenza significativa proprio per la presenza performativa30 degli attori sulla scena che realizzano la loro whose very artifacts are evidence of a cohesive understanding of irreducible truths and another, whose creative impulses are directed by period dialectics. So, to begin with, we must jettison that fashionable distinction which tends to encapsulate Western drama as a form of esoteric enterprise spied upon by fee-paying strangers, as contrasted with a communal evolution of the dramatic mode of expression, this latter being African. Of far greater importance is the fact that Western dramatic criticism habitually reflects the abandonment of a belief in culture as defined within man’s knowledge of fundamental, unchanging relationships between himself and society and within the larger context of the observable universe.‛ 29 Homi Bhabha, ‚DissemiNation‛ in Nation and Narration, New York, London, Routledge, 1994, p. 299. 30 In Il queer, la trasformazione dello spazio pubblico e il concetto filosofico di performatività (2010) Monica Pasquino scrive: ‚La performatività riveste un ruolo centrale *nell’analisi+ *<+ del meccanismo con cui le norme sociali agiscono sulle soggettività individuali e nelle trame della coscienza collettiva. In particolare, Judith Butler propone un’estensione del concetto di atto linguistico performativo al di là del suo consueto ambito di applicazione *<+, accogliendo la critica alla teoria degli atti 20
  • 21. performance in uno spazio liminale, astorico e senza confini. Come afferma Keir Elam in Semiotica del teatro (1999), ‚l’azione si svolge in un perpetuo presente e sul palcoscenico è sempre adesso‛31: infatti nel teatro black British, come in ogni testo teatrale, l’enunciato è inscritto costantemente nel presente. Anche Bhabha parla di enunciazione inscritta nel presente, in relazione alla nozione di cultura, ed in The Location of Culture (1994) scrive: My shift from the cultural as an epistemological object to culture as an enactive, enunciatory site opens up possibilities for other ‚times‛ of cultural meaning (retroactive, prefigurative) and other narrative spaces (fantasmic, metaphorical). My purpose in specifying the enunciative present in articulation of culture is to provide a process by which objectified others may be turned into subjects of their history and experience.32 La nuova concezione della cultura di Bhabha, intesa come spazio di enunciazione performativa, potrebbe pertanto concretizzarsi nel fatto teatrale, dato che esso si realizza in un enunciato sempre al presente. 33 linguistici di Austin (1962) formulata da Derrida in Signature event context *<+ (1971). *<+ La performatività è per Butler un’occasione per riflettere sulla intrinseca politicità del dire *<+. La funzione performativa del discorso contribuisce a delimitare i confini di ciò che appare degno di essere mostrato nello spazio pubblico, tuttavia le parole istituiscono confini che sono sempre instabili e vacillanti, per questo motivo una risignificazione imprevista e uno slittamento di senso possono diventare gli strumenti con cui aprire crepe, contraddizioni e insinuare il cambiamento nella lingua e nello spazio pubblico.‛ 31 Keir Elam, Semiotica del teatro, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 122. 32 Homi Bhabha, The Location of Culture, cit., p. 255. 33 ‚The performative *<+ is for Bhabha the a priori condition of theory per se. And the performative a priori that grounds Bhabha’s work suggests that history as such is for him a question a priori of performance. Terms of cultural engagement *<+ are produced performatively. *<+ In the linguistic sense a performative act brings about some state of affairs by simply being uttered (as with a promise). But such acts can also be performed in the dramatic sense – i.e. one can act out the performative in a performance (in theatre). *<+ So when Bhabha writes of the performative production of the terms of cultural engagement he is describing cultural engagements as situations made possible by the fact that every (linguistic or non-linguistic) sign functions as such because it can be cited (e.g. in a dramatic or poetic performance). *<+ Bhabha’s notion of performativity is thus intended to *<+ produce an agency that exploits the iterability 21
  • 22. Perciò studiare il teatro black British significa indagare sull’attuale concetto di cultura, che nel mondo transnazionale e globalizzato contemporaneo non è più considerata come un’entità esterna e superiore all’individuo, conchiusa in se stessa, ma è caratterizzata dalla soggettività, dalla flessibilità e dalla dinamicità, in un‘epoca in cui la globalizzazione erode i confini culturali, politici e geografici. Ed è proprio per comprendere la nuova realtà interculturale e multiculturale della società contemporanea che si è scelto in questo lavoro di analizzare il teatro black British. or (which is the same thing) the openness to-the-other of cultural signs‛(v. Steve Clark, Travel Writing and Empire: Postcolonial Theory in Transit, London, Zed Books Ltd., 1999). 22
  • 23. Capitolo 2 Testualità, identità e rivoluzione nel nuovo teatro black British di debbie tucker green To use black culture and experience to further enrich British theatre. To provide high quality productions that reflect the significant creative role that black theatre plays within the national and international arena. To enlarge theatre audiences from the black community. Talawa Theatre Company Language as symbolic function constitutes itself at the cost of repressing instinctual drive and continuous relation to the mother. On the contrary, the unsettled and questionable subject of poetic language (for whom the word is never uniquely sign) maintains itself at the cost of reactivating this repressed instinctual, maternal element. Julia Kristeva, ‚Desire in Language‛ Like the repressed, the semiotic can return in/as irruptions within the symbolic. It manifests itself as an interruption, a dissonance, a rhythm unsubsumable in the text’s rational logic or controlled narrative. The semiotic is thus both the precondition of symbolic functioning and its uncontrollable excess. It is used by discourses but cannot be articulated by them. Elizabeth Grosz, ‚Jacques Lacan. A feminist introduction‛ 23
  • 24. 1 Il nuovo teatro black British di debbie tucker green L’attenzione della critica per il teatro black British è cresciuta negli ultimi decenni, dopo che un numero sempre più cospicuo di suoi testi è stato rappresentato. Il maggiore interesse per la drammaturgia black British è venuto dalle studiose del teatro femminista, non sorprende quindi che le due monografie su questo teatro, Contemporary Black and Asian Women Playwrights in Britain (2003) di Gabriele Griffin e Staging Black Feminism: Identity, Politics, Performance (2007) di Lynette Goddard, riguardino le opere delle drammaturghe black British. Ancora oggi manca una indagine ampia e storicamente contestualizzata del teatro black British, nonostante la sua presenza significativa nel panorama culturale già a partire dagli anni ‘50. Questo teatro infatti viene considerato più un’appendice che una parte integrante della letteratura black British, anche se drammaturghi come Wole Soyinka, Mustapha Matura, Caryl Phillips, Barry Reckord erano già presenti nel panorama teatrale inglese negli anni ’60.34 A partire dagli anni ’80 si assiste al fiorire di una consapevolezza nera e alla nascita di compagnie teatrali black, favorita da politiche culturali di sostegno e promozione della ‚cultural diversity‛ con i finanziamenti dell’Arts Council.35 Ed è proprio in questi anni che le 34Meenakshi Ponnuswami, "Alienation and Alienation Effects in Winsome Pinnock’s Talking in Tongues‛ in Black British Aesthetics Today, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2007, pp. 206-207. 35 Come scrive Lynette Goddard in Staging Black Feminisms: Identity, Politics, Performance (2007) : ‚the year 1979 marked *<+ *a+ sea-change that has had a lasting effect on black theatre production in Britain. In 1979 Margaret Thatcher led the Conservative Party to a General Election victory where they remained for four terms until 1997. The Conservative government initiated shifts in thinking about cultural identity that impacted on the funding of minority theatres. *<+ Lasting Thatcherite motifs and legacies included the complementary ideas of freedom and choice, 24
  • 25. drammaturghe nere britanniche riescono a trovare il loro spazio, con l’affermarsi degli studi culturali e femministi. La difficoltà di rappresentare le proprie opere teatrali ha riguardato anche le autrici bianche britanniche ancor prima delle drammaturghe black British. Mentre le autrici bianche inglesi per la loro affermazione si sono avvantaggiate più facilmente del movimento di liberazione delle donne degli anni ’70 - ’80, le autrici nere, nonostante il principio di ‚Sorellanza Universale‛ del movimento femminista, non si sono sentite spesso rappresentate dagli scritti delle loro sorelle bianche: l’oppressione delle donne bianche infatti era basata sul genere e sulla classe, quella delle donne nere includeva anche la categoria di razza.36 Tra le drammaturghe black British affermatesi in Gran Bretagna a partire dagli ultimi decenni del XX secolo spicca debbie tucker green, di origini afro-caraibiche. Ispirandosi ad autrici come l’afro-americana Ntozake Shange37 e la poetessa giamaicana Louise Bennett38, influenzata independence and individual worth *<+. Thatcher’s political rhetoric engaged a shift away from ideas of discrete collective identities towards concepts of the self that came from a collapsing of ideas of differences between class, race and gender. *<+ Under Thatcherite principles there is no need for a separate black women’s theatre as black women are simply individuals along with everyone else.‛ 36 ‚A survey of British theatre in the second half of the twentieth century highlights the marginalisation of black women as topics of drama *<+. Class was emphasised as the primary site of difference and racial issues were of no concern to the New British Theatre. *<+ Black plays of the period were almost all written by male dramatists, such as *<+ Wole Soyinka, Derek Walcott and Edgar White, and the few plays by black women tended to be by African-American playwrights. Theatre initially seemed to be an out-of-bounds arena for the black female migrants to Britain *<+.‛ (v. Lynette Goddard, Staging Black Feminisms: Identity, Politics, Performance, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2007). 37 Ntozake Shange, dammaturga e poetessa, è nata nel 1948 a Trenton, New Jersey. Il suo primo lavoro di successo, For Coloured Girls Who Have Considered Suicide When The Rainbow Is Enuf del 1975, dramma poetico-musicale, è diventato un testo-culto degli anni ’70: in esso l’autrice racconta l’estraniamento, la violenza, la follia delle donne di colore, ma anche la sensualità, la forza che nasce dall’espressione e dalla manifestazione della propria creatività. Questo testo rappresenta il primo atto di 25
  • 26. dalla musica di cantautrici come le afro-americane Jill Scott e Lauryn Hill, debbie tucker green si distingue per l’originalità del suo teatro: la drammaturga ha trovato nuovi modi per raccontare vecchie storie, storie di dislocazione urbana e di violenza, storie domestiche di abusi. Nell’intervista al Guardian del 2005 tucker green afferma infatti che: the people who influence me are the people who do their own thing, people who don’t look left or right to check if they are doing the right thing, but who write what they think and what they feel. I don’t write for critics. It is written for people who will feel it. It’s for the people who come out saying ‚That’s just like my aunty‛ or ‚That’s just like me‛.39 Questa autrice irrompe nella scena teatrale inglese nella primavera del 2003 con due opere, Born Bad e Dirty Butterfly, entrambe rappresentate al ‚Soho Theatre‛ di Londra con grande plauso della critica: Born Bad è premiata nel 2004 con il ‚Lawrence Olivier Award for Most Promising Newcomer‛ e Dirty Butterfly viene definita dal critico Sam Marlowe ‚a very striking piece of work‛40. Il teatro di tucker green offre la prospettiva di una donna nera del XXI secolo che abita spazi multiculturali: in esso la drammaturga affronta questioni complesse come quella della razza e pone urgenti domande sulla violenza che caratterizza la società contemporanea e che si manifesta soprattutto nei contesti familiari. Mescolando abilmente gli stili, le tematiche e i linguaggi delle tradizioni euroamericane con quelle africane e caraibiche, debbie tucker green propone un interessante e denuncia nei confronti del maschio di colore e a partire da esso ha origine il fenomeno di ribellione nero-femminista. 38 Louise Bennett (1919-2006) è una figura di grande rilievo in Giamaica. La sua produzione poetica rappresenta il primo tentativo di recupero della tradizione africana e del creolo nei Caraibi anglofoni. 39 Lyn Gardiner, ‚I was messing about‛ in The Guardian, London, 30 March 2005. 40 Sam Marlowe, ‚Review‛ of Dirty Butterfly in What’s On, 26 February - 5 March 2003, p. 52. 26
  • 27. nuovo modo di fare teatro in Gran Bretagna diventando così una figura di rilievo nel panorama teatrale black British contemporaneo. 1.1 La rivoluzione del linguaggio: “Stoning Mary” di debbie tucker green L’ospitalità *che abita+ *<+ un dialogo ha la stessa natura dello scarto, del clinamen alla Epicuro, del differire di una caduta, di un venir meno: mancare che non è mancanza di qualcosa, ma mancare come si dice che si manca un bersaglio. *<+ *Il+ rapporto dell’io con l’origine del suo discorso [si può definire pertanto segreto].41 È così che Gianfranco Dalmasso in A partire da Jacques Derrida. Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità (2007) riassume la concezione del ‚discorso‛ di Derrida: per questi la lingua è dell’Altro - non rispetto alla proprietà, ma alla provenienza – e il soggetto nel rapportarsi all’origine del suo discorso, che è segreta, si rapporta in realtà a se stesso. Il soggetto è dunque segreto a se stesso, nel suo discorso infatti esso è ‚coinvolto, generato insieme al significato che pensa, cioè *nell’usare il linguaggio esso+ *<+ non controlla, all’origine, il punto sorgivo, il movimento del pensare‛.42 Il segreto quindi non è altro che ‚la generazione stessa dell’io come singolarità e alterità irriducibile del non identico a sé‛43. Tale segreto divide radicalmente il soggetto, il quale potrà liberarsi da esso, secondo Derrida, soltanto quando si libererà dalla grammatica. La libertà, come intesa da Derrida, è accoglienza che ospita originariamente la natura dell’io *<+ [e che] costituisce una sorta di divisione non distruttiva, ma 41 AA. VV., A partire da Jacques Derrida. Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità, Milano, Jaca Book, 2007, p. 10. 42 Gianfranco Dalmasso, ‚Jacques Derrida e la genesi del significato‛ in Metafisica e violenza: atti del convegno, Milano, Vita e Pensiero, 2008, p. 224. 43 Paolo D’Alessandro, Andrea Potestio, Su Jacques Derrida. Scrittura filosofica e pratica di decostruzione, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2008, p. 83. 27
  • 28. rimandante ad un’origine altra, tutt’altra, ma insieme costitutiva dell’io. Questo crinale sottile è *<+ il segreto, rapporto dell’io con l’origine del suo discorso. Questo segreto opera dentro l’azione dell’io, *nel suo linguaggio+ *<+, in un testo che implica, oltre la nozione di io, anche la nozione di Dio, in cui l’essere umano, come avverte Nietzsche, non può liberarsi finché non si libera dalla grammatica.44 Le considerazioni di Derrida sul rapporto tra il soggetto e il suo discorso, nel quale esso si genera, richiamano le affermazioni di Émile Benveniste il quale nel testo La soggettività del linguaggio contenuto in Semiotica in nuce: Teoria del discorso (2001) sostiene: il linguaggio sta nella natura dell’uomo che non l’ha fabbricato, *<+ è nel linguaggio e mediante il linguaggio che l'uomo si costituisce come soggetto; poiché solo il linguaggio fonda nella realtà, nella sua realtà che è quella dell'essere, il concetto di ‚ego‛. *<+ La coscienza di sé è possibile solo per contrasto. Io non uso ‚io‛ se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia allocuzione sarà un ‚tu‛. *<+ Cadono *<+ le vecchie antinomie dell' ‚io‛ e dell'‚altro‛*<+. Dualità che è illegittimo ed erroneo ridurre ad un unico termine originario, *<+ l'‚io‛, che dovrebbe essere insediato nella sua propria coscienza per aprirsi poi a quella del ‚prossimo‛*<+. E' in una realtà dialettica che ingloba i due termini e li definisce mediante una reciproca relazione che si scopre il fondamento linguistico della soggettività.45 È a partire dagli assunti di Benveniste che il filosofo Jacques Lacan elabora la sua riflessione teorica sul soggetto umano come ‚in processo‛, come ‚soggetto parlante‛ che si costruisce attraverso le pratiche significanti della Legge46. Secondo il filosofo francese l’identità 44 AA. VV., A partire da Jacques Derrida. Scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità, cit., p.10. 45 Émile Benveniste, ‚La soggettività del linguaggio‛ in Semiotica in nuce/Teoria del discorso, Roma, Meltemi, 2001, pp. 21-22 (corsivo mio). 46 In Introduzione a Lacan contenuto in Nilalienum (2004) Luigi Anepeta riassume il pensiero di Jacques Lacan: ‚il fondamento della teoria di Lacan è lo sviluppo della personalità, la quale riconosce tre tappe precoci. La prima comporta un'indistinzione totale tra il bambino e il mondo esterno, in particolare la madre. La seconda, la fase dello specchio, che va dal sesto al diciottesimo mese, è caratterizzata dal fatto che specchiandosi nell'immagine che la madre ha di lui il bambino se ne appropria e definisce la sua identità in funzione di essa. Si tratta dunque di un'identità 28
  • 29. del soggetto si forma nell’ordine ‚simbolico‛ del linguaggio, sulla base delle ‚differenze‛ e delle ‚somiglianze‛: la Legge del Padre impone infatti un sistema di esclusioni, essa istituisce i significati permettendone alcuni ed escludendone altri. Da tali considerazioni, secondo la studiosa americana Judith Butler, si deduce che la Legge ha un carattere performativo: infatti in Corpi che contano. I limiti discorsivi del «sesso» (1995) la filosofa statunitense scrive, nell’istituzione delle categorie disponibili alle identificazioni la Legge non descrive delle posizioni già esistenti, ma produce, materializza, quelle stesse categorie, fissando caratteristiche e norme che delimitino in un significato stabile il senso di ciascuna categoria all’interno del discorso. *<+ La Legge quindi non crea solo zone di senso disponibili all’identificazione, ma ne esclude altre, anzi, le relega nel campo dell’impensabile, al di fuori della simbolizzazione, della lingua: l’Altro, il residuo della significazione grazie al quale essa può avere luogo.47 Partendo dalle tesi di Lacan Judith Butler teorizza la performatività del linguaggio e, opponendosi all’idea che l’alterità debba essere relegata come a-normale e ‚abietta‛ nell’ambito dell’immaginario, promuove una concezione di identità instabile, non fissa e dinamica, che riconosce ciò che sta ‚fuori‛ come una nuova possibilità di riarticolazione della Legge diventando così spazio di identificazione e negoziazione. Sul concetto di ‚abiezione‛ ha lavorato a lungo la filosofa Julia Kristeva la quale, in Poteri dell’Orrore (1981), definisce ‚abietto‛ ciò che viene immaginaria, in conseguenza della quale il bambino desidera essere ciò che la madre desidera ch'egli sia, vale a dire ciò che ad essa manca (il Fallo). *<+ La terza tappa - quella edipica - è caratterizzata dall'intervento del padre che, separando il bambino dalla madre, lo introduce nell'ordine simbolico della Legge e del Linguaggio. Questa terza tappa è *<+ la più importante *<+. Il padre in questione *<+ non è quello reale. Questi incarna una funzione paterna, ricondotta da Lacan al Nome del Padre - che, reprimendo il desiderio del bambino di rimanere assoggettato al desiderio della madre, promuove l'accesso all'ordine simbolico del Linguaggio‛. 47 Judith Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del «sesso», Milano, Feltrinelli, 1996, p. 95. 29
  • 30. ripudiato, che non viene semplicemente escluso dal simbolico dominante, ma che è ritenuto insignificante, senza una possibile decifrazione. Kristeva colloca l’‛abietto‛ in uno spazio pre-simbolico, in un legame arcaico con il materno prima dell’ingresso nel simbolico: la dimensione pre-simbolica, dell’Immaginario48, per questa filosofa coincide con il Semiotico (pre-verbale), il quale si contrappone al Simbolico, espressione della Legge del Padre. Il Simbolico può essere superato, ‚rotto‛ dall’Immaginario-semiotico-materno, come infatti scrive Elizabeth Grosz in Jacques Lacan. A feminist introduction (1990): like the repressed, the semiotic can return in/as irruptions within the symbolic. It manifests itself as an interruption, a dissonance, a rhythm unsubsumable in the text’s rational logic or controlled narrative. The semiotic is thus both the precondition of symbolic functioning and its uncontrollable excess. It is used by discourses but cannot be articulated by them. 49 Ed è nel linguaggio poetico che secondo Kristeva ‚il Semiotico funziona come risultato di una trasgressione al Simbolico, come ritorno al corpo materno da cui la ‚legge del Padre‛ stabilisce invece la distanza‛50, come ‚momento d’irruzione della pulsione nel linguaggio, nel ritmo, nel senso.‛51 È pertanto il linguaggio poetico, caratterizzato dalla 48 Come afferma Giovanni Bottiroli nel testo Letteratura e Psicoanalisi (2000), nel panorama critico degli ultimi trent’anni Julia Kristeva rappresenta una figura centrale: la teorica ha compiuto il ‚tentativo più ambizioso di inserire il lacanismo nella teoria letteraria. Con La rivoluzione del linguaggio poetico (1974), Julia Kristeva offre un’immagine conflittuale e ibrida della letteratura in quanto linguaggio abitato e conteso da due regimi, il semiotico e il simbolico. Il semiotico è il regno delle pulsioni, ma sulla via di diventare ‚significanti‛; esso tende a imporre la propria logica (spostamento, condensazione, ma anche frammentazione) al Simbolico, cioè alla sfera delle istituzioni e della cultura.‛ 49 Elizabeth Grosz, Jacques Lacan. A feminist introduction, London, Routledge, 1990, p. 152. 50 Patrizia Calefato, Europa fenicia: identità linguistica, comunità, linguaggio come pratica sociale, cit., p. 26 (corsivo mio). 51 Julia Kristeva, La rivoluzione del linguaggio poetico, Milano, Spirali, 2006, p. 72. 30
  • 31. destrutturazione della sintassi e della semantica, quello che meglio potrebbe incarnare la ‚libertà‛ (accoglienza che ospita originariamente la natura dell’io) che secondo Derrida può liberare l’uomo dal segreto che lo divide radicalmente. È proprio il linguaggio poetico quello che debbie tucker green usa nel suo teatro e che è l’oggetto di questo studio. Il suo linguaggio infatti è pervaso da un ritmo musicale: in esso la ‚vocalità‛52 che si libera nel significante linguistico emerge sulla superficie modificando il senso. Il testo teatrale di tucker green è caratterizzato da una ritmicità semiotica che irrompe nel sistema semiotico della lingua, ne supera i confini pervadendolo dei suoi godimenti fonici: esso corrisponde all’écriture féminine53 teorizzata da Hélèn Cixous, scrittura che riecheggia i ritmi pulsionali e incontrollabili della ‚voce‛. La ‚voce‛ (il suono, il canto) va qui intesa secondo l’accezione proposta dal teorico Roland Barthes come il luogo primario della tessitura musicale e fonica da cui nasce la lingua e l’originaria eccedenza54 della ‚parola‛: questa concezione si pone in 52 Nel testo A più voci: filosofia dell’espressione vocale (2003) Adriana Cavarero scrive: ‚Materia di un godimento acustico originario, la voce precede e rende possibile un linguaggio che ne porta sempre le tracce. Sfera di generazione e di destabilizzazione, la vocalità semiotica è dunque, nello stesso tempo, la precondizione della funzione semantica e il suo incontrollabile eccesso. Quando questo difficile controllo cede apertamente alla riemergenza del godimento vocalico, si ha allora il testo poetico. Il poeta non fa che indulgere a un piacere antico e assecondare le onde ritmiche che movimentano il linguaggio, vivificandolo‛. 53 Nel suo celebre saggio Il riso della Medusa (1975) Hélène Cixous teorizza l’écriture féminine: ‚bisogna che la donna scriva il suo corpo, che inventi la lingua inafferrabile che faccia saltare le pareti, le classi e le scuole di retorica, le ordinanze e i codici, che sommerga, trapassi, valichi il discorso-con-riserva ultima, ivi compreso quello *<+ che, mirando all’impossibile, si ferma di botto davanti alla parola ‘impossibile’ e la scriva come ‘fine’‛. Si tratta di una scrittura che non è necessariamente collegata biologicamente all’essere femmina, quanto piuttosto alla scrittura ‚che annulla la distanza fra corpo e parola‛ (v. Paola Bono, ‚Scritture del corpo‛ in Scritture del corpo – Hélène Cixous variazioni su un tema, Roma, Luca Sossella, 2000, p. 7). 54 In La voce e gli scarti della trascendenza contenuto in Kainos (2004) Vincenzo Cuomo afferma: ‚il fenomeno della voce fa comprendere che non c’è che gli scarti. Ci fa capire 31
  • 32. antitesi con la prospettiva logocentrica secondo la quale la ‚voce‛ ha valore solo quando è in funzione della ‚parola‛, e quando non è destinata ad essa è un resto insignificante, eccedenza all’insensato, mancanza. Per la sua natura corporea e fisica la ‚voce‛ viene definita da Barthes, in L’ovvio e l’ottuso (2001), come la ‚corporeità del parlare, *essa+ *<+ si situa nell’articolazione del corpo e del discorso‛55. Ed è proprio la corporalità la caratteristica del linguaggio del teatro di debbie tucker green, la cui pulsione ritmica non è semplice sonorità o resto, e che si identifica con l’écriture féminine di Cixous: la lingua materna di debbie tucker green infatti eccede il codice linguistico e rappresenta quella lingua che *ciascuno di noi parla+, o che *<+ *ci+ parla, in tutte le lingue. Una lingua, al tempo stesso unica e universale, che risuona in ogni lingua nazionale quando sono i poeti a parlarla. In ogni lingua fluisce latte e miele. E in questa lingua *<+ *noi non abbiamo+ bisogno di entrarci: essa sgorga da *<+ *noi+, fluisce, è il latte dell’amore, il miele del *<+ *nostro+ inconscio. 56 Il linguaggio di questa drammaturga afferisce a una dimensione inconscia e pulsionale e corrisponde alla chora semiotica57 teorizzata da che il vivere/esistere *<+ non consiste che nello scarto: è singolarità, eccentricità, scarto assoluto, è insensata e impersonale originalità *<+. Scarto dell’essere, la voce è anche *<+ scarto da sé, gesto che si espone, trascendendo la sua propria immanenza. È l’anima e il corpo, è la mancanza e la pienezza *<+. C’è voce laddove una piega dell’essere reagisce al suo stesso accadere, sentendo ed esponendo l’insensatezza del suo accadere, lo stupore e l’angoscia, la gioia e il dolore che la fanno scarto.‛ 55 Roland Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi, 2001, p. 247. 56 Hélène Cixous, Entre l’écriture, Paris, Des femmes, 1986, p.31. 57 Come afferma Vincenzo Cuomo nel testo La voce e gli scarti della trascendenza contenuto in Kainos (2004): ‚ogni lingua, *<+ fondandosi su di un sistema fonematico, strutturalmente esclude vaste gamme di sonorità vocali e, quindi, si fonda su di uno scarto vocale. Secondo la Kristeva, la vocalità è espressione di una chora semiotica materna in cui l’infans sperimenta creativamente tutte le possibili sonorità, per poi imparare ad utilizzare un codice fonematico determinato che ne esclude la maggior parte. *<+ *Il+ bambino sin dalla nascita è immerso in mille discorsi articolati tanto che ad un certo punto gli è dato di fraseggiare in modo articolato. Il suo bisogno di comunicare lo spinge ad entrare in un sistema fonematico, acquisendone 32
  • 33. Kristeva: è una scrittura debordante, ritmica, caratterizzata dalla destrutturazione della sintassi e che rompe le regole della Legge; è una scrittura musicale, un canto, è godimento senza confini né bordi, essa proviene dalla fonte vocalica della Madre, eccede e precede i codici della Legge del Padre. I testi di debbie tucker green assomigliano infatti a delle partiture musicali in cui i ritmi vocali guidano il movimento del testo, la sua tessitura: in essi vi è una moltiplicazione del senso il quale fluisce dal movimento che unisce le parole secondo il ritmo e la sonorità, il significato dunque non è regolato dal dominio fallo-logocentrico. E infatti nei testi di tucker green il suono di una parola ne richiama un’altra e la sostituzione o l’inserimento di una parola o di una lettera genera parole diverse, nuovi significati: 58 questo è ben evidente nell’opera Stoning Mary (2005) rappresentata per la prima volta presso il ‚Royal Court Theatre Downstairs‛ nel 2005 e che si è scelto di tradurre e analizzare in questo studio per il suo valore esemplificativo della produzione letteraria di questa drammaturga. Si prenda ad esempio la quarta scena in cui la MADRE, ricordando il figlio perduto, recita: MUM <To watch... to watch him. Lovin that. Lovin doin that. Doing that. Er. Hold. To hold him – his hands his fingers – Fingertips, onto him, onto his gaze – into his gaze his any-little-bit-a-him, to hold that – onto that – to have that, into that, to have and to hold that. To have that to progressivamente padronanza. La vocalità espansa in cui l’infans è avvolto è così abbandonata – ma potrà essere ripresa, ricorda Kristeva, nel gioco glossolalico o nella poesia *<+. Il discorso articolato si fonda, quindi, sempre sullo scarto della vocalità.‛ 58 Adriana Cavarero, A più voci: filosofia dell’espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 155-156. 33
  • 34. hold< Having that to hold on to. Having that. Doing that. Miss that. <To smell. Have his smell. Smell his smell, smell his smell of him – smell his smell on me. The never-get-used-to-that, the never-get-enough-of-that – the after- bath-aroma, the first thing of a morning – the just-come-in-from-out wanting more of that smell. The smell – lovin that the smell of lovin that – lovin smellin that. Me doin that. Waiting for that. That smell. That. His. Him. Doin that. Me. Miss it. Umm< Touch. Touch him. Doin that – 59 e tradotto in italiano: MADRE ****************************** ****************************** ****************************** ****************************** ****************************** ****************************** ****************************** ****************************** Nelle parole della MADRE, qui prese in esame, sono presenti in modo evidente le caratteristiche fondamentali della scrittura di tucker green: l’intensa poeticità del linguaggio 60, l’uso di frasi spezzate il cui 59debbie tucker green, Stoning Mary, London, Nick Hern Books, 2005, pp. 18-19. 60In Passionate, Poetic and Powerful contenuto in The Sydney Morning Herald (2008) Mark Hopkins sostiene: ‚*in her plays+ tucker green achieves a poetic intensity of language. [In Stoning Mary] familiar words and half-sentences reveal new meanings and 34
  • 35. significato viene rivelato di volta in volta con l’aggiunta di nuove parole affidando così allo spettatore il compito di ricostruire la storia del testo. I personaggi di Stoning Mary parlano nel dialetto Cockney e nell’Estuary English con discorsi interrotti, soffocati, dal ritmo veloce che conferiscono al testo l’andamento di una poesia rap; le loro parole si sovrappongono continuamente e il testo sembra una partitura musicale, una musica ripetitiva il cui ritmo suggerisce un andamento circolare. Il testo infatti ruota idealmente intorno a piccoli cerchi immaginari, in modo ossessivo, con frasi che si ripetono ciclicamente secondo una struttura ad anello: poche parole cambiano dall’inizio alla fine dell’opera. La struttura testuale di Stoning Mary è caratterizzata dalla ‚ripetizione‛ e dalla ‚differenza‛61: ripetendo ogni volta le parole dell’altro con accento e pronuncia diversi, girando intorno ad una singola parola in modo maniacale e rilanciandola in ogni verso, i audiences are trusted to construct an emotionally intelligent understanding of Africa and our relationship with the people there, seeing them in us‛. 61 Nella Prefazione a Differenza e Ripetizione (1971) Gilles Deleuze scrive: ‚L’argomento qui trattato è manifestamente nell’aria e se ne possono rilevare i segni: l’orientamento sempre più deciso di Heidegger verso una filosofia della Differenza ontologica; l’esercizio dello strutturalismo fondato su una distribuzione di caratteri differenziali in uno spazio di coesistenza; l’arte del romanzo contemporaneo che gira attorno alla differenza e alla ripetizione *<+; la scoperta nei più svariati campi di un potere proprio di ripetizione, che sarebbe di fatto il potere dell’inconscio, del linguaggio, dell’arte. Tutti questi segni possono essere ricondotti a un antihegelismo generalizzato; la differenza e la ripetizione hanno preso il posto dell’identico e del negativo, dell’identità e della contraddizione. Infatti la differenza non implica il negativo, e non si lascia portare sino alla contraddizione, se non nella misura in cui si continua a subordinarla all’identico. Il primato dell’identità, comunque sia essa concepita, definisce il mondo della rappresentazione. Ma il pensiero moderno nasce dal fallimento della rappresentazione, come dalla perdita delle identità, e dalla scoperta di tutte le forze che agiscono sotto la rappresentazione dell’identico. Il mondo moderno è il mondo dei simulacri. *<+ Tutte le identità non sono che simulate, prodotte come un ‚effetto‛ ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello della differenza e della ripetizione. Noi vogliamo pensare la differenza in sé, e il rapporto del differente col differente, indipendentemente dalle forme della rappresentazione che li riconducono allo Stesso e li fanno passare per il negativo. ‚ 35
  • 36. personaggi conferiscono a ogni parola nuovi significati di volta in volta. Ogni personaggio prende le parole dell’altro facendole rimbalzare l’una contro l’altra così che lo spettatore, come nel gioco del ping pong, viene colpito dal contenuto di ogni verso e dalla ripetizione delle parole, per poi essere colpito di nuovo: l’esperienza è violenta. La circolarità di Stoning Mary interessa non solo il livello delle proposizioni e delle frasi, ma l’intera architettura dell’opera: le ultima scene riecheggiano infatti le prime sia per il contenuto che per il linguaggio, come ad esempio nella scena quattordici in cui la coppia costituita dalla SORELLA MAGGIORE e dal FIDANZATO litiga su chi dei due debba avere le cure per guarire dall’AIDS nello stesso modo della coppia ammalata di AIDS delle prime scene. Questa circolarità, la ripetizione continua e instancabile delle parole, è un espediente che debbie tucker green utilizza per trasmettere allo spettatore il forte senso di oppressione e di angoscia dei personaggi i quali, non potendo sfuggire ai loro drammi senza soluzione, non possono che ribadire continuamente i loro problemi. La storia di Stoning Mary è una storia di sofferenze: nel testo due parole, ‚dying‛ e ‚disease‛, evocano i drammi dell’Africa ed il problema dell’AIDS, anche se non vi è alcun riferimento esplicito al luogo in cui le vicende dei personaggi si svolgono. L’opera racconta tre storie collegate tra loro: quella di una coppia sposata ammalata di AIDS che non può permettersi di pagare la cura per entrambi, quella di due genitori spaventati perché il loro figlio è diventato un bambino soldato e quella di MARY, una giovane donna condannata alla lapidazione per aver ucciso il bambino soldato che ha assassinato i suoi genitori. La struttura circolare di Stoning Mary pertanto esprime bene l’immobilità dei personaggi che non hanno alcuna via d’uscita dalla condizione tragica in cui si trovano: la 36
  • 37. figura geometrica del cerchio, in cui non c’è inizio né fine, ma solo un continuo ritornare indietro, è la rappresentazione grafica e simbolica della loro paralisi e del loro disorientamento e perciò viene scelta da tucker green come correlativo ideale dello stato d’angoscia 62 dei personaggi di Stoning Mary. L’angoscia e la sofferenza, fisica e psicologica, dominano dunque l’opera e sono l’elemento comune alle tre storie narrate: intrappolati nei loro drammi senza soluzione, i personaggi di Stoning Mary si mostrano egoisti, cinici e spietati. Così la coppia ammalata di AIDS delle prime scene litiga crudelmente su chi dei due debba avere la cura per l’AIDS (quattro attori interpretano i ruoli della MOGLIE, del MARITO e dei loro ego, espediente questo che serve a mettere in scena i pensieri repressi dei personaggi e la diffidenza dell’uno verso l’altro); l’altra coppia, costituita dal PADRE e dalla MADRE, litiga su chi dei due sia più amato dal FIGLIO (il BAMBINO SOLDATO) e su chi sia responsabile del fatto che il bambino sia diventato un soldato; infine nella coppia composta dalla SORELLA MAGGIORE e dalla SORELLA MINORE (MARY) queste esprimono la loro rabbia e il loro disagio, la prima accusando MARY di ricevere cure migliori per la sua salute e mostrando indifferenza per la sua tragica condizione, la seconda scagliandosi contro le donne che non hanno firmato la petizione che avrebbe salvato la sua vita. Stoning Mary descrive quindi rapporti crudeli e spietati, come, ad esempio, nel 62 Come scrive Lorenzo Licciardi in Ein Landarzt di Kafka: lo spazio, la scrittura, la traduzione (2007): ‚il moto periodico, ovvero il moto descritto in un’oscillazione, è *<+ una forma di immobilità, nella sua costante ripetizione. Funziona sull’inerzia (ossia, in fisica, la tendenza a rimanere nel proprio stato di quiete o di moto) e su una forza di richiamo (che tende a riportare il corpo in una condizione di quiete), contiene perciò il germe della staticità. *<+ Superare il disagio esistenziale significa superare l’antitesi fra stasi e moto.‛ 37
  • 38. confronto tra il MARITO e la MOGLIE nella terza scena che rivela quanto il vincolo del matrimonio possa essere distruttivo: HUSBAND EGO Eyes to the floorin it like I’ve done her something. Playin powerless WIFE EGO play powerless HUSBAND EGO playin powerless badly. WIFE ‘What if I wanna look after you?’ HUSBAND ‘What if I wanna live lookin after you? (I’d) look after you and love it.’ WIFE EGO Liar. HUSBAND EGO Liar.63 e tradotto in italiano: EGO DEL MARITO ************** EGO DELLA MOGLIE ************** EGO DEL MARITO ************** MOGLIE ************** MARITO ************** EGO DELLA MOGLIE ************** EGO DEL MARITO ************** Il loro rapporto riecheggia quello drammatico dell’altra coppia sposata dell’opera, il PADRE e la MADRE: nella quarta scena si evidenzia ad esempio la misoginia che sembra essere alla base dell’istituzione della famiglia tutelata dalla Legge del Padre. Il legame tra il PADRE ed il FIGLIO, tra maschio e maschio, viene usato dal PADRE per minare l’autostima della MADRE, un modo questo per rompere quell’originaria unione tra la MADRE ed il FIGLIO iniziata già durante la gestazione: MUM His time. DAD Doin / that. MUM His time he’d / spend. DAD Laughin like that MUM his time he’d spend with me – DAD laughing at you like that MUM the time he’d make to / spend with me 63 debbie tucker green, Stoning Mary, cit., p. 16. 38
  • 39. DAD laughin at your smell. MUM The time he did spend with me. DAD Laughin at y’you and your smell, with me, like that. We did. That. Doin that. Miss that. Miss that of him. I do. MUM MUM DAD MUM I wear it cos he bought it. DAD He bought it for a joke. MUM DAD MUM I wear it because he liked it. DAD He liked it for a joke. MUM <It reminds me of / him. DAD You are a joke.64 e in italiano: MADRE *************** PADRE *************** MADRE *************** PADRE *************** MADRE *************** PADRE *************** MADRE PADRE MADRE PADRE MADRE MADRE PADRE MADRE PADRE MADRE PADRE MADRE PADRE MADRE 64 debbie tucker green, Stoning Mary, pp. 25-26. 39
  • 40. PADRE debbie tucker green rappresenta così gli aspetti disturbanti del comportamento umano in uno stile poetico. I personaggi sono egoisti ed ossessionati da se stessi, rifiutano di empatizzare con la sofferenza degli altri e con indifferenza vivono eventi drammatici. I mariti e le mogli sono in guerra tra loro, le sorelle di sangue si accusano l’un l’altra e le donne rifiutano di aiutarsi a vicenda. In Stoning Mary si rappresentano le interazioni esplosive dei membri della famiglia con un linguaggio caratterizzato da interruzioni, silenzi e sovrapposizioni in uno stile poetico pieno di giochi di parole. La drammaturga erode la sintassi convenzionale con una scrittura suggestiva e polifonica nella quale crudezza e intensità poetica si mescolano in modo unico. Stoning Mary descrive gli aspetti sgradevoli della vita contemporanea con dialoghi abilmente costruiti per trasmettere la rabbia, il risentimento dei personaggi che sono in competizione tra loro. Nella traduzione di Stoning Mary in lingua italiana proposta in questo studio si è cercato di conservare lo stile poetico e ripetitivo di debbie tucker green: come nel testo originale, poche parole cambiano dall’inizio alla fine dell’opera e queste sono legate tra loro secondo un ritmo musicale. Lo slang metropolitano caratteristico di Stoning Mary è stato reso in italiano con l’uso di termini semplici e diretti e non tradotto in un particolare gergo italiano per evitare di connotare il testo da un punto di vista geografico: le varie parlate gergali italiane sono infatti ristrette al luogo e al gruppo sociale che le hanno originate.65 Nella 65‚La parola gergo viene dall’antico italiano gorgone *<+ che ha origine probabilmente dal francese jargon, che significava «gorgheggio degli uccelli», nel senso di una lingua incomprensibile. *<+ È un termine usato *<+ per definire le varietà di lingua che 40
  • 41. versione italiana si è scelto di usare un linguaggio astratto e surreale che esprime l’atmosfera sospesa dell’opera ambientata in una sorta di ‚no man’s land‛, in una terra di nessuno desolata e alienante in cui i personaggi si muovono come imprigionati in un recinto immaginario, in un’ambientazione neutra che rimanda ad un qualsiasi luogo del mondo eppure a nessuno e che lo spettatore riempie con i propri significati identitari, razziali, di genere.66 Nella traduzione in italiano si è cercato poi di rispettare il più possibile la disposizione che debbie tucker green ha dato ai versi poiché essa ha un ruolo importante nell’economia dell’opera: il tortuoso percorso testuale, fatto di salti improvvisi (spazi bianchi, silenzi), brusche frenate (interruzioni) e veloci riprese (il flusso di accuse che i personaggi si gettano addosso vicendevolmente), rispecchia il tormento interiore dei protagonisti di Stoning Mary i cui discorsi ossessivi e pieni di risentimento rappresentano l’unico sfogo possibile per la loro disperazione. Nel testo assumono inoltre un valore significativo alcuni vengono utilizzate da specifici gruppi di persone che si sono sensibilmente allontanate dalla lingua o dal dialetto parlato normalmente in zona. *<+ *Si tratta di una+ forma di linguaggio propria di un determinato gruppo sociale, usata per non farsi capire da persone estranee al gruppo.‛(v. Hossam El Sherbiny, Il gergo giovanile in italiano – Analisi lessicale, morfosintattica ed i problemi di traduzione in lingua araba in “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi ed “Esco a fare due passi” di Fabio Volo, il Cairo, Universita` di Ain Shams, 2008). 66 Nell’intervista di Emily McLaughlin per il Royal Court Young Writers Programme 2005 debbie tucker green afferma: ‚obviously I’m a black woman, so I know the conversations I’ve had with my friends. With Zimbabwe, we were like, «You know what, if it was them, they’d make sure it was on the news, they would make sure it was flagged up 24/7 if it was white people». So that’s from my standpoint, but obviously my standpoint is different to somebody else’s standpoint, maybe a white person’s standpoint. *<+ Younger people might feel differently about the play to older people, black different to white, Asian different to black, so from my point of view what’s important is to get people through the door, then you’ve answered your question. Let the people know it’s on, and if they want to come, let them make their choice.‛ 41
  • 42. espedienti tipografici che fungono da chiavi interpretative dell’opera guidando il lettore e l’attore lungo l’accidentato percorso testuale: ad esempio, il segno ‚/‛ indica la sovrapposizione dei dialoghi e si ritrova con la stessa funzione e nella stessa posizione nel verso nella traduzione italiana, le virgolette hanno la funzione di disorientare il lettore sconvolgendo la sua lettura del testo, e i trattini servono ad accelerare il ritmo del discorso. Un esempio significativo dell’uso che debbie tucker green fa di questi espedienti tipografici si trova nella quarta scena in cui, nel ricordare il figlio perduto, la MADRE usa l’espressione ‚any-little-bit- a-him‛ per riferirsi alle parti del corpo del bambino e che lei connota di una forte valenza affettiva: la sua traduzione in italiano, ‚ogni-parte-di- lui-pur piccola che sia‛, purtroppo perde inevitabilmente la rapidità della forma originale in cui invece l’espressione si presenta ben più stringata, ma tuttavia ne conserva la connotazione affettiva trasmettendo la corporalità del legame profondo tra la MADRE ed il FIGLIO. Altre espressioni di questo tipo usate da tucker green sono: ‚the never-get-used-to-that‛, ‚the never-get-enough-of-that–the after-bath- aroma‛ e ‚the first thing of a morning –the just-come-in-from-out wanting more of that smell‛, tradotte in italiano con ‚il mai-abituarsi-a- questo‛, ‚il mai-averne-abbastanza – l’aroma-dopo-il bagno‛ e ‚la prima cosa della mattina – il rientrare-subito-desiderando quell’odore ancora‛ il cui ritmo musicale trasmette bene la poeticità della scena. In Stoning Mary debbie tucker green gioca continuamente con la lingua, con la polisemia delle parole: ad esempio, il termine ‚smell‛, ripetuto molte volte nella quarta scena, viene usato sia con la funzione di verbo, ‚odorare‛, che di sostantivo, ‚odore‛: nella versione italiana questo gioco di parole è reso solo in parte poiché, per tradurre la parola ‚smell‛ 42
  • 43. nella funzione di verbo, si è dovuto ricorrere all’aggiunta del suffisso ‚– are‛. Nel testo Stoning Mary vi sono alcune espressioni creolo- caraibiche, ad esempio le parole ‚ent‛ e ‚doan‛, che corrispondono rispettivamente alle forme di inglese standard ‚am not/is not/are not/has not/have not‛ e ‚does not/do not‛: nella versione italiana purtroppo si perde la connotazione vernacolare di queste parole che sono tradotte con espressioni più neutre, ma che tuttavia rappresentano un buon compromesso per rendere in una lingua altra termini che invece sono ristretti al territorio e alla cultura che li ha originati. L’opera è inoltre ricca di termini metropolitani, come ad esempio ‚yourn‛, ‚yer‛, ‚arse‛, ‚wanna‛, ‚gotta‛, ‚cos‛, etc. e di espressioni volgari di uso comune come ‚piss me off‛, ‚motherfuckin‛, ‚shit‛, ‚fucking‛, etc. che mescolati allo stile poetico e al creolismo linguistico del testo gli danno un carattere di ibridità. Ed è proprio questa ibridità linguistica a caratterizzare l’opera di debbie tucker green come ‚rivoluzionaria‛: essa destabilizza l’autorità della lingua e del teatro inglese in Inghilterra decentrando l’egemonia imperiale della cultura inglese. Per questa sua ibridità il teatro di tucker green fractures temporality and rehistoricizes, remapping spatial epistemologies and interrogating notions of linearity which are part of the conventions of realism even as it conveys entire audiences – via the theatrical spaces of imagination – into unviolated ‘pre- contact’ spaces, in strategies of de-construction which implode dominant western theatre practice. 67 Dimple Godiwala, Alternatives Within the Mainstream:British Black and Asian Theatre, 67 Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2006, p. 107. 43