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COMPOSIZIONE CHIMICA DEI COSTITUENTI MINORI DELL'OLIO
EXTRAVERGINE DI OLIVA
L'olio di oliva da un punto di vista chimico è costituito da due frazioni:
una macroscopica di circa il 98%, detta frazione saponificabile, ovvero
costituita da una miscela di trigliceridi (meglio definiti triacilgliceroli), l'altra, il
restante 2% è costituita dalla frazione cosiddetta insaponificabile, o dei
costituenti minori. Questa terminologia è dovuta al fatto che gli esteri (ovvero i
triacilgliceroli) vanno incontro, durante i normali procedimenti di analisi
chimica, ad una reazione di saponificazione (ovvero idrolisi catalizzata da
basi forti, quali NaOH) i cui prodotti sono il carbossilato di Na+
(per l'appunto il
sapone) ed il glicerolo.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sta dedicando una sempre maggior
attenzione ai costituenti minori, all'incirca il 2% dell'olio, chimicamente più
eterogeneo, in quanto contiene più specie chimiche. La sempre maggior
attenzione è motivata dal fatto che queste specie hanno degli effetti benefici
sulla salute dell'organismo. Tra questi è doveroso menzionare la riduzione dei
fattori di rischio di sviluppare malattie cardio-vascolari, la protezione dalle
malattie neuro-degenerative, e addirittura negli ultimi tempi si parla del ruolo
dei polifenoli nella programmazione di “terapie di supporto” anti-cancro [1,3].
Valutata, dunque, la potenziale importanza di questo pool di molecole
val la pena di farne una breve, e sicuramente non esaustiva, rassegna ed al
protocollo utilizzato per isolarle. Queste molecole, infatti, oltre agli effetti
salutistici cui s'è accennato, sono quelle che conferiscono all'olio talune
caratteristiche organolettiche (come il pizzichìo in gola fornito da (-)-
oleocantale e ligstroside [2]), che condizionano, perché le si ottengano, la
scelta degli opportuni processi produttivi, delle cultivar e del relativo grado di
invaiatura con il massimo rendimento di queste sostanze benefiche, e che
dovrebbero indurre i fruitori di questo condimento, prezioso e allo stesso
1
tempo povero, a qualche accorgimento nella modalità di conservazione.
Oltre ai più famosi polifenoli (per la verità questo nome è obsoleto e
sarebbe da evitare) la frazione insaponificabile è ricca anche di vitamine (v.
fig. 1) quali carotenoidi, clorofille e tocoferoli che conferiscono anche il tipico
colore giallo-verde all'olio, ed ancora lignani e flavonoidi.
1.a
1.b
1.c
Fig. 1: Vitamine contenute nell'olio. a) Tocoferoli; b) feofitina; c) frazione idrocarburica:
costituita da squalene (precursore biochimico degli steroidi) e β-carotene. Carotenoidi e
clorofille conferiscono all'olio di oliva il suo caratteristico colore
2
L'estrazione da solvente organico
Prima di descrivere il protocollo di estrazione è doverosa una
precisazione: sebbene per ragioni “storiche” o “operative” ci si riferisca ai
componenti minori come sinonimo di frazione insaponificabile, quest'ultima è
per l'appunto una definizione puramente operativa, e deriva dal fatto che
dell'olio sottoposto ad analisi di laboratorio circa il 98% dà luogo a reazione di
saponificazione. Quando, invece, le analisi sono volte all'isolamento e studio
della sola parte dei componenti minori, le condizioni drastiche (idrolisi con
KOH o NaOH) della saponificazione operata sull'alimento tal quale,
porterebbero anche i componenti minori a reagire, potenzialmente favorendo
altre reazioni indesiderate e/o non consentendo, per esempio, di proseguire
con un'analisi quantitativa degli stessi. Pertanto è necessaria in questa fase
un atteggiamento “conservativo” nei confronti di queste sostanze.
La procedura per l'isolamento della frazione insaponificabile si basa sul
principio dell'affinità di certe sostanze verso un determinato tipo di molecola. I
saggi latini recitavano “Similes cum similibus”. La caratteristica che ne
determina la più o meno marcata affinità reciproca è la polarità.
Per effettuare l'isolamento dei polifenoli si usa il n-esano, solvente
organico (completamente) apolare, sul campione di olio tal quale; il n-esano
estrae la frazione di grassi (apolari) mescolandosi intimamente ad essi e si
procede quindi a quella che va sotto il nome di “contro-estrazione” in miscela
di solventi a polarità intermedia. In realtà si tratta di una solubilizzazione, ad
opera dell'esano e di una estrazione. In questo caso il solvente usato è in
realtà una miscela di due solventi CH3OH ed H2O in rapporto 60/40 (v/v) che
dopo l'aggiunta viene agitato energicamente alla fase organica. La polarità di
questa miscela d'estrazione è intermedia ed inoltre essa costituisce “un
solvente” protico, che quindi sarà importante nell'estrarre specie chimiche
ricche di gruppi ossidrilici dalla fase organica, che sovrasta quella idroalcolica
3
(di colore giallo(-verde) avendo solubilizzato anche i carotenoidi e le clorofille
insieme alla frazione grassa). Per questo motivo è possibile distinguere
facilmente le due fasi ad occhio nudo dopo la centrifugazione a 3000g per 5
minuti e si procede quindi alla separazione, con l'ausilio di imbuti separatori o
prelevando con una pipetta la fase idroalcolica dal fondo. Come di consueto
la procedura di (contro)-estrazione viene esguita circa tre volte in modo da
ottenere l'estrazione della quasi totalità della frazione insaponificabile (in fase
idroalcolica) da quella in fase organica.
Le frazioni idroalcoliche vengono riunite e si procede quindi alla
concentrazione del pool di composti grazie all'ausilio di evaporatore rotante, il
quale allontanerà il solvente (la parte idroalcolica) grazie ad un sistema di
vuoto blando alla T di 35°C.
La frazione così concentrata viene prima filtrata su filtro di carta (con
pori da 0,45 μm) con l'ausilio di un vuoto ottenuto da una semplice pompa ad
acqua e quindi risospesa in mezzo ml di una miscela CH3OH ed H2O, questa
volta in ragione di 50/50 (v/v) e conservata per le successive sperimentazioni.
4
La chimica della salute
All'interno della frazione idroalcolica è poi ancora possibile discernere
una parte più polare (i cui composti saranno più ricchi di atomi di ossigeno e
di gruppi ossidirlici), si tratta sostanzialmente di (o-idrossi)fenoli p-sostituiti ed
una parte meno polare con composti a più alto peso molecolare dove, pur
essendoci la presenza di atomi di O, questi hanno poco peso nello
spostamento del baricentro delle cariche.
La struttura più semplice della frazione più polare è il tirosolo, il cui o-
idrossi-derivato è il più studiato idrossitirosolo, anche se, per la verità, sembra
che la molecola realmente importata nei sistemi cellulari sia l'alcool
omovanillico [12] (v. fig. 2)
Fig. 2: Derivati del tirosolo (4-idrossifenil)-2-etanolo, dell'acido 4-idrossifenilacetico e
dell'acido benzoico contenuti nella frazione insaponificabile dell'olio extravergine di oliva.
5
È poi conveniente distinguere un'altra sotto-classe, ovvero i derivati
dell'acido cumarico (v. fig. 3):
Fig. 3: Derivati dell'acido cumarico contenuti nella componente insaponificabile dell'olio
extravergine di oliva.
La parte meno polare della frazione insaponificabile è caratterizzata
invece da una presenza di esteri, in cui la parte alcolica è quella di molti dei
composti appena passati in rassegna e la parte acilica è data dall'acido
elenolico (v. fig. 4). In questo caso va fatta una distinzione: gli esteri dell'acido
elenolico possono essere glicosilati o meno, (ovvero legati mediante il gruppo
idrossilico (in posizione 2) dell'acido elenolico da un ponte etereo ad un
anello di β-glucopiranosio). Quando questi composti non sono legati a
quest'anello di glucosio il nome del composto stesso è seguito dal termine
aglicone. L'altra possibilità è che la parte acilica, quella dell'acido elenolico
sia in forma dialdeidica con apertura del cliclo (oleocantale) (v. fig. 4)
6
Fig. 4: Derivati esterei dell'acido elenolico (in blu) o della sua forma demetossicarbonil-
dialdeidica . Non sono riportate per brevità le strutture del ligstroside (glicosilato) e
dell'oleuropeina aglicone.
Fig. 5: Lignani e flavonoidi dell'olio extravergine di oliva
7
Ancora è possibile distinguere altre due classi di composti che sono i
lignani e i flavonoidi (v. fig. 5).
Tutte queste sostanze, com'è possibile apprezzare dalle formule
riportate presentano degli estesi sistemi π, che come di consueto per questi
sistemi sono degli anti-ossidanti, in quanto l'orbitale molecolare π è in grado
di sopperire alla mancanza di un solo elettrone (ossidazione), sottratto dai
radicali liberi (ossidanti). Questa proprietà di protezione dall'ossidazione
viene svolta sia sull'olio stesso, ed è questo il motivo per cui un olio più ricco
di queste sostanze resiste meglio all'invecchiamento, sia nel nostro
organismo. Tali sostanze svolgono un'azione che potremmo definire
sacrificale, vista la loro maggior affinità a reagire con i radicali liberi in
confronto a quella degli acidi grassi mono-insaturi, che vengono quindi
preservati da tale azione.
8
VALUTAZIONE BIOCHIMICA E BIOLOGICO MOLECOLARE DEL VALORE
ANTIOSSIDANTE DEI COSTITUENTI MINORI E DELL’IMPATTO SULLA
BIOENERGETICA CELLULARE
L’olio extravergine di oliva è costituito per il 98-99% da trigliceridi e per
la restante percentuale da componenti minori, tali composti caratterizzano i
diversi oli vegetali. In particolare l’olio (extra)-vergine di oliva è ricco in
composti a struttura fenolica che rappresentano i composti maggiormente
correlati con le proprietà salutistiche.
Sebbene gli aspetti agronomici (cultivar, maturazione dei frutti, condizioni
climatiche) e tecnologici (metodo di raccolta, defogliatura e lavaggio delle
olive, conservazione delle drupe, frangitura, gramolatura, sistemi di
conservazione dell’olio) della produzione dell’olio (extra)-vergine di oliva ne
influenzano qualitativamente e quantitativamente la sua composizione
fenolica, il rapporto fra le concentrazioni dei polifenoli più abbondanti rimane
sostanzialmente invariato.
La struttura chimica dei polifenoli dona a questi composti una spiccata
attività inibitoria nei confronti dei fenomeni ossidativi, attribuendo quindi a
questi composti effetti rilevanti nella prevenzione primaria e secondaria di
alcune importanti patologie cardiovascolari, oncologiche, malattie legate
all’invecchiamento precoce, degenerative del sistema nervoso, tutte patologie
legate alla presenza eccessiva di “radicali liberi” e pro-ossidanti non radicalici
ed ai loro effetti degenerativi.
Il gruppo funzionale caratteristico dei composti fenolici è un ossidrile (–
OH) legato direttamente a un carbonio di un anello benzenico. Tale struttura
influenza le proprietà chimiche di questi composti poiché il gruppo ossidrilico
attiva le reazioni di sostituzione elettrofila nell’anello aromatico per presenza
di elettroni “mobili” o “disponibili”.
Le molecole con struttura o-diidrossi, sono caratterizzate da un elevata
attività antiossidante dovuta alla formazione di legami idrogeno
9
intramolecolari durante la reazione con i radicali liberi. La capacità di
donatore idrogeno e l’inibizione dell’ossidazione (proprietà antiossidanti)
quindi cresce con l’aumentare dei gruppi idrossido nei composti fenolici.
Tra le attività più significative si annoverano la formazione di legami idrogeno,
la formazione di complessi con i metalli (chelazione), proteine ed alcaloidi, la
formazione di ossidi-esteri, le reazioni di condensazione con aldeidi ed infine,
la più importante, le reazioni di ossido-riduzione (redox).
Le fonti delle specie reattive dell’ossigeno nell’organismo sono le reazioni
conseguenti alla catena respiratoria, alla fagocitosi, alla sintesi delle
prostaglandine, al sistema del citocromo P450, in tutte queste reazioni una
piccola parte dell’ossigeno sfugge alla normale utilizzazione portando così
alla formazione di composti instabili ed altamente reattivi (ROS). Le specie
reattive dell’ossigeno (ROS) sono responsabili delle reazioni da stress
ossidativo coinvolte in tutte le forme patologiche prima elencate. A livello
cellulare circa il 5 % del metabolismo dell’ossigeno si svolge attraverso
reazioni di riduzione implicanti il trasferimento di un solo elettrone e la
formazione a cascata di diverse forme radicaliche (ROO●
, ●
O2
-
, ●
OH, NO●
,
●
NO2), che principalmente si situano intorno alla struttura mitocondriale ma
possono distribuirsi anche in vari distretti cellulari, in relazione alla loro
polarità (neutra nel caso di radicale ossidrilico, polare come anione
superossido).
I polifenoli agiscono principalmente donando radicali idrogeno a radicali
perossidi (ROO•) formatisi durante lo step iniziale dell’ossidazione lipidica e
successivamente formando un radicale stabile (R•) attraverso la reazione:
ROO• + RH →ROOH + R•
10
Lo studio dell’attività antiossidante dei composti fenolici dell’olio
extravergine di oliva ha messo in evidenza che l’orto-difenolo 3,4-DHPEA
(Idrossitirosolo) e tutti i derivati dei secoiridoidi che contengono questo
composto nella loro struttura molecolare (3,4-DHPEA-EDA e 3,4-DHPEA-EA)
posseggono un maggior potere antiossidante rispetto al p-HPEA (tirosolo) e
ai tocoferoli, proteggendo i trigliceridi dell’olio vergine di oliva dai fenomeni di
natura ossidativa.
Di conseguenza la qualità dell’olio extra vergine di oliva è strettamente
legata alla concentrazione totale di queste sostanze fenoliche in esso
contenute, è infatti dalla loro attività antiossidante che dipende la ?shelf-life
del prodotto finale.
Tirosolo e idrossitirosolo sono biodisponibili negli esseri umani e sono
assorbiti in maniera dose-dipendente [4].
È noto che patologie intercorrenti, traumi, sostanze tossiche etc, danno
luogo nell’uomo a stress ossidativi e alla produzione di sostanze ossidanti
con azione altamente aggressiva contro le principali macro e micro molecole
dell’organismo quali lipidi, glucidi, protidi e mitocondri, DNA. Il precoce
invecchiamento delle cellule che ne deriva, favorisce l’insorgere di varie
patologie gravi, quali malattie aterosclerotiche, diabete, sclerosi multipla,
artrite reumatoide, enfisema polmonare, cataratta, Alzheimer, morbo di
11
Parkinson, demenza vascolare senile, tumori del seno, della prostrata, del
colon e della cute ecc. Gli studi focalizzati alla valutazione della capacità
antiossidante dei singoli composti fenolici dell’olio extravergine di oliva hanno
mostrato che l’idrossitirosolo (HT) ha il più alto valore in termini di potere
antiradicalico e il valore più basso in termini del potenziale di ossidazione [5].
In virtù di questa sua caratteristica l'idrossitirosolo è considerato il composto
polifenolico dell’olio extravergine di oliva di maggiore importanza per la salute
umana, prevenendo malattie legate alla presenza eccessiva di radicali liberi e
proossidanti non radicalici cellulari e mitocondriali ed ai loro effetti
degenerativi.
I meccanismi molecolari alla base dell’effetto benefico
dell'idrossitirosolo non sono ancora del tutto chiari.
È stato dimostrato che la presenza di HT in colture cellulari comporta la
stimolazione della biogenesi mitocondriale [6, 7].
I mitocondri contengono un alto livello di ossidanti, poiché la catena
respiratoria genera specie reattive. Il complesso I è un sito principale per la
produzione di radicali liberi dell'ossigeno, che può diventare molto elevata in
particolari condizioni fisiopatologiche [8].
L’idrossitirosolo potrebbe abbassare l’incidenza di malattie
cardiovascolari, la maggior complicazione conseguente al diabete, in quanto
stimola la biogenesi mitocondriali e il conseguente aumento delle funzioni
mitocondriali e del sistema di difesa. Recenti lavori infatti hanno dimostrano
che l'idrossitirosolo somministrato a diverse linee di culture cellulari e in
diverse condizioni di stress stimola l’espressione del peroxisome proliferator-
activated receptor coactivator 1 α (PGC1α) che coordina la biogenesi
mitocondriale e che ha fra i suoi geni bersaglio NRF1 e NRF2 (fattori di
trascrizione di geni nucleari) che a loro volta attivano Tfam (fattori di
trascrizione di geni mitocondriali). Le proteine NRFs risultano fondamentali
anche nella up-regulation di antiossidanti ed enzimi xeno-biotici attivi durante
12
lo stress ossidativo. In questo senso la somministrazione di HT in vitro porta
ad un complessivo aumento del DNA mitocondriale (mtDNA) e del numero di
mitocondri.
Lo studio sul meccanismo d’azione dell'idrossitirosolo suggerisce
un’attivazione mediante fosforilazione HT-dipendente dell’ 5'AMP proteina
chinasi attivata (AMPK) con conseguente stimolo dell’espressione di PGC1α
NRF1, NRF2 e Tfam (v. fig. 6). È stato inoltre osservato che il trattamento con
HT determina un miglioramento funzionale del mitocondrio, comprendendo
un aumento dell'attività e dell’espressione proteica dei complessi
mitocondriali I, II, III e V, un maggiore consumo di ossigeno e una
diminuzione del contenuto di acidi grassi liberi negli adipociti.
Studi sull’effetto dell'idrossitirosolo sull'espressione dei geni regolatori
dell’ossidazione degli acidi grassi mostrano che HT aumenta l’espressione di
PPARα (peroxisome proliferator-activated receptors α sono recettori nucleari
di proteine che regolano i geni che influenzano il metabolismo delle
lipoproteine e la captazione e l’ossidazione degli acidi grassi così come la
produzione di marcatori infiammatori), CPT-1 (carnitina-palmitoil-transferasi I,
presente sulla parte esterna della membrana mitocondriale interna, catalizza
il trasferimento di gruppi acile dall'acil-CoA alla carnitina producendo acil-
carnitina, regola quindi la lunga catena di trasporto degli acidi grassi
attraverso la membrana mitocondriale) PPARγ (peroxisome proliferator-
activated receptors γ regola il deposito degli acidi grassi e il metabolismo del
glucosio) e simultaneamente abbassa i livelli dei FFA (acidi grassi liberi,
presenti in elevati livelli plasmatici negli individui obesi).
Questi dati quindi dimostrano che l'idrossitirosolo oltre ad essere un
promotore della biogenesi e della la funzione mitocondriale favorisce
l’ossidazione degli acidi grassi.
13
Fig. 6 .L’idrossitirosolo attiva la biogenesi mitocondriale mediante la fosforilazione
attivante di AMPK (come l’idrossitirosolo determini la fosforilazione di AMPK non è ancora
chiaro).
È stato inoltre dimostrato che la somministrazione di idrossitirosolo in
colture cellulari porta all’attivazione di NRF2 e conseguente attivazione di
enzimi di fase II disintossicante: γ-glutamil-cisteinil-ligasi, NADPH
(nicotinamide adenina di nucleotide fosfato)-chinone ossidoreduttasi 1, eme-
ossigenasi-1, superossido dismutasi, perossiredossina e tioredossina nonché
di altri enzimi antiossidanti. È stato ipotizzato che l'idrossitirosolo induca
enzimi di fase II disintossicante mediante la up-regolazione del pathway
Keap1/Nrf2 [7](v. fig. 7).
14
Fig.7 Rappresentazione schematica dei possibili meccanismi di protezione
dell'idrossitirosolo da danno ossidativo e da disfunzione mitocondriale.
Ulteriori studi volti alla determinazione dell’effetto cardioprotettivo ed
anti-invecchiamento da parte di diversi composti antiossidanti hanno rilevato
che l'HT ha un effetto stimolante di proteine chiave per la longevità quali
sirtuine (SirT) e le proteine Forkhead box O (FoxOs) [10, 11]. Le sirtuine sono
proteine implicate nei processi di invecchiamento, della regolazione della
trascrizione, dell'apoptosi, della resistenza allo stress, e anche dell'efficienza
energetica e della vigilanza durante le situazioni a basso introito calorico
restrizione calorica. Inoltre, lo stesso studio ha evidenziato un ruolo di HT nel
ridurre la frequenza dell'infarto e nell’aumentare la durata della vita nei ratti.
Le proteine FoxOs sono una famiglia di proteine coinvolte in diversi processi
cellulari fisiologici quali: proliferazione cellulare, apoptosi, risposta alla
presenza di ROS, longevità, cancro e regolazione del ciclo cellulare.
Ulteriori studi ipotizzano che l'HT aumenti l’espressione della catalasi,
enzima coinvolto nel controllo dello stress ossidativo, mediante regolazione
15
delle proteine FoxOs, coinvolgendo un intricato network di modificazioni post-
trascrizionali come AMPK [11].
Altri studi che riportano le proprietà antiossidanti di HT in sistemi
biologici mostrano che l'HT sopprime l’aumento dei livelli dei ROS
mitocondriali associata all'età aumentando l’attività della manganese
superossido dismutasi (MnSOD). MnSOD è un enzima con proprietà
antiossidanti codificato a livello nucleare e localizzato nella matrice
mitocondriale dove asporta ioni superossido influenzando così l'ambiente
redox della cellula [9]. Secondo questi studi le proprietà antiossidanti
dell'idrossitirosolo sono probabilmente la causa della sua capacità di agire
come un proossidante generando radicali liberi con conseguente attivazione
tempestiva di sistemi di difesa antiossidante difensivi.
La biodisponibilità di HT nella dieta è confermata da analisi farmacocinetiche
sul trasporto intestinale di questo composto, in cui è dimostrato che le
molecole HT sono quantitativamente assorbite a livello intestinale tramite
diffusione passiva [3, 12].
16
EVIDENZE SCIENTIFICHE DEI BENEFICI DELLA DIETA
MEDITERRANEA: RUOLO DELL’OLIO D’OLIVA
Il rischio cardiovascolare è la possibilità di un individuo di sviluppare
eventi cardiovascolari (coronaropatie e/o ictus) in un periodo di tempo definito
e deriva dalla combinazione dei singoli fattori di rischio.
I fattori di rischio cardiovascolare rappresentano tutte quelle condizioni
che aumentano la probabilità di presentare patologie del cuore e/o dei vasi
(aterosclerosi): iperglicemia, obesità, fumo, ipertensione, dislipidemia.
La presenza di fattori di rischio multipli comporta un rischio globale
maggiore di quello atteso sulla base del puro effetto additivo dei singoli fattori.
La correzione dei fattori di rischio cardiovascolare, dunque, può rallentare la
progressione della malattia aterosclerotica e ridurre la mortalità per ictus e
cardiopatia ischemica.
Il termine arteriosclerosi designa un gruppo di patologie del sistema
vascolare caratterizzate dall’ispessimento e dalla perdita di elasticità della
parete arteriosa.
L’aterosclerosi è di gran lunga la più comune ed importante forma di
arteriosclerosi ed è la principale causa di morte e di invalidità nei Paesi
occidentali.
L’aterosclerosi è una patologia degenerativa delle arterie di grande e
medio calibro la cui lesione fondamentale, l’ateroma, consiste in una placca
fibrograssosa a livello della tonaca intima caratterizzata da un nucleo lipidico
in cui si ritrovano cellule e loro frammenti e di una sovrastante cappa fibrosa
che può ostruire parzialmente o totalmente il flusso sanguigno.
In attinenza con il principale fattore di rischio cardiovascolare,
l’ipercolesterolemia, il “primus movens” nella formazione dell’ateroma è la
“ritenzione” sottoendoteliale di lipoproteine a bassa densità (LDL), a livello di
quegli spazi endoteliali caratterizzati da un'elevata espressione di
proteoglicani ricchi in condroitin-solfato. La presenza di questi “proteoglicani
17
altamente ritensivi” è tipica dei punti di diramazione e biforcazione dell’albero
arterioso (questo spiega la localizzazione dell’aterosclerosi in punti
selezionati dell’albero arterioso).
La sottrazione delle LDL agli antiossidanti circolanti nel plasma rende
queste particelle più suscettibili ai processi di degradazione ossidativa. Nello
spazio endoteliale si accumulano, quindi, LDL ossidate in grado di attivare
l’endotelio con conseguente espressione e liberazione di molecole di
adesione e fattori chemiotattici in grado di richiamare specifiche
sottopopolazioni di leucociti circolanti (soprattutto monociti) dando così l’avvio
alla formazione della lesione aterosclerotica.
Anche altri metaboliti circolanti, legati a diversi fattori di rischio
cardiovascolare, agiscono stimolando l’attivazione dell’endotelio e delle
cellule muscolari lisce. Questi metaboliti comprendono i prodotti di
glicosilazione avanzata (AGEs) che si generano nel diabete, l’iperinsulinemia
tipica delle condizioni di insulino-resistenza, l’iperomocisteinemia, la
produzione di addotti del fumo di sigaretta. L’esposizione a questi stimoli
induce nell’endotelio gravi alterazioni nel suo stato funzionale e questo
rappresenta il passaggio chiave nello sviluppo precoce delle lesioni
aterosclerotiche.
Nel sottoendotelio i monociti/macrofagi accumulano grosse quantità di
lipidi acquisendo il caratteristico aspetto schiumoso. L’ulteriore accumulo di
lipidi porta alla formazione di un nucleo lipidico extracellulare che può
scatenare l’apoptosi di alcuni dei macrofagi. Con l’attivazione dei macrofagi
e/o la loro morte per apoptosi si determina il passaggio da una fase di
crescita della placca stabile e clinicamente silente a una fase di crescita
instabile e potenzialmente pericolosa. Gli eventi chiave in questo passaggio
sono rappresentati dalla liberazione di citochine e dalla produzione e rilascio
di fattore tissutale.
La produzione e successiva liberazione di metalloproteinasi della matrice,
18
come le collagenasi e le elastasi, indeboliscono il cappuccio fibroso dando
luogo ad eventi di fissurazione con l’innesco di eventi trombotici che possono
portare all’occlusione del vaso. Questo può esitare in un infarto se
l’occlusione è totale o in un angina instabile se l’occlusione è parziale.
Il modello alimentare mediterraneo prevede: un elevato consumo di alimenti
di origine vegetale (frutta, verdura, legumi, noci e cereali integrali); olio extra-
vergine d’oliva come grasso di condimento (principale sorgente di acidi grassi
monoinsaturi della dieta mediterranea, sotto forma di acido oleico); un
frequente consumo di pesce (come fonte di grassi ω-3); un moderato
consumo di pollame, formaggi e uova; un basso consumo di carni rosse e
processate, zuccheri semplici; un moderato consumo di vino (1 o 2 bicchieri
al giorno al massimo consumati durante i pasti); un elevato contenuto in
antiossidanti, fibre alimentari, ω-3, MUFA (MonoUnsaturated Fatty Acid); un
basso contenuto in colesterolo e grassi saturi. L’apporto calorico giornaliero
deve derivare per il 60% dal consumo di carboidrati (da preferire quelli
complessi), per il 10-15% dal consumo di proteine (per la maggior parte di
origine vegetale) e per il 25-30% dai lipidi (MUFA, PUFA o Polyunsaturated
fatty acids).
La prima evidenza clinica a supporto del beneficio cardiovascolare della
dieta mediterranea è stata fornita dal Lyon Diet Heart Study. Un trial clinico in
cui furono reclutati soggetti che avevano già avuto un evento infartuale e che
erano divisi in due gruppi:
• una dieta “prudente” nota come American Heart Association Step I
• gruppo sperimentale (dieta mediterranea)
Dopo 27 mesi, si osservò una riduzione degli eventi coronarici e delle
morti cardiache del 70%. La riduzione superava di gran lunga quella ottenuta
dopo trattamento farmacologico con le statine.
19
L’olio d’oliva, infatti, aumenta i livelli di HDL (colesterolo “buono”) e
riduce i livelli delle LDL (colesterolo “cattivo”) e di VLDL (ricche di trigliceridi).
Inoltre, riduce l’ossidazione delle LDL e la loro trasformazione in LDL
ossidate, che causano l’aterosclerosi e l’infiammazione.
Oltre che attraverso il miglioramento del profilo lipidico del sangue,
l’acido oleico e gli antiossidanti polifenolici dell’olio d’oliva prevengono
l’aterosclerosi attraverso la riduzione dell’infiammazione della parete
vascolare.
L’olio d’oliva riduce l’aggregazione delle piastrine e la produzione di
molecole che causano la trombosi arteriosa. Quindi aiuta a mantenere la
fluidità del sangue.
L’ipertensione è un fattore di rischio per la malattia cardiovascolare e
renale. Studi epidemiologici dimostrano che il consumo regolare di olio d’oliva
si associa alla riduzione della pressione sanguigna sistolica e diastolica,
anche in pazienti diabetici.
L’obesità è definita da un BMI maggiore o uguale a 30 Kg/m2
. I soggetti
obesi sono ad alto rischio di dislipidemia, diabete mellito di tipo II e
ipertensione. L’obesità viscerale è uno dei parametri che definiscono la
sindrome metabolica. Altri sono la dislipidemia aterogena, la pressione
arteriosa elevata, l’iperglicemia e l’insulino-resistenza.
L’obesità, soprattutto viscerale, aumenta il rischio di diabete di tipo II
(insulina-indipendente), che è a sua volta un importante fattore di rischio
cardiovascolare. Il consumo di olio d’oliva non determina un aumento del
peso corporeo. Anzi, rispetto ai grassi saturi, l’olio d’oliva promuove la perdita
di peso e aiuta a mantenere il controllo dei livelli degli zuccheri nel sangue.
20
L’IMPORTANZA DELLA DIETA NEL TRATTAMENTO
DELLA CIRROSI EPATICA
Una dieta bilanciata e adeguata è fondamentale per mantenere un
buono stato di salute. Uno squilibrio tra la richiesta energetica dell’organismo
e l’introito di nutrienti può determinare uno stato di malnutrizione,
caratterizzato da alterazioni del metabolismo e dalla perdita della funzionalità
degli organi.
La malnutrizione può essere determinata da una deficienza di specifici
minerali (Cu, Fe, I, Se, Zn ), di micronutrienti come vitamine (A, B, C, D, E, K)
e da una carenza proteica-calorica (PEM). La PEM è comune nei pazienti
con patologie croniche del fegato. Tuttavia, i criteri considerati per la diagnosi
della PEM sono gli stessi per tutte le patologie del fegato. Quindi la presenza
e la gravità della malnutrizione sono spesso legate a stadi clinici di malattie
del fegato, cioè la malnutrizione aumenta con un peggioramento delle
funzioni del fegato. La PEM è una condizione tipica dei pazienti in attesa di
un trapianto di fegato. Sebbene gli indicatori dello stato nutrizionale non
riflettano necessariamente l'adeguatezza del livello di assunzione dei
nutrienti, questi possono essere utili per le valutazioni prognostiche di esiti
clinici in pazienti affetti da malattie del fegato. La PEM nelle malattie croniche
del fegato è associata a: (1) un aumento del rischio di infezione legato
all’inibizione della sintesi dell’albumina (attraverso l'effetto inibitorio di
interleuchina-1 e TNF); (2) complicanza d'organo multipla; (3) emorragia
esofagea da varici; (4) aumento della mortalità prima del trapianto; (5)
aumento del rischio di infezione, prolungata ospedalizzazione e aumento
della mortalità dopo il trapianto; (6) aumentata incidenza di encefalopatia.
La cirrosi epatica si può presentare in una forma “compensata” o in una
forma “scompensata”. La prima è caratterizzata da una normale attività di
detossificazione e dall’assenza della tendenza al sanguinamento e
21
dell’encefalopatia epatica. La forma scompensata, invece, è caratterizzata da
ascite, edema, perdita di massa muscolare, varici esofagee sanguinanti,
encefalopatia epatica, tendenza al sanguinamento e progressivo
peggioramento nei risultati dei test di laboratorio. Le cause della
malnutrizione nella cirrosi epatica possono essere di vario tipo: anoressia
(inadeguata assunzione di cibo), sazietà precoce o disgeusia, nausea e
vomito, mal digestione o malassorbimento, dieta molto restrittiva o alterato
metabolismo. L’importanza di una dieta corretta nella cirrosi epatica è
purtroppo ancora sottovalutata. In realtà, una dieta corretta è importante
quanto un farmaco. Il trattamento dietetico è necessario quando ci sono
segni di malnutrizione o la nutrizione non è più possibile con i mezzi ordinari.
I segni di malnutrizione sono:
• Perdita di massa muscolare
• Perdita di tessuto adiposo sottocutaneo
• Aumento dell’acqua nei tessuti
Per l'inizio del trattamento dietetico è importante: assicurare un
adeguato apporto di proteine (privilegiando gli amminoacidi a catena
ramificata) e calorie; aumentare l’assunzione di fibre; ridurre l’apporto di Na+
e aumentare quello di K+
; limitare i liquidi. Gli obiettivi del trattamento
dietetico mirano a: prevenire e recuperare lo stato di malnutrizione;
migliorare la funzionalità del fegato; evitare condizioni cataboliche che
determinino l’encefalopatia epatica; migliorare il metabolismo delle proteine,
in particolare in quei pazienti che necessitano di diete ricche di proteine
ridotte, fornendo maggiori quantità di amminoacidi a catena ramificata.
Per il trattamento dell’ascite e dell’edema, occorre seguire una dieta a
iposodica, con ridotta assunzione di liquidi e adeguata assunzione di K+
.
Finché il fegato esercita le sue funzioni (cirrosi epatica compensata), non è
22
richiesto alcun trattamento dietetico. I pazienti devono mantenere una dieta
sana, preferibilmente prendendo sei piccoli pasti distribuiti durante la
giornata, e assolutamente evitare l'alcol.
In nessun caso deve essere limitata l'assunzione di proteine la cui
assunzione giornaliera dovrebbe essere intorno a 1,2 (g/Kg di peso
corporeo). Nella cirrosi epatica scompensata, è importante che il paziente
abbia una nutrizione adeguata. Spesso, a causa di uno scarso appetito o di
sazietà (ad esempio dovuta ad ascite), debolezza e affaticamento,
l’assunzione di cibo è inadeguata. Anche in questo caso la dieta deve
prevedere un corretto apporto di proteine (1,5 g di proteine/kg/giorno, o circa
100-120 g di proteine al giorno). Ciò corrisponde ad una dieta normale nelle
persone sane, con adeguate quantità di frutta, verdura, insalate, prodotti a
base di cereali integrali, patate, riso e pasta. Uno squilibrio di aminoacidi si
verifica in tutti i pazienti con cirrosi come conseguenza della disfunzione
epatica. Pazienti con cirrosi sono carenti di amminoacidi a catena ramificata
(BCAA), ma hanno un eccesso di amminoacidi aromatici (AAA). I BCAA
hanno un metabolismo indipendente dalla funzionalità epatica, sono
predominanti nei muscoli e i loro livelli ematici sono ridotti nella cirrosi
epatica. La loro assunzione è quindi utile nel prevenire l’encefalopatia. Gli
AAA, per contro, hanno un metabolismo dipendente dalla funzionalità
epatica, sono predominanti nel fegato e i loro livelli ematici aumentano nella
cirrosi epatica. La loro assunzione è quindi sconsigliata in caso di
encefalopatia.
Per quanto concerne l’assunzione di carboidrati, principale fonte di
energia per l’organismo, sono importanti le fibre che favoriscono la
digestione, rallentano l'aumento degli zuccheri nel sangue, riducono il livello
di colesterolo e migliorano la sensazione di sazietà.
I lipidi non aumentano i livelli di ammoniaca nell’encefalopatia epatica.
L'assunzione di grassi animali non dovrebbe essere troppo elevata e
23
l'assunzione di grassi vegetali, in particolare di olio extravergine d’oliva, non
dovrebbe essere troppo bassa. In circa il 40% dei pazienti affetti da cirrosi
epatica la digestione dei grassi è alterata a causa della scarsa utilizzazione
dei grassi e del loro assorbimento. Questo può anche interferire con
l'assorbimento di vitamine liposolubili (A, D, E e K), portando ad un deficit
che deve essere integrato per via parenterale.
Fig. A): Piramide alimentare per il trattamento della cirrosi epatica.
24
LA PRODUZIONE DELL’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA
L’olio extra vergine di oliva è definito dalla normativa vigente nell’Unione
Europea come un “olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente
dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” (Reg. CE
1019/2002, art. 3). Scopo del presente capitolo è quello di esaminare i
procedimenti meccanici attualmente utilizzati per la produzione dell’olio extra
vergine di oliva e la loro influenza sulle caratteristiche chimiche e
organolettiche del prodotto.
Coltivazione e raccolta
Per ottenere un olio extra vergine di oliva di qualità è di fondamentale
importanza utilizzare una materia prima di alta qualità. Essendo infatti le olive
l’unico ingrediente utilizzabile nel processo di produzione, nulla potrà essere
fatto per accrescerne la qualità ed eliminarne eventuali difetti. Da olive
difettose si otterrà certamente un olio difettoso; da olive perfette, se ben
lavorate, si potrà ottenere un extravergine di qualità.
È necessario dunque che le olive siano sane, non attaccate da parassiti
(tignola, mosca olearia ecc.). Inoltre, in presenza di climi poco piovosi, è
importante la presenza di un impianto irriguo nell’oliveto, onde evitare la
produzione di olive secche che conferirebbero all’extravergine un sapore
“legnoso”. Di fondamentale importanza anche l’operazione di potatura
annuale degli alberi e la concimazione con azoto, fosforo e potassio per
garantire alla pianta il necessario nutrimento.
La raccolta delle olive deve avvenire direttamente dalla pianta. Le olive
25
raccolte da terra dopo il loro naturale distacco dall’albero, infatti, sono
generalmente sovramature e subiscono fenomeni di fermentazione ed
ossidazione che conferiscono all’olio i caratteristici difetti di muffa, terra,
avvinato-inacetito.
Escludendo dunque la raccolta da terra, è possibile utilizzare diversi
metodi per raccogliere le olive dalla pianta. Il più antico, ma anche il più
costoso, è quello della brucatura a mano, che evita qualunque
danneggiamento delle drupe e delle piante ma comporta elevatissimi costi di
manodopera.
Il metodo più utilizzato per secoli è stato invece quello della
bacchiatura, che consiste nel percuotere i rami dell’albero con verghe o
bastoni, causando così il distacco delle drupe che cadono su reti
appositamente disposte sotto gli alberi per poi essere trasferire in cassoni o
altri contenitori.
Attualmente invece le aziende più organizzate si avvalgono di moderni
scuotitori-vibratori, che velocizzano la raccolta riducendo così i costi di
manodopera. Solo negli oliveti superintensivi viene invece utilizzata una
macchina raccoglitrice “scavallatrice”, simile a quelle utilizzate nei vigneti.
Le olive devono essere raccolte nello stato di invaiatura, ossia quando il
colore della drupa sta virando dal verde al violaceo.
Trasporto e stoccaggio
Le olive appena raccolte devono essere immediatamente trasportate in
frantoio, in cassette o cassoni o in altri contenitori arieggiati che prevengano
fenomeni di fermentazione anaerobica. Assolutamente da evitare dunque il
trasporto in sacchi.
Al loro arrivo in frantoio le olive possono essere stoccate in cassoni, in
26
tramogge o direttamente su un pavimento pulito purché in cumuli non troppo
elevati. Il tempo di stoccaggio deve essere il più breve possibile, al fine di
preservare intatta la struttura cellulare dell’oliva e prevenire la presenza di
difetti organolettici nell’olio quali muffa, riscaldo, avvinato-inacetito. In
presenza di olive sane il tempo di stoccaggio deve essere non superiore alle
24 ore; in presenza di olive molto mature o attaccate dalla mosca, non
superiore alle 12 ore.
Prima di essere avviate verso il frantoio, le olive vengono separate dalle
foglie attraverso una macchina defogliatrice.
Frangitura o Molitura
La prima fase del processo di produzione è quella della frangitura o
molitura, che ha l’obiettivo di frantumare le olive e di rompere i vacuoli nei
quali è contenuto l’olio. Si parla di molitura quando questa operazione è
svolta con l’utilizzo di macine in pietra o in granito; si parla di frangitura invece
quando ci si avvale di frangitori in acciaio.
La macina consente di ottenere oli dal sapore più delicato e armonico,
con un tenore più basso di polifenoli che conferiscono il caratteristico sapore
amaro e piccante. Il frangitore, invece, oltre a velocizzare l’operazione di
frangitura, aumenta l’estrazione dei polifenoli amari.
Gramolatura
L’operazione di gramolatura si svolge all’interno di una macchina
paragonabile ad una impastatrice che, attraverso il lento movimento di una
27
coclea, rende fluida la pasta di olive ottenuta dalla macina o dal frangitore,
preparandola così per la successiva fase di estrazione.
Durante la gramolatura, infatti, le goccioline di olio contenute nei vacuoli
tendono ad aggregarsi formando così delle gocce più grandi che più
facilmente potranno essere separate dall’acqua di vegetazione. Inoltre l’olio
entra in contatto con gli enzimi contenuti nella polpa dell’oliva al di fuori dei
vacuoli, formando così i composti aromatici che caratterizzeranno il sapore
ed il profumo di un extra-vergine di oliva di qualità.
Di cruciale importanza è la temperatura della pasta di olive durante il
processo di gramolatura. Temperature elevate consentono infatti di estrarre
una maggior quantità di olio, ottenendo così rese produttive più elevate, ma
impoveriscono il profilo olfattivo e gustativo dell’olio. Per questo la normativa
comunitaria vigente consente di utilizzare l’indicazione di “estratto a freddo”,
“spremuto a freddo” o “prodotto a freddo” sull’etichetta dell’olio extra vergine
di oliva soltanto se la temperatura della pasta di olive durante tutto il processo
produttivo è stata sempre inferiore a 27(°C).
Estrazione
L’estrazione dell’olio dalla pasta di olive gramolata avviene
principalmente attraverso due metodi, per pressione (metodo anche noto
come “tradizionale”!) quello continuo o per centrifugazione, ai quali si
aggiunge quello poco diffuso del percolamento.
Il metodo “tradizionale”, utilizzato per secoli, prevede che la pasta di
olive sia distribuita su dei dischi filtranti fatti di corde o di nylon, detti fiscoli. I
fiscoli ricoperti di pasta di olive vengono poi sovrapposti fino a formare una
pila che viene poi sottoposta alla pressione di un torchio idraulico. La
pressione causa la fuoriuscita di una mistura di olio e acqua di vegetazione
28
che si raccoglie in un pozzetto sottostante per poi essere trasferita al
separatore. Il metodo “tradizionale” presenta numerosi inconvenienti di natura
tecnica ed economica: l’elevato costo di manodopera; l’ossidazione della
pasta di olive dovuta alla prolungata esposizione all’ossigeno presente
nell’aria; le carenti condizioni igieniche dovute alla difficoltà di rimuovere
completamente dai fiscoli i residui di pasta di olive; il contatto prolungato tra
olio e acqua di vegetazione, oltre a particolari di tipo meccanico, quali le
pressioni che la pasta di olive deve sopportare (qualche centinaio di atm) ed il
conseguente aumento di temperatura dovuto all'attrito, che fa superare di
gran lunga la T di 27(°C) stabilita per legge perché l'olio extra-vergine di oliva
venga etichettato come “estratto a freddo”.
Il metodo continuo invece si avvale di moderne centrifughe in acciaio
inox che, sfruttando le differenze di peso specifico, separano olio, acqua di
vegetazione e sansa, garantendo condizioni igieniche perfette e prevenendo
fenomeni di fermentazione e ossidazione della pasta di olive. Il sistema è
inoltre del tutto automatizzato riducendo così anche il costo di manodopera.
Si tratta dunque del metodo più utilizzato nei moderni frantoi.
Un’ulteriore centrifuga chiamata separatore provvede infine, in entrambi
i casi, a separare l’olio extra vergine di oliva dall’acqua di vegetazione.
Conservazione e confezionamento
L’olio extra vergine di oliva viene normalmente conservato in cisterne
interrate o in silos in acciaio inox a temperatura costante. Le modalità di
conservazione sono molto importanti al fine di prevenire l’insorgenza di difetti
organolettici.
Dopo la produzione l’olio è in genere sottoposto a travasi che
consentono di separare i fondami o morchie contenenti enzimi, particelle
29
solide e residui di acqua di vegetazione. Se i travasi non vengono effettuati
correttamente e nei tempi giusti può generarsi il caratteristico e persistente
difetto di morchia.
Durante la conservazione v’è anche il pericolo di irrancidimento
dell’olio, causato da fenomeni ossidativi dovuti alla presenza di ossigeno e
favoriti dalla luce e dal calore. Pertanto è opportuno che l’olio sia conservato
a temperature comprese tra 10 e 18 gradi centigradi, in assenza di luce, e
che le cisterne siano colmate con azoto.
Prima del confezionamento, che deve avvenire in bottiglie di vetro
scuro, lattine o ceramiche, l’olio extra vergine di oliva può essere sottoposto a
filtraggio onde prevenire la formazione di sedimenti e facilitarne la
conservazione.
30
ESAME ORGANOLETTICO DELL’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA
La denominazione “extra vergine” per un olio di oliva denota una
precisa classe merceologica, definita nel regolamento UE 61/2011; il quale
regolamento, stabilisce che l'olio per poter essere definito “extra vergine”
deve avere determinate caratteristiche tra cui le principali sono:
• acidità inferiore o al più uguale allo 0,8%
• nr° di perossidi inferiore o uguale a 20 mEq O2 /kg
• UV: K232 < 2,50 , K270 < 0,22 e ΔK < 0,1
• definizione del limite massimo di alchilesteri
• ma soprattutto, oltre a rispettare una serie di parametri chimici, deve
essere sottoposto ad un esame organolettico definito panel test che
attesti la totale assenza di ben definiti difetti e la presenza del
sapore fruttato.
Un olio che non rispetti anche solo uno dei parametri sopra definiti
viene declassato come “vergine”, o eventualmente “lampante”.
Il panel test
L’esame organolettico deve essere svolto da un panel formato da
assaggiatori professionisti. Il numero dei componenti può variare da un
minimo di otto a un massimo di dodici persone. Il panel test viene effettuato in
apposite sale, nelle quali ciascun degustatore è isolato in una cabina dotata
di un riscaldatore elettrico e di un lavandino e compila individualmente una
scheda di valutazione organolettica conforme a quella riportata
nell’appendice A del Reg. CE 640/2008. Anche il calcolo della mediana dei
31
difetti risponde a delle regole ben precise: la mediana dei difetti pervenuti al
capo panel deve rispondere al requisito statistico di avere un coefficiente di
variazione robusto inferiore al 20%, in caso contrario l'olio verrà ri-sottoposto
al panel, ad insaputa degli stessi componenti, e sotto codifica diversa dal
precedente assaggio. È compito del capo panel raccogliere poi tutte le
schede ed elaborare statisticamente i dati, emettendo così il documento
finale di valutazione.
Esame visivo
Durante in panel test vengono utilizzati degli appositi bicchieri di colore
blu o marrone che impediscono di vedere il colore dell’olio. L’assaggiatore
infatti non deve essere influenzato dal colore. Soltanto durante la
degustazione di oli DOP il cui disciplinare preveda anche l’indicazione del
colore si provvede ad esaminare questo parametro.
Altri elementi che possono essere osservati visivamente, come la
limpidezza, la torbidità, la velatura, non hanno però alcuna rilevanza ai fini
delle valutazioni previste dalla normativa vigente.
Esame olfattivo
Per poter effettuare correttamente l’esame olfattivo tutti gli oli devono
essere degustati alla stessa temperatura. Per questo ci si avvale di un
riscaldatore che porti l’olio, versato in un apposito bicchiere a forma di
tulipano, ad una temperatura di circa 28 gradi centigradi.
L’esame olfattivo mira innanzitutto ad accertare l’assenza di difetti
organolettici, in quanto la presenza di anche un solo attributo negativo
32
comporta il declassamento dell’olio che non può più essere definito extra-
vergine. Tra i difetti più frequenti si segnalano:
– morchia
– muffa-umidità
– avvinato-inacetito
– metallico
– rancido
– legno
Sulla genesi di tali difetti organolettici ci si è già soffermati nel capitolo
relativo al processo di produzione dell’olio extra vergine di oliva.
Altri attributi negativi riscontrabili durante la degustazione sono: cotto,
grossolano, lubrificanti, acqua di vegetazione, salamoia, sparto o fiscolo,
cetriolo, legno umido. Le definizioni di tali difetti sono indicate nel Reg. CE
640/2008.
Tra gli attributi positivi invece il principale è il fruttato, definito come
l’insieme delle sensazioni olfattive caratteristiche dell’olio ottenuto da frutti
sani e freschi, verdi o maturi. Il fruttato si definisce verde se ricorda le olive
verdi, maturo se ricorda le olive mature. Affinché un olio sia extra-vergine la
mediana del fruttato deve essere maggiore di zero. In altri termini, se un olio
non presenta l’attributo positivo di fruttato, non può essere definito extra-
vergine.
Altri attributi positivi, non indicati nel Reg. CE 640 ma caratterizzanti gli
oli di qualità, sono le sensazioni aromatiche che ricordano il carciofo, l’erba, i
fiori, la mandorla, la mela, il pinolo, il pomodoro e altri vegetali. Sono
sensazioni tipiche di oli ottenuti da olive sane, raccolte dalla pianta al giusto
33
grado di maturazione e lavorate a freddo entro poche ore.
L’intensità di percezione di ciascun attributo, positivo o negativo, è
riportata dall’assaggiatore apponendo un segno su un segmento della
lunghezza di dieci centimetri, non numerato. Il corrispondente valore
numerico viene calcolato in seguito dal capo panel come rapporto tra (cm
segnati dal degustatore / 10 cm totali), quindi un numero reale.
È compito del capo panel poi tradurre in numeri decimali i segni apposti dai
singoli degustatori sui segmenti.
Esame gustativo
L’esame gustativo si effettua portando nel cavo orale una piccola
quantità di olio, senza deglutirla, ed inspirando poi aria a denti stretti
(strippaggio), prima in maniera più delicata e poi in maniera più vigorosa. Il
riscaldamento, l’ossigenazione e la roteazione dell’olio favoriscono
l’evaporazione dei composti volatili che, percepiti per via retronasale,
costituiranno il flavor caratteristico di ciascun olio.
Gli attributi negativi sono gli stessi già indicati per l’analisi olfattiva, ai
quali va però aggiunta la sensazione di terra.
I tre principali attributi positivi percepiti all’esame gustativo sono il
fruttato, l’amaro e il piccante. Queste ultime due sensazioni, insieme a quella
di pungenza percepita a livello della laringe, sono associate in particolare alla
presenza di oleuropeina e idrossitirosolo.
Il fruttato, a seconda della sua intensità, può essere definito leggero,
medio o intenso. Altri attributi positivi, non riportati sulla scheda definita dalla
normativa comunitaria, sono simili a quelli già indicati per l’analisi olfattiva. A
questi si aggiungono l’armonicità delle sensazioni, la persistenza retrolfattiva
qualitativa e caratteristiche cinestetiche come la fluidità.
34
BIBLIOGRAFIA
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35
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36

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Fabrizio Bossis - Composizione chimica dei costituenti minori dell'olio extravergine di olive

  • 1. COMPOSIZIONE CHIMICA DEI COSTITUENTI MINORI DELL'OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA L'olio di oliva da un punto di vista chimico è costituito da due frazioni: una macroscopica di circa il 98%, detta frazione saponificabile, ovvero costituita da una miscela di trigliceridi (meglio definiti triacilgliceroli), l'altra, il restante 2% è costituita dalla frazione cosiddetta insaponificabile, o dei costituenti minori. Questa terminologia è dovuta al fatto che gli esteri (ovvero i triacilgliceroli) vanno incontro, durante i normali procedimenti di analisi chimica, ad una reazione di saponificazione (ovvero idrolisi catalizzata da basi forti, quali NaOH) i cui prodotti sono il carbossilato di Na+ (per l'appunto il sapone) ed il glicerolo. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta dedicando una sempre maggior attenzione ai costituenti minori, all'incirca il 2% dell'olio, chimicamente più eterogeneo, in quanto contiene più specie chimiche. La sempre maggior attenzione è motivata dal fatto che queste specie hanno degli effetti benefici sulla salute dell'organismo. Tra questi è doveroso menzionare la riduzione dei fattori di rischio di sviluppare malattie cardio-vascolari, la protezione dalle malattie neuro-degenerative, e addirittura negli ultimi tempi si parla del ruolo dei polifenoli nella programmazione di “terapie di supporto” anti-cancro [1,3]. Valutata, dunque, la potenziale importanza di questo pool di molecole val la pena di farne una breve, e sicuramente non esaustiva, rassegna ed al protocollo utilizzato per isolarle. Queste molecole, infatti, oltre agli effetti salutistici cui s'è accennato, sono quelle che conferiscono all'olio talune caratteristiche organolettiche (come il pizzichìo in gola fornito da (-)- oleocantale e ligstroside [2]), che condizionano, perché le si ottengano, la scelta degli opportuni processi produttivi, delle cultivar e del relativo grado di invaiatura con il massimo rendimento di queste sostanze benefiche, e che dovrebbero indurre i fruitori di questo condimento, prezioso e allo stesso 1
  • 2. tempo povero, a qualche accorgimento nella modalità di conservazione. Oltre ai più famosi polifenoli (per la verità questo nome è obsoleto e sarebbe da evitare) la frazione insaponificabile è ricca anche di vitamine (v. fig. 1) quali carotenoidi, clorofille e tocoferoli che conferiscono anche il tipico colore giallo-verde all'olio, ed ancora lignani e flavonoidi. 1.a 1.b 1.c Fig. 1: Vitamine contenute nell'olio. a) Tocoferoli; b) feofitina; c) frazione idrocarburica: costituita da squalene (precursore biochimico degli steroidi) e β-carotene. Carotenoidi e clorofille conferiscono all'olio di oliva il suo caratteristico colore 2
  • 3. L'estrazione da solvente organico Prima di descrivere il protocollo di estrazione è doverosa una precisazione: sebbene per ragioni “storiche” o “operative” ci si riferisca ai componenti minori come sinonimo di frazione insaponificabile, quest'ultima è per l'appunto una definizione puramente operativa, e deriva dal fatto che dell'olio sottoposto ad analisi di laboratorio circa il 98% dà luogo a reazione di saponificazione. Quando, invece, le analisi sono volte all'isolamento e studio della sola parte dei componenti minori, le condizioni drastiche (idrolisi con KOH o NaOH) della saponificazione operata sull'alimento tal quale, porterebbero anche i componenti minori a reagire, potenzialmente favorendo altre reazioni indesiderate e/o non consentendo, per esempio, di proseguire con un'analisi quantitativa degli stessi. Pertanto è necessaria in questa fase un atteggiamento “conservativo” nei confronti di queste sostanze. La procedura per l'isolamento della frazione insaponificabile si basa sul principio dell'affinità di certe sostanze verso un determinato tipo di molecola. I saggi latini recitavano “Similes cum similibus”. La caratteristica che ne determina la più o meno marcata affinità reciproca è la polarità. Per effettuare l'isolamento dei polifenoli si usa il n-esano, solvente organico (completamente) apolare, sul campione di olio tal quale; il n-esano estrae la frazione di grassi (apolari) mescolandosi intimamente ad essi e si procede quindi a quella che va sotto il nome di “contro-estrazione” in miscela di solventi a polarità intermedia. In realtà si tratta di una solubilizzazione, ad opera dell'esano e di una estrazione. In questo caso il solvente usato è in realtà una miscela di due solventi CH3OH ed H2O in rapporto 60/40 (v/v) che dopo l'aggiunta viene agitato energicamente alla fase organica. La polarità di questa miscela d'estrazione è intermedia ed inoltre essa costituisce “un solvente” protico, che quindi sarà importante nell'estrarre specie chimiche ricche di gruppi ossidrilici dalla fase organica, che sovrasta quella idroalcolica 3
  • 4. (di colore giallo(-verde) avendo solubilizzato anche i carotenoidi e le clorofille insieme alla frazione grassa). Per questo motivo è possibile distinguere facilmente le due fasi ad occhio nudo dopo la centrifugazione a 3000g per 5 minuti e si procede quindi alla separazione, con l'ausilio di imbuti separatori o prelevando con una pipetta la fase idroalcolica dal fondo. Come di consueto la procedura di (contro)-estrazione viene esguita circa tre volte in modo da ottenere l'estrazione della quasi totalità della frazione insaponificabile (in fase idroalcolica) da quella in fase organica. Le frazioni idroalcoliche vengono riunite e si procede quindi alla concentrazione del pool di composti grazie all'ausilio di evaporatore rotante, il quale allontanerà il solvente (la parte idroalcolica) grazie ad un sistema di vuoto blando alla T di 35°C. La frazione così concentrata viene prima filtrata su filtro di carta (con pori da 0,45 μm) con l'ausilio di un vuoto ottenuto da una semplice pompa ad acqua e quindi risospesa in mezzo ml di una miscela CH3OH ed H2O, questa volta in ragione di 50/50 (v/v) e conservata per le successive sperimentazioni. 4
  • 5. La chimica della salute All'interno della frazione idroalcolica è poi ancora possibile discernere una parte più polare (i cui composti saranno più ricchi di atomi di ossigeno e di gruppi ossidirlici), si tratta sostanzialmente di (o-idrossi)fenoli p-sostituiti ed una parte meno polare con composti a più alto peso molecolare dove, pur essendoci la presenza di atomi di O, questi hanno poco peso nello spostamento del baricentro delle cariche. La struttura più semplice della frazione più polare è il tirosolo, il cui o- idrossi-derivato è il più studiato idrossitirosolo, anche se, per la verità, sembra che la molecola realmente importata nei sistemi cellulari sia l'alcool omovanillico [12] (v. fig. 2) Fig. 2: Derivati del tirosolo (4-idrossifenil)-2-etanolo, dell'acido 4-idrossifenilacetico e dell'acido benzoico contenuti nella frazione insaponificabile dell'olio extravergine di oliva. 5
  • 6. È poi conveniente distinguere un'altra sotto-classe, ovvero i derivati dell'acido cumarico (v. fig. 3): Fig. 3: Derivati dell'acido cumarico contenuti nella componente insaponificabile dell'olio extravergine di oliva. La parte meno polare della frazione insaponificabile è caratterizzata invece da una presenza di esteri, in cui la parte alcolica è quella di molti dei composti appena passati in rassegna e la parte acilica è data dall'acido elenolico (v. fig. 4). In questo caso va fatta una distinzione: gli esteri dell'acido elenolico possono essere glicosilati o meno, (ovvero legati mediante il gruppo idrossilico (in posizione 2) dell'acido elenolico da un ponte etereo ad un anello di β-glucopiranosio). Quando questi composti non sono legati a quest'anello di glucosio il nome del composto stesso è seguito dal termine aglicone. L'altra possibilità è che la parte acilica, quella dell'acido elenolico sia in forma dialdeidica con apertura del cliclo (oleocantale) (v. fig. 4) 6
  • 7. Fig. 4: Derivati esterei dell'acido elenolico (in blu) o della sua forma demetossicarbonil- dialdeidica . Non sono riportate per brevità le strutture del ligstroside (glicosilato) e dell'oleuropeina aglicone. Fig. 5: Lignani e flavonoidi dell'olio extravergine di oliva 7
  • 8. Ancora è possibile distinguere altre due classi di composti che sono i lignani e i flavonoidi (v. fig. 5). Tutte queste sostanze, com'è possibile apprezzare dalle formule riportate presentano degli estesi sistemi π, che come di consueto per questi sistemi sono degli anti-ossidanti, in quanto l'orbitale molecolare π è in grado di sopperire alla mancanza di un solo elettrone (ossidazione), sottratto dai radicali liberi (ossidanti). Questa proprietà di protezione dall'ossidazione viene svolta sia sull'olio stesso, ed è questo il motivo per cui un olio più ricco di queste sostanze resiste meglio all'invecchiamento, sia nel nostro organismo. Tali sostanze svolgono un'azione che potremmo definire sacrificale, vista la loro maggior affinità a reagire con i radicali liberi in confronto a quella degli acidi grassi mono-insaturi, che vengono quindi preservati da tale azione. 8
  • 9. VALUTAZIONE BIOCHIMICA E BIOLOGICO MOLECOLARE DEL VALORE ANTIOSSIDANTE DEI COSTITUENTI MINORI E DELL’IMPATTO SULLA BIOENERGETICA CELLULARE L’olio extravergine di oliva è costituito per il 98-99% da trigliceridi e per la restante percentuale da componenti minori, tali composti caratterizzano i diversi oli vegetali. In particolare l’olio (extra)-vergine di oliva è ricco in composti a struttura fenolica che rappresentano i composti maggiormente correlati con le proprietà salutistiche. Sebbene gli aspetti agronomici (cultivar, maturazione dei frutti, condizioni climatiche) e tecnologici (metodo di raccolta, defogliatura e lavaggio delle olive, conservazione delle drupe, frangitura, gramolatura, sistemi di conservazione dell’olio) della produzione dell’olio (extra)-vergine di oliva ne influenzano qualitativamente e quantitativamente la sua composizione fenolica, il rapporto fra le concentrazioni dei polifenoli più abbondanti rimane sostanzialmente invariato. La struttura chimica dei polifenoli dona a questi composti una spiccata attività inibitoria nei confronti dei fenomeni ossidativi, attribuendo quindi a questi composti effetti rilevanti nella prevenzione primaria e secondaria di alcune importanti patologie cardiovascolari, oncologiche, malattie legate all’invecchiamento precoce, degenerative del sistema nervoso, tutte patologie legate alla presenza eccessiva di “radicali liberi” e pro-ossidanti non radicalici ed ai loro effetti degenerativi. Il gruppo funzionale caratteristico dei composti fenolici è un ossidrile (– OH) legato direttamente a un carbonio di un anello benzenico. Tale struttura influenza le proprietà chimiche di questi composti poiché il gruppo ossidrilico attiva le reazioni di sostituzione elettrofila nell’anello aromatico per presenza di elettroni “mobili” o “disponibili”. Le molecole con struttura o-diidrossi, sono caratterizzate da un elevata attività antiossidante dovuta alla formazione di legami idrogeno 9
  • 10. intramolecolari durante la reazione con i radicali liberi. La capacità di donatore idrogeno e l’inibizione dell’ossidazione (proprietà antiossidanti) quindi cresce con l’aumentare dei gruppi idrossido nei composti fenolici. Tra le attività più significative si annoverano la formazione di legami idrogeno, la formazione di complessi con i metalli (chelazione), proteine ed alcaloidi, la formazione di ossidi-esteri, le reazioni di condensazione con aldeidi ed infine, la più importante, le reazioni di ossido-riduzione (redox). Le fonti delle specie reattive dell’ossigeno nell’organismo sono le reazioni conseguenti alla catena respiratoria, alla fagocitosi, alla sintesi delle prostaglandine, al sistema del citocromo P450, in tutte queste reazioni una piccola parte dell’ossigeno sfugge alla normale utilizzazione portando così alla formazione di composti instabili ed altamente reattivi (ROS). Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) sono responsabili delle reazioni da stress ossidativo coinvolte in tutte le forme patologiche prima elencate. A livello cellulare circa il 5 % del metabolismo dell’ossigeno si svolge attraverso reazioni di riduzione implicanti il trasferimento di un solo elettrone e la formazione a cascata di diverse forme radicaliche (ROO● , ● O2 - , ● OH, NO● , ● NO2), che principalmente si situano intorno alla struttura mitocondriale ma possono distribuirsi anche in vari distretti cellulari, in relazione alla loro polarità (neutra nel caso di radicale ossidrilico, polare come anione superossido). I polifenoli agiscono principalmente donando radicali idrogeno a radicali perossidi (ROO•) formatisi durante lo step iniziale dell’ossidazione lipidica e successivamente formando un radicale stabile (R•) attraverso la reazione: ROO• + RH →ROOH + R• 10
  • 11. Lo studio dell’attività antiossidante dei composti fenolici dell’olio extravergine di oliva ha messo in evidenza che l’orto-difenolo 3,4-DHPEA (Idrossitirosolo) e tutti i derivati dei secoiridoidi che contengono questo composto nella loro struttura molecolare (3,4-DHPEA-EDA e 3,4-DHPEA-EA) posseggono un maggior potere antiossidante rispetto al p-HPEA (tirosolo) e ai tocoferoli, proteggendo i trigliceridi dell’olio vergine di oliva dai fenomeni di natura ossidativa. Di conseguenza la qualità dell’olio extra vergine di oliva è strettamente legata alla concentrazione totale di queste sostanze fenoliche in esso contenute, è infatti dalla loro attività antiossidante che dipende la ?shelf-life del prodotto finale. Tirosolo e idrossitirosolo sono biodisponibili negli esseri umani e sono assorbiti in maniera dose-dipendente [4]. È noto che patologie intercorrenti, traumi, sostanze tossiche etc, danno luogo nell’uomo a stress ossidativi e alla produzione di sostanze ossidanti con azione altamente aggressiva contro le principali macro e micro molecole dell’organismo quali lipidi, glucidi, protidi e mitocondri, DNA. Il precoce invecchiamento delle cellule che ne deriva, favorisce l’insorgere di varie patologie gravi, quali malattie aterosclerotiche, diabete, sclerosi multipla, artrite reumatoide, enfisema polmonare, cataratta, Alzheimer, morbo di 11
  • 12. Parkinson, demenza vascolare senile, tumori del seno, della prostrata, del colon e della cute ecc. Gli studi focalizzati alla valutazione della capacità antiossidante dei singoli composti fenolici dell’olio extravergine di oliva hanno mostrato che l’idrossitirosolo (HT) ha il più alto valore in termini di potere antiradicalico e il valore più basso in termini del potenziale di ossidazione [5]. In virtù di questa sua caratteristica l'idrossitirosolo è considerato il composto polifenolico dell’olio extravergine di oliva di maggiore importanza per la salute umana, prevenendo malattie legate alla presenza eccessiva di radicali liberi e proossidanti non radicalici cellulari e mitocondriali ed ai loro effetti degenerativi. I meccanismi molecolari alla base dell’effetto benefico dell'idrossitirosolo non sono ancora del tutto chiari. È stato dimostrato che la presenza di HT in colture cellulari comporta la stimolazione della biogenesi mitocondriale [6, 7]. I mitocondri contengono un alto livello di ossidanti, poiché la catena respiratoria genera specie reattive. Il complesso I è un sito principale per la produzione di radicali liberi dell'ossigeno, che può diventare molto elevata in particolari condizioni fisiopatologiche [8]. L’idrossitirosolo potrebbe abbassare l’incidenza di malattie cardiovascolari, la maggior complicazione conseguente al diabete, in quanto stimola la biogenesi mitocondriali e il conseguente aumento delle funzioni mitocondriali e del sistema di difesa. Recenti lavori infatti hanno dimostrano che l'idrossitirosolo somministrato a diverse linee di culture cellulari e in diverse condizioni di stress stimola l’espressione del peroxisome proliferator- activated receptor coactivator 1 α (PGC1α) che coordina la biogenesi mitocondriale e che ha fra i suoi geni bersaglio NRF1 e NRF2 (fattori di trascrizione di geni nucleari) che a loro volta attivano Tfam (fattori di trascrizione di geni mitocondriali). Le proteine NRFs risultano fondamentali anche nella up-regulation di antiossidanti ed enzimi xeno-biotici attivi durante 12
  • 13. lo stress ossidativo. In questo senso la somministrazione di HT in vitro porta ad un complessivo aumento del DNA mitocondriale (mtDNA) e del numero di mitocondri. Lo studio sul meccanismo d’azione dell'idrossitirosolo suggerisce un’attivazione mediante fosforilazione HT-dipendente dell’ 5'AMP proteina chinasi attivata (AMPK) con conseguente stimolo dell’espressione di PGC1α NRF1, NRF2 e Tfam (v. fig. 6). È stato inoltre osservato che il trattamento con HT determina un miglioramento funzionale del mitocondrio, comprendendo un aumento dell'attività e dell’espressione proteica dei complessi mitocondriali I, II, III e V, un maggiore consumo di ossigeno e una diminuzione del contenuto di acidi grassi liberi negli adipociti. Studi sull’effetto dell'idrossitirosolo sull'espressione dei geni regolatori dell’ossidazione degli acidi grassi mostrano che HT aumenta l’espressione di PPARα (peroxisome proliferator-activated receptors α sono recettori nucleari di proteine che regolano i geni che influenzano il metabolismo delle lipoproteine e la captazione e l’ossidazione degli acidi grassi così come la produzione di marcatori infiammatori), CPT-1 (carnitina-palmitoil-transferasi I, presente sulla parte esterna della membrana mitocondriale interna, catalizza il trasferimento di gruppi acile dall'acil-CoA alla carnitina producendo acil- carnitina, regola quindi la lunga catena di trasporto degli acidi grassi attraverso la membrana mitocondriale) PPARγ (peroxisome proliferator- activated receptors γ regola il deposito degli acidi grassi e il metabolismo del glucosio) e simultaneamente abbassa i livelli dei FFA (acidi grassi liberi, presenti in elevati livelli plasmatici negli individui obesi). Questi dati quindi dimostrano che l'idrossitirosolo oltre ad essere un promotore della biogenesi e della la funzione mitocondriale favorisce l’ossidazione degli acidi grassi. 13
  • 14. Fig. 6 .L’idrossitirosolo attiva la biogenesi mitocondriale mediante la fosforilazione attivante di AMPK (come l’idrossitirosolo determini la fosforilazione di AMPK non è ancora chiaro). È stato inoltre dimostrato che la somministrazione di idrossitirosolo in colture cellulari porta all’attivazione di NRF2 e conseguente attivazione di enzimi di fase II disintossicante: γ-glutamil-cisteinil-ligasi, NADPH (nicotinamide adenina di nucleotide fosfato)-chinone ossidoreduttasi 1, eme- ossigenasi-1, superossido dismutasi, perossiredossina e tioredossina nonché di altri enzimi antiossidanti. È stato ipotizzato che l'idrossitirosolo induca enzimi di fase II disintossicante mediante la up-regolazione del pathway Keap1/Nrf2 [7](v. fig. 7). 14
  • 15. Fig.7 Rappresentazione schematica dei possibili meccanismi di protezione dell'idrossitirosolo da danno ossidativo e da disfunzione mitocondriale. Ulteriori studi volti alla determinazione dell’effetto cardioprotettivo ed anti-invecchiamento da parte di diversi composti antiossidanti hanno rilevato che l'HT ha un effetto stimolante di proteine chiave per la longevità quali sirtuine (SirT) e le proteine Forkhead box O (FoxOs) [10, 11]. Le sirtuine sono proteine implicate nei processi di invecchiamento, della regolazione della trascrizione, dell'apoptosi, della resistenza allo stress, e anche dell'efficienza energetica e della vigilanza durante le situazioni a basso introito calorico restrizione calorica. Inoltre, lo stesso studio ha evidenziato un ruolo di HT nel ridurre la frequenza dell'infarto e nell’aumentare la durata della vita nei ratti. Le proteine FoxOs sono una famiglia di proteine coinvolte in diversi processi cellulari fisiologici quali: proliferazione cellulare, apoptosi, risposta alla presenza di ROS, longevità, cancro e regolazione del ciclo cellulare. Ulteriori studi ipotizzano che l'HT aumenti l’espressione della catalasi, enzima coinvolto nel controllo dello stress ossidativo, mediante regolazione 15
  • 16. delle proteine FoxOs, coinvolgendo un intricato network di modificazioni post- trascrizionali come AMPK [11]. Altri studi che riportano le proprietà antiossidanti di HT in sistemi biologici mostrano che l'HT sopprime l’aumento dei livelli dei ROS mitocondriali associata all'età aumentando l’attività della manganese superossido dismutasi (MnSOD). MnSOD è un enzima con proprietà antiossidanti codificato a livello nucleare e localizzato nella matrice mitocondriale dove asporta ioni superossido influenzando così l'ambiente redox della cellula [9]. Secondo questi studi le proprietà antiossidanti dell'idrossitirosolo sono probabilmente la causa della sua capacità di agire come un proossidante generando radicali liberi con conseguente attivazione tempestiva di sistemi di difesa antiossidante difensivi. La biodisponibilità di HT nella dieta è confermata da analisi farmacocinetiche sul trasporto intestinale di questo composto, in cui è dimostrato che le molecole HT sono quantitativamente assorbite a livello intestinale tramite diffusione passiva [3, 12]. 16
  • 17. EVIDENZE SCIENTIFICHE DEI BENEFICI DELLA DIETA MEDITERRANEA: RUOLO DELL’OLIO D’OLIVA Il rischio cardiovascolare è la possibilità di un individuo di sviluppare eventi cardiovascolari (coronaropatie e/o ictus) in un periodo di tempo definito e deriva dalla combinazione dei singoli fattori di rischio. I fattori di rischio cardiovascolare rappresentano tutte quelle condizioni che aumentano la probabilità di presentare patologie del cuore e/o dei vasi (aterosclerosi): iperglicemia, obesità, fumo, ipertensione, dislipidemia. La presenza di fattori di rischio multipli comporta un rischio globale maggiore di quello atteso sulla base del puro effetto additivo dei singoli fattori. La correzione dei fattori di rischio cardiovascolare, dunque, può rallentare la progressione della malattia aterosclerotica e ridurre la mortalità per ictus e cardiopatia ischemica. Il termine arteriosclerosi designa un gruppo di patologie del sistema vascolare caratterizzate dall’ispessimento e dalla perdita di elasticità della parete arteriosa. L’aterosclerosi è di gran lunga la più comune ed importante forma di arteriosclerosi ed è la principale causa di morte e di invalidità nei Paesi occidentali. L’aterosclerosi è una patologia degenerativa delle arterie di grande e medio calibro la cui lesione fondamentale, l’ateroma, consiste in una placca fibrograssosa a livello della tonaca intima caratterizzata da un nucleo lipidico in cui si ritrovano cellule e loro frammenti e di una sovrastante cappa fibrosa che può ostruire parzialmente o totalmente il flusso sanguigno. In attinenza con il principale fattore di rischio cardiovascolare, l’ipercolesterolemia, il “primus movens” nella formazione dell’ateroma è la “ritenzione” sottoendoteliale di lipoproteine a bassa densità (LDL), a livello di quegli spazi endoteliali caratterizzati da un'elevata espressione di proteoglicani ricchi in condroitin-solfato. La presenza di questi “proteoglicani 17
  • 18. altamente ritensivi” è tipica dei punti di diramazione e biforcazione dell’albero arterioso (questo spiega la localizzazione dell’aterosclerosi in punti selezionati dell’albero arterioso). La sottrazione delle LDL agli antiossidanti circolanti nel plasma rende queste particelle più suscettibili ai processi di degradazione ossidativa. Nello spazio endoteliale si accumulano, quindi, LDL ossidate in grado di attivare l’endotelio con conseguente espressione e liberazione di molecole di adesione e fattori chemiotattici in grado di richiamare specifiche sottopopolazioni di leucociti circolanti (soprattutto monociti) dando così l’avvio alla formazione della lesione aterosclerotica. Anche altri metaboliti circolanti, legati a diversi fattori di rischio cardiovascolare, agiscono stimolando l’attivazione dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce. Questi metaboliti comprendono i prodotti di glicosilazione avanzata (AGEs) che si generano nel diabete, l’iperinsulinemia tipica delle condizioni di insulino-resistenza, l’iperomocisteinemia, la produzione di addotti del fumo di sigaretta. L’esposizione a questi stimoli induce nell’endotelio gravi alterazioni nel suo stato funzionale e questo rappresenta il passaggio chiave nello sviluppo precoce delle lesioni aterosclerotiche. Nel sottoendotelio i monociti/macrofagi accumulano grosse quantità di lipidi acquisendo il caratteristico aspetto schiumoso. L’ulteriore accumulo di lipidi porta alla formazione di un nucleo lipidico extracellulare che può scatenare l’apoptosi di alcuni dei macrofagi. Con l’attivazione dei macrofagi e/o la loro morte per apoptosi si determina il passaggio da una fase di crescita della placca stabile e clinicamente silente a una fase di crescita instabile e potenzialmente pericolosa. Gli eventi chiave in questo passaggio sono rappresentati dalla liberazione di citochine e dalla produzione e rilascio di fattore tissutale. La produzione e successiva liberazione di metalloproteinasi della matrice, 18
  • 19. come le collagenasi e le elastasi, indeboliscono il cappuccio fibroso dando luogo ad eventi di fissurazione con l’innesco di eventi trombotici che possono portare all’occlusione del vaso. Questo può esitare in un infarto se l’occlusione è totale o in un angina instabile se l’occlusione è parziale. Il modello alimentare mediterraneo prevede: un elevato consumo di alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, legumi, noci e cereali integrali); olio extra- vergine d’oliva come grasso di condimento (principale sorgente di acidi grassi monoinsaturi della dieta mediterranea, sotto forma di acido oleico); un frequente consumo di pesce (come fonte di grassi ω-3); un moderato consumo di pollame, formaggi e uova; un basso consumo di carni rosse e processate, zuccheri semplici; un moderato consumo di vino (1 o 2 bicchieri al giorno al massimo consumati durante i pasti); un elevato contenuto in antiossidanti, fibre alimentari, ω-3, MUFA (MonoUnsaturated Fatty Acid); un basso contenuto in colesterolo e grassi saturi. L’apporto calorico giornaliero deve derivare per il 60% dal consumo di carboidrati (da preferire quelli complessi), per il 10-15% dal consumo di proteine (per la maggior parte di origine vegetale) e per il 25-30% dai lipidi (MUFA, PUFA o Polyunsaturated fatty acids). La prima evidenza clinica a supporto del beneficio cardiovascolare della dieta mediterranea è stata fornita dal Lyon Diet Heart Study. Un trial clinico in cui furono reclutati soggetti che avevano già avuto un evento infartuale e che erano divisi in due gruppi: • una dieta “prudente” nota come American Heart Association Step I • gruppo sperimentale (dieta mediterranea) Dopo 27 mesi, si osservò una riduzione degli eventi coronarici e delle morti cardiache del 70%. La riduzione superava di gran lunga quella ottenuta dopo trattamento farmacologico con le statine. 19
  • 20. L’olio d’oliva, infatti, aumenta i livelli di HDL (colesterolo “buono”) e riduce i livelli delle LDL (colesterolo “cattivo”) e di VLDL (ricche di trigliceridi). Inoltre, riduce l’ossidazione delle LDL e la loro trasformazione in LDL ossidate, che causano l’aterosclerosi e l’infiammazione. Oltre che attraverso il miglioramento del profilo lipidico del sangue, l’acido oleico e gli antiossidanti polifenolici dell’olio d’oliva prevengono l’aterosclerosi attraverso la riduzione dell’infiammazione della parete vascolare. L’olio d’oliva riduce l’aggregazione delle piastrine e la produzione di molecole che causano la trombosi arteriosa. Quindi aiuta a mantenere la fluidità del sangue. L’ipertensione è un fattore di rischio per la malattia cardiovascolare e renale. Studi epidemiologici dimostrano che il consumo regolare di olio d’oliva si associa alla riduzione della pressione sanguigna sistolica e diastolica, anche in pazienti diabetici. L’obesità è definita da un BMI maggiore o uguale a 30 Kg/m2 . I soggetti obesi sono ad alto rischio di dislipidemia, diabete mellito di tipo II e ipertensione. L’obesità viscerale è uno dei parametri che definiscono la sindrome metabolica. Altri sono la dislipidemia aterogena, la pressione arteriosa elevata, l’iperglicemia e l’insulino-resistenza. L’obesità, soprattutto viscerale, aumenta il rischio di diabete di tipo II (insulina-indipendente), che è a sua volta un importante fattore di rischio cardiovascolare. Il consumo di olio d’oliva non determina un aumento del peso corporeo. Anzi, rispetto ai grassi saturi, l’olio d’oliva promuove la perdita di peso e aiuta a mantenere il controllo dei livelli degli zuccheri nel sangue. 20
  • 21. L’IMPORTANZA DELLA DIETA NEL TRATTAMENTO DELLA CIRROSI EPATICA Una dieta bilanciata e adeguata è fondamentale per mantenere un buono stato di salute. Uno squilibrio tra la richiesta energetica dell’organismo e l’introito di nutrienti può determinare uno stato di malnutrizione, caratterizzato da alterazioni del metabolismo e dalla perdita della funzionalità degli organi. La malnutrizione può essere determinata da una deficienza di specifici minerali (Cu, Fe, I, Se, Zn ), di micronutrienti come vitamine (A, B, C, D, E, K) e da una carenza proteica-calorica (PEM). La PEM è comune nei pazienti con patologie croniche del fegato. Tuttavia, i criteri considerati per la diagnosi della PEM sono gli stessi per tutte le patologie del fegato. Quindi la presenza e la gravità della malnutrizione sono spesso legate a stadi clinici di malattie del fegato, cioè la malnutrizione aumenta con un peggioramento delle funzioni del fegato. La PEM è una condizione tipica dei pazienti in attesa di un trapianto di fegato. Sebbene gli indicatori dello stato nutrizionale non riflettano necessariamente l'adeguatezza del livello di assunzione dei nutrienti, questi possono essere utili per le valutazioni prognostiche di esiti clinici in pazienti affetti da malattie del fegato. La PEM nelle malattie croniche del fegato è associata a: (1) un aumento del rischio di infezione legato all’inibizione della sintesi dell’albumina (attraverso l'effetto inibitorio di interleuchina-1 e TNF); (2) complicanza d'organo multipla; (3) emorragia esofagea da varici; (4) aumento della mortalità prima del trapianto; (5) aumento del rischio di infezione, prolungata ospedalizzazione e aumento della mortalità dopo il trapianto; (6) aumentata incidenza di encefalopatia. La cirrosi epatica si può presentare in una forma “compensata” o in una forma “scompensata”. La prima è caratterizzata da una normale attività di detossificazione e dall’assenza della tendenza al sanguinamento e 21
  • 22. dell’encefalopatia epatica. La forma scompensata, invece, è caratterizzata da ascite, edema, perdita di massa muscolare, varici esofagee sanguinanti, encefalopatia epatica, tendenza al sanguinamento e progressivo peggioramento nei risultati dei test di laboratorio. Le cause della malnutrizione nella cirrosi epatica possono essere di vario tipo: anoressia (inadeguata assunzione di cibo), sazietà precoce o disgeusia, nausea e vomito, mal digestione o malassorbimento, dieta molto restrittiva o alterato metabolismo. L’importanza di una dieta corretta nella cirrosi epatica è purtroppo ancora sottovalutata. In realtà, una dieta corretta è importante quanto un farmaco. Il trattamento dietetico è necessario quando ci sono segni di malnutrizione o la nutrizione non è più possibile con i mezzi ordinari. I segni di malnutrizione sono: • Perdita di massa muscolare • Perdita di tessuto adiposo sottocutaneo • Aumento dell’acqua nei tessuti Per l'inizio del trattamento dietetico è importante: assicurare un adeguato apporto di proteine (privilegiando gli amminoacidi a catena ramificata) e calorie; aumentare l’assunzione di fibre; ridurre l’apporto di Na+ e aumentare quello di K+ ; limitare i liquidi. Gli obiettivi del trattamento dietetico mirano a: prevenire e recuperare lo stato di malnutrizione; migliorare la funzionalità del fegato; evitare condizioni cataboliche che determinino l’encefalopatia epatica; migliorare il metabolismo delle proteine, in particolare in quei pazienti che necessitano di diete ricche di proteine ridotte, fornendo maggiori quantità di amminoacidi a catena ramificata. Per il trattamento dell’ascite e dell’edema, occorre seguire una dieta a iposodica, con ridotta assunzione di liquidi e adeguata assunzione di K+ . Finché il fegato esercita le sue funzioni (cirrosi epatica compensata), non è 22
  • 23. richiesto alcun trattamento dietetico. I pazienti devono mantenere una dieta sana, preferibilmente prendendo sei piccoli pasti distribuiti durante la giornata, e assolutamente evitare l'alcol. In nessun caso deve essere limitata l'assunzione di proteine la cui assunzione giornaliera dovrebbe essere intorno a 1,2 (g/Kg di peso corporeo). Nella cirrosi epatica scompensata, è importante che il paziente abbia una nutrizione adeguata. Spesso, a causa di uno scarso appetito o di sazietà (ad esempio dovuta ad ascite), debolezza e affaticamento, l’assunzione di cibo è inadeguata. Anche in questo caso la dieta deve prevedere un corretto apporto di proteine (1,5 g di proteine/kg/giorno, o circa 100-120 g di proteine al giorno). Ciò corrisponde ad una dieta normale nelle persone sane, con adeguate quantità di frutta, verdura, insalate, prodotti a base di cereali integrali, patate, riso e pasta. Uno squilibrio di aminoacidi si verifica in tutti i pazienti con cirrosi come conseguenza della disfunzione epatica. Pazienti con cirrosi sono carenti di amminoacidi a catena ramificata (BCAA), ma hanno un eccesso di amminoacidi aromatici (AAA). I BCAA hanno un metabolismo indipendente dalla funzionalità epatica, sono predominanti nei muscoli e i loro livelli ematici sono ridotti nella cirrosi epatica. La loro assunzione è quindi utile nel prevenire l’encefalopatia. Gli AAA, per contro, hanno un metabolismo dipendente dalla funzionalità epatica, sono predominanti nel fegato e i loro livelli ematici aumentano nella cirrosi epatica. La loro assunzione è quindi sconsigliata in caso di encefalopatia. Per quanto concerne l’assunzione di carboidrati, principale fonte di energia per l’organismo, sono importanti le fibre che favoriscono la digestione, rallentano l'aumento degli zuccheri nel sangue, riducono il livello di colesterolo e migliorano la sensazione di sazietà. I lipidi non aumentano i livelli di ammoniaca nell’encefalopatia epatica. L'assunzione di grassi animali non dovrebbe essere troppo elevata e 23
  • 24. l'assunzione di grassi vegetali, in particolare di olio extravergine d’oliva, non dovrebbe essere troppo bassa. In circa il 40% dei pazienti affetti da cirrosi epatica la digestione dei grassi è alterata a causa della scarsa utilizzazione dei grassi e del loro assorbimento. Questo può anche interferire con l'assorbimento di vitamine liposolubili (A, D, E e K), portando ad un deficit che deve essere integrato per via parenterale. Fig. A): Piramide alimentare per il trattamento della cirrosi epatica. 24
  • 25. LA PRODUZIONE DELL’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA L’olio extra vergine di oliva è definito dalla normativa vigente nell’Unione Europea come un “olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” (Reg. CE 1019/2002, art. 3). Scopo del presente capitolo è quello di esaminare i procedimenti meccanici attualmente utilizzati per la produzione dell’olio extra vergine di oliva e la loro influenza sulle caratteristiche chimiche e organolettiche del prodotto. Coltivazione e raccolta Per ottenere un olio extra vergine di oliva di qualità è di fondamentale importanza utilizzare una materia prima di alta qualità. Essendo infatti le olive l’unico ingrediente utilizzabile nel processo di produzione, nulla potrà essere fatto per accrescerne la qualità ed eliminarne eventuali difetti. Da olive difettose si otterrà certamente un olio difettoso; da olive perfette, se ben lavorate, si potrà ottenere un extravergine di qualità. È necessario dunque che le olive siano sane, non attaccate da parassiti (tignola, mosca olearia ecc.). Inoltre, in presenza di climi poco piovosi, è importante la presenza di un impianto irriguo nell’oliveto, onde evitare la produzione di olive secche che conferirebbero all’extravergine un sapore “legnoso”. Di fondamentale importanza anche l’operazione di potatura annuale degli alberi e la concimazione con azoto, fosforo e potassio per garantire alla pianta il necessario nutrimento. La raccolta delle olive deve avvenire direttamente dalla pianta. Le olive 25
  • 26. raccolte da terra dopo il loro naturale distacco dall’albero, infatti, sono generalmente sovramature e subiscono fenomeni di fermentazione ed ossidazione che conferiscono all’olio i caratteristici difetti di muffa, terra, avvinato-inacetito. Escludendo dunque la raccolta da terra, è possibile utilizzare diversi metodi per raccogliere le olive dalla pianta. Il più antico, ma anche il più costoso, è quello della brucatura a mano, che evita qualunque danneggiamento delle drupe e delle piante ma comporta elevatissimi costi di manodopera. Il metodo più utilizzato per secoli è stato invece quello della bacchiatura, che consiste nel percuotere i rami dell’albero con verghe o bastoni, causando così il distacco delle drupe che cadono su reti appositamente disposte sotto gli alberi per poi essere trasferire in cassoni o altri contenitori. Attualmente invece le aziende più organizzate si avvalgono di moderni scuotitori-vibratori, che velocizzano la raccolta riducendo così i costi di manodopera. Solo negli oliveti superintensivi viene invece utilizzata una macchina raccoglitrice “scavallatrice”, simile a quelle utilizzate nei vigneti. Le olive devono essere raccolte nello stato di invaiatura, ossia quando il colore della drupa sta virando dal verde al violaceo. Trasporto e stoccaggio Le olive appena raccolte devono essere immediatamente trasportate in frantoio, in cassette o cassoni o in altri contenitori arieggiati che prevengano fenomeni di fermentazione anaerobica. Assolutamente da evitare dunque il trasporto in sacchi. Al loro arrivo in frantoio le olive possono essere stoccate in cassoni, in 26
  • 27. tramogge o direttamente su un pavimento pulito purché in cumuli non troppo elevati. Il tempo di stoccaggio deve essere il più breve possibile, al fine di preservare intatta la struttura cellulare dell’oliva e prevenire la presenza di difetti organolettici nell’olio quali muffa, riscaldo, avvinato-inacetito. In presenza di olive sane il tempo di stoccaggio deve essere non superiore alle 24 ore; in presenza di olive molto mature o attaccate dalla mosca, non superiore alle 12 ore. Prima di essere avviate verso il frantoio, le olive vengono separate dalle foglie attraverso una macchina defogliatrice. Frangitura o Molitura La prima fase del processo di produzione è quella della frangitura o molitura, che ha l’obiettivo di frantumare le olive e di rompere i vacuoli nei quali è contenuto l’olio. Si parla di molitura quando questa operazione è svolta con l’utilizzo di macine in pietra o in granito; si parla di frangitura invece quando ci si avvale di frangitori in acciaio. La macina consente di ottenere oli dal sapore più delicato e armonico, con un tenore più basso di polifenoli che conferiscono il caratteristico sapore amaro e piccante. Il frangitore, invece, oltre a velocizzare l’operazione di frangitura, aumenta l’estrazione dei polifenoli amari. Gramolatura L’operazione di gramolatura si svolge all’interno di una macchina paragonabile ad una impastatrice che, attraverso il lento movimento di una 27
  • 28. coclea, rende fluida la pasta di olive ottenuta dalla macina o dal frangitore, preparandola così per la successiva fase di estrazione. Durante la gramolatura, infatti, le goccioline di olio contenute nei vacuoli tendono ad aggregarsi formando così delle gocce più grandi che più facilmente potranno essere separate dall’acqua di vegetazione. Inoltre l’olio entra in contatto con gli enzimi contenuti nella polpa dell’oliva al di fuori dei vacuoli, formando così i composti aromatici che caratterizzeranno il sapore ed il profumo di un extra-vergine di oliva di qualità. Di cruciale importanza è la temperatura della pasta di olive durante il processo di gramolatura. Temperature elevate consentono infatti di estrarre una maggior quantità di olio, ottenendo così rese produttive più elevate, ma impoveriscono il profilo olfattivo e gustativo dell’olio. Per questo la normativa comunitaria vigente consente di utilizzare l’indicazione di “estratto a freddo”, “spremuto a freddo” o “prodotto a freddo” sull’etichetta dell’olio extra vergine di oliva soltanto se la temperatura della pasta di olive durante tutto il processo produttivo è stata sempre inferiore a 27(°C). Estrazione L’estrazione dell’olio dalla pasta di olive gramolata avviene principalmente attraverso due metodi, per pressione (metodo anche noto come “tradizionale”!) quello continuo o per centrifugazione, ai quali si aggiunge quello poco diffuso del percolamento. Il metodo “tradizionale”, utilizzato per secoli, prevede che la pasta di olive sia distribuita su dei dischi filtranti fatti di corde o di nylon, detti fiscoli. I fiscoli ricoperti di pasta di olive vengono poi sovrapposti fino a formare una pila che viene poi sottoposta alla pressione di un torchio idraulico. La pressione causa la fuoriuscita di una mistura di olio e acqua di vegetazione 28
  • 29. che si raccoglie in un pozzetto sottostante per poi essere trasferita al separatore. Il metodo “tradizionale” presenta numerosi inconvenienti di natura tecnica ed economica: l’elevato costo di manodopera; l’ossidazione della pasta di olive dovuta alla prolungata esposizione all’ossigeno presente nell’aria; le carenti condizioni igieniche dovute alla difficoltà di rimuovere completamente dai fiscoli i residui di pasta di olive; il contatto prolungato tra olio e acqua di vegetazione, oltre a particolari di tipo meccanico, quali le pressioni che la pasta di olive deve sopportare (qualche centinaio di atm) ed il conseguente aumento di temperatura dovuto all'attrito, che fa superare di gran lunga la T di 27(°C) stabilita per legge perché l'olio extra-vergine di oliva venga etichettato come “estratto a freddo”. Il metodo continuo invece si avvale di moderne centrifughe in acciaio inox che, sfruttando le differenze di peso specifico, separano olio, acqua di vegetazione e sansa, garantendo condizioni igieniche perfette e prevenendo fenomeni di fermentazione e ossidazione della pasta di olive. Il sistema è inoltre del tutto automatizzato riducendo così anche il costo di manodopera. Si tratta dunque del metodo più utilizzato nei moderni frantoi. Un’ulteriore centrifuga chiamata separatore provvede infine, in entrambi i casi, a separare l’olio extra vergine di oliva dall’acqua di vegetazione. Conservazione e confezionamento L’olio extra vergine di oliva viene normalmente conservato in cisterne interrate o in silos in acciaio inox a temperatura costante. Le modalità di conservazione sono molto importanti al fine di prevenire l’insorgenza di difetti organolettici. Dopo la produzione l’olio è in genere sottoposto a travasi che consentono di separare i fondami o morchie contenenti enzimi, particelle 29
  • 30. solide e residui di acqua di vegetazione. Se i travasi non vengono effettuati correttamente e nei tempi giusti può generarsi il caratteristico e persistente difetto di morchia. Durante la conservazione v’è anche il pericolo di irrancidimento dell’olio, causato da fenomeni ossidativi dovuti alla presenza di ossigeno e favoriti dalla luce e dal calore. Pertanto è opportuno che l’olio sia conservato a temperature comprese tra 10 e 18 gradi centigradi, in assenza di luce, e che le cisterne siano colmate con azoto. Prima del confezionamento, che deve avvenire in bottiglie di vetro scuro, lattine o ceramiche, l’olio extra vergine di oliva può essere sottoposto a filtraggio onde prevenire la formazione di sedimenti e facilitarne la conservazione. 30
  • 31. ESAME ORGANOLETTICO DELL’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA La denominazione “extra vergine” per un olio di oliva denota una precisa classe merceologica, definita nel regolamento UE 61/2011; il quale regolamento, stabilisce che l'olio per poter essere definito “extra vergine” deve avere determinate caratteristiche tra cui le principali sono: • acidità inferiore o al più uguale allo 0,8% • nr° di perossidi inferiore o uguale a 20 mEq O2 /kg • UV: K232 < 2,50 , K270 < 0,22 e ΔK < 0,1 • definizione del limite massimo di alchilesteri • ma soprattutto, oltre a rispettare una serie di parametri chimici, deve essere sottoposto ad un esame organolettico definito panel test che attesti la totale assenza di ben definiti difetti e la presenza del sapore fruttato. Un olio che non rispetti anche solo uno dei parametri sopra definiti viene declassato come “vergine”, o eventualmente “lampante”. Il panel test L’esame organolettico deve essere svolto da un panel formato da assaggiatori professionisti. Il numero dei componenti può variare da un minimo di otto a un massimo di dodici persone. Il panel test viene effettuato in apposite sale, nelle quali ciascun degustatore è isolato in una cabina dotata di un riscaldatore elettrico e di un lavandino e compila individualmente una scheda di valutazione organolettica conforme a quella riportata nell’appendice A del Reg. CE 640/2008. Anche il calcolo della mediana dei 31
  • 32. difetti risponde a delle regole ben precise: la mediana dei difetti pervenuti al capo panel deve rispondere al requisito statistico di avere un coefficiente di variazione robusto inferiore al 20%, in caso contrario l'olio verrà ri-sottoposto al panel, ad insaputa degli stessi componenti, e sotto codifica diversa dal precedente assaggio. È compito del capo panel raccogliere poi tutte le schede ed elaborare statisticamente i dati, emettendo così il documento finale di valutazione. Esame visivo Durante in panel test vengono utilizzati degli appositi bicchieri di colore blu o marrone che impediscono di vedere il colore dell’olio. L’assaggiatore infatti non deve essere influenzato dal colore. Soltanto durante la degustazione di oli DOP il cui disciplinare preveda anche l’indicazione del colore si provvede ad esaminare questo parametro. Altri elementi che possono essere osservati visivamente, come la limpidezza, la torbidità, la velatura, non hanno però alcuna rilevanza ai fini delle valutazioni previste dalla normativa vigente. Esame olfattivo Per poter effettuare correttamente l’esame olfattivo tutti gli oli devono essere degustati alla stessa temperatura. Per questo ci si avvale di un riscaldatore che porti l’olio, versato in un apposito bicchiere a forma di tulipano, ad una temperatura di circa 28 gradi centigradi. L’esame olfattivo mira innanzitutto ad accertare l’assenza di difetti organolettici, in quanto la presenza di anche un solo attributo negativo 32
  • 33. comporta il declassamento dell’olio che non può più essere definito extra- vergine. Tra i difetti più frequenti si segnalano: – morchia – muffa-umidità – avvinato-inacetito – metallico – rancido – legno Sulla genesi di tali difetti organolettici ci si è già soffermati nel capitolo relativo al processo di produzione dell’olio extra vergine di oliva. Altri attributi negativi riscontrabili durante la degustazione sono: cotto, grossolano, lubrificanti, acqua di vegetazione, salamoia, sparto o fiscolo, cetriolo, legno umido. Le definizioni di tali difetti sono indicate nel Reg. CE 640/2008. Tra gli attributi positivi invece il principale è il fruttato, definito come l’insieme delle sensazioni olfattive caratteristiche dell’olio ottenuto da frutti sani e freschi, verdi o maturi. Il fruttato si definisce verde se ricorda le olive verdi, maturo se ricorda le olive mature. Affinché un olio sia extra-vergine la mediana del fruttato deve essere maggiore di zero. In altri termini, se un olio non presenta l’attributo positivo di fruttato, non può essere definito extra- vergine. Altri attributi positivi, non indicati nel Reg. CE 640 ma caratterizzanti gli oli di qualità, sono le sensazioni aromatiche che ricordano il carciofo, l’erba, i fiori, la mandorla, la mela, il pinolo, il pomodoro e altri vegetali. Sono sensazioni tipiche di oli ottenuti da olive sane, raccolte dalla pianta al giusto 33
  • 34. grado di maturazione e lavorate a freddo entro poche ore. L’intensità di percezione di ciascun attributo, positivo o negativo, è riportata dall’assaggiatore apponendo un segno su un segmento della lunghezza di dieci centimetri, non numerato. Il corrispondente valore numerico viene calcolato in seguito dal capo panel come rapporto tra (cm segnati dal degustatore / 10 cm totali), quindi un numero reale. È compito del capo panel poi tradurre in numeri decimali i segni apposti dai singoli degustatori sui segmenti. Esame gustativo L’esame gustativo si effettua portando nel cavo orale una piccola quantità di olio, senza deglutirla, ed inspirando poi aria a denti stretti (strippaggio), prima in maniera più delicata e poi in maniera più vigorosa. Il riscaldamento, l’ossigenazione e la roteazione dell’olio favoriscono l’evaporazione dei composti volatili che, percepiti per via retronasale, costituiranno il flavor caratteristico di ciascun olio. Gli attributi negativi sono gli stessi già indicati per l’analisi olfattiva, ai quali va però aggiunta la sensazione di terra. I tre principali attributi positivi percepiti all’esame gustativo sono il fruttato, l’amaro e il piccante. Queste ultime due sensazioni, insieme a quella di pungenza percepita a livello della laringe, sono associate in particolare alla presenza di oleuropeina e idrossitirosolo. Il fruttato, a seconda della sua intensità, può essere definito leggero, medio o intenso. Altri attributi positivi, non riportati sulla scheda definita dalla normativa comunitaria, sono simili a quelli già indicati per l’analisi olfattiva. A questi si aggiungono l’armonicità delle sensazioni, la persistenza retrolfattiva qualitativa e caratteristiche cinestetiche come la fluidità. 34
  • 35. BIBLIOGRAFIA [1] Visioli F. J Sci Food Agric. 92(10) 2017-2019 (2012); [2] Andrewes P, Busch JLHC, De Joode T, Groenewegen A & Alexandre. H. J. Agric. Food Chem. 51, 1415–1420 (2003) [3] Beauchamp GK, Keast RS, Morel D, Lin J, Pika J, Han Q, Lee CH, Smith AB, Breslin PA. Nature, Brief Communications 437(7055) 45-46 (2005) [4] Visioli F, Galli C, Bornet F, Mattei A, Patelli R, Galli G, Caruso D. Olive oil phenolics are dose-dependently absorbed in humans. FEBS Lett. 2000; 468: 159-160. [5] Carrasco-Pancorbo A., Cerretani L., Bendini A., Segura-Carretero A., Del Carlo M., Gallina - Toschi T., Lercker G., Compagnone D. and Fernandez-Gutierrez A., (2005). Evaluation of the Antioxidant Capacity of Individual Phenolic Compounds in Virgin Olive Oil. J Agric Food Chem. (53) 8918-8925. [6] Hao J, Shen W, Yu G, Jia H, Li X, Feng Z, Wang Y, Weber P, Wertz K, Sharman E, Liu J, (2010). Hydroxytyrosol promotes mitochondrial biogenesis and mitochondrial function in 3T3-L1 adipocytes. J Nutr Biochem (7) 634-644. [7] Lu Z., Zhongbo L., Zhihui F., Jiejie H., Weili S., Xuesen L., Lijuan S., Edward S., Ying W., Karin W., Peter W., Xianglin S., Jiankang L., (2010). Hydroxytyrosol protects against oxidative damage by simultaneous activation of mitochondrial biogenesis and phase II detoxifying enzyme systems in retinal pigment epithelial cells. Journal of Nutritional Biochemistry. (21) 1089–1098. [8] Koopman W.J., Nijtmans L.G., Dieteren C.E., Roestenberg P., Valsecchi F., Smeitink J.A., Willems P.H., (2010). Mammalian mitochondrial complex I: biogenesis, regulation, and reactive oxygen species generation. Antioxid Redox Signal. (12) 1431-1470. [9] Ehab H. Sarsour, Maneesh G. Kumar, Amanda L. Kalen, Monali Goswami, Garry R. Buettner, Prabhat C. Goswami. MnSOD activity regulates hydroxytyrosol-induced extension of chronological lifespan. AGE DOI 10.1007/s11357-011-9223-7 [10] Mukherjee S., Lekli I., Gurusamy N., Bertelli A.A., Das D.K., (2009). Expression of the longevity proteins by both red and white wines and their cardioprotective components, resveratrol, tyrosol, and hydroxytyrosol. Free Radical Biology and Medicine. (46) 573-587 [11] Zrelli H., Matsouka M., Kitazaki S., Zarrouk M., Miyazaki H. (2011). Hydroxytyrosol reducesintracellular reactive oxygen species level in vascular endothelial cells by upregulating catalase expression through the AMPK-FOXO3a pathway. European Journal of Pharmacology (660) 275-282. [12] Manna C., Galletti P., Maisto G., Cucciolla V., D'Angelo S., Zappia V., (2000). 35
  • 36. Transport mechanism and metabolism of olive oil hydroxytyrosol in Caco-2 cells. FEBS Letters. (470) 341-344. 36