Habitat rupestre e influenze sull’architettura e l’urbanistica
1. L’HABITAT RUPESTRE TRA PUGLIA E GRECIA E
LE SUE INFLUENZE SULL’ ARCHITETTURA
DAL VILLAGGIO CAPANNICOLO AL FRANTOIO IPOGEO
Dott. Arch. Mariangela Martellotta - Rupestrian Heritage Paper 2013
2. L’EPOCA PRIMITIVA
La presenza umana nel
territorio del Parco ha origine
antichissime. Forme di
trogloditismo civile sono
conosciute sin da 750.000
anni fa e cioè da quando
l'uomo
cominciò
a
padroneggiare l'uso del
fuoco.
Le
abitazioni
trogloditiche in grotte
naturali divennero pressoché
comuni nel periodo glaciale
denominato Würmiano, ossia
nel Paleolitico medio (80.000
– 50.000 anni fa) e nel Post
Würmiano.
L’età del Paleolitico
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5. I VILLAGGI CAPANNICOLI
Le importanti testimonianze legate al fenomeno del “vivere in grotta” sono riconducibili alle diverse
età della storia: la frequentazione in età protostorica (XVI-XI sec. a.C.) è documentata dalla
presenza di tombe a grotticella e da fori di palificazione di villaggi capannicoli come quelli presenti
sulla sommità della Gravina di Riggio e del Fullonese, a Grottaglie (TA).
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9. Il Neolitico è caratterizzato, in fase tarda, dalle prime tracce di
adattamento artificiale di grotte naturali alle esigenze umane nel
frattempo accresciutesi.
Le prime testimonianze nell'area delle gravine le possiamo quindi già
riscontrare durante l'Età del bronzo che rivelano come il territorio
tarantino avesse già grande rilievo come documentato da tutta
un'articolata tipologia funeraria che è caratteristica di questo periodo.
In foto una delle tombe a cassa di latroni litici, ritrovate in Salento, nella
specchia di Artanisi, considerata uno dei maggiori monumenti di
carattere funerario dell’antichità (seconda metà del II sec. a.C. – età del
Bronzo Medio), vista la densità dei reperti trovati nell’area.
Nel corso dell'Età del Ferro, o Villanoviana (X-VIII secolo a.C.), comparvero nuove relazioni interregionali (con la
preminenza, forse, di una matrice balcanica) che, interagendo con le istanze locali, diedero vita ad una cultura nuova,
la prima propriamente regionale, denominata iapigica.
Da un punto di vista urbanistico questa condusse a termine il processo, da lungo già avviato, di progressivo
concentramento degli insediamenti, con il contestuale abbandono delle grotte ad uso abitativo.
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10. L’INFLUENZA DEL MONDO GRECO
I contatti del mondo greco con il Mediterraneo centro-occidentale sono attestati sin dall’età
preistorica. La vocazione marittima e la ricerca di materie prime (ossidiana, metalli) spinsero le popolazioni
dell’Egeo a creare e a intrattenere una rete intensa di relazioni commerciali in tutto il bacino del Mediterraneo. I
rapporti e gli scambi del mondo egeo con il versante adriatico dell’Italia risalgono al III millennio a.C.
I materiali archeologici, soprattutto ceramici, rinvenuti in Italia documentano la frequentazione micenea sin dalle
prime fasi di questa civiltà (XVI-XV sec. a.C.): nelle Isole Eolie (Lipari, Filicudi, Salina), nell’arcipelago flegreo
(Ischia e Vivara), ma anche lungo le coste dell’Italia, nella Puglia adriatica (Giovinazzo, Molinella e
Grotta Manaccore nel Gargano), nella Calabria ionica, nella Grotta del Pino vicino Salerno e nella Sicilia
meridionale, dove nel santuario-officina di Montegrande, presso Agrigento, sono state rinvenute fornaci di
lavorazione dello zolfo, che si estraeva nella zona.
Nell’Italia meridionale si segnalano gli insediamenti costieri della Puglia centro-settentrionale, siti in genere su
promontori e alture naturalmente difendibili e vicino ad approdi naturali, come Punta Le Terrare, nel Brindisino, e
Coppa Nevigata, dove la frequentazione dei gruppi egei può aver determinato l’organizzazione sociale più
complessa riscontrabile nell’abitato.
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11. L’URBANISTICA
A scala urbanistica l’influenza greca nel sud d’Italia si fece sentire per quanto riguarda gli impianti urbani:
Al nome del celebre architetto e
pensatore Ippodamo di Mileto, noto
come pianificatore del Pireo intorno
alla metà del V sec. a.C., è legato
l’impianto della colonia di Thurii
(Sibari – Calabria) nel 444 a.C.
Diodoro Siculo ne descrive lo schema
urbano, che dovette apparire
fortemente innovativo
ai
contemporanei, organizzato tramite
una grande maglia di strade ortogonali
di differente larghezza, suddivisa
ulteriormente grazie a un fitto reticolo
di stenopòi in isolati modulari, che
prevedeva anche una ripartizione La città di Thurii non raggiunse mai la grandezza e la ricchezza di Sibari; lo stesso
impianto turino già all'atto della sua fondazione era più piccolo dell'estensione urbana
funzionale delle aree della città.
di Sibari.
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12. L’URBANISTICA
Il principale artefice della nuova città fu l'architetto Ippodamo di Mileto, che pianificò accuratamente lo schema urbano del nuovo
centro - il cosiddetto impianto ippodameo - sul sito dove pochi decenni prima sorgeva Sibari, le cui rovine furono spianate e
livellate. La città, secondo le notizie di Diodoro Siculo, venne chiamata Thurii dal nome di una sorgente.
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13. DALLO SPAZIO SCAVATO
ALL’ARCHITETTURA ‘‘FUORI TERRA’’
Si intende per architettura additiva quel tipo di architettura che emerge dal sottosuolo o dagli
ambienti scavati nella roccia e si impone come forma volumetricamente definita in tutte le sue parti,
mantenendo comunque il carattere massivo e introverso delle precedenti tipologie. Si inseriscono in
questa categoria la casa a corte o a patio il cui archetipo, come già ricordato, va ricercato negli ambienti
ipogei sviluppati attorno una cavità centrale (vedi Matmata).
Il sistema recinto o fossato, è utilizzato in realtà sin dal neolitico perché funzionale alle attività
agricolo-pastorali, al sistema di raccolta e drenaggio delle acque piovane, alla raccolta di rifiuti e
produzione di humus. Non di rado si vedrà che il recinto/corte delimita uno spazio coltivato, sottratto al
deserto che si alterna al tessuto edilizio, in cui il recinto è l’elemento unificatore e ordinatore ma
soprattutto l’elemento primigenio da cui si genera l’oasi.
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14. E’ nell’architettura greco-romana che la distribuzione attorno ad una corte diventa una regola geometrica.
Nell’antica città di Olinto (430 a.C.) nella Calcide, le case, a pianta approssimativamente quadrata, si aprivano su
un loggiato porticato interno (pàstas) in cui si svolgevano tutte le mansioni domestiche, preceduto da un cortile e
da un vestibolo. Il portico interno, coperto, era orientato a mezzogiorno, come consiglia Socrate:
«Ammetti che chiunque si proponga di edificare una casa perfetta progetterà di farla il più possibile piacevole e
comoda per viverci?».
Un discepolo ammirato subito assentì. Socrate allora chiese:
«Non è forse piacevole avere una casa fresca d’estate e calda d’inverno?».
Il suo interlocutore assentì un’altra volta. Il filosofo descrisse poi come ci si potesse riuscire con semplici
accorgimenti: se la casa è rivolta a sud, spiegò, «in inverno la luce del sole penetrerà sotto la veranda coperta e
illuminerà le stanze principali» mentre in estate, «quando il sole passa sopra le nostre teste, il tetto manterrà
ombreggiata la casa». Socrate descrisse poi come realizzare una casa perfettamente funzionale: «Costruisci le
stanze principali sul lato nord e aperte a sud. Costruiscile più alte di qualsiasi struttura secondaria che possa
impedirne l’esposizione a sud, cosicché possano catturare il basso sole invernale».
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15. … UN PO’ DI SUCCESSIONI STORICHE
Con la guerra bizantino – gotica, la Puglia entrava a far parte dell’Impero d’Oriente, di cui dovette condividerne le sorti.
Alle devastazioni intervenute con questa guerra, si aggiunse qualche anno dopo (591 – 598), un’altra calamità, quella
della discesa dei Longobardi.
Le coste pugliesi, furono separate dal ducato di Napoli, determinando la rottura della continuità dei possessi bizantini
sull’Adriatico da quelli sul Tirreno.
Nel 642, si registra l’invasione di Slavi alla foce dell’Ofanto, sconfitti dopo la morte di Aione nel 641 da Rodoaldo (642 –
647) e nel 663 la spedizione contro i longobardi dell’imperatore d’Oriente, Costante II (641 – 668). La ripresa delle ostilità
dei Longobardi contro i Bizantini della Puglia, si ebbe con Romoaldo (671 – 687), successore di Grimoaldo, il quale
riconquistò i possessi perduti.
I Longobardi, estesero i loro domini al di là dell’Ofanto, e ai Bizantini, restò gran parte della penisola salentina e alcune
città importanti: Otranto e Gallipoli.
La caduta del regno longobardo settentrionale ad opera di Carlo Magno nel 774 e l’assunzione del titolo di principe da
parte di Arechi II (758 –787) con la conseguente riforma istituzionale dell’ex ducato beneventano, non incisero sugli
avvenimenti interni dei territori pugliesi.
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16. LA CIVILTA’ RUPESTRE
Con il termine di civiltà rupestre, s'intende l’insieme delle complesse e differenti realtà sociali e
culturali, civili e religiose, legate all’esperienza del vivere in grotta, che hanno interessato dal VI al
XIII secolo l’intera Italia Meridionale, continentale e insulare.
La genesi storica di tali insediamenti ha….
un primo sviluppo in epoca preclassica (con il primo sfruttamento delle grotte
naturali e dell'ambiente di lame e gravine da parte dell'uomo preistorico);
una seconda fase, compresa tra il Tardo Antico e il Basso Medioevo, vede invece
diffondersi l'uso delle abitazioni scavate nella tenera “calcarenite” di lame e
gravine.
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17. Le prime tracce di insediamenti umani in edifici naturali quali caverne, grotte e rifugi rupestri sono da
ricercarsi all'incirca ad un milione di anni fa con la comparsa dell'Homo Erectus. Ciò avviene perché
l'uomo si rende conto di dover proteggersi dalle intemperie, dagli inverni rigidissimi e da una natura
piena di insidie.
Con questo piccolo, ma non poco importante passo, l'uomo per la prima volta fa delle modifiche
all'ambiente circostante, allora ancora incontaminato, adattando l'involucro naturale della grotta
all'esistenza umana. Infatti questi interni bui, molto protettivi, informi, sono stati scheggiati, dipinti,
incisi, riempiti di cose portate da fuori, ''addomesticati'' dalla presenza umana. Di conseguenza
queste abitazioni hanno perso la loro naturalità, sono state artificializzate dagli interventi umani,
rappresentando una ''pre-architettura''.
Inoltre le grotte paleolitiche non sono soltanto dei luoghi di semplice vita quotidiana, ma delle vere e
proprie "gallerie d'arte" dove l'uomo poteva sfogare la propria creatività con disegni e incisioni. Di
questa consuetudine abbiamo diverse testimonianze concentrate soprattutto nell'Europa meridionale.
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18. INSEDIAMENTI ABITATIVI RUPESTRI
Il fenomeno della Civiltà Rupestre non è, strettamente parlando, limitato ad uno spazio fisico o
cronologico definito, in quanto l'occupazione delle grotte (naturali o artificiali) ha rappresentato, con
frequenza variabile, un fenomeno di lunga durata della Storia umana in terra jonica.
E' tuttavia innegabile come la cultura del vivere in
grotta connoti in maniera particolare un'epoca storica ed un
ambito geografico : il Medioevo della Terra delle Gravine.
Le particolari vicende della Puglia, nel contesto delle forze politiche e delle spinte conquistatrici dei
Goti, Longobardi, Saraceni, Franchi e Bizantini, portarono questa regione ad un riassestamento
dell’organizzazione territoriale e delle stesse strutture, legate ai centri insediativi della regione.
In tale contesto, bisogna considerare la crisi del sistema viario romano in Puglia nell’arco di tempo tra
Tardo Antico e Alto Medioevo.
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19. VICENDE STORICHE IN PUGLIA
Per l’antica via Appia si percepiscono spostamenti dovuti dalla necessità di sostituire a lunghi percorsi
esposti e indifesi, una strada più lunga e tortuosa ma che offriva asili ravvicinati, come, ad es. la
direttrice Massafra – Mottola.
Questa modificazione del sistema viario più antico è legata a due aspetti:
•l’arretramento delle sedi umane stabili rispetto agli assi preferenziali utilizzati dagli eserciti invasori;
•la necessità di un collegamento con i nuovi insediamenti, incuneati negli anfratti delle gravine e
quindi, resi più sicuri dalle particolari asperità dei luoghi.
È nella fase di transazione tra Tardo Antico e Alto Medioevo (680 all'850 circa, fino alla conquista dei
Saraceni, ed al successivo ritorno dei Bizantini nel 880) che il fenomeno della vita in grotte, riprende
con particolare vigore.
Da una testimonianza dello storico Uggeri si rileva che:
“L ’abitato rupestre, è la totale negazione della classicità e romanità; al centralismo e all’agibilità, si
sostituiscono la dispersione e l ’inaccessibilità. La strada è un concetto estraneo a questo ambiente,
spesso associata all’idea di pericolo. Scalette, stretti sentieri ricavati nel sasso, scale di corda, sono
tutti elementi che danno sicurezza, in un villaggio rupestre, agli uomini e alle bestie da soma”.
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20. Alla base della cultura rupestre erano insieme motivazioni economiche (scavare il tufo era meno
costoso e richiedeva conoscenze tecniche meno sofisticate che erigere edifici) e di sicurezza, data
la lontananza dei centri rupestri dai grandi centri abitati, meta preferita delle incursioni nemiche nel
corso dei secoli bui del Medio Evo.
Non è però vero che chi abitava in grotta vivesse un'esperienza sociale a parte: la
documentazione medievale (scarsa in realtà quella che fa riferimento esplicito ad insediamenti
rupestri attivi) e l'archeologia non mostrano significative differenze nella espressione culturale di
queste popolazioni rispetto a quelle che vivessero in abitati sub divo.
Anche dal punto di vista della struttura edilizia fra la tipica casa-grotta, completamente
ipogea, e la casa in muratura, completamente subdiale, esistono infinite forme di
transizione, ben evidenti del resto all'interno della maggior parte dei villaggi rupestri del
Tarantino, valgano gli esempi di Casalpiccolo (Grottaglie) e Cigliano (Crispiano). Non si concilia del
resto con un ipotetico desiderio di vivere nascosti la considerazione che tutti i centri rupestri maggiori
siano pienamente inseriti nel sistema viario territoriale.
Va ribadito che la Civiltà Rupestre fu un'esperienza della società civile medievale,
connotata (come tutti gli aspetti di quella società, del resto) anche da profonde espressioni di
religiosità, ma che non si esaurì affatto in essa.
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21. IL MEDIOEVO RUPESTRE
A seguito delle estenuanti guerre (fra Goti e Bizantini, fra Bizantini e Longobardi, fra Bizantini e
Normanni) e delle ricorrenti scorrerie saracene il flusso di genti dalla città, più volte devastata, verso
le campagne, e le gravine in particolare, raggiunsero i ritmi e le modalità di una persistente e
capillare occupazione del territorio. Questa ebbe una facies dispersa (con una o poche grotte sparse)
ed una accentrata, nei villaggi (casali); tale cultura abitativa costituì un'attrattiva talmente forte per le
popolazioni al punto da connotare le prime fasi di vita di quasi tutti centri abitati.
L'individuazione di tale fase resta sempre ripercorribile, anche laddove è stata sommersa dagli edifici
moderni.
Con il tempo i villaggi rupestri si organizzarono man mano che si ampliavano, definendo strutture
urbanistiche più o meno complesse, con case-grotte articolate e multifunzionali, ambienti per gli
animali, strutture produttive e luoghi di culto.
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23. LA CASA NELLE GROTTE
B) Opere Insediative Civili
B.1 insediamenti stabili abitativi = insediamenti abitativi a carattere continuativo per un certo periodo di tempo,
abitazioni trogloditiche, casette agricole ipogee con focolare, camino, lettiere, ecc.
B.2 ricoveri temporanei/rifugi= insediamenti stagionali, luoghi di riunione saltuaria, ricoveri di banditi, cavità
scavate nei parchi di ville antiche, luoghi di temporanea detenzione; i rifugi antiaerei vanno in D.7.
B.3 opifici = grotte dei cordari, oleifici, officine, luoghi (in passato) di lavoro; se militari, vanno in D.1.
B.4 magazzini = depositi di attrezzi agricoli, cantine da vino, cantine generiche; se militari vanno in D.5.
B.5 silos sotterranei = cavità con accesso generalmente dall’alto, scavate nella roccia e chiuse da una pietra
accuratamente squadrata, che garantiva la conservazione di derrate alimentari al riparo dai topi; sinonimo: fosse
granarie.
B.6 stalle = ricoveri per animali di qualsiasi taglia, dai cavalli ai polli, esclusi i piccioni (B.7).
B.7 colombari = la maggior parte dei colombari extraurbani, con cellette piccole e fitte, avevano funzione di
allevamento di piccioni o volatili analoghi, termine corretto “colombaie”; altri, con celle un po’ più grandi e
senza la finestrella per far entrare e uscire gli uccelli, sono invece cavità funerarie e vanno in C.2.
B.8 altri insediamenti = è difficile stabilire un elenco completo di tutti i tipi di insediamenti, se ve ne sono di
inusuali o non interpretabili, andranno in questa voce; se si troverà un gran numero di insediamenti che ricadano
nelle sette voci precedenti, se ne creerà una apposita.
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24. LA CASA NELLE GROTTE
I fianchi di lame e gravine ospitarono anche, interposte alle strutture abitative vere e proprie, sistemi
di regimentazione delle acque fluenti, strutture pubbliche di stoccaggio di derrate alimentari e di
acqua, orti, giardini, strade, viottoli, terrazzamenti, colture varie: veniva in questo modo operata
una radicale umanizzazione del paesaggio, che assunse (nella compenetrazione fra abitato ruralizzato
e campagna urbanizzata) la connotazione più tipica del Medioevo profondo.
Successivamente al periodo bizantino e precisamente tra il XIV e il XV secolo la vicenda trogloditica
pugliese si avvia al suo epilogo. Infatti la crisi e lo spopolamento di molti villaggi, in questo periodo,
si accompagnarono al più generale fenomeno di crescita dell'importanza delle città a svantaggio del
contado.
Quindi, sia per motivi storici che per motivi climatici, la "cosiddetta civiltà rupestre" conosce il suo
epilogo regalandoci, però, per l'oggi, stupende testimonianze di un lungo e stratificato passato
dominato da influssi stranieri che hanno così caratterizzato il nostro territorio e che rappresentano un
indubbio patrimonio da valorizzare e proteggere.
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25. Gravina di Puglia : nel V secolo d.C. La distruzione dei centri abitati, uno sul pianoro della collina di Botromagno e l'altro sul
ciglio del burrone, spinse le popolazioni a rifugiarsi nel sottostante burrone, gravina, dove alle grotte preesistenti aggiunsero
di nuove adibendole ad abitazioni.
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26. Quella di Riggio ospita il più noto dei villaggi rupestri ad est di Taranto. Qui si trovano le chiese, ricche di affreschi tra i più
antichi conservati nell’elenco ionico, essendo datati tra X e XI secolo.
Varie ipotesi sono state formulate sulle origini dell’insediamento medievale in questa Gravina. Probabilmente trattasi di rifugiati
provenienti da altri insediamenti distrutti, alla fine della tarda antichità o all’inizio dell’alto Medioevo, dalle invasioni barbariche
e dalle vicende della guerra greco – gotica. Il maggior gruppo di profughi sarebbe giunto a Riggio dall’insediamento di “Pezza
Petrosa”, a metà strada circa tra Grottaglie e Villa Castelli.
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27. L'attuale centro storico di Ginosa è circondato a ferro di cavallo da due insediamenti rupestri, quello del Casale e quello della
Rivolta. L'insediamento della Rivolta è un vero e proprio villaggio trogloditico, ubicato sulla parete della gravina
sottostante il Castello e accessibile sia dal fondo della gravina che dal centro storico. L'insediamento è composto da 66 case grotta, disposte su 5 piani collegati tra loro da sentieri e scalette. In alcune grotte è ancora leggibile l'originaria struttura
abitativa (sedili, giacigli, camini, vasche, mensole, grandi cisterne per la raccolta e la conservazione dell'acqua piovana, tutti
scavati nella pietra), gli spazi di servizio e di produzione (stalle, ricoveri, frantoi ipogei), i luoghi di culto. Di fronte al villaggio
della Rivolta si trovano poi le chiese di S.Barbara e di S.Sofia.
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28. Il villaggio rupestre di Petruscio rappresenta uno dei più interessanti esempi del vivere in grotta nella nostra regione. Il villaggio
sorge nelle vicinanze dell'antica strada istimica che connetteva Adriatico e Ionio, la Traiana con l'Appia (partendo da Chiatona
sulla costa ionica e passando per Palagiano, Mottola e poi continuare verso la costa adriatica), percorso lungo il quale in epoca
medievale si concentrarono numerosi insediamenti rupestri più o meno estesi. La tradizione vuole che il villaggio sia stato
scavato e scelto come dimora dai profughi di Mottola, distrutta dai Saraceni nell'847, e che sia stato poi abbandonato dai suoi
abitanti alla fine del XII secolo, soprattutto in seguito alla ricostruzione di Mottola (distrutta nuovamente dai Normanni nel 1102
e subito ricostruita).
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29. Una delle attrazioni più spettacolari del territorio di Castellaneta è senz’altro rappresentata dalle gravine di origine carsica che lo
solcano per svariati chilometri; lungo i loro percorsi sono presenti vari insediamenti rupestri, di cui alcuni sono di origine alto
medievale (V-X secolo). Nel VIII secolo la vita nelle grotte fu incentivata, oltre che da necessità difensive, dalla lotta iconoclasta di
Leone III e in quelle stesse gravine trovarono riparo molti monaci greci giunti dall'Oriente.
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30. Pezza Petrosa è un sito archeologico nel comune di Villa Castelli (BR), presso la strada provinciale per Grottaglie. Il sito è
costituito dai resti di una necropoli e di un phrourion esistito tra il IV secolo a.C. e I secolo a.C., nell'ambito di un'area che
mostra significative tracce di frequentazione dal neolitico all'alto medioevo.
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31. Pezza Petrosa è nota anche per essere conosciuta come l’antica Rudiae ovvero la patria di Quinto Ennio … discendente del re
Messapo (“antiqua Messapi ab origine regis”) e nato nell’antica Rudiae, ai suoi tempi memorabile solo per il nome del suo
celebre figlio (“hispida tellus miserunt Calabri: Rudiae genuere uetustae, nunc Rudiae solo memorabile nomen alumno“) si
trova nel territorio di Villa Castelli. “La zona, disseminata di ruderi, tombe e di frammenti ceramici, con resti di mura ciclopiche
e di una platea di un tempio greco, merita d’essere esplorata da sistematici scavi archeologici”. Così scriveva nel 1938 lo storico
grottagliese Ciro Cafforio in “Preistoria di Rudia Tarentina”, un saggio che, auspicando studi scientifici e una vera e propria
campagna archeologica, riaffermava la validità di un’antica ipotesi rilanciata nel Seicento dal grande poeta e letterato Giuseppe
Battista.
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32. L’ARCHITETTURA SACRA IN HABITAT RUPESTRE
C) Opere di Culto
C.1 luoghi di culto = ninfei, mitrei, eremi, chiese e cappelle rupestri, ecc.; se contengono anche
numerose tombe, marcare C.2; viceversa se in una catacomba esistono chiare tracce di altari,
marcare anche C.1.
C.2 opere sepolcrali = tombe a camera, sistemi sepolcrali complessi come le catacombe, colombari
funerari, necropoli, cioè insieme fitto di ambienti sepolcrali ipogei contigui.
La storia architettonica delle chiese rupestri pugliesi parte da sperimentazioni arcaiche del tutto
autonome, svicolate dall’edilizia in muratura e si sviluppa su piani quasi intimistici, ristretti,
estremamente ricchi di fascino sacrale. La loro condizione di povertà ne ha spesso trascurato
l’importanza, tanto che in Puglia, ad esempio, conosciamo una ricca documentazione del templon
bizantino ricavato nella roccia, proprio perché risparmiato dalla distruzione che ha interessato la
maggior parte degli esempi sub divo, sia per motivi legati all’uso di materiali costruttivi deperibili
che per il modificarsi dei riti cultuali.
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33. LUOGHI DI CULTO PER I VIVI
C.1 luoghi di culto = ninfei, mitrei, eremi, chiese e cappelle rupestri, ecc.; se contengono anche
numerose tombe
La chiesa rupestre ipogea all’interno della Gravina di San Biagio a Grottaglie (TA), recentemente scoperta e in fase di studio (a sinistra)
- All’interno del complesso di Casalrotto, la chiesa rupestre di San Nicola, definita non a torto la Cappella Sistina della civiltà rupestre
(al centro)
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34. LUOGHI DI CULTO PER I VIVI
C.1 luoghi di culto = ninfei, mitrei, eremi, chiese e cappelle rupestri, ecc.; se contengono anche
numerose tombe
La chiesa rupestre ipogea di San Michele Arcangelo a Putignano (BA) (a sinistra) sorge su una collina distante circa 3 Km dall’abitato.
Dal 912 al 1045 ha ospitato i monaci culniacensi, a cui succedettero i frati Benedettini. Nel 1506 i Cavalieri di Malta affidarono il feudo
di Putignano ai frati Carmelitani, che impreziosirono di decorazioni il sito. – A Monopoli (BA) dal convento annesso alla chiesa si
accede alla cripta rupestre (a destra), oggi riferita a San Leonardo ma citata dagli studiosi con intitolazioni diverse Sant'Angelo o San
Benedetto de Grecis, San Cipriano; La presenza di tombe ad arcosolio fa supporre che si trattasse di una cappella funeraria e le pitture
e le iscrizioni latine consentono di collocarla al XIII secolo.
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35. OPERE SEPOLCRALI
C.2 opere sepolcrali = tombe a camera, sistemi sepolcrali complessi come le catacombe,
colombari funerari, necropoli, cioè insieme fitto di ambienti sepolcrali ipogei contigui.
Tomba a fossa di grandi dimensioni inquadrabile tra fine IV e inizi del III secolo a.C. Gli ultimi rinvenimenti, insieme con le più
complesse attività di sorveglianza archeologica in corso nella città vecchia e in diverse altre aree del territorio comunale e
provinciale, confermano il persistente interesse archeologico dell’antica colonia greca di Taranto e del suo territorio
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36. OPERE SEPOLCRALI
C.2 opere sepolcrali = tombe a camera, sistemi sepolcrali complessi come le catacombe,
colombari funerari, necropoli, cioè insieme fitto di ambienti sepolcrali ipogei contigui.
La cultura micenea si manifesta attraverso il mondo dei morti, nelle scoperte di H.Schliemann (1822 – 1890) a
Micene. all’interno della cittadella fortificata, un circolo di tombe denominato convenzionalmente circolo A (foto a sinistra), fra le
quali credette di individuare la sepoltura di Agamennone, il valoroso re acheo che condusse la spedizione contro Troia. Il
procedere delle ricerche ha ridimensionato l’eccezionalità del ritrovamento, portando a scartare l’ipotesi che questa tomba fosse
collegata alle vicende narrate da Omero nell’Iliade. Al di fuori del settore occidentale della cinta muraria e in continuità con il
precedente, venne rinvenuto un secondo circolo funerario, circolo B (ricostruzione ipotetica a destra). Questo, più antico, rende
evidente l’evoluzione sia a livello di tipologia sepolcrale che di corredo. Entrambi i circoli funerari erano destinati a personaggi di
altissimo rango, utilizzati in successione: il circolo B tra il 1650 – 1570 a.C.; il gruppo A dal 1550 al 1500 a.C.
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37. OPERE SEPOLCRALI
C.2 opere sepolcrali = tombe a camera, sistemi sepolcrali complessi come le catacombe,
colombari funerari, necropoli, cioè insieme fitto di ambienti sepolcrali ipogei contigui.
Egnazia (o Gnazia) è un'antica città pugliese (di cui oggi rimangono solo rovine), nei pressi dell'odierna Fasano, in Provincia di
Brindisi. Centro dei Messapi o dei Peucezi, fu sede di manifatture di ceramiche del IV e III secolo a.C. Le tombe messapiche scoperte
ad Egnazia presentano spesso decorazioni pittoriche attraverso le quali ci sono pervenute informazioni sulle loro concezioni cultuali e
sulla teoria dell'aldilà, tra il IV e II secolo a.C. Sono particolarmente interessanti sepolture di tipo familiare. La tomba che
sicuramente ha suscitato più interesse per le sue caratteristiche, è stata l'ipogeo del pilastro (foto a destra): fu rilevata una prima
volta nel 1939 e una seconda nel 1963; è un ipogeo a due camere, una più grande dell'altra, collegate da un breve corridoio
(dromos), attraversato da una scala metallica di accesso.
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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38. SISTEMI DI RACCOLTA E TRASPORTO PER L’ACQUA
A) Opere Idrauliche
A.1 regimazione/bonifica = cunicoli e gallerie sia per la bonifica di terreni paludosi che per la regimazione di livello di
laghi e bacini (emissari, immissari).A.2 captazione = cunicoli e gallerie destinati a captare vene d’acqua sotterranee o
stillicidi: essi possono sboccare all’aperto in una fontana o canale; se invece fanno parte integrante di un acquedotto
complesso (A.3) sulla scheda si indicherà sia A.2 che A.3.
A.3 trasporto = gallerie e cunicoli di acquedotti che trasportano l’acqua lontano da captazioni esterne o sotterranee (A.2);
deviazioni sotterranee di corsi d’acqua per consentire la costruzione di ponti (tecnica usata dagli Etruschi quando non
conoscevano l’arco); tutte le opere idrauliche che non ricadono in altra voce specifica.
A.4 cisterne = ambienti sotterranei destinati all’accumulo di acqua (o altri liquidi, liquami esclusi); generalmente dotati
di manto per la impermeabilizzazione delle pareti; le cisterne per derrate secche vanno in B.5.
A.5 pozzi = perforazioni verticali per la presa di acque, eseguiti a partire dalla superficie esterna.
A.6 opere di distribuzione = vasche, sale o altri ambienti sotterranei in cui convergono vari condotti (anche non
percorribili) e/o dipartono altri condotti (generalmente non percorribili), quali il castellum aquaeromano.
A.7 fognature = cunicoli o gallerie di scarico di acque bianche o nere da insediamenti umani o industriali.
A.8 canali navigabili = forse in Italia non ve ne sono di sotterranei, ma nel centro Europa ne sono noti parecchi.
A.9 ghiacciaie/neviere = non ci sono solo quelle in grotte naturali (pozzi a neve), ma anche quelle artificiali.
A.10 condotti di funzione sconosciuta = spesso si trovano condotti in passato certamente idraulici ma ridotti a tratti
troppo brevi per poterne stabilire la funzione, l’esperienza suggerisce di inserire questa voce.
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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39. SISTEMI DI RACCOLTA E TRASPORTO PER L’ACQUA
A.4 cisterne = ambienti sotterranei destinati all’accumulo di acqua (o altri liquidi, liquami
esclusi); generalmente dotati di manto per la impermeabilizzazione delle pareti; le cisterne
per derrate secche vanno in B.5.
Sistema di cisterne ipogee nel quartiere delle Ceramiche di Grottaglie (TA) (Photocredit : Speleo Club Cryptae
Aliae)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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40. SISTEMI DI RACCOLTA E TRASPORTO PER L’ACQUA
Cisternone nella gravine del Fullonese a Grottaglie (TA) (Photocredit : Speleo Club Cryptae Aliae)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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41. SISTEMI DI RACCOLTA E TRASPORTO PER L’ACQUA
Cisternone collegato con ramo di un antico acquedotto medioevale presso il Castello Muscettola di Pulsano
(TA) (Photocredit : Speleo Club Cryptae Aliae)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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42. SISTEMI DI RACCOLTA E TRASPORTO PER L’ACQUA
A.6 opere di distribuzione = vasche, sale o altri ambienti sotterranei in cui convergono vari condotti (anche
non percorribili) e/o dipartono altri condotti (generalmente non percorribili), quali il castellum aquae romano.
Rami dell’antico acquedotto romano (?) nei pressi dell’ex Masseria Sam Pietro in località Cirumarpiccolo (TA)
(Photocredit : Speleo Club Cryptae Aliae)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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43. SISTEMI DI RACCOLTA E TRASPORTO PER L’ACQUA
A.9 ghiacciaie/neviere = non ci sono solo quelle in grotte naturali (pozzi a neve), ma anche quelle artificiali.
Neviera in località Spartivento nel comune di Grottaglie (TA) (Photocredit : Speleo Club Cryptae Aliae)
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
44. I TRAPPETI IPOGEI
B) Opere Insediative Civili
B.1 insediamenti stabili abitativi = insediamenti abitativi a carattere continuativo per un certo periodo di tempo,
abitazioni trogloditiche, casette agricole ipogee con focolare, camino, lettiere, ecc.
B.2 ricoveri temporanei/rifugi= insediamenti stagionali, luoghi di riunione saltuaria, ricoveri di banditi, cavità
scavate nei parchi di ville antiche, luoghi di temporanea detenzione; i rifugi antiaerei vanno in D.7.
B.3 opifici = grotte dei cordari, oleifici, officine, luoghi (in passato) di lavoro; se militari, vanno in D.1.
B.4 magazzini = depositi di attrezzi agricoli, cantine da vino, cantine generiche; se militari vanno in D.5.
B.5 silos sotterranei = cavità con accesso generalmente dall’alto, scavate nella roccia e chiuse da una pietra
accuratamente squadrata, che garantiva la conservazione di derrate alimentari al riparo dai topi; sinonimo: fosse
granarie.
B.6 stalle = ricoveri per animali di qualsiasi taglia, dai cavalli ai polli, esclusi i piccioni (B.7).
B.7 colombari = la maggior parte dei colombari extraurbani, con cellette piccole e fitte, avevano funzione di
allevamento di piccioni o volatili analoghi, termine corretto “colombaie”; altri, con celle un po’ più grandi e
senza la finestrella per far entrare e uscire gli uccelli, sono invece cavità funerarie e vanno in C.2.
B.8 altri insediamenti = è difficile stabilire un elenco completo di tutti i tipi di insediamenti, se ve ne sono di
inusuali o non interpretabili, andranno in questa voce; se si troverà un gran numero di insediamenti che ricadano
nelle sette voci precedenti, se ne creerà una apposita.
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45. I frantoi (o trappeti) erano legati all'antica arte della produzione dell’olio che da sempre e in gran
quantità, ha costituito e continua a costituire risorsa in tutte le province meridionali, dalla Sicilia al
Molise. Per le loro caratteristiche costruttive e per la sempre più crescente industrializzazione, i
frantoi hanno subito un declino inesorabile tanto da essere completamente abbandonati.
Tutelare e recuperare negli anni i frantoi, significa contribuire alla scoperta di valori che hanno
rappresentato valenze di natura economica, ma che oggi più di ieri esprimono, con una tradizione
umile ma fattiva, la società del lavoro e con essa la valorizzazione di un prodotto vecchio quanto il
mondo. Le industrie olearie (torcularium) possono essere quindi considerate le ultime tracce della
civiltà rurale.
Il vasto numero di frantoi ipogei e semi-ipogei, esistenti in Puglia, è legato alla produzione olearia
che da sempre è stata fiorente in questo territorio (fin dal Cinquecento), quando, all'esterno della
cinta delle città si estendeva un'ampia fascia di orti-giardino costituiti da agrumeti, vigneti e da
numerosi oliveti, formando un ampio arco intorno alla zona abitata.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
46. I FRANTOI AL TEMPO DEI GRECI
In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina
ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Posidone per il
possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si
celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore
contenenti olio raffinato: si tratta di anfore di una forma molto particolare, con corpo assai panciuto, collo
breve, fondo stretto e piccole anse “a maniglia”, dette per questo loro particolare uso, panatenaiche.
Pelike ateniese a figure nere, 510-500 a.C. circa. Mercante d'olio con anfora. Firenze, Museo archeologico etrusco - Rappresentazione di
pressa a vite. Bassorilievo, Aquileia 46
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
47. I FRANTOI AL TEMPO DEI GRECI
Mi'ilya è un villaggio greco a ovest Galilea. E 'stato costruito sulle rovine della fortezza risalente al XII sec. Sulla sommità della collina,
adiacente alla fortezza crociati, si trova una struttura vecchia 1000 anni con un vecchio frantoio che ha funzionato per oltre quattro secoli.
All’interno si trova anche una pressa in metallo (che agevolò i metodi di produzione) costruita in Francia e risalente a 150 anni fa.
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48. I FRANTOI AL TEMPO DEI ROMANI
Gli antichi Romani molivano le olive in appositi
frantoi
che
essi
chiamavano trapeta o trapetum. Con il termine
"trappeto" noi indichiamo un luogo e una
struttura dove avveniva la trasformazione delle
olive in olio. I romani indicavano una
macchina dove si separava il nocciolo dalla
polpa. Questo "ordigno", infrangeva la polpa
dell'oliva e la separava dal nocciolo; alla fine
dell'operazione,
la
pasta
delle
olive (sampsa) veniva estratta dal bacino di
questo trapeta e se ne faceva fuoriuscire tutta
la morchia. Successivamente la sampsa veniva
trasportata
sulla
piattaforma
del lacus (ambiente dove erano ubicati i torchi
per la spremitura) dove aveva inizio la
torchiatura della pasta per ottenere l'olio.
Disegno ricostruttivo di un frantoio. Dal testo: “Settefinestre. Una villa schiavistica nell’Etruria romana”.
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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49. I FRANTOI AL TEMPO DEI ROMANI
La macchina si componeva di
diversi elementi:
mortarium, bacino del
frantoio;
milliarium, cilindro
centrale, che formava con il
mortaio tutto un pezzo;
orbes, macine semisferiche;
columella, perno;
cupa, parallelepipedo di
legno sostenuto ed
attraversato dal perno e
ricoperto da lamine
metalliche;
modioli, due manici di legno
che attraversavano da parte a
parte le macine e si inserivano
nella cupa.
Due operai facevano girare le macine attorno al perno agendo sui modioli; fistula
ferrea, bullone che fissava la cupa alla parte superiore del perno, armillae, anelli che
stringevano i modioli alla loro uscita dalle macine e regolavano gli spostamenti orizzontali
di quest'ultima tenendole sempre a distanza dalle pareti del bacino.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
50. I PRIMI FRANTOI IPOGEI
I frantoi ipogei e semipogei sono ricavati nel banco tufaceo. Generalmente sottostanti al piano
stradale, raggiungono una quota di calpestio dai due ai cinque metri, ottenendo così all'interno
un'altezza media minima che varia dai due ai quattro metri circa. Il loro andamento planimetrico può
essere classificato nei tipi longitudinali, mistilinei, articolati; ciò in funzione della disposizione degli
ambienti di deposito, di lavoro e di soggiorno. Questi ultimi destinati agli operai e agli animali addetti
al movimento rotatorio delle macine.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
51. Tali peculiarità costruttive avevano soprattutto una loro ragione di essere legata alla conservazione del prodotto.
I frantoi, infatti, dovevano avere una temperatura calda e costante oscillante tra i 18-20 gradi centigradi che
serviva a favorire il deflusso del liquido quando le olive macinate venivano sottoposte alla torchiatura e alla
separazione dell'olio dalla sentina che si depositava sui pozzetti di decantazione.
Interno del trappeto ipogeo dei Carmelitani (in
agro di Grottaglie)
La bestia era indispensabile nel trappeto.
Collaboratrice preziosa, condivideva uno spazio
quasi in comune cogli operai. Assieme ai frantoiani,
risaliva in superficie a stagione finita: cioè dopo
cinque-sei mesi dal giorno in cui, in autunno, era
stata calata. «Forse l'operazione più delicata era
quella che si occupava di far discendere l'animale.
Bendato cu l'occhiali, per evitargli capogiri, a
ritroso, spronato, trattenuto da robusti contadini
tramite la capezza e la praca, lo si guidava a
scendere, lentamente, finché raggiungeva
finalmente la sua stalla, ricavata nello spessore di
una parete perimetrale della grotta principale» (L.
MILIZIA FASANO, Il trappeto sotterraneo in Terra
d'Otranto, Cavallino di Lecce 1991, pp. 23-4).
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
52. Osservando questi ambienti, si possono rilevare tipologie comuni ai diversi tipi ipogei quali l'accesso agli stessi
a mezzo di una scala quasi sempre a rampa rettilinea, ricavata anch'essa nella roccia e coperta con una volta a
botte. Ai lati di essa sono ubicati altri spazi (detti in gergo sciane) in cui venivano depositate le olive in attesa
della molitura. La sopradetta scala immette in un grande vano, luogo centrale della lavorazione (qui, invero,
avvenivano le operazioni di macinazione e spremitura) dove è sita la vasca con la macina costituita da una
piattaforma circolare in pietra, ovvero, da una grossa pietra (del diametro di metri 1,80-2,00) di calcare duro
idoneo a schiacciare le olive.
Scale di accesso ai trappeti ipogei : Dormiente, Fasano II, Fasano I (a Grottaglie)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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53. Questa massa molare di forma circolare, posta in verticale, risulta collegata ad una trave lignea
orizzontale fissata nella roccia. Intorno al grande vano dove avvenivano tutte le operazioni di
macinazione e di spremitura, ritroviamo inoltre le sciane e i torchi (torcular) per la torchiatura della
pasta delle olive schiacciate.
Cosimo Moschettini, medico e studioso di "rustica olearia economia", nel suo trattato dal
titolo Osservazioni intorno agli ostacoli de' trappeti feudali..., così scriveva dei frantoi: «... I trappeti sono
generalmente tra noi tante grotte sotterranee scavate nel tufo, o in una specie di pietra calcarea più o
meno dura detta volgarmente leccese».
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54. Macina ad una pietra
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55. Macina a tre pietre
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56. Questi ambienti, dove erano posizionati gli spremitoi, venivano chiamati lacus ossia ambienti adibiti
alla pressione della pasta delle olive schiacciate. Tale ambiente di lavoro è munito altresì di vani
destinati a stalla, a cucina (dove i frantoiani consumavano i pasti) e a dormitorio degli operai quivi
presenti almeno sei mesi all'anno (da novembre ad aprile). Tutti questi ambienti risultano privi di
luce diretta.
L'unica fonte di illuminazione è resa da uno o due fori praticati al centro della volta del vano
principale; un foro è comunque sempre sito in corrispondenza della vasca per assicurare ancora il
ricambio dell'aria.
I torchi, in uso nelle industrie olearie, sono in legno di quercia e soprattutto di ulivo. Risultano essere
di due tipi: alla "calabrese" e alla "genovese".
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
57. Questa
robusta trave
orizzontale lunga m 2.30,
alta 0.25, profonda 0.25
(queste sono le misure della
trave del torchio conservato
nel frantoio di Palazzo
Granafei di Gallipoli) era resa
mobile da due dadi strinti
alle viti verticali; due
frantoiani facevano ruotare
questi dadi avvitandoli,
quindi, la trave premeva sui
giunchi (fisculi)
incolonnati sotto, tra i plinti
di calcare. Questo "ordigno"
fu insostituibile fino a tutto il
Settecento e anche fino ai
primi anni dell'Ottocento
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
58. Frantoio alla ‘‘calabrese’’ (a sinistra) e alla ‘‘genovese’’ (a destra)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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59. Il torchio alla "genovese" ad una
vite — che richiedeva maggiore
spazio nell'uso —garantiva una
più perfetta e funzionale
spremitura della pasta delle olive.
Giovanni Presta nel suo trattato
dedica un paragrafo alla
costruzione degli "ordigni
oleari". Nel paragrafo decimo del
cap. VII, l'autore descrive —
dando tutte le misure espresse in
palmi napoletani (m 0.2645) —
tutti i pezzi che servono per
costruire un torchio alla
"genovese" che lentamente si
iniziava a conoscere ed usare in
Puglia.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
60. I torchi adoperati nei frantoi salentini erano principalmente alla "calabrese"; successivamente ad
essi, vennero aggiunti singoli o "batterie" di torchi alla "genovese". Quest'ultimo "ordigno", una
volta introdotto nel Salento, soppianta il precedente e viene adoperato in tutte le industrie olearie,
soprattutto in quelle edificate ex-novo.
Questo "ordigno" era molto diffuso a Genova e in
tutta la Liguria, in Toscana ed in altre località. Esso
viene introdotto nel Regno di Napoli solo a partire dai
primi anni del secolo scorso.
A tal proposito giova ricordare il testo di D.A. Tupputi
dal titolo Rejlexions succintes ..., che così scriveva:
«...Il funzionamento del torchio è pieno di difetti dal
momento che esso non agisce perpendicolarmente sui
canestri che contengono la pasta ...Mi sembra che il
torchio adottato a Genova e Marsiglia meriti di essere
preferito a quello usato nel Regno di Napoli».
Torchio alla ‘‘genovese’’
60
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
61. Dal rilevamento dei frantoi presi in esame si ricava che queste strutture hanno dimensioni planimetriche che variano da mq 200 a 700 circa
ed alcune conservano — anche se in completo abbandono — ancora le vasche, con una, due e tre pietre molari e i torchi alla "calabrese"
o alla "genovese". Queste "macchine industriali" sono le più esposte al degrado e alla scomparsa dai luoghi di produzione ormai da decenni
non più in attività.
Ipotesi di restauro del frantoio ipogeo di Noha le cui testimonianze
risalgono alla metà del ‘700 (Galatina – LE)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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62. OPERE DI USO MILITARE
Bastione, batteria, castello, capponiera, casamatta, cofano, contromina, cunicolo di demolizione,
cupola, forte, galleria, galleria di controscarpa, galleria di demolizione, galleria stradale, grotta di
guerra, grotta fortificata, mina, opera in caverna, polveriera, pusterla, ridotta, ridotto, rifugio,
riservetta, rivellino, sotterraneo, tamburo difensivo, traditore, trincea...
CLASSIFICAZIONE SECONDO la Commissione Nazionale Cavità Artificiali SSI
D) Opere Militari
D.1 opere difensive varie = fortificazioni sotterranee che non hanno funzioni specificate sotto, e loro
pertinenze.
D.2 gallerie e camminamenti = opere per il transito di armi e armati.
D.3 gallerie di mina e contro-mina = gallerie aventi la funzione specifica di far saltare i nemici.
D.4 postazioni di sparo = dai fucili alle mitragliatrici e ai cannoni e, forse, alle balestre.
D.5 depositi = magazzini militari sotterranei di munizioni, derrate o altro.
D.6 rifugi = rifugi da bombardamenti, dormitori, posti comando per militari.
D.7 rifugi per civili = luoghi sotterranei dove la popolazione civile si rifugiava durante invasioni,
cannoneggiamenti, bombardamenti aerei.
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63. Prima del diffuso impiego delle armi da fuoco le opere sotterranee ricavate all’interno delle mura
non sono strettamente indispensabili alla difesa. Subito dopo risultano essere alla difesa stessa di
una fortificazione. Nelle bastionature l’elemento difensivo di rilievo è sovente costituito dalle
contromine e gli impianti di demolizione in generale. Occorre inoltre premettere che gli elementi
in alzato possono venire a trovarsi, col trascorrere del tempo, al di sotto del circostante piano di
campagna a seguito di parziali distruzioni e seppellimenti, anche in ragione di successive
sistemazioni delle aree urbane.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
64. BASTIONE
Opera fortificata costituita da un terrapieno contenuto entro un perimetro poligonale
di spesse muraglie di sostegno, detto anche baluardo.
I bastioni angolari a lancia per il Castello Svevo (photocredit : Diana Cocco)
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65. BASTIONE
Corfù costituì una importante base nei piani di espansione a oriente del Regno di Napoli ai tempi dei Normanni e
degli Angioini. I Veneziani rafforzarono due fortezze che proteggevano il piccolo borgo medievale che sorgeva tra di
esse: la città antica di Corcyra, dove Re Alcinoo ospitò Ulisse e ne facilitò il ritorno ad Itaca, era situata poco a sud
della cittadina medievale.
la Fortezza Vecchia vista da sud: in primo piano il Castello della Campana e dietro il Castel da
Mare (Photocredit : http://romeartlover.tripod.com)
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66. BASTIONE
Fortezza Vecchia: (a sinistra) le caserme costruite durante il protettorato britannico, dietro ad
esse il Castel da Mare e sullo sfondo la costa della Grecia; (a destra) un bastione cinquecentesco
sul lato settentrionale della fortezza. (Photocredit : http://romeartlover.tripod.com)
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67. GALLERIA
Nelle fortificazioni, è in genere il passaggio ricavato nello spessore delle murature o
nel sottosuolo e rivestito.
Deposito militare Serro 2 , risalente alla II Guerra, in agro di Pulsano (TA) (Photocredit : Speleo Club Cryptae Aliae)
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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68. CASAMATTA
Nelle fortificazioni è la parte dell’opera destinata a ricevere le artiglierie della difesa.
Casamatta sulla spiaggia di San Pietro in Bevagna (TA) (Photocredit : Nico Sebaste ) – Casamatta
sulla spiaggia di Alliste (LE) (Photocredit : Peiro 2009)
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69. CASAMATTA
Barletta - Castello, XII-XVI sec. Casamatta con sfiatatoio circolare centrale della calotta per la
fuoriuscita dei fumi dell’artiglieria (bombarda, colubrina, falcone, falconetto, girofalco, ecc.)
(Photocredit : Pro Loco Barletta)
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70. L’ESEMPIO DI NAPOLI SOTTERRANEA
Napoli sotterranea, è un mondo
unico e affascinante che prende
corpo proprio da tutte le
trasformazioni che subisce nei
secoli la morfologia del
territorio partenopeo, avvenute
ad opera dei Greci a partire dal
470 a.C. L'impulso a tali
trasformazioni è stato dettato da
esigenze di approvvigionamento
idrico, che hanno portato alla
creazione di cisterne sotterranee
adibite alla raccolta di acque
piovane, e dalla necessità di
recuperare materiale da
costruzione per erigere gli
edifici di Neapolis.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
71. L’ESEMPIO DI NAPOLI SOTTERRANEA
Fra il 1588 ed il 1615 però, furono emessi alcuni editti che proibivano l'introduzione in città di materiali da
costruzione, onde evitare l'espansione incontrollata di Napoli. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la
necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già
esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l'acqua potabile e ricavandone di nuove. Questo tipo di
estrazione, che avveniva dall'alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del
sottosuolo ed evitare crolli indesiderati.
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
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72. L’ESEMPIO DI NAPOLI SOTTERRANEA
Dal 1968, però, cominciarono a verificarsi alcuni dissesti dovuti a rotture di fogne o perdite del nuovo acquedotto.
Ovunque, queste situazioni, si evidenziano con rigurgiti di liquami in superficie o allagamenti, a Napoli invece,
proprio per la presenza del vasto sottosuolo cavo, si palesano con grosse voragini. In 20 anni di scavi silenziosi e
bonifiche laboriose, grazie all'impegno e al sacrificio di tanti volontari, oggi è possibile conoscere una pagina
inedita della storia di Napoli.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
73. Conoscere tali spazi architettonici significa, quindi, tutelarne le valenze, che, per le
particolari caratteristiche agrarie meridionali, sono altresì, parte integrante del
paesaggio e dell'architettura rurale che connotano il territorio pugliese.
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DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
74. Grazie per l’attenzione
Thanks for your attention
DOTT. ARCH. MARIANGELA MARTELLOTTA
BIBLIOGRAFIA E FONTI:
Commissione Nazionale Cavità Artificiali
Federazione Speleologica Pugliese
MiBAC – Ministero Beni Archeologici e Culturali
Archivi fotografici Speleo Club Crryptae Aliae
“MEZZOGIORNO MEDIEVALE E POPOLAMENTO RUPESTRE PUGLIESE: AREE E LUOGHI DI CULTO” - prosumerzen.net
Florence Lojacono - Galdar, Dicmbre 2006